UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 692 – 11 marzo 2018
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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01 ADDEBITO Addebito della separazione per infedeltà.
02 ADOZIONE INTERNAZIONALE Il rilancio dell’adozione passa dai protocolli regionali.
03 ADOZIONI I primi numeri (non positivi) del 2018 in Italia.
04 ADOZIONI INTERNAZIONALI Primi dati CAI 2018 mostrano la crisi drammatica che ha colpito.
05 AFFIDO CONDIVISO Anche se la madre soffre di disturbi della personalità.
05 AMORIS LÆTITIA Kasper: fedeli hanno capito Amoris lætitia, basta accuse di eresia.
06 BIBBIA Le traduzioni italiane della Bibbia.
085 “Pater noster” senza pace. È scontro fra le traduzioni.
09 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n.8, 7 marzo 2018.
11 CONSULTORI FAMILIARI Roma. Al Quadraro. Disegno bambini, specchio vissuto familiare.
12 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Rimini. La relazione legame costitutivo.
12 Corso di Formazione “Il Consultorio al Servizio della Famiglia”.
14 DALLA NAVATA IIIDomenica di Quaresima – Anno B –4 marzo 2018.
14 Commento di E. Bianchi.
15ENTI TERZO SETTORE Per la costituzione di nuove associazioni è già da inserire la sigla?
16 FRANCESCO VESCOVO DI ROMAI primi cinque anni del Papa degli ultimi.
16 Kasper: Francesco profeta di misericordia per il mondo.
19 Dal Papa spinta a superare opposizione tra Chiesa e storia
20 GENITORI Cinque problemi nel matrimonio che fanno molto male ai figli.
21 HUMANÆ VITÆ Il carteggio. Su HV Wojtyla chiedeva più rigore a Montini.
22 L’assedio a HV ha registrato due nuovi assalti. Ma un contrattacco.
24 A 40 anni dall’enciclica Humanæ vitæ– 25 luglio 1968.
25 POLITICHE PER LA FAMIGLIA R.Piemonte vara bando per aiutare il ritorno al lavoro delle mamme
26 UCIPEM 25° Congresso a Castel San Pietro Terme (BO) – 4-6 maggio 2018.
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ADDEBITO
Addebito della separazione per infedeltà
Le conseguenze dell’addebito della separazione per tradimento: mantenimento, eredità, indennità previdenziali. Lo stato di bisogno del coniuge traditore. Sei sposata e hai scoperto che tuo marito ti ha tradito. Ebbene se è noto che il matrimonio non sempre si caratterizza per la fedeltà tra i coniugi, è altrettanto risaputo che la “scappatella”, piuttosto che la vera e propria relazione extraconiugale sono certamente di difficile tollerabilità per chi le subisce. Per questo motivo vuoi la separazione con addebito: in sostanza l’addebito della separazione per infedeltà dell’altro coniuge è possibile?
Addebito della separazione per infedeltà: tradimento. Quando ci sposiamo, firmiamo un vero e proprio contratto con il nostro coniuge, con tanto di diritti e doveri. In particolare, essi sono elencati dalla legge [Art. 143 cod. civ.]. Tra questi c’è quello relativo alla fedeltà reciproca. Il tradimento, pertanto, è una palese violazione dei doveri nascenti dal matrimonio. Il giudice che decide sulla separazione, potrebbe addebitare la stessa al traditore. Egli, in sostanza, verrebbe indicato come il responsabile del fallimento del rapporto, per aver violato i doveri coniugali, ed in virtù di ciò, sarebbe chiamato a subire tutta una serie di conseguenze, che esamineremo oltre. Quindi, con il tradimento è possibile subire l’addebito della separazione per infedeltà.
Addebito della separazione per infedeltà: è automatico? La “scappatella” o una relazione più sistematica potrebbero essere indice di una crisi coniugale già in atto e non provocata, quindi, dal tradimento stesso. In altri termini, se i problemi della coppia sono dovuti ad altre ragioni (non ultimo il frequente venir meno, con gli anni, dell’affetto tra i coniugi), andare a letto con un altro, anche se moralmente inaccettabile, non può essere qualificato in modo così grave da giustificare l’addebito della separazione. Lo ha confermato recentemente un Tribunale di merito [Larino sent. n. 398/2017],
www.responsabilecivile.it/tag/sentenza-numero-3982017
giustificando, in questo senso, la doppia vita sessuale di un uomo. Se invece è stato proprio il tradimento, magari occasionale, a scatenare la crisi di coppia, l’addebito appare ammissibile ed inevitabile. Ovviamente sarà compito ed onere del coniuge infedele provare, nel giudizio di separazione, che la propria infedeltà non ha provocato alcuna crisi, essendo quest’ultima già avvenuta per altri motivi [Corte di Cassazione, Sez. I Civile, Sentenza n.10823, 25 maggio 2016] www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=12767#.WqaNo-dG2q0
Addebito della separazione per infedeltà: le conseguenze. Ebbene, sappiate che se avete tradito il vostro partner e ciò ha messo in crisi il vostro rapporto, portandolo alla separazione, dovete essere pronti a fasciarvi la testa.
L’assegno di mantenimento. La prima e più grave conseguenza è quella della perdita dell’assegno di mantenimento. A tal proposito, è noto che il cosiddetto “coniuge più debole” (ad esempio, una casalinga) ha diritto al mantenimento a carico dell’altro. Ebbene se ha provocato la separazione, il coniuge infedele perde tale possibilità, anche se ne avrebbe diritto [Art. 156 cod. civ.].
La successione ereditaria e previdenziale. Altra grave perdita è quella dei diritti ereditari. Il traditore o la traditrice che con la propria relazione hanno provocato la separazione, subendone l’addebito, non possono succedere al proprio coniuge alla morte di quest’ultimo. Inoltre, al coniuge responsabile della rottura del matrimonio non spetta alcun diritto in materia previdenziale (ad esempio la pensione di reversibilità). Infine, il coniuge che ha subito la separazione potrebbe agire, in risarcimento [Art. 2043 cod. civ.], contro il traditore responsabile della crisi coniugale.
Addebito della separazione per infedeltà: lo stato di bisogno. La moglie infedele o il marito traditore, a seguito della separazione addebitata, potrebbero versare in uno stato di bisogno. In tal caso, nonostante siano stati individuati come responsabili, hanno comunque diritto ad un assegno alimentare a carico dell’altro coniuge. In presenza di questa circostanza (lo stato di bisogno e l’assegno alimentare), alla morte del partner incolpevole, avranno, comunque, diritto ad un assegno successorio, così come alle prestazioni previdenziali di cui sopra.
Addebito per infedeltà: il mantenimento dei figli. L’addebito della separazione non influisce sul versamento del mantenimento a favore dei figli, eventualmente e prevalentemente affidati al coniuge che ha subito l’addebito della separazione per infedeltà. Infatti, il dovere di mantenere, educare ed indirizzare i propri figli grava sempre su entrambi i coniugi, ivi compreso quello incolpevole circa la rottura del matrimonio. Pertanto, questi, se non sarà l’affidatario dei figli, avrà, comunque, l’onere di versare il mantenimento proporzionalmente dovuto per la sua prole.
Marco Borriello La legge per tutti 9 marzo 2018
www.laleggepertutti.it/127522_addebito-della-separazione-per-infedelta
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
Il rilancio dell’adozione passa dai protocolli regionali, ma solo 10 regioni li hanno promossi
Attualmente sono meno del 50% le realtà regionali che hanno provveduto ad assolvere a quanto previsto dalla legge 476/1998, secondo cui “le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano” dovrebbero promuovere “la definizione di protocolli operativi e convenzioni fra enti autorizzati e servizi, nonché forme stabili di collegamento fra gli stessi e gli organi giudiziari minorili.“
Questo ‘vuoto’ normativo fa sì che i servizi socio-assistenziali degli enti locali, singoli o associati, relativi alle procedure per l’adozione internazionale, non di rado non funzionino o comunque non siano strutturati in modo adeguato per offrire risposte certe e accompagnamento alle coppie che decidono di adottare un bambino abbandonato. Probabilmente non sarà percepito come il problema più grave in una fase particolarmente difficile della vita del sistema-adozione internazionale: eppure, la ‘svista’ di più della metà delle Regioni italiane sul fronte del recepimento di quanto indicato, ormai ben 20 anni fa, attraverso la legge 476/1998, a ben guardare appare clamorosa.
In quel dettato normativo, infatti, era previsto che “le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano“ avrebbero dovuto promuovere “la definizione di protocolli operativi e convenzioni fra enti autorizzati e servizi, nonché forme stabili di collegamento fra gli stessi e gli organi giudiziari minorili“ (art. 39-bis, lettera ‘c’). Protocolli utili per favorire lo sviluppo compiuto di “una rete di servizi in grado di svolgere i compiti previsti dalla presente legge” (lettera ‘a’) e vigilare “sul funzionamento delle strutture e dei servizi che operano nel territorio per l’adozione internazionale, al fine di garantire livelli adeguati di intervento” (lettera ‘b’).
Dati alla mano invece, così come sono stati presentati dai portavoce dei 20 Enti Autorizzati nel corso della Conferenza ‘Adozioni internazionali: un bene per tutti’ dello scorso febbraio a Roma, la risposta a questa richiesta in molti degli enti locali (oltre il 50%) chiamati ad assolverla tarda ancora ad arrivare. E non è solo una pedissequa questione ‘giurisprudenziale’: senza il recepimento operativo e omogeneo per tutte le Regioni dei protocolli regionali per l’adozione internazionale, infatti, il rischio è che in Italia vi siano Regioni a differenti ‘velocità’ e grado di efficienza sul fronte dell’adozione internazionale, da cui derivano situazioni molto differenti per le coppie che decidono di adottare in base a dove risiedono.
Ecco perché, tra le proposte di ampio respiro promosse durante la Conferenza, c’era anche quella di realizzare finalmente questi protocolli operativi regionali nel resto delle Regioni che ancora non li hanno e, ove possibile, di avviare un processo di uniformazione di quelli esistenti, se necessario attraverso un intervento della Conferenza Stato-Regioni, per ‘limare’ le differenze attualmente presenti.
Solo a questo punto, come indicato all’Articolo 29-bis, comma 4 della legge citata, sarà possibile avere un percorso di reale efficienza e sostegno alle aspiranti famiglie adottive quanto a “informazione sull’adozione internazionale e sulle relative procedure, sugli enti autorizzati e sulle altre forme di solidarietà nei confronti dei minori in difficoltà, anche in collaborazione con gli enti autorizzati di cui all’articolo 39-ter; preparazione degli aspiranti all’adozione, anche in collaborazione con i predetti enti; acquisizione di elementi sulla situazione personale, familiare e sanitaria degli aspiranti genitori adottivi, sul loro ambiente sociale, sulle motivazioni che li determinano, sulla loro attitudine a farsi carico di un’adozione internazionale, sulla loro capacità di rispondere in modo adeguato alle esigenze di più minori o di uno solo, sulle eventuali caratteristiche particolari dei minori che essi sarebbero in grado di accogliere, nonché acquisizione di ogni altro elemento utile per la valutazione da parte del tribunale per i minorenni della loro idoneità all’adozione“.
Perché nell’attuale contesto nazionale, per chi sceglie coraggiosamente di restituire dignità all’infanzia abbandonata nel mondo lo Stato non può agire ‘tartassando’, giudicando o restando assente, ma piuttosto guidando, accompagnando e sostenendo questa scelta profumata di futuro dei futuri genitori adottivi.
News Ai. Bi. 7 marzo 2018
www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-unbenextutti-rilancio-delladozione-passa-dai-protocolli-regionali-solo-10-regioni-li-promossi
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ADOZIONI
Adozioni: i primi numeri (non positivi) del 2018 in Italia
L’andamento delle adozioni in Italia anche per l’inizio, seppur breve, di questo nuovo anno confermano l’andamento registrato nel corso del 2017, quando si è evidenziato un calo del 32% rispetto ai dati del 2015 dichiarati dagli enti ufficiali. Tra i motivi più rilevanti di questa diminuzione delle adozioni svetta sicuramente la crisi economica che condiziona coppie e famiglie in una scelta già così importante e delicata.
L’incertezza del futuro in termini di lavoro, inflazione e spese in generale ha fatto sì che dalle 16 mila richieste del 2006 si sia arrivati a sole 3.500 nel 2010, con dati ad oggi che, anche se parziali, confermano il trend decisamente negativo.
Cosa spaventa dell’adozione? Ma alla incerta situazione economica, che interessa la maggior parte della popolazione, vanno ad aggiungersi problematiche già segnalate da tempo dalle associazioni che si occupano di preparare le coppie all’adozione: dai costi che si devono sostenere per viaggi e pratiche necessari (soprattutto nel caso di adozione internazionale) fino all’estrema lunghezza dell’iter che porta all’affidamento definitivo del bambino.
Anche la normativa vigente non risulta adeguata alla situazione attuale dei bambini a cui si deve trovare una famiglia in cui crescere. Ed infine un’ulteriore difficoltà, non ultima per importanza, è il fatto che in Italia l’adozione rimane un argomento di cui poco si parla, per la quale non viene sensibilizzata la popolazione in generale, in poche parole una questione che riguarda solo chi intraprende quel percorso senza valorizzare il fatto dell’enorme impatto positivo che produce sulla società in generale.
Per la mentalità collettiva un bambino adottato è ancora un bambino con bisogni speciali e chi pensa di intraprendere questo percorso deve fare i conti con la paura di non trovare il giusto supporto nella scuola pubblica e nelle istituzioni in generale, con la conseguenza di dover far ricorso a spese per specialisti come logopedisti e psicologi per poter sostenere l’inserimento di queste creature in una nuova famiglia e in nuovi nuclei di aggregazione come sono la scuola, lo sport e tutte le varie attività del tempo libero.
Elena 7 marzo 2018 www.mamme.it/adozioni-calo-2018-italia
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ADOZIONI INTERNAZIONALI
Primi dati CAI 2018 mostrano la crisi drammatica che ha colpito il sistema. La svolta si chiama gratuità
Come denunciato dai 20 Enti Autorizzati che hanno promosso la Conferenza in Senato ‘Adozioni internazionali: un bene per tutti’ del 15 febbraio 2018 scorso, sono tanti gli indicatori che evidenziano un crollo ormai quasi irreversibile nel numero di procedure e di famiglie disponibili all’adozione senza un sostegno concreto. La crisi economica, con l’incertezza per il futuro lavorativo, l’inflazione e le spese in generale, risulta essere il motivo più rilevante di questa difficoltà, che ha portato a inizio 2018 alla conferma di un calo del 32% nel numero di adozioni fatto registrare lo scorso anno, rispetto ai dati 2015 dichiarati dagli Enti Autorizzati. E dalle 16mila richieste del 2006 si è passati a 3.500 nel 2010, tendenza confermata anche oggi
Adozione internazionale, prosegue il calo: -32% tra 2017 e 2018, confermato anche dai primi dati CAI di quest’anno. C’è la conferma nei dati della crisi del sistema dell’adozione nel nostro Paese: i primi numeri diffusi dalla Commissione per le Adozioni Internazionali (CAI) rispetto al 2018, infatti, dimostrano che le difficoltà di cui soffre l’universo adottivo in Italia sono ormai quasi irreversibili.
Proprio quello che avevano denunciato il 15 febbraio scorso, nel corso di una Conferenza in Senato sul tema ‘Adozioni internazionali: un bene per tutti’, 20 Enti Autorizzati, chiedendo a gran voce il sostegno del mondo politico verso quest’alta forma di genitorialità che, tuttavia, a differenza di tutte le altre, ancora non è riconosciuta e promossa in concreto come tale dallo Stato.
La svolta, come ripetuto dai portavoce degli Enti Autorizzati, si chiama gratuità. Ed è proprio questa la richiesta urgente che l’intero sistema fa al Governo che verrà, confermata dai numeri resi pubblici dalla CAI nei giorni scorsi: a inizio 2018 prosegue il trend fortemente negativo nel numero di adozioni in Italia, un -32% rispetto ai dati 2015 degli Enti Autorizzati che era già stato registrato lo scorso anno. A questo si affianca il crollo nei numeri delle coppie disponibili all’adozione, che è passato dalle 16mila del 2006 a meno di 3.500 nel 2010, cifra peraltro sovrapponibile anche alle richieste odierne.
