UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 693 – 18 marzo 2018
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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02 ADDEBITO Separazione x violazione dell’obbligo di fedeltà, onere della prova.
02 ADOTTABILITÀ Nucleo familiare inadeguato solo sulla base di dati oggettivi.
02 ADOZIONE INTERNAZIONALE FVG. Accordo tra Enti per implementare cultura accoglienza.
03 AFFIDO CONDIVISO L’inganno dei moduli.
04 ASSEGNO DI MANTENIMENTOAddio mantenimento alla ex che rifiuta senza motivo un lavoro.
04 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Necessaria verifica dei redditi di entrambi i genitori.
05 ASSEGNO DIVORZILE Separazione: addio assegno per la giovane moglie del pensionato.
06 AZZARDO Aumentano i matrimoni in crisi per il gioco d’azzardo
06 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 9, 14 marzo 2018
08 CHIESA CATTOLICA Cinque anni di grazia e di libertà
09 Cinque anni dopo. Un papato messianico
12 Papa Francesco cerca di avviare un nuovo corso nella Chiesa.
15 C. I. F. e la nuova presidente: Renata Natili Micheli.
17 CO. ADOZIONI INTERNAZIONALI Rapporto della Commissione
17 CONSULENTI COPPIA e FAMIGLIA A Milano un nuovo Corso per Consulenti Familiari
17 Alta Formazione in consulenza familiare specializzazione pastorale
18 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Mantova. Etica, salute & famiglia. Anno XXII, n. 3, marzo 2018
18 Padova. Letture marzo 2018
18 DALLA NAVATA V Domenica di Quaresima – Anno B –18 marzo 2018
18 Commento di E. Bianchi
20 DISCONOSCIMENTO DI PATERNITÀ Scoperta dell’adulterio commesso all’epoca del concepimento.
20 DIVORZIO E NULLITÀ Cassazione: il cattolico non evita il procedimento civile di divorzio.
21 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Dobbiamo investire sulla famiglia, ce lo chiede l’Europa.
21 Banca d’Italia: puntare sulle famiglie per sconfiggere la povertà.
21 FRANCESCO VESCOVO DI ROMACinque anni con Papa Francesco. I 5 sensi spirituali di Bergoglio.
25 I cinque anni del Papa che ha capovolto la Chiesa
26 GENDER Sessualità e gender 1 | Educare alla coerenza
27 Sessualità e gender 2 | Quale idea di persona?
27 MATERNITÀ Anche il congedo di maternità per l’avanzamento di carriera
28 POLITICHE PER LA FAMIGLIA In Primiero la 9° Convention dei comuni family
28 SEPARAZIONE Perché dopo la sentenza la causa prosegue?
29 TRIBUNALE ECCLESIASTICO Aumento delle cause di annullamento dei matrimoni.
29 UCIPEM Ci è mancato l’8 marzo 2018 p. Luigi Lorenzetti.
30Lorenzetti: etica per l’oggi.
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ADDEBITO
Separazione per violazione dell’obbligo di fedeltà e onere della prova
Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 3923, 19 febbraio 2018.
Grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà.
(Massima ufficiale) ordinanza
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19250, 13 marzo 2018
www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/19250.pdf
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ADOTTABILITÀ
Nucleo familiare inadeguato: stato di adottabilità dichiarabile solo sulla base di dati oggettivi.
Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 3915, 16 febbraio 2018.
www.iusexplorer.it/Dejure/Sentenze?idDocMaster=7190374&idDataBanks=2&idUnitaDoc=0&nVigUnitaDoc=1&pagina=1&NavId=161367028&IsCorr=False
Non si può dichiarare lo stato di abbandono del minore prima di aver verificato se i parenti possano svolgere il ruolo genitoriale con l’ausilio dei servizi sociali. La vicenda verte sulla dichiarazione dello stato di abbandono di un minore di padre ignoto la cui madre, affetta da insufficienza mentale, non risultava idonea ad assumere la responsabilità genitoriale. L’indagine circa il nucleo familiare ove viveva la giovane non sembrava aver dato esito positivo, atteso che i nonni, per diversi motivi, non apparivano adeguati a prendersi cura del piccolo, mentre l’unico soggetto che poteva avere le caratteristiche idonee, ossia lo zio ventiquattrenne, era stato escluso in ragione della giovane età e degli impegni lavorativi.
La Suprema Corte accoglie il ricorso presentato dallo zio in quanto la conclusione in merito alla sua inidoneità non aveva preso in considerazione un possibile percorso pubblico di accompagnamento e di supporto, che non era stato neppure prospettato. La Cassazione, citando anche la giurisprudenza CEDU, afferma che in tema di dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore, ove i genitori siano considerati privi delle capacità genitoriali, un giudizio altrettanto negativo sugli stretti parenti, in rapporti significativi con il bambino, deve essere formulato attraverso la considerazione di dati oggettivi, osservazioni e disponibilità rilevate dai servizi sociali, che hanno avuto contatti con il bambino e monitorato anche il suo stretto ambito familiare, con una valutazione della personalità e della capacità educativa e direttiva del minore posseduta dai componenti di quello, in considerazione dei diritti personalissimi coinvolti dall’esito finale del giudizio e del principio secondo cui l’adozione ultrafamiliare deve considerarsi come approdo estremo.
Osservatorio sul diritto di famiglia 18 marzo 2018
www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17507401/non-si-pu%C3%B2-dichiarare-lo-stato-di-abbandono-del-minore-prima-di-aver-verificato-.html
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
Accordo tra Enti per implementare cultura accoglienza
La Regione Friuli Venezia Giulia sottoscriverà con le Aziende per l’assistenza sanitaria, il Tribunale per i minorenni, l’Ufficio scolastico del Friuli Venezia Giulia e tutti gli Enti autorizzati per le adozioni internazionali un protocollo che ha l’obiettivo di implementare la cultura di accoglienza e solidarietà in materia di adozione e di prevedere un sistema integrato di servizi a sostegno delle coppie nel loro percorso adottivo.
Il protocollo, il cui schema è stato approvato oggi dalla Giunta regionale, si pone in continuità con il precedente documento sottoscritto sempre sulla stessa materia, ma che riguardava esclusivamente l’adozione internazionale. Il testo, predisposto a cura di un tavolo di lavoro coordinato dalla direzione regionale Salute a cui hanno partecipato il presidente del Tribunale per i minorenni, un referente dell’Ufficio scolastico Fvg, rappresentanti dei Consultori familiari delle Aziende per l’assistenza sanitaria e referenti degli enti autorizzati presenti in regione con sede operativa attiva (Fondazione Senza frontiere; Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini; I Fiori semplici; International adoption; La Maloca – Centro Adozioni internazionali; Lo Scoiattolo) è stato condiviso da tutti i partecipanti.
Per garantirne la cooperazione tra soggetti firmatari, la Regione attiverà dopo la sigla del protocollo un tavolo di coordinamento che si incontrerà periodicamente.
Nelle linee guida si affrontano tutte le fasi del procedimento adottivo suddiviso in cinque parti:
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La prima riguarda il momento di informazione e formazione
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La seconda si compone dell’avvio l’iter con la presentazione della domanda di adozione al Tribunale per i minorenni.
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La terza fase prevede il conferimento dell’incarico all’ente autorizzato e il tempo dell’attesa in vista dell’abbinamento per l’adozione internazionale. Nel tempo di attesa, sia per l’adozione nazionale che per l’internazionale, la coppia necessita di un adeguato accompagnamento e sostegno. Relativamente all’adozione internazionale la coppia ha piena autonomia di scelta circa l’ente cui conferire mandato e il tempo di attesa cambia in base alla situazione sociale e politica del Paese scelto, al numero di coppie già in lista di attesa, alle disposizioni contenute nel decreto di idoneità del Tribunale per i minorenni e alla disponibilità espressa dalla coppia al momento della proposta di abbinamento. Per quanto attiene invece all’adozione nazionale, il tempo d’attesa dipende dal numero di bambini adottabili in relazione al numero di domande presentate.
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La quarta fase riguarda il momento dell’incontro della coppia con il minore e segna il passaggio dalla fase preadottiva a quella dell’origine di una nuova famiglia e rappresenta quindi un momento altrettanto significativo del percorso.
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Infine, la quinta e ultima fase riguarda il post adozione, che ha inizio a conclusione dell’anno preadottivo per l’adozione nazionale e per l’internazionale dal momento del rilascio dell’autorizzazione all’ingresso del minore in territorio italiano. L’esperienza di condivisione quotidiana che inizia con l’incontro del minore con la famiglia adottiva (per l’adozione internazionale avviene già all’estero) continua a necessitare, soprattutto nei primi anni, di un accompagnamento da parte dei soggetti pubblici e privati firmatari del protocollo.
ARC/EP/fc Il Gazzettino 15 marzo 2018
www.ilgazzettino.it/speciali/regione_fvg_informa/adozioni_accordo_tra_enti_per_implementare_cultura_accoglienza-3608714.html
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AFFIDO CONDIVISO
Affido, l’inganno dei moduli
Affidamento condiviso, solo da pochi giorni disponibili le schede per le rilevazioni imposte dalla criticata norma. Ma sarebbe sbagliato incolpare l’Istat
Affido condiviso, una legge senza futuro? Probabilmente i funzionari del ministero della Giustizia ne erano convinti già al momento dell’entrata in vigore (8 febbraio 2006). Se così non fosse, come spiegare un’attesa lunga 12 anni prima di indicare all’Istat la necessità di rinnovare i moduli per la rilevazione statistica delle separazioni? Le nuove schede sono arrivate nei tribunali solo nei giorni scorsi, finalmente riviste nell’impostazione e con una quarantina di domande molto efficaci per analizzare nel dettaglio realtà, problemi e motivazioni degli ex coniugi.
Non si tratta solo di un dettaglio per addetti ai lavori. Al momento della separazione, i tribunali devono compilare un modello Istat utilizzato poi per le statistiche, indispensabili per mettere a punto un quadro credibile e approfondito. Peccato però che per rilevare l’andamento della legge 54 del 2006, quella appunto sull’affido condiviso, si siano utilizzati fino al mese scorso moduli costruiti secondo il vecchio modello monogenitoriale, quello fondato sul genitore ‘collocatario’ – in nove casi su dieci la madre – che riceve dall’altro genitore – il nove casi su dieci il padre – l’assegno per provvedere ai bisogni dei figli e si assume in esclusiva ogni decisione per quanto riguarda la vita quotidiana e le scelte educative.
La legge del 2006, almeno nelle intenzione, ha rovesciato questa prospettiva, introducendo il criterio della pari responsabilità educativa e obbligando gli ex coniugi a non dimettersi mai dal ruolo di genitori. Principio sacrosanto che però ha incontrato da un lato le resistenze culturali di una percentuale rilevante della magistratura, erede di un femminismo giuridico orientato a puntare il dito sempre e comunque sulle colpe, vere o presunte, del cosiddetto ‘padre assente’.
Dall’altro ha pagato i ritardi di una macchina burocratica che ha trascurato quali effetti deleteri avrebbe potuto avere una rilevazione statistica non conforme allo spirito della legge. È stato agevole cioè per tutti i detrattori della norma, in assenza di dati approfonditi e specifici, argomentarne l’inefficacia e l’inutilità. Tanto che a lungo – come abbiamo più volte sottolineato su queste pagine – si è dibattuto sulla necessità di rivedere la legge, passando da un principio solo enunciato a una prassi giuridica convinta della necessità di un affido ‘materialmente condiviso’.
Quanto ha inciso questo vuoto statistico sulla formazione di una cultura giuridica davvero ispirata al criterio della pari responsabilità educativa? Difficile dirlo. Quello che è certo è che ora gli alibi sono finiti. I nuovi moduli Istat indagano nel dettaglio aspetti come ‘il numero di pernottamenti con il padre nell’arco di due settimane’; i capitoli di spesa affrontati per i figli (abitazione, abbigliamento, salute, istruzione, ecc.); l’eventuale ricorso alla mediazione familiare. Di grande rilievo anche gli accertamenti sulle scelte dei giudici. Si chiede per esempio se durante il dibattimento si è proceduto o meno all’ascolto dei figli e si cerca di comprenderne i motivi (ritenuto contrario all’interesse del minore; superfluo; non è stata data alcuna motivazione?).
Un passaggio che, se non può essere valutato come una revisione giuridica della normativa – che non può toccare evidentemente all’Istituto nazionale di statistica – finirà però per aprire uno spiraglio di grande interesse sulle decisioni dei giudici e per capire se davvero la legge del 2006 incontra ancora pregiudizi e resistenze. Era stata l’Istat stessa, nel report 2016 su matrimoni e separazioni, a far notare come finora «la legge non ha trovato effettiva applicazione». Conclusione a cui si era giunti nonostante – o a causa – delle rilevazioni condotte sui vecchi moduli. Ora, con le schede finalmente calibrate secondo le indicazioni della ‘nuova’ legge, cambierà qualcosa?
Luciano Moia Avvenire 14 marzo 2018
www.avvenire.it/attualita/pagine/affido-linganno-dei-moduli
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO
Addio mantenimento alla ex che rifiuta senza motivo un lavoro
Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 5817, 9 marzo 2018.
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_29558_1.pdf
Per la Cassazione l’attitudine al proficuo lavoro del coniuge va valutata in relazione all’assegno quale potenziale capacità di guadagno. Perde l’assegno di mantenimento la ex moglie che rifiuta immotivatamente offerte di lavoro. Infatti, l’attitudine al proficuo lavoro del coniuge, quale potenziale capacità di guadagno, rappresenta un elemento valutabile per le questioni afferenti l’assegno di mantenimento.
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, respingendo la domanda di una ex moglie che, nella controversia in relativa alla separazione personale tra lei e il marito, si era vista revocare l’assegno di mantenimento. La Corte d’Appello aveva rilevato come la donna avesse rifiutato diverse offerte di lavoro assumendo che i colloqui non fossero finalizzati a vere assunzioni, deduzioni rimaste del tutto sfornite di riscontro. In Cassazione, la signora contesta la decisione della Corte territoriale, ma per gli Ermellini la sua doglianza è manifestamente infondata.
In tema di separazione personale dei coniugi, precisa la Corte, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacita di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini delle statuizioni afferenti l’assegno di mantenimento. Tale attitudine del coniuge al lavoro, si legge nel provvedimento, assume in tal caso rilievo ove venga riscontrata in termini di effettività possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale, e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (cfr. Cass., nn. 18547/2006 e 3502/2013).
L’impugnata sentenza, conclude il Collegio, ha escluso il diritto al mantenimento spettante alla signora sul rilievo che la ricorrente fosse in grado di procurarsi redditi adeguati stante la pacifica esistenza di proposte di lavoro le quali immotivatamente non erano state accettate. Una valutazione coerente con l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità. Il ricorso va dunque respinto.
Lucia Izzo news Studio Cataldi 15 marzo 2018
www.studiocataldi.it/articoli/29558-addio-mantenimento-alla-ex-che-rifiuta-senza-motivo-un-lavoro.asp
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO FIGLI
Mantenimento figli: necessaria verifica dei redditi di entrambi i genitori
Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 4811, 1 marzo 2018
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_29454_1.pdf
Per la Cassazione, nel determinare l’esborso il giudice deve verificare sia il tenore di vita goduto dal figlio sia la situazione reddituale dei coniugi. Nel quantificare l’entità dell’assegno di mantenimento da corrispondere alla prole, il giudice deve valutare sia il tenore di vita goduto dal figlio sia la situazione reddituale di entrambi i genitori; in quest’ultimo caso, laddove necessario, anche attraverso indagini tributarie.
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, nell’accogliere l’istanza di un padre a carico del quale la Corte d’Appello aveva posto il versamento di un assegno di mantenimento di 400 euro nei confronti del figlio, oltre al 50% delle spese straordinarie. Tuttavia, il ricorrente lamenta che la quantificazione, in entrambi i giudizi di merito, sia stata effettuata senza rispettare il principio di proporzionalità che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori; neppure, precisa la difesa, è stata documentata la situazione economica dell’altro genitore, pertanto i giudici avrebbero dovuto disporre d’ufficio i relativi accertamenti tributari sul punto.
Gli Ermellini, nell’accogliere il ricorso, rammentano l’importanza del principio di proporzionalità nella determinazione dell’assegno. I genitori, infatti, sono obbligati a contribuire al soddisfacimento dei bisogni dei figli minori in misura proporzionale alle proprie disponibilità economiche (art. 30 Cost.). Il giudice, al fine di realizzare tale principio, nella determinazione dell’assegno per il minore dovrà tenere conto non solo tenere delle attuali esigenze del figlio e del tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza, ma anche delle risorse economiche di entrambi i genitori, effettuando un equo bilanciamento.
A seguito della separazione personale dei coniugi, spiega la Cassazione, continua a trovare applicazione l’articolo 147 c.c., che ora rimanda all’articolo 315-bis c.c.: questo, imponendo ai genitori il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, obbliga i medesimi a far fronte a una molteplicità di esigenze. Poiché lo standard di soddisfazione di tali esigenze è correlato anche al livello economico-sociale dell’intero nucleo familiare, il parametro di riferimento per quantificare il concorso nei predetti oneri sarà costituito non soltanto dalle esigenze dei figli, ma anche dai redditi e dalla capacità di lavoro di ciascun coniuge.
Dunque, il tenore di vita del figlio non risulterà il parametro esclusivo da considerare, dovendosi valutare in concreto anche le rispettive condizioni economiche dei genitori.
Nel caso in esame, la Corte di merito non ha rispettato tali criteri, limitandosi ad avallare la soluzione del Tribunale che, a sua volta, non è stata supportata da un’idonea indagine circa le risorse patrimoniali e reddituali disponibili da parte dei coniugi e la loro capacità di lavoro. Anzi, il provvedimento impugnato ha trascurato la maggior capacità economica dell’altro genitore, pur accertata in concreto e, pertanto, si rende necessaria la sua cassazione con rinvio.
