NewsUCIPEM n. 690 – 25 febbraio 2018

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02 ADDEBITO Le violenze del marito giustificano il tradimento della moglie?

03 ADOZIONE E AFFIDO Ecco perché la legge sulla continuità degli affetti non funziona.

03 AFFIDO Garante: interesse dei minori garantire la continuità degli affetti.

05 AMORIS LÆTITIA Lo choc del nuovo.

07 Kasper. I tre criteri per leggere Amoris lætitia.

08 “Matrimonio non è infrangibile”.

09 Amoris lætitia. L’indice dei 221 documenti pubblicati dal blog.

10 La comunione ai divorziati: cosa dice «Amoris lætitia»

11 ASSEGNO DI MANTENIMENTO Assegno più alto alla ex se il marito non dichiara i redditi

12 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Divorzio: per i figli vale sempre il tenore di vita

13 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 6, 21 febbraio 2018.

15 CONSULENTI COPPIA E FAMIGLIA Il Consulente Familiare anno XXIX, n. 1 marzo 2018.

15 CONSULTORI FAMILIARI Roma. Educazione dei figli adolescenti, a rischio la tenuta di coppia.

15 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Trento. Progetto Pinocchio.

16 DALLA NAVATA II Domenica di Quaresima – Anno B –25 febbraio 2018.

16 Commento di E. Bianchi.

17 DIRITTO DI FAMIGLIA Separazione e divorzio: ultime novità.

20 DIVORZIO Dopo quanto tempo si può chiedere?

21 EUROPA Il Parlamento Ue per le modifiche al regolamento su matrimonio.

21 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA«I blog che mi chiamano eretico? Conosco chi li scrive, non li leggo».

23 LAVORATRICE MADRE Quando è possibile il licenziamento.

23Donna e lavoro: senza figli ti promuovo.

24 MATRIMONIO Boom di matrimoni tra over 70 e badanti.

25 NOTE PASTORALI Germania: dai vescovi un aiuto orientativo ai coniugi non cattolici.

25 Diocesi di Como. Accompagnare, discernere e integrare le fragilità.

27 OMOFILIANozione di ordine pubblico: decidono le Sezioni Unite.

27 POLITICHE PER LA FAMIGLIA Congedo parentale premio di 400€ alla mamma, se lo prende il papà

28 UCIPEM 25° Congresso a Bologna (4-6 maggio 2018).

28 VIOLENZA Il nostro complesso? Oreste batte Edipo.

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ADDEBITO

Le violenze del marito giustificano il tradimento della moglie?

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza n. 3923, 19 febbraio 2018

Ai fini dell’addebito, la violenza del coniuge non autorizza la violazione dei doveri coniugali e, in particolare, l’obbligo di fedeltà. Marito violento, moglie infedele: a chi dei due va addebitata la separazione? In altri termini, di chi è la colpa per la fine del matrimonio e che, pertanto, ne paga le conseguenze? La regola dice questo: il cosiddetto «addebito» scatta a carico di chi ha, con la propria condotta colpevole, reso intollerabile la convivenza. Un tradimento, l’abbandono della casa, le vessazioni e le privazioni economiche, la violenza fisica e quella psicologica sono tutte condotte contrarie ai doveri del matrimonio, che comportano quindi l’addebito. Chi subisce l’addebito non può chiedere l’assegno di mantenimento, né può rivendicare quote di eredità se l’ex muore prima del divorzio. Ma è anche vero che, prima di stabilire l’addebito, bisogna vedere se la condotta è stata la vera causa dell’intollerabilità della convivenza o se piuttosto le ragioni sono anteriori. Ad esempio, una persona che tradisce il coniuge con cui non va più d’accordo da mesi e con cui non ha più neanche rapporti non può essere considerata colpevole. Tornando quindi alla domanda di partenza, le violenze del marito giustificano il tradimento della moglie? Ecco cosa ha detto la Cassazione in una recente sentenza in epigrafe.

C’è da fare innanzitutto una premessa. La questione relativa all’addebito non può essere decisa in astratto, ma vanno valutati i fatti concreti secondo la singola vicenda. Infatti, come abbiamo appena spiegato, in presenza di due condotte ugualmente colpevoli bisogna verificare – soprattutto sulla base delle prove portate in tribunale – quale delle due abbia determinato la crisi di coppia (cioè quale sia stata causa dell’altra) o se, invece, tutte e due abbiano avuto la propria parte di responsabilità. In un’ipotesi di quest’ultimo tipo ben potrebbe il giudice addebitare la separazione ad entrambi i coniugi (cosiddetto addebito reciproco. In pratica, le colpe vengono imputate sia al marito che alla moglie e nessuno dei due può più accampare diritti nei confronti dell’altro).