Le ragioni di questa sfiducia? Eminentemente economiche: l’incertezza rispetto al futuro lavorativo, all’inflazione e alle spese in generale, unita ai costi che si devono sostenere per viaggi e pratiche necessari (soprattutto nel caso dell’adozione internazionale), all’estrema lunghezza dell’iter adottivo e a una normativa non adeguata all’attuale situazione dei bambini a cui si deve trovare una famiglia in cui crescere.
Ma non va dimenticata, infine, anche la disattenzione culturale e informativa sull’adozione, argomento di cui troppo poco si parla nel nostro Paese e per il quale la popolazione non viene sensibilizzata sull’enorme impatto positivo che produce sulla società. #Unbenepertutti, insomma, anche se non tutti ancora lo sanno.
E invece, per la mentalità collettiva, un minore adottato è ancora un bambino con bisogni speciali e chi pensa di intraprendere questo percorso deve fare i conti con la paura di non trovare il giusto supporto nella scuola pubblica e nelle istituzioni in generale, con la conseguenza di dover far ricorso a spese per specialisti, come logopedisti e psicologi per poter sostenere l’inserimento di queste creature in una nuova famiglia e in nuovi nuclei di aggregazione come sono la scuola, lo sport e tutte le varie attività del tempo libero.
L’attesa verso la gratuità per chi sceglie questa alta forma di genitorialità è durata fin troppo. Ormai i tempi sono davvero stretti prima di rischiare il default definitivo del sistema.
Fonte: Mamme.it News Ai. Bi. 8 marzo 2018
www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-primi-dati-cai-2018-mostrano-la-crisi-drammatica-colpito-sistema-la-svolta-si-chiama-gratuita
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AFFIDO CONDIVISO
Anche se la madre soffre di disturbi della personalità
Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 5096, 5 marzo 2018.
https://www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_29477_1.pdf
Per la Corte di cassazione, la circostanza che uno dei genitori sia affetto da disturbi della personalità che si manifestano con condotte aggressive e violente non è di per sé sufficiente a giustificare una deroga al regime ordinario dell’affidamento condiviso dei figli.
Tale regime infatti, come si legge nella sentenza citata, “non involge il rapporto quotidiano fra genitori e figli, ma rileva soltanto nelle sporadiche occasioni di decisioni di particolare importanza”.
Di conseguenza, se tali decisioni possono essere compiute a prescindere dai disturbi della personalità (come avviene quando, come nel caso deciso dai giudici, la malattia si manifesta soltanto in situazioni di grave stress), nulla esclude che l’affidamento sia condiviso tra la madre e il padre.
Le accortezze necessarie per tutelare i minori, semmai, sono altre e si possono concretizzare, ad esempio, nel collocare i piccoli presso il genitore non affetto da disturbi della personalità e avendo cura di disciplinare adeguatamente i loro incontri settimanali con il genitore affetto da simili patologie.
La vicenda. Nella vicenda sottoposta all’attenzione della Corte, gli incontri dei figli con la madre, che aveva manifestato, in condizioni di stress, atteggiamenti violenti e aggressivi, si svolgevano due a casa della donna ma sotto la vigilanza dei servizi sociali e il terzo presso il servizio di neuropsichiatria infantile. Per i giudici tanto basta a tutelare i minori e l’affidamento resta condiviso.
Valeria Zeppilli – Newsletter Giuridica Studio Cataldi 8 marzo 2018
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AMORIS LÆTITIA
Kasper: fedeli hanno capito Amoris lætitia, basta accuse di eresia
Intervista con il porporato tedesco sull’Esortazione apostolica post-sinodale sulla famiglia e sul dibattito che ha suscitato nel mondo cattolico. Il cardinale Walter Kasper compie oggi 85 anni. Presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e teologo di fama internazionale, il porporato tedesco presenterà domani, a Roma, assieme all’arcivescovo Vincenzo Paglia, il suo ultimo libro “Il Messaggio di Amoris lætitia. Una discussione fraterna”, edito dalla Queriniana.
Il cardinale Walter Kasper si sofferma – in questa intervista con Vatican News – proprio sul dibattito suscitato dall’Esortazione apostolica di Papa Francesco e sui frutti di Amoris lætitia per le famiglie.
D. – Cardinale Kasper, nelle prime pagine del suo libro, lei sottolinea che Amoris lætitia non è una dottrina nuova, ma un rinnovamento creativo della tradizione. Può spiegare questo punto?
R. – La tradizione non è un lago stagnante, ma è come una sorgente, un fiume: è una cosa vivente. La Chiesa è un organismo vivente e così si deve tradurre la sempre valida tradizione cattolica nell’attuale situazione. Questo è il senso dell’aggiornamento di cui aveva parlato Papa Giovanni XXIII.
D. – Il sottotitolo del suo libro è: “Una discussione fraterna”. Scrive anche che non bisogna avere paura delle discussioni, però aggiunge che “non c’è posto per l’accusa di eresia”. Cosa la colpisce di questo dibattito così accesso che è seguito alla pubblicazione di Amoris lætitia?
R. – Prima di tutto vorrei dire che i dibattiti nella Chiesa sono necessari; non bisogna averne paura! Ma c’è un dibattito troppo acerbo, troppo forte, con l’accusa di eresia. Un’eresia è un tenace atteggiamento che nega un dogma formulato. La dottrina dell’indissolubilità del matrimonio non è messa in questione da parte di Papa Francesco! Prima di dire che si tratta di eresia bisognerebbe sempre chiedersi come intende l’altro una sua affermazione. E, prima di tutto, bisognerebbe presuppore che l’altro sia cattolico e non supporre il contrario!
D. – Proprio parlando della contestata “Nota 351” di Amoris lætitia sull’ammissione ai Sacramenti dei divorziati e risposati, lei afferma nel libro che questa nota andrebbe letta alla luce del Decreto del Concilio di Trento sull’Eucaristia. Per quale ragione?
R. – Il Concilio di Trento dice che nel caso in cui non ci sia un peccato grave, ma di natura veniale, l’Eucaristia toglie questo peccato. Peccato è un termine complesso. Non è soltanto il precetto oggettivo, ma c’è anche l’intenzione, la coscienza della persona, e si deve vedere nel foro interno – nel Sacramento della Penitenza – se c’è veramente un peccato grave o forse un peccato veniale o forse nulla. Se è soltanto un peccato veniale, la persona può essere assolta ed essere ammessa al Sacramento dell’Eucaristia. Questo corrisponde già alla dottrina di Papa Giovanni Paolo II e, in questo senso, Papa Francesco è in piena continuità sulla scia aperta dal Papa precedente. Non vedo ragione allora per dire che questa sia un’eresia.
D. – Qual è l’aiuto più grande che, secondo lei, Amoris lætitia dona alle famiglie di oggi? Come si può far “camminare” questo documento nella vita quotidiana delle famiglie?
R. – Conosco alcune parrocchie, anche qui a Roma, che fanno dei raduni con sposati o nubendi che sono in preparazione al matrimonio e leggono alcune parti di questa Esortazione Apostolica. Il linguaggio di questo documento è così chiaro che ogni cristiano lo può capire. Non è alta teologia incomprensibile per la gente. Il Popolo di Dio è molto contento, è lieto di questo documento perché dà spazio alla libertà, ma interpreta anche la sostanza del messaggio cristiano in un linguaggio comprensibile. Quindi il Popolo di Dio capisce! Il Papa ha un’ottima alleanza con il Popolo di Dio.
D. – Come è noto a tutti, nel suo primo Angelus da Papa, Francesco citò il suo libro intitolato “Misericordia”. Perché, secondo lei, la misericordia è così importante in questo Pontificato, anche guardando al mondo delle famiglie?
R. – Oggi viviamo un tempo di violenza inedita nel mondo. Molte persone sono ferite. Anche nei matrimoni ci sono molte ferite. La gente ha bisogno della misericordia, dell’empatia, della simpatia della Chiesa in questi tempi difficili in cui viviamo oggi. Penso che la misericordia sia la risposta ai segni del nostro tempo.
Alessandro Gisotti – Vatican News 5 marzo 2018
www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2018-03/kasper–fedeli-apprezzano-amoris-laetitia–basta-accuse-di-eresi.html
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BIBBIA
Le traduzioni italiane della Bibbia
Come si racconta nel capitolo 8 del libro di Neemia, quando avvenne il ritorno in terra di Israele degli esiliati a Babilonia (fine VI secolo a.C.), il sacerdote Esdra presentò al popolo la Torah scritta in un rotolo, frutto di una redazione sacerdotale avvenuta durante quel periodo di circa settant’anni di cattività. A Gerusalemme, presso la porta delle Acque, sulla piazza, non essendo ancora stato ricostruito il tempio, Esdra fece la lettura dell’intera Torah fin dall’alba, su un ambone costruito appositamente.
È la prima proclamazione liturgica delle sante Scritture attestata nella Bibbia. Subito però si pose un problema. La prima porzione dei libri santi, la Torah era scritta in ebraico, ma il popolo, dopo i decenni di mescolanza con altre genti, non lo comprendeva più, perché la lingua si era evoluta ed era mutata, diventando nella vita quotidiana l’aramaico. Allora con molto buon senso umano e intelligenza spirituale Esdra chiamò accanto a sé dei “traduttori” che “leggevano il libro della Torah di Dio a brani distinti e spiegavano il senso, e così facevano comprendere la lettura” (Ne 8,8). Quel giorno benedetto segnò l’inizio della liturgia della Parola, fu un grande giorno di festa in cui il popolo poté ascoltare la parola del Signore e rinnovare l’alleanza con lui.
Qualcosa di analogo avvenne solo molto tardi nel cattolicesimo. La chiesa d’occidente, avendo ricevuto le Scritture in ebraico e in greco, subito le tradusse in latino; ma quando il latino si sviluppò nelle lingue volgari (italiano, francese, spagnolo…), la chiesa cattolica tardò alcuni secoli ad esaudire il desiderio di poter leggere e comprendere nella propria lingua quei testi che contenevano la parola di Dio.
Questa situazione significò anche per l’Italia un lungo esilio della Parola dal popolo cristiano e quindi una caduta di interesse e di pratica del contatto con la Bibbia. La parola di Dio non era certo assente nella liturgia della chiesa, ma non raggiungeva, se non attraverso mediazioni, il popolo dei credenti quotidiani.
Chiariti questi elementi preliminari, non è facile illustrare in poche pagine la vicenda delle traduzioni della Bibbia nel nostro paese. Alcuni dati, però, possono essere sufficienti a fornirci una consapevolezza della relazione tra i cattolici e la Bibbia prima del rinnovamento della vita ecclesiale voluto e avviato dal concilio Vaticano II, cinquant’anni fa. È noto che la chiesa antica tradusse i testi sacri dell’Antico Testamento, innanzitutto accogliendo la versione greca dei LXX, successivamente importante anche per gli autori del Nuovo Testamento.
In seguito Girolamo (347-420), grande erudito che da Roma si recò nel deserto di Giuda, presso Betlemme, per vivere una vita radicalmente cristiana, imparò l’ebraico anche alla scuola di rabbini e tradusse così in latino l’Antico Testamento dall’originale oltre che il Nuovo Testamento dal greco. Convinto dell’importanza della “verità ebraica”, cercò di far adottare la sua versione (la Vulgata) alla chiesa, che a poco a poco acconsentì, salvo che per il libro dei Salmi: nella liturgia esso rimase fino al Vaticano II quello tradotto in latino secondo il greco dei LXX.
Quanto al rapporto tra popolo di Dio e sante Scritture, la situazione si fece nuovamente difficile nei secoli dell’emergenza delle lingue volgari, tra il XIII e il XIV secolo. Si cominciarono a tradurre alcuni libri biblici e il lezionario festivo della chiesa, ma sempre dal latino della Vulgata, non essendovi la possibilità di studi relativi all’ebraico.
Solo alla metà del XIV secolo si giunse alla traduzione dell’intero Nuovo Testamento in volgare italiano, sulla base di alcune versioni precedenti. Ma la grande rivoluzione avvenne con l’invenzione della stampa, che mutò profondamente la possibilità dell’accesso diretto al testo biblico. La prima Bibbia stampata fu quella del monaco camaldolese Niccolò Malerbi (Venezia, 1° agosto 1471), che tradusse in lingua volgare tutti i testi biblici. Questo evento suscitò un’entusiastica accoglienza della Bibbia, e fu seguito, pochi mesi dopo, dalla pubblicazione, sempre a Venezia, della cosiddetta Bibbia jensoniana, opera di un anonimo. Nel 1532, ancora a Venezia, apparve la Bibbia tradotta dal fiorentino Antonio Brucioli, ben presto condannata dall’inquisizione di santa romana chiesa. Essa però, secondo il filologo Bruno Chiesa, costituì “una tappa fondamentale per la diffusione della Bibbia in italiano”, anche perché provvista di un ampio commento esegetico.
Ma su questa primavera doveva giungere una gelata repentina: nel 1559, sotto Paolo IV, venne edito l’Indice dei libri proibiti, che poneva severi limiti alla possibilità di stampare, possedere, diffondere e leggere la Bibbia! Da quel momento, di fatto, anche in virtù della divisione ormai consumatasi tra protestanti e cattolici, la chiesa cattolica nutrì verso la Bibbia sospetti e diffidenze: non era stata proprio la Bibbia a essere uno dei fondamenti della riforma voluta da Lutero, secondo il principio “sola Scriptura”? Dunque, anche per ragioni di polemica verso “l’eresia protestante”, la Bibbia entrò in quelli che, quanto alla sua presenza nella chiesa cattolica, possiamo definire “secoli bui” (XVII-XVIII). Venne proibita ai cattolici la lettura della Bibbia nelle lingue volgari, mentre in ambito protestante Giovanni Diodati (1576-1649), ebraista ed esperto di lingue antiche, nel 1607 fece stampare a Ginevra la traduzione in italiano dell’intera Bibbia dai testi originali. Questa versione fu un evento decisivo, e non caso l’opera del Diodati conobbe varie ristampe. Come in seguito riconoscerà Alberto Vaccari, si tratta di un’opera pregevole “per la chiarezza e l’indipendenza di giudizio non comune”. Fu diffusa in Italia in forma clandestina e incontrò, come ci si poteva aspettare, una forte opposizione da parte cattolica.
Più di un secolo dopo l’abate Antonio Martini (1720-1809), in seguito arcivescovo di Firenze, intraprese una traduzione della Bibbia in italiano, basandosi però sul latino della Vulgata. Quest’opera ebbe grande diffusione, ma nel 1820 Pio VII con un decreto la condannò, insieme a tutte le altre versioni italiane esistenti.
Da questi dati è evidente come nei secoli dopo la riforma il rapporto tra chiesa cattolica e Bibbia sia stato molto tormentato. La polemica antiprotestante ha certamente impedito alla chiesa cattolica di giungere a un’importante consapevolezza: con questo rifiuto di tradurre la Bibbia, essa ha a lungo privato i suoi fedeli di una ricchezza inestimabile in termini di vita spirituale. Accecata dallo scisma che aveva diviso la cristianità occidentale, la chiesa cattolica non era più in grado di discernere che il privare il popolo della parola di Dio contenuta nelle Scritture contribuiva a mantenerlo in una situazione di fede immatura, di scarsa soggettività, di mera obbedienza alla parola del magistero. Non è un caso che più volte si è sentito dire da molti cattolici, vescovi inclusi: “Noi abbiamo il papa che ci dice la parola di Dio e non abbiamo bisogno della Bibbia”. Oppure, come affermato ancora recentemente da un vescovo italiano: “La Bibbia è la chiesa”. Una nuova dinamica è rinata però nel secolo scorso: finalmente la primavera!
All’inizio del secolo, difficoltà dovute alla paura del modernismo impedivano ancora di tradurre la Bibbia, ma la “Pia Società San Girolamo per la diffusione dei Vangeli” cominciò a invertire tale tendenza con la pubblicazione di una traduzione dei quattro vangeli e degli Atti degli apostoli dall’originale greco (1902).
Seguirono ancora attacchi da parte della Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti, nel 1903 e 1904, e poi di Pio X nel 1907, che chiesero una correzione di quest’opera contro possibili derive moderniste. E se in ambiente protestante apparve una nuova traduzione curata dal pastore valdese Giovanni Luzzi, tra il 1921 e il 1930, subito si scatenò al riguardo la condanna cattolica e il rinnovato divieto di leggere una traduzione della Bibbia fatta da autori non cattolici.