Lucia Izzo Newsletter Giuridica Studio Cataldi 12 marzo 2018
www.studiocataldi.it/articoli/29454-mantenimento-figli-necessaria-verifica-dei-redditi-di-entrambi-i-genitori.asp
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ASSEGNO DIVORZILE
Separazione: addio assegno per la giovane moglie del pensionato
Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 5593, 8 marzo 2018
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_29530_1.pdf
La Cassazione conferma la sentenza di merito che ha escluso il mantenimento per l’ex moglie di giovane età. Rilevante anche la precaria situazione dell’uomo che vive di sola pensione e la breve durata del matrimonio. Lui anziano e pensionato, lei giovane, con villa di proprietà e lavanderia in gestione. Dopo circa 2 anni, l'”idillio” finisce e i due si dicono addio. Lei reclama l’assegno di mantenimento ma per i giudici non ne ha diritto. Questa la vicenda approdata in Cassazione che, con l’ordinanza ha definitivamente dato torto alla giovane donna.
Nella vicenda, la Corte d’appello di Catania, in riforma della sentenza di primo grado, ha eliminato l’obbligo di un uomo di corrispondere alla moglie separata, l’assegno di mantenimento (determinato in euro 300,00 mensili), in considerazione della breve durata del matrimonio e dell’insussistenza di un divario delle condizioni reddituali dei coniugi, tenuto conto che l’uomo pensionato, aveva un reddito di euro 750,00 mensili, era proprietario di un piccolo locale sfitto, aveva dovuto vendere un immobile per fare fronte a debiti consistenti e viveva in una casa in affitto, mentre la donna, molto più giovane del marito, gestiva una lavanderia ed era proprietaria di una villa.
La giovane moglie non ci sta e adisce il Palazzaccio denunciando l’illogicità della sentenza per avere eliminato l’obbligo dell’assegno in suo favore, all’esito di una erronea valutazione dei redditi delle parti anche sulla base di documenti tardivamente introdotti dall’ex in appello.
Ma i giudici di piazza Cavour le rispondono picche. Per loro, infatti, il ricorso è generico laddove lamenta la tardiva produzione dei documenti e, inoltre, è diretto “ad ottenere una rivisitazione del giudizio di fatto – riservato al giudice di merito – riguardante le condizioni economiche e reddituali dei coniugi, ai fini della decisione sulla debenza dell’assegno di mantenimento, mentre il controllo di legittimità non equivale alla revisione del ragionamento decisorio né costituisce occasione per accedere ad un terzo grado ove fare valere la ritenuta ingiustizia della decisione impugnata”. Non solo. E’ inammissibile laddove denuncia genericamente l’illogicità della sentenza instando per una diversa valutazione degli elementi probatori, vizio motivazionale non più proponibile in Cassazione.
Per cui la donna può dire addio all’assegno e dovrà pagare le spese di giudizio.
Marina Crisafi Newsletter Giuridica Studio Cataldi 12 marzo 2018
www.studiocataldi.it/articoli/29530-separazione-addio-assegno-per-la-giovane-moglie-del-pensionato.asp
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AZZARDO
Aumentano i matrimoni in crisi per il gioco d’azzardo
Una patologia spesso slegata dal bisogno economico. Il professore dell’Antonianum Regordàn: “l’azzardo è un cancro socialmente accettato”.
Aumentano le richieste di annullamento del matrimonio per cause legate al gioco d’azzardo. Pur non essendo un caso specificatamente previsto dal diritto canonico, spesso vengono invocate la mancanza di discrezione di giudizio nel coniuge dipendente dal gioco o l’impossibilità di rispettare gli obblighi del bonum coniugum. Spiega il prof. Francisco Josè Regordàn Barbero, sacerdote e docente di diritto canonico all’Antonianum, che in questi giorni ha dedicato un convegno proprio alle dipendenze dal gioco d’azzardo. “Di solito si tratta di uomini che nascondono questa problematica prima del matrimonio o persone che hanno problemi di isolamento, che hanno avuto problemi famigliari e trovano nel gioco una specie di via d’uscita apparente ai loro problemi. Sono persone che hanno una carenza emotiva, a volte anche depressione o sono stati testimoni durante l’adolescenza di tanto gioco da parte dei loro genitori, persone che hanno avuto una coesione famigliare debole, che non hanno una consapevolezza forte sul bisogno del risparmio, hanno una bassa autostima, uno stile non sempre adeguato ad affrontare le diverse responsabilità della vita”.
Secondo l’analisi del prof. Regordàn la dipendenza da gioco d’azzardo non è strettamente legata a carenze economiche: “È vero però che l’azzardo va unito all’idea del guadagno immediato, quindi non si può separare del tutto l’aspetto economico – ci sono tante persone che hanno giocato e avevano tanti soldi, quindi non era un problema di mancanza di denaro – ma credo che non possiamo non tenere conto anche di tutta questa mentalità edonista del nostro mondo, che Papa Francesco denuncia così fortemente, una mentalità che cerca il guadagno senza sforzo.
Non ci sono giocatori, solo clienti. “Credo veramente che la nostra società dovrebbe fare un serio sforzo per legiferare tecnicamente e in modo adeguato su questa realtà”, conclude il prof. Regordàn. “La legge parla di gioco d’azzardo e questa è un’incoerenza. L’azzardo non è un gioco, che ha un ruolo essenziale nella socializzazione dell’uomo. Le persone che partecipano al gioco d’azzardo non sono veramente giocatori. Sono clienti. Poi non c’è nessun azzardo, perché sono sistemi complessi di algoritmi che sono assolutamente indirizzati al guadagno di chi organizza l’azzardo. Non c’è equità tra la persona che offre e chi gioca. Per quanto riguarda le istituzioni ecclesiali a volte purtroppo un tribunale ecclesiastico è l’ultimo punto di arrivo, ma avere veramente una pastorale per guarire e per accompagnare tutti questi processi credo che sia veramente una cosa necessaria perché poi il gioco d’azzardo è un cancro un po’ nascosto, perché è un cancro accettato nel mondo civile”.
Michele Raviart Newsletter Vatican News 14 marzo 2018
www.vaticannews.va/it/mondo/news/2018-03/gioco-azzardo-dipendenza-matrimoni.html
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Newsletter CISF – n. 9, 14 marzo 2018
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Pinocchio around the world. Giacomo Pirozzi, fotografo ufficiale dell’Unicef, è in giro per il mondo a immortalare bambini con il famoso burattino di Collodi e così ci mostra i sorrisi più belli da ogni parte del mondo. Un’iniziativa per raccontare l’infanzia nelle diverse culture.
www.famigliacristiana.it/video/trailer-pinocchio-around-the-world.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_14_03_2018(c
http://www.famigliacristiana.it/fotogallery/pinocchio-around-the-world-le-foto-piu-belle.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_14_03_2018
Inoltre, da segnalare, sempre attorno alla grande narrazione del capolavoro di Carlo Lorenzini/Collodi, il prossimo compleanno di pinocchio: 26 maggio 2018. Pinocchio all’Opera [vai al Bando]: Sono già molte, come di consueto, le scuole che hanno partecipato al Concorso organizzato da molti anni dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi in collaborazione con Sinapsi Group. Quest’anno il tema vede le scuole confrontarsi con la storia del burattino più famoso del mondo per valorizzare l’opera lirica italiana, patrimonio culturale identitario della nostra nazione. I vincitori saranno premiati proprio il 26 maggio 2018, “compleanno di Pinocchio”. Gli elaborati verranno pubblicati sulla pagina Fb del Parco di Pinocchio già dal 14 aprile, fino al 30 aprile 2018.
www.pinocchio.it/wp-content/uploads/2017/11/Compleanno-di-pinocchio-2018-Pinocchio-allOpera.pdf
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Rapporto Cisf 2017 – il dibattito prosegue. L’era del digitale come nuova Biblia pauperum. Per una diversa narrazione della Famiglia Questo è il titolo dello stimolante intervento (qui rivisto e riadattato) tenuto dal Prof. Mario Morcellini, Commissario AGCOM, in occasione della presentazione del Nuovo Rapporto Cisf 2017, “Le relazioni familiari nell’era delle reti digitali”, tenutosi il 25 gennaio 2018 a Roma, con il Patrocinio e presso la sede AGCOM.
http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0918_allegato1.pdf
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Londra: servono limiti per l’accesso dei minori su internet. Ha fatto molto discutere questa proposta di Matt Hancock, membro del Governo britannico con delega alla cultura, il digitale e lo sport. nella Saturday Interview (intervista del sabato) rilasciata al Times sabato 10 marzo 2018.
www.thetimes.co.uk/edition/news/time-limits-for-children-hooked-on-social-media-3s66vwgct
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Families on the move (Famiglie in movimento). Rapporto Coface annuale 2017. Interessante, colorato, ricco di infografiche, questo breve documento descrive le attività 2017 di una importante rete europea di associazioni familiari, la COFACE, accreditata presso le istituzioni europee. Di fatto le attività fissano anche una originale mappa di alcune esigenze e priorità delle famiglie in Europa (alla Coface aderiscono anche alcune associazioni italiane – vedi la lista, nel report).
www.coface-eu.org/wp-content/uploads/2018/03/Annual-Report-COFACE-Families-Europe-2017.pdf
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La tutela dei neonati e dei prematuri in Europa. European Standards of Care for Newborn Health (Gli standard europei per la cura dei neonati). http://newborn-health-standards.org
Si tratta di un progetto interdisciplinare europeo sugli standard di cura per i neonati [vedi una breve descrizione del progetto – in inglese],
www.efcni.org/fileadmin/Daten/Web/Brochures_Reports_Factsheets_Position_Papers/ESCNH/Factsheet_Standards_Of_Care_web.pdf
promosso dalla EFCNI (European Foundation for the Care of Newborn Infants), la prima rete inteprofessionale internazionale che intende rappresentare gli interessi dei bambini neonati e prematuri, in collaborazione con le loro famiglie e le loro associazioni familiari. [vedi il sito]. www.efcni.org
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Premio alla nascita: un diritto accessibile a tutte le mamme. Sotto la forma burocratica e anonima di questa circolare [INPS Servizi, 13 febbraio 2018, Messaggio 661] un atto di giustizia: l’INPS ha finalmente accettato – dopo due sentenze di tribunale, Bergamo e Milano – di versare il contributo di 800 euro (detto “premio alla nascita”) non più solo alle madri italiane, a quelle comunitarie e a quelle con il permesso di soggiorno di lungo periodo, ma a tutte le madri, anche con un diverso permesso di soggiorno. Il comportamento dell’Inps era infatti palesemente discriminatorio e non aveva alcun fondamento giuridico.
www.inps.it/bussola/VisualizzaDoc.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_14_03_2018&sVirtualURL=%2FMessaggi%2FMessaggio%20numero%20661%20del%2013-02-2018.htm
Nella legge di stabilità del 2016, che aveva introdotto il contributo, non c’è infatti una distinzione tra donne straniere lungo soggiornanti e quelle con altri permessi di soggiorno. Nel testo si prevede solo che ha diritto al bonus ogni donna a partire dal compimento del settimo mese di gravidanza o all’atto dell’adozione. Le mamme che in un primo tempo si sono viste rifiutare il contributo dovranno presentare una specifica istanza di riesame all’ufficio Inps più vicino, utilizzando il modulo scaricabile a questo link.
www.inps.it/MessaggiZIP/Messaggio%20numero%20661%20del%2013-02-2018_Allegato%20n%201.pdf
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Famiglie con persone fragili, relazioni di cura e presenza di ragazzi/giovani. Dei “giovani caregiver” non si parla.
Eppure, secondo l’Istat, in Italia sono almeno 170 mila i giovani tra i 15 e i 24 anni che assistono un familiare con problemi di salute. Un impegno e una responsabilità con conseguenze rilevanti, sia dal punto di vista dell’organizzazione della loro vita che da quello psicologico. Infatti, spesso sono costretti a dolorose rinunce in ambito scolastico ed educativo, perdendo da un lato il contatto con i propri pari, dall’altro opportunità di impiego in età adulta. A questa loro condizione, poco conosciuta e inadeguatamente supportata, lo scorso 6 marzo 2018 a Bruxelles è stato dedicato un incontro promosso dal Gruppo di interesse dei caregiver informali al Parlamento europeo, dal titolo “Giovani caregiver: sfide e soluzioni”. Per l’Italia era presente l’associazione Comip (Children of mentally ill parents), fondata e guidata da Stefania Buoni, che si occupa in particolare dei bambini e adolescenti che offrono assistenza o supporto a un familiare – un genitore, un fratello/sorella o un nonno – con un disturbo cronico psichico, e che ha presentato le cinque risposte prioritarie che questi ragazzi si attendono. www.comip-italia.org
http://www.comip-italia.org/wp-content/uploads/2018/03/COMUNICATO-STAMPA_esiti_COMIP_al_Parlamento_Europeo_6-3-2018.pdf
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Save the date
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Nord Special Needs, Special Resources. Lo stato di salute del bambino adottato, seminario per le coppie impegnate nell’accoglienza dei bambini con bisogni speciali, promosso dal CIAI, Genva, 17 marzo 2018. www.ciai.it/wp-content/uploads/2018/02/GENOVA-17-03.pdf
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Centro Servire la famiglia, edificare la chiesa. Le forme della collaborazione dei consultori familiari di ispirazione cristiana con i Tribunali Ecclesiastici, giornata di studio promossa dalla CFC (Confederazione Italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana – Onlus), Roma, 17 marzo 2018. www.cfc-italia.it/cfc/materiale/Programma_16_03_18.pdf
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Strade di felicità nell’alleanza uomo-donna (AL 28), XX Settimana Nazionale di studi sulla spiritualità coniugale e familiare, Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Conferenza Episcopale Italiana, Assisi, 28 aprile – 1 maggio 2018.
http://famiglia.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/23/2018/02/16/XX-settimana-naz-studi-light.pdf
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Sud Tavole rotonde sul diritto di famiglia (doppio evento) a) Negoziazione assistita e mediazione familiare (15 marzo 2018), Provvedimenti nell’interesse dei figli: profili processuali (11 maggio 2018), Piano semestrale offerta formativa 2018, eventi (con crediti formativi) promossi da AMI (Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani) – sezione di Lecce, Ordine degli Avvocati di Brindisi, Fondazione dell’Avvocatura di Brindisi, L’alternativa (associazione forense brindisina) Brindisi, 15/03/18 – 11/05/18.
www.ami-avvocati.it/wp-content/uploads/2018/03/manifesto-Brindisi.pdf
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Estero Advancing excellence in practice and policy: building resilience in changing times (Crescere nell’eccellenza nelle pratiche e nelle policy: costruire la resilienza in tempi che cambiano), XX. Conferenza nazionale della CWLA (Child welfare League of America), Washington d.c. 26-29 aprile 2018. www.cwla.org/wp-content/uploads/2017/11/2018_NatlConf_RegProg.pdf
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CHIESA CATTOLICA
Cinque anni di grazia e di libertà
Che cosa ricorderanno i nostri nipoti, tra 100 anni, di questi ultimi 5 anni di vita ecclesiale? A 50 anni dal Concilio Vaticano II, la elezione che il Conclave assumeva il 13 marzo 2013 riportava a Roma, con potenza e con profezia, lo spirito del Concilio. Fin dalle prime parole, e con una coerenza sorprendente lungo questi 5 anni, papa Francesco ha riacceso speranze, liberato energie, riscattato storie, superato blocchi, riaperto dialoghi, spiazzato inerzie di comodo e riscoperto primati dimenticati.
I primi bilanci di questo lustro sono inevitabilmente differenziati. Le considerazioni politiche o ecclesiali, etiche o strutturali, giuridiche o spettacolari cercano e trovano cose necessariamente diverse. Una parola forte deve essere detta a proposito della “teologia di Francesco”: le tre “i” con cui un anno fa si era rivolto agli Scrittori della Civiltà Cattolica suonano da allora come la cifra di una forza e di una originalità grande: inquietudine, incompletezza e immaginazione sono diventate “normative” per fare teologia cattolica. Anche in questo passaggio si può notare, con meraviglia e con scandalo, la nuova centralità di una periferia spesso emarginata e trascurata. E, di conseguenza, vediamo anche il farsi periferico e marginale di antiche e radicate pretese di centralità. Che un papa qualifichi come necessariamente “inquieta” “incompleta” e “piena di immaginazione” una teologia veramente cattolica è un evento di “ripresa” e di “rilancio” del Vaticano II che tra un secolo farà ancora parlare di sé. Ma, ovviamente, molto dipenderà da quanto, nel prossimo lustro, si potrà e di vorrà continuare lungo questa strada, che non è né larga né in discesa. Su questa via non è atteso anzitutto Francesco, ma la Chiesa che da lui si lascia servire, per ritrovare, essa in prima persona, quella salutare inquietudine, quel sano senso di incompletezza e quella profetica immaginazione che sempre ha nutrito, lungo i secoli, le pagine più felici e i passi più coraggiosi della forma di vita cristiana e cattolica.
Andrea Grillo Blog Come se non” – 13 marzo 2018
http://www.cittadellaeditrice.com/munera/cinque-anni-di-grazia-e-di-liberta/
Cinque anni dopo. Un papato messianico
Lo scarto è finito, non c’è nessuno che non sia eletto da Dio. Contrappasso non è giustizia, la divina commedia è finita. Il Signore ritorna, la parola cammina, la sua voce risuona in molte voci, voce dei poveri voce di tutti, voce della Chiesa, le nostre voci. Raniero La Valle
Dopo cinque anni di papa Francesco, certamente si può confermare ciò che già apparve all’inizio del pontificato, e cioè che egli fosse venuto per riaprire, a una modernità che l’aveva chiusa, la questione di Dio. E infatti il ministero di papa Francesco è un ininterrotto annuncio del Dio del vangelo, un Dio inedito, un Dio che sorprende, un Dio non più “tremendum” ma solo “fascinans”. Però oggi dire questo non basta più. Ci vuole una sorta di “relectio de papa Francisco”, una rilettura che vada al di là dei due stereotipi in base a cui oggi si parla di lui: quello dell’esaltazione e quello della denigrazione: apologetica contro riprovazione. Mi pare invece che l’approccio giusto sia quello di una interpretazione: il pontificato di Francesco va interpretato perché nasconde un mistero. Come si parlò di un “mistero Roncalli”, “le mystère Roncalli”, alludendo al mistero o carisma del papa che aveva convocato il Concilio, così c’è un segreto di questo pontificato che va interrogato, che va svelato. E forse da questa interpretazione, anche dopo che esso sarà concluso, dipenderà il futuro della Chiesa.
