NewsUCIPEM n. 691 – 4 marzo 2018

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02 ADDEBITO Il coniuge tradito può chiedere i danni oltre all’addebito?

03 Addebito nella separazione.

05 ADOZIONI INTERNAZIONALI Garantire i diritti dei minori abbandonati di fede musulmana.

05 AFFIDO CONDIVISO La guerra contro i papà.

07 AMORIS LÆTITIA Il cristiano non ha circostanze attenuanti.

08 Commenti.

09 “Amoris lætitia? I sacramenti ridotti a morale” .

10 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Divorzio: per i figli vale sempre il tenore di vita.

10 ASSEGNO DIVORZILE Assegno di divorzio: quando spetta?

13 Non si può prescindere dalla storia personale.

13 CENTRO GIOVANI COPPIE. MILANO Conoscersi per essere più liberi.

13 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 7, 28 febbraio 2018.

15 CHIESA CATTOLICA Discernimento e durezza di cuore. Matteo 7, 1-11.

15. Alla Gregoriana un ciclo di incontri sul “discernimento”

16 La paura di fare il salto. Sarah, Müller.

18 CHIESE EVANGELICHE Germania. La Conferenza episcopale apre all’ospitalità eucaristica.

18 COMM. ADOZIONI INTERNAZIONALI I dati 2016/2017: il 47% dei minori ha tra i 5 e i 9 anni d’età.

20 CONSULTORI FAMILIARI Roma.Le forme della collaborazione con i Tribunali Ecclesiastici.

20Roma. Figli di genitori separati: i Gruppi di Parola.

21 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Imola. Incontri con i genitori. Insieme nella rete.

21 DALLA NAVATA III Domenica di Quaresima – Anno B –4 marzo 2018.

22 Gesù, luogo dell’incontro definitivo con Dio.Enzo Bianchi.

23 DEMOGRAFIA Insegnate come fare figli, non solo come evitarli.

23 DIRITTI DEI MINORI La funzione socio-giuridica della scuola dell’infanzia.

26MINORI NON ACCOMPAGNATI Nel 2017 sbarcati in Italia 15.731 minori stranieri MISNA

27 OMOFILIADue minori figli di persone dello stesso sesso.

27 NULLITÀ DEL MATRIMONIO Matrimonio nullo per la chiesa: quali effetti sul mantenimento?

29 ORFANI Orfani per crimini domestici.

29 PATROCINIO GRATUITO Gratuito patrocinio.

31 PENSIONE DI RIVERSIBILITÀ Reversibilità e nuova convivenza.

32 POLITICHE PER LA FAMIGLIA Durata congedo obbligatorio pei padri lavoratori dipendenti 2018.

32 Cassazione: confermati i 3 giorni della L. 104 anche ai lav. part-time.

32 RICONOSCIMENTO DEL FIGLIO Responsabilità aquiliana x omissione del riconoscimento del figlio.

33 SEPARAZIONE Alla moglie separata spetta il Tfr del marito?

35 UCIPEM 25° Congresso a Bologna (4-6 maggio 2018).

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ADDEBITO

Il coniuge tradito può chiedere i danni oltre all’addebito?

Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza n. 4470, 23 febbraio 2018.

La conseguenza normale della violazione degli obblighi del matrimonio è l’addebito e solo eccezionalmente il risarcimento dei danni.

Chi non è esperto di “questioni legali” e si trova ad affrontare una causa di separazione potrebbe essere indotto a ritenere che la battaglia sull’addebito che spesso i coniugi intraprendono in modo esasperato l’uno contro l’altro possa avere una utilità e magari giustificare una richiesta di risarcimento del danno. Ma non è così: il marito assente, la moglie traditrice o il coniuge che abbandona la casa compie sì degli atti contrari ai doveri del matrimonio ma non subisce alcuna sanzione se non la perdita del diritto al mantenimento (sempre che il suo reddito sia più basso dell’altro) e dei diritti ereditari se, prima del divorzio, l’ex dovesse decedere. Sbaglia quindi chi ritiene che, una volta ottenuto l’addebito a carico del marito o della moglie, possa pretendere anche un indennizzo. Una recente ordinanza della Cassazione prova a spiegare, in un caso di infedeltà, quando il coniuge tradito può chiedere i danni oltre all’addebito.

Addebito e risarcimento del danno: quali differenze? Quando la separazione viene addebitata alle colpe che il marito o la moglie ha nei confronti dell’ex, quest’ultimo non ha diritto, in automatico, anche al risarcimento dei danni per il matrimonio sfumato, né gli spetta la restituzione dei soldi spesi per il ricevimento, l’abito nuziale, l’arredo, la casa coniugale. In generale, infatti, dalla separazione dei coniugi può nascere, sul piano economico — a prescindere dai provvedimenti sull’affidamento dei figli e della casa coniugale — solo il diritto ad un assegno di mantenimento dell’uno nei confronti dell’altro, quando ne ricorrono le circostanze specificamente previste dalla legge, con conseguente esclusione della possibilità di richiedere il risarcimento anche quando la separazione sia addebitabile ad uno di essi.

Tuttavia, anche se in casi eccezionali, i giudici hanno aperto le porte alla possibilità di chiedere i danni oltre all’addebito quando le condotte di uno dei due coniugi sono talmente gravi da ledere i diritti fondamentali della persona dell’altro. Così, ad esempio, chi vede lesi i propri diritti come dignità, riservatezza, onore, morale, reputazione, privacy salute o integrità psico-fisica ha diritto a un risarcimento che eventualmente potrebbe aggiungersi anche al mantenimento. Mantenimento e risarcimento del danno viaggiano su due strade diverse perché diversi sono i presupposti:

  • Il mantenimento serve a sostenere il coniuge con il reddito più basso. Solo chi non ha subito l’addebito può chiedere il mantenimento, mentre chi ha ricevuto l’addebito non può ottenere il mantenimento anche se non ha reddito o ha un reddito molto baso;

  • Il risarcimento del danno invece serve per reintegrare una lesione subita per via del comportamento gravemente lesivo dell’ex. Non basta il mancato rispetto degli obblighi connessi al matrimonio per dar luogo al risarcimento dei danni; è necessario che l’offesa sia particolarmente grave e vi sia la prova di un danno concreto. .

In caso di tradimento posso chiedere il risarcimento? Apriamo ora i riflettori sullo specifico caso del tradimento. L’infedeltà, da sola, come ogni altra violazione dei doveri del matrimonio, non implica il diritto al risarcimento del danno. Ad esempio esiste un danno ingiusto risarcibile e quindi la responsabilità risarcitoria quando il marito, con comportamenti protratti per mesi, fa esplicite affermazioni di aperto disinteresse per le sorti ed i bisogni della moglie e del figlio nascituro, con modalità sprezzanti, dichiarando apertamente e platealmente di volere abbandonare la moglie in condizione di particolare fragilità e bisognosa di assistenza e sostegno morale e affettivo per via del suo stato di gravidanza. In tal caso la moglie vede pregiudicata la qualità complessiva del proprio stato di vita in un periodo particolarmente delicato sul piano emotivo, affettivo, relazionale e progettuale quale è quello della gestazione.

Il tradimento, anche se procura sofferenza, non è causa di risarcimento del danno a meno che le modalità concrete con cui esso è stato posto in essere comportano una lesione del diritto alla salute, alla dignità personale, al decoro, alla privacy del coniuge. Gli esempi possono essere numerosi: si pensi alla moglie che tradisce il marito con il migliore amico di questi e lo fa in pubblico, tant’è che tutto il paese ne è al corrente salvo l’interessato. Ma non basta la semplice lesione astratta di un diritto costituzionale (in questo caso la dignità) ma è necessario dimostrare anche di aver subito un danno. Ad esempio, il coniuge tradito dovrà provare, con certificati medici, di essere stato in depressione, di aver perso giornate di lavoro, di aver rifiutato incontri con altre persone o di essere stato costretto a lasciare il luogo ove prima viveva.

Insomma, il tradimento può essere fonte di un risarcimento del danno non patrimoniale ma questo danno va provato in modo molto rigoroso.

I precedenti della Cassazione su tradimento e risarcimento. Lo stesso principio è già stato affermato dalla Cassazione anche in passato. Ad esempio i giudici supremi, nel 2012, hanno tetto che, sebbene è possibile chiedere danni anche nel contesto familiare, la moglie non ha diritto al risarcimento per i danni psico-fisici presuntivamente subiti a seguito della separazione e dell’infedeltà del marito se non vi è alcuna lesione dei diritti fondamentali della persona; nel caso di specie, l’unico fatto accertato era stata infatti la violazione del dovere di fedeltà da parte del marito che però, non si era concretata in un atteggiamento atto a determinare una lesione dell’integrità fisico-psichica della donna ossia dei suoi fondamentali diritti.

Ed ancora, la violazione da parte di un coniuge dell’obbligo di fedeltà, a parte le conseguenze sui rapporti di natura personale, può anche costituire, in concorso di particolari circostanze, fonte di danno patrimoniale per l’altro coniuge, per effetto del discredito derivantegli; trattandosi però di un danno non necessariamente conseguente alla subita infedeltà, né da essa desumibile come potenziale, ma solo possibile nel caso concreto, per ottenere il risarcimento non è ritenersi sufficiente la semplice dimostrazione dell’infedeltà medesima, ma occorre anche la prova delle circostanze che abbiano determinato, nel caso specifico, il danno concreto [Cass. Sent. n. 610/2012; Cass. Sent. n. 18853/2011].

L’infedeltà semplice non è quindi fonte di risarcimento del danno. Occorre invece che il comportamento dello sposo «fedifrago» arrivi a certe soglie di intensità, tendenzialmente quelle del dolo o della colpa grave. In tal caso saranno risarcibili sia il danno corrispondente ai disturbi psichici risentiti dalla vittima (nel caso specifico, la moglie), sia quello inerente alla lesione della sfera della dignità, da cui siano derivate compromissioni nella sfera relazionale della stessa [Trib. Venezia sent. del 14.05.2009].

La dignità può essere lesa sulla base di una serie di valutazioni quali ad esempio le modalità, la frequenza e le circostanze dell’adulterio; il comportamento, in buona sostanza, deve ledere i diritti fondamentali ed inviolabili della persona anche costituzionalmente rilevanti (l’onore e la dignità).

E se il tradimento avviene con una persona dello stesso sesso (omosessuale)? Le cose non cambiando. Infatti la semplice violazione del dovere di fedeltà coniugale, pur se perpetrata con l’instaurazione di una relazione omosessuale, non è fonte di responsabilità da atto illecito; la stessa, pertanto, non può dare luogo a pronuncia di risarcimento del danno esistenziale [C. app. Brescia, sent. 7.03.2007].

Redazione Newsletter La legge per tutti 27 settembre 2018 Ordinanza

www.laleggepertutti.it/196682_il-coniuge-tradito-puo-chiedere-i-danni-oltre-alladdebito

Vedi pure www.studiocataldi.it/articoli/29395-il-coniuge-tradito-puo-essere-risarcito-previa-doverosa-allegazione-e-prova.asp

 

Addebito nella separazione.

Separazione e divorzio: quando al marito o la moglie è addebitata la responsabilità per la fine del matrimonio, questi non ha possibilità di chiedere il mantenimento. Se ti stai per separare da tuo marito o da tua moglie avrai probabilmente chiesto un appuntamento con un avvocato che sappia spiegarti cos’è l’addebito e quali conseguenze possono scaturire per il coniuge colpevole del naufragio del matrimonio. Se però non sei ancora stato da un legale e stai cercando su internet qualche informazione per sapere a cosa vai incontro, sia sotto un profilo economico che personale, sei approdato sulla pagina giusta. In questo articolo ti spiegheremo infatti quali conseguenze dall’addebito possono derivare per il marito o la moglie in seguito alla separazione e al successivo divorzio.

Forse ancora non lo sai, ma stai per scoprire che gran parte delle guerre che le coppie si fanno in tribunale sull’addebito è privo di utilità concreta: diventa piuttosto una questione di puro principio, una rivalità che si acuisce proprio per via dell’imminente distacco e che, specie nelle piccole realtà cittadine, diventa un modo per dimostrare a tutti di aver rispettato il coniuge e di non avere colpe in merito al fallimento del matrimonio. Ma procediamo con ordine.

  1. 1 Cos’è l’addebito?

La condizione migliore per separarsi è firmare un accordo con cui i coniugi regolano le condizioni economiche e personali della cessazione della convivenza. Ma se la coppia non riesce a trovare l’intesa, ci si può separare ricorrendo al giudice. Sarà il tribunale a fissare tutte i termini della separazione come il riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore del coniuge con il reddito più basso, la divisione dei beni, l’assegnazione della casa al genitore con cui i figli andranno a vivere, la quantificazione del mantenimento per i figli stessi e il diritto di visita sui minori da parte dell’altro genitore non convivente.

Se, nel corso di tale causa, il giudice accerta che la crisi definitiva del matrimonio è stata determinata dal comportamento colpevole di uno dei due coniugi, dichiara a carico di quest’ultimo la responsabilità della separazione. Questa dichiarazione si chiama «addebito» ed è prevista dal codice civile [Art. 151 cod. civ.]. L’addebito quindi non è altro che l’accertamento della colpa per aver violato di una delle norme sui doveri scaturenti dal matrimonio quali: il dovere di fedeltà, di coabitazione, di assistenza morale e materiale, di rispetto reciproco, di contribuzione alle necessità economiche del nucleo familiare in proporzione alle proprie possibilità, ecc. Se le violazioni dei doveri sono imputabili a entrambi i coniugi addebita la separazione a tutti e due (cosiddetto doppio addebito). Passim

2 Quali sono le conseguenze dell’addebito?

3 Se c’è l’addebito c’è l’obbligo di pagare il mantenimento? 

Sfatiamo il luogo comune in cui spesso si cade: addebito non vuol dire dovere di mantenimento. Si tratta, infatti, di due concetti con scopi e presupposti completamente diversi:

  • L’addebito è una sanzione per chi viola i doveri del matrimonio. Il presupposto dell’addebito è quindi un comportamento colpevole. Quanto alle conseguenze, l’addebito non comporta l’obbligo di pagare somme a titolo di risarcimento o di mantenimento (piuttosto è vero il contrario: chi subisce l’addebito non può chiedere il mantenimento); gli unici effetti dell’addebito sono la perdita del diritto al mantenimento (se il colpevole è anche il più povero) e dei diritti successori;

  • L’assegno di mantenimento è una misura assistenziale in favore del coniuge con il reddito più basso (sempre che questi non abbia subito l’addebito). Il presupposto del mantenimento è quindi una situazione di disparità economica. Al coniuge più “povero” è dovuto un mantenimento che gli garantisca lo «stesso tenore di vita» che aveva durante il matrimonio. Questo criterio di quantificazione del mantenimento peraltro viene meno con il divorzio: dallo scorso 10 maggio 2017, infatti, la Cassazione ha decretato che l’assegno di divorzio non è rivolto a garantire lo stesso tenore di vita ma solo l’indispensabile per «l’autosufficienza»; per cui se il coniuge che guadagna di meno è comunque indipendente da un punto di vista economico questi non potrà chiedere l’assegno mensile.

4 Se c’è l’addebito spetta il mantenimento?

5 Se c’è l’addebito spetta il risarcimento del danno?

6 Doppio addebito

7 Quando scatta l’addebito

Affinché a un determinato comportamento possa essere collegato l’addebito è necessario che vi sia la prova che sia stato proprio tale comportamento la causa della crisi della coppia e non che essa fosse già in atto. Ad esempio, in una situazione in cui i due coniugi non si amano più e sono dichiaratamente in crisi, per cui non hanno più rapporti sessuali e spesso vivono separati, il tradimento non può essere considerato causa di addebito. In tal caso si avrà una separazione senza addebito.

Spesso è difficile pronunciare l’addebito perché dall’esame del comportamento di entrambi i coniugi si ricavano pari responsabilità in relazione alla crisi coniugale. In tali ipotesi è ben possibile che il giudice pronunci la separazione senza addebito quando la violazione degli specifici obblighi matrimoniali si verifica in conseguenza di una crisi già in corso o è frutto di incomprensione o incompatibilità reciproche e persistenti.

8 La prova dell’addebito

Nel giudizio di separazione giudiziale il giudice può pronunciare l’addebito solo gli è stato espressamente richiesto da uno dei due coniugi, il quale si dovrà anche assumere l’onere di provare

  1. Il comportamento colpevole dell’altro coniuge;

  2. Che da tale comportamento colpevole è derivata la definitiva crisi del matrimonio. In particolare, il coniuge che richiede l’addebito deve provare che l’irreversibile crisi coniugale è ricollegabile esclusivamente al comportamento dell’altro contrario ai doveri nascenti dal matrimonio.

Se il giudice accerta una condotta contraria ai doveri matrimoniali è onere del coniuge che ha violato tali doveri fornire la prova dell’esistenza di valide giustificazioni, ad esempio provando che l’infedeltà è stata determinata da una giusta causa o non ha provocato la crisi coniugale.

9 Come si chiede l’addebito?

(…) Se un coniuge propone domanda di separazione senza richiesta di addebito, la richiesta non può essere formulata in seguito nel corso del giudizio. È inammissibile la domanda di addebito proposta per la prima volta in appello.

Il coniuge non può chiedere la pronuncia dell’addebito dopo la pronuncia della separazione senza addebito (o dopo l’omologazione della separazione consensuale), neanche se dimostra di essere venuto a conoscenza di fatti, precedenti alla sentenza, che avrebbero potuto fondare la domanda di addebito

Seguono 51 estratti di Ordinanze e Sentenze

Redazione Newsletter La legge per tutti 27 settembre 2018

www.laleggepertutti.it/196710_quali-conseguenze-dalladdebito

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Garantire i diritti dei minori abbandonati di fede musulmana

Oltre alla richiesta del bonus adozioni, uno dei ‘frutti’ della Conferenza di Roma del 15 febbraio 2018 scorso è stata anche la richiesta al mondo politico-istituzionale di rilancio e di promozione di nuove forme di accoglienza dei minori abbandonati. Tra queste, rientra pienamente il riconoscimento della Kafala, l’istituto di diritto islamico che accomuna gli ordinamenti giuridici ispirati agli insegnamenti del Corano e che, nei Paesi di fede musulmana, sostituisce l’adozione

Il rilancio dell’adozione internazionale nel nostro Paese non può prescindere dal sostegno alle coppie attraverso un ‘bonus adozioni’ che compensi, almeno sotto il profilo economico, lo sforzo che i coniugi che scelgono il percorso adottivo compiono fino alla conclusione dell’iter di adozione: è quanto emerso in modo chiaro dalla Conferenza ‘Adozioni internazionali: un bene per tutti’, svoltasi lo scorso 15 febbraio 2018 in Senato, a Roma e nel corso della quale i portavoce di 20 Enti Autorizzati hanno incontrato il mondo politico alla vigilia elettorale, per chiedere un aiuto concreto per garantire il futuro al sistema-adozioni in Italia.

Ma in chiave prospettica, oltre all’aiuto ‘emergenziale’ dato dal bonus per l’adozione internazionale, ci sono altre opzioni che rilancerebbero in modo significativo l’accoglienza dell’infanzia abbandonata nel nostro Paese: tra queste, spicca il riconoscimento normativo della Kafala, la ‘grande dimenticata’ dalle istituzioni nazionali negli ultimi anni.

Per Kafala s’intende l’istituto di diritto islamico che accomuna gli ordinamenti giuridici ispirati agli insegnamenti del Corano e che, nei Paesi di fede musulmana, sostituisce l’adozione. Il nostro Paese ha ratificato, nel 2015, la Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori che, tra le varie forme di tutela, prevede anche la Kafala. Ma al momento della ratifica, il nostro Parlamento ha stralciato proprio gli articoli relativi alla Kafala, rinviandone il dibattito a una fase successiva e lasciando, di fatto, la questione in sospeso.

Una mancanza di volontà politica che ha impedito, fino ad oggi, il riconoscimento di questa forma di accoglienza. Il risultato? Negli anni, la maggior parte delle domande di visto per ricongiungimento familiare avanzate nell’interesse di minori in Kafala è stata respinta dalle autorità italiane, violando il principio di uguaglianza e penalizzando i minori provenienti da Paesi di fede islamica. Discriminazione che colpisce anche le coppie (miste o con uno dei componenti originario di un Paese islamico) che fanno richiesta di Kafala.

Se, quindi, il mondo politico ha davvero l’interesse a rilanciare forme di sostegno ai minori senza famiglia nel nostro Paese, non potrà mancare – tra i primi provvedimenti della nuova legislatura – quello che riconosce e recepisce finalmente, tra le varie forme di tutela, anche la Kafala.

News Ai. Bi. 27 febbraio 2018

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-unbenextutti-la-kafala-anche-italia-sapra-garantire-diritti-dei-minori-abbandonati-fede-musulmana

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AFFIDO CONDIVISO

La guerra contro i papà

Padri separati: quell’esercito di uomini vittime di una “violenza di genere” che fa meno rumore. Sempre più spesso le persone in coda nelle mense della Caritas o in fila per un pacco alimentare, hanno il volto consunto dal dolore della lontananza dai propri figli. Non solo immigrati, la condizione di indigenza colpisce numerosi uomini italiani che portano il peso di essere “papà separati”.