Un esempio forse servirà a capirci meglio. Sempre possibile l’addebito congiunto a entrambi i coniugi.

Immaginiamo un uomo che abbia, per proprio carattere, un atteggiamento violento con la moglie. Quest’ultima, un giorno, lo tradisce. Lui la scopre e la picchia ancora più forte. In questo caso, la separazione può essere addebitata a entrambi i coniugi visto che il tradimento della moglie e le aggressioni del marito sono entrambe concausa della fine dell’unione. L’infedeltà non è stata determinata dalle colpe del marito ma da una autonoma iniziativa della moglie che ha poi ha generato la reazione ancor più violenta dell’uomo. La Cassazione, a riguardo, scrive che le aggressioni fisiche di un coniuge non possono essere mai giustificate e pertanto comportano l’addebito; ma questo non autorizza l’altro coniuge a tradirlo.

Ecco un altro esempio. Immaginiamo una donna che lasci la casa coniugale di punto in bianco. Dopo tre giorni l’uomo decide di far entrare un’altra donna in casa. La faccenda si viene a sapere e l’ex moglie ne subisce un discredito pubblico. Anche in questo caso la separazione può essere addebitabile ad entrambi i coniugi.

Ancora un esempio tratto da una recente sentenza della Cassazione [sent. n. 894, 16.01.2017]: il marito la tradisce, ma anche la moglie ha l’amante; l’uomo picchia la donna perché lei va via di casa per una settimana senza dire nulla; lui ha un atteggiamento possessivo, lei violento. Quando le colpe per la separazione e il divorzio sono di entrambi i coniugi, il giudice pronuncia quello che viene chiamato «doppio addebito».

Se entrambi i coniugi sono stati maneschi, il marito picchia la moglie e la moglie a sua volta picchia l’uomo, si può avere una condanna nei confronti di tutti e due, a cui viene addebitata la separazione [Trib. Milano, sent. 2.03.2016; Cass. Sent. n. 9074/2011].

Immaginiamo invece che un uomo tradisca la moglie. Lei lo perdona, ma lui persevera nelle scappatelle. Questo degenera più volte in litigi. Lei un giorno va via di casa e lo lascia. Di chi è l’addebito? In questo caso l’addebito non può che essere del traditore che ha causato e giustificato il comportamento dell’altro coniuge.

E così nel caso del marito che umili, maltratti e picchi la moglie tanto da portarla a rifugiarsi nell’amore di un altro uomo, con cui ha una corrispondenza su internet ed a cui confida tutte le violenze subite. Anche in questo caso non c’è spazio ad addebito reciproco poiché è chiaro che il tradimento – seppur platonico – della moglie è addebitabile alle colpe dell’uomo.

Redazione La Legge per tutti 21 febbraio 2018 Sentenza

www.laleggepertutti.it/196196_le-violenze-del-marito-giustificano-il-tradimento-della-moglie

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ADOZIONE E AFFIDO

Ecco perché la legge sulla continuità degli affetti non funziona

Ecco perché la legge sulla continuità degli affetti non funziona. Prostituzione, abbandoni, malattie soprattutto di ordine psichico, immigrazione, famiglie tanto fragili da apparire talvolta inesistenti. Sono storie drammatiche quelle che si intrecciano dietro i bambini raccontati dalla prima indagine sulla legge sulla continuità degli affetti (n. 173\2015). www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/10/29/15G00187/sg

Storie di sofferenza che in qualche caso però riservano anche il lieto fine. Come nel caso di Davide, 28 anni di Verona. Ha vissuto in tre famiglie affidatarie, tre vite diverse, tre case diverse, tre gruppi di compagni di scuola diversi «Mi sono spesso sentito un pacco, gli altri decidevano del mio destino e io non riuscivo a capire come intervenire. La continuità degli affetti? Solo con l’ultima famiglia che è tuttora il mio punto di riferimento. Alla fine ce l’ho fatta. Ora, dopo l’università, lavoro come infermiere».