C’è un’interpretazione diffusa di questo pontificato come di un pontificato profetico. E certamente è verissima, né è smentita dal fatto che esso sia contrastato, perché anzi è proprio della profezia essere combattuta. Però se fosse solo profetico, non ci sarebbe niente di veramente straordinario, perché la storia della Chiesa, sia sul versante della successione apostolica che sul versante della tradizione dei discepoli, è piena di profeti, papi compresi: basta pensare a Leone Magno che con la sua lettera a Flaviano dona alla Chiesa la fede di Calcedonia, o a Gregorio Magno che attraverso la figura di san Benedetto è il vero padre dell’Europa. Io però penso che si possa dare un’interpretazione ulteriore, come non solo di un pontificato profetico, ma di un pontificato messianico.
Messianico cioè, semplicemente, cristiano. Neanche questo di per sé sarebbe straordinario; perché messianico non è che l’altro nome del cristiano, Cristo non è che il greco di Messia, quindi “un papa messianico” è come dire “un cristiano sul trono di Pietro”, come si disse di papa Giovanni; ma siccome ci siamo dimenticati di questa identità messianica e il popolo cristiano ignora il greco, non è così ovvio, e un pontificato messianico appare effettivamente straordinario.
Ma di quale messianismo si tratta? Infatti non tutti i messianismi sono buoni, tanto che alcuni maestri talmudici hanno detto: “Se questo è il messia, non lo voglio vedere”.
C’è un messianismo apocalittico, come quello di Qumram o del IV libro di Esdra, che annuncia un mondo nuovo ma attraverso la catastrofe del mondo presente, e non si tratta certo di questo, anzi come dice padre Antonio Spadaro nel suo ultimo libro, questo pontificato è una “sfida all’Apocalisse”, e come abbiamo detto noi nell’assemblea di Chiesa di tutti Chiesa dei poveri, semmai è una forza frenante, che resiste, che trattiene la catastrofe, come il katécon messianico paolino.
C’è poi un messianismo utopico che si aspetta il realizzarsi delle promesse messianiche nella storia, ma soffre l’angoscia del loro non avverarsi, del loro ritardo; secondo lo storico e filosofo ebreo Gershom Scholem, ciò avrebbe fatto della vita ebraica una vita in condizioni di rinvio, una vita vissuta nel differimento, mentre secondo molti saggi dell’ebraismo, un attivismo messianico che cercasse di abbreviare questo ritardo si risolverebbe in tragedia.
Né l’apocalisse, né l’irrealtà dell’utopia. Il messianismo del pontificato di Francesco non assomiglia a nessuno di questi modelli. Non a quello apocalittico; semmai, come dice la biblista Rosanna Virgili, è escatologico, dove l’escatologia accende un’attesa in cui si apre lo spazio al presente.
Ma quello del pontificato di Francesco non assomiglia neanche al messianismo che, tutto proteso verso il futuro, vive, come dice Scholem, “in una situazione di irrealtà”; il significato messianico del pontificato di Francesco non sta nella logica del differimento. La sua vera patria è l’oggi di Dio, l’oggi biblico dell’ascolto della sua voce, come dice la lettera agli Ebrei (Eb. 3, 7), è un nunc, è il nun kairós paolino (Rm. 3,26; 8,18; 11,5), è il tempo presente investito dall’evento messianico, è l’irruzione del tempo di Dio nel tempo storico, nel tempo di ora. Non è il tempo che verrà, è il tempo che viene ed è questo, dice Gesù alla Samaritana. Sta qui, nella storia.
Però è un presente, un oggi che non è chiuso nella conservazione e nell’eterna ripetizione di se stesso, non è “un tempo omogeneo e vuoto”, come dice Walter Benjamin, ma è il tempo dove il nuovo accade e la storia avanza. Ma non si tratta di una crescita continua, di uno sviluppo costante e graduale dall’antico al moderno, al postmoderno, come lo pensa il progressismo; no, questo non è un papato migliorista. Esso infatti assume il tempo di ora, ma lo assume nel senso della discontinuità, una discontinuità che accade nel presente. C’è un cambiamento, pacifico, certo, ma vero, è una rivoluzione.
Restano allora da individuare alcuni momenti nodali, topici di questa discontinuità messianica, di questo cambiamento epocale (perché, come si dice, questa non è un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento d’epoca). Ne indicherei tre.
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Non scarti, non esuberi. Il primo è che si chiude l’età dello scarto. Cioè si chiude un intero ciclo della storia dell’Occidente, e non solo dell’Occidente, che si è fondato e si è svolto nel pensiero della diseguaglianza tra gli uomini. Se vogliamo assumere simbolicamente il nome che più rappresenta questo pensiero della diseguaglianza, che gli ha dato autorità e lo ha fatto diventare cultura diffusa, prenderei, e spero di non scandalizzare nessuno, il nome di Aristotile. Ancora nel 1500, al tempo della conquista delle Americhe, per dimostrare che gli Indi non erano veramente uomini, e che perciò gli Spagnoli avevano il diritto di assoggettarli, si ricorreva all’antropologia di Aristotile, per la quale vi sono uomini e collettività che non essendo per limiti innati dotati di ragione sufficiente, sono schiavi per natura, naturaliter servi. È la tesi che cita anche Francisco De Vitoria nella sua Relectio de Indis, per confutarla: ma intanto gli Indios erano stati assoggettati come incapaci di essere liberi e padroni di se stessi, e questo pensiero della diseguaglianza arriverà fino ad Hegel, a Croce, a De Gobineau e ai razzismi del Novecento europeo.
Ma alla teoria dell’inevitabile diversità di destino tra sommersi e salvati hanno dato spago anche le culture castali dell’Oriente e, da noi, le teologie dell’elezione, della predestinazione, della natura non risanata dalla grazia, dell’“extra Ecclesiam nulla salus”, che sono le teologie di un privilegio. Il diritto aveva provato ad affermare che non c’è e non ci può essere un’umanità di scarto, ma basta vedere che fine fanno nel Mediterraneo gli scartati in nome del diritto, in nome della legge per la quale i perseguitati dalla fame, a differenza dei perseguitati dai signori del potere e della guerra, non hanno diritto di passare, per l’Europa non hanno diritto di esistere.
La discontinuità messianica di papa Francesco sta in questo, che oggi, e non domani, nessuno deve essere scartato, nessuno deve essere escluso, non ci sono tante umanità quanti sono gli Stati, le lingue, le religioni, c’è una sola ed unica umanità, ed è Dio stesso che se ne fa garante, perché si è fatto umanità nel Figlio, si è rivestito dell’umanità come di una tunica che in nessun modo può essere lacerata e spartita. È in questo scatto, in questa discontinuità messianica che si colloca il paradosso di una teologia missionaria che respinge il proselitismo, di un papa che “sta in Roma ma sa che gli Indi sono sue membra”, come già aveva ricordato il Concilio citando san Giovanni Crisostomo, e quindi considera una sciocchezza l’annetterseli, perché già sono nell’unità di Dio.
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Non il contrappasso come giustizia. Il secondo punto cruciale di questo messianismo è l’uscita dall’ideologia del contrappasso. Il contrappasso è la giustizia della pesata uguale, come la chiamava Isacco di Ninive: tu hai fatto una cosa a me, io faccio una cosa a te. È la legge del taglione, occhio per occhio dente per dente. È la bilancia della giustizia che su un piatto mette il delitto, sull’altro la vendetta; una vendetta che poi, certo, l’incivilimento vuole non più privata, ma pubblica, ma a cui i privati non rinunciano e che continuano a pretendere, per loro soddisfazione, proprio dallo Stato. Quando dicono che “vogliono giustizia”, significa che vogliono vendetta. Anche Dio è incluso in questo girone infernale. Se non condanna non è giusto. Se lo si risarcisce, se lo si soddisfa, se gli si offre riparazione, sacrificio, allora può perdonare. Se vogliamo assumere il nome che più rappresenta questo pensiero, che gli ha dato autorità e lo ha fatto diventare cultura diffusa (e, di nuovo, non vorrei scandalizzare nessuno), prenderei il nome di Dante. L’Occidente non ha bisogno del catechismo, basta la Divina Commedia. L’immaginario è quello, inferno purgatorio e paradiso, contrappasso e stridor di denti.
Il pontificato messianico sta in questo, che annuncia la misericordia, come il tutto di Dio. Non è l’alchimia della retribuzione, non c’è un do ut des divino. La divina commedia è finita. Dio è il padre che non solo ti aspetta, ma accorcia il tempo dell’attesa, cancella il differimento, arriva per primo, “primerea”, come dice il papa con il suo neologismo argentino. E così devono fare gli uomini, secondo il vangelo: settanta volte sette, cioè sempre. Rimandare questo a domani è l’apocalisse, farlo oggi è messianismo.
C’è una miriade di detti di papa Francesco che si potrebbero citare a questo proposito. Ne citerò solo uno, rivolto il 4 gennaio 2018 scorso a un gruppo di ragazzi romeni ospiti di un orfanotrofio. Un ragazzo gli aveva raccontato che di uno di loro, che era morto l’anno scorso, un prete ortodosso (perché i romeni sono ortodossi) aveva detto che era morto peccatore e per questo non sarebbe andato in paradiso. E il papa ha risposto: “Forse quel prete non sapeva quello che diceva, forse quel giorno quel prete non stava bene, aveva qualcosa nel cuore che l’aveva fatto rispondere così. Ti dico una cosa che forse ti stupisce: neppure di Giuda possiamo dirlo”. E ha aggiunto: “Io ti dico che Dio vuole portarci tutti in paradiso, nessuno escluso. Dio non se ne sta seduto, lui va, come ci fa vedere il vangelo, è sempre in cammino per trovare quella pecorella, e anche se siamo sporchi di peccati, se siamo abbandonati da tutto e dalla vita, lui ci abbraccia e ci bacia. Sono sicuro che questo è ciò che il Signore ha fatto con il vostro amico”.
La discontinuità messianica è tra ciò che quel prete aveva nel cuore, in base alla teologia che gli era stata insegnata, e la buona notizia che Francesco ha dato ai ragazzi, e che sta dando al mondo, che il Signore non lascia indietro nessuno. Se si pensa all’angoscia di Lutero riguardo alla salvezza e se si pensa alle prime quattro tesi di Wittenberg, secondo le quali tutta la vita dei fedeli deve essere un sacro pentimento, vissuto nella mortificazione della carne fino all’ingresso nel regno dei cieli, si vede che la vera Riforma è questa. La “sola misericordia” è la vera risposta alla “sola fide”, la trascende; è per questo che, 500 anni dopo, l’ecumenismo si può ora realizzare.
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Il Signore ritorna, continua a parlare. La terza discontinuità messianica sta nell’annuncio che Gesù veramente ritorna, e ritorna oggi. Il cuore del messianismo cristiano sta nella fiducia che il Signore torni. I cristiani aspettano il ritorno di Gesù. Ma egli non può tornare se tutto è già scritto, se la rivelazione è chiusa, e tutto quello che c’è da fare è di portare a buon fine ciò che la Tradizione ci ha già consegnato. C’è stato anche il buon lavoro fatto dall’esegesi, che al di là del Cristo della fede ha ritrovato il Gesù storico, ma proprio in quanto storico quel Gesù è definitivo. Se vogliamo assumere il nome che più rappresenta questo pensiero dell’impossibile ritorno di Gesù, prenderei quello del Grande Inquisitore di Dostoevskij, che dice a Gesù, tornato a Siviglia, di non venire a disturbare il loro lavoro.
Il messianismo di questo pontificato sta nel mostrare che Gesù continua a parlare, non solo spiegando meglio e facendoci capire meglio le cose già dette, ma proprio dicendo cose nuove, inedite, che erano sconosciute anche a lui. Il papa sa che nel Vangelo non tutto è stato scritto, perché anzi, come dice Giovanni alla fine, se fossero scritte tutte le cose compiute da Gesù, “il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere”; e ci sono cose che Pietro non ha capito nemmeno quando aveva Gesù ai suoi piedi che glieli lavava, e che capirà solo dopo, non l’indomani, perché anzi l’indomani lo tradirà, ma nei secoli futuri; per esempio Pietro ha capito solo adesso che la pena di morte non ci deve stare nel Catechismo, e ha detto ai suoi di toglierla, perché “è necessario … che la Chiesa possa esprimere le novità del Vangelo di Cristo che, pur racchiuse nella Parola di Dio, non sono ancora venute alla luce; questa Parola non può essere conservata in naftalina”: Gesù di Nazaret cammina con noi, lo Spirito Santo non si può legare e Dio non cessa di parlare alla Chiesa (discorso dell’11 ottobre 2017). Questo dice il papa: la rivelazione infatti non è chiusa e la notizia migliore è quella che oggi ancora non fa notizia, non si può dare, non ci può essere nei Telegiornali, perché è una notizia che ancora non c’è. E allora Gesù può tornare. Ma non per essere licenziato di nuovo con un bacio, come quello esangue del Grande Inquisitore, ma per essere accolto e fatto parlare e ascoltato, certo, attraverso le voci degli angeli che lo acclamano ma anche attraverso le voci della sterminata moltitudine di uomini, di donne, di poveri che lui ama e che sono, dopo di lui, i secondogeniti di Dio sulla terra, di noi che siamo i secondogeniti del Padre. Le loro voci, le nostre voci. Come disse papa Giovanni la sera dell’apertura del Concilio, affacciandosi alla finestra di piazza san Pietro nel buio illuminato dalle fiaccole: “Sento le vostre voci”, ascolto le vostre voci….
Raniero La Valle Intervento alla Federazione Nazionale della Stampa 2 marzo 2018
http://www.noisiamochiesa.org/raniero-la-valle-francesco-un-cristiano-sul-trono-di-pietro-a-cinque-anni-dal-conclave-che-ha-eletto-bergoglio
Da cinque anni papa Francesco cerca di avviare un nuovo corso nella Chiesa.
Le riflessioni di “Noi Siamo Chiesa”.
Dall’inizio del suo pontificato papa Francesco ha modificato le priorità dei papi precedenti. L’analisi della realtà viene prima dell’affermazione della verità che con essa deve confrontarsi non usando risposte valide sempre e dovunque. Ciò ha significato un approccio al vissuto, alle sofferenze, ai peccati e alle gioie del credente e di ogni uomo di buona volontà fondato su una diretta e profonda empatia e su un messaggio di speranza e di misericordia. Il Vangelo prima del diritto canonico e il Concilio Vaticano II che oscura definitivamente il Concilio di Trento diventano le linee guida di papa Francesco.
Nella Chiesa egli è consapevole che la sinodalità debba essere praticata. Sullo scenario internazionale, predicando la pace fondata sulla giustizia e la nonviolenza come strumento permanente per affrontare i conflitti, egli è diventato il maggior leader morale del mondo. Le sue analisi sulla rivoluzione culturale necessaria per affrontare il neoliberalismo responsabile delle profonde disuguaglianze e sulla violenza che subisce la Natura sono i capisaldi di un nuovo corso che è espressione delle periferie del mondo, di cui Francesco si fa portavoce.
Di fronte alla difficile condizione dell’umanità di questo inizio del millennio Francesco ha fatto uscire dall’immobilismo i rapporti tra le Chiese cristiane e ha dialogato positivamente con ogni fede, in particolare affermando con forza l’incompatibilità tra la violenza e le religioni.
Per quanto riguarda la riforma della Chiesa l’azione di papa Francesco sta incontrando grandi resistenze, esplicite o nascoste. Il documento allegato mette a confronto i punti dell’appello dal Popolo di Dio del 1996 (documento fondativo del movimento «We Are Church» di cui «Noi Siamo Chiesa» fa parte) con la situazione. La Curia viene riorganizzata ma il suo decentramento è frenato, il cosiddetto C9 dei Cardinali si dimostra essere un organo troppo espressione del sistema ecclesiastico, il contrasto ai poteri economici interni alla Chiesa e alla sua stessa ricchezza procede ma con grandi difficoltà, una Chiesa povera e dei poveri è ancora molto lontana, la pedofilia viene combattuta ma questo cancro è troppo profondo, sulla condizione degli omosessuali nella Chiesa i passi in avanti sono solo relativi al fatto che l’argomento è ormai all’ordine del giorno, i divorziati risposati hanno trovato un inizio di vera accoglienza nella chiesa dopo i due sinodi, l’attitudine di papa Francesco nei riguardi del cattolicesimo critico è troppo guardinga.
Infine il testo di NSC fa un breve excursus sulla situazione della Chiesa italiana in relazione al nuovo corso di papa Francesco. Il consenso dell’opinione cattolica di base è ben noto ma molti Vescovi sono diffidenti, altri invece lo condividono. In generale si può dire che la guida dell’episcopato è in una fase di transizione, non si vede ancora una svolta. Papa Francesco sta dando un contributo importante al rinnovamento. Il suo evangelico discorso al mediocre incontro nazionale della Chiesa italiana del 2015 e le visite prima a Bozzolo e a Barbiana e prossimamente a Molfetta e a Nomadelfia stanno indicando la strada con gesti molto significativi.
«Noi Siamo Chiesa» e il movimento internazionale «We Are Church» condividono il nuovo corso di papa Francesco, pregano per lui e continuano nel loro impegno per la riforma della Chiesa secondo le indicazioni e lo spirito del Concilio.
Noi Siamo Chiesa Comunicato stampa 10 marzo 2018
allegato
www.noisiamochiesa.org/i-cinque-anni-di-papa-francesco-noi-siamo-chiesa-appoggia-il-nuovo-corso-ma-continua-il-suo-impegno-contro-le-troppe-resistenze-che-vi-si-oppongono
allegato passim estratti
Da cinque anni Papa Francesco cerca di avviare un nuovo corso nella Chiesa.