La separazione dalla moglie e il mantenimento dei figli ha gettato sul lastrico un esercito di padri. Quando il matrimonio fallisce, la situazione precipita. Sono migliaia gli uomini che in Italia, a seguito di un divorzio o una separazione, si ritrovano a vivere di stenti, senza nemmeno avere un tetto sopra la testa.

I dati Istat parlano chiaro: nel 2015 l’aumento degli scioglimenti delle unioni è stato del 57% rispetto all’anno precedente. Oltre 82mila coppie hanno divorziato e più di 91mila si sono separate. L’approvazione del “divorzio breve” ha sicuramente incrementato le distruzioni di nuclei familiari.

Situazioni che, oltre alla povertà materiale, portano con sé la recisione del legame affettivo con i figli. A pagarne il tributo sono nel 94,1% dei casi i padri, obbligati in aula di tribunale a versare gli assegni di mantenimento. E costretti, nel 60% dei casi, a cedere l’abitazione alla moglie, dato che arriva al 69% quando la madre ha almeno un figlio minorenne.

Le speranze della legge disattese. Una tendenza sfavorevole nei confronti degli uomini che non è cambiata, nonostante nel 2006 sia stata approvata la legge 54, per cui il giudice è tenuto ad effettuare l’affido condiviso in via prioritaria rispetto all’affidamento esclusivo a uno dei due genitori.

“A dodici anni da quella legge concettualmente positiva – spiega Massimiliano Gobbi, coordinatore nazionale di Adiantum (Associazione nazionale per la tutela dei minori) – il quadro è rimasto pressoché immutato”. Gobbi, papà separato, ritiene che “la discrezionalità dei giudici fa sì che la legge rimanga troppo spesso lettera morta”.

È così che ai figli viene negato il diritto a godere dell’affetto di entrambi i genitori, benché disuniti. “Che questa legge non venga applicata – afferma Gobbi – lo dimostra il fatto che nel 2015 il Miur abbia diffuso una circolare ai dirigenti scolastici per ribadire il diritto del bambino alla bigenitorialità, ossia a ricevere cure, educazione ed istruzione da entrambi i genitori”.

Il “pregiudizio culturale” negativo verso gli uomini. Ma da che deriva quella che Gobbi non esita a chiamare una “discriminazione” nei confronti dei papà? Egli parla di “un pregiudizio culturale” secondo cui l’uomo è ritenuto il colpevole per antonomasia di ogni frattura all’interno della coppia. E l’idea per cui l’uomo sia una sorta di cerbero da cui la donna, sesso debole, deve essere difesa, in tempi di allarmi mediatici sulle “violenze di genere” è lungi dall’essere superata.

A rimetterci, tuttavia, sono non gli aguzzini, ma l’esercito di nuovi poveri che rispondono al nome di papà separati. Gobbi ci tiene a togliere il velo su un’altra grave realtà, quella delle false accuse da parte delle madri nei confronti dei papà separati. “Come evidenziato da uno studio, nel 92,4% dei casi l’accusato risulta poi innocente”, osserva. È un fenomeno criminoso, che usano troppe donne – spiega – “per estromettere il padre dalla vita dei figli”.

Condizioni insostenibili. Estromissione dagli affetti ed indigenza. “Viviamo condizioni insostenibili – spiega Gobbi -: in media ogni figlio ci costa per il mantenimento 480euro al mese, a cui vanno aggiunte le spese di affitto o del mutuo, così molti papà spendono più dei due terzi dello stipendio”. Il coordinatore di Adiantum ricorda poi che “l’assegnazione della casa alla moglie” significa “essere cacciati via dall’abitazione per cui stiamo pagando il mutuo o per cui abbiamo speso i risparmi di una vita”.

Per i padri la povertà è quasi sempre, dunque, una conseguenza inevitabile della separazione. “Le spese, quando ci si separa, raddoppiano: due case, doppie utenze, doppie manutenzioni e mobili, doppi regali per i figli”, riflette Gobbi Ed è così che in tanti finiscono sotto i ponti e tengono stretto tra le mani il piattino per chiedere un pasto caldo alla Caritas e alle altre strutture per i poveri. Povertà materiale, ma anche crisi emotive e di nervi sono gli effetti di questo disastro sociale.

L’allarme dell’Europa. “L’allarme – racconta Gobbi – l’ha lanciato anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha condannato l’Italia per non aver consentito lo sviluppo di una vita affettiva ai padri separati”. Il nostro Paese – rileva il coordinatore nazionale di Adiantum – “ha tassi di affido esclusivo al padre dello 0,7%, otto volte meno della Spagna, dieci volte meno della Francia e quasi venti volte in meno della Germania. In pratica nemmeno di fronte a gravi casi di inidoneità materna il giudice italiano ritiene di dover prendere in considerazione l’affido al padre”.

E ancora, Gobbi sottolinea che “i minori che trascorrono almeno un terzo del tempo con uno dei genitori dopo la separazione della coppia genitoriale (cosiddetto affido materialmente condiviso) sono il 70% in Svezia, il 50% in Belgio e il 49% in Danimarca. Da noi è il 5%”.

A conferma della resistenza culturale a valorizzare la figura del padre il fatto che tra Camera e Senato giacciono ben nove disegni di legge. Qualcosa comunque si muove. Gobbi rivolge un plauso al Registro della bigenitorialità, “istituito – spiega – in diversi Comuni italiani, per consentire ad entrambi i genitori, anche se separati, di ricevere informazioni e comunicazioni comunali relative ai propri figli”.

La Casa di Accoglienza di Tor San Lorenzo- Ma qualcosa si muove anche nell’ambito della solidarietà. Dal 15 gennaio 2018 è operativa a Tor San Lorenzo, litorale meridionale di Roma, la Casa di Accoglienza per i papà separati intitolata “Monsignor Dante Bernini”, realizzata dalla Diocesi di Albano. La struttura ospita già quattordici papà separati. All’inaugurazione era presente anche Gobbi il quale ha espresso la sua soddisfazione per “un lavoro di anni che finalmente si realizza”. “Come Adiantum – ha aggiunto – collaboreremo con Caritas, le Suore di Gesù Buon Pastore, le associazioni di volontariato e le amministrazioni per la buona riuscita del progetto”. Il progetto più importante, tuttavia, è cambiare una cultura che penalizza e umilia il padre, addolora i figli, distrugge le famiglie, rovina la società.

Federico Cenci In Terris 19 gennaio 2018

www.interris.it/sociale/la-guerra-contro-i-pap

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AMORIS LÆTITIA

Il cristiano non ha circostanze attenuanti

Tutta la dottrina delle circostanze attenuanti l’imputabilità del peccatore è salita a galla in concomitanza con tutte le discussioni circa Amoris Lætitia e l’unica interpretazione autentica del suo Cap. VIII proposta dai vescovi argentini e pubblicata negli Acta Apostolicae Sedis.

C’è chi non vuole considerarle nel caso dei divorziati risposati civilmente che si convertono; c’è al contrario, chi vuole rendere tale aspetto della dottrina morale della Chiesa cattolico come il “cappello” di tutto l’insegnamento di N.S. Gesù Cristo. Nei due casi, ovviamente, siamo in presenza di prese di posizioni letteralmente eretiche, in quanto andando aldilà del saggio et-et del cattolicesimo verace: da una lato chi sceglie la dottrina etica meno le circostanze attenuanti e dall’altro chi dimentica la prima per ricordarsi solo delle seconde e entrambi errano in modo speculare.

Siamo però tutti attenti al fatto che una circostanza attenuante è in sé solo un male? La prima reazione sarebbe di pensare che una circostanza attenuante è una cosa buona in sé visto che permette di attenuare l’imputabilità dell’autore di un peccato o di un delitto e quindi, o misericordia, di diminuirne la pena.

In realtà, però, una circostanza attenuante è un elemento accidentale che diminuisce la piena libertà del soggetto in questione e, di conseguenza, ne riduce l’imputabilità.

Tali circostanze attenuanti agiscono sia sull’intelligenza della persona offuscandone la comprensione della situazione etica, tipicamente per ignoranza, incapacità intellettuale, inavvertenza; sia sulla sua volontà a causa di violenza, timore, abitudini, affetti smodati e altri fattori psichici oppure sociali.

Come ben vediamo ognuna di queste circostanze attenuanti sono realtà negative e maligne: ignoranza, QI [quoziente d’intelligenza] insufficiente, malattie psichiche, contesto sociale negativo, vizi, paura, timori, etc. Beninteso, l’essere umano, proprio in quanto persona a immagine di Dio, ha sempre la possibilità di scegliere secondo coscienza, cioè la sua volontà rimane sempre fondamentalmente libera rispetto a quel che l’intelligenza gli propone anche quando, sottomessa a impedimenti oggettivi per il suo pieno esercizio, si trovi estremamente malandata e indebolita.

Queste considerazioni trascendono però l’aspetto canonico/legale dell’imputabilità in quanto tale, visto che toccando direttamente alla nozione di libertà ci conducono al concetto stesso di amore. L’a/Amore è la scelta dell’a/Altro, del b/Bene per l’a/Altro: solamente essendo perfettamente liberi, cioè senza circostanze attenuanti che ci impediscono di fare tale scelta, possiamo amare in v/Verità. L’umano in noi vuole accedere a questa indipendenza dalle circostanze attenuanti che non gli permettono di librarsi in un a/Amore o nel suo contrario, la scelta di sé stessi a prescindere, assumendo perfettamente il proprio fine e la propria fine.

Proprio in questi giorni è uscito un nuovo documento della Congregazione per la Dottrina della Fede intitolato Placuit Deo che illustra quanto illusorie e poco cristiane siano le dottrine (neo-) gnostiche e (neo-) pelagiane che pretendono liberare l’essere umano dalle “circostanze attenuanti” sia pretendendo accedere ad una conoscenza che illuminerebbe l’intelligenza liberandola dall’ignoranza e dall’inavvertenza come insegnano le prime, sia pretendendo liberare la volontà da timori, vizi e altre costrizioni con pratiche particolari.

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/03/01/0160/00317.html

Ma nessuno dei due metodi è fattibile e può condurre al risultato sperato, in quanto dimenticano una realtà di cui conosciamo tutti gli effetti quotidiani, ma la cui origine ci è stata solamente svelata da Dio stesso nel libro della Genesi: il Peccato Originale.

Il Peccato Originale è la “Summa” o il “Padre” di tutte le circostanze attenuanti: è la Circostanza Attenuante per antonomasia. Per causa sua non abbiamo più naturalmente accesso alla Grazia divina e abbiamo la nostra intelligenza e la nostra volontà intrinsecamente offuscate e indebolite: il peccato originale, compiuto esso in piena libertà dai nostri Progenitori, ha come conseguenza che non abbiamo più la possibilità di essere pienamente liberi di scegliere l’a/Altro.

Vuol questo dire che, sottomessi al peccato originale, siamo nell’assoluta (cioè in sé, intrinseca) impossibilità di compiere il bene? In realtà no, il fatto di essere stati creati all’immagine di Dio, fa sì che c’è sempre quel che ci definisce in quanto uomini (e cioè che c’è sempre la possibilità, anche se ridottissima, di scegliere il b/Bene): quindi, la nostra impossibilità a compiere il bene è solo oggettiva (cioè della realtà considerata in quanto tale), ma non assoluta.

Quel che il Figlio ha compiuto incarnandosi, vivendo, tra di noi, morendo e risuscitando è toglierci la Somma Circostanza Attenuante ridandoci la piena imputabilità dei nostri atti, buone o cattive che siano le nostre scelte. Rendendoci figli di Dio nel Battesimo Egli ha trasformato la nostra oggettiva impossibilità a fare il bene nella nostra oggettiva possibilità di farlo e ciò senza circostanze attenuanti. Ed è quello che la Chiesa, Corpo di Cristo vuole da noi: la Santità, cioè il librarsi nell’Amore, nella libera scelta del volere il Bene dell’a/Altro, senza nessuna circostanza attenuante che possa rendere tale atto meno oggettivamente libero.

È quindi solo concentrandoci personalmente sul Cristo, e frequentandoLo nella Chiesa in quanto noi stessi Chiesa, che ci possiamo liberare dalle circostanze attenuanti che ci ostacolano ed è solo con l’aiuto dello Spirito Santo, insegnando, mostrando e allenandosi a rigettare tutte le circostanze attenuanti che facciamo quel che la Chiesa vuole sia fatto: la Salus Animarum che non è, quindi, solamente un non peccare, o un evitare di peccare, o un diminuire la propria imputabilità nel peccare, ma proprio un rivestire un abito nuovo, senza nessuna circostanza attenuante che possa dare ombra alla sua splendente bianchezza.

In Pace. Simon de Cyrène Croce Via 3 marzo 2018

Croce-via si pone sotto la protezione spirituale di San Tommaso d’Aquino e San Giovanni Paolo Magno

https://pellegrininellaverita.com/2018/03/03/il-cristiano-non-ha-circostanze-attenuanti

 

Commenti

Non voglio banalizzare la faccenda (s. Tommaso non me ne voglia) ma rispetto ad Amoris lætitia ho fatto mio questo:

  1. Amoris lætitia si rivolge alla singola persona perché nel discernimento (con-fronto con un Alter Christus) possa giudicare e valutare i legami che vive con altre persone a partire da quello che intuisce più importante per la propria vita che è il Tu alla Santissima Trinità, possibile nella Chiesa cattolica dopo aver incontrato Gesù Cristo.

  2. Proprio questo discernimento risveglia e nutre la coscienza personale che è ineliminabile condizione per poter agire da persona libera dopo aver conosciuto la Verità

  3. In questo senso Amoris lætitia (nella pietà del Signore alla nostra insipienza, per azione del suo Vicario Francesco) precede e fonda Humanæ vitæ che fonda e segna il legame primordiale (due differenti uniti nel suo nome) ma anche, per questo legame primordiale, la Dottrina sociale della Chiesa, condizione ineliminabile -il suo rispetto- per una società buona.

  4. Rispettare e fare nostra Amoris lætitia può essere un nuovo inizio perché l’aver minato e snobbato da parte della Comunità cristiana Humanae vitae ci ha portato dove siamo.

A quando la ricognizione dei fatti e la richiesta di perdono a Dio?

Maria Rita Polita 3 marzo 2018

 

A poco serve prendere un passo evangelico e pensare di fare un burocratico copia incolla con tutti gli altri singoli peccatori concreti. Non ha senso e non lo faceva nemmeno Gesù, infatti:

  1. Con la donna sorpresa in adulterio nel Vangelo di Giovanni, pur salvandole la vita, la congeda con un laconico “neanch’io ti condanno. Va e non peccare più” (Gv 8,11);

  2. Con la peccatrice del Vangelo di Luca invece il Suo atteggiamento è decisamente diverso, laddove, di fronte alle lacrime della donna, non le chiede né impone niente, ma disse che “le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco” (Lc 7,47), per poi dirle “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!” (Lc 7,50).

Anche Gesù applicava due pesi e due misure in base alle circostanze, e qui abbiamo due casi di pubbliche peccatrici, una adultera e una prostituta. Perché due pesi e due misure? Perché Gesù (e così dovrebbe fare ogni cristiano) vedeva prima la persona del suo peccato. Ed evidentemente aveva capito che la peccatrice del Vangelo di Luca, a differenza dell’adultera di Giovanni, aveva una colpevolezza differente (magari anche perché era una povera donna sfruttata), prova ne è anche il fatto che Gesù dica che “ha molto amato”. Quando Gesù parla di amore nella Scrittura lo intende sempre in ottica sovrannaturale, cioè l’amore di cui solo un’anima in stato di Grazia è capace. Non avrebbe potuto avere “molto amato” senza tale Grazia sovrannaturale. Chiaro che se si prende solo un passo del Vangelo ignorando quelli dove vengono mostrati altri “lati” di Gesù si fa una operazione speculare e opposta a quella dei cattocomunisti che parlano di un Cristo che sembra un agitatore politico e un anarchico.

Antonio 3 marzo 2018

https://pellegrininellaverita.com/2018/03/03/il-cristiano-non-ha-circostanze-attenuanti

“Amoris lætitia? I sacramenti ridotti a morale” Estratto

I dieci “Criteri” promulgati dai vescovi della circoscrizione di Buenos Aires danno indicazioni su come comportarsi relativamente alla “situazione di qualche divorziato che vive una nuova unione”, senza specificare se la nuova unione sia quella di un matrimonio civile a tutti gli effetti o una semplice convivenza o una unione di fatto. www.settimananews.it/famiglia/decalogo-dei-vescovi-buenos-aires

E qui subito ci troviamo dinanzi a una imprecisione di fondo proprio nel testo che dovrebbe dissipare le ambiguità di Amoris lætitia. Questa infatti si riferisce ai “battezzati che sono divorziati e risposati civilmente”, dunque a una categoria ben precisa, mentre qui una persona potrebbe aver divorziato da un matrimonio civile e poi ancora da un altro matrimonio anche sacramentale e poi trovarsi attualmente in una unione di fatto, e rientrare ugualmente nel novero delle situazioni alle quali si riferiscono i “Criteri” per l’eventuale accesso ai sacramenti.

Al n. 5 del documento si legge: “Quando le circostanze concrete di una coppia lo rendono fattibile, in particolare quando entrambi sono cristiani con un cammino di fede, si può proporre l’impegno di vivere la continenza sessuale”.

Sottolineo il “si può proporre”. Dunque non solo è facoltativa la continenza, ridotta da esigenza a proposta, ma è facoltativo anche per il sacerdote presentarla come tale. Stando alle parole del testo, il confessore potrebbe anche non proporre la continenza, per un qualche motivo non specificato, passando direttamente all’assoluzione.

Le conseguenze sul piano pratico sono radicali. È possibile, infatti, che anche il semplice tentativo di incoraggiare il proposito sia scavalcato, senza essere preso neppure in considerazione. La domanda che sorge è se il penitente debba almeno essere messo al corrente che egli quel proposito dovrebbe tentare di configurarlo, per esprimere se non altro un inizio di pentimento. Altrimenti, in assenza di questo pentimento-proposito, l’assoluzione non è valida e il peccato rimane. Siamo sicuri che la dottrina non è cambiata?

L’obiezione si rafforza se passiamo al n. 6 del documento, dove si parla di “altre circostanze più complesse”, non specificate, nelle quali “l’opzione [della continenza] appena menzionata può di fatto non essere percorribile”.

Ciò significa liquidare del tutto il pentimento-proposito come condizione dell’assoluzione. Dunque, dopo aver presentato come facoltativa la proposta di fare il proposito di continenza, si elimina di fatto anche il proposito stesso. Il che è perfettamente conseguente, in questo tipo di logica non teologica.

Affermare, infine, che i sacramenti della penitenza e della eucaristia “disporranno la persona a continuare il processo di maturazione e a crescere con la forza della grazia”, anche senza proposito e dunque senza pentimento, mi induce ad affermare che questi “criteri” non concordano con l’insegnamento del Concilio di Trento e la dottrina del Catechismo della Chiesa cattolica sul sacramento della penitenza.

Degno di nota è poi il fatto che la parola “scandalo”, usata una volta al n. 8, è riferita non a quello procurato dai fedeli che vivono un’unione irregolare, ma alle “ingiustizie” che eventualmente un coniuge può aver esercitato verso l’altro provocando la separazione.

Questo particolare può essere utile per comprendere tutte le implicazioni racchiuse nel successivo n. 9, dove si afferma: “Può essere opportuno che un eventuale accesso ai sacramenti si realizzi in modo riservato, soprattutto quando si possano ipotizzare situazioni di disaccordo”. Si tratta di un punto importante, perché di fatto viene suggerito che la comunione eucaristica per queste persone può avvenire anche in modo a tutti noto, non in modo riservato.

Questa affermazione rende di fatto facoltativa la via della riservatezza e dunque permette a coloro che vivono in palese e oggettivo adulterio di accostarsi pubblicamente alla comunione sacramentale. Naturalmente non v’è nessun accenno a una qualche forma penitenziale visibile, sia pur minima e blanda, come per esempio è in uso nelle Chiese ortodosse per chi accede alle seconde nozze.

Si capisce che quella qui indicata dai “Criteri” non è la via del foro interno in senso proprio, la quale, nel caso specifico, richiederebbe che l’accesso alla comunione eucaristica avvenisse in modo da non arrecare scandalo o confusione nei fedeli, in modo cioè da non far credere loro che non ci sia più differenza fra unione legittima e adulterio.

I “Criteri”, invece, contemplano la possibilità di superare anche questa ultima forma di riservatezza per coloro che vivono in condizione oggettiva di adulterio. Non solo, ma subito aggiungono: “Non bisogna smettere di accompagnare la comunità per aiutarla a crescere in spirito di comprensione e di accoglienza”. È chiaro il concetto: è la comunità che ha bisogno di essere accompagnata e convertita, è lei che deve abituarsi ad accogliere come “normali” questi nuovi comportamenti, fino a poco tempo fa moralmente ed ecclesialmente non accettabili. Difficile negare che qui avviene un vero e proprio ribaltamento: non dev’essere chi vive in situazione di oggettivo scandalo a cambiare o a comunicarsi in via riservata, previa assoluzione, lì dove non è nota la sua condizione irregolare, ma è la comunità ecclesiale che deve essere capace di non “scandalizzarsi” più.