Oppure di Nancy, 29 anni, anche lei veronese ma di origini africane. La mamma non riusciva a tirare avanti e ha chiesto aiuto. Lei è rimasta in ‘affido diurno’ per 14 anni. Una collaborazione preziosa appunto per mantenere la continuità degli affetti ma che per la ragazza, soprattutto nel periodo dell’adolescenza, si è tradotta in un pesante conflitto tra la cultura delle origini e quella che respirava nella famiglia italiana. Alla fine anche per lei, un bilancio positivo. Lavora in banca e sta per laurearsi in Economia.

Purtroppo non è sempre così. È infatti una fotografia in chiaroscuro quella che emerge dalla ricognizione coordinata dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza in collaborazione con i 29 Tribunali per i minorenni e le relative procure, presentata ieri a Roma. «Un punto di partenza, perché il traguardo è ancora lontano», ha sottolineato la garante per i minorenni, Filomena Albano. Ma questa legge assicura davvero la cosiddetta ‘continuità affettiva’ nel difficile passaggio tra affido e adozione? Le ombre, come detto, sono tutt’altro che diradate. Non può che destare perplessità per esempio il fatto che non poche sentenze – tra la cui quella della Cassazione del giugno 2016 – abbiano invocato ‘la stabilità degli affetti’ per decidere di aprire la strada all’omogenitorialità. «Si tratta di una eterogenesi dei fini che spesso – ha commentato la psicologa Maria Cristina Calle, consigliere onorario del Tribunale per i minorenni di Milano, che ha presentato il report – abbiamo riscontrato nell’applicazione della legge».

Due terzi dei Tribunali per esempio raccomandano di non spezzare i legami con le famiglie affidatarie, come invece spesso avviene. Difficile anche stabilire se e quanto i bambini siano stati effettivamente ascoltati. «Eppure – ha ribadito l’esperta – quanto previsto dalla normativa non è solo sensato ma anche utile e urgente».

Ma come è cambiato in ambito giuridico il modo di concepire l’adozione? «Passare dall’affido all’adozione nella stessa famiglia – ha osservato Laura Laera, vicepresidente della Commissione adozioni internazionali che ha coordinato il dossier – non era abituale perché questa procedura era ostacolata dalla vecchia logica adottiva della cosiddetta ‘decantazione affettiva’ che vorrebbe far dimenticare ai bambini adottivi tutto quanto vissuto prima di arrivare nella nuova famiglia». Un atteggiamento condannato da decine di studi e di ricerche a livello internazionale.

«Anche nell’adozione internazionale – ha osservato ancora Laera – si tratta di un presupposto culturalmente errato. E spesso le famiglie affidatarie sono più avanti rispetto agli operatori. Ora servono forme di accoglienza più flessibili. Affido e adozione non vanno in due direzioni diverse». Servono però meno interventi a tampone e più pianificazione. E poi, come confermato nel successivo dibattito, i tribunali devono crederci davvero.

Luciano Moia Avvenire 23 febbraio 2018

www.avvenire.it/attualita/pagine/affetti-legge-faticosa-tra-affidi-e-adozioni

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AFFIDO

Garante infanzia e adolescenza, “nell’interesse dei minori garantire la continuità degli affetti”.

Giovedì 22 febbraio 2018, a Roma, presso il Cnel, la presentazione del volume “La continuità degli affetti nell’affido familiare”, a cui è seguita una tavola rotonda per fare il punto sulla normativa che ha introdotto il principio. A raccontare lo stato di attuazione della legge giovani, famiglie, presidenti di Tribunali, esperti e rappresentanti di associazioni

“Progettualità e cambiamento culturale”: sono le due chiavi di lettura dell’incontro, promosso a Roma, presso il Cnel, giovedì 22 febbraio 2018, dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, per presentare la pubblicazione “La continuità degli affetti nell’affido familiare” e fare il punto sulla legge 173 del 2015, che ha introdotto la continuità affettiva nell’affido. Per far questo, l’appuntamento ha dato voce anche a ragazzi che hanno vissuto il percorso dell’affido, a famiglie affidatarie, ai presidenti di alcuni Tribunali per i minorenni, a esperti, ad associazioni e alla prima firmataria della legge, Francesca Puglisi.