La riflessione sui cinque anni del pontificato di Francesco ci può aiutare a capire dove eravamo, dove siamo e dove vorremmo andare nel nostro percorso che vuole essere evangelico e che si impegna perché la riforma della nostra Chiesa continui nella direzione dell’Appello dal Popolo di Dio del 1996. Un decennio dopo la conclusione del Concilio la guida della Chiesa si è irrigidita su linee direttrici che abbiamo giudicato insufficienti o addirittura sbagliate nella nostra azione dal basso per il cambiamento. Esse avevano come priorità soprattutto quelle della disciplina, della dottrina, di una morale unidirezionale (quella relativa alla sessualità), della semplice e immobile conservazione del deposito della fede, del difensivo contrasto al «relativismo» dopo la fine della cristianità, della gerarchia troppo definita dal nuovo Codice di diritto canonico e dalla autorità semplificatoria del nuovo Catechismo, del controllo pedante e rigoroso sulla ricerca teologica, infine di una collocazione troppo «occidentale» e specificatamente europea sul grande scenario della geopolitica nel mondo. A fronte di tutto ciò il messaggio dell’Evangelo ha tuttavia in modo permanente ispirato fermenti, mobilitazioni, testimonianze, riflessioni che hanno costituito la vera ricchezza della Chiesa. E’ nata la teologia della liberazione mentre è decaduta l’ipotesi, diffusa nel secolo scorso, della riduzione o scomparsa della religione come diretta conseguenza della crescita della modernità in tutte le sue manifestazioni, comprese quelle di ispirazione marxista.
Le priorità di papa Francesco. Papa Francesco, arrivato a guidare la Chiesa sull’onda della crisi nella gestione della Curia vaticana oltre che della diffusa consapevolezza della necessità di una nuova ricerca su come evangelizzare, ha capovolto le priorità di prima. I problemi dell’umanità, le sofferenze, quelle materiali come quelle spirituali, le periferie dovevano diventare le vere questioni per la Chiesa per trovare risposte comprensibili e credibili a domande di fondo sul senso della fede e sulla sua pratica nella vita del singolo credente e della comunità dei credenti. Per fare ciò l’analisi della realtà veniva prima dell’affermazione della verità che con essa doveva confrontarsi non usando risposte valide sempre e dovunque. Nella sua recente biografia intellettuale di Bergoglio, Massimo Borghesi così sintetizza il suo pensiero: «‘La realtà è superiore all’idea’ e ciò significa rifiuto di ogni ideologismo astratto, della riduzione gnostica che svuota il ‘Verbum caro’, di ogni estetismo-eticismo-formalismo, che dissociando il bello-bene-vero dalla loro esistenza reale rendono impossibile la testimonianza cristiana”. Così papa Francesco ha «scoperto» (nel senso di scoperchiato) il Vangelo, quello della libertà, quello che si occupa della «vedova e dell’orfano» e del samaritano, il Vangelo che non accetta i tanti «sabati» accumulatisi nel sistema ecclesiastico, il Vangelo della misericordia, il Vangelo del primato della coscienza. Questo approccio ha fatto coincidere, in modo immediato e naturale, il suo magistero con quello del Concilio Vaticano II che era stato coperto dalla polvere. Anzi papa Francesco, trascinato dalla realtà, è stato costretto a riferirsi a quello che noi chiamiamo lo «spirito del Concilio» che, andando oltre il Concilio, permette di affrontare situazioni nuove nella Chiesa e nel mondo e di proporre una «Chiesa in uscita». In tal modo è la stessa immagine di Dio che viene presentata in modo diverso, non quella del giudice che include ed esclude e che indica una strada sempre obbligata ma quella dell’accoglienza, del perdono e della misericordia alla quale è stato dedicato un anno intero di riflessione e di preghiera. Questa lettura diversa del credente di fronte al mondo e della Chiesa di fronte al problema dell’evangelizzazione ha portato, in modo quasi naturale, papa Francesco ad affrontare il suo compito di guida della Chiesa in modo ben diverso da prima e, in alcuni casi, in modo addirittura capovolto.
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Nella Chiesa (…)
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Nel mondo (…)
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Nell’universo cristiano (…)
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Papa Francesco e la gestione centrale della Chiesa (…)
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IOR e beni della Chiesa, pedofilia del clero, divorziati risposati, omosessuali, area critica nella Chiesa
Per quanto riguarda la pastorale della famiglia, ci pare importante che Francesco non la ponga più come asse principale o pressoché unico della morale cattolica. L’Amoris Lætitia ha un respiro inconsueto e positivo. Sull’ammissione all’Eucaristia delle persone divorziate e risposate Francesco con due sinodi è riuscito faticosamente ad aprire al discernimento delle situazioni caso per caso. Il testo papale ha compiuto certamente un passo in avanti che rimane però in contraddizione col magistero precedente, dal Concilio di Trento a papa Wojtyla, offrendo in tal modo argomenti a quanti, appellandosi alla tradizione, si oppongono a questo nuovo orientamento.
Per quanto riguarda la pastorale nei confronti degli omosessuali e il giudizio sulla loro condizione papa Francesco non è riuscito, come probabilmente era nei suoi intendimenti, ad ottenere granché. Però il problema è posto mentre solo dieci anni fa questa questione era ostracizzata anche nella base del mondo cattolico.
La questione dei preti pedofili e delle coperture ad essi concesse dai vescovi un po’ dovunque è un altro dei grandi problemi. Papa Francesco ha indubbiamente agito con determinazione, a parte l’incomprensibile recente infortunio relativo al caso Barros della diocesi di Osorno in Cile a cui egli sta però cercando una soluzione dalle caratteristiche autocritiche. Il fenomeno è talmente grave e diffuso che per Francesco esso sta diventando, più di altri, un segno indicatore se e di quanto lo Spirito sia veramente alle spalle del suo pontificato. (…)
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Francesco e la Chiesa italiana. Papa Francesco ha dimostrato dall’inizio una conoscenza dei problemi della Chiesa italiana che non può che essere la conseguenza delle informazioni di ottimi collaboratori. La sua partecipazione è stata generosa per visite e contatti e nell’immediata decisione di proporre ai vescovi di eleggersi il loro presidente. Si è stabilito così un rapporto particolare con una buona parte della base cattolica che è di tipo trasversale, senza differenze di orientamento culturale o politico. A quanto si capisce l’opinione diffusa dei vescovi ha invece molte sorde riserve nei confronti del pontificato, è l’eredità di un personale ecclesiastico selezionato per lunghi anni a senso unico. Il ruolo principale che Francesco sta avendo è relativo alla nomina dei vescovi. Sono ormai molti quelli di nomina recente, alcuni eccellenti per sensibilità pastorale. Quindi le possibilità di un cambiamento ci sono, forse anche a breve; il nuovo Presidente della CEI Gualtiero Bassetti ci sembra sia un passo in avanti rispetto a quelli che l’hanno preceduto. La continuità, con la conferma di Bagnasco fino a un anno fa alla presidenza dei vescovi, è stato un fatto che non abbiamo condiviso così come si è rivelato non all’altezza delle speranze suscitate per il rinnovamento interno Mons. Galantino alla segreteria della CEI. Il nuovo corso di papa Francesco non circola ancora nella gestione della Conferenza Episcopale, forse siamo in una fase di transizione. La questione della Chiesa povera non è all’ordine del giorno, la denuncia del razzismo è debole, quella contro i poteri criminali è lasciata a importanti iniziative di singoli o di organizzazioni, il problema delle migrazioni è affrontato in modo attivo solo da diverse situazioni importanti. La Evangelii Gaudium e la Laudato sì ci sembra siano ben poco all’attenzione della strutture di base (parrocchie, associazioni…) Mancano su tutte le questioni poste da queste due encicliche delle campagne di sensibilizzazione che invece sono state fatte contro le unioni civili e contro la legge sul fine vita. L’assenza di protagonismo in politica, di per sé positivo se confrontato con l’era di Ruini, non è compensato da interventi sui problemi (come invece ha cominciato a fare, dopo anni di ubbidienza rigorosa, l’Avvenire su temi specifici, gioco d’azzardo, prostituzione, pace, migranti…). L’intervento più importante di papa Francesco è stato all’assemblea della Chiesa italiana a Firenze nel novembre del 2015. Egli vi disse: «non bisogna credere troppo nelle strutture, nelle proprie certezze, bisogna avere capacità di incontro e di dialogo”, “i cambiamenti sono sfide, non ostacoli”, “mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti” e via di questo passo sul potere, sul denaro ecc.. Questo messaggio è stato, con passione evangelica di alto livello, in contraddizione col sistema ecclesiastico e con le campagne gestite dalla Cei per lunghi anni. Le recenti visite alle tombe di don Mazzolari e di don Milani e quelle prossime a quelle di don Tonino Bello a Molfetta e di don Zeno a Nomadelfia sono un’indicazione esplicita delle ricchezze presenti nella Chiesa che sono state ignorate od addirittura emarginate per decenni. In questo modo papa Francesco colloca il suo pontificato dalla parte più evangelica del cattolicesimo italiano.
I sei punti dell’Appello dal Popolo di Dio. Per «Noi Siamo Chiesa» è importante, dopo i cinque anni del nuovo corso di papa Francesco, esaminare singolarmente a che punto sono le proposte dell’Appello dal Popolo di Dio del 1995, che è il documento ispiratore del movimento Internazionale We Are Church, di cui Noi Siamo Chiesa fa parte. Esse sono state ignorate e praticamente disattese per tanti anni ma ora la situazione è in movimento. Le forme di partecipazione dei battezzati alla vita della Chiesa, auspicate nel primo punto, potrebbero essere avviate. Non c’è più una posizione di sospetto o di contrarietà. Il Popolo di Dio della Lumen Gentium potrebbe divenire progressivamente protagonista nella direzione di una sinodalità che coinvolga sia la base che i vertici.
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Sulla nomina dei vescovi, che non dovrebbe essere decisa in modo assolutamente incontrollato dai nunzi e dal Vaticano, nessun passo in avanti è stato fatto. Però la selezione in negativo che è stata per decenni fondata sull’ortodossia dottrinale e sull’ubbidienza alla gerarchia è ora cambiata e le doti di sensibilità pastorale pare siano giustamente considerate.
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Al secondo punto il superamento della rigida distinzione tra «laici» e «chierici» è ancora tutta sulla carta, la partecipazione della donna ai ministeri ha visto solo l’istituzione di una Commissione di studio sul possibile diaconato. E’ veramente troppo poco. L’opinione favorevole all’apertura alla donna sta crescendo nella Chiesa e non potrà essere disattesa per tempi indefiniti. Sullo sfondo del riconoscimento pieno della presenza femminile sta la questione stessa di come i ministeri e i servizi (diakonia) siano presenti nella predicazione di Gesù e nella cristianità dei primi secoli.
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Al terzo punto la possibilità di celebrare l’Eucaristia in modi diversi non è stata considerata, ma essa viene praticata talvolta in situazioni locali per superare la rigidità dell’attuale liturgia sempre uguale dovunque nell’universo cattolico. La questione del celibato facoltativo dei preti di rito latino trova una sola possibile ma importante apertura nella prossima auspicata decisione sui «viri probati» al sinodo dell’Amazzonia nel novembre dell’anno prossimo.
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Per il quarto punto la questione dei divorziati risposati sta trovando, come abbiamo detto, una soluzione nella linea che ci aspettavamo mentre non viene presa in alcuna considerazione la riammissione al ministero dei preti sposati che lo chiedano.
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Sul quinto punto bisogna riconoscere l’apertura alla discussione sulla posizione degli omosessuali ma non molto di più. Nel rapporto di coppia viene riconosciuta la responsabilità personale ma le prescrizioni della Humanæ Vitæ rimangono in vigore. Papa Francesco non ha avuto fino ad ora sufficiente determinazione per prendere atto che questa enciclica non è stata recepita dal popolo cristiano ed è di fatto decaduta. Auspichiamo che ciò avvenga nel prossimo luglio a 50 anni dalla sua emanazione. Oppure questa scadenza potrebbe essere completamente dimenticata trascinando in tal modo con sé l’enciclica e i suoi divieti in modo che essa non sia più insegnata nei seminari e nelle facoltà teologiche.
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Il sesto punto che auspica una chiesa impegnata e credibile nell’azione «per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato» per quanto riguarda questo pontificato ci sembra che sia stato accolto.
Il nuovo corso deve diventare irreversibile. Il contrasto al magistero di papa Francesco, forte e diffuso, ha tante caratteristiche. Da una parte c’è quello esagitato dei siti Internet e dei social network privo di dignità ed isterico, dall’altra quello esplicito e argomentato che si appella alla tradizione e ai «valori», che chiede una forte presenza della Chiesa nello spazio pubblico e via di questo passo. Il contrasto più preoccupante è quello passivo, sordo, che aspetta che questa stagione ecclesiale passi. Esso è diffuso benché la sensibilità del popolo cristiano, sia di quello più secolarizzato che di quello più tradizionalista, partecipi del nuovo corso. Pensiamo, speriamo che questo consenso continui e che crei le premesse perché esso sia irreversibile. Con i suoi limiti l’impegno di «Noi Siamo Chiesa» va in questa direzione. Speriamo che lo Spirito contribuisca, con papa Francesco e con un nuovo protagonismo del popolo dei credenti, con le altre chiese e le altre religioni a una spiritualità che guidi il mondo sulle strade della pace fondata sulla giustizia e che si realizzino così la famosa esortazione e la famosa profezia di Isaia (1,16 e 2,4) «cessate di fare il male, imparate a fare il bene» e «spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro falci faranno lance, una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra».
Noi Siamo Chiesa Roma, 10 marzo 2018 www.noisiamochiesa.org/chi-siamo
Il Centro italiano femminile e la nuova presidente: Renata Natili Micheli
La prof. Renata Natili Micheli è stata eletta il 27 febbraio 2018 presidente del Centro Italiano Femminile (CIF) Prof.ssa, una organizzazione storica delle donne cattoliche.
Il Centro Italiano Femminile coordina 13 consultori familiari.
Prof.ssa, una organizzazione storica delle donne cattoliche italiane. Le abbiamo rivolto alcune domande.
Qual è la sua valutazione generale della situazione sociale dell’Italia in questa fase e delle donne in particolare?
È un momento non facile per il Paese. Stanno saltando le intermediazioni tra opinione pubblica e istituzioni; è in seria difficoltà il legame che connette, come dovrebbe essere, potere costituente e potere costituito, cioè l’insieme degli organismi rappresentativi che sono il volto concreto della democrazia, aldilà delle procedure e dei meccanismi. Si parla di società liquida, ma forse sarebbe meglio “racchiudere” il modo di vivere oggi in altre parole, più chiare: ciascuno tende a fare parte per sé solo, come direbbe Dante, a farsi cioè società e società a sé: quella del privato che ritiene di essere il centro del mondo. Non basta. Il sistema di protezione sociale del nostro Paese è, tra quelli europei, uno dei meno efficaci: la crescita del rischio di povertà per i giovani è aumentata in percentuali di due cifre ed è da ricondursi innanzitutto al generale e progressivo peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro. La maggiore o minore spesa da parte dei Comuni si traduce in maggiore o minore possibilità di accesso ai servizi territoriali, come gli asili nido e l’assistenza domiciliare. I contributi economici e le numerose opportunità di integrazione, conciliazione famiglia-lavoro, miglioramento della qualità della vita che sono offerte ai cittadini dai Comuni virtuosi, spesso situati al Centro-nord, mancano quasi completamente in vaste aree del Sud. Per la prima volta nel nostro Paese i figli stanno peggio dei padri. Nel quadro tratteggiato, le violenze sulle donne appalesano il divario tra enunciazioni di principio e inefficacia nella tutela dei diritti umani, svelandone l’origine sessuata. La maggiore difficoltà per le donne riguarda anche l’acquisizione di livelli di reddito medio e medio-basso, confermando l’ipotesi di un soffitto di cristallo che costringe la maggior parte delle occupate al di sotto dei livelli più alti di guadagno. Il modello attuale, ed è certo non consolante, mostra che il soffitto di cristallo è anche inclinato, nel senso che comincia a limitare le possibilità di crescita di guadagno per le occupate già a partire da livelli di reddito non troppo elevati e diventa via via più rilevante se si considerano redditi più alti. Allora che fare? Per poter uscire dalle risposte facili che ci indurrebbero ad auspicare una nuova fase di ribellione – o di ribellismo-, dobbiamo ricentrare la nostra attenzione sulla soggettività politica delle donne, che dovrebbe riguardare un’azione condivisa a realizzare concretamente la dichiarazione contenuta nell’art 3 della costituzione. Si deve a Teresa Mattei l’introduzione nella stessa del riferimento alle “situazioni di fatto” che rendono diverso per ogni soggetto il cammino verso condizioni effettive di parità. Teresa Mattei, in un vibrante intervento del 18 marzo 1947, sottolineava con ardore e passione che «in una società che da lungo tempo ormai ha imposto alla donna la parità dei doveri, che non le ha risparmiato nessuna durezza nella lotta per il pane, nella lotta per la vita e per il lavoro, in una società che ha fatto conoscere alla donna pesi di responsabilità e di sofferenza prima riservati normalmente solo all’uomo (…), salutiamo finalmente come un riconoscimento meritato e giusto l’affermazione della completa parità dei nostri diritti”. [….] vogliamo semplicemente che esse abbiano la possibilità di espandere tutte le loro forze, tutte le loro energie, tutta la loro volontà di bene nella ricostruzione democratica del nostro Paese. Per ciò riteniamo che il concetto informatore della lotta che abbiamo condotta per raggiungere la parità dei diritti, debba stare a base della nostra nuova Costituzione, rafforzarla, darle un orientamento sempre più sicuro. [….] Per questa ragione io torno a proporre che sia migliorata la forma del secondo comma nel seguente modo: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che limitano “di fatto” – noi vogliamo che sia aggiunto – la libertà e l’eguaglianza degli individui e impediscono il completo sviluppo della persona umana”. Voi direte questo è un pleonasmo. Noi però riteniamo che occorra specificare “di fatto”».
Che futuro e che ruolo vede per il CIF in questo contesto?