In questa cornice, la frase finale del n. 9, con cui si esorta a “non creare confusioni a proposito dell’insegnamento della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio”, suona quasi come una battuta di spirito fuori luogo. Se la prassi ammette che chi vive un’unione oggettiva di adulterio si possa accostare “coram populo” alla comunione eucaristica, senza neanche premettere un gesto ecclesialmente riconosciuto di pentimento per un peccato pubblico, l’indissolubilità e l’unicità del matrimonio cristiano diventano un semplice ectoplasma. Perché è quello che si fa che conta, non quello che si dice! E la forza dei comportamenti sta proprio nel loro conformare e plasmare il pensare, il sentire e il vivere.

In questo caso, la realtà è davvero più importante dell’idea, e la realtà è che nel pensare e sentire comune si instaurerà ben presto l’equiparazione pratica fra regolare e irregolare, fra matrimonio indissolubile e matrimonio “solubile”.

Non vi sarà più nessun marcatore visibile a distinguere davanti alla comunità i coniugi fedeli che si accostano alla comunione da quelli adulteri che fanno lo stesso. E in questa assuefazione priva di “disaccordi” scomparirà forse la reazione scandalizzata, cioè lo scandalo psicologico, e si affermerà lo scandalo oggettivo: la percezione della normalità dell’adulterio pubblico.

È questa la conseguenza di una sottovalutazione della dimensione visibile e sacramentale a favore di un discernimento puramente morale.

Giulio Meiattini OSB, “Amoris lætitia? I sacramenti ridotti a morale”, La Fontana di Siloe, Torino, 2018.

Teologo benedettino dell’Abbazia della Madonna della Scala a Noci, docente alla Facoltà teologica della Puglia e al Pontificio ateneo Sant’Anselmo di Roma.

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/02/28/quella-babele-argentina-che-manda-in-confusione-lintera-chiesa

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO FIGLI

Divorzio: per i figli vale sempre il tenore di vita

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, sentenza n. 3922, 19 febbraio 2018.

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_29277_1.pdf

La determinazione del mantenimento, poi, deve tenere conto delle esigenze abitative, scolastiche, sportive, sanitarie e sociali. Il noto addio al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, che non rientra più nei parametri per la concessione dell’assegno divorzile all’ex, non riguarda i figli, i quali quindi, in caso di divorzio dei genitori, hanno diritto a mantenere il medesimo tenore di vita del quale godevano quando mamma e papà erano ancora una coppia.

Sul punto la Corte di cassazione non lascia più adito a dubbi, ma, con la sentenza in epigrafe, afferma chiaramente che “i figli hanno il diritto di mantenere il tenore di vita loro consentito dai proventi e dalle disponibilità concrete di entrambi i genitori, e cioè quello stesso che avrebbero potuto godere in costanza di convivenza”.

Per quanto riguarda la determinazione in concreto del mantenimento, poi, i giudici hanno precisato che essa non può basarsi solo sui costi necessari al mero sostentamento dei figli, ma deve essere parametrata anche su quelli che rispondono a esigenze connesse “all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale”.

Nel caso di specie, così argomentando, i giudici hanno respinto il ricorso proposto da un padre avverso la decisione della Corte d’appello di L’Aquila di determinare in 600 euro l’assegno dovuto per il mantenimento dei due figli, conviventi con la madre, e di porre interamente a suo carico il mantenimento del figlio con lui convivente. Per la Cassazione il giudizio circa la congruità del contributo costituisce un giudizio di merito rispetto al quale, comunque, va tenuto conto di tutto quanto sopra detto con riferimento ai costi da considerare nella sua determinazione e ai parametri posti alla base della stessa.

Valeria Zeppilli Newsletter Giuridica Cataldi 25 febbraio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/29277-divorzio-per-i-figli-vale-sempre-il-tenore-di-vita.asp

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ASSEGNO DIVORZILE

Assegno di divorzio: quando spetta?

L’assegno di divorzio spetta all’ex moglie solo qualora dimostri di non essere in grado di mantenersi da sola, ossia di non possedere l’indipendenza ed autosufficienza economica. Il tema del mantenimento alla ex moglie è molto ricorrente nelle dispute giudiziarie tra ex coniugi. Fin dall’approvazione della legge sul divorzio la questione del mantenimento è sempre andata a svantaggio dei mariti, generalmente ritenuti parti economicamente più ricche. In realtà è bene precisare che nel nostro ordinamento non esiste una norma che imponga all’ex marito di mantenere la propria ex moglie, ma si tratta piuttosto di una interpretazione della giurisprudenza. Questa interpretazione, tuttavia, sembra giunta al tramonto: l’orientamento più recente della Corte di Cassazione, infatti, è nel senso di ritenere che gli ex mariti, non devono considerarsi costretti a versare il relativo contributo sempre e comunque.

Prima di entrare nel vivo del dibattuto giurisprudenziale sul tema appare opportuno premettere alcuni concetti al fine di rendere più chiara la questione. In particolare fare la giusta distinzione tra assegno di mantenimento e assegno di divorzio, atteso che spesso le due espressioni vengono utilizzate indifferentemente in modo improprio.

Assegno di mantenimento e di divorzio: le differenze. La parola mantenimento viene utilizzata molto spesso con riferimento all’obbligo del coniuge con il reddito più alto (generalmente il marito) di pagare un assegno periodico al coniuge economicamente più povero (generalmente la moglie). In realtà, bisogna distinguere tra assegno di mantenimento con riferimento alla somma che viene erogata con la separazione e fino al divorzio, e assegno di divorzio con riferimento invece alla somma da corrispondere dopo il divorzio. L’assegno di mantenimento è il contributo mensile che un coniuge versa all’altro dopo la separazione e prima del divorzio. La ratio di tale assegno è quella di eliminare ogni disparità di reddito tra moglie e marito.

L’assegno di divorzio, invece, è il contributo che il marito versa alla moglie dopo il divorzio e fino a quando non interviene una nuova pronuncia del giudice che lo revoca o lo riduce. Infatti, nel caso di mutamento delle condizioni economiche dei coniugi è possibile revisionarlo e modificarlo. La misura dell’assegno dipende da una serie di fattori come:

  1. La situazione reddituale dei coniugi;

  2. Durata del matrimonio;

  3. Capacità lavorativa del coniuge con reddito più basso;

  4. Disponibilità della casa.

Assegno di divorzio: la giurisprudenza. La Suprema Corte [Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 30257, 15 dicembre2017] www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_28493_1.pdf

ha avuto modo di affermare che l’assegno divorzile non spetta all’ex che da separata conduce una vita dignitosa, chiarendo inoltre che – ai fini della corresponsione dell’assegno di divorzio – nessuna rilevanza assume l’eventuale divario economico esistente tra moglie e marito. Con questa sentenza i giudici si sono uniformati ad una linea di pensiero che, in tema di assegno divorzile, è stata inaugurata alcuni mesi prima. Come noto, la famosissima sentenza della Cassazione [Corte di Cassazione, prima Sezione civile, Sentenza n. n. 11504, 10 maggio 2017] www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_26094_2.pdf

ha portato ad una radicale rivisitazione dei criteri per il riconoscimento ed il calcolo dell’assegno di divorzio. Se, infatti, rispetto al passato, non è mutata la situazione con riferimento all’ assegno di mantenimento dovuto dopo la separazione (e il cui scopo resta quello di consentire al coniuge più debole la conservazione di un tenore di vita analogo a quello goduto durante la vita matrimoniale), stessa cosa non può dirsi riguardo all’assegno di divorzio. Il divorzio, infatti, recide ogni legame tra gli ex coniugi, sicché uno di loro potrà aver diritto all’assegno solo in mancanza di autonomia economica e sempre che questa non sia determinata da propria colpa (si pensi, ad esempio, alle dimissioni dal lavoro oppure all’ex che non si impegni affatto nella ricerca di un lavoro). Scopo dell’assegno di divorzio, dunque, è quello di garantire al coniuge più “debole” l’autosufficienza economica che è cosa ben diversa dall’agiatezza.

Dello stesso avviso anche il Tribunale di Napoli [Sentenza n. 8989, 05.10.2017] che ha ribadito che l’assegno di divorzio non ha più la finalità di colmare le sperequazioni tra i redditi dei coniugi ma solo di garantire a chi dei due non può più mantenersi da solo lo stretto necessario. Per cui il suo ammontare non viene più determinato sulla base del reddito dell’ex coniuge né sul pregresso tenore di vita.

Assegno di divorzio: quando spetta? Ai fini del riconoscimento dell’assegno di divorzio non è sufficiente che l’ex coniuge non abbia mezzi adeguati, ma occorre anche che non possa procurarseli per ragioni oggettive. Al riguardo, negli ultimi tempi, si è registrata una maggior rigidità da parte dei giudici, i quali non solo sembrano circoscrivere il riconoscimento dell’assegno ai casi di comprovata impossibilità a procurarsi un reddito da parte del coniuge più debole, ma anche riguardo alla prova che questi dovrà fornire sul punto. Non basta, insomma, domandare l’assegno dichiarandosi, ad esempio, casalinga; bisognerà, invece, dimostrare in giudizio la propria effettiva incapacità economica.

Assegno di divorzio: cosa deve valutare il giudice? La legge sul divorzio [Legge n. 898, 01 dicembre 1970] elenca in modo più dettagliato i requisiti (corrispondenti alle “circostanze” e ai “redditi” di cui all’assegno di mantenimento) dei quali il giudice deve tener conto ai fini del riconoscimento e della quantificazione dell’assegno divorzile. Essi, tuttavia, non costituiscono un elenco tassativo, potendo il magistrato valutarne solo alcuni. Si tratta in particolare:

  • Della durata del matrimonio: la brevità dell’unione rende più debole il vincolo familiare da cui scaturisce l’obbligo di versare l’assegno; in altre parole, un matrimonio durato poco non può costituire una sorta di “assicurazione a vita” per il coniuge più debole, il quale potrà sì aspettarsi di ricevere un assegno dall’ex, ma certamente di importo ridotto rispetto a quanto previsto nel caso di unioni più durature;

  • Del contributo personale fornito alla vita famigliare durante il matrimonio: si pensi alla donna che pur non avendo mai lavorato abbia comunque consentito per anni al marito un notevole risparmio in quanto si sia sempre occupata della cura della casa e dei figli. Tale contributo deve essere stato effettivo e non potrebbe certamente ritenersi sussistente nel caso in cui la donna, pur essendo sempre rimasta in casa, si sia abitualmente avvalsa dell’aiuto di colf e di baby sitter, pesando parimenti sul bilancio familiare;

  • Del contributo economico fornito alla conduzione familiare durante il matrimonio: in tal caso il giudice dovrà più che altro fare riferimento alle risultanze emerse a riguardo nel giudizio di separazione;

  • Delle condizioni dei coniugi, ossia della loro attuale situazione patrimoniale e personale (e i suoi riflessi sul piano economico): si pensi all’instaurazione di una nuova famiglia da parte del coniuge che dovrebbe versare l’assegno oppure al subentro di gravi problemi di salute che riducono la capacità lavorativa di uno dei due;

  • Delle ragioni della decisione, cioè dei comportamenti, anche processuali, che hanno portato alla definitiva conclusione del rapporto coniugale. In passato gran parte degli assegni di mantenimento sono stati accordati a semplice richiesta: il giudice ha accordato in automatico il mantenimento, quasi si trattasse di una misura assistenziale perpetua, una sorta di assicurazione sulla vita.

Sembra invece consolidarsi il principio per cui, se il richiedente (di norma la donna) non offre una valida giustificazione economica, con una prova rigorosa, della sua incapacità a procurarsi un reddito, perde ogni diritto.

Tutti i principi sin qui esposti trovano ulteriore conferma in una recente pronuncia della Corte di Cassazione. Come anticipato ad incipit del presente articolo, infatti, la Suprema Corte ha avuto modo di tornare sul tema proprio alcuni giorni fa, affermando che l’assegno di divorzio non spetta all’ex che, da separata, conduce una vita libera e dignitosa, pur se non alla stessa stregua di quella del marito.

Infatti, sottolineano i giudici: nessun rilievo ha il mero divario economico esistente tra le parti. L’aspetto più interessante della sentenza in commento è che la Corte rigetta la domanda della donna, per non aver questa fornito alcuna prova in ordine al preteso diritto di ricevere l’assegno. L’assegno, insomma, non è una misura automatica, che scatta per il solo fatto del divorzio tra i due coniugi, ma è necessario dimostrare di averne diritto.

Assegno di divorzio: spetta se l’ex conduce una vita dignitosa? Tutti i principi sin qui esposti trovano ulteriore conferma in una recente pronuncia della Corte di Cassazione. Come anticipato ad incipit del presente articolo, infatti, la Suprema Corte ha avuto modo di tornare sul tema proprio alcuni giorni fa, affermando che l’assegno di divorzio non spetta all’ex che, da separata, conduce una vita libera e dignitosa, pur se non alla stessa stregua di quella del marito. Infatti, sottolineano i giudici: nessun rilievo ha il mero divario economico esistente tra le parti.

L’aspetto più interessante della sentenza in commento è che la Corte rigetta la domanda della donna, per non aver questa fornito alcuna prova in ordine al preteso diritto di ricevere l’assegno. L’assegno, insomma, non è una misura automatica, che scatta per il solo fatto del divorzio tra i due coniugi, ma è necessario dimostrare di averne diritto.

Assegno di divorzio: chi deve fornire la prova? In passato gran parte degli assegni di mantenimento sono stati accordati a semplice richiesta: il giudice ha accordato in automatico il mantenimento, quasi si trattasse di una misura assistenziale perpetua, una sorta di assicurazione sulla vita. Sembra invece consolidarsi il principio per cui, se il richiedente (di norma la donna) non offre una valida giustificazione economica, con una prova rigorosa, della sua incapacità a procurarsi un reddito, perde ogni diritto.

Redazione La Legge per tutti 1 marzo 2018

https://business.laleggepertutti.it/29688_assegno-di-divorzio-quando-spetta

 

Non si può prescindere dalla storia personale.

La sentenza n. 274, 5 febbraio 2018 della Corte d’Appello di Venezia ha ridotto un assegno stabilito a favore di un coniuge argomentando in merito all’orientamento ben noto: “Pur condividendosi la critica della più recente giurisprudenza di legittimità nei confronti di quelle decisioni che si allontanano dalla funzione assistenziale dell’assegno, non ne consegue la necessità d’individuare una soglia oggettiva (triplo della pensione sociale; reddito rilevante per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato e così via), che prescinda dalla specifica condizione del singolo e neghi ogni rilievo al vissuto rapporto matrimoniale: L’assegno postmatrimoniale non deve elidere il divario di reddito e di patrimonio fra gli ex coniugi e vanno evitate rendite parassitarie, ma non si può nemmeno prescindere dalla storia personale e stabilire il presupposto dell’assegno in termini oggettivi, invariabili e generali.

In altre parole, l’assegno divorzile non è riducibile a un assegno alimentare omogeneo per tutti, da corrispondere al solo coniuge indigente.

Anche il parametro dell’indipendenza economica, espressamente previsto per i figli maggiorenni dall’art. 337 septies c.c. e richiamato nelle recenti decisioni della Corte di Cassazione non rimane insensibile alla legittime aspettative del figlio, all’indirizzo educativo, al livello di istruzione e, in ultima analisi, al livello di benessere offerto dalla famiglia d’origine.

AIAF Newsletter 1 marzo 2018 www.aiaf-avvocati.it

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CENTRO GIOVANI COPPIE – MILANO

Conoscersi per essere più liberi.

All’interno del ciclo di conferenze 2017-18 “Legàmi di libertà“, avrà luogo la Conferenza del 15 marzo 2018, ore 21: “L’arte di scegliere insieme. Tra libertà e manipolazione

Relatore: Domenico Simeone, Ordinario di Pedagogia generale e sociale -Università Cattolica – Milano, Coordinatore del corso di laurea magistrale in Media education, Direttore del Master in Consulenza familiare, già Presidente della Confederazione Italiana Consultori Familiari d’Ispirazione Cristiana, membro del Comitato direttivo del Centro Studi Pedagogici sulla Vita Matrimoniale e Familiare e del Centro Studi per l’Educazione alla Legalità dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, membro del Comitato direttivo dell’Osservatorio per il territorio: impresa, formazione, internazionalizzazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia e membro del Comitato scientifico del Centro di ateneo di Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

P.zza San Fedele, 4 – Milano. Sala Ricci. Ingresso libero

www.centrogiovanicoppiesanfedele.it/wp-content/uploads/2017/09/Programma-2017_18.pdf

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 7, 28 febbraio 2018

  • Rapporto CISF 2017: possibili e sconvenienti effetti collaterali della famiglia ibrida. Per amanti dell’ironia. Molti in Italia hanno già visto i divertenti video canadesi di LOL. Questo matrimonio digitale è irresistibile! (Rimanda, parlando seriamente, a molti dei temi affrontati nel Rapporto Cisf 2017). www.youtube.com/watch?v=12Hbnq7eFUc

  • La famiglia è digitale. Il mondo virtuale va “abitato” insieme ai figli. Il mensile SEMPRE, testata della Comunità Papa Giovanni XXIII, dedica la copertina e il servizio di apertura al Rapporto Cisf 2017. Ecco, in anteprima, i temi e le riflessioni contenute nella rivista

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0718_allegato1.pdf

  • Romania: 50 proposte di politiche familiari da parte dell’associazionismo familiare. Nelle scorse settimane è stato pubblicato il documento “50 proposed measures concerning family policies in Romania” proposto dall’Associazione di Famiglie Cattoliche “Vladimir Ghika” e da “PRO VITA Association” (sezione Bucarest). Le proposte sono articolate su dieci temi, e costituiscono un’interessante piattaforma per riformulare un piano nazionale di politiche sociali che sia “family friendly”.

www.coalitiapentrufamilie.ro/docs/50proposals.pdf

  • Avere fratelli e sorelle aiuta. Numerose ricerche a livello internazionale evidenziano il valore che riveste nel corso della vita la presenza di fratelli e sorelle. La più recente [child development, 2017 – vedi segnalazione ANSA – in italiano], svolta in Canada su 452 coppie di fratelli in tenera età (tra i 18 e i 48 mesi) documenta la crescita dell’empatia nei fratelli più grandi (virtù sociale certamente preziosa anche nelle relazioni fuori dalla famiglia).

www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/salute_bambini/la_crescita/2018/02/20/lempatia-ci-aiutano-a-svilupparla-fratelli-e-sorelle_8b40a303-5dcb-42c7-94e0-07b559530525.html

Analogo dato era presente anche in un articolo del 2014 [Journal of Research on Adolescence – in inglese].

http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/jora.12174/abstract

Altre indagini confermano che “avere fratelli allunga la vita” e che anche da anziani la presenza di fratelli è un fattore di protezione del benessere personale [HUFFINGTON POST, 2014].

www.huffingtonpost.it/2014/11/10/fratelli-sorelle-allungano-vita-5-motivi-scientifici_n_6133092.html

  • Premio IRS – CNOAS – PSS “costruiamo il welfare dei diritti sul territorio– terza edizione 2018-2019. L’intento di questa nuova edizione è continuare a sensibilizzare gli attori del welfare affinché assumano un’ottica progettuale e strategica nella direzione di riformare il sistema, costruendo un welfare sociale “comunitario e integrato”, che investa risorse pubbliche anche attraverso forme di integrazione fra politiche sociali, sanitarie, educative, del lavoro e dell’inclusione sociale, e che stimoli la partecipazione attiva della società civile al benessere collettivo: un welfare sociale “attivo”. Verranno premiate esperienze innovative, che dovranno essere presentate con un elaborato scritto. Termine per la consegna dei contributi: 30 giugno 2018.