La pubblicazione contiene i dati in possesso dei Tribunali italiani a proposito dell’applicazione della legge sulla continuità affettiva, interviste ad alcune famiglie affidatarie e una serie di raccomandazioni dell’Autorità garante a servizi sociali, Consiglio nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali, Anci, autorità giudiziarie e al Ministero della Giustizia. “La ricerca – ha affermato la garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano – è un punto di partenza, perché il nostro obiettivo è monitorare l’effettiva implementazione delle nostre raccomandazioni e stimolare comportamenti virtuosi e prassi omogenee in ambito nazionale.

Inoltre, è un lavoro che s’inserisce in un disegno più ampio, che ha portato l’Autorità garante a occuparsi dal 2017 delle fragilità”. Laura Laera, vice presidente della Commissione per le adozioni internazionali, coordinatrice del gruppo di lavoro che si è occupato della ricerca e già presidente del Tribunale per minorenni di Firenze, ha spiegato che “un tempo adozione e affido correvano lungo binari paralleli”, mentre “la nuova legge introduce un principio di preferenza per gli affidatari, sempre che corrisponda al bene primario del minore”. “Il grande merito di questa legge – ha sostenuto – è stato codificare e promuovere il cambiamento culturale non solo nel mondo degli operatori, ma nelle famiglie”.

Nell’occasione sono stati anticipati i dati sull’affido al 31 dicembre 2016. “Non abbiamo un sistema informativo tempestivo sui dati riguardanti l’affido. Il ministero ha lanciato un’indagine campionaria e la rilevazione arriva al 31 dicembre 2016”, ha ammesso Raffaele Tangorra, della Direzione generale per la lotta alla povertà e per la programmazione sociale del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, per il quale un dato è chiaro: “In Italia non è esploso il fenomeno dell’allontanamento dei minori dalla famiglia. I numeri sono gli stessi da venti anni: al 31 dicembre 2016 i bambini in condizione di allontanamento sono stati circa 26mila, proprio come nel 1999. Solo nei primi anni 2000 c’è stata una piccola crescita fino a 30mila allontanamenti. Attualmente sono 14mila i ragazzi in affido e 12.600 i collocamenti in comunità”.

Spazio durante l’incontro anche per la storia di due ragazzi che hanno vissuto l’esperienza di affido, appartenenti al Care leavers network. Il primo a parlare è stato Davide Pirroni, 28 anni, oggi infermiere a Verona. “Sono stato in affido per 13 anni. Un percorso iniziato quando ne avevo 3. Quando mi hanno trasferito da una famiglia all’altra, ero sbigottito, perché mi ero affezionato alla famiglia che mi aveva accolto. Per un certo periodo sono anche rientrato nella mia famiglia di origine, ma non è stato positivo. Così a 12 anni sono stato accolto da una nuova famiglia, con la quale mi sono trovato molto bene. Mi hanno trasmesso valori, mi hanno saputo ascoltare e dare fiducia. Per questo, restano il mio punto di riferimento”. Dalla sua storia Davide trae una lezione fondamentale per chi si occupa dei minori in affido: “Ascoltate quello che noi ragazzi abbiamo da dirvi”.

Anche Nancy Ama Okwaby, 29 anni, viene da Verona e per 14 anni è stata in affido. Oggi lavora presso un ente bancario e sta completando gli studi universitari in Scienze politiche-Relazioni internazionali. “Per me – ha dichiarato – l’ingresso nella famiglia affidataria è stato scioccante e creare una relazione affettiva difficile. Ho mantenuto costantemente i rapporti con la mia famiglia di origine, ma ricostruire la relazione con mia madre non è stato facile. Anche il periodo dell’adolescenza è stato complesso. Sono nata in Italia e la mia famiglia affidataria era italiana, ma io sono di origine africana. Così nell’età critica non riuscivo a capire chi ero. Solo in seguito ho capito la positività di questa esperienza e tuttora ho un ottimo rapporto con i componenti della famiglia affidataria, mi confronto con loro per qualsiasi scelta. Mi hanno aiutato a crescere e a credere in me stessa. Sono riuscita a recuperare anche il rapporto con mia madre”.

Hanno preso la parola anche due famiglie affidatarie con percorsi diversi. La prima, che ha chiesto di mantenere l’anonimato, ha raccontato come è passata, dopo le prime due esperienze di affido, da affidataria ad adottiva per il terzo bambino accolto a tre mesi. La coppia, con tre figli naturali adolescenti quando è iniziata l’esperienza del primo affido, si è trovata davanti alla scelta di cosa fare, quando per Luigi (nome di fantasia) a quattro anni è stata dichiarata dal Tribunale l’adottabilità. I genitori sono stati sentiti per una loro eventuale disponibilità all’adozione e hanno risposto di sì. Il papà ha evidenziato: “L’arrivo di bambini in affido ha avuto un impatto positivo sui nostri figli, perché sono cresciuti in disponibilità e stima reciproca. Spero di avere insegnato loro un valore in più: l’accoglienza, la generosità”.