L’associazione Cif, insieme ed accanto agli altri soggetti collettivi presenti nel Paese, nati a ridosso della fine del II conflitto mondiale, ma già operanti in pieno regime fascista sebbene nelle condizioni possibili, fin dal principio ha ritagliato il proprio ambito e ruolo operativo dentro i principi democratici della nostra Costituzione: quelli di solidarietà e di sussidiarietà. Ricordiamo che due delle 21 donne costituenti (cioè Maria De Unterrichter Jervolino e Maria Federici) sono state fondatrici e prime presidenti della nostra Associazione. Ancora. Il Cif è parte di quell’associazionismo cattolico che, nel dopoguerra, facendo proprio l’appello di Pio XII (Res tua agitur) e muovendosi sul doppio registro della ispirazione cattolica e di quella democratica, scelse la donna quale soggetto politico perché i principi costituzionali e cristiani di libertà e uguaglianza trovassero storia nella storia del nostro Paese.
Quale la valutazione dell’operato di Papa Francesco?
Il magistero di Papa Francesco è una benedizione “per i vicini e per i lontani”. Ha aperto una nuova fase nella storia della Chiesa che, uscendo dalla fissità della definizione di societas perfecta, ha imboccato, senza esitazione, la strada aperta dal Concilio Vaticano II: fiducia nei confronti dei laici (Apostolicam Actuositatem) e fiducia nel mondo e negli uomini (Gaudium et Spes), questo sotto lo sguardo paterno-materno di Dio che ha “viscere di misericordia”. Non più esclusi e lontani, ma tutti cari al cuore di Dio e presenti al suo sguardo. Quale migliore attesa per la realizzazione dell’ecumenismo e della esortazione “Ut unum cor et animam fecerat multitudinis credentium in Deo”.
Per quanto riguarda il rapporto con la Chiesa, cosa pensa del ruolo delle donne nel sacerdozio, nel diaconato e nella predicazione? Come vede possibile la parola delle donne sull’altare?
La questione della partecipazione delle donne al ministero della Chiesa presuppone l’evidenza di un fatto: non si è mai trattato per le donne di rivestire funzioni propriamente sacerdotali – non vediamo mai una donna offrire il sacrificio eucaristico, conferire una ordinazione, predicare in chiesa; dall’altra, tutta la storia del cristianesimo, in particolare quella dei primi secoli, mostra una cospicua partecipazione delle donne alla missione, al culto, all’insegnamento (J. Daniélou). Papa Francesco ha riaperto la discussione sul diaconato femminile nel memorabile incontro del 13 maggio 2016 con le superiore generali. Le sue parole: «Non c’è alcun problema che una donna – una religiosa o una laica – faccia la predica in una liturgia della Parola. Non c’è problema. Ma nella celebrazione eucaristica c’è un problema liturgico-dogmatico […]. Qui c’è un altro mistero. È il mistero di Cristo presente, e il sacerdote o il vescovo che celebrano ‘in persona Christi’». Nella questione, squisitamente teologica, occorre tenere presente sia il Codice di Diritto Canonico (canone 767 §), sia l’Istruzione interdicasteriale del 1997, che l’istruzione “Redemptionis sacramentum” del 2004 come il “Direttorio omiletico” emanato nel 2014 dallo stesso papa Francesco. A questo proposito ricordo, condividendole, le parole del monaco laico, fondatore della Comunità monastica di Bose, Enzo Bianchi che, in un articolo dell’Osservatore Romano scrive: «Gesù ha predicato nelle sinagoghe di Nazareth e di altre città senza essere né un sacerdote né un rabbino ordinato, ma lo ha fatto per carisma profetico e perché incaricato dai capi delle diverse sinagoghe. E non dimentichiamo neppure che, quando un vescovo voleva impedire al laico Origene di predicare, gli altri vescovi replicarono: «Dove c’è qualcuno capace di essere veramente utile ai fratelli nella predicazione, sia dai vescovi chiamato a predicare al popolo» (Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica vi, 19, 18). Ce n’è ad abundantiam nella tradizione e nella storia della Chiesa per aprire il cuore alla fiducia».
Intervista a cura di Tiziana Bartolini noidonne 12 marzo 2017
www.noidonne.org/articoli/il-centro-italiano-femminile-e-la-nuova-presidente-renata-natili-micheli.php
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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI
Rapporto della Commissione
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Report: I bambini e le coppie nell’adozione internazionale “Report sui fascicoli del mese di Febbraio 2018” www.commissioneadozioni.it/media/156100/reportcaifebbraio2018.pdf
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Missione in Vietnam e Cambogia La scorsa settimana si è svolta la missione della Cai in Vietnam e Cambogia.
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Il giorno 7 marzo 2018 nel corso della mattinata la vicepresidente Laura Laera ha incontrato ad Hanoi, presso il Ministero della Giustizia, Nguyen Thi Hao, direttrice generale del Dipartimento di adozione. L’incontro è avvenuto alla presenza dell’Ambasciatrice Cecilia Piccioni, del Ministro plenipotenziario Gianni Bardini e del Segretario di Legazione Nicolò Costantini. Nel corso della visita sono stati affrontati diversi temi e si è potuto ricreare un clima di serena e proficua collaborazione che si era in precedenza interrotto.
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Il giorno 9 marzo 2018 la vicepresidente Laura Laera, accompagnata dal Ministro Plenipotenziario Gianni Bardini, ha incontrato a Phnom Penh presso il Ministero degli Affari Sociali Il Sottosegretario di Stato Sourng Menglong e la Direttrice Lev Sopheavy. Anche in questa occasione si è potuto riaprire un positivo canale di comunicazione abbandonato da alcuni anni, dopo la firma dell’accordo bilaterale del 17 settembre 2014 a cui la parte italiana non aveva dato esecuzione.
Comunicato stampa 15 marzo 2018 www.commissioneadozioni.it/it/notizie.aspx?UID=
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CONSULENTI DELLA COPPIA E DELLA FAMIGLIA
A Milano un nuovo Corso per Consulenti Familiari
La società di formazione, consulenza ed editoria Sperling s.r.l. ha richiesto la collaborazione e il patrocinio dell’AICCeF per programmare ed attivare un nuovo Corso triennale di formazione per Consulenti della Coppia e della Famiglia, che si svolgerà a Milano e inizierà il prossimo settembre 2018.
L’interesse dimostrato dalla società Sperling per la Consulenza familiare e per le professioni d’aiuto, e il desiderio dell’AICCeF di formare nuovi Consulenti familiari in Lombardia dopo tanti anni di attesa, hanno prodotto una proficua sinergia e la programmazione di un Corso completo e qualificato, che avrà come docenti e conduttori nomi di grande competenza e professionalità.
Le date dei colloqui di ammissione sono le seguenti: sabati 07 aprile e 23 giugno 2018, c/o E-Network, corso di Porta Romana 46 Milano (orari da definire)
Per tutte le informazioni relative all’attivazione, alle modalità e alla iscrizione al corso di formazione
www.grupposperling.it/consulenza-alla-coppia-e-alla-famiglia.php
www.grupposperling.it/userdata/formazione/FGS-0001/Consulenza-alla-coppia-e-alla-famiglia-AICCeF.pdf
17 marzo 2018 www.aiccef.it
www.aiccef.it/it/news/a-milano-un-nuovo-corso-per-consulenti-familiari.html
Corso di Alta Formazione in consulenza familiare con specializzazione pastorale
Ufficio Nazionale per la Pastorale della Famiglia della Conferenza Episcopale Italiana
Partirà l’8 luglio 2018 il nuovo Corso di Alta Formazione in consulenza Familiare con specializzazione pastorale. Si svolgerà a Madonna di Campiglio (TN) dall’8 luglio al 21 luglio 2018 per la prima parte e vedrà coinvolti famiglie, sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose in un nuovo percorso di formazione totalmente rivisto e rinnovato.
www.diocesitn.it/famiglia/wp-content/uploads/sites/2/2018/03/ALTA-FORMAZIONE-web.pdf
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Mantova. Etica, salute & famiglia. Anno XXII, n. 3, marzo 2018
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Nascite al minimo storico. Italia sempre più vecchia e popolazione in calo. Armando Savignano
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Mettere ordine nella propria vita. Spunti per un’igiene mentale. Aldo Basso, sacerdote, psicologo
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Anziani, nonni e dintorni. Alberto Zanoni, geriatra
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Zeno Nerelli, addio al medico filosofo. Gabrio Zacchè
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Un acerrimo nemico delle donne: la candida! Alessandra Venegoni, ostetrica
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Videogiochi e bambini. Giuseppe Cesa, psicologo
www.consultorioucipemmantova.it/consultorio/index.php/pubblicazioni/etica-salute-famiglia/128-etica-salute-famiglia-marzo-2018
Padova. Letture marzo 2018
Il potere della lettura. In questo mese parliamo di: Lutto. (a cura di Silvia Crippa)*
In questo mese proponiamo due libri che parlano in modo rispettoso e accorato a chiunque abbia subito un lutto.
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Il primo è Un altare per la madre di Ferdinando Camon. L’autore inizia con questa premessa: “Quando moriva un amico, gli antichi gli mettevano in bocca una moneta, affinché potesse pagarsi il viaggio nell’aldilà, per incontrare i giusti, i buoni e gli eroi. Quando sarà il momento, voglio che questo libro mi sia messo tra le mani come un lasciapassare: l’ho scritto per questa ragione e per nessun’altra”.
La delicatezza del testo è tale che ci si immagina di leggerlo sussurrando; per ricordare una madre viene realizzato un altare, la cui costruzione artigianale diventa espressione metaforica di un amore profondo.
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E’ invece un artista il pittore Sakumat che nel libro Lo stralisco di Roberto Piumini, accompagna l’ultimo viaggio di un bambino con dipinti pieni di poesia, che descrivono con stupefacente maestria il “lutto inelaborabile”: la perdita di un figlio partendo dal racconto della lunga malattia.
Piumini è un famoso autore di narrativa per ragazzi e questo libro è stato scritto prima di tutto per un pubblico giovane: però è di una bellezza tale da consigliarne la lettura a tutte le età.
La mia opinione. Mi rendo conto che può sembrare un azzardo accostare due tipi di narrativa così diversa, ma nella nostra società, in cui sappiamo tutti come sia difficile parlare della morte, questi due autori hanno usato non tanto le parole, ma i gesti sapienti di un artigiano e di un artista per rivolgere uno sguardo profondamente umano a un aspetto che cerchiamo di rimuovere ma che fa parte della vita.
Silvia Crippa insegnante, psicologa, psicoterapeuta, mediatore familiare in consultorio opera come psicoterapeuta e consulente familiare. 18 marzo 2018
www.consultorioucipem.padova.it/index.php/letture-proposte/letture-marzo-2018.html
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DALLA NAVATA
V Domenica di Quaresima – Anno B –18 marzo 2018
Geremia 31, 31 Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore- nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova.
Salmo 50, 14 Rendimi la gioia della tua salvezza, sostienimi con uno spirito generoso.
Ebrei 05, 08 Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì.
Giovanni 12, 30 Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi»
Il chicco di grano che muore e dà frutto
Commento di Enzo Bianchi, priore emerito nel convento di Bose (BI)
Secondo il quarto vangelo Gesù, con il segno della resurrezione di Lazzaro, scatena l’opposizione dei sacerdoti del tempio e dei farisei, i quali decidono che deve morire (cf. Gv 11,1-54). Proprio Caifa, sommo sacerdote in carica, afferma che la morte di Gesù è cosa buona: “È conveniente che un solo uomo muoia per tutto il popolo” (Gv 11,50). Parola soggettivamente omicida, questa di Caifa, ma oggettivamente profetica, perché la morte di Gesù è un dare la vita per gli altri, per l’intera umanità.
Gesù, dunque, all’avvicinarsi della festa di Pasqua, entra in Gerusalemme tra grida che lo proclamano Veniente nel nome del Signore e Re d’Israele (cf. Gv 12,12-14), ma questo suo successo presso il popolo desta la constatazione dei farisei: “Tutto il mondo (ho kósmos) gli è andato dietro, lo segue!” (Gv 12,19). Ormai la decisione di condannare a morte Gesù è stata presa, ed egli sente che il cerchio dei nemici si stringe intorno a lui e che quella Pasqua sarà la sua “ora” tante volte annunciata. D’altronde, l’affermazione dei farisei trova una chiara illustrazione nella richiesta di alcuni presenti a Gerusalemme per la festa: alcuni greci, appartenenti cioè alle genti, non circoncisi e dunque pagani. Vogliono incontrare Gesù perché hanno sentito parlare di lui quale maestro autorevole e profeta capace di operare segni.
Si avvicinano pertanto a uno dei suoi discepoli, Filippo (proveniente da Betsaida di Galilea, città abitata da molti greci, così come greco è il suo nome), e gli chiedono: “Vogliamo vedere Gesù”. Questo però non era cosa facile, perché incontrare dei pagani, impuri, da parte di un rabbi, non era conforme alla Legge e non rispettava le regole di purità. Filippo, titubante, va a riferirlo ad Andrea, il primo chiamato alla sequela (cf. Gv 1,37-40); poi, insieme, i due decidono di presentare la domanda a Gesù Ed egli come risponde? Il quarto vangelo non lo dice, ma testimonia alcune parole decisive, una vera e propria profezia che Gesù fa riguardo a quell’ora, l’ora della sua passione e morte, svelata come glorificazione.
Innanzitutto Gesù dice che la richiesta di vederlo da parte dei pagani è segno e annuncio dell’ora finalmente giunta, l’ora in cui il Figlio dell’uomo è glorificato da Dio. All’inizio del vangelo, a Cana, Gesù aveva detto a sua madre: “Non è ancora giunta la mia ora” (Gv 2,4), e in seguito numerose altre volte quest’ora privilegiata viene evocata come ora prossima ma non ancora venuta (cf. Gv 4,21-23; 5,25; 7,30; 8,20). Adesso, di fronte a questa richiesta, Gesù comprende e dunque annuncia che la sua morte sarà feconda, fonte di vita inaudita: la sua gloria sarà gloria di Dio. Per esprimere ciò, Gesù ricorre alla vicenda del chicco di grano che, per moltiplicarsi e dare frutto, deve cadere a terra e quindi marcire, morire, altrimenti resta sterile e solo. Accettando di marcire e morire, il chicco moltiplica la sua vita e dunque attraversa la morte e giunge alla resurrezione.
Sì, appare paradossale, ma – come Gesù chiarisce – “chi ama la propria vita, la perde, e chi odia la propria vita in questo mondo, la custodisce per la vita eterna”, perché l’attaccamento alla vita e ciò che impedisce di mettere la vita stessa a servizio degli altri. Per Gesù la vera morte non è quella fisica, quella che gli uomini possono dare, ma è proprio il rifiuto di spendere e dare la vita per gli altri, la chiusura sterile su se stessi; al contrario, la vera vita è il culmine di un processo di donazione di sé. La vicenda del chicco di grano è la vicenda di Gesù ma anche quella del suo servo, il quale, proprio seguendo Gesù conoscerà la passione e la morte come il suo Signore, ma anche la resurrezione e la vita per sempre. Non sarà solo Gesù a essere glorificato dal Padre ma anche il discepolo, il servo che, seguendo il suo Signore, diventa suo amico. Al riguardo, con grande fede un padre del deserto giungeva ad affermare audacemente: “Gesù ed io viviamo insieme!”.
Che cosa, dunque, Gesù promette ai pagani di vedere? La sua passione, morte e resurrezione, il suo abbassamento e la sua glorificazione, la croce come rivelazione dell’amore vissuto fino alla fine, fino all’estremo (cf. Gv 13,1). A ogni discepolo, proveniente da Israele o dalle genti, nel visibile è dato di vedere l’invisibile; seguendo con perseveranza Gesù, dovunque egli vada, è dato di contemplare nella sua morte ignominiosa la gloria di chi dà la vita per amore. Secondo il quarto vangelo viene qui anticipata quella convocazione delle genti, quel raduno, che accadrà quando Gesù sarà innalzato sulla croce. I profeti avevano annunciato la partecipazione delle genti alla rivelazione fatta a Israele, e questa ora sta per avvenire, perché Gesù offre la sua vita “per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,52).
Giovanni apre qui una feritoia sui sentimenti vissuti da Gesù. Come gli evangelisti sinottici raccontano l’angoscia di Gesù al Getsemani (cf. Mc 14,32-42 e par.), nell’ora che precede la sua cattura, qui noi leggiamo la sua confessione: “Ora l’anima mia è turbata”. Sì, di fronte alla sua morte Gesù si è turbato, come già si era turbato e aveva pianto alla morte dell’amico Lazzaro (cf. Gv 11,33-35). Ma questa angoscia umanissima non diventa un inciampo posto sul suo cammino: Gesù è tentato, ma vince radicalmente la tentazione con l’adesione alla volontà del Padre. In modo diverso dalla narrazione presente nei sinottici, ma in profondità concorde con essa, Gesù non ha voluto salvarsi da quell’ora, né esserne esentato, ma è sempre rimasto fedele alla sua missione di compiere la volontà del Padre nella via dell’umiliazione, della povertà, della mitezza e non attraverso la violenza, la potenza il dominio. Comprendiamo dunque la sua preghiera: “Padre, glorifica il tuo Nome”, ovvero: “Padre, mostra che tu e io, insieme, realizziamo in me la stessa volontà”.
In risposta a tali parole, ecco una voce dal cielo, la voce del Padre che testimonia il riconoscimento di Gesù quale Figlio amato, il quale ha rivelato la gloria di Dio in tutta la sua vita e la rivelerà ancora nella sua “ora”. Secondo l’intelligente interpretazione della Lettera agli Ebrei, Gesù “nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo dalla morte e, per la sua sottomissione (eulábeia), venne esaudito” (Eb 5,7). Questa sottomissione non è la resa a un destino implacabile, bensì l’adesione ai sentimenti del Padre, sentimenti di amore per il mondo fino a donargli l’unigenito suo Figlio (cf. Gv 3,16).