  • Bando http://scambi.prospettivesocialiesanitarie.it/wp-content/uploads/2016/10/CWDsulTerritorio2018-bando-ultimo.pdf

  • Specializzarsi per la famiglia

  • Francia (Lione). Formazione alla terapia di coppia Percorso formativo di specializzazione per professionisti/laureati, su due anni (24 giornate, uno/due giorni al mese) sulla terapia di coppia, promosso da I.F.A.T.C. (Institut de Formation et d’application des Thérapies de la Communication – il percorso si terrà in francese.

www.ifatc.com/formations/2017-2018/le-couple-et-la-famille/la-therapie-de-couple

  • Brescia: un’offerta formativa per diversi interessi. A Brescia l’Università Cattolica propone una serie di seminari ed incontri, sia su tematiche specificamente familiari, sia sul più ampio tema della società civile, del terzo settore e delle sfide della globalizzazione. Ecco i temi: “L’idoneità all’adozione. Criteri e metodi di valutazione”, “La guerra dell’informazione e il potere della manipolazione”, “Guidare l’innovazione nelle organizzazioni. Il media education manager”, “Il Garda e il turismo lacuale: tradizione e sviluppo”, Depuis 25 ans dans la coopération internationale: une histoire, un vécu, une approche” (in francese), “Valutare l’impatto per innovare il Terzo Settore”.

newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0718_allegato2.pdf

  • Save the date

  • Nord Female (un)employment & work life balance, incontro internazionale promosso dall’Autorità di gestione FSE della Provincia autonoma di Trento e dall’Agenzia del Lavoro di Trento, con la Rete tematica europea per l’occupazione (7° incontro della Rete tematica europea Employment), Trento, 7 marzo 2018.

https://lares.tsm.tn.it/seminari/sc-female-unemployment-work-life-balance

Ti sento, laboratorio per coppie con Marco Scarmagnani, Giovenzano (PV), 3 marzo 2018.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0718_allegato4.jpg

  • Centro Perdonare… conviene! Un percorso logico ed efficace in collaborazione con l’Università del Perdono, evento formativo residenziale promosso dall’associazione Famiglia della Luce con Camilla, Roma 3-4 marzo 2018.

www.famigliadellaluce.it/Documents/636500767859399466_Volantino-Perdono-nuovo-Roma.pdf

Genitori protagonisti della sfida educativa nell’era digitale, incontro pubblico promosso dall’Agesc (Associazione genitori Scuole Cattoliche) in occasione del XVIII Congresso nazionale AGeSC, Roma, 2 marzo 2018.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0718_allegato5.pdf

  • Sud L’alunno con adhd: caratteristiche e modelli di intervento in classe, corso accreditato per insegnanti di scuola primaria e secondaria, promosso da AIRIPA (Associazione Italiana per la Ricerca e l’Intervento nella Psicopatologia dell’Apprendimento), Pescara, 16 marzo 2018.

www.airipa.it/wp-content/uploads/2018/01/LOCANDINA-CORSO-ACCREDITATO-SU-ADHD-PESCARA.pdf

  • Estero Compassionate Family Court Systems: The Role of Trauma-Informed Jurisprudence (Sistemi compassionevoli dei Tribunali della famiglia: il ruolo di una giurisprudenza adeguatamente informata/preparata sul Trauma), 55.a Conferenza nazionale dell’AFCC (Association of Family and Counciliation Courts), Washington D.C. (USA), 6-9 giugno 2018.

www.afccnet.org/Portals/0/Conferences/2018%20Washington%20DC%20Conference%20Brochure.pdf

Iscrizione alle newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

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CHIESA CATTOLICA

Discernimento e durezza di cuore: Matteo 7, 1-11

Siamo capaci di discernere la realtà, ciò che abita dentro e fuori di noi? Ci esercitiamo a guardare, osservare, ascoltare, rimeditare gli eventi ponendoli sotto la luce della Parola di Dio?

Operazione delicata, quella del discernere, e possibile solo se non ci poniamo come giudici impietosi, perché comprendere dove sta il male e il bene non significa mettere a morte il fratello. La mancanza di discernimento è legata alla durezza del nostro cuore: Gesù rimprovera fortemente e a più riprese i suoi discepoli per questo. Gesù ha vissuto a stretto contatto con i dodici, li ha ammaestrati con la sua vita e le sue parole, ha cercato di insegnar loro a comprendere per vivere e a vivere per comprendere. Eppure essi mostrano a più riprese di non capirlo, di non fidarsi di lui: è la durezza di cuore di chi non vuole perdere le proprie consolidate sicurezze. E in questo passo sembra ancora ammonirli: non continuate a giudicare secondo il vostro giudizio, secondo l’apparenza.

È un invito a guardare l’altro con gli occhi di Dio per vederlo, al di là del male commesso, come un essere umano da amare. Gesù dà la vita per chi lo uccide, questo è il giudizio di Dio su ogni uomo. Dio ha una stima infinita per ogni uomo, anche per il peccatore più perduto. L’ultima parola di Dio sull’uomo non è una condanna, ma è l’amore, un amore estremo che non abbandona chi l’abbandona e non rifiuta chi lo rifiuta. Spesso ci manca la volontà di guardare in noi stessi; il discernimento parte da lì, dal conoscere in sincerità ciò che abita il nostro cuore tanto confuso. Preferiamo nascondere la verità di ciò che siamo e sopprimere l’altro che spesso con la sua “pagliuzza” ci fa da specchio. Sotto lo sguardo di Dio ogni uomo e ogni donna è sempre un essere che può ricominciare a compiere il bene, ma quanto il nostro sguardo sa rigenerare il fratello, la sorella?

Come in un cuore di carne lo Spirito può discernere, può battere veramente, può animare un corpo umano, così è in questo organo centrale che abita anche la preghiera. Dal cuore scaturiscono i pensieri, le buone e le cattive tendenze. Nella vita di tutti i giorni il nostro cuore resta ordinariamente nascosto. Viviamo quasi del tutto immersi nei sensi esteriori, ci perdiamo in impressioni e sentimenti. Gesù sovente lo rimprovera ai suoi discepoli: il vostro cuore è cieco, indurito, lento e pigro. Ritrovare il cammino verso il proprio cuore è il compito più importante per noi. Là Dio ci incontra e ci parla, e soltanto a partire di là noi possiamo a nostra volta incontrare e parlare ai nostri fratelli e alle nostre sorelle. Là, nell’intimo più profondo di noi stessi, lo Spirito si è fatto respiro del nostro respiro. Là si nasconde la nostra preghiera come il tesoro nascosto in un campo: là possiamo cercare, chiedere, bussare.

Colpisce l’immagine della preghiera come di una porta chiusa nella notte. Sulla soglia ciascuno di noi resta spesso incredulo che possa dischiudersi, alle volte come un povero mendicante che compie un gesto di fiducia, mentre a nostra insaputa non uno sconosciuto ma un amico, un Padre, ci sta già cercando per chinarsi con amore su di noi. Resta un invito e una promessa: puoi continuare a bussare senza stancarti, “Io sto alla porta”.

Sorella Antonella, Monastero di Bose 1 marzo 2018

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo-del-giorno/12129-discernimento-e-durezza-di-cuore

 

Alla Gregoriana un ciclo di incontri sul “discernimento”

www.unigre.it/Univ/eventi/documenti_17_18/C00047_180125_locandina.pdf

Organizzato dal Centro di Spiritualità Ignaziana a partire da giovedì 8 marzo 2018. Tra i relatori anche padre Federico Lombardi SJ che spiegherà il significato per Sant’Ignazio del «retto sentire nella Chiesa militante». “Discernimento” è forse tra le parole più usate in relazione al pontificato di Papa Francesco. «Indubbiamente la parola chiave, eppure – si legge in un comunicato dell’università Gregoriana – il termine più frainteso, quando non volutamente distorto». Per fare chiarezza sul significato più profondo di questa parola, il Centro di Spiritualità Ignaziana della Gregoriana ha deciso di promuovere il ciclo di conferenze pubbliche “Leggi di libertà: il discernimento secondo le regole di Sant’Ignazio” (partecipazione gratuita e aperta a tutti).

«Può apparire un paradosso il fatto che Sant’Ignazio di Loyola, uomo di grande libertà, ci abbia lasciato tante regole», spiega padre James Grummer, nuovo direttore del Centro di Spiritualità Ignaziana. «Tuttavia, quello tra regole e libertà, è un contrasto solo apparente. Le leggi infatti sono necessarie per vivere bene, a meno che non divengono una prigione; d’altra parte la libertà, se diventa caos, si rivolta contro di noi. Le regole di Sant’Ignazio sono delle strutture che ci permettono di comprendere la nostra libertà. Esse tutelano, approfondiscono e potenziano “la libertà per cui Cristo ci ha liberati”, come scrive san Paolo ai Galati».

Le sei conferenze proposte affronteranno sei tipologie di regole, tra le tante presenti negli Esercizi Spirituali ignaziani, secondo prospettive disciplinari differenti. La prima conferenza sarà aperta dal filosofo padre Gaetano Piccolo giovedì 8 marzo, alle ore 18; il 15 marzo padre Stanislaw Morgalla affronterà il tema degli scrupoli di coscienza, avvalendosi degli strumenti della psicologia; la settimana successiva, il 22 marzo, sarà la volta di padre Emilio Gonzalez Magana. Si riprenderà dopo Pasqua, il 12 aprile, con padre Federico Lombardi che spiegherà cosa significa per Sant’Ignazio «il retto sentire nella Chiesa militante».

Redazione RomaSette on line 2 marzo 2018

www.romasette.it/alla-gregoriana-un-ciclo-incontri-sul-discernimento

 

La paura di fare il salto. Sarah, Müller, e la caricatura dell’antimodernismo

Con una considerevole sintonia, quasi all’unisono, in contesti diversi e in forme differenziate, il Prefetto della Congregazione del Culto, Card. Sarah, e l’ex-Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Card. Müller, si sono espressi con inusitata durezza contro forme della prassi e della dottrina ecclesiale, che trovano la loro radice nel Concilio Vaticano II e attuazione nel magistero di papa Francesco. Potremmo dire che forse mai, come in queste dichiarazioni obiettivamente “sopra le righe”, è emersa nei due cardinali la aperta ostilità verso la Chiesa e verso i pastori che si lasciano guidare dal testo e dallo spirito del Concilio Vaticano II. Esaminiamo brevemente le affermazioni dei due cardinali.

Comunione in bocca/in ginocchio e cambio di paradigma nella dottrina. L’intervento del Card. Sarah ha la forma di una Prefazione, che egli ha scritto ad un libro dedicato all’esame della storia della “comunione sulla mano”

www.lastampa.it/2018/02/23/vaticaninsider/ita/vaticano/sarah-c-un-attacco-diabolico-alleucaristia-che-si-riceve-solo-sulla-lingua-inginocchiati-JeGRVH1L79cu6878QGsqeK/pagina.html

In quel contesto, egli si lascia andare a giudizi del tutto unilaterali e privi di equilibrio sulla tradizione della Handkommunion, arrivando addirittura a configurare un “attacco diabolico” in questo sviluppo recente – che riprende prassi antiche e del tutto assodate – ma che ai suoi occhi appare semplicemente come “negazione della sacralità” del sacramento e “attentato al suo contenuto”. Le profanazioni del S.S. Sacramento, che per Sarah si identificano anche nella “intercomunione” e nelle forme di un ripensamento della dottrina eucaristica, appaiono al Cardinale riducibili, incredibilmente, ad un effetto della Riforma liturgica. Solo una ripresa della prassi di “comunione in ginocchio e sulla lingua” sarebbe il baluardo contro queste diverse forme di profanazione. In sostanza, la Riforma della Riforma farebbe da scudo alla autentica santità cattolica.

Il card. Müller, invece, in un testo scritto per First Things e intitolato “Sviluppo o corruzione” www.firstthings.com/web-exclusives/2018/02/development-or-corruption

propone una interpretazione del magistero attuale sulla base di una rilettura delle opere di Newman, con cui ritiene di dover liquidare ogni discorso sul “cambio di paradigma” nella dottrina cristiana come una forma di “corruzione” della tradizione, come una caduta modernistica da cui guardarsi e da censurare. E l’esempio che propone è, ovviamente, Amoris Lætitia, che a suo avviso potrebbe essere letta correttamente soltanto mantenendo una assoluta continuità con i documenti che la precedono.

In entrambi i testi, con tutta la loro differenza, appare con chiarezza il tentativo di “ridurre a modernismo” ogni differenziazione rispetto alla prospettiva ottocentesca di comprensione della eucaristia, del magistero e del matrimonio. Vorrei svolgere qualche considerazione intorno a queste posizioni.

La “scomunica” di ogni differenza, eucaristica o dottrinale. Mi colpisce molto la radicalità della negazione dell’altro che traspare da questi testi. Da un lato per Sarah ogni prassi di comunione diversa da quella “in ginocchio e sulla lingua” rischia di essere liquidata come “attacco diabolico” alla tradizione sacrosanta. Ma come può, il Prefetto della Congregazione del culto, dimenticare totalmente che quella forma – così come egli la descrive e la illustra nei pastorelli di Fatima, in Giovanni Paolo II e in Madre Teresa di Calcutta – è una legittima interpretazione ottocentesca e novecentesca del “comunicarsi”, che il Movimento Liturgico aveva riconosciuto, già cento anni fa, come limitata e da integrare? Tutta la riscoperta del “rito di comunione”, come luogo specifico di relazione con la manducazione del sacramento, ha messo in moto quel ripensamento che oggi, sia pure con una certa comprensibile esitazione, permette alle comunità cristiane – prima che ai singoli battezzati – di riconoscersi in quello che fanno. Andare processionalmente (non in ginocchio) verso l’altare per ricevere (sulla mano) la particola (prodotta nella “fractio panis”), per diventare ciò che si riceve (Corpo di Cristo ecclesiale dal Corpo di Cristo sacramentale): di tutto questo non vi è alcuna traccia nelle parole del Card. Sarah. Così come tanto diversa appare la sua lettura dalla più ampia comprensione che J. Ratzinger/Benedetto XVI ha proposto della medesima questione: non solo mai mettendo in opposizione mano e bocca, piedi e ginocchia, ma riconoscendo anche che il meglio della teologia liturgica è venuto da un cambiamento del concetto di “forma”. Qui egli ha sottolineato, in un certo modo, un “cambiamento di paradigma” nella comprensione della “forma eucaristica” che ha profondamente sollecitato la Chiesa lungo tutto il XX secolo. Forse una lettura completa dei testi di J. Ratzinger/Benedetto XVI gioverebbe a tutti.

Questo permette di rileggere anche le parole del Card. Müller, come una sorta di “cedimento” alla tentazione di “ridurre a modernismo” tutto ciò che non è mera ripetizione del già affermato e stabilito. E’ assai curioso che le citazioni che Müller allega al suo testo siano tutte preconciliari, mentre dal Concilio Vaticano II si lascia suggerire non il centro, ma solo affermazioni marginali. In particolare non vi è alcuna considerazione della “indole pastorale”, che è il profilo più alto del Vaticano II, e dal quale, fin dal discorso inaugurale di Giovanni XXIII, deriva la necessaria e benedetta distinzione tra due livelli della tradizione che non si possono confondere: “altra infatti è la sostanza della antica dottrina del depositum fidei, altra la formulazione del suo rivestimento”. Questa principio cardine ci permette di leggere il Concilio Vaticano II come “cambio di paradigma”, ossia come principio di “traduzione della tradizione”, in vista di una fedeltà più autentica e più radicale. Il fatto poi che tutto questo sia utilizzato da Müller soltanto per difendere una lettura “vuota” di AL identifica bene il cuore della questione. In realtà nel suo testo non si difende una dottrina o una disciplina classica, ma un assetto del rapporto tra Chiesa e mondo. Resta in primo piano la nostalgia di una Chiesa come “societas perfecta” e la pretesa di identificare il Vangelo con la normativa di una società chiusa: una teologia d’autorità, priva di ogni rapporto con la libertà in senso moderno. In realtà, in AL, il ripensamento della nozione di matrimonio, di adulterio, di coscienza, di storia e di famiglia non è un “cedimento al mondo moderno”, ma un modo di comprendere meglio il Vangelo.

La critica a Francesco e la critica al Concilio Vaticano II. In realtà, come appare chiaramente soprattutto dal testo di Müller, vi è, in questa critica così radicale degli sviluppi magisteriali recenti – in materia liturgica e matrimoniale – una esplicita critica a Francesco e al suo magistero. Non è sorprendente che le “fonti” di cui si alimentano i due cardinali siano tutte preconciliari: da un lato i pastorelli del 1916, dall’altro i documenti antimodernistici di Pio X. Si discutono questioni attuali con strumenti vecchi e inadeguati. Francesco, invece, ha preso sul serio il Concilio Vaticano II e lo attua con fedeltà e coerenza. E’ come se questi cardinali dessero voce a quella parte di Chiesa che si era illusa di poter “addomesticare” il Vaticano II. Di poterne spegnere la profezia, di poterne aggirare le riforme, di poterne svuotare il dettato. Francesco risulta scandaloso perché fedele. Il “cambiamento di paradigma” non è il suo, ma quello conciliare. Che egli ha imparato bene, se, nell’identificare il profilo del “teologo” ha parlato di tre virtù necessarie: inquietudine, incompletezza, immaginazione. D’altra parte, proprio su questo piano, ad entrambi i cardinali, mi sentirei di consigliare una rilettura storica delle questioni che sollevano. Le pratiche di comunione eucaristica, lungo la storia, sono state assai diversificate e, soprattutto, hanno conosciuto “crisi” molto più gravi di quelle per cui oggi ci stracciamo le vesti. Quanto ai “diversi paradigmi”, chi potrebbe negare che la teologia del matrimonio – ma non solo essa – abbia ricevuto diverse soluzioni secondo paradigmi differenziati? Il primato della tradizione giudaica e poi canonico romana, l’impatto con il mondo barbarico, la speculazione scolastica nel medioevo, la svolta istituzionale dopo Trento, la codificazione nel 1917 non sono forse diversi paradigmi che non dobbiamo confondere immediatamente con il Vangelo e con la dottrina? Mi chiedo se una maggiore consapevolezza di queste differenze nella e della storia non renderebbe il giudizio di Sarah e di Müller non solo teoricamente più equilibrato, ma anche dotato di maggior afflato ecclesiale.

Una citazione del 1945. Per concludere vorrei citare un testo, che trovo suggerito da un bel post del prof. Stefano Ceccanti, nel quale E. Mounier, nel 1945, invitava a non aver paura di “saltare”, di aprirsi al nuovo, di uscire da letture troppo povere e timide della grande tradizione cristiana. Vorrei dedicarlo non tanto ai due cardinali, ma a tutti coloro che, senza dirlo così esplicitamente, partecipano di questa tiepida apparenza di prudenza, che tanto facilmente si identifica con la diffidenza, con la paura e con la profezia di sventura:

“Uomini che hanno paura del salto, ecco cosa siamo diventati, uomini educati ad avere paura del salto. Tutti passano dall’altra parte e noi rimaniamo su questa riva degli abissi del futuro. Come faremo a imparare di nuovo il coraggio di saltare, esattamente in quei punti in cui la prudenza ci zittisce o farfuglia?” (E. Mounier, L’avventura cristiana, ed. Fiorentina, Firenze 1953, p. 99, ediz. originale 1945).

Andrea Grillo blog: Come se non 26 febbraio 2018

www.cittadellaeditrice.com/munera/la-paura-di-fare-il-salto-sarah-mueller-e-la-caricatura-dellantimodernismo

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CHIESE EVANGELICHE

Germania. La Conferenza episcopale apre all’ospitalità eucaristica

L’apertura è limitata alle coppie sposate interconfessionali. Luca Baratto, responsabile per le relazioni ecumeniche internazionali della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei): «per la prima volta una conferenza episcopale cattolica riconosce ufficialmente che qui c’è un problema che corrisponde ad una necessità reale». Vedi newsUCIPEM n. 690, 28 dicembre 2018, pag. 25

La chiesa cattolica tedesca sta ultimando l’edizione di un opuscolo, ad uso dei parroci locali e dei vescovi, relativa all’ospitalità eucaristica per le coppie interconfessionali. Lo ha reso noto ieri la Conferenza episcopale tedesca (Dbk) al termine della sua assemblea primaverile. Si tratta di un’apertura senza precedenti e che riguarda le coppie sposate in cui uno dei due partner sia luterano, riformato oppure membro della Chiesa unita.

«Due sono gli elementi rilevanti di quest’apertura:

  1. In primo luogo significa che il divieto dell’intercomunione per parte cattolica è stato riconosciuto come un problema reale e diffuso – commenta il pastore Luca Baratto, responsabile per le relazioni ecumeniche internazionali della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) –

  2. L’altro aspetto da sottolineare riguarda quello espresso dai vescovi relativo alla dolorosa separazione di fronte alla Cena del Signore, che può mettere a rischio la stessa fede cristiana nella coppia».

La questione è annosa, ricorda il pastore Baratto che cita l’intervento di papa Francesco in occasione della sua visita alla Chiesa luterana di Roma nel novembre 2015, in cui aveva suscitato scalpore dicendo in merito: «E’ un problema a cui ognuno deve rispondere… Condividere la Cena del Signore è il fine di un cammino o è il viatico per camminare insieme?».

«Anche se l’apertura dei vescovi tedeschi nei confronti delle coppie interconfessionali ha tutto l’aspetto di una “eccezione”, da valutare “caso per caso” – aggiunge Baratto – essa è tuttavia assai rilevante: per la prima volta una conferenza episcopale cattolica riconosce ufficialmente che qui c’è una necessità reale e sentita. E’ un segno di avanzamento, nonché di rispetto nei confronti dei propri fedeli. L’elemento della discrezionalità potrebbe essere addirittura positiva per gli stessi parroci tedeschi che si trovano a dover valutare il singolo caso».

Anche la Federazione luterana mondiale (Flm) con un comunicato stampa ha accolto con favore la risoluzione della Dbk. Questo sviluppo segue la commemorazione cattolico-luterana della Riforma a Lund (Svezia) nel 2016, dove la Flm e la Chiesa cattolica hanno espresso come responsabilità pastorale congiunta quella di “rispondere alla sete e alla fame spirituale” di molti dei loro membri «che desiderano ricevere l’eucaristia alla stessa mensa, come espressione concreta della piena unità».

Notizie evangeliche 26 febbraio 2018

https://riforma.it/it/articolo/2018/02/26/germania-la-conferenza-episcopale-apre-allospitalita-eucaristica?utm_source=newsletter&utm_medium=email

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

CAI pubblica dati 2016/2017: il 47% dei minori ha tra i 5 e i 9 anni d’età

Sono stati pubblicati i Rapporti della Commissione relativi alle autorizzazioni all’ingresso per minori adottivi nel gennaio 2018 e i numeri complessivi delle adozioni per il biennio 2016-2017. S’intitola “Coppie e bambini nelle adozioni internazionali”, il report pubblicato dalla Commissione Adozioni Internazionali (CAI) che riassume i dati delle coppie adottive che hanno richiesto l’autorizzazione all’ingresso in Italia di minori stranieri nel mese di gennaio 2018.