Per la seconda famiglia, che ha accolto in affido molti bambini nel tempo, ha parlato la mamma, Maria Teresa Scappin. Attualmente hanno in affido quattro minori. Il caso che ha presentato, dove è stata riscontrata una criticità nella continuità degli affetti, riguarda invece una bambina di 4 anni che è stata con loro per poco più di un anno, per andare poi in affido in un’altra famiglia. “Poco prima di andarsene mi ha regalato una bacchetta e mi ha detto: ‘Sei la mia fata madrina’. Ogni volta che ci incontreremo mi porterai un vestito. Purtroppo, le ho potuto regalare solo tre vestiti. Anche le altre bambine in affido da noi sentono la sua mancanza”.

Gigliola Alfaro Agenzia SIR 22 febbraio 2018

https://agensir.it/italia/2018/02/22/affido-garante-infanzia-e-adolescenza-nellinteresse-dei-minori-garantire-la-continuita-degli-affetti-lesperienza-di-ragazzi-e-famiglie/

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AMORIS LÆTITIA

Lo choc del nuovo

Intervista al cardinale Blase Cupich

Quando dico al cardinale Blase Cupich [1949, arcivescovo metropolita di Chicago dal 2014] che sembra che si diverta ad agitare le acque, lui scoppia a ridere. “Non faccio niente per agitare le acque più di quanto non faccia il papa!” Poi il cardinale torna serio, si china in avanti e mi guarda negli occhi. “Il problema – ed è un problema importante – è questo. Non rispondiamo ai bisogni delle persone reali. Non possiamo essere soddisfatti di noi stessi. La tentazione più perniciosa che abbiamo nella Chiesa è avere la sensazione di “essere arrivati”. Papa Francesco sta cercando di liberarcene”.

Sto parlando con il cardinale, che è forse il sostenitore del papa più convincente e più eloquente, in un ufficio che dà sul giardino del St. Edmund’s College a Cambridge. Cupich, 68 anni, elegante, gentile ma guardingo, ha un volto da attore vissuto, da caratterista, che cambia frequentemente espressione. Ha pronunciato l’annuale conferenza Von Hügel – sponsorizzata dal Von Hügel Institute for Critical Catholic Inquiry – al college la scorsa settimana, una conferenza in cui ha descritto l’esortazione post sinodale di Francesco sulla famiglia, Amoris lætitia, come “nuovo paradigma [modello di riferimento di valore fondamentale] del cattolicesimo”. La sua conferenza ha diviso nettamente da allora sia gli ascoltatori che i commentatori. Ma per Cupich non era un esercizio puramente accademico. Il messaggio di Amoris lætitia lo ha toccato profondamente. “È qualcosa che ho vissuto, qualcosa di cui ho fatto l’esperienza”, dice semplicemente. “Non puoi insegnare se non sei disposto a imparare. E non puoi imparare se non sei disposto ad ascoltare. E ciò che il papa fa così decisamente in Amoris lætitia, è mostrare, attraverso l’insieme della Scrittura, storia dopo storia, come Dio ha scelto la vita della famiglia come un modo privilegiato in cui vediamo chi è Dio e che cosa fa Dio”.

Gran parte della freschezza e della capacità di attrazione di Francesco sta in questo: mentre teologi, biblisti e accademici tendono a cercare le cose di Dio in monasteri e luoghi di lavoro, nella politica o nell’arte, il papa ci chiede invece di cercare Dio “sotto il nostro naso” – nel caos quotidiano della vita familiare. La famiglia, dice Cupich, deve affrontare nuove situazioni e cambia molto in fretta. E, dall’intuizione che la famiglia è un luogo privilegiato dell’autorivelazione di Dio e della sua azione nel mondo, consegue che ci deve essere una interazione tra l’insegnamento della Chiesa e la realtà della famiglia: un equilibrio tra insegnare e ascoltare. Una reciprocità.