Fu il già citato Alberto Vaccari il primo a compiere una traduzione in italiano dai testi in lingua originale, su richiesta di Pio X, opera che giunse compimento solo alla fine degli anni ’50. Sempre in questi anni, come dimenticare la fatica e lo sforzo delle suore paoline (chiamate suore ambulanti), che passavano di casa in casa per vendere la Bibbia? È grazie a loro che nella mia infanzia mi fu donata una grande Bibbia in tre volumi, tradotta da Eusebio Tintori, che divenne per me il libro di tutta una vita.
Dagli anni ’50 in poi molte sono state le traduzioni italiane della Bibbia, tra cui vanno segnalate quelle più diffuse: la Bibbia tradotta da Fulvio Nardoni (Libreria Editrice Fiorentina 1960), pregevole anche se troppo ricca di fiorentinismi; la Bibbia coordinata da Salvatore Garofalo (Marietti 1963); la Bibbia pubblicata dalle
Edizioni Paoline (1958), non certo di alta qualità.
In seguito alla riforma liturgica conciliare, si impose l’esigenza di una nuova versione italiana della Bibbia, pubblicata a cura della CEI nel 1971 (editio princeps), rivista e riedita successivamente in varie tappe, con l’approdo finale all’edizione tuttora in uso, del 2008. Oggi la Bibbia è presente nella vita della chiesa, soprattutto nella liturgia, che propone al popolo di Dio nei diversi tempi liturgici la maggior parte dei testi biblici.
Si pensi anche alla diffusione dei corsi biblici, a partire dagli anni ’60, e alla lectio divina dagli anni
’70. Certo, il panorama italiano delle traduzioni bibliche è ancora insoddisfacente. Se in Francia si può trovare sui banchi delle librerie una buona varietà di traduzioni bibliche (versioni cattoliche, protestanti o ecumeniche, come la TOB), in Italia, dopo l’edizione ufficiale della Bibbia CEI, di fatto sono scomparse le altre traduzioni, effettivamente invecchiate, e non ne sono apparse di nuove.
Anche per questo ho assunto l’impegno di coordinare il progetto di una nuova traduzione della Bibbia dai testi originali. Un’equipe di circa quindici biblisti, tra i più esperti del nostro paese, sta lavorando per realizzare entro qualche anno una traduzione della Bibbia non confessionale che, in piena fedeltà all’originale, presenti un linguaggio comprensibile ed eloquente per l’uomo e la donna di oggi.
La Bibbia, nella sua unità di Antico e Nuovo Testamento, è una piccola biblioteca di 72 libri. È stata composta in un arco temporale di circa dodici secoli, in un’estensione geografica che va dall’antica Babilonia a Roma. È scritta in tre lingue: ebraico, aramaico e greco. Il testo ebraico e aramaico dell’Antico Testamento è stato tradotto in greco nel III-II a.C. ad opera di eruditi ebrei di Alessandria d’Egitto. È la cosiddetta versione dei LXX (Settanta), a cui sono seguite altre versioni, tra cui le più famose sono quelle di Simmaco, Aquila e Teodozione.
Gli autori del Nuovo Testamento hanno citato l’Antico secondo la versione dei LXX, dunque la chiesa dei primi secoli si è servita nella liturgia di questa venerabile versione greca. Essa è stata tradotta in latino innanzitutto nella Vetus Latina. Tra la fine del IV e l’inizio del V secolo san Girolamo, secondo il principio della “verità ebraica”, ha tradotto il testo ebraico in latino, nella cosiddetta Vulgata.
Enzo Bianchi in “Credere” del 3 settembre 2017
Ripreso il 1 marzo 2018 da www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201803/180301bianchi.pdf
www.monasterodibose.it/fondatore/articoli/articoli-su-riviste/11830-le-traduzioni-italiane-della-bibbia
“Pater noster” senza pace. È scontro fra le traduzioni.
“Questa è una traduzione non buona”, ha tagliato corto papa Francesco, nel commentare in tv lo scorso 6 dicembre 2017 la traduzione in uso in Italia della frase del “Pater noster” che in latino suona: “Et ne nos inducas in tentationem”.
In Italia, la traduzione recitata o cantata durante le messe è ricalcata sul latino quasi alla lettera: “E non c’indurre in tentazione”. Così come anche la versione inglese in uso negli Stati Uniti: “And lead us not into temptation”.
Ed è proprio questo il tipo di versione che a Francesco non piace. Il motivo – ha spiegato dagli schermi di TV 2000, il canale dei vescovi italiani, mimando il gesto di spingere e far cadere– è che “non è Lui, Dio, che mi butta alla tentazione, per poi vedere come sono caduto. No, il Padre non fa questo, il Padre aiuta ad alzarsi subito. Quello che ci induce alla tentazione è Satana. La preghiera che diciamo è: Quando Satana mi induce in tentazione, Tu, per favore, dammi una mano”.
Viceversa, al papa piace – e l’ha detto – la nuova traduzione in uso dall’anno scorso in Francia e in altri paesi francofoni: “Et ne nous laisse pas entrer en tentation”, che ha sostituito la precedente: “Et ne nous soumets pas à la tentation” ed è a sua volta simile a quella attualmente in uso in vari paesi di lingua spagnola, Argentina compresa: “Y no nos dejes caer en la tentación”.
In Italia, la conferenza episcopale si riunirà in assemblea straordinaria dal 12 al 24 novembre proprio per discutere se introdurre o no nel “Padre nostro” della messa la nuova versione che già si legge da dieci anni nella traduzione ufficiale italiana della Bibbia: “E non abbandonarci nella tentazione”.
Ma dopo l’avvenuto pronunciamento di Francesco si direbbe che l’esito della discussione sia già deciso in partenza – “Roma locuta, causa finita” –, con la scontata, prossima inserzione anche nel messale italiano della traduzione già immessa nella Bibbia e sicuramente più gradita al papa.
E invece no. Non è proprio detto che vada a finire così. Perché intanto Roma ha di nuovo parlato. E ha dettato una soluzione diversa. Non è stato il papa in persona questa volta a parlare, ma poco c’è mancato. È risuonata infatti una voce che gli è vicina, vicinissima e talora persino coincidente: quella de “La Civiltà Cattolica”.
Sulla rivista diretta dal gesuita intimo di Francesco, Antonio Spadaro, un altro gesuita, l’illustre biblista Pietro Bovati, ha pubblicato un articolo interamente dedicato proprio all’analisi della “difficile” domanda: “Et ne nos inducas in tentationem”. www.laciviltacattolica.it/articolo/non-metterci-alla-prova
Nella prima metà dell’articolo, Bovati spiega come effettivamente tale preghiera al Padre celeste abbia sollevato nella storia cristiana difficoltà interpretative. E mostra come autorevoli Padri della Chiesa quali Ambrogio, Agostino e Girolamo abbiano orientato a interpretarla in questo senso: “Non permettere che noi entriamo e/o soccombiamo nella tentazione”, oppure: “Non abbandonarci alla/nella tentazione”. Cioè proprio “nel senso in cui si indirizzano le moderne traduzioni”.
Senonché, giunto a questo punto, Bovati inaspettatamente svolta. E dichiara di voler proporre una traduzione nuova. Che non coincide affatto con quella che in Italia sembrerebbe sul punto di diventare ufficiale, né con quelle già in uso in Francia, in Argentina e in altri paesi.
La nuova traduzione che Bovati propone e argomenta con forza è: “E non metterci alla prova”. A sostegno di questa traduzione egli spiega che la parola “prova” è molto più fedele che non “tentazione” al termine originale greco “peirasmos“. Questo perché nel Nuovo Testamento il “tentare” ha il significato malevolo di voler far cadere mediante la seduzione o l’inganno, ed è quindi l’opposto di ciò che Dio fa, mentre la “prova” o il mettere alla prova è nell’intera Bibbia ciò che Dio fa con l’uomo, in vari momenti e modi talora insondabili, ed è ciò che Gesù ha sperimentato al sommo grado nell’orto degli Ulivi prima della passione, quando pregò con le parole: “Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice!”.
“Non si tratta dunque – scrive Bovati – di pregare il Padre esclusivamente per essere in grado di superare le tentazioni e vincere le seduzioni del Maligno, cosa questa senz’altro necessaria, ma anche di supplicare il Dio buono che conceda il suo aiuto a chi è piccolo e fragile, così da attraversare la notte senza perdersi. Pensiamo a tutti coloro che si rivolgevano a Gesù chiedendo la guarigione, pensiamo anche alle molteplici richieste che ripetiamo quotidianamente, riprendendo le formule dei Salmi o delle orazioni liturgiche, pensiamo infine a quante invocazioni nascono nel nostro cuore quando percepiamo un pericolo, o siamo colpiti dall’ansia per il futuro, o siamo già toccati da qualche sintomo di male. Ebbene, questa variegata forma di richieste al Signore è tutta riassunta e come condensata in un’unica petizione, quella che dice: ‘Non metterci alla prova’”.
L’articolo di Bovati merita di essere letto per intero. E chissà che i vescovi italiani ne facciano tesoro, quando il prossimo novembre decideranno il da farsi.
Con un’ultima avvertenza, di carattere musicale. Le parole: “E non metterci alla prova” si adatterebbero alla perfezione alla melodia classica del “Padre nostro” cantato. Cosa impossibile, invece, per il macchinoso “E non abbandonarci nella tentazione” che è in pericolo d’essere approvato.
Sandro Magister blog Settimo cielo 7 marzo 2018
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/03/07/pater-noster-senza-pace-e-scontro-fra-le-traduzioni
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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA
Newsletter CISF – N. 8, 7 marzo 2018
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These kids have an important job – BBC Stories [Questi bambini hanno un lavoro importante da fare – guarda il video – con sovrascritte in inglese]. In una casa di riposo a Walthamstow, nella parte nord-orientale di Londra, potrete incontrare bambini, figli e anziani ospiti che cantano e suonano insieme. Il “Progetto Insieme”, ideato e realizzato da Louise Goulden mentre era in maternità, mette insieme giovani e vecchi, aiutando a ridurre la solitudine e con impatto positivo anche sugli anziani con demenza (in a care home in Walthamstow, north-east London, you will find babies, toddlers and elderly residents singing and playing musical instruments together. Louise Goulden founded the “Together Project” while on maternity leave to bring young and old together, help reduce loneliness and have a positive impact on those residents who have dementia).
www.youtube.com/watch?v=OOgLH4zW7DI
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Il divario digitale tra le generazioni. Dati dal rapporto Cisf 2017. Le generazioni dei figli sono sicuramente molto più competenti dei genitori. L’indice di competenza digitale autodichiarato restituisce un valore di 5.49 e di 5.91 su una scala da 0 a 10, rispettivamente per l’intervistato e il partner (in maggioranza uomini), ma sale a 7.67 per i figli. Ma questo divario (che è quello percepito e dichiarato dai genitori nelle interviste) diminuisce al crescere del livello culturale dei genitori (più sono istruiti, più sono digitali – e quindi con un digital divide inferiore rispetto ai propri figli).
Piermarco Airoldi newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0818_allegato1.pdf
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Vicenza, libreria paolina. Presentazione del Rapporto Cisf 2017. “L’ombra lunga dei media nell’educazione dei figli” è il titolo della presentazione del Rapporto Cisf 2017 che si terrà presso la Libreria San Paolo alle ore 20,30 il 15 marzo 2018. L’evento è organizzato in collaborazione con Il locale Centro Culturale San Paolo, con l’Ufficio Famiglia della diocesi e con il periodico diocesano “La Voce dei Berici”. Interverranno Carlo Meneghetti, Francesco Belletti, don Flavio Marchesini e Laura Pauletto.
http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0818_allegato2.pdf
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Budapest: apre un centro per genitori soli. Nel primo trimestre del 2018 verrà inaugurato un innovativo spazio di 600 metri quadri, nel centro di Budapest, dedicato a famiglie monogenitoriali, genitori soli e ai loro figli. Il Centro è finanziato, come progetto innovativo, dal Governo nazionale e dall’8° Distretto/Quartiere del Comune di Budapest, e sarà gestito dalla Single Parents’ Foundation (Fondazione per i genitori soli). Il Centro dovrebbe fungere da modello per l’apertura di servizi analoghi, in altre parti del Paese.
www.coface-eu.org/work-life-balance/single-parents-centre-opening-in-budapest-hungary
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Europa: sfide e bisogni dei care giver. Anche a livello europeo cresce l’importanza del ruolo di cura delle famiglie per le persone fragili e anziane, ed emerge la centralità del “care giver”, persona di riferimento nella famiglia per la rete di aiuti. Per questo la COFACE, rete europea di associazioni familiari accreditata presso l’UNIONE Europea, ha presentato al Consiglio Economico ed Europeo delle Nazioni Unite un documento sul tema http://undocs.org/E/CN.5/2018/NGO/43
Da segnalare, a questo riguardo, un convegno a Roma, il 7 marzo 2018. Soprattutto donna! Valore e tutela del caregiver familiare, promosso da Farmindustria e Onda (Organizzazione nazionale sulla salute della donna e di genere), ROMA, 7 marzo 2018.
http://cds.redattoresociale.it/File/Allegato/568418.pdf
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Politiche di protezione dei minori in italia. Quarta relazione sullo stato di attuazione della legge 149/2001. Quaderni della ricerca sociale n. 41 [pp. 249] “Il documento aggiorna lo stato delle conoscenze descritto nell’ultima edizione della Relazione e dedica un’attenzione particolare anche a fenomeni emergenti o ad aspetti nuovi di situazioni tipiche. Il periodo di riferimento è il biennio 2014-2015 ma per dare continuità all’esame della materia alcuni contributi tengono conto di un periodo più ampio, che arriva sino all’attualità”
www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/studi-e-statistiche/Documents/Quaderno%20Ricerca%20Sociale%2041%20%E2%80%93%20Relazione%20sullo%20stato%20di%20attuazione%20della%20Legge%20149-2001/QRS-41-Relazione-Legge-149-2001.pdf
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“Spazi e tempi della vedova nella società civile”. Questo è il titolo dell’intervento che il Direttore del Cisf (F. Belletti) terrà all’incontro annuale dell’Associazione Santa Francesca Romana/Vedove bergamasche cattoliche, a Comonte di Seriate (BG), domenica 18 marzo 2018.
http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0818_allegato3.jpg
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Fondazione Paideia: progetto “una famiglia per una famiglia“. Sono disponibili on line gli atti del convegno “Al passo di chi è accanto. Voci e sguardi sull’affiancamento familiare”, tenutosi a Torino il 19 maggio 2017. Cfr. l’intervento del Cisf (F. Belletti, pp. 24-27).
http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0818_allegato4.pdf
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Dalle Case editrici
http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0818_allegatolibri.pdf
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Vita e Pensiero, La generatività nei legami familiari e sociali. Scritti in onore di Eugenia Scabini, (AA.VV.), Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla famiglia
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Guerini Next, Un welfare aziendale per le donne. Strumenti a sostegno della conciliazione vita-lavoro, Di Nardo F. (a cura di)
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DeAgostini, Il metodo famiglia felice. Come allenare i figli alla vita, Pellai A., Tamborini B. Milano, 2018, pp. 250, € 15,00
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San Paolo, I quattro codici della vita umana. Filialità, maternità, paternità, fraternità, Punzi I.
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Regalia Camillo, Ci perdiamo o ci perdoniamo? Il perdono nella coppia, San Paolo, Cinisello B. (MI), 2018, pp. 141, € 14,00. Perdonare è un dono particolare che i coniugi possono farsi reciprocamente: se nella relazione le persone imparano a perdonarsi, è molto probabile che ciò si traduca in un accresciuto benessere a livello personale e in un guadagno per il legame di coppia È il messaggio di fondo che riverbera da questo libro: un’analisi del perdono che esplora diverse dimensioni – psicologica, sociale, storico-culturale, religiosa – scandendo molti casi pratici e sfatando diversi falsi miti […] Non esistono sentieri facili, e non si arriva in fretta alla meta. Arrivarci, però, a quella meta, restituisce un nuovo benessere e rafforza la coppia: per questo perdonare è un’azione benefica e pacificanti.