Ecco che allora Gesù può gridare con convinzione: “Ora avviene il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo è gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra”, come il serpente innalzato da Mosè (cf. Nm 21,4-9; Gv 3,14), “attirerò tutti a me”. L’“ora” è finalmente giunta, l’ora di Gesù, ma anche quella in cui il mondo, con il suo assetto malvagio, viene giudicato, e così il principe di questo mondo, il principe delle tenebre, il nemico di Dio e dell’umanità, viene espulso. Questo grido di Gesù è un grido di vittoria: nella lotta tra il principe delle tenebre e il Figlio di Dio, quest’ultimo è vincitore e, innalzato da terra sulla croce, attira tutti a sé. Sì, proprio sulla croce, in alto, Gesù sarà il vincitore del nemico, il diavolo, il padre della menzogna, e dunque vincitore sul mondo di tenebra che si oppone a Dio: sulla croce è rivelata pienamente la gloria di Dio e di Gesù Dalla croce, “Gesù il Nazareno, il Re dei Giudei” (Gv 19,19) – titolo scritto in ebraico, greco e latino, le lingue dell’intera oikouméne (cf. Gv 19,20) –, attirerà se tutti, giudei e greci, che vedranno colui che hanno trafitto e si batteranno il petto (cf. Zc 12,10; Lc 23,48; Gv 19,37; Ap 1,7). Ogni occhio lo vedrà e chi, vedendolo, aderirà a lui credendo al suo amore, sarà salvato e conoscerà la vita eterna. Ecco la vera risposta a quanti volevano, e ancora oggi vogliono, “vedere Gesù”.
Questa è la buona notizia della pagina odierna del vangelo, buona notizia soprattutto per quei discepoli e quelle discepole che conoscono la dinamica del cadere a terra, del “marcire” nella sofferenza, nella solitudine e nel nascondimento. In alcune ore della vita sembra che tutta la sequela si riduca solo alla passione e alla desolazione, all’abbandono e al rinnegamento da parte degli altri, ma allora più che mai occorre guardare all’immagine del chicco di grano consegnataci da Gesù più che mai occorre rinnovare il respiro della fede, per dire: “Gesù ed io viviamo insieme!”.
http://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12173-grano-frutto
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DISCONOSCIMENTO DI PATERNITÀ
Scoperta dell’adulterio commesso all’epoca del concepimento e disconoscimento della paternità
Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza n. 3263, 9 febbraio 2018.
www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/19253.pdf
La scoperta dell’adulterio commesso all’epoca del concepimento – alla quale si collega il decorso del termine annuale di decadenza fissato dall’art. 244 c.c. (come additivamente emendato con sentenza n. 134 del 1985 della Corte costituzionale) – va intesa come acquisizione certa della conoscenza (e non come mero sospetto) di un fatto rappresentato o da una vera e propria relazione, o da un incontro, comunque sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere, non essendo sufficiente la mera infatuazione, la mera relazione sentimentale o la frequentazione della moglie con un altro uomo.
(Nella specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza di appello che ha riconosciuto la tempestività della domanda di disconoscimento della paternità, ritenendo che, pur risultando una pregressa conoscenza dell’adulterio da parte dell’attore, solo all’esito dell’espletamento della prova del DNA, questi ne avesse acquisito la certezza). (Massima ufficiale)
Il Caso.it – News 61 del 14 mar 2018
http://divorzio.ilcaso.it/?https://news.ilcaso.it/?utm_source=newsletter&utm_campaign=solo%20news&utm_medium=email
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DIVORZIO E NULLITÀ
Cassazione: il cattolico non evita il procedimento civile di divorzio
Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 5670, 9 marzo 2018
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_29531_1.pdf
La Corte ricorda che non c’è nessuna pregiudizialità tra procedimento civile di divorzio e quello ecclesiastico. Il cattolico praticante perciò non evita la sentenza e l’assegno di mantenimento. Non sussiste alcuna pregiudizialità tra il giudizio di nullità del matrimonio concordatario e quello avente a oggetto la cessazione degli effetti civili del matrimonio: trattasi di procedimenti autonomi, con finalità e presupposti differenti. Pertanto, il coniuge, cattolico praticante, non potrà invocare il diritto a sottoporre al solo Tribunale rotale la questione riguardante lo scioglimento delle sue nozze.
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, respingendo il ricorso di un uomo. Il Tribunale aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio e posto a carico dell’uomo un assegno mensile di mantenimento nei confronti dell’ex moglie, pari a 800 euro. La decisione, nonostante l’impugnazione da parte dell’onerato, veniva confermata dalla Corte d’Appello.
Anche il ricorso per Cassazione si risolve in un nulla di fatto e sul punto viene richiamato l’insegnamento già consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità. Gli Ermellini, infatti, ricordano che “il motivo di ricorso per cassazione con il quale si denunzi la violazione del diritto del coniuge, quale cattolico praticante, a sottoporre esclusivamente al tribunale rotale fa questione dello scioglimento del suo matrimonio, è inammissibile, atteso che nell’ordinamento giuridico italiano non sussiste alcun diritto di tal fatta”.
Neppure, prosegue la sentenza, sussiste alcun rapporto di pregiudizialità tra il giudizio di nullità del matrimonio concordatario e quello avente ad oggetto la cessazione degli effetti civili dello stesso, trattandosi di procedimenti autonomi, sfocianti in decisioni di natura diversa e aventi finalità e presupposti distinti. Il ricorso dell’uomo, pertanto, va dichiarato inammissibile.
Lucia Izzo Newsletter Giuridica Studio Cataldi 12 marzo 2018
www.studiocataldi.it/articoli/29531-cassazione-il-cattolico-non-evita-il-procedimento-civile-di-divorzio.asp
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
Dobbiamo investire sulla famiglia, ce lo chiede l’Europa
“Ce lo chiede anche l’Europa, è arrivato il momento di investire seriamente e in modo strutturale sulla famiglia”: è il commento di Gigi De Palo, presidente del Forum nazionale delle Associazioni Familiari, alla nota di sintesi della ‘Relazione per paese relativa all’Italia 2018 comprensiva dell’esame approfondito sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici’.
Il dato che emerge tra le pieghe del documento, pubblicato proprio in questi giorni, è che la complessità del regime tributario aumenta l’onere gravante sulle imprese e sulle famiglie in regola, rendendo loro la vita difficile. “È una constatazione che le famiglie italiane hanno fatto da tempo sulla loro pelle”, prosegue De Palo, “ed è uno dei motivi più importanti per cui oggi in questo Paese non si mettono più al mondo figli. Come spiega il report della Commissione europea, infatti, ‘il basso tasso di fecondità, l’invecchiamento della popolazione e il peggioramento del saldo migratorio pongono dei problemi nel medio periodo’. Non solo, ma l’Europa invita il nostro Paese a pensare seriamente allo ‘sviluppo di strategie a lungo termine, quali politiche più mirate di sostegno alle famiglie’. Proprio quello che il Forum Famiglie auspica e per il quale si batte da tempo”.
Ma l’UE chiede all’Italia di fare di più anche sul fronte del sostegno alla natalità e alla genitorialità. “I dati che ci arrivano da Bruxelles – aggiunge De Palo – confermano per il nostro Paese una ‘difficoltà di conciliare il lavoro con la famiglia a causa della limitata disponibilità di servizi abbordabili di assistenza all’infanzia e di servizi di assistenza a lungo termine, dell’utilizzo limitato del congedo parentale da parte degli uomini e degli scarsi incentivi forniti da specifici aspetti del sistema fiscale e assistenziale’”.
“Non solo: la Commissione indica chiaramente che ‘l’attuale sistema frammentario di bonus a sostegno delle famiglie non sembra essere in grado di risolvere queste problematiche’. Ecco perché il Governo che verrà avrà la possibilità di fare uno ‘scatto’ e ridare speranza e fiducia alle famiglie. È un compito importante: la famiglia è l’unica realtà capace di regalare un futuro migliore al nostro Paese”, conclude il presidente del Forum Famiglie.
Comunicato Stampa 15 marzo 2018
www.forumfamiglie.org/2018/03/15/dobbiamo-investire-sulla-famiglia-ce-lo-chiede-leuropa
Banca d’Italia: puntare sulle famiglie per sconfiggere la povertà
La rilevazione fatta dalla Banca d’Italia è sicuramente allarmante. Il 23% delle famiglie italiane sono a rischio povertà, dato che al Sud tocca quota 39%. Dove il 13% delle famiglie, è giusto il caso di dirlo, sopravvive senza alcun reddito. Malgrado il quadro preoccupante, emerge chiaramente l’efficienza e la tenacia delle famiglie, le quali riescono a risparmiare e a non indebitarsi. Si riduce, infatti, la quota delle famiglie indebitate, che passa dal 23% al 21%. Aumenta il risparmio familiare, che in due anni è cresciuto dal 27 al 33%. La famiglia, sebbene sia stata lasciata sola, non solo è viva, ma dà speranza a tutto il Paese. Il reddito medio aumenta solo di 100€, non basta. Sono necessarie politiche familiari che riducano l’indebito familiare e favoriscano la capacità di risparmio. I dati ci dicono che vale la pena puntare sulle famiglie, che ancora una volta dimostrano di saper fare il loro dovere, non cedendo alle criticità e alle paure, ma affrontandole.
Comunicato Stampa 15 marzo 2018
www.forumfamiglie.org/2018/03/15/banca-ditalia-puntare-sulle-famiglie-per-sconfiggere-la-poverta
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Cinque anni con Papa Francesco. I cinque sensi spirituali di Bergoglio
Il senso della vista rimanda a una categoria preferita da Francesco, molto ripetuta ma forse in forma riduttiva. Si tratta delle periferie. L’udito “parla” dello stile di governo di Bergoglio: la sinodalità. Il gusto è il dono della gioia che si deposita nel nostro cuore quando accogliamo il suo Evangelo (Evangelii gaudium). L’odorato è in grado d’introdurre nel profondo della relazione, nell’intimità (“pastori con l’odore delle pecore”). Il tatto dev’essere letto in sfondo antropologico e spirituale. Francesco comincia a parlarne in senso cristologico (“toccare la carne di Cristo”), ma giunge poi alla carità verso il prossimo. Ecco, dunque, i cinque sensi spirituali che permettono alla Chiesa di essere una Chiesa dai “sani sensi” e, pure, una Chiesa da gustare!
“I sensi ci aiutano a cogliere il reale e ugualmente a collocarci nel reale. Non a caso Sant’Ignazio di Loyola ha fatto ricorso ai sensi nella contemplazione dei Misteri di Cristo e della verità”.
Colgo quest’espressione, pronunciata da Francesco nel suo discorso alla Curia romana il 21 dicembre 2017, per ripercorrere velocemente il tempo del suo ministero sulla Cattedra di Pietro nei cinque anni trascorsi sino ad oggi dalla sera di quel 13 marzo 2013, quando fu annunciata urbi et orbi la sua elezione. Il Papa non faceva, ovviamente, una lezione di filosofia; intendeva, però, mettere in evidenza quanto stava esponendo circa il dovere nella Curia di curare la sua estroversione, ossia il suo rapporto “col mondo esterno”. Questo, con due riferimenti.
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Il primo al sapere comune, ricordato dal plurisecolare assioma che la nostra conoscenza trae inizio dai sensi: san Tommaso lo citava nel suo De veritate e anche san Bonaventura affermava che i sensi ci permettono di sperimentare direttamente la realtà, nell’immediatezza del suo qui e ora (In III Sent.).
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L’altro rimando era alla sua personale formazione spirituale e lo comunicava così: “non a caso Sant’Ignazio di Loyola ha fatto ricorso ai sensi nella contemplazione dei Misteri di Cristo e della verità”.
I sensi, dunque, a cominciare da quelli esterni, che rendono l’uomo capace di sentire la realtà; aggiungendo subito, però, il richiamo alla dottrina cattolica sui sensi spirituali, per la quale Ignazio di Loyola è fra i grandi maestri. Chi legge, infatti, gli Esercizi s’imbatte subito in quest’affermazione: “Non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose internamente” (2, 4). Questa teologia ha un illustre esponente in J.-J. Surin. Essa, però, è molto antica. Già Origene illustrava le potenzialità spirituali dei sensi scrivendo che la vista può fissare le realtà superiori; l’udito percepisce suoni che non si trovano realmente nell’aria; il gusto ci fa assaporare il pane vivo disceso dal cielo e l’odorato avvertire i profumi che sono, secondo san Paolo, il buon odore di Cristo; c’è infine il tatto, grazie al quale Giovanni afferma di aver toccato con le mani il Verbo della vita (cfr. Contro Celso 1, 48).
Nell’area culturale latina sant’Agostino dirà: “Nessuna meraviglia che alla scienza ineffabile di Dio che tutto conosce, vengano applicati i nomi di tutti questi sensi corporali, secondo le diverse espressioni del linguaggio umano; lo stesso nostro spirito, cioè l’uomo interiore, – al quale, senza che l’uniformità del suo conoscere venga compromessa, giungono i diversi messaggi attraverso i cinque sensi del corpo, – quando intende, sceglie e ama la verità immutabile, vede quella luce a proposito della quale l’evangelista dice: Era la luce vera; e ascolta la Parola di cui l’evangelista dice: In principio era il Verbo (Gv 1, 9 1); e aspira il profumo di cui vien detto: Correremo dietro l’odore dei tuoi profumi (Ct 1, 3); e gusta la fonte di cui si dice: Presso di te è la fonte della vita (Sal 35, 10); e gode al tatto di cui vien detto: Per me il mio bene è lo starmene vicino a Dio (Sal 72, 28). E così non si tratta di un senso o di un altro, ma è una medesima intelligenza che prende nome dai vari sensi” (Comm. al vangelo di Giovanni 99, 4).
Vista. Cominciamo, allora, col senso della vista, ch’è generalmente menzionato per primo. Nel linguaggio di Francesco molto ricorrente è la parola “sguardo” e questo ha, fra l’altro, un’eco molto personale. Si rilegga, ad esempio, l’omelia in Santa Marta del 21 settembre 2013 (festa liturgica di san Matteo, che per il Papa ha una risonanza speciale perché rimanda alla scelta di vita) in cui parla dello sguardo di Gesù, che cambia la vita, porta a crescere e dà dignità. Qui vorrei, però, applicare il senso della vista ad una categoria preferita da Francesco, molto ripetuta ma forse in forma riduttiva. Si tratta delle periferie. Quando, una volta, gli domandai cosa precisamente intendesse con quel termine, Francesco mi rispose senza indugio: “È un principio ermeneutico; un modo di guardare la realtà”; e me lo spiegò raccontandomi che quando, giunto alla fine del continente americano, Magellano guardò all’Europa, si rese conto ch’era ben altra cosa rispetto a quella vista dal centro di Madrid! Bergoglio parlò di “periferie” già il 26 maggio 2013, nel corso della sua prima visita pastorale ad una parrocchia romana. Rispondendo al saluto del parroco disse: “Mi piace quello che hai detto, che periferia ha un senso negativo, ma anche un senso positivo. Tu sai perché? Perché la realtà insieme si capisce meglio non dal centro, ma dalle periferie. Si capisce meglio”. Periferie, dunque, è un modo di guardare al mondo e, per la Chiesa, è un modo di essere nel mondo contemporaneo (cfr. Gaudium et spes 1).
Udito. Quanto all’udito è davvero il caso di estrarre un passo da quello ch’è uno dei discorsi più rilevanti di Francesco, almeno per la comprensione del suo stile di governo, ossia la sinodalità. Mi riferisco a quello del 17 ottobre 2015 dove, commemorando il 50mo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, disse: “Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare “è più che sentire”. È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo “Spirito della verità” (Gv 14, 17), per conoscere ciò che Egli “dice alle Chiese” (Ap 2, 7)”. C’è del provocatorio – a me pare – in quest’affermazione, specialmente per quanti ritengono che la prima cosa debba essere l’aver voce: la propria, ovviamente! L’ascolto, però, è proprio il primo atteggiamento, che il Concilio ha insegnato in Dei Verbum: per ascoltare la Parola di Dio, almeno. A proposito di sinodalità, una volta il Papa ha detto: “Quando uno ha paura di ascoltare, non ha lo Spirito nel suo cuore” (Omelia in Santa Marta del 28 aprile 2016). E soprattutto è importante “ascoltare con umiltà” L’ascolto reciproco di cui parla Francesco ha senza dubbio il suo riferimento primario a quanto lo Spirito dice alle Chiese; ma è pure un richiamo a quel discernimento che tanto gli sta a cuore sì da fargli dire che oggi la Chiesa ha bisogno di crescere nella capacità di discernimento spirituale (30 luglio 2016, ad alcuni gesuiti polacchi).
Gusto. Soffermiamoci ora sul gusto. “Gustate e vedete com’è buono il Signore”, canta un salmo (34, 9) e, commentava sant’Agostino, si rallegrino tutti coloro che assaporano la sua dolcezza (cfr. Enarr. in Ps 5, 15-16). Lo scorso martedì 27 febbraio, mentre concelebravo la Santa Messa essendo in corso la sessione del Consiglio di Cardinali, il mio pensiero è andato subito al senso spirituale del gusto quando ho sentito Francesco che commentando la pagina del Vangelo spiegava come Gesù fa appello alla nostra conversione: “Il Signore in questo brano ci chiama così: “Su, venite. Prendiamo un caffè insieme. Parliamo, discutiamo. Non avere paura, non voglio bastonarti” … Ehi tu, Zaccheo, scendi! Scendi, vieni con me, andiamo a pranzo insieme!”. Il gusto del Signore è il dono della gioia che si deposita nel nostro cuore quando accogliamo il suo Evangelo. Conosciamo le parole che intonano l’esortazione Evangelii gaudium: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”. La gioia di cui qui si parla è un sentimento e questo non è poco davvero; è, tuttavia, anche di più perché è dono dello Spirito; è segno dell’accoglienza di Gesù e del suo Evangelo: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15, 11). Una volta il Papa ha aggiunto che “la gioia è il segno del cristiano: un cristiano senza gioia o non è cristiano o è ammalato … un cristiano senza gioia non è cristiano” (Omelia in Santa Marta del 22 maggio 2014). In una precedente omelia feriale (10 maggio 2013) aveva parlato della gioia come di “una virtù pellegrina. È un dono che cammina, che cammina sulla strada della vita, cammina con Gesù: predicare, annunziare Gesù, la gioia, allunga la strada e allarga la strada…”. Parlò pure dei “cristiani malinconici che hanno più faccia da peperoncini all’aceto”: un’espressione altre volte ripetuta (cfr. l’Udienza del 23 agosto 2017: “Io sono una persona di primavera o di autunno?”. Di primavera, che aspetta il fiore, che aspetta il frutto, che aspetta il sole che è Gesù, o di autunno, che è sempre con la faccia guardando in basso, amareggiato e, come a volte ho detto, con la faccia dei peperoncini all’aceto”). L’immagine è sì legata al senso del gusto, ma è poco gustosa! Il contrario è per Amoris lætitia, dove il richiamo al senso del gusto è davvero positivo: “Le gioie più intense della vita nascono quando si può procurare la felicità degli altri, in un anticipo del Cielo. Va ricordata la felice scena del film Il pranzo di Babette, dove la generosa cuoca riceve un abbraccio riconoscente e un elogio: ‘Come delizierai gli angeli!’. È dolce e consolante la gioia che deriva dal procurare diletto agli altri, di vederli godere. Tale gioia, effetto dell’amore fraterno, non è quella della vanità di chi guarda sé stesso, ma quella di chi ama e si compiace del bene dell’amato, che si riversa nell’altro e diventa fecondo in lui” (n. 129). Ho prima citato due costituzioni conciliari. Perché non aggiungere a questo punto un richiamo a quella sulla Sacra Liturgia? È questa, difatti, il luogo privilegiato dove il cristiano apprende e vive il gusto di Dio e della fraternità: “Com’è dolce che i fratelli vivano insieme”, canta il Salmo (133, 1).