Il report divide in maniera puntuale la percentuale di minori adottati in Italia per regione: in particolare, sono 59 le coppie che nel gennaio 2018 hanno concluso il percorso adottivo con l’ingresso in Italia di almeno un minore. In termini assoluti, la regione con il più alto numero di ingressi è la Lombardia (11 coppie) mentre è da notare che sono diverse le regioni che non hanno concluso adozioni internazionali, tra cui Calabria, Molise, Umbria, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta. I minori autorizzati all’ingresso in Italia a scopo adottivo nel mese di gennaio 2018 sono, invece, sono 67.

Per quanto riguarda gli enti autorizzati, sono 30 al gennaio 2018 gli iter adottivi complessivi portati a termine. Eccezion fatta per la Valle d’Aosta, in cui non si sono perfezionate adozioni sia nel 2016 che nel 2017, a livello territoriale le coppie più̀ attive risultano quelle delle aree del centro e del nord del Paese. In relazione all’insieme delle coppie coniugate di 30-59 anni residenti sul territorio regionale, inteso quale naturale bacino di potenziali soggetti richiedenti adozione, i valori massimi dei tassi di effettiva richiesta di autorizzazione all’ingresso di minori stranieri a scopo adottivo si riscontrano in Toscana, Friuli-Venezia Giulia e Liguria. Diversamente, i valori più̀ bassi si rilevano nelle regioni del sud e delle isole, e in particolare in Sicilia e in Sardegna. Complessivamente considerate, le coppie richiedenti l’autorizzazione all’ingresso in Italia di minori stranieri a scopo adottivo sono pari a 17,8 ogni 100mila coppie coniugate residenti nell’anno 2016 e a 13,7 ogni 100mila nell’anno 2017.

Al contempo, nello stesso report, figurano i principali dati dell’adozione relativi agli anni 2016-2017. Quale attività strategica del nuovo mandato della Commissione per le Adozioni Internazionale, il monitoraggio dei dati relativi alle adozioni internazionali in Italia riporta i dati complessivi delle coppie richiedenti l’autorizzazione all’ingresso dei minori: 1.548 coppie nel 2016 per un totale di 1.872 minori e 1169 nel 2017, per un totale di 1.439 minori.

Nello specifico, per quel periodo di riferimento, si legge quanto l’età media dei bambini adottati sia cresciuta. Se nel Duemila, anno di avvio del mandato della Commissione per le adozioni internazionali la classe di età̀ a maggiore frequenza per i bambini entrati in Italia a scopo adottivo era quella da 1 a 4 anni, nei più̀ recenti anni la distribuzione per classe di età̀ si è andata via via sbilanciando a favore della classe 5-9 anni.

Nel 2016 e ancor più̀ nel 2017 il primato della classe di età̀ 5-9 anni si consolida al punto che poco meno della metà (44% nel 2016 e 47% nel 2017) dei bambini appartiene a questa fascia. Un dato che è da mettere in relazione alle funzione sussidiaria dell’adozione internazionale che in un numero crescente di Paesi di origine, nel corso degli anni, è considerata sempre più̀ un istituto cui ricorrere se non si ravvisino idonee condizioni di accoglienza all’interno del Paese stesso.

In conclusione, i dati sin qui illustrati permettono di ripristinare un canale informativo rivolto alle famiglie aspiranti all’adozione, alle coppie adottive, ai bambini adottati e all’intera comunità civile, nonché ai soggetti che a vario titolo operano nell’ambito dell’adozione internazionale nel nostro Paese – Tribunali per i minorenni, servizi sociali territoriali, enti autorizzati.

Questo agile documento rappresenta il primo di una più ampia e cadenzata serie di appuntamenti informativi per riflettere e agire per la cura e il benessere dei bambini e delle coppie adottive nell’auspicio di una rinnovata attenzione, a tutti i livelli di responsabilità, ai loro bisogni ed esigenze.

News Ai. Bi. 1 marzo 2018

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-canale-informativo-famiglie-coppie

I report sono disponibili a questi link

www.commissioneadozioni.it/media/155475/report2018.pdf

www.commissioneadozioni.it/media/155472/reportcai20162017.pdf

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CONSULTORI FAMILIARI

Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di ispirazione cristiana

Le forme della collaborazione dei consultori familiari di ispirazione cristiana con i Tribunali Ecclesiastici.

Servire la famiglia, edificare la chiesa

Venerdì 16 marzo 2018 Roma. Università Cattolica del Sacro Cuore Sala del Consiglio Pastorale

La giornata di studio proposta dalla CFC intende offrire formazione qualificata e specialistica a quanti operano nei consultori familiari di ispirazione cristiana al servizio della persona, della coppia e della famiglia. La proposta formativa intende coniugare conoscenze, competenze e abilità con le basi dell’antropologia cristiana, finalizzandole alla relazione d’aiuto e di ascolto empatico.

La giornata di studio “Servire la famiglia, edificare la Chiesa. Le forme della collaborazione dei Consultori familiari di ispirazione cristiana con i Tribunali ecclesiastici” in programma per il 16 marzo 2018 si rivolge ai consulenti familiari, etici ed ecclesiastici che operano nei consultori familiari, alle diverse figure professionali che operano nei tribunali ecclesiastici e a quanti operano negli organismi della pastorale familiare.

È da ritenere che anche i Consultori familiari rientrino a pieno titolo nel novero delle strutture stabili auspicate dal Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, quali centri qualificati ad espletare la prevista indagine pregiudiziale o pastorale volta alla raccolta degli elementi utili per l’eventuale introduzione del processo giudiziale, ordinario o più breve, in favore dei fedeli separati o divorziati, laddove si riscontri un fondato dubbio sulla validità del matrimonio.

Con la proposta di giornate di studio sul tema auspichiamo che la funzione degli avvocati canonisti possa trovare maggiore risalto in seno ai Consultori già operanti nelle Diocesi o in quelli che potrebbero sorgere nelle Diocesi che ancora ne sono prive.

La partecipazione è gratuita. Iscriversi entro il 9 marzo 2018 inviando la scheda a cfcroma@libero.it

www.cfc-italia.it/cfc/materiale/Programma_16_03_18.pdf

16 marzo 2018 ore 10

  • Il Motu Proprio di Papa Francesco Mitis Iudex Dominus Jesus. I casi e le procedure per il riconoscimento della nullità matrimoniale: possibili forme di collaborazione tra Tribunali ecclesiastici e Consultori familiari di ispirazione cristiana.

Mons. Andrea Migliavacca, Vescovo di S. Miniato e docente di Diritto Canonico.

  • L’atteggiamento delle parti di fronte ad una accusa di nullità del matrimonio.

Avv. Raffaele Cananzi, Avvocato Rotale e Presidente Federazione Calabrese CFC

  • Domande e discussione con i relatori

ore 14,30

  • Possibilità e limiti nella collaborazione tra consultori familiari di ispirazione cristiana e Tribunali Ecclesiastici: la fase pre-giudiziale e pastorale

Don Diego Pirovano, Ufficio per l’accoglienza dei fedeli separati dell’Arcidiocesi di Milano e Collaboratore del Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo

  • L’indagine sulla crisi della coppia e relazione esplicativa da parte del Consultorio familiare

Don Edoardo Algeri, Presidente della Confederazione dei Consultori Familiari di ispirazione cristiana

  • Domande e discussione con i relatori

www.cfc-italia.it/cfc/index.php/2-non-categorizzato/423-giornata-di-studio

 

Roma Figli di genitori separati: i Gruppi di Parola

“Confuso, spezzato, agitato, sorpreso, stanco, triste, separazione, pianto, litigare, urla, rabbia”. Sono alcune delle parole ricorrenti che usano i bambini e ragazzi, figli di genitori che si separano. Per loro, che spesso sono tirati in ballo dai genitori in conflitto, c’è il progetto “Gruppi di Parola (GdP), una risorsa per i figli dei genitori separati”, promosso dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Istituto Toniolo di studi superiori. Partito lo scorso 9 novembre 2017 con il primo ciclo di incontri ospitati dal Consultorio familiare dell’Università Cattolica di Roma, il progetto intende “valorizzare l’esperienza della condivisione delle emozioni come strumento di confronto ed elaborazione dei vissuti tra i bambini e i ragazzi coinvolti negli eventi di separazione o divorzio che coinvolgono i loro genitori”.

Soggetti vulnerabili. “I bambini e i ragazzi coinvolti in una separazione sono vulnerabili perché devono ridefinire l’assetto familiare, ma non hanno interlocutori di riferimento, essendo i genitori in conflitto tra di loro”, evidenzia la garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano, per la quale è importante che “i bambini e i ragazzi mantengano l’idea di famiglia”. Albano ricorda che “in Italia sono in aumento le separazioni, ma nel nostro Paese non esiste una misura a favore di questa particolare categoria di minorenni vulnerabili”.

I GdP, prosegue la garante, “sono un’esperienza bella che stiamo sostenendo, ma dovrebbe avere carattere di gratuità in modo da consentire l’accesso a tutte le situazioni familiari, anche a quelle meno abbienti”. Per questo, dovrebbero diventare “una misura strutturale in un Piano nazionale”. Albano annuncia anche una “Carta dei diritti dei bambini nella separazione”, i cui principi fondanti “saranno ispirati alla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”. “Sarà – spiega la garante al Sir – uno strumento a disposizione degli operatori: avvocati, magistrati, servizi sociali. Il diritto del bambino è quello di conservare relazioni familiari, pur nel mutato assetto, perché non si cessa mai di essere genitori”.

“Abbiamo cura e aiutiamo ad avere cura”. Con questo slogan Paola Cavatorta, direttore del Consultorio familiare dell’Università Cattolica a Roma e responsabile scientifico del progetto, sintetizza il senso dell’attività del Consultorio: “Nel 2017 su 1.000 persone che hanno usufruito dei nostri servizi il 65% ci ha chiesto un sostegno e di questi il 70% riguardava separazioni”. Cavatorta chiarisce il funzionamento dei GdP: “Sono interventi brevi, destinati a bambini (6-12 anni) e adolescenti (13-17 anni) con genitori separati o divorziati.

È un’esperienza di gruppo – articolata in quattro incontri di due ore ciascuno, a cadenza settimanale – in cui i bambini e i ragazzi possono parlare, condividere pensieri ed emozioni, attraverso il gioco, il disegno e altre attività, con l’aiuto di professionisti specializzati. Il GdP aiuta a esprimere i vissuti, a porre domande, a nominare le paure rispetto alla separazione, a trovare modi per dialogare con i genitori e per fronteggiare le difficoltà legate ai cambiamenti familiari.

Il GdP coinvolge anche i genitori: dalla fase di informazione e autorizzazione per i figli alla partecipazione all’incontro conclusivo del gruppo, fino al colloquio di approfondimento realizzato a distanza di un mese. I ragazzi scrivono anche una lettera collettiva ai genitori in cui mettono a nudo le loro difficoltà e aspettative”. Un primo obiettivo dei promotori del progetto è la realizzazione di 7 GdP: 4 a Roma, 2 a Milano e 1 a Napoli, tutti gratuiti, associati alla somministrazione di un questionario – appositamente predisposto – per valutare il GdP dal punto di vista dei figli partecipanti e dei genitori. Alcuni GdP si sono già svolti, altri sono in corso e gli ultimi saranno realizzati a maggio a Milano e Roma. “Abbiamo già riscontri positivi – dichiara la direttrice del Consultorio -: i genitori si sono accorti che i figli che partecipano hanno acquisito la capacità e il coraggio di dialogare”.

Ci sono alcune preoccupazioni costanti nelle lettere scritte dai figli. Ne parla Costanza Marzotto, responsabile della formazione del Centro di Ateneo studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica di Milano e conduttrice di GdP presso il Servizio di psicologia clinica per la coppia e la famiglia della sede milanese dell’Ateneo, citando i risultati di una ricerca su 20 gruppi: “L’affetto e il voler bene, il disagio emotivo per la separazione, il bisogno di informazione, il posto dei bambini nella separazione, i litigi dei genitori, i nuovi compagni, la fantasia di riconciliazione, aspetti positivi, come festeggiare due volte Natale e il compleanno”. Così come sono ricorrenti alcuni bisogni, che vanno, per i bambini dai 6 agli 8 anni, “dall’essere stufi di sentir litigare al senso di vuoto perché manca il papà o la mamma e al non voler incontrare il nuovo partner del genitore”. Per la fascia di età dagli 8 ai 12 anni emergono “il desiderio di chiarezza, il senso di colpa, la speranza di una riconciliazione”. Comuni a tutte le età “la paura di essere un figlio di serie b, il dubbio su come chiamare i nuovi figli del papà, l’incubo della povertà”.

I GdP, sottolinea Marzotto, danno la parola al figlio, ma poi raggiungono tutta la famiglia. “Il dare parola a un membro, da una parte, porta nel gruppo tutto il corpo familiare, ad esempio fratelli che parlano del disagio delle sorelline, e, dall’altra, i bambini, tornando dal gruppo, condividono con la famiglia l’autorizzarsi a nominare alcune questioni, come la nuova compagna di papà o il nuovo ragazzo di mamma. C’è come un’autorizzazione ai bambini a nominare sentimenti complessi, fatiche, timori, speranze, fantasie. Il GdP diventa anche una via di accesso per genitori, che hanno litigato per anni, a ‘riautorizzarsi’ a fare una mediazione, con l’aiuto di un terzo imparziale”. Alla domanda se si registrano problematiche diverse nei tre centri dove è stato avviato il progetto – Milano, Roma, Napoli – Marzotto ci risponde: “Non ci sono differenze sostanziale nelle difficoltà avanzate dai figli, una costante è la paura della povertà. C’è qualche diversità nell’essere coppia genitoriale, ma sta crescendo la consapevolezza che si fa i genitori solo in due”.

Gigliola Alfaro Agenzia SIR 1 marzo 2018

https://agensir.it/italia/2018/03/01/figli-di-genitori-separati-i-gruppi-di-parola-un-aiuto-per-nominare-le-paure-e-fronteggiare-le-difficolta

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Imola. Incontri con i genitori. Insieme nella rete

Percorso formativo tramite incontri con i genitori sui temi della “cittadinanza digitale”, per accompagnare, stimolare e formare gli adulti mostrando le possibili strategie di interazione e affiancamento con i figli.

  • Whatsapp, Instagram, Musicaly, Giochi online, Youtube …se gli dico di no ?!

dr Chiara Luongo, psicologa referente per Telefono Azzurro

  • Hansel e Gretel adolescenti nel web. Le problematiche affettivo relazionali e di identità connesse all’uso di internet. dr Maura Manca, presidente Osservatorio Nazionale Adolescenza

in collaborazione con il consultorio familiare UCIPEM di Imola

  • Il principio di legalità nel mondo di Internet come presupposto educativo.

In collaborazione con Associazione Avvocati Imolesi

  • Laboratorio tecnico sulle misure di sicurezza per accompagnare i nostri figli online.

Matteo Masi Sales Manager & Business Development Industry 4.0 Smart Manufacturing

In collaborazione con Cisco Systems

http://ic1imola.gov.it/wp-content/uploads/sites/306/incontri-con-i-genitori-2.0.pdf

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DALLA NAVATA

III Domenica di Quaresima – Anno B –4 marzo 2018

Esodo 20, 03 «Non avrai altri dèi di fronte a me».

Salmo 19, 08 La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice.

1Corinzi 01, 23 Noi invece annunciami Cristo crocefisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani.

Giovanni 02, 22 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Gesù, luogo dell’incontro definitivo con Dio.Commento di Enzo Bianchi,

priore emerito nel convento di Bose (BI)

In questa terza domenica di Quaresima la chiesa ci offre un racconto tratto dal quarto vangelo, riguardante la prima epifania di Gesù a Gerusalemme, all’inizio del suo ministero pubblico. L’episodio è introdotto dall’annotazione temporale “Si avvicinava la Pasqua dei giudei”, la festa che Israele celebra ogni anno nel plenilunio di primavera come memoriale dell’esodo dall’Egitto, l’azione salvifica con cui il Signore ha creato il suo popolo santo, liberandolo dalla schiavitù per condurlo nella terra della libertà. Questa precisazione temporale riguardante la salita di Gesù a Gerusalemme sarà ripresa altre due volte nel vangelo (cf. Gv 6,4; 11,55). È un particolare dal profondo significato, perché ogni volta la festa di Pasqua riceve dall’agire e dalle parole di Gesù un significato più pieno, fino alla rivelazione che proprio lui è l’agnello pasquale morto alla vigilia della Pasqua, che lui inaugura la Pasqua di salvezza definitiva e universale.

Salito a Gerusalemme in occasione di questa festa, Gesù entra nel tempio (ierón), il luogo dell’incontro con Dio, dove sta il Santo dei santi, il sito della sua Presenza (Shekinah) sulla terra, ma constata che esso non è rispettato nella sua funzione; anzi, da luogo di culto a Dio è diventato luogo commerciale, sede di traffici “bancari”, mercato dove regna l’idolo del denaro. Il sinedrio, infatti, aveva organizzato sul monte degli Ulivi un tratturo per gli animali destinati al sacrificio e Caifa aveva riservato una parte dell’atrio al mercato delle vittime necessarie i sacrifici. Com’è possibile una tale perversione? Eppure, secondo le invettive dei profeti, ciò avvenne per il primo e il secondo tempio (cf. Is 56,7; Ger 7,17; Ml 3,1-6), e continua ad avvenire anche in molti luoghi cristiani. Il mercato – allora di animali necessari per i sacrifici, oggi di oggetti sacri, devozionali – facilmente si installa dove accorre la gente, sempre lenta a credere ma facilmente religiosa.

Certo, quel mercato nell’area del tempio, esattamente nell’atrio riservato ai gojim, alle genti, perché potessero avvicinarsi e cercare il Dio vivente, procurava un’enorme ricchezza ai sacerdoti, agli inservienti del tempio e a tutta la città santa. In particolare, in quel luogo erano installati banchi di cambiavalute, che consentivano a quanti provenivano dalla diaspora di cambiare le monete, di fare offerte al tempio e di acquistare le vittime per i sacrifici. Trovando questa realtà, subito Gesù “fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: ‘Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!’”.

Gesù compie un’azione, un segno, e dice una parola. In tal modo si rivela come un profeta che denuncia il culto perverso, che con parrhesía, con franchezza, legge la situazione presente e osa dichiarare di fronte a tutti la triste fine fatta da quella che è pur sempre la casa di Dio, suo Padre. Gesù domanda di mettere fine a quella pratica indegna di Dio, dà un segno del compimento della purificazione della casa di Dio annunciata dai profeti per gli ultimi tempi e attua la profezia di Zaccaria: “In quel giorno non ci sarà più nessun commerciante nella casa del Signore” (Zc 14,21). Come Geremia, critica la pratica religiosa che il tempio sembrava richiedere a nome di Dio (cf. Ger 7,15) ma, dicendo che quella è la casa di suo Padre, rivela di essere il Figlio, dunque il Messia, il Figlio di Dio (cf. Sal 2,7), atteso dai giudei quale purificatore e giudice.

Il gesto compiuto da Gesù è scandaloso per i sacerdoti e per gli uomini religiosi della città santa. Di fronte a questa azione che contraddice la loro funzione e autorità, essi si domandano chi sia mai questo Gesù venuto dalla Galilea. Gli chiedono dunque le credenziali: che autorità ha? E se ce l’ha, dia un segno, mostri la sua autorizzazione ad agire in questo modo! Scacciando tutte le vittime destinate al sacrificio pasquale, Gesù di fatto impedisce la celebrazione della Pasqua secondo la Torah, dunque attenta al culto stesso. Di fronte a questa accusa, implicita nelle affermazioni di quegli uomini religiosi che a lui si rivolgono, Gesù risponde con parole enigmatiche, che sono una profezia, ma che quei contestatori non possono comprendere nella loro verità. Dice, infatti, sfidandoli: “Distruggete questo santuario (naós) e in tre giorni lo rialzerò, lo farò risorgere”.

Gesù identifica se stesso, il suo corpo, con il santuario, con la tenda innalzata nel deserto dove Dio abitava, nella quale risiedeva la Shekinah. Quei nemici di Gesù possono sopprimerlo, e così in effetti avverrà, perché lo condurranno alla croce e alla morte; ma egli in tre giorni rialzerà quella tenda della Presenza di Dio che è il suo corpo. Sarà la sua resurrezione dai morti! Ma queste parole risuonano come incomprensibili, perché quei giudei vedono il tempio di Dio fatto di pietre e si domandano: “Questo santuario (naós) è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo rialzerai, lo farai risorgere?”.

In ogni caso, Gesù ormai ha posto il segno, ha detto la parola necessaria, quella che vuole il tempio non come casa di commercio ma come casa di Dio, e allora entra nel silenzio, in una tristezza indicibile. Il tempio, luogo suo perché casa di Dio suo Padre, il tempio che avrebbe dovuto riconoscerlo e accostarlo come il Signore, il Kýrios che ne prende possesso, preceduto da Giovanni, il nuovo Elia (cf. Ml 3,1-2.23-24), in realtà non lo riconosce, non lo accoglie. E subito dopo, l’attività commerciale e il sistema bancario riprendono esattamente come prima di lui, come se Gesù non avesse mai compiuto quel gesto.