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Save the date
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Nord Il rischio educativo, ciclo di 3 incontri sull’educazione nel 40 di pubblicazione de Il Rischio Educativo di Luigi Giussani, con interventi di Francesco Valenti e Marco Respinti, promosso dall’Istituto onnicomprensivo Collegio della Guastalla, Monza, 15 marzo ,12 aprile, 3 maggio 2018.
http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0818_allegato5.pdf
Adozione e affido: ciclo di interventi formativi(seminari tematici rivolti a genitori e coppie in attesa) promossi dal CTA (Centro di Terapia per l’Adolescenza). Milano, date varie dal 17 marzo al 17 novembre 2018. www.centrocta.it/newsletter/SEMINARI_Adozione_Affido2018.pdf
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Centro Karol Wojtyla e Humanæ vitæ, presentazione del libro di Pawel Stanislaw Galuszka, promossa da Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II, Cattedra Karol Wojtyla e Editore Cantagalli, Roma 7 marzo 2018. www.istitutogp2.it/public/Locandina%20Galuszka.jpg
Padri e figli. Giornata di studi sulla paternità in Italia, promossa dall’Istituto di Studi sulla Paternità e dal Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università RomaTre, 19 marzo 2018.
http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0818_allegato6.pdf
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Sud Narrare le Infanzie – differenze diversità, diritti/doveri, XXI Convegno Nazionale dei Servizi Educativi e delle Scuole dell’Infanzia, promosso dal Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia, Palermo, 11-13 maggio 2018. www.narrareinfanzie.it/programma
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Estero Déconstruction du couple – L’enfant dans la tourmente (La decostruzione della coppia – il bambino nella tempesta), quattro giornate di formazione (in francese) per i professionisti delle relazioni di cura, promosse da I.F.A.T.C, (Institut de Formation et d’application des Thérapies de la Communication), Lione, 26-29 giugno 2018.
www.ifatc.com/formations/2017-2018/thematique-de-crises-famille-culture-et-societe/deconstruction-du-couple-lenfant-dans-la-tourmente
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CONSULTORI FAMILIARI
Roma. Al Quadraro. Il disegno dei bambini, specchio del vissuto familiare
Le esperienze di vita si proiettano in un semplice lavoro in grado di rivelare il “mondo” dei piccoli, a cui spesso mancano le parole per trasmettere ciò che un colore o un tratto possono “raccontare”. Il bambino regola i propri comportamenti sulla base dei feedback che riceve dal mondo esterno. Sono principalmente le tipologie di cure genitoriali ricevute e la presenza/assenza di un clima familiare sereno ad influenzarne la crescita e i vari esiti di sviluppo. Proprio per tale ragione, la famiglia rappresenta il nucleo di base delle esperienze di vita del bambino di natura emotiva ed affettiva che formano la sua personalità nell’andamento del percorso evolutivo. È il primo modello sociale con cui comunica e con cui si confronta, e sulle base delle situazioni vissute al suo interno l’infante interagirà con la società.
Sembra sia necessario tener conto del contesto di sviluppo del bambino non solo per la comprensione delle sue potenziali difficoltà ma anche per capire ed aiutare il sistema familiare e supportare la genitorialità. Fin dalla nascita, cerca di entrare in relazione con l’altro attraverso gli affetti, tanto che l’influenza emotiva dell’ambiente e dei caregivers risultano determinanti. Si può affermare, quindi, che le principali variabili che condizionano, agevolando o compromettendo, la percezione e il vissuto del bambino possono essere l’affettività e la normatività oltre che l’ambiente stesso.
Il legame che intercorre tra i membri familiari non è altro che la pura espressione di un gioco di interrelazioni affettive. In una cornice familiare funzionale il bambino impara ad amare ed essere amato, prima ancora che possa scindere tali concetti, e i suoi impulsi verranno gratificati o saranno insoddisfatti ma sempre accompagnati da amore, in un equilibrio che oscilla tra accomodamenti e rinunce. La famiglia, quindi, rappresenta “una vera scuola del sentimento” (Osterrieth, 1974). Tale clima psicoaffettivo è costituito dalle relazioni verbali e non verbali, dagli atteggiamenti e dalle modalità con cui si affrontano le divergenze e i conflitti, dai silenzi, dalle espressioni di affetto e di rifiuto, dalle aggressività, dalla vicinanza e dalla lontananza psicologica, dall’intimità e dalla presenza o meno di empatia.
In quanto genitori è consigliabile negoziare il tipo di atteggiamento educativo che si adotta con il proprio figlio, poiché questo determinerà i modelli comportamentali che formeranno le basi dell’organizzazione della personalità e quel “compromesso adattivo” necessario per adeguarsi alle esigenze socializzanti del mondo esterno. I tre diversi stili educativi maggiormente adottati sono: autoritario, permissivo/lassista o autorevole (Naumrind, 1968; Mussen, 1990). Mentre nei primi due sono presenti o regole rigide che non permettono al bambino di sperimentare sbagliando, o la loro assenza che può essere precursore di future relazioni problematiche, lo stile autorevole è considerato il più consono ad una buona educazione. In questo, la presenza di regole chiare e divieti/proibizioni motivati permettono il sano sviluppo dell’autostima del bambino e maggior competenza relazionale.
Ma come comprendere ciò che un bambino vuole comunicare? Ciò che a parole non riesce a dire, lo esprime attraverso una modalità a lui più familiare, ovvero il disegno. Questo si configura come veicolo comunicativo tra il mondo puerile e quello adulto: può essere considerato alla stregua di una “finestra” sul pensiero e vissuto infantile. Un aspetto da non sottovalutare è l’uso del colore e del tratto che il bambino fa nel disegno. Il primo è considerato simbolo di esperienza affettiva e la conseguente scelta cromatica rivela importanti reazioni emotive all’ambiente; mentre il secondo dà la possibilità di cogliere le inferenze esterne ed interne a seconda della carica impressa sul foglio mediante il tratto.
Recenti ricerche (Biasi, Bonaiuto, & Levin, 2014, 2015; Rizzotto & Colasanti, 2017) hanno permesso di distinguere le colorazioni utilizzate dai bambini in “rasserenanti e giocose” (rosa, arancione, celeste, verde chiaro, tinte pastello) o “allarmanti e seriose” (viola, blu, nero, grigio, verde oliva, striature di giallo e rosso), e i tratti grafici di “comfort” o “stress” per aiutare a comprendere la sua percezione personale (armonica o conflittuale) della vita familiare. Occorre, tuttavia, precisare come non ci si debba soffermare su un’interpretazione rigida e categoriale ma considerare anche altri potenziali indici (come la disposizione dei personaggi, la loro collocazione sul foglio e l’utilizzo totale o parziale dello stesso, la raffigurazione di particolari elementi, ecc…) che concorrono ad approfondire il significato sottostante il disegno.
Risulta importante, quindi, osservare che i genitori, nell’ottica di una maggior comprensione dei propri figli, possano usufruire di tale potente strumento comunicativo ed interpretativo: sia per essere partecipi di vissuti ed esperienze dell’infante sia per comprendere potenziali disagi sperimentati nell’ambiente familiare e intervenire su di essi al fine di ristabilire un sereno equilibrio.
Giulia Rizzotto, specializzanda Scuola Superiore di Specializzazione in Psicologia Clinica della Salesiana
Consultorio diocesano Al Quadraro pubblicato il 9 marzo 2018
www.romasette.it/il-disegno-dei-bambini-specchio-del-vissuto-familiare
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Rimini. La relazione legame costitutivo
A volte gli affetti possono essere più complicati della matematica. Parliamone insieme!
Presenta il ciclo di incontri la dr Gisella Carmen Baiocchi, psicologa, presidente del Consultorio.
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19 marzo 2018. Coppia e famiglia: unità o inimicizia?
dr Luca De Sio, avvocato
dr Vittoria Maioli Sanese, psicologa
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27 marzo 2018. Alla scoperta dell’umano: mente, cuore, psiche
moderatore dr Vittoria Maioli Sanese, psicologa
dr Antonello Bonci, neurologo, neuropsicofarmacologo
dr Giovanni Pieralsi, psichiatra, psicoterapeuta
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10 aprile 2018. Famiglia e amore: l’amore si impara?
dr Nedda Papi, psicologa
dr Vittoria Maioli Sanese, psicologa
moderatore avv. Luca De Sio, avvocato
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19 aprile 2018. La social-izzazione oggi: chatto e condivido, ergo sum?
dr Vittoria Maioli Sanese, psicologa intervista
Luigi Ceriani, psicologo e docente UCSC Milano
www.consultoriofamiglia.it/ciclo-di-incontri-la-relazione-come-legame-costitutivo-2
Corso di Formazione “Il Consultorio al Servizio della Famiglia”.
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Federazione Regionale Consultori CFC – Puglia
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In collaborazione con Conferenza Episcopale Pugliese Ufficio per la Pastorale della Famiglia
Università degli Studi Di Bari, Cattedra di Sociologia dell’Educazione
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Patrocini UCIPEM Puglia
FORUM associazioni familiari Puglia
Una lettura dell’Esortazione Apostolica post-sinodale Amoris Lætitia
Il corso di formazione Operatori e futuri operatori nei Consultori Familiari, che la Federazione regionale CFC Puglia intende proporre a tutti i consulenti dei consultori familiari di ispirazione cristiana, ha come contenuto la lettura e l’approfondimento dell’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris Lætitia (2016).
Essa, oltre a rappresentare il riferimento fondamentale per ogni azione pastorale a beneficio della famiglia, diventa orientamento necessario per quanti operano all’interno di un consultorio familiare cristiano a servizio dei padri, delle madri e dei figli. Dal documento pontificio, infatti, si ricomprendono i fondamenti cristiani del matrimonio e della famiglia e si deducono le modalità nuove e più efficaci per un servizio generoso e utile alla persona che vive il tempo dell’oggi pieno di fragilità ma carico di speranze. Questo corso intende, pertanto, offrire gli strumenti per la ri-scoperta dell’identità di un consultorio cristiano e potenziarne la passione per il servizio. Da ultimo, vuole ribadire la necessità di un lavoro in rete con quanti hanno a cuore il bene della famiglia, anzitutto la pastorale familiare. In tal modo la scelta del matrimonio sacramento diventerà la bella notizia per il mondo.
Sede: Seminario Arcivescovile in Corso Alcide De Gasperi n. 274/A – Bari
Moduli al sabato dalle ore 9,00 alle ore 18.30
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Sabato 7 aprile 2018 – Moderatore dr Donato Rausa, C. f. d. Maglie
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Apertura del corso dr Michela Di Gennaro, C. f. Ecciass Trinitapoli
don Vincenzo Di Palo, Consulente Ecclesiastico Federazione CFC – Puglia
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L’annuncio cristiano del matrimonio e della famiglia A.L. nn. 71-75.
mons. Giovanni Ricchiuti, Vescovo Diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti
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La famiglia oggi: realtà e sfide.
prof. Angela Mongelli, Ordinario di Sociologia dell’Educazione, Università di Bari
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Questions – time
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Gli aspetti sociali della famiglia: il ruolo dell’assist. sociale in un consultorio d’ ispirazione cristiana
dr Teresa Lomonte Teresa – C. f. d. Andria
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Condivisione di esperienze consultoriali: Lavoro in gruppi
Coordinatore dr Maria Vittorio Colapietro C. f. Gemelli Taranto
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Sabato 19 maggio 2018 – Moderatore mons. Filippo Salvo, Presidente Commissione Giuridico-Scientifica Federazione CFC Puglia
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Accompagnare, Discernere e Integrare la fragilità’. A.L. Cap. VIII
prof. Michele Illiceto, docente incaricato di Filosofia- Facoltà Teologica Pugliese – Bari
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La cura del sistema delle relazioni famigliari.
dr Antonio Di Gioia, Psicologo, Psicoterapeuta, Presidente Ordine Psicologi Regione Puglia
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Questions – time
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Prassi e utilità del lavoro in rete nel servizio di risposta al disagio della Famiglia
dr Luigi De Pinto, psicologo, docente Facoltà Teologica Pugliese, C. f. EPASS – Bisceglie
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Condivisione di esperienze consultoriali: Lavoro in gruppi
Coordinatore dr Valeria Tota, psicologa, psicoterapeuta, C. f. d. Andria
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Sabato 9 giugno 2018 – Moderatore dr Salvatore Montorio, pedagogista, C. f. d. Foggia
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L’unità dell’azione pastorale tra consultorio e ufficio famiglia
mons. Franco Lanzolla, Responsabile Regionale Ufficio per la Pastorale Familiare – Bari
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La vita familiare come contesto educativo A.L nn. 274 – 279
prof. Domenico Simeone, Ordinario di Pedagogia – Università Cattolica “Sacro Cuore” – Milano
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Questions – time
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La figura del consulente del Consultorio di ispirazione cristiana alla luce di A.L.
dr Giovanna Parracino, psicologa, C. f. d. Molfetta
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Condivisione di esperienze consultoriali: Lavoro in gruppi
Coordinatore dr Francesco Allegretta, Dirigente ISSS – C. f. d. Molfetta
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Consegna Attestati di Partecipazione e Frequenza
La domanda di iscrizione e il pagamento della quota dovrà pervenire entro martedì 27 marzo 2018 presso la Segreteria organizzativa e-mail micheladigennaro@tiscali.it
info www.istitutopastoralepugliese.org/corso-formazione-consultorio-al-servizio-della-famiglia
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DALLA NAVATA
IV Domenica di Quaresima – Anno B –11 marzo 2018
2Cronache 20, 23 «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”».
Salmo 136, 01 Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion.
Efesini 02, 04 Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati.
Giovanni 03, 16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
La gloria dell’amore. Commento di Enzo Bianchi, priore emerito nel convento di Bose (BI)
Domenica scorsa abbiamo ascoltato nel quarto vangelo l’annuncio che Gesù è ormai il tempio di Dio, cioè il luogo della comunione con Dio (cf. Gv 2, 19.21). E abbiamo conosciuto ancora una volta come la lettura del quarto vangelo richieda una fatica più grande per la comprensione del Vangelo, della buona notizia in esso contenuta. Oggi eccoci nuovamente di fronte a un altro brano del vangelo giovanneo, a un testo per molti aspetti difficile: Giovanni, infatti, ha una visione che va colta al di là di quello che scrive, una visione più profonda, che non è – potremmo dire – la nostra visione umana, ma appartiene solo a chi ha la fede in Gesù, dunque una visione ispirata dallo sguardo di Dio sulla vicenda di Gesù.
Giovanni è stato testimone della passione e morte di Gesù sul Golgota, quel venerdì, vigilia della Pasqua, 7 aprile dell’anno 30 della nostra era. Ha visto la sofferenza di Gesù, il disprezzo che egli subiva da parte dei carnefici e soprattutto quel supplizio vergognoso e terribile – “crudelissimum taeterrimumque supplicium”, come lo definisce Cicerone (Contro Verre II,5,165) – che era la croce. Ha visto questa scena con i suoi occhi ma, dopo la resurrezione di Gesù, nella fede piena, nella contemplazione e meditazione di questo evento, giunge a leggerlo in modo altro rispetto ai vangeli sinottici. In quei vangeli Gesù aveva annunciato per tre volte la “necessità” della sua passione, morte e resurrezione, e per tre volte tale annuncio aveva atterrito i discepoli (cf. Mc 8,31-33 e par.; 9,30-32 e par.; 10,32-34 e par.). Anche il quarto vangelo attesta che per tre volte Gesù ha parlato di questa necessitas, ma lo fa con un linguaggio altro: ciò che nei sinottici è infamia, tortura, supplizio in croce, per Giovanni diventa invece un “innalzamento”, cioè una gloria.
Nel nostro brano risuona il primo dei tre annunci fatti da Gesù “È necessario che il Figlio dell’uomo sia innalzato”. Effettivamente Gesù, appeso al legno, è stato innalzato da terra, ma per Giovanni questo innalzamento da terra non è riducibile all’innalzamento fisico del suo corpo sulla croce, bensì è un essere innalzato gloriosamente e messo in alto da Dio, un essere glorificato, cioè rivelato nella sua gloria. Per Giovanni “essere innalzato” (verbo hypsóo) è anche “essere glorificato” (verbo doxázo: cf. Gv 7,59; 8,54, ecc.), essere sulla croce è essere alla destra del Padre. Per questo Gesù dice anche: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo”, ossia lo avrete materialmente messo in croce, “allora conoscerete che Io Sono (egó eimi: cf. Es 3,14)” (Gv 8,28), che io sono come Dio. E ancora: “Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Quest’ora dell’innalzamento è dunque l’ora della glorificazione (cf. Gv 12,23; 13,31-32), l’ora nella quale Gesù attira a sé tutta l’umanità (cf. Gv 12,32), l’ora della passione e della croce. Nel quarto vangelo passione e Pasqua sono lo stesso mistero, unico e inscindibile, e l’ora della passione è l’ora dell’epifania dell’amore.