Odorato. L’odorato è il quarto dei sensi esterni. È anch’esso importante, perché in grado di comunicarci ciò che altri sensi non riescono: non tocca e non vede, non ascolta né gusta, ma avverte, riconosce e riesce a distinguere ciò ch’è impersonale, da quanto invece è personalissimo e unico. L’odorato è in grado d’introdurre nel profondo della relazione, nell’intimità. Il Papa richiamò questo senso nell’omelia della prima Messa crismale presieduta in San Pietro, il 28 marzo 2013. Parlava ai sacerdoti e chiese loro di essere “pastori con “l’odore delle pecore”“. L’interpretazione l’ha data lo stesso Francesco poche settimane dopo, incontrando i nuovi vescovi al termine di un periodo di formazione il 19 settembre 2013. Ecco qualche passaggio del discorso: “Nell’omelia della Messa Crismale di quest’anno dicevo che i Pastori devono avere ‘l’odore delle pecore’. Siate Pastori con l’odore delle pecore, presenti in mezzo al vostro popolo come Gesù Buon Pastore. La vostra presenza non è secondaria, è indispensabile. La presenza! La chiede il popolo stesso, che vuole vedere il proprio Vescovo camminare con lui, essere vicino a lui. Ne ha bisogno per vivere e per respirare! […] Presenza pastorale significa camminare con il Popolo di Dio: camminare davanti, indicando il cammino, indicando la via; camminare in mezzo, per rafforzarlo nell’unità; camminare dietro, sia perché nessuno rimanga indietro, ma, soprattutto, per seguire il fiuto che ha il Popolo di Dio per trovare nuove strade”. L’olfatto, il fiuto di cui parlava il Papa, dunque, è il sensus fidei di cui si legge nella costituzione dogmatica sulla Chiesa del Vaticano II (cfr. Lumen gentium n. 12). Ancora una costituzione conciliare! Qui, poi, non si tratta semplicemente di richiamare la dottrina cattolica su un tema fondamentale del Concilio, ma pure il disegno di un modello per i rapporti fra fedeli e sacri pastori. In altri termini, è ancora di sinodalità che si parla. Così, difatti, il Papa, nel discorso già citato del 17 ottobre 2015: “Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium ho sottolineato come “il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile in credendo”, aggiungendo che “ciascun Battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del Popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni”. Il sensus fidei impedisce di separare rigidamente tra Ecclesia docens ed Ecclesia discens, giacché anche il Gregge possiede un proprio “fiuto” per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa”.
Tatto. Nell’elenco dei sensi esterni il tatto lo si menziona in genere come ultimo; san Tommaso, però, l’indicava come primo fra tutti e annotava che, per quanto fra gli altri sia il più carnale, proprio il tatto è stato da Cristo indicato come il senso che meglio degli altri avrebbe offerto all’apostolo incredulo la certezza sulla verità della Risurrezione (cfr. Super Sent. III; Gv 20, 27). Per san Bonaventura, poi, il tatto è fra tutti i sensi quello che più tiene insieme: realizza al massimo, infatti, il contatto fra due persone e così esprime la carità, che fra tutte le virtù teologali è la più unitiva. Quando si ama non ci s’accontenta di vedere e di guardare, ma si tende a toccare. A chi ama non basta udire, perché ogni voce è un appello a infrangere il muro della distanza, un’invocazione ad abbracciarsi. L’amore vuole sempre toccare. Ogni volto amato richiama una mano e ogni mano si tende verso il volto amato. L’uso di Francesco del verbo toccare dev’essere letto anche in questo sfondo antropologico e di teologia spirituale. Egli comincia a parlarne in senso cristologico (“toccare la carne di Cristo”), ma giunge poi alla carità verso il prossimo. Se ne trova un esempio abbastanza completo in alcune espressioni durante la Veglia di Pentecoste del 18 maggio 2013. Riprese dalla viva voce, ci permettono d’intuire l’animo del Papa: “Noi dobbiamo diventare cristiani coraggiosi e andare a cercare quelli che sono proprio la carne di Cristo, quelli che sono la carne di Cristo! Quando io vado a confessare – ancora non posso, perché per uscire a confessare… di qui non si può uscire, ma questo è un altro problema – quando io andavo a confessare nella diocesi precedente, venivano alcuni e sempre facevo questa domanda: “Ma, lei dà l’elemosina?” – “Sì, padre!”. “Ah, bene, bene”. E gliene facevo due in più: “Mi dica, quando lei dà l’elemosina, guarda negli occhi quello o quella a cui dà l’elemosina?” – “Ah, non so, non me ne sono accorto”. Seconda domanda: “E quando lei dà l’elemosina, tocca la mano di quello al quale dà l’elemosina, o gli getta la moneta?”. Questo è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri. La povertà, per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Fi http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201803/180312melloni.pdfglio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada. E questa è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua Incarnazione. Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo”.
Ecco, dunque, i cinque sensi spirituali che permettono alla Chiesa di essere una Chiesa dai “sani sensi” e, pure, una Chiesa da gustare!
Marcello Semeraro, vescovo di Albano, segretario del C9 13 marzo 2018
https://agensir.it/chiesa/2018/03/13/cinque-anni-con-papa-francesco-una-rilettura-del-pontificato-con-i-cinque-sensi-spirituali
I cinque anni del Papa che ha capovolto la Chiesa
Lo so. L’egocentrismo cattolico che non scolora la papolatria istintiva in Italia, lo iato morale che da decenni separa i pontefici da molti leader politici — tutto potrebbe far pensare che quello che si dice di Francesco da cinque anni lo si sarebbe detto di chiunque altro fosse stato eletto il 13 marzo 2013. Ma non è vero.
Perché Francesco ha un baricentro peculiare, nudo, secco, perfino unilaterale: quello di un papato “kerygmatico”. Il “kèrygma” (annuncio), nel Nuovo Testamento è il nucleo del vangelo di Gesù. Non cancella la catechesi, la dottrina, le norme: queste Francesco le lascia ad altri, se sono capaci. Lui tiene per sé l’annuncio che smaschera l’idolo del potere, così da non sciupare quel che “Dio ha scelto”.
Così quando tacciono i denigratori e quelli che lui chiama i “pappagalli bergogliani” (che cinguettano di “periferie”, di “chiesa in uscita” o di “migranti” sperandone una carriera), chi vuole può sentire la commovente dolcezza del vangelo come vangelo, che alla chiesa pellegrina nella storia dà rimprovero e consolazione, fortezza e grazia.
Se nel marzo 2013 la maggioranza che Ratzinger sperava eleggesse il cardinale Scola fosse stata solida o sincera, in questi giorni festeggeremmo l’anno quinto di Paolo VII (dicono avrebbe scelto questo nome). Fine teologo, il “papa ciellino”, avrebbe scritto dotte encicliche. La causa di beatificazione di Giussani sarebbe avanzata. Renzi non avrebbe toccato Lupi. Parolin sarebbe nunzio in Venezuela e Bassetti vescovo emerito di Perugia, entrambi senza porpora. Chi campa lodando qualunque Papa, lo loderebbe; i critici sarebbero bastonati senza pietà.
Unico dato comune: un fiume d’inchiostro avrebbe seguito i suoi atti sui beni mobiliari e immobiliari della chiesa, sulla riforma della curia e sui pedofili preti. Perché il disordine sistemico che aveva scosso la chiesa e Benedetto XVI aveva portato il Conclave a ritenere (sbagliando) che esso dipendesse solo dagli italiani e solo da queste tre piaghe purulente.
Di quelle piaghe, in effetti, anche Francesco si è dunque dovuto occupare: e chi ne monitora i passi falsi credendo di smascherarne le debolezze, non ha capito che Francesco onora il capitolato conclavario col disincanto dell’uomo privo di ansie da prestazione religiosa.
Il denaro, ad esempio, non è riformabile. Dopo Porta Pia fu pensato come un surrogato del potere temporale a difesa della chiesa: ma non si tenne conto (dice il cardinale Silvestrini) che quando appaiono i soldi i preti buoni sono spesso così buoni che si fidano dei delinquenti, e i preti delinquenti si fidano sempre dei delinquenti perché sono come loro. Dunque Francesco ha agito sullo Ior con troppe commissioni e troppe nomine: sapendo che però si può ottenere solo lo stesso grado di moralità che c’è nel mondo finanziario. Dicono non sia alto.
Qualcosa di simile vale per la curia: la riforma in cantiere da un lustro riguarda i mansionari e lascerà alla bolla di promulgazione la sostanza teologica. Ma Francesco sa che la curia si riforma non se il Papa si agita: ma se l’episcopato, senza coniglismi, entra nella logica di sinodalità che si apprende facendola. Quanto poi ai pedofili preti, coperti da vescovi eretici (ché se un vescovo segue la “ragion di chiesa” contro le vittime è posseduto da un demone anticristiano) Francesco sa che le grida sulla “tolleranza zero” non bastano e prima o poi permetteranno killeraggi mirati.
Per cui, fatto tutto quello che è necessario sul piano giuridico, bisogna interrogarsi sulla elezione dei vescovi e sulla formazione dei preti: cioè guardare negli occhi la questione del ministero, che Francesco non ha voluto ancora affrontare.
Questa attitudine non a tutti basta. Ma se uno guarda ai siti del fondamentalismo cattolico, troverà accuse febbricitanti, giochi di specchi social per far pensare che i nemici di Francesco siano tanti e pronti a deporlo. In realtà i nemici del Papa vorrebbero sembrare la metà della chiesa, ma sono pochi: una rumorosa armata in cerca di un cardinal Brancaleone, che li conduca al Conclave della rivincita che sperano vicino.
Francesco, non senza crudeltà di un gesuita, glielo fa credere vicino da tempo, dicendo che si aspetta un papato corto, cinque anni. Adesso al quinto anno ci siamo: il Papa sta bene e la buona salute di Ratzinger impedisce ogni pensiero di rinunzia. Il magistero fragile del papa “kerygmatico” continua. Papa Bergoglio, sia chiaro, non ha un angelicato disinteresse per il domani: non dà posti cardinalizi ad alcuni perché quando il suo pontificato finirà — lo decida solo Dio o lo decidano insieme si vedrà — non li vuole al Conclave. Con la rarefazione dei cardinali italiani favorisce il primo papato italiano del secolo XXI, che prima o poi verrà.
Ma non ha nessuna intenzione di manovrare e non fa neppure norme per proteggere quel che ha fatto o predicato. Se quel che fa viene da Dio, pensa, durerà. E il “kerygma” è da Dio. Se quel che ha fatto è fatto “in pace”, durerà: e l’uomo risolto in un mondo di maschi irrisolti, è in pace.
Ma “ha fatto anche errori!”, dice la gauche caviar [sinistra al caviale] della teologia. Effettivamente se avesse fatto votare Amoris lætitia al sinodo avrebbe dato voce ad un organo fin qui muto e si sarebbe liberato delle polemiche bigotte di chi ignora la grande tradizione della chiesa.
Se avesse voluto usare fino in fondo le sue prerogative di primate d’Italia avrebbe potuto impuntarsi perché i contenuti del suo potente discorso alla chiesa italiana a Firenze nel 2015 venissero almeno presi sul serio, se non proprio obbediti.
Ma Francesco non ambisce all’Oscar come migliore attore protagonista del film della chiesa cattolica. Sa che il premio della fede è la fede. Crede che i processi di riforma riguardano le sfere della conversione che solo uno stupido politicismo penserebbe di poter misurare. E dunque fa “quel che crede” in senso stretto. Senza illusioni, senza posa, senza attivismi. Il papato kerygmatico varca la soglia dell’anno quinto e “la sua vita perentoria” insegna solo a chi sa ascoltare.
Alberto Melloni, storico della Chiesa la Repubblica 12 marzo 2018
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201803/180312melloni.pdf
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GENDER
Sessualità e gender 1 | Educare alla coerenza
L’educazione sessuale vuole rendere capaci le persone di gestire la loro sessualità in modo responsabile e autonomo, e di integrarla nella loro personalità. La sessualità è parte integrale dell’identità personale, e include sia la corporeità, sia la dimensione psichica e spirituale.
Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma: «La sessualità esercita un’influenza su tutti gli aspetti della persona umana, nell’unità del suo corpo e della sua anima. Essa concerne particolarmente l’affettività, la capacità di amare e di procreare, e, in un modo più generale, l’attitudine ad intrecciare rapporti di comunione con altri» (n. 2332). E continua: «Spetta a ciascuno, uomo o donna, riconoscere ed accettare la propria identità sessuale» (n. 2333).
In che cosa consiste l’identità sessuale? Certamente non è un termine in contrasto con una visione antropologica cristiana. Esso indica la dimensione soggettiva di una persona dell’essere sessuata, cioè di essere modellata dalla dimensione sessuale.
La sessuologia, la psicologia dello sviluppo e i gender studies ci insegnano comunque che l’identità sessuale è una realtà assai complessa. Contiene i vari livelli della sessualità, e allo stesso momento include le sue differenti dimensioni di senso. Parlando d’identità s’intende inoltre una realtà che – nonostante tutte le incertezze e il processo continuo dello sviluppo biografico – è qualcosa di perdurante e stabile. Questo comunque non significa che l’identità non sia una realtà da formare e nella quale crescere e maturare, molto probabilmente in un processo che dura tutta la vita.
Dimensioni di senso. Parlando delle dimensioni di senso della sessualità se ne possono indicare diverse. Prima di tutto – come si è già detto – quella dell’identità personale, in quanto ogni persona è sessuata e si percepisce (normalmente) come uomo o donna. Trovare e sviluppare la propria identità personale e umana non può escludere la dimensione della sessualità corporea e psichica.
Una seconda dimensione è la comprensione della sessualità come linguaggio d’amore. Questo linguaggio inizia dal modo con cui una persona si presenta e si mette in relazione, esprimendo in tal modo non solo la propria auto-comprensione, ma anche la percezione dell’altra persona. Fa parte di questa dimensione anche il sentirsi attirati sessualmente dall’altro, e perciò il proprio orientamento sessuale. Nel gestire la propria sessualità si esprime anche la capacità di godere. La sessualità è fonte di godimento e piacere. Come tale essa è anche fonte di vivacità e fecondità, fattori che si esprimono in modo particolare anche nella procreazione, una dimensione integrale della sessualità.
Infine essa spinge una persona ad andare oltre se stessa, rappresenta perciò una forza relazionale e perfino trascendentale. L’esperienza della sessualità può diventare un luogo di incontro con Dio. In questo senso le è iscritta una dimensione profondamente spirituale. La grande sfida consiste nell’integrare questi vari aspetti della sessualità nell’identità personale.
La ricerca e lo sviluppo della propria identità personale inoltre ci spinge a confrontarci con i vari livelli che la formano. Anche se infine essi non possono essere separati perché formano l’unica identità soggettiva di una persona, devono essere differenziati a livello oggettivo.
Sesso biologico e sesso sociale. Le teorie del gender distinguono fondamentalmente il sesso biologico da quello sociale. Il sesso biologico può essere distinto in tre tipi: genetico, ormonale e fisiologico. Nella fase prenatale lo sviluppo sia della genitalità corporea che dei processi ormonali incide fortemente su quello che un giorno saranno il comportamento e l’orientamento sessuale di una persona e perciò la comprensione della propria identità sessuale.
Il sesso sociale, ovvero il genere, è l’identificazione di maschio o femmina in un determinato contesto socio-culturale. Infine al sesso biologico e sociale bisogna aggiungere quello psicologico, che include gli altri due e forma la comprensione personale e individuale della propria identità sessuale: come cioè una persona si relaziona con il suo corpo, con la sua genitalità, con gli schemi di maschilità e femminilità del proprio orientamento sessuale che riscontra o che ha interiorizzato.
L’educazione sessuale deve affrontare la sfida di aiutare una persona a trovare e sviluppare un sentimento di coerenza e autenticità, vale a dire la percezione di sé stessi come unità. Gli studi in questo ambito ci hanno sensibilizzato nei confronti delle grandi sofferenze di coloro che soggettivamente sperimentano discrepanze varie fra alcuni di questi aspetti. Non si tratta allora soltanto di poter scegliere liberamente la propria identità sessuale, ma di avere il diritto di scoprirla e riconoscerla, essendo essa formata sia da elementi dati (ovvero definiti, precedendo la libertà individuale), sia da elementi che si pongono alla persona come un compito da assolvere.
prof. dr Martin M. Lintner, OSM Il Regno Moralia Blog 9 marzo 2018
www.ilregno.it/moralia/blog/sessualita-e-gender-1-or-educare-alla-coerenza-martin-m-lintner?www.ilregno.it?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=Att1804
Sessualità e gender 2 | Quale idea di persona?