Ma accanto a questa ostilità, che non farà che crescere fino alla condanna a morte di Gesù, il quarto vangelo registra anche la reazione dei discepoli che erano scesi con lui a Gerusalemme da Cana di Galilea. Quando lo videro compiere quel gesto, che non ha causato male fisico a nessuno, che non era un gesto di violenza ma un mimo altamente espressivo ed eloquente, una chiara condanna del sistema religioso su cui si reggevano il tempio e il sacerdozio, lo ritennero pieno di passione, zelo, come Elia (cf. 1Re 19, 10.14), e il salmo tante volte pregato plasmò il loro pensiero: “La passione per la tua casa mi consumerà” (Sal 68,10). A dire il vero, nel salmo il verbo è al passato, qui invece al futuro, a dire che questo gesto lo porterà a essere consumato come l’Agnello pasquale: sì, questa passione per Dio porterà Gesù alla condanna e alla morte! E quando Gesù, consumato da questa passione, risorgerà, poiché tale passione-amore “fino alla fine” (eis télos: Gv 13,1) per Dio e per gli uomini non poteva morire, allora i discepoli si ricorderanno delle sue parole circa la resurrezione in tre giorni: “egli parlava del santuario (naós) del suo corpo”. Non sarà rialzato il tempio di pietre distrutto, ma il suo corpo morto si rialzerà per la vita eterna.

Ormai, dunque, il luogo dell’incontro con Dio è il corpo di Gesù, il luogo del vero culto a Dio è Gesù. Questo significano le sue parole rivolte più avanti a Tommaso e a Filippo: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me … Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14, 6.9). L’economia e i riti dei sacrifici animali sono finiti per sempre, Gesù è la vera vittima del sacrificio: l’unico sacrificio secondo la rivelazione di Gesù, infatti, è “dare la vita per gli altri” (cf. Gv 15,13) e “offrire il proprio corpo per amore” (cf. Rm 12,1). Questa è la buona notizia cristiana, il Vangelo: luogo della Presenza di Dio non è un edificio ma è Gesù Cristo stesso, è un uomo, è la sua carne in cui “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9).

Di conseguenza, luogo della Presenza del Signore è il corpo di Cristo (cf. 1Cor 12, 12-29) che è la sua chiesa, perché i cristiani sono il tempio di Dio (cf. 1Cor 3, 16-17). È nel corpo di Cristo che si è rivelata la gloria di Dio ed è nel nostro corpo che Dio ormai abita attraverso Cristo, nella comunione dello Spirito santo. Ma dobbiamo confessarlo: quei giudei non riuscivano a discernere in Gesù la Presenza di Dio e noi cristiani non sappiamo discernere che Cristo è in noi. Ce lo rimprovera Paolo: “Esaminate voi stessi, se siete nella fede; mettetevi alla prova. Riconoscete che Gesù Cristo abita in voi, sì o no?” (2Cor 13,5). Un padre del deserto, abba Pambo, si rivolgeva così a un fratello: “Tu sai di essere tabernacolo del Signore? Sai che Dio abita nel tuo corpo e che le tue membra sono membra di Cristo? È nel tuo corpo che puoi dare gloria a Dio e farlo abitare nel mondo, tra gli umani!”. Ammonimento, questo, che dà le vertigini.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12122-gesu-luogo

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DEMOGRAFIA

Insegnate come fare figli, non solo come evitarli

Cambiano le priorità e la Fertility Education Initiative chiede al governo britannico di insegnare alle ragazze come avere una gravidanza e non semplicemente come evitarla. Dall’anno prossimo le lezioni di educazione sessuale saranno obbligatorie nel Regno Unito e il governo sta consultando esperti per mettere a punto i contenuti dei corsi. L’articolo su The Times.

La Fei suggerisce il focus sulla fertilità spiegando l’innalzamento dell’età media di programmazione della prima gravidanza (ritardo che spesso si traduce nell’impossibilità di procreare) come legato all’ignoranza sui cicli della vita. www.thetimes.co.uk/article/teach-girls-how-to-get-pregnant-say-doctors-8993hqbf9

a cura di Stefania Di Lellis Newsletter Rep 13 2 marzo 2018

http://nl.kataweb.it/f/rnl.aspx/?ihh=rwyrxq_.-ig=uw/cf0=qr_yy_9c3:.=&&x=pv&3b65h&x=pv&c&x=pp&t_c3f6dd7b8i5&hNCLM

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DIRITTI DEI MINORI

La funzione socio-giuridica della scuola dell’infanzia

1. Il diritto alla scuola dell’infanzia. Attualmente la scuola è attaccata da più fronti ma quella più trascurata o ignorata, non solo nell’immaginario collettivo ma anche dai gradi scolastici successivi, è la scuola dell’infanzia tanto che è ancora impropriamente chiamata asilo o scuola materna. La scuola dell’infanzia non è né asilo né scuola materna, né ludoteca né baby-sitting. Non è un servizio per i genitori, ma per i bambini, “tutte le bambine e i bambini dai tre ai sei anni di età” (dalla premessa relativa alla scuola dell’infanzia nelle “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione” del 2012). Non è il luogo del girotondo e dei lavoretti (o non solo). È una scuola “speciale” in cui il bambino (e non il lattante o quasi, come nel caso di molti dei cosiddetti “anticipatari”) è tale, deve essere tale e lasciato essere tale, tra sensi e sensazioni, segni e simboli, scoperta e sperimentazione di sé, socializzazione sino alla scolarizzazione in funzione della scuola primaria. Spesso i genitori, però, e il resto della società (che non fa comunità) hanno scarso o nessun rispetto di tutto ciò e conseguentemente dei bambini, della specificità della loro età e di quello che comporta.

Quella specificità dell’infanzia decantata da Ada Fonzi, professore emerito di psicologia dello sviluppo: “Il linguaggio è una mescolanza tra suoni, immagini, emozioni e rappresentazioni, è un tutto globale, per cui le prime parole di un bambino non sono solo parole, ma incantamenti magici. Il bambino arriva così, nell’età della scuola dell’infanzia, alla creazione inconsapevole di vere e proprie metafore, di invenzioni poetiche per cui un cielo nuvoloso diventa per il piccolo Matteo di 5 anni un «cielo rattoppato di grigio». Perché tutto questo possa avvenire è però necessario il sostegno e la discreta stimolazione dell’ambiente, che inviti il bambino a sviluppare i suoi sensi, a giocare con le parole, a relazionarsi con gli altri”.

Dialogo, ascolto, affetto e rispetto: quello che si vive (o si dovrebbe vivere) nella relazione e quello di cui hanno veramente bisogno i bambini per crescere e per sviluppare quello che è in loro, invece i genitori “corrono” perdendo il “genio” dell’infanzia che hanno davanti a loro e facendolo perdere irreversibilmente ai figli. “Genialità infantile” valorizzata e plasmata, invece, dalla scuola dell’infanzia dove, per esempio, col “circle time” si coniugano dialogo, ascolto, affetto e rispetto. “Il bambino possiede in lui importanti risorse. Esse si rivelano se egli può dialogare, essere ascoltato con affetto e rispetto, essere difeso” (dalla Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance, sottoscritta a Parigi nel giugno 2007).

La scuola dell’infanzia non è la scuola dei “lavoretti” (termine datato che li sminuisce, per cui sarebbe il caso di chiamarli manufatti) e del girotondo, ma è la scuola della scolarizzazione e della valorizzazione dell’infanzia. Anche se fosse ancora la scuola dei lavoretti e del girotondo, attraverso i “lavoretti” e il “girotondo” si educa alla laboriosità e al tenersi per mano anche nella vita. “Lavoretti” che, comunque, hanno una polivalenza: dalla “catarsi” all’educazione al lavoro. La scuola dell’infanzia contribuisce all’esercizio fattivo e quotidiano dei diritti dei bambini enucleati nell’art. 31 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, nel cui par. 1 si stabilisce: “Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo, allo svago, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età, ed a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica”.

“Bambino” significa etimologicamente “colui che balbetta, che parla inarticolatamente”. Con i bambini non bisogna usare né un linguaggio difficile e distaccato né edulcorato, ma bisogna fornire loro ogni linguaggio e dare di ogni parola il significato appropriato, per consentire loro di partecipare liberamente e pienamente alla vita culturale ed artistica “in condizioni di uguaglianza” (di cui al par. 2 art. 31 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). In questo ha un ruolo fondamentale la scuola dell’infanzia dove anziché dire, per esempio, “braccia a fiocchetto” o “verde brillante” si può dire tranquillamente “braccia conserte” e “verde chiaro” evidenziando le differenze rispetto al verde scuro (riferendosi alle cose, alla realtà) e aggiungendo l’esemplificazione e la spiegazione delle varie tonalità del verde, come verde salvia, sottobosco, bottiglia, acido, pistacchio o altro, perché così sono le nuances della vita e l’ambiente circostante. Le differenze tra i colori, tra l’altro, corrispondono anche ai differenti coloriti di pelle e ai differenti stati d’animo. In tal modo si contribuisce pure a educare alle differenze: educare i bambini alla realtà e alla verità. Non solo, si pensi anche al valore emozionale ed estetico delle sfumature, come il celeste, l’azzurro e il turchese, o i colori malva, lilla e glicine, alla sorpresa che suscitano nei bambini che sentono per la prima volta la terminologia corretta e successivamente cominciano a riconoscere i colori corrispondenti e ad esprimere i loro gusti. Si realizza così anche il “diritto alle sfumature”, enunciato nel decalogo dei cosiddetti diritti naturali dei bambini (formulato da Gianfranco Zavalloni).

2. I diritti dei bambini nella scuola dell’infanzia. L’obiettivo precipuo della scuola dell’infanzia dovrebbe essere custodire e coltivare i sogni dei bambini e educare questi ultimi a sognare ancora e di più: “I sogni sono come fiocchi di neve, a volte si sciolgono ancor prima di cominciare a pensare che essi possano essere realizzati; altre volte, invece, congelano il passato per far spazio al presente, che sembra essere incantevole come un paesaggio innevato” (Riccardo Messina, aforista).

Tra le tante definizioni, esplicativa quella del musicoterapeuta Luigi Mattiello: “L’infanzia è l’unico periodo della vita in cui si ha tutto senza possedere assolutamente nulla, l’unico periodo in cui, le lacrime non hanno il sapore della sconfitta o della delusione ma della ribellione. L’infanzia è l’unico periodo della vita in cui, si ama senza provare alcun disprezzo e si odia senza alcuna ragione, l’unico periodo in cui l’amore lo si insegna senza mai averlo appreso. L’infanzia è l’unico periodo della vita in cui si sa tutto senza conoscere assolutamente nulla… Poi si cresce e si dimentica ogni cosa”. I genitori e gli adulti in generale non devono dimenticare l’arte dell’infanzia, l’arte nell’infanzia. “Perché possa svolgere le sue attività di gioco e di lavoro, il fanciullo ha bisogno di convenienti rapporti umani; nonché di spazi, di tempi, di mezzi, di materiali e strumenti idonei alla sua età ed adatti alle sue condizioni fisiche e psichiche” (art. 2 Carta dei diritti del fanciullo al gioco e al lavoro, Roma 1967). Da qui la rilevanza e anche la necessità della scuola dell’infanzia purché sia considerata tale e le si consenta di essere funzionale, a cominciare dalla disponibilità di spazi ove si possano allestire anche i cosiddetti “angoli” (o laboratori), per la pittura, per la lettura o altre attività affini.

Sui convenienti rapporti umani Ada Fonzi spiega: “Ben vengano dunque tutte le provvidenze messe in atto per combattere la violenza contro le donne: incoraggiare la denuncia, potenziare l’assistenza sia psicologica che pratica, dare protezione economica e un rifugio sicuro alle vittime. Ma ricordiamoci che l’origine del fenomeno viene da lontano, affonda negli abissi di una cultura che ha considerato, per secoli, il potere e la dominanza diritti della mascolinità. L’unica profilassi possibile resta quella di fare della cultura della non violenza una piattaforma di studio, di riflessione, di azione, a partire dalle scuole per l’infanzia”.

La scuola dell’infanzia promuove e deve promuovere il processo di socializzazione e non continuare quello di maternalizzazione (predominanza della figura materna e del codice materno), che può ingenerare alterazioni nelle competenze relazionali e conseguentemente nei rapporti interpersonali e intrapersonali, sociali e intimi. In questo riveste un ruolo determinante il padre. Lo psicologo e psicoterapeuta Osvaldo Poli precisa: “Il padre è colui che espone il figlio all’esperienza del dolore, ed il suo segno è la ferita. Egli impone al figlio un sacrificio, lo sottopone alla prova. La natura della prova consiste nel chiedergli di affrontare la fatica delle rinunce necessarie per crescere bene, riuscire, avere buoni rapporti con gli altri ed essere davvero contento di sé”. “Padre” etimologicamente deriverebbe dalla radice “pa”, la stessa di “pane” e “pastore”, che comportano fatica, la fatica della quotidianità. Essere padre è anche faticare e educare alla fatica, la fatica del vivere, cominciando con piccoli gesti come accompagnare figlio/a alla scuola dell’infanzia affinché si distacchi dalla mamma o insegnando ad andare in bicicletta.

La scuola dell’infanzia fa sperimentare al bambino i cosiddetti “diritti naturali” e soprattutto l’appropriazione dello spazio e del tempo. A tale proposito nelle “Indicazioni nazionali”, nel paragrafo intitolato “L’ambiente di apprendimento” relativo alla scuola dell’infanzia è previsto:

“L’organizzazione degli spazi e dei tempi diventa elemento di qualità pedagogica dell’ambiente educativo e pertanto deve essere oggetto di esplicita progettazione e verifica. In particolare:

  • Lo spazio dovrà essere accogliente, caldo, ben curato, orientato dal gusto estetico, espressione della pedagogia e delle scelte educative di ciascuna scuola. Lo spazio parla dei bambini, del loro valore, dei loro bisogni di gioco, di movimento, di espressione, di intimità e di socialità, attraverso l’ambientazione fisica, la scelta di arredamenti e oggetti volti a creare un luogo funzionale e invitante;

  • Il tempo disteso consente al bambino di vivere con serenità la propria giornata, di giocare, esplorare, parlare, capire, sentirsi padrone di sé e delle attività che sperimenta e nelle quali si esercita.

Gli spazi della scuola dell’infanzia consentono la ritualità quotidiana importante anche per lo sviluppo psicologico armonico “riconosciuto che il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione”.

Quell’importanza dei riti sottolineata nel capolavoro valido per tutte le età, “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry: «Il piccolo principe ritornò l’indomani. “Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe. “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi, alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti”. “Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe. “Anche questa è una cosa da tempo dimenticata”, disse la volpe. “È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore […]”».

L’insegnamento non è una semplice professione: è passione, è relazione. La scuola sta diventando (o è diventata?) progettificio, carrierificio e altro, ma chi ci crede deve continuare a farlo, pur lavorando nel silenzio e talvolta nella solitudine. Nella scuola dell’infanzia, in taluni casi, si fa un abuso di “schede” fotocopiate passivizzando il bambino e rendendo sterile l’insegnamento. Bisogna ricordare, invece, quanto prescritto nell’art. 3, par. 1 della Convenzione: “In tutte le decisioni riguardanti i fanciulli che scaturiscano da istituzioni di assistenza sociale private o pubbliche, tribunali, autorità amministrative o organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve costituire oggetto di primaria considerazione”.

Si tenga sempre a mente che “cultura” significa etimologicamente “coltivare”, e “scuola”, “avere tempo di occuparsi di una cosa per divertimento”: ai bambini sia garantito questo per il loro presente, alla base del loro futuro, e nella scuola dell’infanzia si lavora (e si lavori) per garantire questo.

Margherita Marzario Filo diritto Newsletter n. 691, 26 febbraio 2018

www.filodiritto.com/articoli/2018/02/la-funzione-sociogiuridica-della-scuola-dellinfanzia.html

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MINORI NON ACCOMPAGNATI

Nel 2017 sbarcati in Italia 15.731 minori stranieri non accompagnati

Le cifre ufficiali pubblicate dal Ministero dell’Interno sui movimenti migratori dei primi 2 mesi del 2018, rispetto ai dati 2016 e 2017, indicano che i minori stranieri non accompagnati (Misna) sbarcati in Italia erano 25.846 nel 2016 e sono stati appena 621 nei primi 45 giorni del 2018.

Eritrea e Tunisia le nazionalità di gran lunga più rappresentate tra coloro che raggiungono il nostro Paese.

Misna, anche se diminuiscono i numeri aumenta l’urgenza di affido internazionale per questi bambini e adolescenti stranieri senza famiglia. Le attività di ‘filtraggio’ all’origine del tragitto dei migranti e dei Misna che cercano di lasciare i propri Paesi dell’Africa in cerca di un futuro migliore nel Vecchio Continente sembrano funzionare, almeno stando ai dati pubblicati dal Ministero dell’Interno: nel 2016 l’afflusso di migranti dal mare era stato di 181.436 persone, lo scorso anno la cifra era già scesa a 119.369 persone.

Ma il dato più significativo è quello relativo ai primi due mesi del 2018 (febbraio fino al giorno 23), con un calo significativo del numero di migranti che si sono messi in viaggio: 4.182 a gennaio (contro i 5.273 del 2016 e i 4.468 del 2017) ed appena 1.059 nei primi 23 giorni di febbraio, contro i 3.828 dello stesso periodo del 2016 e gli 8.971 di quello 2017.

Concordemente rispetto al numero generale, calano anche i Misna che raggiungono il nostro Paese nei ‘viaggi della speranza’: erano stati 25.846 nel 2016, sono stati 15.731 l’anno successivo e nei primi 45 giorni del 2018 ne sono stati registrati 621.

Le indicazioni fornite dai dati confermano la necessità di intervenire, come sancito dalla legge ‘Zampa’, con l’applicazione dell’affido familiare per tutti questi minori. Ecco perché Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini promuove a tutti i livelli la proposta d’introduzione dell’affido internazionale quale soluzione più efficace per restituire un presente e un futuro ai bambini e agli adolescenti stranieri che si trovano a vivere senza famiglia nel nostro Paese, attraverso l’introduzione di specifici ‘corridoi umanitari’ con destinazione finale una famiglia italiana appositamente selezionata e formata.

Tra le cinque nazionalità più rappresentate dai migranti giunti sulle nostre coste a inizio anno, in testa c’è l’Eritrea (1.312), seguita da vicino dalla Tunisia (1.054), poi uno stacco netto fino ad arrivare alla Nigeria (326), il Pakistan (286) e la Libia (234). La maggior parte dei fuggitivi, comunque, parte ancora dai porti libici: sono stati 3.739, comunque in forte diminuzione rispetto alle partenze del 2017 (-64,19%).

Nonostante i numeri in calo, anzi forse proprio in virtù di queste ultime notizie, è quantomai propizio e opportuno pensare a uno specifico piano che pensi all’inserimento dei minori in difficoltà nelle rispettive realtà socio-economiche nazionali, nei loro Paesi così come qui da noi. E la famiglia è il primo e più importante ambiente in grado di favorire uno sviluppo corretto di questi bambini e adolescenti, per facilitarne il futuro.

Ai.Bi. ha elaborato un piano specifico, ribattezzato #Africainfamiglia, che punta ad agire sia nel continente africano – ottimizzando risorse e creando sinergie tra partner con competenze complementari nei luoghi della fragilità sociale – che a casa nostra, in una logica che superi l’emergenza per puntare alla messa a sistema di percorsi di accoglienza e integrazione ‘diffusa’.

Interventi – in un’ottica di vera cooperazione internazionale – finalizzati a far uscire i minori dagli orfanotrofi e dagli istituti di collocamento residenziale, ove necessario affiancando le istituzioni pubbliche africane per sviluppare riforme del sistema di protezione sociale che mettano al centro l’adozione internazionale, quella nazionale, l’affido familiare e, più in particolare, un modello di accoglienza ‘diffusa’ con formazione di tutori adeguatamente formati che affianchino il minore nel suo progetto migratorio.

Il tutto, tenendo ben presente il ruolo dei ‘tutori volontari’ per i minori stranieri non accompagnati, figura frutto della legge ‘Zampa’ per la quale Ai.Bi. si è molto battuta e che ormai da qualche mese hanno iniziato i percorsi di formazione in varie regioni italiane, sotto l’egida del Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza.

News Ai. Bi. 26 febbraio 2018

www.aibi.it/ita/misna-nel-2017-sbarcati-italia-15-731-minori-stranieri-non-accompagnati-occorre-promuovere-laffido-internazionale

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OMOFILIA

Due minori figli di persone dello stesso sesso

Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza interlocutoria n. 4382, 22 febbraio 2018.

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_29348_1.pdf

Alle Sezioni Unite la delibabilità del provvedimento straniero che dichiara due minori figli di persone dello stesso sesso. Commento dell’avv. Francesca Zadnik del foro di Genova.