Sì, dobbiamo confessare che questo sguardo giovanneo sulla croce non è facilmente accettabile da noi umani, eppure questa è la vera e profonda comprensione della croce di Gesù: la croce è stata materialmente un supplizio, ma è stata anche un alzare il velo su come Gesù “ha amato i suoi fino all’estremo (eis télos)” (Gv 13,1); è stata una morte da maledetto da Dio e dagli uomini (cf. Dt 21,23; Gal 3,13), crocifisso a mezz’aria perché Gesù non era degno né del cielo né della terra, eppure proprio sulla croce egli riconciliava cielo e terra, faceva cadere ogni barriera e apriva il Regno all’umanità, portando l’umanità in Dio (cf. Ef 2,14-16). Sulla croce moriva un uomo solo e abbandonato, ma quest’uomo narrava che “l’amore più grande è dare la vita per gli amici” (cf. Gv 15,13).
Questa è la lettura paradossale della croce fatta da Giovanni. Questo è il Vangelo che Gesù rivela a Nicodemo, un esperto delle Scritture che però Gesù definisce “ignorante” (cf. Gv 3,10): un “maestro in Israele” che non conosce l’azione di Dio nella sua verità profonda. Per cercare di spiegargli questa “necessità” della passione e morte del Messia, Figlio dell’uomo, Gesù tenta un paragone con un fatto avvenuto a Israele nel deserto, dopo l’uscita dall’Egitto. Secondo il libro dei Numeri, gli ebrei furono attaccati da serpenti mortiferi, e allora Mosè innalzò su un’asta un serpente di bronzo: chi lo guardava, anche se morso dai serpenti restava in vita, era salvato (cf. Nm 21,4-9). Questo racconto antico viene reinterpretato dal libro della Sapienza che fa una lettura altra dell’evento, cogliendo nel serpente “un segno di salvezza” (Sap 16,6): “chi si volgeva a guardarlo era salvato non per mezzo dell’oggetto che vedeva, ma da te, Salvatore di tutti” (Sap 16,7).
Gesù dunque rivela “le cose del cielo” (Gv 3,12) di cui aveva parlato a Nicodemo, esprimendo la necessitas dell’innalzamento del Figlio dell’uomo, “affinché chiunque crede in lui non perisca ma abbia la vita per sempre”: innalzamento del Figlio unico di Dio, donato da Dio al mondo proprio a causa del suo amore per il mondo, ossia per tutta l’umanità. Dio è colui che ama, Dio è colui che dona il suo Figlio unico, Dio è colui che lo innalza. In queste azioni di Dio è raccontato il suo amore: dunque la discesa dal cielo (cf. Gv 3,13), l’incarnazione in una vita umana, la passione culminante nel innalzamento sulla croce sono la manifestazione dell’amore di Dio per l’umanità.
Dobbiamo essere molto attenti e vigilanti nell’ascolto: le parole di Gesù a Nicodemo non indicano la croce come abbandono del Figlio alla morte da parte del Padre, ma ci rivelano un amore unico del Padre e del Figlio per tutta l’umanità. Il Figlio Gesù Cristo, proprio quale dono per l’umanità, ha vissuto la sua esistenza donando la vita, suscitando la vita, trasmettendo la vita. Il Padre, a sua volta, non ha voluto la discesa del Figlio e la sua incarnazione per giudicare il mondo, ma per salvarlo attraverso l’adesione e la risposta all’amore. La presenza di Gesù esige che ognuno operi ora la sua scelta, perché ora avviene il giudizio, perché ora di fronte a Gesù è possibile scegliere la tenebra o la luce, che non sono un destino ma dipendono da ciascuno di noi nel suo porsi di fronte all’amore rivelato.
Viene qui adombrato il ministero dell’incredulità, che non è rifiuto di una dottrina, di un’idea o di una morale, ma è qualcosa di molto più radicale: è rifiuto della fiducia, rifiuto della speranza, rifiuto dell’amore. Sì, da una parte c’è l’amore incondizionato di Dio, offerto a tutti gli esseri umani e mostrato nel dono del Figlio unico fatto uomo per essere uno di noi e vivere tra di noi e con noi; dall’altra vi è da parte nostra la possibilità di rispondere all’amore con l’amore o, al contrario, di rifiutare l’amore, di non credere all’amore e così di escluderci, collocandoci nella tenebra dell’odio e della morte. Nel quarto vangelo la fede e il credere sono sempre un operare nell’amore, come Gesù dirà: “Questa è l’opera, l’azione richiesta da Dio: credere in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29).
Ecco dunque la via tracciata di fronte a noi: chi fa la verità, cioè sa rispondere all’amore con azioni, manifesta che queste azioni sono operate da Dio stesso in lui. Così il credente vive già ora la “vita eterna”. “Dio vuole che tutti gli umani siano salvati” (1Tm 2,4), proclama l’Apostolo Paolo; vuole che tutti “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Per questo Dio dona se stesso, il proprio Figlio unico e amato, al mondo che anela alla salvezza.
www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12138-gloria-amore
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ENTI TERZO SETTORE
Per la costituzione di nuove associazioni è già indispensabile inserire la sigla ETS?
La circolare adottata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali di data 29 dicembre 2017, avente come oggetto le questioni di diritto transitorio del Codice del Terzo settore, dispone che gli enti che si sono costituiti a partire dal 3 agosto 2017 sono tenuti a conformarsi ab origine alle disposizioni codicistiche purché queste siano applicabili in via diretta ed immediata. A tal fine sono considerate dirette ed applicabili le norme del Codice che non presentano un nesso di diretta riconducibilità all’istituzione del registro unico nazionale ovvero all’adozione di successivi provvedimenti attuativi.
Per quanto riguarda la questione della denominazione sociale, gli enti di nuova costituzione devono sottostare a quanto previsto dalle norme del codice ovvero all’obbligo di contenere l’indicazione del nome per esteso o della sigla ETS, ODV o APS a seconda della forma di costituzione, invece in merito all’utilizzo degli acronimi ETS, ODV, APS è necessario effettuare una distinzione.
Per le Organizzazioni di Volontariato e le Associazioni di Promozione sociale l’utilizzo dell’acronimo ODV ed APS contenuto nella denominazione sociale come sancito rispettivamente per le prime dall’art. 32 comma 3 e per le seconde dall’art 32 comma 5, non comporta il sorgere di particolari problematiche in quanto il requisito dell’iscrizione si intende soddisfatto attraverso l’iscrizione ad uno dei registri attualmente previsti dalle normative di settore, come indica l’art 101 comma 3. Per tali enti l’acronimo ODV ed APS può essere spendibile nei rapporti con i terzi, negli atti, nella corrispondenza e nelle comunicazioni con il pubblico.
Diversamente accade per gli enti che non assumono la forma di ODV o di APS o che non sono in possesso della qualifica fiscale di ONLUS. La qualificazione giuridica di Enti del Terzo Settore in questi casi sorge dall’iscrizione nel registro unico nazionale del terzo settore come previsto dall’art 4 comma 1, per cui l’acronimo ETS, inserito nella denominazione sociale nel rispetto dell’art. 12, non sarà spendibile nei rapporti con i terzi, negli atti, nella corrispondenza e nelle comunicazioni con il pubblico.
Nonprofit on line 9 marzo 2018
www.nonprofitonline.it/default.asp?id=508&id_n=7709&utm_campaign=Newsletter+Non+profit+on+line+9+marzo+2018&utm_medium=email&utm_source=CamoNewsletter
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
I primi cinque anni del Papa degli ultimi
Dal «Buonasera» del 13 marzo 2013 ai pianti con le vittime della pedofilia, dai viaggi nelle periferie del pianeta ai continui appelli per affrontare «la sfida epocale» dei migranti, dall’accelerazione nel cammino ecumenico e interreligioso al sogno di vedere una chiesa unita in Cina.
Papa Francesco chiuderà martedì 13 marzo il suo quinto anno di pontificato. Ora si apre un periodo ancora ricco di sfide: in primo piano i giovani, ai quali il Pontefice ha voluto dedicare il prossimo Sinodo dei vescovi, e la famiglia, con l’incontro mondiale in Irlanda che dovrebbe suggellare le indicazioni della Amoris Lætitia, nella quale il pontefice, ancora una volta, chiede alla Chiesa di avere uno sguardo di misericordia sull’uomo. Resta forte anche l’impegno sulle riforme: molte cose hanno già trovato attuazione, per esempio nel settore delle comunicazioni e in alcuni accorpamenti in Curia, come anche sul versante della trasparenza finanziaria, ma il processo resta un cantiere aperto. Sul fronte della politica internazionale, è sempre fitto quel lavoro del pontefice nel tessere relazioni, nel cercare di costruire ponti. E per questo, nei cinque anni sul soglio di Pietro, non ha mai rinunciato ad incontrare nessuno. Anche chi, come il leader della Turchia Erdogan, solo per citare una delle udienze più recenti, poteva risultare un ospite scomodo.
È la pace la priorità da raggiungere, in un mondo frantumato in cui sono gli ultimi, «gli scartati», a vivere sempre la situazione peggiore. E guarda alla pace, infatti, anche il suo prossimo viaggio internazionale, quello a Ginevra, il prossimo 21 giugno 2018, nel corso del quale potrebbe essere lanciata una grande iniziativa per il Medio Oriente, e per la Siria in particolare, ancora sotto le bombe.
Questo anno di pontificato appena trascorso si era aperto, a marzo, con il bagno di folla a Milano, la più grande diocesi d’Italia che lo ha accolto, un milione le persone incontrate in un giorno, a braccia aperte. Poi ad aprile il viaggio in Egitto per ricucire, in via definitiva, il dialogo con Al-Azhar, interlocutore imprescindibile per il rapporto con il mondo musulmano.
Ma è stato anche l’anno dell’omaggio ai preti italiani impegnati nel sociale, don Lorenzo Milani e don Primo Mazzolari. Un percorso che continuerà con il viaggio, il prossimo 20 aprile, nella terra di don Tonino Bello. Questo che si apre, dal 13 marzo, sarà invece soprattutto l’anno dei giovani: già la settimana prima di Pasqua li ha convocati in Vaticano per preparare il Sinodo di ottobre; poi l’incontro a metà agosto con i giovani italiani; ad ottobre l’assise dei vescovi, fino a gennaio 2019 con la Gmg a Panama.
Un magistero intenso, sempre a grande velocità, nel quale il Papa, ormai ottantenne, continua a tenere un gran passo. È la «grazia di stato» che «sostiene e accompagna» sempre il Papa, ha commentato recentemente padre Federico Lombardi, per anni suo stretto collaboratore.
«Diversi testimoni possono attestare la serenità sostanziale che continua ad essere con lui anche nei momenti in cui decisioni difficili o tensioni potrebbero essere causa di comprensibile turbamento», ha detto l’ex portavoce fotografando la tempra del Papa argentino. La stessa di quella sera che stupì il mondo intero con un semplice «Buonasera».
Manuela Tulli Trentino, 11 marzo 2018
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201803/180311tulli.pdf
5 anni del Papa. Kasper: Francesco profeta di misericordia per il mondo
Kasper sul pontificato di Bergoglio: trova resistenze perché è sui passi di Gesù. Il fatto che sia stato il primo Papa ad aver scelto il nome di Francesco lo collega a Francesco d’Assisi.
È dedicato al quinto anniversario del pontificato di papa Francesco, lo studio del mese proposto sul nuovo numero della rivista Il Regno. A firmarlo è il cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, uno dei più stretti collaboratori del Pontefice. Significativamente è intitolato «Vi annuncio un tempo» e va al cuore del magistero di Francesco, a partire da una delle sue parole chiavi: misericordia. A seguire, in anteprima, un ampio estratto della riflessione del porporato tedesco. www.ilregno.it/blog/vi-annuncio-un-tempo-papa-francesco-2013-2018-walter-kasper
Avvicinandosi al quinto anniversario del pontificato di papa Francesco ci si chiede: qual è il messaggio centrale di questo pontificato, tanto ricco di gesti e di parole sorprendenti? Lo stesso Papa ha risposto in questi termini alla domanda di un giornalista, il 28 luglio 2013, sul volo da Rio a Roma: «Credo che questo sia il tempo della misericordia». Ha così menzionato una – se non la – parola base del programma pastorale del suo pontificato, e al tempo stesso ha fatto una diagnosi significativa del nostro tempo.
Ci troviamo in un periodo di transizione complesso o, come ha detto di recente, non si tratta solo di un’epoca di transizione e di rapidi cambiamenti in tutte le sfere della vita, ma di un «cambiamento d’epoca» (Veritatis gaudium, n. 3)
https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/01/29/0083/00155.html
dell’avvento di una nuova era, dal Papa in modo profetico qualificata sorprendentemente come tempo della misericordia. Questa caratterizzazione del messaggio di papa Francesco come profetico, ovviamente, non ne vuole negare una specifica competenza teologica.
Il tempo come profezia. Nel linguaggio profetico biblico, che non parla solo con parole ma anche con gesti, per «tempo» non s’intende il tempo cronologico, quello che trascorre attraverso i giorni, le settimane, gli anni, inarrestabile, quello che tutto relativizza, bensì il tempo qualitativamente pieno nel senso del kairos biblico, secondo cui tutto ha il suo momento. C’è un tempo per nascere e morire, un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per fare lutto e un tempo per danzare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace (cf. Qo 3,1-8).
Da Giovanni XXIII e dal Concilio Vaticano II si parla di «segni dei tempi», non intendendo appunto il tempo vuoto, che sfugge, ma quello escatologico del regno di Dio che arriva, sorge, irrompe (cf. Mt 16,3). In questo caso il tempo non è un futuro che incombe, ma un avvento che arriva. La fine del tempo escatologico non è un futuro lontano, alla fine dei tempi, ma è il tempo di Dio qui e ora. Per Dio è il tempo di grazia della venuta e della vicinanza di Dio, per noi è il tempo della decisione, della conversione e della fede. Se perdiamo o sprechiamo il tempo della grazia, allora diventa tempo del giudizio. Il discorso profetico non è una saggia previsione di eventi futuri, ma un annuncio del tempo; dice ciò che qui e ora si sta avvicinando; incoraggia, risveglia, scuote e invita alla conversione.
Quando papa Francesco parla di un tempo di misericordia offre una di queste interpretazioni profetiche del nostro tempo. È un messaggio di grazia per il nostro tempo, che a volte sembra così vuoto e irretito nella violenza e nel conflitto, ed è anche uno stimolo ad aprire i nostri cuori al Dio misericordioso e ai fratelli e alle sorelle nel bisogno. Perché questa parola che suona un po’ datata, misericordia, significa letteralmente «avere cuore (cor) per i poveri (miseri)».
Era già il messaggio centrale dell’Antico Testamento, e tanto più lo è di Gesù, che Dio è un Dio misericordioso. Gesù si è presentato con la buona notizia che «il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15); ha parlato di un anno di grazia del Signore (cf. Lc 4,19), e ha invitato alla conversione e alla fede per aprire i nostri cuori a Dio e ai poveri nel senso più ampio del termine: i materialmente poveri, i culturalmente e socialmente poveri, e anche quanti sono poveri spiritualmente, come chi è disorientato e interiormente vuoto, chi è oppresso dalla tristezza e dalla desolazione, chi si trascina pesanti sensi di colpa e pesanti fardelli e vive lontano da Dio.
Per molti questo messaggio di Gesù è diventato uno scandalo, una pietra su cui hanno inciampato e sono caduti (cf. Lc 4,27-30). Così Gesù è diventato un segno di contraddizione (cf. Lc 2,34). Se quindi papa Francesco proclama oggi il tempo della misericordia e, insieme a molti consensi, incontra obiezioni e resistenze, ciò non depone a suo sfavore, ma mostra che egli è nella sequela di Gesù.
A un Papa che rende attuale il messaggio di Gesù non può succedere nulla di diverso. Le obiezioni mostrano che è un vero profeta, il quale non dice come i falsi profeti «pace, pace!», «ma pace non c’è» (Ger 6,14). Si presenta come l’apostolo che «al momento opportuno e non opportuno» (2 Tm 4,2) dice qual è la questione e che cosa ne deriva di decisivo per l’oggi.