Viviamo un tempo di libertà individuali e incertezza identitaria, di sovraccarico di stimoli e deficit d’attenzione, di connessione permanente e fragilità dei legami. Un dato mi pare emergere fra gli altri: i piccoli sono trattenuti in una costante iper-stimolazione sensoriale e solitaria, e precocemente esposti alla sessualità adulta. L’intensità ingovernabile della stimolazione è all’origine di fenomeni d’ansia e iperattività o, al contrario, di una sorta di anestesia emotiva, come difesa dall’eccesso di sollecitazioni.
Quando, nell’adolescenza, le trasformazioni del corpo e l’esplosione di nuove sensazioni, fantasie, paure e angosce sgorgano nella loro traboccante vitalità, si rafforza anche il pericolo di esserne travolti, per la difficoltà a integrare sensazioni e relazioni, mente e corpo, affetti e legami, sé e altro, ideali e realtà. Il compito evolutivo è propriamente legato alla mediazione e armonizzazione di queste dimensioni, pena l’impoverimento dell’esperienza sessuale o, nei casi più gravi, l’apparire di forme di sessualità compulsiva e meccanica, il rifiuto del proprio corpo o lo scatenamento della violenza.
In questa complessa configurazione epocale, la necessità di un’adeguata educazione sessuale non è in discussione. Il problema è semmai quello di formularne il contenuto: quale idea di persona e corpo, sessualità e intimità offriamo al faticoso lavoro di crescita che ogni creatura venuta al mondo deve affrontare?
Viviamo un’epoca di dissociazioni. L’antropologia che si rifà agli studi di genere, attualmente molto accreditati nel mondo culturale e scientifico, è impiantata su una serie di dissociazioni: l’identità sessuale è separata dal corpo sessuato; ne viene la liquefazione dei generi e la proliferazione di identità singolari e irrelate.
Il corpo, privo di densità simbolica, diventa il luogo principale in cui si giocano i rapporti di potere, nel senso che è riletto come una costruzione sociale e una superficie politica di emancipazione. La sessualità, rivendicata come un diritto in un’ottica individuale e preventiva, è agganciata a una forza pulsionale indifferenziata. Rimasta senza segreti e interdetti, essa appare legata alla gestione tecnica della salute sessuale.
Si accetta anche la dissociazione fra genitorialità e coppia coniugale (fecondazione eterologa e omoparentalità) e fra generazione dei figli e cura dei figli (maternità surrogata), nella convinzione che ogni desiderio che la tecnica consente di realizzare, il diritto lo dovrebbe ratificare. Così, nonostante l’appello ai principi di uguaglianza e il sogno di liberare il singolo dalle catene dei pregiudizi, quest’etica si incaglia negli scogli dello slegarsi e nella tentazione dell’individualismo proprietario.
Ripartire dai legami. Conviene allora rivolgersi all’antropologia personalista e relazionale, perché intercetti le domande e le fatiche del presente, mostrando che solo nella comunione sta il senso pieno dell’umano. In essa il corpo vissuto è centro di esperienza, innervato di senso, e spazio inviolabile d’incontro con l’altro; la differenza sessuale è orizzonte di significazione e luogo in cui si annuncia il desiderio dell’altro.
La sessualità è un’apertura relazionale da conquistare, mettendosi in ascolto delle aperture e smarrimenti del proprio desiderio e, al contempo, del mistero dell’altro, quell’altro che solo rappresenta il senso e il limite del mio desiderio, la condizione del suo aprirsi.
Appare allora che la qualità umana del desiderare si sperimenta non nell’inflazionamento dell’io, con la sua fame di sensazioni e il suo consumo dell’alterità, ma nella generatività propria dei legami, a partire da quelli in cui donne e uomini assumono la cura comune del mondo. L’educazione sessuale infatti non può che partire dall’intelligenza degli affetti e dall’appassionante lavoro dei legami, nella tessitura ininterrotta di desiderio e limite.
Susy Zanardo, Il Regno Moralia Blog 9 marzo 2018
www.ilregno.it/moralia/blog/sessualita-e-gender-2-or-quale-idea-di-persona-susy-zanardo
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MATERNITÀ
Anche il congedo di maternità per l’avanzamento di carriera
Corte di Appello di Venezia – Sentenza n. 841/2018
www.diritto-lavoro.com/wp-content/uploads/2018/03/sentenza-n.-841-del-2018.pdf
Una sentenza della Corte di Appello di Venezia afferma che i periodi di congedo di maternità vanno conteggiati ai fini dell’avanzamento di carriera
I congedi parentali e quelli di maternità vanno conteggiati nelle ipotesi in cui il contratto collettivo preveda un avanzamento automatico nella carriera, questa l’importante conclusione della Corte di Appello di Venezia. Il caso riguardava una dipendente inquadrata con CCNL per il personale del trasporto aereo e servizi aeroportuali.
La Corte, riprendendo una sentenza della Corte Europea di Giustizia del 6 marzo 2014, ha affermato infatti che i periodi di congedo obbligatorio vanno considerato “effettivo servizio” e sono da conteggiare ai fini degli avanzamenti automatici, se previsti dal contratto.
Infatti osserva che lo stesso principio viene utilizzato per le assenze per malattia, quindi una diversa considerazione violerebbe il principio di non discriminazione. Diverso il caso in cui il contratto non preveda solo la maturazione dell’esperienza lavorativa ma di particolari requisiti professionali che devono però essere specificati in dettaglio.
Fonte Il Sole 24ore Fisco e tasse 16 marzo 2018
www.fiscoetasse.com/rassegna-stampa/24838-anche-il-congedo-di-maternit-per-l-avanzamento-di-carriera.html
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POLITICHE PER LA FAMIGLIA
In Primiero la 9° Convention dei comuni family
La nona Convention dei Comuni amici della famiglia si terrà il giorno 20 aprile, con orario 9.00-13.30, nel comune di Fiera di Primiero. Torna l’appuntamento annuale per parlare di politiche comunali di benessere familiare e per uno scambio di visioni, buone pratiche e riflessioni sul tema. Appuntamento al Palazzo delle Miniere, (piazzetta del Dazio n. 2). Aperte le iscrizioni tramite form online!
Trentino famiglia.it 17 marzo 2018
www.trentinofamiglia.it/Attualita/Archivio-2018/Febbraio/In-Primiero-la-9-Convention-dei-comuni-family
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SEPARAZIONE
Perché dopo la sentenza la causa prosegue?
Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 6145, 14 marzo 2018
In tema di separazione dei coniugi, il giudice istruttore può pronunciarsi subito con sentenza non definitiva laddove la convivenza sia divenuta intollerabile, per poi consentire la prosecuzione del processo per la richiesta di addebito, per l’affidamento dei figli o per le questioni economiche.
Ti stai separando: tu e il tuo ex marito (o moglie) non siete riusciti a trovare un accordo, così avete deciso di farvi causa e di procedere con una separazione giudiziale. Vi siete incontrati una prima volta davanti al Presidente del Tribunale per il tentativo di conciliazione e una successiva davanti a un altro giudice il quale ha dichiarato, già alla prima udienza, di “trattenere la causa a sentenza”, ma di farla proseguire per tutte le altre questioni da decidere come quelle sull’assegno di mantenimento, l’assegnazione della casa e l’abitazione dei figli. Non ci hai capito molto: vorresti che qualcuno ti spieghi nel dettaglio che sta succedendo e perché mai il giudice ha deciso di emettere subito una sentenza quando ancora ci sono i testimoni da sentire e i documenti da produrre. Così ti chiedi perché, dopo la sentenza di separazione, la causa prosegue?
Separazione in due tempi: possibile? Assolutamente sì quando la convivenza è diventata intollerabile e c’è bisogno di autorizzare immediatamente i coniugi a vivere separati e di sciogliere la relativa comunione. Succede così sempre più spesso che la causa si spezzi due, anzi tre, momenti diversi, ciascuno con una propria funzione. A ricordare le regole – scritte peraltro nel codice di procedura civile – è una recente ordinanza della Cassazione.
Ricordiamo che, ogni volta che le parti optano per una separazione consensuale, è sufficiente che si incontrino davanti al Presidente del tribunale il quale, tentata una conciliazione rapida e formale, li dichiara “separati”. Dopo sei mesi possono divorziare.
Se invece non c’è l’accordo, bisogna fare la separazione giudiziale con una vera e propria causa, l’un contro l’altro armati. Questo procedimento inizia con un primo incontro davanti al Presidente del Tribunale; questi, dopo aver tentato una conciliazione, adotta i provvedimenti urgenti in attesa di quelli definitivi che deciderà il giudice della causa vera e propria. Il Presidente quindi determina una misura provvisoria dell’assegno di mantenimento e la collocazione dei figli con il diritto di visita dell’altro genitore. Il giudizio a questo punto procede con il cosiddetto «giudice istruttore», quello cioè che valuterà tutte le prove e adotterà la sentenza definitiva.
Il codice di procedura civile [art. 709bis] stabilisce che «all’udienza davanti al giudice istruttore (…) nel caso in cui il processo debba continuare per la richiesta di addebito, per l’affidamento dei figli o per le questioni economiche, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa alla separazione. Avverso tale sentenza è ammesso soltanto appello immediato che è deciso in camera di consiglio». Dunque la legge consente che il giudice istruttore possa pronunciarsi immediatamente sullo status di separati con sentenza non definitiva per poi consentire la prosecuzione del processo per la richiesta di addebito, per l’affidamento dei figli o per le questioni economiche. Difatti, nel caso in cui la situazione di intollerabilità della convivenza renda matura la decisione in relazione alla separazione, il Tribunale è tenuto a pronunciare sentenza non definitiva, alla quale farà dopo seguito la prosecuzione del giudizio per le altre decisioni. Si tratta di uno strumento di accelerazione dello svolgimento del processo che, sottolineano i giudici, «non determina un’arbitraria discriminazione nei confronti del coniuge economicamente più debole sia perché è sempre possibile richiedere provvedimenti temporanei ed urgenti, sia per l’effetto retroattivo, fino al momento della domanda, che può essere attribuito in sentenza al riconoscimento dell’assegno di divorzio».
Redazione News La Legge per tutti 16 marzo 2018 ordinanza
www.laleggepertutti.it/198049_separazione-perche-dopo-la-sentenza-la-causa-prosegue
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TRIBUNALI ECCLESIASTICI
Aumento delle cause di annullamento dei matrimoni al tribunale ecclesiastico
Sono in netto rialzo sia le domande presentate per l’annullamento dei matrimoni sia le domande accolte dai Tribunali Ecclesiastici. I capi di nullità maggiormente utilizzati per richiedere la nullità sono
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Il “grave difetto di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri essenziali del matrimonio”,
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La “incapacità di assumere obbligazioni essenziali”
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“l’immaturità diffusa, affettiva, umana, psicologica”.
Una indagine nel Tribunale Ecclesiastico Ligure conferma che su 136 cause di richiesta di nullità matrimoniale, 129 sono state accolte; nel Tribunale Triveneto nel 2017 sono state presentate 233 domande in aumento rispetto al 2016 (anno in cui quelle presentate erano state 207) e al 2015 (quelle presentate erano state 168). Sempre nel Triveneto le cause in attesa di sentenza sono 483, in aumento rispetto ai due anni precedenti (2016 -2015) che erano state 352.
Dai dati registrati emerge chiaramente che le coppie che si sposano lo fanno con troppa leggerezza. Il costo della causa di annullamento del matrimonio, tra l’altro, è irrisorio: solo 525 euro e gratis nel caso in cui il richiedente non abbia mezzi sufficienti.
L’aumento di queste cause può ricondursi anche alla comprensione di Papa Bergoglio verso le persone che vogliono risposarsi in Chiesa: a tal proposito, ha infatti creato il processo breve secondo cui non è più necessario presentare la causa in Tribunale ma è sufficiente l’assenso del vescovo della Diocesi competente all’annullamento.
AIAF Newsletter 16 marzo2018
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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI
Ci è mancato l’8 marzo 2018 p. Luigi Lorenzetti
Ricordiamo con tanto affetto e riconoscenza p. Luigi Lorenzetti, che è stato dal 1993 al 2001 membro del Consiglio direttivo e molte volte relatore estremamente stimolante. Era stato operatore nel Consultorio di s. Lazzaro di Savena.
Al Convegno nazionale Ucipem, Frosinone 22/24 giugno 2012, aveva tenuto la relazione Nel mare agitato della famiglia, in un contesto secolare e pluralista, quale è il ruolo dell’operatore?
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Introduzione: famiglia nel mare agitato
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La situazione attuale della famiglia
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Nuovo modo d’intendere il matrimonio e la famiglia
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Alcuni fenomeni emblematici per comprendere la nuova situazione.
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Felicità
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Fedeltà
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Mutato rapporto maschile-femminile
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Nuova cultura familiare postmoderna
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Osservazioni conclusive
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Umanizzare la relazione
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Perché la relazione di coppia?
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Come è la relazione di coppia? (livello descrittivo).
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Come deve essere (livello etico). Lorenzetti: etica per l’oggi
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Consultorio familiare
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Le convinzioni dell’operatore
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Metodo e tecnica della consulenza
Il testo della relazione può essere richiesto in redazione newsucipem@gmail.com
Lorenzetti: etica per l’oggi
Con la morte di Luigi Lorenzetti la teologia morale italiana perde uno dei protagonisti più importanti della stagione postconciliare. E questo non solo per il contributo offerto attraverso il suo insegnamento e la sua produzione scientifica, ma anche per il prezioso lavoro di coordinamento e di stimolo che ha saputo fornire alla ricerca in qualità di direttore della Rivista di teologia morale e di presidente dell’Associazione teologica italiana per lo studio della morale (ATISM).
Precursore del rinnovamento della teologia morale. Non è questa la sede per ripercorrere, in maniera dettagliata, il lungo itinerario intellettuale, che ha lasciato segni preziosi e duraturi nei suoi scritti. Ci saranno in futuro – lo speriamo – altre occasioni per farlo. Ma ci sembra importante evocare qui la sua figura di teologo sapiente, onesto, laborioso, che ha saputo accogliere con entusiasmo e con passione la lezione del rinnovamento teologico e pastorale del Vaticano II, traducendola con tenacia e con pazienza nel proprio impegno quotidiano, tanto nell’ambito della ricerca quanto in quello della divulgazione.
Sì, perché, al di là delle opere peraltro numerose che Lorenzetti ci ha lasciato, non si possono dimenticare le sue collaborazioni a giornali e riviste – prima fra queste Famiglia cristiana –, dove ha saputo affrontare con coraggio questioni delicate e di grande attualità.
Pur essendosi misurato con i nodi critici di tutti gli ambiti della teologia morale – ne sono testimonianza gli editoriali che puntualmente hanno chiuso per molti anni la rubrica Forum della Rivista di teologia morale –, Lorenzetti ha privilegiato nei suoi studi la morale sociale, con un particolare approfondimento dei temi economici e politici, nel solco della dottrina sociale della Chiesa.
La scelta di dare particolare rilevanza a questo ambito, peraltro in passato relegato ai margini, nasceva in lui da uno stimolo interiore, dalla tensione a stare dalla parte dei meno privilegiati, di cui andavano tutelati e promossi i diritti. Il lavoro intellettuale assumeva così anche il significato di una militanza, corroborata peraltro dalla scelta coerente di uno stile di vita, ispirato alla sobrietà fino a limiti dell’austerità.
Mite e di grande umanità. Ma oltre a svolgere egregiamente la funzione di teologo morale, Lorenzetti è stato anche un importante operatore culturale, che si è prodigato nell’opera di coinvolgimento di un numero sempre maggiore di colleghi sia nella redazione della rivista – ha sempre riservato a tale proposito un’attenzione privilegiata ai giovani – sia nella compilazione di opere collettive, quali il Trattato di etica cristiana e il Dizionario di teologia della pace, sia, infine, nella costruzione di numerose collane, che hanno fatto delle Edizioni dehoniane Bologna (EDB) il principale protagonista del rinnovamento della teologia morale in Italia.
Anche in questo caso le radici delle scelte affondavano nel vivo della personalità: egli ha infatti sempre creduto nel lavoro di gruppo, nel rispetto delle competenze e nella pratica della interdisciplinarità e ha saputo soprattutto intessere con semplicità una rete estesa di rapporti, grazie anche alla discrezione e all’amabilità del suo carattere.
Al di là dell’impegno profuso nei vari settori in cui ha operato con tenacia e con rigore professionale, non si può non ricordare la sua grande umanità, frutto della ricchezza del suo mondo interiore. L’asciuttezza del modo con cui si presentava, dovuta alle sue origini montanare, si stemperava immediatamente, quando si aveva la fortuna di accostarlo, e si rimaneva sorpresi dalla radicale disponibilità all’ascolto e alla partecipazione personale. La signorilità del tratto nasceva da una robusta formazione spirituale, che lo induceva a considerare ogni incontro personale come un’occasione di arricchimento e ogni attività come un servizio agli altri.
Non sono mancati nel suo lungo percorso di vita momenti di sofferenza, dettati da incomprensioni, qualche volta pesanti, provenienti anche dall’interno della Chiesa e sempre affrontati con grande nobiltà d’animo. Anche per questa esemplare mitezza, di cui ha dato fino all’ultimo testimonianza – basti ricordare con quale dignità ha affrontato la dolorosa questione della chiusura della Rivista di teologia morale – merita di essere ricordato con sincera gratitudine non solo dai moralisti dell’ATISM, ma più in generale dall’intera comunità ecclesiale e dalla stessa società italiana, alla quale ha offerto un importante contributo di riflessione per la costruzione di una convivenza civile libera e solidale.
Giannino Piana Moralia Blog 12 marzo 2018
www.ilregno.it/moralia/blog/lorenzetti-etica-per-loggi-giannino-piana
vedi purewww.lastampa.it/2018/03/09/vaticaninsider/ita/news/luigi-lorenzetti-pioniere-del-rinnovamento-della-teologia-morale-DxSwPipvCdCZ35rw4SGgtO/pagina.html
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