Contrasta con l’ordine pubblico italiano il provvedimento straniero che dichiara due minori figli di genitori dello stesso sesso. In merito al riconoscimento del provvedimento giurisdizionale straniero, che dichiarava due minori figli di una coppia di uomini coniugata secondo le leggi canadesi, ci si pone l’interrogativo della possibile delibazione nel vigente ordinamento italiano di una tale disposizione. Con le possibili conseguenze in merito alla delimitazione dell’ordine delle regole interne di ordine pubblico ed al loro valore intrinseco. Dopo la nascita dei bambini, avvenuta per fecondazione eterologa in Canada, al trasferimento del nucleo familiare in Italia, gli stessi erano stati riconosciuti figli di uno solo dei due uomini ed erano conseguentemente stati inseriti come tali nei registri anagrafici. Ad originare il presente giudizio però è stato il rifiuto dell’ufficiale di stato civile del Comune di Trento di trascrivere i minori come figli di entrambi gli uomini, poiché la legge italiana prevede che per iscrivere un certificato di nascita nei registri di stato civile, i genitori debbano essere di sesso opposto.

La coppia chiedeva invece la delibazione del provvedimento canadese che dichiarava i minori figli di entrambi e la conseguente applicazione dello stesso, a mente della L. 218/1995 in materia di diritto internazionale privato, anche per consentire ad entrambi la doppia cittadinanza, sia italiana che canadese. Sotto il profilo di merito era quindi solo da verificare se il provvedimento potesse essere riconosciuto anche in Italia.

E in particolare nel merito si riteneva fondamentale che vi fosse, espressamente riconosciuta, la paternità di entrambi per i minori, a totale perfezionamento dello status di figli, a pena dell’identità familiare acquisita e riconosciuta nel provvedimento canadese ed essenziale per la cittadinanza italiana dei due. Secondo una lettura sovranazionale ed europea delle normative a tutela della famiglia infatti, l’ordinamento italiano già da tempo non riconosce come meritevole di tutela solo il legame familiare generato biologicamente ma, in ottemperanza ed applicazione dell’art 8 della Convenzione EDU, lo stato italiano ha più volte riconosciuto che la famiglia ed il best interest del minore si devono avvalere di più ampi riferimenti, come il legame affettivo, l’idoneità genitoriale, essenza del c.d. “genitore sociale”.

Va rilevato però che sia la legge in materia di fecondazione eterologa sia la normativa che ha introdotto le unioni civili fra persone dello stesso sesso non hanno in alcun modo incrinato il necessario rapporto fra genitorialità e legame biologico. Invero la norma L. 176/2016 non ha operato alcuna modifica in ambito di filiazione e di responsabilità genitoriale, non potendosi legare tali istituti alla norma in esame, che volutamente ha escluso tutti i riferimenti ad essi, ampliando solo i rapporti e gli obblighi giuridici fra i due soggetti uniti civilmente. In Italia pertanto ad oggi la genitorialità intesa in senso giuridico, ampio ed efficace, si riconosce solo a coppie fra persone di sesso opposto.

Sotto il profilo di legittimità poi, nel caso di specie, vengono a toccarsi questioni attinenti alla carenza di legittimità processuale del sindaco della città, (anche per una possibile chiamata dello stesso al risarcimento del danno procurato al soggetto leso dalla mancata trascrizione nei registri di stato civile) del Ministro dell’Interno e del Procuratore generale.

Proprio per tali complesse situazioni vertenti su entrambi i piani di merito e legittimità, la Corte Suprema con la presente ordinanza interlocutoria rimette le questioni riunite al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite, ai sensi dell’art. 374 cpc, in ragione e per la risoluzione di questioni di particolare importanza.

Paolo M. Storani Newsletter Giuridica Cataldi 25 febbraio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/29348-alle-sezioni-unite-la-delibabilita-del-provvedimento-straniero-che-dichiara-due-minori-figli-di-persone-dello-stesso-sesso.asp

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NULLITÀ DEL MATRIMONIO

Matrimonio nullo per la chiesa: quali effetti sul mantenimento?

Che effetti ha sull’obbligo del versamento dell’assegno di mantenimento la sentenza del tribunale ecclesiastico che dichiara nullo il matrimonio? Hai intenzione di separarti da tua moglie o da tuo marito. Ti è stato detto che bisogna avviare un procedimento in tribunale e che, in assenza di un accordo (nel qual caso si dà vita a una separazione consensuale), sarà il giudice, nel corso di una vera e propria causa, a determinare le condizioni economiche e personali del distacco (cosiddetta separazione giudiziale). La questione però che vi vede divisi è quella sull’entità dell’assegno di mantenimento che uno dei due non vorrebbe proprio pagare e che, pur a fronte del consenso dell’altro, vorrebbe vedere immortalato in un documento definitivo, che possa valere sempre. Così vi è stato detto che c’è la possibilità di chiedere l’annullamento del matrimonio alla Sacra Rota. Di cosa si tratta e che effetti ha sull’eventuale procedimento civile di separazione e divorzio? In particolare, se il matrimonio è nullo per la chiesa, quali effetti sul mantenimento può determinare una tale situazione? È quello che cercheremo di capire in questo articolo.

Quando ottenere la nullità del matrimonio per la chiesa? Per prima cosa ti consiglio di leggere la nostra guida sull’annullamento del matrimonio dove troverai tutte le condizioni per rivolgerti al giudice ecclesiastico, la nuova procedura inaugurata da Papa Francesco e i casi in cui è possibile ottenere una sentenza di nullità del matrimonio. www.laleggepertutti.it/127981_annullamento-del-matrimonio

In particolare i presupposti per ottenerla sono:

  • La mancanza di consenso da parte di uno dei coniugi o di entrambi al matrimonio, compresa la riserva mentale e la simulazione;

  • Il fatto che uno dei coniugi escluda una delle finalità essenziali del matrimonio religioso, che sono la procreazione dei figli, la fedeltà, l’indissolubilità del vincolo matrimoniale;

  • L’errore sulla persona del coniuge (come nel matrimonio per procura: Tizia sposa Caio, pensando sia Sempronio) o sulla qualità;

  • La violenza fisica o il timore;

  • L’impotenza al rapporto sessuale dell’uomo o della donna. Da precisare che la semplice sterilità non è causa di nullità del matrimonio, a meno che la parte sterile abbia tenuto dolosamente nascosta la sua condizione all’altra parte al fine di ottenere il consenso alle nozze, che altrimenti non sarebbe stato prestato;

  • Il fatto che il matrimonio non sia stato consumato, cioè che i due coniugi non abbiano avuto un rapporto sessuale completo. In questo caso non si tratta di vera nullità matrimoniale, ma di una speciale «dispensa» del Pontefice.

Quali effetti ha una sentenza della chiesa di nullità del matrimonio? La sentenza che dichiara la nullità o l’annullamento del matrimonio determina i seguenti effetti:

  • Perdita della qualità di coniuge, con conseguente riacquisto della libertà di stato e, per la donna, dell’uso esclusivo del cognome di nascita. Tra i coniugi vengono meno tutti i diritti e gli obblighi di natura personale legati al matrimonio;

  • Nei rapporti patrimoniali: cessazione della comunione legale, scioglimento del fondo patrimoniale, perdita dei diritti ereditari (come ad esempio il diritto alla pensione di reversibilità) e nullità delle eventuali donazioni obnuziali;

  • Nei rapporti con i figli non cessa l’obbligo del mantenimento il quale sussiste infatti anche in caso di coppie non sposate (coppie di fatto);

  • Nei rapporti di parentela: perdita del vincolo di affinità tra l’ex coniuge e i parenti dell’altro. Il rapporto di affinità però sopravvive alla dichiarazione di invalidità come divieto a contrarre matrimonio.

Se ottengo l’annullamento del matrimonio devo pagare il mantenimento? La dichiarazione di nullità del matrimonio ha effetti retroattivi: è come se la coppia non fosse mai stata sposata. Questo significa che non può essere avanzata alcuna richiesta di mantenimento (la quale troverebbe giustificazione solo nel caso in cui, anche solo per poco tempo, la coppia fosse stata sposata). Quindi, se si ottiene la nullità del matrimonio dalla cosiddetta “Sacra Rota” non si è più tenuti a versare il mantenimento all’ex coniuge, anche se pende una causa di separazione o di divorzio in corso. Dopo la sentenza della Sacra Rota che dichiara nullo il matrimonio, il giudice civile non può quindi disporre a favore di uno dei coniugi alcun obbligo di mantenimento.

Inoltre, la dichiarazione di annullamento può essere pronunciata dalla Sacra Rota senza limiti di tempo (a differenza di quanto avviene nell’ordinamento civile italiano in cui l’azione di nullità è sottoposta ad un termine di prescrizione di un anno), quindi anche dopo diversi anni di pacifica convivenza matrimoniale.

A chi conviene chiedere la nullità del matrimonio? Di solito la nullità del matrimoni si ottiene più facilmente quando c’è il consenso di entrambi i coniugi perché le prove da fornire al giudice ecclesiastico non sono facili da raggiungere e solo un’intesa sulle dichiarazioni testimoniali può favorire una sentenza di accoglimento. Ma quali sono le ragioni per cui una coppia dovrebbe far annullare il matrimonio? Di solito il coniuge più forte economicamente lo fa per non vedersi attribuire il pagamento di un assegno di mantenimento o per rendere definitivo il consenso dell’ex alla rinuncia al mantenimento medesimo. C’è chi lo fa per una questione sociale o religiosa e per potersi risposare nuovamente in chiesa.

Posso chiedere la nullità del matrimonio alla Sacra Rota se è in corso la causa di separazione? Ben possono convivere nello stesso tempo la causa civile di separazione e quella presso il giudice ecclesiastico per l’annullamento del matrimonio. Difatti, tra il giudizio di nullità ecclesiastica e il procedimento di separazione legale davanti al tribunale civile non esiste un rapporto di «pregiudizialità» (ossia non è necessario intraprendere prima l’uno e dopo l’altro). Si tratta infatti di due cause radicalmente diverse per oggetto e titolo su cui si fonda l’azione.

Tuttavia la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio in pendenza di un giudizio di separazione tra i coniugi ha le seguenti conseguenze:

  • La sentenza di separazione si chiude perché «cessa la materia del contendere»; con la conseguenza che si estingue il giudizio, venendo meno il presupposto fondamentale di tale giudizio (l’esistenza di un valido matrimonio);

  • È revocata ogni decisione di ordine economico relativamente all’assegno di mantenimento;

  • È revocata ogni decisione in merito all’addebito della separazione a carico di uno dei due coniugi o di entrambi;

  • Il giudice conserva il potere di adottare provvedimenti che riguardano il mantenimento e l’affidamento dei figli.

Redazione La Legge per tutti 28 febbraio 2018

www.laleggepertutti.it/196810_matrimonio-nullo-per-la-chiesa-quali-effetti-sul-mantenimento

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ORFANI

Orfani per crimini domestici

Legge 11 gennaio 2018 n. 4. Modifiche al codice civile, al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici.

In GU n. 26 del 1 febbraio 2018.Entrata in vigore: 16 febbraio 2018

  1. Patrocinio a spese dello Stato

  2. Errore di coordinamento legislativo

  3. Codice penale: art. 577 c.p.

  4. Codice procedura penale: sequestro conservativo

  5. Codice procedura penale: provvisionale

  6. Codice procedura penale: indegnità a succedere

  7. Codice civile: indegnità a succedere

  8. Pensione di reversibilità

  9. Quota di riserva in favore di figli orfani per crimini domestici

  10. Affidamento dei minori orfani per crimi ni domestici

  11. Cambio del cognome per gli orfani delle vittime di crimini domestici

  12. Edilizia residenziale pubblica

  13. Altre novità

  14. Testo della legge

A cura di Giuseppe Buffone

http://news.ilcaso.it/libreriaFile/8fcf5-2018-n.-4-orfani-per-crimini-domestici.pdf

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PATROCINIO GRATUITO

Gratuito patrocinio

Come ottenere la difesa di un avvocato pagato a spese dello Stato quando il cittadino versi in gravi difficoltà economiche. Ogni cittadino che versi in gravi difficoltà economiche e deve affrontare un processo civile (sia come attore/ricorrente che come convenuto) può richiedere il patrocinio a spese dello Stato, detto anche gratuito patrocinio. In tal modo egli ha la possibilità di agire o difendersi davanti al giudice (qualunque esso sia) senza pagare le relative spese dovute a tasse, bolli e diritti di cancelleria, né la parcella dell’avvocato stesso.

Per quali cause opera il gratuito patrocinio? Il patrocinio a spese dello Stato si può ottenere per qualsiasi controversia civile e per gli affari di volontaria giurisdizione (ad esempio: separazione personale, affidamento della prole, provvedimenti in materia di potestà genitoriale). In particolare, si può presentare l’istanza di gratuito patrocinio sia per il primo grado che per l’appello o il ricorso per Cassazione. È ammesso anche le procedure esecutive.

La parte ammessa al gratuito patrocinio in primo grado che però abbia perso la causa, non può chiedere nuovamente l’ammissione per proporre appello, salvo che per l’azione di risarcimento del danno nel processo penale.

Non si può ottenere, invece, il gratuito patrocinio nelle seguenti ipotesi:

  • Cause per cessioni di crediti e ragioni altrui (salvo che la cessione sia stata effettuata in pagamento di crediti o ragioni preesistenti);

  • Le spese per le consulenze stragiudiziali, salvo che sia seguita dalla successiva azione giudiziaria.

Qual è la soglia di reddito per ottenere il gratuito patrocinio? Può beneficiare del gratuito patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta generale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a 11.493,82 euro è adeguato ogni 2 anni, con decreto del Ministero della giustizia, in relazione alla variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo. A prevederlo è il decreto del ministero della giustizia datato 16 gennaio 2018, recante «Adeguamento dei limiti di reddito per l’ammissione al patrocinio a spese dello stato», che è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale numero 49 del 28 febbraio 2018.

Come si calcola il reddito per ottenere il gratuito patrocinio? Si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall’Irpef o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva. Se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari si sommano ai redditi del richiedente i redditi di ogni componente della famiglia. In tale calcolo vanno ricompresi anche i redditi di chi, pur non essendo legato da vincoli di parentela o affinità, convive con il richiedente e contribuisce dal punto di vista economico e collaborativo alla vita in comune. Non si sommano invece i redditi del familiare che, pur risultando fiscalmente a carico del richiedente, non convive con lui.

Quando però sono in contestazione i diritti della personalità o quando gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri membri del nucleo familiare con lui conviventi, si tiene conto del solo reddito personale. Si pensi al caso della separazione dei coniugi: in tal caso, per esempio, la moglie che non possegga reddito può ottenere il gratuito patrocinio nonostante il marito sia benestante.

Lo stesso dicasi, per esempio, nel caso del figlio, convivente con i genitori, nel caso debba intraprendere una causa di eredità nei confronti di uno dei due.

I limiti di reddito appena indicati possono essere derogati nel caso di persona offesa dai reati di violenza sessuale, atti persecutori (o stalking), maltrattamenti contro familiari e conviventi, pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, nonché per i reati commessi in danno di minori.

Nel concetto di reddito imponibile rientrano anche fonti di reddito non assoggettabili di per sé ad imposta, ma indicativi delle condizioni personali, familiari e del tenore di vita dell’istante. Pertanto ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio non si può tenere conto di detrazioni di imposta o deduzioni dal reddito stabilite dal TUIR che servono solo per determinare in concreto l’imposta da pagare. Tali condizioni di reddito devono permanere per tutto l’iter della causa. Pertanto, se mutano, la parte è obbligata a comunicarlo.

Il gratuito patrocinio è assicurato anche:

  • Allo straniero e all’apolide regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del processo da instaurare;

  • Ad enti o associazioni che non perseguono scopi di lucro e non esercitano attività economica. [ETS]

  • Secondo la Corte di giustizia UE il gratuito patrocinio va concesso anche alle società e alle persone giuridiche se serve a garantire il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva e l’accesso alla giustizia.

Chi non può ottenere il gratuito patrocinio? Sono esclusi dal gratuito patrocinio i soggetti già condannati con sentenza definitiva per i seguenti reati:

  • Associazione di tipo mafioso o per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste per tali reati o ancora per quelli commessi al fine di agevolare l’attività di tali associazioni;

  • Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando;

  • Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope o per associazione finalizzata al traffico illecito di tali sostanze.

Come si fa la richiesta di gratuito patrocinio?Chi vuol ottenere il gratuito patrocinio deve presentare un’istanza in carta semplice, in duplice copia, al Consiglio dell’Ordine degli avvocati del tribunale competente a decidere la causa. I moduli sono, normalmente, scaricabili dal sito internet del Consiglio stesso.

L’istanza deve contenere:

  • Le generalità dell’interessato e dei componenti la famiglia anagrafica, con i rispettivi codici fiscali;

  • Una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’interessato, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione;

  • Gli estremi della pretesa che si intende far valere in causa per dimostrare che la domanda non è infondata; a tal fine bisogna anche specificare le prove di cui si intende chiedere l’ammissione;

  • La firma autenticata dall’avvocato.

Una delle due copie resta al Consiglio dell’Ordine, mentre l’altra finisce all’Agenzia delle Entrate che verifica l’esattezza dell’ammontare del reddito autodichiarato dall’interessato ai fini dell’ammissione e godimento del gratuito patrocinio. Se si procede avanti la corte di cassazione, la domanda va presentata al consiglio dell’ordine in cui ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.

Procedimento per l’ammissione al gratuito patrocinio. Presentata la domanda, il Consiglio ha 10 giorni di tempo (non perentori) per valutare la fondatezza delle pretese e la sussistenza dei presupposti per l’ammissibilità dell’istanza. Di norma l’autorizzazione può avvenire anche dopo diverse settimane o mesi.

(…)

Quali effetti comporta il gratuito patrocinio? L’ammissione al patrocinio a spese dello Stato comporta:

  • La parte può nominare un avvocato a propria difesa, da essa stessa scelto tra gli iscritti nell’apposito elenco tenuto dal consiglio dell’ordine;

  • L’esenzione dal pagamento di alcune spese e l’anticipazione di altre spese da parte dello Stato e modalità differenti di determinazione dell’onorario del difensore.

L’avvocato non può chiedere somme, anticipi, integrazioni in denaro al cliente ammesso al gratuito patrocinio, pena un illecito deontologico che può essere sanzionato al consiglio dell’ordine. Nell’esercizio del suo incarico, l’avvocato deve rispettare i doveri deontologici di diligenza, informazione e competenza. (…)

Nel caso di mediazione chi paga l’avvocato? Nei casi di mediazione obbligatoria o di delegata, la parte che può chiedere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato non deve pagare alcuna indennità. (…)

Chi paga il compenso all’avvocato in caso di gratuito patrocinio? Al termine del giudizio l’avvocato deve depositare la nota spese, con in allegato copia della delibera di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Gli importi spettanti all’avvocato per l’attività prestata, liquidati a partire dal 1° gennaio 2014, sono ridotti di un terzo. L’avvocato non può chiedere e percepire compensi o rimborsi diversi da quelli che la legge pone espressamente a carico del patrocinato ed è nullo ogni patto contrario. La violazione del divieto costituisce grave illecito disciplinare professionale.

Chi paga il contributo unificato, il CTU e la registrazione della sentenza? Nel caso di gratuito patrocinio, la parte ammessa al beneficio non paga neanche il contributo unificato, le spese di notifica, la perizia del consulente tecnico d’ufficio, i diritti di copia e l’imposta di registro della sentenza.

Revoca del decreto di ammissione. (…)

FAQ (…)

Redazione La Legge per tutti 1 marzo 2018

www.laleggepertutti.it/111222_gratuito-patrocinio

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PENSIONE DI RIVERSIBILITÀ

Reversibilità e nuova convivenza

Chi va a convivere perde il diritto alla pensione di reversibilità?

I vedovi e le vedove che percepiscono una pensione di reversibilità decidono raramente di risposarsi, nonostante un nuovo rapporto di coppia stabile: risposandosi, infatti, perderebbero il diritto alla pensione ai superstiti.

Ci si chiede, però, se con la legge sulle unioni civili [L. 76/2016] e l’istituzione dei nuovi contratti di convivenza, sia cambiato qualcosa in merito: vediamo subito, allora, la compatibilità della reversibilità con la nuova convivenza secondo le regole attuali.

Reversibilità e nuova convivenza di fatto. Se chi percepisce la pensione di reversibilità inizia una nuova convivenza di fatto, nulla cambia riguardo al diritto alla pensione ai superstiti: la legge sulle unioni civili, difatti, non ha modificato la normativa sulla reversibilità in merito ai conviventi di fatto, non includendo anche questi soggetti tra gli aventi diritto alla pensione ai superstiti. Di conseguenza, il vedovo avente diritto alla reversibilità che va a convivere non perde la pensione, ma nemmeno ha diritto alla pensione ai superstiti in caso di decesso del convivente di fatto.

La giurisprudenza, negli anni, ha confermato la disparità di trattamento tra matrimonio e convivenza [Corte Costituzionale, sentenza n. 461, 3 novembre 2000], anche quando il rapporto presenta i caratteri della stabilità e della certezza tipici del rapporto matrimoniale.

Reversibilità e contratto di convivenza. Nulla cambia nel caso in cui si stipuli un apposito contratto di convivenza: non è possibile, difatti, nemmeno dietro pattuizione, che un partner attribuisca il diritto alla reversibilità al compagno, in quanto è la legge a stabilire a chi spetta il trattamento, a prescindere dalla devoluzione dell’eredità. Pertanto, in parallelo a quanto osservato per i conviventi di fatto, il vedovo avente diritto alla reversibilità che stipula un patto di convivenza non perde la pensione, ma nemmeno ha diritto alla pensione in caso di decesso del convivente.