Radicale, cioè alle radici. Nella sua prima lettera apostolica programmatica del 2013, Evangelii gaudium, papa Francesco dice chiaramente che secondo lui tutto dipende dal Vangelo.
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.html
Rimanda all’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975) di papa Paolo VI, durante il cui pontificato Jorge Mario Bergoglio ha acquisito la formazione teologica, che lo ha segnato in modo profondo, e ha ricevuto, nel 1969, l’ordinazione sacerdotale.
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/apost_exhortations/documents/hf_p-vi_exh_19751208_evangelii-nuntiandi.html
Così pure, il fatto che sia stato il primo Papa nella storia ad aver scelto il nome di Francesco lo collega a Francesco d’Assisi, per il quale l’unica preoccupazione era di vivere il Vangelo sine glossa. Francesco è, non nel senso confessionale ma in quello originale della parola, un Papa evangelico, un Papa non liberale ma radicale, cioè un Papa che va alle radici.
Vangelo non è per lui un compendio di dottrine o un codice di norme morali, ma – come in Tommaso d’Aquino – è il dono dello Spirito Santo, che si manifesta nella fede, la quale agisce per mezzo dell’amore (cf. Evangelii gaudium, n. 37). Al centro del Vangelo c’è la misericordia. In Gesù Cristo il volto misericordioso del Padre è finalmente diventato per noi visibile, sperimentabile.
Nella misericordia Dio, incomprensibile e nascosto, che abita in una luce inaccessibile (cf. 1 Tt 6,16), si rivela a noi come amore auto-comunicante e generoso (cf. 1 Gv 4, 8), e, comunicandosi a noi attraverso lo Spirito Santo, ci è vicino in modo amorevole, aiutando e guarendo, perdonando, consolando, incoraggiando e sostenendo. Martin Lutero in una predicazione ha parlato di Dio come un forno ardente pieno d’amore.
Questo messaggio del Vangelo della misericordia di Dio oggi incontra un tempo di brutale e inumana violenza, da cui molte persone sono ferite nel corpo e nell’anima; un’epoca in cui molte vecchie certezze presunte collassano e il futuro si riempie d’incertezza; in cui molti sono pieni di paura e spesso non vedono più alcuna via d’uscita e alcun futuro; un momento in cui il dio denaro domina il mondo sotto forma di un capitalismo egemonico globalizzato, in cui l’amore si raffredda, l’individualismo e l’egoismo trionfano; un tempo d’indifferenza globalizzata per i milioni di persone che sono esclusi dalle benedizioni della civiltà e ne sono diventati in un certo senso lo scarto.
Il volto di Dio per molti si è oscurato. La frase di Friedrich Nietzsche «Dio è morto», spesso intesa anche come diagnosi di un’epoca, non significa che Dio non ci sia o non ci sia più, ma che non sembra più emanare da lui alcuna forza vitale. Dio è diventato indifferente ai tanti che vivono come se Dio non ci fosse (etsi Deus non daretur (…).
Un Papa che ama (anche) il tango. Per papa Francesco la valorizzazione della coscienza umana, ogni volta unica nella nostra civilizzazione postmoderna e pluralista, ha conseguenze anche politico-sociali. Già il Concilio Vaticano II, dopo un lungo confronto, nella dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa ha ridefinito il posto e il ruolo della Chiesa nella moderna società pluralistica dopo la fine dell’epoca post-costantiniana. In questa dichiarazione il Concilio, come conseguenza del riconoscimento della dignità della coscienza personale, ha insegnato che le norme morali riguardano e vincolano le persone nella loro coscienza e sono riconosciute attraverso la mediazione della coscienza (cf. Dignitatis humanae, nn. 1, 3).
Nel frattempo nell’oltre mezzo secolo che è trascorso dal Concilio il mondo è ulteriormente cambiato in modo impressionante. La globalizzazione, i nuovi media, le migrazioni e, non ultima, la rapida e crescente urbanizzazione hanno reso la convivenza tra diverse religioni, culture e gruppi etnici una realtà quotidiana e una sfida alla pace. In questa situazione è un segno della Provvidenza che con papa Francesco sia salito al trono di Pietro il primo Papa che non proviene dal territorio dell’Impero romano, né dall’Europa e dal mondo occidentale, ma è cresciuto in una megalopoli dell’emisfero australe. Jorge Mario Bergoglio è cresciuto a Buenos Aires, respirando l’atmosfera di questa megalopoli fin da giovane, insieme ai film moderni, al teatro e alla musica.
In città come Buenos Aires, San Paolo, Città del Messico, New York, Tokyo, Manila e Il Cairo i contrasti sono accentuati: tra ricchi (o super ricchi) e poveri, tra i centri con moderni grattacieli d’acciaio e vetro e le misere periferie delle favelas, delle baraccopoli e dei sobborghi. In un’urbanizzazione che avanza rapidamente, il mondo globale sembra diventare sempre più un’unica, grande megalopoli globale.
Papa Francesco è consapevole della nuova situazione e delle conseguenze che ha per la pastorale. Sebbene abbia una grande sensibilità verso la pietà popolare, non coltiva una nostalgia dell’idilliaco piccolo villaggio rurale o della piccola città. La sua preoccupazione è la pastorale delle grandi città (cf. Evangelii gaudium, nn. 71-75). In questo nuovo contesto non vuole una Chiesa che si occupi solo di se stessa e che si celebri in modo autoreferenziale, ma una Chiesa in movimento, una Chiesa in uno stato di missione permanente (cf. Evangelii gaudium, nn. 22-25). Tale pastorale missionaria include oggi più che mai l’incontro con altre culture e religioni e ci costringe a una riflessione approfondita sul dialogo interreligioso e interculturale, che sono importantissimi per la pace nel mondo odierno (cf. Evangelii gaudium, nn. 250-254).
Per papa Francesco la missione e il dialogo non sono la stessa cosa, ma sono intimamente legati. La missione non avviene attraverso il proselitismo, bensì attraverso l’attrazione (cf. Evangelii gaudium n. 14) e il dialogo non è sincretismo, confusione o un reciproco assorbimento, non è banale diplomazia e tattica, ma reciproca conoscenza e smantellamento di pregiudizi e incomprensioni. Ogni dialogo presuppone un terreno comune.
Dialogo e annuncio: nel cuore o nel corpo della Chiesa. Qui ancora una volta Francesco fa riferimento a un documento della Commissione teologica internazionale, Il cristianesimo e le religioni (1996),
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_1997_cristianesimo-religioni_it.html
che evidenzia che il punto d’incontro tra le religioni è la coscienza personale di ogni uomo. Secondo il Vangelo di Giovanni il Logos, che nella pienezza dei tempi si fece carne (cf. Gv 1,14), era da sempre la luce degli uomini (cf. Gv 1,4).
Pertanto anche i non cristiani, che ascoltano la loro coscienza e seguono il comandamento fondamentale dell’amore secondo la Regola d’oro, che in una forma o nell’altra si trova in ogni religione, adempiono ciò che la Legge e i Profeti richiedono (cf. Mt 7,12; 22,40). Così anche i non cristiani nella loro coscienza sono guidati dallo Spirito di Dio, che lavora nel mondo anche al di fuori della Chiesa. Anch’essi sono coinvolti nella via di Dio con gli uomini, sono legati al mistero pasquale e possono trovare la salvezza eterna. Non appartengono al corpo visibile della Chiesa, ma al cuore della Chiesa.
Tale riflessione dà a papa Francesco un approccio teologico ampio e profondo al problema fondamentale della convivenza e della pace nel nostro mondo globalizzato e urbanizzato, e gli permette di farsi carico di un magistero universale, che lo rende con il suo messaggio profetico di misericordia un operatore di pace (Mt 5,9).
Nei suoi viaggi, in particolare in Asia, ha parlato dell’apertura del cuore, che è il requisito d’ogni cultura dell’incontro. Essa è la porta che ci permette d’imboccare il cammino di un dialogo non solo teorico, ma di un dialogo della vita. Questo dialogo è come una scala che raggiunge l’assoluto, in cui ogni passo rende il nostro sguardo più chiaro per capire e apprezzare gli altri.
Infine è un cammino che conduce alla ricerca della bontà, della giustizia e della solidarietà. Si ha l’impressione che in Francesco l’idea di armonia che deriva dalla teologia argentina e dalla cultura del popolo si avvicini molto all’idea di armonia e inclusione della cultura asiatica.
Con questo messaggio cattolico inteso in senso originale papa Francesco si è trovato tra due fronti all’interno della Chiesa: per un verso suscita le paure e le resistenze di un conservatorismo fondamentalista, per l’altro la sua visione delude molti riformisti liberali in Occidente. Il suo programma non è liberale, è radicale, va alla radice (radix). Ecco perché Francesco non parla di riforma, ma di conversione della Chiesa intera, dell’episcopato e, cosa da rimarcare per un Papa, del papato (cf. Evangelii gaudium, n. 32).
La traduzione di una visione profetica così radicale nelle forme istituzionali e in elaborazioni teologiche raffinate richiede tempo. Come con ogni profezia molto resta ancora aperto, alcune cose sono accennate solo in modo evocativo.
Tuttavia è sbagliato ridurre papa Francesco a un pragmatismo indifferente per la verità. Invece, nella sua più recente costituzione, la Veritatis gaudium uscita il 29 gennaio 2018, papa Francesco parla della gioia della verità, che sempre è molto più ampia di quanto tutti i concetti siano in grado di esprimere. In questo documento recente il Papa richiama l’intera comunità teologica accademica al dovere di chiarire teologicamente e approfondire la visione universale e concreta, e pertanto autenticamente cattolica.
Il desiderio di molte persone, dentro e fuori la Chiesa, per il quinto anniversario del pontificato di papa Francesco è comunque che Dio possa dargli ancora più tempo ed energie per completare la sua missione profetica.
Walter Kasper Avvenire 11 marzo 2018
www.avvenire.it/chiesa/pagine/kasper-profeta-di-misericordia-per-il-mondo
Don Marengo: dal Papa spinta a superare opposizione tra Chiesa e storia
Uno degli obbiettivi del pontificato di Papa Francesco, di cui si celebra in questi giorni il quinto anniversario, è superare il divorzio tra Chiesa e mondo che continua a cinquant’anni dal Concilio. E’ uno dei concetti esposti da don Gilfredo Marengo, docente dell’Istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia, nel suo libro ‘Chiesa senza storia, storia senza Chiesa, l’inattuale “modernità” del problema chiesa-mondo’ (Edizioni Studium). Il volume, prendendo spunto dal magistero di Francesco, invita a guardare al mondo come ‘condizione’ e non come ‘obiezione’ all’azione della Chiesa.
Un cantiere aperto. “Il Concilio – spiega Marengo – ha posto all’attenzione della Chiesa il problema del suo rapporto con il mondo, chiedendo che questo tema venisse riconsiderato. Oggi, stiamo facendo questo lavoro che – a mio avviso – è ancora tutto da completare, soprattutto perché la Chiesa e il mondo non rimangono sempre uguali a sé stessi”. “In questi cinquant’anni è cambiato il mondo ed è cambiata la Chiesa. Ciò significa che il tentativo di riprendere in mano questo dossier fondamentale della vita della Chiesa è ancora veramente un cantiere aperto”.
La crisi dell’impegno comunitario. “La crisi post-conciliare è stata un fenomeno limitato nel tempo che fondamentalmente copre la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta”, aggiunge don Marengo. “E’ stato un periodo vissuto e interpretato in maniera geniale dal futuro Santo Paolo VI”. “Chi oggi dice ancora che siamo in crisi post-conciliare o non conosce la storia o è ideologico”. “Quello che sottolinea oggi Papa Francesco, soprattutto nell’Evangelii gaudium è che c’è una crisi dell’impegno comunitario: una fatica a vivere bene questa relazione con il mondo”.
Abbattere i bastioni. “Da un lato – spiega don Marengo – dobbiamo tener conto dell’insistenza con cui Papa Francesco ci invita a riconoscere quello che lui chiama un ‘cambiamento d’epoca’. E quindi, se c’è un cambiamento d’epoca in corso dobbiamo in qualche modo rivedere i parametri con cui affrontiamo questo tema”. “Ma l’elemento più significativo è che il Papa ci spinge con insistenza a lasciar cadere l’idea che la Chiesa sia un castello di vetro di fronte a un mondo che gli è di per sé distante. Già negli anni Cinquanta un grande teologo disse che bisognava abbattere i bastioni e questa operazione a mio avviso è da fare ancora”.
Il mondo ‘condizione’ e non ‘obiezione’. “Per moltissimo tempo nella modernità, dalla metà del Cinquecento fino a metà del Novecento, la Chiesa ha sentito il rapporto con il mondo come un rapporto da risolvere e quindi come un’obiezione”, aggiunge don Marengo. “Invece – l’insegnamento del Papa – ci spinge a considerarlo una condizione, perché non c’è un posto della Chiesa fuori dal mondo: la Chiesa vive nel mondo, non vive sulla luna”. “E quindi la Chiesa di per sé deve accettare di essere nella realtà così come essa è. E questo non è un problema in più ma è l’unica possibilità reale per cui la Chiesa può essere fedele a sé stessa e alla sua missione”.
Oltre l’opposizione dottrina e pastorale. “Superare l’opposizione Chiesa mondo-significa superare quella tra dottrina e pastorale”, conclude l’autore. “Perché la polarità di questi due termini nasce in un contesto in cui la Chiesa sente problematico il rapporto con il mondo”. “Il ragionamento era il seguente: dobbiamo avere una dottrina perfetta che funzioni al cento per cento e da qui possiamo ricavare dei criteri d’azione per la realtà,”. “Ma se noi poniamo in discussione la premessa di questa polarità, la polarità cade”. “Dunque – conclude l’autore – il problema della Chiesa non è elaborare una dottrina e poi applicarla alla realtà, ma rendersi presenti nel mondo offrendo agli uomini del proprio tempo quello che porta e cioè la novità dell’annuncio cristiano che – di per sé – è capace di accogliere, interpretare e farsi carico di tutto l’umano, come diceva l’incipit della Gaudium et spes”.
Ascolta e scarica l’intervista a don Marengo
Fabio Colagrande Vatican news 11 marzo 2018
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GENITORI
Cinque problemi nel matrimonio che fanno molto male ai figli
Litigi c ostanti, mancanza di pazienza e manipolazioni sottili creano cicli interminabili di bassa autostima e pregiudicano i rapporti in futuro. La vita coniugale non influisce solo su di voi e sul vostro coniuge, ma anche sui vostri figli. Permettendo che le difficoltà del rapporto con il coniuge aumentino e diventino veri problemi, la coppia può provocare gravi ferite nei figli e perfino rovinare la visione che hanno di un rapporto. Freddezza, brutte parole, mancanza di pazienza e di dialogo possono influire negativamente sui bambini e sugli adolescenti. Se questi problemi non vengono risolti, è possibile che si trasmettano ai figli, che vivranno nei propri rapporti l’indifferenza, la mancanza di comunicazione e perfino l’abuso. I bambini captano la tensione tra i genitori e assorbono l’ambiente di conflitto emotivo.
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Litigi. Vivere in una famiglia ostile e in un ambiente infelice influisce sull’autostima dei bambini e crea problemi di fiducia. È comune che i bambini interiorizzino l’aggressività e si chiedano cosa c’è di sbagliato in loro perché i genitori litighino in quel modo. Credono di essere loro a provocare la mancanza di armonia. Questo senso di colpa superfluo può accompagnarli con il passare degli anni e arrivare all’età adulta, danneggiando i loro rapporti. E così il ciclo continua.
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Rivalità. Sapete quando voi e il vostro coniuge prendete insieme una decisione ma uno dei due interiormente non l’accetta bene e inizia a pregiudicarne l’esecuzione? È estremamente dannoso, soprattutto se si tratta di una decisione collegata all’educazione dei figli. Una coppia è una squadra. È impensabile che uno dei coniugi metta delle trappole nella vita dell’altro o che uno si metta contro l’altro davanti ai figli. Questo insegnerebbe ai bambini ad essere manipolatori, a diventare persone che non rispettano lo spazio altrui quando l’obiettivo è la vittoria del proprio ego.
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Mancanza di comunicazione. Avete difficoltà a comunicare con il vostro coniuge? Sforzatevi di migliorare in questo campo. Essere arroganti o indifferenti e non comunicare insegnerà ai vostri figli che è meglio mettere i problemi sotto al tappeto – dove continuano a ingigantirsi. Impareranno anche a “scollegarsi” emotivamente, diventando aggressivi quando contrariati o annoiati. Mostrate ai vostri figli che la comunicazione funziona ed è una parte importante della vita, dentro e fuori casa.