Reversibilità e unione civile. Al contrario, la reversibilità si perde in caso di nuova unione civile, in quanto si applicano a questo tipo di legame, in materia di pensione ai superstiti, le stesse condizioni e la stessa disciplina prevista per il coniuge superstite, come previsto dalla legge sulle unioni civili.

Matrimonio e unione civile sono dunque parificati dal punto di vista successorio e del diritto alla reversibilità, attribuendo, da una parte, la spettanza del trattamento, in caso di decesso di un componente della coppia, ma, dall’altra parte, determinando la cessazione del diritto all’eventuale precedente pensione ai superstiti.

Una situazione diametralmente opposta a quella della reversibilità e convivenza: un eventuale contratto di convivenza, infatti, non comporta il diritto alla reversibilità per il superstite della coppia, come non lo comporta una convivenza di fatto, per quanto duratura; la convivenza, di fatto o regolamentata, non comporta però la perdita della precedente eventuale pensione ai superstiti.

Noemi Secci Newsletter La legge per tutti 26 febbraio 2018

www.laleggepertutti.it/192820_reversibilita-e-nuova-convivenza

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POLITICHE PER LA FAMIGLIA

INPS: durata congedo obbligatorio per i padri lavoratori dipendenti – anno 2018

L’INPS ha emanato il messaggio n. 894 del 27 febbraio 2018, con il quale fornisce ulteriori precisazioni in merito alla proroga ed ampliamento del congedo obbligatorio per i padri lavoratori dipendenti e ripristino per i medesimi del congedo facoltativo – di cui all’articolo 4, comma 24, lettera a) della legge 92/2012 – per le nascite e le adozioni/affidamenti avvenuti nell’anno solare 2018.

www.inps.it/MessaggiZIP/Messaggio%20numero%20894%20del%2027-02-2018.pdf

Per quanto riguarda le modalità di presentazione della domanda si deve fare riferimento alla circolare n. 40 del 14 marzo 2013.

Sono, pertanto, tenuti a presentare domanda all’Istituto soltanto i lavoratori per i quali il pagamento delle indennità è erogato direttamente dall’INPS, mentre, nel caso in cui le indennità siano anticipate dal datore di lavoro, i lavoratori devono comunicare in forma scritta al proprio datore di lavoro la fruizione del congedo di cui trattasi, senza necessità di presentare domanda all’Istituto.

In tale ultimo caso, infatti, il datore di lavoro comunica all’INPS le giornate di congedo fruite, attraverso il flusso Uniemens.

Per quanto riguarda l’ulteriore giorno di congedo facoltativo, il padre lavoratore dipendente può fruirne previo accordo con la madre e in sua sostituzione, in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest’ultima.

Redazione dottrina per il lavoro 27 febbraio 2018

www.dottrinalavoro.it/notizie-c/inps-durata-congedo-obbligatorio-per-i-padri-lavoratori-dipendenti-anno-2018

 

Cassazione: confermati i 3 giorni di permesso Legge 104 anche ai lavoratori in part-time

Corte di Cassazione, Sezione lavoro, Sentenza n.4069, 20 febbraio 2018

www.studiocerbone.com/corte-cassazione-sentenza-20-febbraio-2018-n-4069-permessi-giornalieri-ex-art-33-co-3-l-n-104-1992-anche-ai-lavoratori-part-time-misura-riproporzionata

Con sentenza n. 4069 del 20 febbraio 2018, la Corte di Cassazione ha affermato la non riproporzione dei 3 giorni di permesso mensile, per l’assistenza di un familiare con handicap grave (articolo 33 della Legge n. 104/5 febbraio 1992), qualora il dipendente sia in part-time.

www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:1992;104

I giudici della Suprema Corte, bocciando il ricorso dell’INPS, hanno confermato i 3 giorni di permesso mensile retribuito e coperto da contribuzione figurativa, anche al lavoratore con un contratto a tempo parziale in quanto il diritto rientra tra quelli non riproporzionabili.

Redazione dottrina per il lavoro 27 febbraio 2018

www.dottrinalavoro.it/notizie-c/cassazione-confermati-i-3-giorni-di-permesso-legge-104-anche-ai-lavoratori-in-part-time

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RICONOSCIMENTO DEL FIGLIO

Responsabilità aquiliana per l’omissione del riconoscimento di un figlio

La Sentenza n. 3039/22 dicembre 2017 del Tribunale di Verona che, in materia di responsabilità aquiliana per l’omissione del riconoscimento di un figlio (accertata dopo 20 anni) ha precisato che: “Al convenuto anche se possa aver nutrito dei dubbi sulla propria paternità, appare comunque ascrivibile un profilo di colpa nella condotta omissiva dello stesso, astenutosi dal richiedere ogni approfondimento dal momento che “l’obbligo dei genitori di educare e mantenere i figli è eziologicamente connesso esclusivamente alla procreazione, prescindendo dalla dichiarazione giudiziale di paternità, così determinandosi un automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell’ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore.

Il presupposto di tale responsabilità e del conseguente diritto del figlio al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali è costituito dalla consapevolezza del concepimento, che non si identifica con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, ma si compone di una serie di indizi univoci [Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 26205 22 novembre 2013] quale, nella specie, l’incontestabile consumazione di rapporti sessuali con la madre all’epoca del concepimento.”

www.studiolegalemartignetti.it/wp-content/uploads/2016/11/Cass-22-novembre-2013-n-26205.pdf

Nella quantificazione del danno il Tribunale ha poi affermato che “va determinato in via equitativa, utilizzando quale parametro di riferimento i valori recepiti nelle tabelle del Tribunale di Milano per la perdita di un genitore” provvedendo, poi, a liquidare, “all’attualità” Euro 164.000,00 oltre agli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza.

AIAF Newsletter 1 marzo 2018 https://aiaf-avvocati.it

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SEPARAZIONE

Alla moglie separata spetta il Tfr del marito?

Che succede se il marito percepisce la liquidazione dopo la separazione ma prima del divorzio? Ti sei appena separata da tuo marito e ora questo si è fatto licenziare dall’azienda. Il tuo sospetto è che si tratti di una manovra studiata appositamente per non pagarti l’assegno di mantenimento. Di fatto, però, con il licenziamento, l’uomo ha preso anche la liquidazione: l’azienda gli ha versato una somma cospicua a titolo di Tfr (trattamento di fine rapporto) che gli consentirà di vivere serenamente per qualche anno, magari lavorando anche in nero. Il tutto a tuo danno. Così ti chiedi se alla moglie separata spetta il Tfr del marito. Se così fosse potresti avvantaggiarti anche tu delle somme che l’ex ha accumulato durante gli anni in cui eravate sposati e che solo ora riceverà.

Il TFR: cos’è e quando spetta? La parola TFR è l’acronimo (ossia la sigla) delle parole Trattamento di Fine Rapporto. In molti lo chiamano ancora liquidazione. La funzione del Tfr è quella di assicurare una piccola rendita al dipendente una volta cessato il rapporto di lavoro. Pertanto esso spetta sia in caso di dimissioni volontarie, sia nel caso di licenziamento anche se determinato per una giusta causa, ossia per una condotta colpevole del dipendente. Viene fatto salvo il caso di integrale destinazione alla previdenza complementare o di cessione del credito a terzi, oppure di richiesta da parte del lavoratore di liquidazione diretta in busta paga.

In termini più tecnici, il Tfr è un elemento della retribuzione il cui pagamento viene differito ad un momento successivo rispetto a quello di prestazione dell’attività lavorativa, ossia come detto alla cessazione del rapporto di lavoro. In buona sostanza, il datore di lavoro effettua annualmente degli accantonamenti di una quota della retribuzione che vengono rivalutati periodicamente. Il TFR non è assoggettato a contributi previdenziali.

A quanto ammonta il Tfr? Il Tfr è tanto maggiore quanto più si è lavorato presso lo stesso datore di lavoro. È infatti proporzionato alla durata del contratto. In soldoni, esso ammonta a una mensilità per ogni anno di servizio. Più nel tecnico, l’ammontare del Tfr spettante al lavoratore è uguale alla somma, per ciascun anno di servizio, della retribuzione utile divisa per 13,5. Si tratta di una disposizione inderogabile da parte di qualsiasi fonte, sia in senso migliorativo che peggiorativo per il lavoratore. La quota di retribuzione annuale così determinata deve essere accantonata e rivalutata al 31 dicembre di ciascun anno.

Alla ex moglie spetta il Tfr dell’ex marito? La legge stabilisce che, in caso di divorzio, all’ex moglie spetta una quota del Tfr percepito dal marito. [Legge sul divorzio L. n. 898/1970, art. 12 bis: «Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento e di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze, e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge, all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza. Tale percentuale è pari al 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio».] Si tratta di una sorta di ricompensa per aver consentito al marito di dedicarsi alla carriera. In realtà la disposizione è frutto di una impostazione tradizionale della famiglia, dove la moglie non lavorava e badava alla casa; grazie a questa sua dedizione al ménage domestico l’uomo poteva concentrarsi sul lavoro. Per cui, essendo il Tfr il risultato di tale lavoro, alla moglie che vi aveva contribuito indirettamente le era dovuta una quota. Nonostante il mutamento della famiglia e la partecipazione diretta della moglie alla vita lavorativa, questa legge non è mutata e tutt’oggi l’ex moglie ha diritto a una quota del Tfr dell’ex marito. Ma solo a determinate condizioni. In particolare:

  • La coppia deve aver divorziato;

  • Alla moglie deve essere stato riconosciuto l’assegno divorzile dal giudice

  • La moglie non deve aver accettato un assegno divorzile in un’unica soluzione (cosiddetto una tantum) ma deve percepire l’assegno mensile;

  • La moglie non deve essersi risposata;

  • Il rapporto di lavoro deve essersi svolto prima del divorzio e non dopo.

A quanto ammonta il Tfr all’ex moglie? Alla ex moglie viene riconosciuto solo una parte del Tfr dell’ex marito e non tutto. Tale percentuale è pari al 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. Nella determinazione della durata del matrimonio, si tiene conto anche dell’eventuale periodo di separazione legale, mentre nessuna rilevanza è riconosciuta alla cessazione della convivenza tra i coniugi [Cassazione. Sentenza n. 1348, 31 gennaio 2012].

Se il marito percepisce il Tfr dopo la separazione che diritti ha la moglie? Potrà sembrare paradossale, ma la legge consente all’ex moglie di ottenere una quota del Tfr dell’ex marito solo a condizione che tra i due sia intervenuto il divorzio. Invece, nel caso di separazione l’ex moglie non potrà rivendicare il 40% del trattamento di fine rapporto percepito dal marito. Tale circostanza si desume dal fatto che la previsione del Tfr all’ex coniuge che percepisce il mantenimento si riferisce testualmente alle coppie divorziate e non può essere estesa anche a quelle separate. La Cassazione ha più volte precisato che il diritto alla quota del Tfr dell’atro coniuge sorge solo quando l’indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda di divorzio, ma non anche quando sia maturata precedentemente ad essa [Cassazione. Sentenza n. 25520, 16 dicembre 2010].

Conseguenza di quanto detto è che il coniuge separato potrà pretendere una quota del TFR dell’altro coniuge soltanto se, al momento della maturazione dell’indennità di fine rapporto, egli abbia già depositato ricorso per divorzio dinanzi la cancelleria del tribunale competente. Quindi, per tornare all’esempio da cui siamo partiti, nel momento in cui l’uomo viene licenziato o si dimette dal lavoro e tuttavia ancora la coppia non abbia ancora avviato il procedimento di divorzio, l’ex moglie non potrà chiedere al giudice di ottenere una percentuale di tale Tfr.

Questa rigorosa regola subisce però delle attenuazioni. Poiché il Tfr finisce per “arricchire” l’ex marito, la donna potrà chiedere al giudice di tenere in considerazione tale maggiore disponibilità economica ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento. A detta della giurisprudenza, se l’ex marito ottiene il pagamento del Tfr durante il periodo di separazione e prima del divorzio, l’ex coniuge, pur non potendo richiedere un quota percentuale su tale liquidazione (visto che la legge considera il periodo di separazione compreso nel matrimonio), questi potrà, tuttavia, chiedere che il giudice tenga conto dell’importo percepito:

  • Nella quantificazione dell’eventuale assegno di mantenimento (se la causa di separazione è ancora in corso);

  • O, in un successiva richiesta di aumento dell’assegno di mantenimento (presentando una domanda di modifica delle condizioni della separazione successivamente alla sentenza di separazione stessa).

Cosa cambia dopo la sentenza Grilli che ha modificato le regole sul divorzio? Come noto, la Cassazione [Sentenza n. 11504/10 maggio 2017] ha riscritto le regole sull’assegno di divorzio, stabilendo che tale contributi spetta solo se l’ex moglie non è in grado di mantenersi da sola, ossia non è dotata di autosufficienza economica. La sentenza (denominata “sentenza Grilli”) ha di fatto tagliato le gambe a numerose richieste di mantenimento accampate da donne che possedevano già un lavoro o che, pur potendo lavorare (per età, condizioni di salute e formazione) preferivano non farlo per farsi invece mantenere. Difatti, secondo i giudici, l’assegno di divorzio non ha – come invece quello di mantenimento – la funzione di garantire il “medesimo tenore di vita” goduto durante il matrimonio rasolo l’indipendenza economica. Ebbene, venendo meno, in tutte tali situazioni, il diritto agli alimenti, verrà meno anche la possibilità di rivendicare una quota del Tfr dell’ex marito all’esito del divorzio. Abbiamo infatti detto che, condizione per ottenere il 40% della liquidazione dell’ex coniuge, è aver ottenuto dal giudice la liquidazione all’assegno divorzile da pagare mensilmente.

Redazione La legge per tutti 11 febbraio 2018

www.laleggepertutti.it/194956_alla-moglie-separata-spetta-il-tfr-del-marito

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI

25° Congresso a Bologna

Nel 50° della sua fondazione, è programmato il 25° Congresso Nazionale dell’Ucipem, che si svolgerà a Castel San Pietro (Bologna) presso il Centro Congressi Artemide dell’Hotel Castello, da venerdì 4 a domenica 6 maggio 2018. info@hotelcastello.com

Il Congresso che ha come tema: Una storia proiettata nel futuro: il buon seminatore.

Il Consultorio familiare Ucipem dai bisogni attuali della famiglia agli scenari futuri.

Era il settembre 1943 quando Don Paolo Liggeri, un siciliano “trapiantato” a Milano e lì ordinato sacerdote, organizzò un luogo di accoglienza e di rifugio per chi, durante la II guerra mondiale, aveva perso casa e lavoro. Alle prime attività di tipo assistenziale egli aggiunse l’ospitalità per i perseguitati razziali e politici. Per tali motivi. Il 24 marzo del 1944 Don Paolo venne arrestato e per lui cominciò il calvario dei campi di concentramento, ultimo dei quali Dachau. Liberato dalle truppe americane il 29 aprile 1945, Don Paolo tornò in Italia e riprese la sua opera all’Istituto “La Casa”. Era il tempo della ricostruzione. Le devastazioni avevano colpito non solo i luoghi ma anche e soprattutto gli affetti e le relazioni familiari e Don Paolo sentì subito l’esigenza di impegnarsi proprio per le famiglie in difficoltà.

Così il 15 febbraio 1948 nacque il primo consultorio familiare in Italia. Su questo esempio nacquero altri Consultori e venti anni dopo, precisamente il 24 marzo 1968, questi Consultori si unirono per dar vita all’UCIPEM: Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali. Il loro scopo, chiaramente espresso nella Carta era allora come ora quello di offrire un servizio alle persone in difficoltà sia sul piano personale che delle relazioni di coppia, familiari e sociali; un servizio di promozione, di consulenza, di aiuto, sotto l’aspetto dell’informazione, della prevenzione e del sostegno qualificato, nel pieno rispetto della persona e senza preclusioni o distinzioni di sorta.

Dagli anni ’70 in poi la famiglia è sottoposta ad attacchi di natura diversi di quelli bellici ma non meno pericolosi; essi sembrano avere un andamento esponenziale. Sono nati nuovi modelli di famiglia per cui al modello nucleare tradizionale si sono aggiunte le famiglie monogenitoriali, ricostituite, immigrate, di fatto, omosessuali, arcobaleno e altre ancora. La famiglia viene vista spesso come il luogo dove i vincoli di amore, anziché premessa per la piena realizzazione personale nel rispetto e responsabilità reciproci, vengono vissuti come costrittivi e limitanti della libertà personale. La famiglia è oggetto di attacchi svalorizzanti quando non denigratori. Viviamo in un clima di malessere, precarietà e anche violenza nelle relazioni: un clima di “scontento relazionale”. Si cerca di colmare il senso di solitudine con relazioni virtuali come quelle offerte dai social network.

Quali possono essere gli scenari futuri della famiglia e delle relazioni umane? Quali risposte i nostri consultori potranno e dovranno dare alle persone e alla società e quali cambiamenti dovranno affrontare per poter dare queste risposte? Saranno questi i temi del XXV Congresso Nazionale dell’UCIPEM. Le risposte verranno da studiosi e soprattutto dagli operatori dei nostri consultori, che vivendo quotidianamente in prima linee le sofferenze e i disagi delle famiglie sono in grado di coglierne le possibili evoluzioni future.

venerdì 4 maggio ore 14,00

  • Accoglienza e Registrazione

  • Presentazione del congresso Francesco Lanatà, presidente UCIPEM

  • Le nostre origini: “Il buon seme”. Introduce e coordina Chiara Camber

  • Alice Calori ricorda Don Paolo Liggeri e Sergio Cammelli.

  • Intervista a Don Paolo Liggeri.

  • Paolo Benciolini: La nascita dell’UCIPEM e il contesto sociale.

  • Luisa Solero: la legge 405/1975.

  • Rosalba Fanelli ricorda p. Luciano Cupia.

  • Con gli occhi dei presidenti: Beppe Sivelli e Gabriela Moschioni.

  • Interviste registrate a p. Domenico Correra SJ, Giancarlo Marcone, p. Michelangelo Maglie SJ, Duccia Rossi, Anita De Meo, don Charles Vella.

  • Interventi dall’aula

  • UCIPEM e società oggi: Introduce Luca Proli

  • Edoardo Polidori: Genitori e figli di fronte alle droghe.

 

  • ore 21,00 Cineforum: con la proiezione del film La felicità umana di Maurizio Zaccaro

 

sabato 5 maggio ore 9,00

  • Tavola Rotonda: Professionalità in rete al servizio del territorio. Introduce Gabriela Moschioni.

  • Elisabetta Gualmini, vicepresidente Regione Emilia Romagna Il principio di sussidiarietà nel rapporto pubblico – privato.

  • Emanuela Elmo (UCIPEM Bologna): La riforma del terzo settore.

  • Gigi De Palo (Presidente Forum delle Associazioni Familiari): Il Forum e la sua rete.

  • don Edoardo Algeri (Presidente C.F.C.): UCIPEM e CFC – Un cammino insieme.

  • Rita Roberto (Presidente AICCeF): La legge 4/2013 oggi.

  • don Ermanno D’Onofrio (CISPEeF): Le scuole per consulenti familiari.

  • p. Tommaso Guadagno SJ (UCIPEM Napoli) Professionalità e amore nella consulenza.

  • Letture Magistrali su: “La famiglia tra bisogni attuali e scenari futuri” Introduce Giancarlo Odini

  • Matteo Lancini: Abbiamo bisogno di adulti autorevoli: Aiutare gli adolescenti a diventare adulti.

  • 15,00 World Cafè: Il Consultorio dai bisogni attuali agli scenari futuri della famiglia.

  • Introduce don Cristiano Marcucci Coordina Raffaella Moioli

www.dors.it/page.php?idarticolo=1161

  • 21,30 Serata conviviale con il coro gospel VOCAL LIVE

 

domenica 6 maggio ore 9,00

  • Consultorio e Famiglia: possibili scenari futuri (riflessioni sui risultati del World Cafè)

Chiara Camber e Luca Proli

  • Interventi dalla platea

  • Conclusioni. Francesco Lanatà

  • Questionario di apprendimento

Sono stati richiesti i crediti formativi per le seguenti professioni: Assistenti sociali, Avvocati, Consulenti familiari, Infermieri professionali, Insegnanti, Medici, Ostetriche, Psicologi.

  • Quota di iscrizione: Euro 50 per le iscrizioni effettuate entro il10 aprile 2018. Euro 60 dal giorno 11 aprile in poi.

  • Prenotazione camere in hotel Castello: Diretta collegandosi al sito info@hotelcastello.com

  • Costi del soggiorno: camera singola € 51,00 – camera doppia € 56,00iva inclusa. Le tariffe sono da considerarsi a camera, a notte, con prima colazione a buffet.

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Le comunichiamo che i suoi dati personali sono trattati per le finalità connesse alle attività di comunicazione di newsUCIPEM. I trattamenti sono effettuati manualmente e/o attraverso strumenti automatizzati.

Il titolare dei trattamenti è Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali Onlus – 20135 Milano-via S. Lattuada, 14. Il responsabile è il dr Giancarlo Marcone, via Favero 3-10015-Ivrea

.newsucipem@gmail.com

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