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Bugie. I bambini non sono sciocchi. Sanno quando siete disonesti. Tutti conosciamo persone bugiarde patentate e capiamo che è un comportamento dannoso. Basta fermarsi a pensare: vi piacerebbe che vostro figlio o vostra figlia sposasse una persona bugiarda? I vostri figli devono sapere, per esperienza propria, che esistono persone oneste e sincere e che è bello essere così – a cominciare dai loro genitori. Anche le “bugie bianche”, come dire che non siete in casa per non rispondere a una telefonata, insegneranno ai vostri figli a usare in modo ricorrente questo artificio – probabilmente anche con voi.
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Disprezzo. Disprezzare il proprio coniuge o deriderlo davanti ai figli influenzerà molto il loro comportamento, ora e in futuro. I bambini si dispiacciono per la madre o il padre disprezzato, e imparano che non è poi così sbagliato parlare male delle persone con cui ci relazioniamo. Se voi e il vostro coniuge discordate su qualche questione, risolvete la cosa in privato e mostrate allo stesso tempo ai figli che si può non essere d’accordo e dialogare senza dipingere l’altro come un farabutto. Questo insegnerà loro molte cose.
Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti 6 marzo 2018
https://it.aleteia.org/2018/03/06/5-problemi-matrimonio-fare-male-figli
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HUMANE VITÆ
Il carteggio. Su «Humanae Vitae» Wojtyla chiedeva più rigore a Montini
Wojtyla a Montini: indicazioni più rigide. Quei “consigli” che Paolo VI non ascoltò. È una straordinaria e sconosciuta pagina di storia ecclesiale quella che emerge dallo studio di un teologo polacco, don Pavel Stanislaw Galuszka, ora condensato nel libro Karol Wojtyla e l’Humanæ vitæ. Il contributo dell’arcivescovo di Cracovia e del gruppo di teologi polacchi all’enciclica di Paolo VI. (Cantagalli; pagine 550).
Il testo spiega in modo dettagliatissimo l’impegno di Karol Wojtyla nel periodo conciliare sui temi del matrimonio e della famiglia, racconta la genesi e i contenuti del “Memoriale di Cracovia”, un ampio testo inviato a Paolo VI alcuni mesi prima della pubblicazione dell’Humanæ vitæ (25 luglio 1968), ma soprattutto ripesca dagli archivi della arcidiocesi di Cracovia alcuni documenti inediti, tra cui una lunga lettera inviata dall’allora cardinale polacco a Montini nel 1969, pochi mesi dopo l’uscita dell’enciclica sull’amore umano e sulla procreazione responsabile. Un testo sorprendente perché suggerisce a papa Montini, di fronte all’ondata di critiche e al clamore dei media che «seminano confusione nel ministero pastorale», di divulgare urgentemente una “istruzione” per ribadire tra l’altro il carattere «infallibile e irrevocabile» dell’Enciclica. Non solo, propone a Paolo VI, capitoli e contenuti di questa ipotetica “istruzione” che avrebbe dovuto avere tra gli altri obiettivi quelli di replicare alle «opinioni nocive» diffuse sull’Enciclica.
La lettera inedita di Wojtyla costituisce l’autentico motivo di interesse dello studio di don Galuszka e va spiegata bene per coglierne tutto il significato nel contesto del cinquantesimo anniversario di Humanæ vitæ.
La pubblicazione dell’Enciclica, preceduta da un lungo, laborioso e anche drammatico dibattito, prima all’interno delle sessioni conciliari, poi nella Commissione pontificia a cui l’argomento era stato riservato in via esclusiva per esplicita volontà di Paolo VI, fu accolta soprattutto da malumori e commenti negativi. Al di là delle critiche dei teologi cosiddetti progressisti, quello che risultò sorprendente e inusitato fu la presa di posizione di oltre 40 Conferenze episcopali (soprattutto europee ma non solo) che nei due-tre mesi successivi all’uscita di Humanæ vitæ si espressero con dichiarazioni e documenti applicativi variamente critici. Al di là dei toni pacati e dell’ossequio formale all’autorità papale, le dichiarazioni dei più importanti episcopati furono finalizzate a minimizzare la portata delle indicazioni magisteriali e a sollecitare una larga comprensione, quasi un’assoluzione preventiva, nei confronti di tutti quei coniugi che, di fronte alle impegnative indicazioni in tema di regolazione della fertilità, si sarebbero scoraggiati “nella loro debolezza”.
Humanae vitae e magistero episcopale. Redazione di Luigi Sandri.Edizioni Dehoniane Bologna. 1969, pag. 524.
Molto forte, in quasi tutte le dichiarazioni, il richiamo al primato della coscienza – secondo quanto emerso nei documenti conciliari, soprattutto nella Costituzione pastorale Gaudium et spes – e l’esortazione a non soffermarsi sul problema della regolazione delle nascite per valutare la coerenza della vita coniugale all’esempio del Vangelo. In questo clima pesante, mentre Paolo VI amareggiato per tante sottolineature negative confermava comunque la sua volontà non solo di non replicare, ma neppure di aprire un confronto con gli episcopati più critici, arriva la lettera di Wojtyla. E, mentre tutto quanto detto è ampiamente noto e documentato in decine di saggi, lo scambio epistolare tra Paolo VI e il futuro Giovanni Paolo II emerge per la prima volta. Si tratta di un testo molto ampio, occupa circa 22 pagine del libro di don Galuszka, ed è corredato di note a piè di pagina. Di fronte alla confusione che si è creata e che «riguarda non soltanto il corretto discernimento delle norme morali racchiuse nell’enciclica Humanæ vitæ e del loro carattere vincolante, ma anche l’insieme della vita cristiana» Wojtyla confessa al Papa la sua preoccupazione. «La contestazione della dottrina morale della Chiesa in un campo così importante come quello affrontato dall’enciclica può costituire l’occasione – sottolinea – per dare vita a un processo molto più ampio di contestazione su altri elementi della fede e degli usi cristiani».
Come fare per fermare questa deriva? Il cardinale arcivescovo di Cracovia ha già una soluzione: «Si potrebbe considerare la redazione di un’istruzione ben dettagliata rivolta ai sacerdoti impegnati nel ministero (…). Tale istruzione dovrebbe contenere delle prese di posizioni molto precise riguardo alcune formulazioni teologico-morali, il cui tenore è in evidente disaccordo con l’insegnamento di Cristo trasmesso alla Chiesa». Lo schema del documento che Wojtyla sottopone a Montini prevede cinque capitoli. Nel primo si propone di dare spazio alle dichiarazioni critiche dei vari episcopati la cui ragione va ricercata, secondo la lettura dell’arcivescovo di Cracovia, «nella preoccupazione derivante dal confronto tra la coscienza morale dei laici e dei sacerdoti, e le esigenze reali della morale cristiana trattate dall’enciclica». Considerazioni che, se da un lato vanno comprese, dall’altro non devono mai far passare in secondo piano che «la forza della legge morale è fondata non già sull’approvazione o disapprovazione degli uomini, dei gruppi, degli ambienti umani, ma piuttosto sulla natura oggettiva di bene e di male morale». Nei capitoli successivi si arriva al cuore della proposta. Innanzi tutto va detto che «è impossibile pensare che la morale coniugale racchiusa nell’Enciclica Humanæ vitæ possa essere revocata, ossia, che possa essere considerata fallibile».
Inoltre va chiarito il rapporto tra coscienza e legge morale. Visto che la coscienza, argomenta Wojtyla, «trae la propria forza normativa – vincolante e decisiva – dalla morale oggettiva» vanno considerate criticamente «le dichiarazioni di alcuni episcopati» che si sforzano «di mostrare il massimo dell’indulgenza nei confronti dei vari processi di coscienza in questo campo difficile e doloroso della morale umana, di cui però non si può escludere la possibilità di stati di coscienza profondamente errati». Wojtyla suggerisce poi al Papa di ribadire i fondamenti della dottrina sul matrimonio, in particolare a proposito dei rapporti sessuali, spiegando come non esista alcun «conflitto tra le esigenze di una paternità responsabile che richiede, in talune circostanze, di astenersi dai rapporti coniugali e il dovere di mantenere l’armonia coniugale attraverso la pratica di tali rapporti». A questo proposito il cardinale di Cracovia condanna anche l’espressione “conflitto di doveri”, che compare in alcune dichiarazioni degli episcopati più critici verso l’Humanæ vitæ.
L’ultima parte dell’istruzione è dedicata all’aspetto sacramentale del problema. Wojtyla riprende il passaggio di Humanæ vitæ laddove Paolo VI consiglia ai confessori di essere indulgenti verso i penitenti per puntualizzare: «Va da sé che l’indulgenza e l’amore verso i penitenti richiedono altresì che i sacerdoti facciano loro prendere davvero coscienza dei metodi etici a cui ricorrere per la regolazione delle nascite e che li agevolino nella pratica». Per chi si discosta da queste indicazioni non ci può essere indulgenza: «È categoricamente proibito consigliare la santa comunione senza confessione previa, agli sposi che fanno uso di mezzi contraccettivi nell’ambito del loro matrimonio». Insomma, il tono delle “linee guida” immaginate da Wojtyla avrebbe dovuto rappresentare un sostanziale irrigidimento rispetto a quanto scritto da Paolo VI in Humanæ vitæ, oltre a prendere le distanze in modo esplicito dalle considerazioni espresse dagli episcopati di mezzo mondo, caratterizzate invece da rispetto, accoglienza e comprensione.
Quale fu la reazione di Montini di fronte a questa proposta? Non lo sappiamo. Sappiamo però che nei successivi dieci anni della sua vita, tornò soltanto quattro volte sull’Humanæ vitæ. E non solo non manifestò mai l’intenzione di irrigidirne l’applicazione, ma nei discorsi e negli interventi ufficiali non fece più alcun riferimento ai metodi naturali di regolazione della fertilità. Ma l’aspetto forse più sorprendente della lettera è la proposta di proclamare il carattere “infallibile e irreformabile” di Humanæ vitæ.
Possibile che Wojtyla ignorasse che era stato lo stesso Paolo VI a imporre a monsignor Ferdinando Lambruschini – decano della cattedra di teologia morale della Lateranense poi arcivescovo di Perugia – di spiegare nella conferenza stampa di presentazione dell’Enciclica che quel testo non doveva essere considerato né infallibile né irreformabile? Evidentemente no. Forse nella storia lacerante di Humanæ vitæ c’è ancora qualcosa che non sappiamo.
Luciano Moia, Avvenire 4 marzo 2018
w.avvenire.it/chiesa/pagine/meno-indulgenze-su-humanae-vitae
L’assedio a HV ha registrato nei giorni scorsi due nuovi assalti. Ma anche un poderoso contrattacco.
Il primo e più autorevole assalto porta la firma del cardinale Walter Kasper. In un libretto uscito contemporaneamente in Germania e in Italia egli esalta il “cambio di paradigma” inaugurato da papa Francesco con l’esortazione Amoris lætitia. Un cambio di paradigma – scrive Kasper – che non si limita a consentire la comunione ai divorziati risposati, ma “riguarda la teologia morale in generale ed ha pertanto degli effetti su molte situazioni analoghe”, tra le quali, appunto, il ricorso ai metodi artificiali di regolazione delle nascite.
Kasper non trova in Amoris lætitia il passaggio – in effetti inesistente – che in modo esplicito legittimi l’uso dei contraccettivi. Fa però notare che Francesco, quando cita l’enciclica di Paolo VI, “incoraggia a usare il metodo dell’osservanza dei tempi della fecondità naturale, ma non dice nulla invece di altri metodi della pianificazione familiare ed evita ogni definizione casistica”. Dal che Kasper deduce “che in Amoris lætitia anche il non detto dica qualcosa”, dia cioè di fatto il via libera ai contraccettivi, affidandone l’uso alla “consapevole decisione di coscienza” del singolo individuo.
Il secondo assalto è meno nobile e per niente autorevole. Ed è la strumentale recensione, uscita a tutta pagina domenica 4 marzo 2018 sul quotidiano della conferenza episcopale italiana “Avvenire”, [vedi sopra] a firma del suo specialista in questioni di morale familiare Luciano Moia, del seguente importante libro, fresco di stampa: Pawel Stanislaw Galuszka, “Karol Wojtyla e Humanæ vitæ. Il contributo dell’Arcivescovo di Cracovia e del gruppo di teologi polacchi all’enciclica di Paolo VI”.
Tra i documenti pubblicati per la prima volta in questo libro, Moia isola una lettera scritta da Karol Wojtyla a Paolo VI nel 1969, dopo che numerose conferenze episcopali si erano pronunciate criticamente contro Humanæ vitæ. In quella lettera l’arcivescovo di Cracovia chiedeva al papa di pubblicare urgentemente un’istruzione contro le “opinioni nocive” che circolavano, ribadendo con ancor più forza l’insegnamento dell’enciclica.
Paolo VI non fece ciò che Wojtyla gli aveva chiesto. Gli bastò tener fermo ciò che aveva scritto in Humanæ vitæ senza arretrare di un passo. Ma facendo leva su questo silenzio, Moia contrappone la “rigidità” di Wojtyla alla presunta “apertura” di Paolo VI alle contestazioni di vari episcopati, tutte “caratterizzate – secondo la prosa di Moia – da rispetto, accoglienza e comprensione”. In realtà, il dotto libro di Galuszka documenta non solo l’importante apporto di Wojtyla alla stesura di Humanæ vitæ ma anche lo straordinario approfondimento da lui offerto in seguito, da papa, alla comprensione di quell’enciclica, sia con il ciclo di catechesi sulla teologia del corpo, tra il 1979 e il 1984, sia con l’enciclica “Veritatis splendor” del 1993.
http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_06081993_veritatis-splendor.html
Un approfondimento, quello offerto da Giovanni Paolo II, che anche Benedetto XVI ha riconosciuto in questa sua sincera notazione autobiografica, nel libro-intervista pubblicato dopo la sua rinuncia al papato: “Nella mia situazione, nel contesto del pensiero teologico di allora, Humanæ vitæ era un testo difficile. Era chiaro che ciò che diceva era valido nella sostanza, ma il modo in cui veniva argomentato per noi, allora, anche per me, non era soddisfacente. Io cercavo un approccio antropologico più ampio. E in effetti papa Giovanni Paolo II ha poi integrato il taglio giusnaturalistico dell’enciclica con una visione personalistica”.
Ma eccoci al contrattacco in difesa di Humanæ vitæ che si è espresso sia con la pubblicazione del libro sopra detto, sia con la presentazione che ne è stata fatta mercoledì 7 marzo 2018, nella Pontificia Università Lateranense, dal cardinale Gerhard L. Müller, dal filosofo polacco Stanislaw Grygiel e dal teologo italiano Livio Melina, oltre che dall’autore del libro stesso, il teologo polacco Pawel Stanislaw Galuszka. Melina, già preside del pontificio istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, è anche autore della prefazione al libro. Il suo intervento del 7 marzo 2018 è riprodotto per intero in un’altra pagina di Settimo Cielo.
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/03/07/karol-wojtyla-e-humanae-vitae
E queste sono le sue battute finali, nelle quali egli prende subito di mira sia Kasper che Moia, per poi fare un interessante riferimento alla lettera “Placuit Deo” pubblicata pochi giorni fa dalla congregazione per la dottrina della fede, con l’approvazione di papa Francesco.
Chi manipola Paolo VI di Livio Melina
Si sente oggi parlare equivocamente di un epocale “cambiamento di paradigma”, che sarebbe necessario applicare alla morale sessuale cattolica. Per imporlo è in atto anche un discutibile tentativo di rilettura storica, che contrappone le figure di Paolo VI e di Giovanni Paolo II, vedendo nel secondo un intransigente e rigido tradizionalista, che avrebbe compromesso l’attitudine aperta e flessibile del primo.
In realtà questa grossolana e arbitraria falsificazione è solo funzionale a una manipolazione ideologica del magistero di papa Paolo VI. La messa tra parentesi dell’insegnamento di san Giovanni Paolo II sulla teologia del corpo e sui fondamenti della morale, delle sue catechesi e di “Veritatis splendor“, in nome del nuovo paradigma pastorale del discernimento “caso per caso”, non ci fa fare nessun passo avanti, ma solo un passo indietro verso la casuistica, con lo svantaggio che almeno quella era sostenuta da un contesto ecclesiale e culturale solido di vita cristiana, mentre oggi non potrebbe che risolversi nella totale soggettivizzazione della morale.
Papa Francesco ha recentemente approvato la pubblicazione da parte della congregazione per la dottrina della fede della lettera “Placuit Deo“, che mette in guardia, tra l’altro, da un risorgente neo-gnosticismo. Non è forse questo il veleno nascosto in queste sedicenti riletture e attualizzazioni di Humanæ vitæ che al di là della lettera superata vorrebbero coglierne lo spirito, o che, negando con supponenza la pertinenza normativa (“Il problema di Humanæ vitæ non è pillola sì o pillola no”) ne esaltano una vaga e vuota profeticità antropologica, una affermazione di valori, lasciati poi all’interpretazione soggettiva, a seconda delle circostanze?
Contro queste tendenze, il libro di Pawel Galuszka è un potente farmaco, che ci permette di respirare la buona teologia morale di Karol Wojtyla, figlio devoto e fedele di papa Paolo VI prima, e poi suo grande successore sulla cattedra di Pietro.
Sandro Magister blog settimo cielo 9 marzo 2018
A 40 anni dall’enciclica Humanæ vitæ– 25 luglio 1968
E’ stato ripreso il documento del movimento Noi Siamo Chiesa del 21 luglio 2008.
“We Are Church” (“Noi Siamo Chiesa”) invita ad una morale sessuale che guarda al futuro e fondata sull’etica della responsabilità. www.noisiamochiesa.org/category/chi_siamo
“Nei confronti della sessualità umana la Chiesa cattolica romana necessita urgentemente di un nuovo atteggiamento, che sia lontano dalla paura e che sia fondato sull’amore, perché la sessualità è portatrice di energia vitale per ogni essere umano creato da Dio e da lui amato”: questo è quanto sostiene il Movimento Internazionale We Are Church (IMWAC), commentando il quarantesimo anniversario dell’enciclica Humanæ vitæ che fu firmata il 25 luglio 1968. https://it.wikipedia.org/wiki/Noi_Siamo_Chiesa
“Il magistero della Chiesa non dovrebbe arroccarsi più a lungo dietro mura vecchie di secoli. Inoltre esso non dovrebbe ancora ignorare le più consolidate conoscenze delle scienze umane sulla sessualità e sull’etica in materia sessuale” afferma We Are Church (“Noi Siamo Chiesa”). Lo scopo di questa enciclica era quello di valorizzare l’amore coniugale e di proporre una sessualità che andasse al di là del solo scopo di trasmettere la vita. Questo scopo fu però scarsamente capito dal popolo di Dio e il movimento dei cattolici per la riforma della Chiesa deplora questa incomprensione: in effetti troppo dominante fu il messaggio principale dell’enciclica secondo cui “il concepimento può essere impedito solo ricorrendo a metodi naturali-”. Questo messaggio è appena stato confermato da Benedetto XVI, senza “se” e senza “ma”.
Parlando dell’Humanæ vitæ non si può dimenticare che la maggioranza della Commissione, costituita nel 1962 da Giovanni XXIII ed allargata da Paolo VI, aveva votato per una paternità responsabile senza mettere al bando alcun metodo di contraccezione. Fu Paolo VI che non seguì l’orientamento fortemente maggioritario della Commissione ma decise che la posizione minoritaria diventasse la dottrina ufficiale della Chiesa. Questa decisione ha avuto gravi conseguenze: non ci fu né comprensione né concreta accettazione dell’enciclica: E così la Chiesa cattolica ha perso in gran parte competenza e credibilità in materia di sessualità umana e di vita sessuale. L’enciclica ha diviso la Chiesa, anche nei suoi vertici, ha sconfessato i più importanti teologi cattolici, è stata la causa di sofferti problemi di coscienza. E’ inevitabile che in futuro la Chiesa dovrà pentirsi di questa sua linea di oggi.
Per fondare un’etica sessuale per il futuro, fondata sulla responsabilità, ci vogliono studi, analisi e riflessioni a tutto campo su come cambia la società, senza pronunciare condanne. Questo è il punto di vista di “We Are Church”. Il rinnovamento dell’etica sessuale cristiana per avere successo dovrebbe andare in questa direzione:
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E’ essenziale accettare le più recenti conoscenze scientifiche per quanto riguarda la sessualità umana, ed anche l’omosessualità, ed andare oltre le precedenti insufficienti convinzioni causate dall’ignoranza.
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Bisogna prendere in considerazione la condizione delle donne, degli uomini e delle famiglie che sono cambiate per le modifiche prodotte dalla situazione sociale e politica e dall’evoluzione della tecnica.
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Molte Conferenze episcopali hanno scritto documenti che ben interpretano la dottrina tradizionale sul ruolo prioritario della coscienza. Queste loro argomentazioni sono fondate e non possono essere ignorate.
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Il problema dell’AIDS, sconosciuto quando l’enciclica fu emanata, ma non ora, pone una questione urgente; ugualmente si deve dire per la rapida crescita della popolazione nel mondo. A questi problemi devono essere date risposte diverse rispetto a quelle fondate sul categorico divieto del preservativo o sul semplice invito all’astinenza.
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Poiché tutte le religioni hanno sempre affermato il valore della difesa della vita e della sua trasmissione bisogna pensare a un percorso che coinvolga tutte le confessioni e tutte le religioni per formulare delle linee di etica sessuale che siano generalmente accettate ed applicate.
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Un approccio positivo alla sessualità è uno dei cinque punti dell’Appello dal popolo di Dio di “We Are Church” che fu firmato da più di due milioni e trecentomila persone solo in Austria ed in Germania e che fu alla base della fondazione dell’International Movement We Are Church (IMWAC).
Traduzione di Vittorio Bellavite 30 luglio 2008
don Giorgio De Capitani 10 marzo 2018
www.dongiorgio.it/archivio-sito/pagine.php?id=1167&nome=religione
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POLITICHE PER LA FAMIGLIA
Piemonte: la Regione pubblica bando per incentivare il ritorno al lavoro delle mamme
La misura, denominata ‘Ri.Ent.R.O.’ (Rimanere Entrambi Responsabili e Occupati) è stata resa possibile grazie a uno stanziamento di 500mila euro da parte dell’ente regionale e sarà disponibile fino al compimento di un anno di vita del bambino. Il contributo si aggiunge al ‘Bonus mamme domani’ introdotto con la Legge di bilancio 2017 e confermato quest’anno, che prevede un riconoscimento di 800 euro alle mamme o future mamme che hanno compiuto il settimo mese di gravidanza, partorito, adottato un minore nazionale o internazionale o, ancora, avuto un bimbo in affidamento preadottivo famiglia, con il bando ‘Ri.Ent.R.O’ la regione Piemonte promuove il ritorno al lavoro delle neo-mamme. Il Piemonte si rimbocca le maniche per sostenere concretamente il rientro al lavoro delle neo-mamme di famiglia: è stato pubblicato sul sito della Regione il bando per partecipare a ‘Ri.Ent.R.O.’ (Rimanere Entrambi Responsabili e Occupati), un intervento con cui l’ente regionale vuole incentivare il ritorno al lavoro delle donne in seguito alla nascita di un figlio e, al tempo stesso, favorire la condivisione delle responsabilità di cura familiare tra i genitori, stimolando i papà a fruire più spesso dei congedi parentali.
Lo stanziamento per sostenere economicamente la misura a vantaggio della famiglia è pari a 500mila euro, tra fondi regionali ed europei. Le mamme lavoratrici possono presentare domanda per ottenere un contributo una tantum di 400 euro al mese, replicabile per ogni mese in cui il padre rimane in congedo fino al primo anno di vita del bimbo. Qualora fossero donne sole l’ammontare del contributo aumenta a 500 euro e viene concesso dal momento di ritorno al lavoro fino ai 12 mesi di vita del figlio. L’iniziativa è valida anche in caso di adozione o affidamento di minori ed è riconosciuta alle lavoratrici dipendenti del settore privato, alle lavoratrici autonome e alle titolari o socie di micro imprese.
Questo contributo si aggiunge al ‘bonus mamme domani’, introdotto con la Legge di bilancio 2017 e confermato anche per il 2018, che prevede il riconoscimento di 800 euro alle mamme o future mamme di famiglia che abbiano compiuto il settimo mese di gravidanza, abbiano già partorito, adottato un minore nazionale o internazionale o, ancora, avuto un bimbo in affidamento preadottivo.
Secondo l’assessore alle Pari opportunità della Regione Piemonte, Monica Cerutti, “la parità passa anche attraverso parità di condizioni nel mondo del lavoro. Troppo spesso i datori vedono nella maternità un problema, e questa continua ad essere una intollerabile discriminazione. Noi ci stiamo attivando perché la società italiana arrivi a vedere nei congedi parentali non una possibilità ma un diritto“.
Da parte sua, l’assessore al Lavoro piemontese, Gianna Pentenero, ha aggiunto che “dopo la Valle d’Aosta il Piemonte è il territorio in cui la differenza fra il tasso di occupazione maschile e femminile è più bassa. Ma siamo ancora lontano dai valori di zone europee simili, dove la percentuale di donne che lavorano supera il 70%, contro il 62,3% del Piemonte. Dobbiamo tendere a quei numeri, favorendo in tutti i modi possibili l’occupazione femminile“.
News AI. Bi. 9 marzo 2018
www.aibi.it/ita/famiglia-piemonte-la-regione-pubblica-bando-incentivare-ritorno-al-lavoro-delle-mamme-400-euro-al-mese-papa-congedo
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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI
25° Congresso a Bologna
Nel 50° della sua fondazione, è programmato il 25° Congresso Nazionale dell’Ucipem, che si svolgerà a Castel San Pietro Terme presso il Centro Congressi Artemide, da venerdì 4 a domenica 6 maggio 2018.
Il Congresso ha come tema: Una storia proiettata nel futuro. Il buon seminatore.
Il Consultorio familiare Ucipem dai bisogni attuali della famiglia agli scenari futuri.
Quali possono essere gli scenari futuri della famiglia e delle relazioni umane? Quali risposte i nostri consultori potranno e dovranno dare alle persone e alla società e quali cambiamenti dovranno affrontare per poter dare queste risposte? Saranno questi i temi del XXV Congresso Nazionale dell’UCIPEM. Le risposte verranno da studiosi e soprattutto dagli operatori dei nostri consultori, che vivendo quotidianamente in prima linee le sofferenze e i disagi delle famiglie sono in grado di coglierne le possibili evoluzioni future.
venerdì 4 maggio ore 14,00
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Accoglienza e Registrazione
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Presentazione del congresso Francesco Lanatà, presidente UCIPEM
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Le nostre origini: “Il buon seme”. Introduce e coordina Chiara Camber
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Alice Calori ricorda Don Paolo Liggeri e Sergio Cammelli.
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Intervista a Don Paolo Liggeri.
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Paolo Benciolini: La nascita dell’UCIPEM e il contesto sociale.
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Luisa Solero: la legge 405/1975.
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Rosalba Fanelli ricorda p. Luciano Cupia.
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Con gli occhi dei presidenti: Beppe Sivelli e Gabriela Moschioni.
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Interviste registrate a p. Domenico Correra SJ, Giancarlo Marcone, p. Michelangelo Maglie SJ, Duccia Rossi, Anita De Meo, don Charles Vella.
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Interventi dall’aula
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UCIPEM e società oggi: Introduce Luca Proli
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Edoardo Polidori: Genitori e figli di fronte alle droghe.
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ore 21,00 Cineforum: con la proiezione del film La felicità umana di Maurizio Zaccaro
sabato 5 maggio ore 9,00
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Tavola Rotonda: Professionalità in rete al servizio del territorio. Introduce Gabriela Moschioni.
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Elisabetta Gualmini, vicepresidente Regione Emilia Romagna Il principio di sussidiarietà nel rapporto pubblico – privato.
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Emanuela Elmo (UCIPEM Bologna): La riforma del terzo settore.
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Gigi De Palo (Presidente Forum delle Associazioni Familiari): Il Forum e la sua rete.
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don Edoardo Algeri (Presidente C.F.C.): UCIPEM e CFC – Un cammino insieme.
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Rita Roberto (Presidente AICCeF): La legge 4/2013 oggi.
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don Ermanno D’Onofrio (CISPEeF): Le scuole per consulenti familiari.
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p. Tommaso Guadagno SJ (UCIPEM Napoli) Professionalità e amore nella consulenza.
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Letture Magistrali su: “La famiglia tra bisogni attuali e scenari futuri” Introduce Giancarlo Odini
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Matteo Lancini: Abbiamo bisogno di adulti autorevoli: Aiutare gli adolescenti a diventare adulti.
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15,00 World Cafè: Il Consultorio dai bisogni attuali agli scenari futuri della famiglia.
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Introduce don Cristiano Marcucci Coordina Raffaella Moioli
www.dors.it/page.php?idarticolo=1161
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21,30 Serata conviviale con il coro gospel VOCAL LIVE
domenica 6 maggio ore 9,00
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Consultorio e Famiglia: possibili scenari futuri (riflessioni sui risultati del World Cafè)
Chiara Camber e Luca Proli
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Interventi dalla platea
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Conclusioni. Francesco Lanatà
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Questionario di apprendimento
Sono stati richiesti i crediti formativi per le seguenti professioni: Assistenti sociali, Avvocati, Consulenti familiari, Infermieri professionali, Insegnanti, Medici, Ostetriche, Psicologi.
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Sede Del Congresso. Hotel Castello – Centro Congressi Artemide
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Viale delle Terme, 1010/b – 40024 Castel San Pietro Terme (BO) ITALY – tel.39 051 943509
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Come raggiungere l’Hotel Castello:
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5 minuti dalla fermata degli autobus di linea urbani ed extra urbani provenienti da Bologna
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3 Km dalla stazione ferroviaria di Castel San Pietro Terme (treni ogni 30-40 minuti)
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4 Km dal Casello Autostradale di Castel San Pietro Terme sulla A14 Bologna-Ancona
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34 Km dall’aeroporto G. Marconi di Bologna.
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Quota di iscrizione: Euro 50 per le iscrizioni effettuate entro il 10 aprile 2018. Euro 60 dal giorno 11 aprile in poi.
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Le iscrizioni devono essere effettuate dopo il pagamento della quota di iscrizione, sul sito UCIPEM NAZIONALE entro il 30 aprile 2018. Sarà ritenuta valida l’attestazione dell’avvenuto pagamento che dovrà essere effettuato tramite bonifico bancario intestato all’ U.C.I.P.E.M. codice IBAN: IT19D0335901600100000015560
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Sulla causale è necessario scrivere: XXV CONGRESSO NAZIONALE UCIPEM, nome e cognome, consultorio di provenienza, nominativi di eventuali accompagnatori non iscritti al congresso.
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La quota di iscrizione da diritto alla partecipazione alle sessioni, al kit congressuale, ai coffe break e ai crediti formativi se richiesti.
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La quota di iscrizione non comprende i costi delle camere in hotel, il pranzo di sabato e le cene di venerdì e sabato che vanno pagati a parte, direttamente all’hotel Castello.
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Prenotazione camere esclusivamente all’hotel Castello: tel. 051.943509, specificando di essere congressisti UCIPEM anche tramite info@hotelcastello.comwww.hotelcastello.com
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Costi del soggiorno: camera singola € 51,00 – camera doppia € 56,00iva inclusa. Le tariffe sono da considerarsi a camera, a notte, con prima colazione a buffet.
Qualora il numero degli iscritti dovesse superare la capacità dell’Hotel Castello, sarà disponibile l’Hotel Anusca posto nelle immediate vicinanze a prezzi superiori di soli 4 euro. Le prenotazioni saranno comunque gestite dall’Hotel Castello.
Alla tariffa su indicata bisogna aggiungere l’imposta di soggiorno di € 2,00 a persona a notte.
Pasti: Cena del venerdì: € 23,00 IVA inclusa. Pranzo del sabato: € 19,00 IVA inclusa. Cena del sabato: € 26,00 IVA inclusa. Nota bene: Eventuali allergie alimentari o intolleranze dei partecipanti dovranno essere comunicate per iscritto a alla accettazione dell’hotel prima dell’evento.
www.ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=article&id=621:xxv-congresso-nazionale-ucipem-bologna&catid=9&Itemid=136
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