“È un’intuizione, non è vero?”, dice Cupich. “E la vita familiare continua ad essere una sorgente dell’aprirsi di Dio, di ciò che Dio sta rivelando, di ciò che Dio sta facendo nel nostro tempo. Ecco perché le famiglie non sono dei problemi a cui noi dobbiamo fornire soluzioni, ma piuttosto delle opportunità che ci permettono di vedere che cosa Dio sta facendo”. “È un modo rivoluzionario di intendere la famiglia. E in questo movimento dello Spirito, in questa reciprocità, ho imparato ad essere prete”.

Sta molto attento a non essere frainteso. Non vuole rimediare mentre andiamo avanti. “La Chiesa deve essere coerente rispetto agli insegnamenti che abbiamo ricevuto. Ma è necessario un nuovo orientamento”, spiega. Il lavoro del prete e della comunità parrocchiale è decisamente diverso. “Il nuovo modello di ministero nei confronti delle famiglie è di accompagnamento… ed è caratterizzato da un profondo rispetto per la coscienza dei fedeli”.

Uno degli aspetti trascurati di Amoris lætitia è la sua attenzione ai piccoli dettagli. C’è uno sguardo di narratore nelle descrizioni che Francesco fa delle tensioni e delle esasperazioni della vita familiare. È uno che ha passato molte domeniche nel caos di lunghi pranzi familiari. “Francesco è un buon osservatore del comportamento umano”, conviene Cupich. “Ed è presente alle persone nel dettaglio delle loro vite – vede ciò che vi sta succedendo”. Anche Blase Cupich è attento, un buon osservatore. Per questo sapeva che parole come “rivoluzione” e “nuova ermeneutica” avrebbero suscitato sia allarme e repulsione che entusiasmo. Verso la fine della sua conferenza, Cupich descrive il cambio di paradigma come una “ermeneutica rivivificata”. Dice: “Papa Francesco sta recuperando un modo di pensare la dottrina e la pratica della Chiesa che ha le sue radici nella nostra tradizione”. (…). E tranquillamente ha inserito nella conferenza un chiaro rifiuto del relativismo, il riconoscimento di verità morali oggettive, e la riaffermazione di un modo tradizionale di intendere la coscienza. Ma Cupich preferisce enfatizzare l’ermeneutica della rivoluzione e dello sconvolgimento piuttosto che l’ermeneutica della rigenerazione e della continuità.

Gli chiedo se non sia stato inutilmente combattivo. Siamo abituati a leader nella Chiesa che tengono a proteggere l’unità dei fedeli e sono attenti a non scatenare scontri di civiltà. “Non c’è una rivoluzione in ciò che insegna la Chiesa”, dice. “Ciò che è nuovo e rivoluzionario è il modo in cui la Chiesa è Chiesa. Il modo in cui la Chiesa agisce. Il modo in cui la Chiesa assiste le persone. Fin dall’inizio, papa Francesco ha fatto capire chiaramente che sta ri-orientando la Chiesa come ospedale da campo, piuttosto che un luogo dove la gente semplicemente pensa. ‘Noi ci siamo’, voglio continuare a dire in modo che la gente non pensi che Amoris lætitia sia un altro documento della Chiesa da mettere tra gli altri su uno scaffale. È una chiamata alle armi, una chiamata all’azione, e non deve essere persa”.

Si dice spesso che quella di Blase Joseph Cupich sia stata una scelta personale di papa Francesco a successore del cardinale Francis George come arcivescovo di Chicago nel 2014. “Non ho mai chiesto informazioni su questo al papa”, dice. “Quello che so è che il nunzio papale mi ha telefonato e mi ha detto che ero stato nominato”. Poi ride e dice: “Naturalmente, ogni vescovo è una scelta personale del papa”. In effetti, all’epoca della sua nomina, benché ben conosciuto a Roma come un vescovo statunitense con quell’autentico “odore delle pecore” apprezzato da papa Francesco, Cupich non lo aveva mai di fatto incontrato. “La prima volta che ho incontrato il papa è stato quando sono andato a Roma a ricevere il pallio nel giugno 2015”, dice. “Chiese di parlare con me, e parlammo per una mezz’ora – in italiano, che per me è meglio che in spagnolo. Mi disse in quell’occasione: ‘Voglio vedere di persona chi ho nominato’.”

I quattro nonni di Cupich erano tutti migranti dalla Croazia che erano andati a Omaha, nel Nebraska, all’epoca della Prima Guerra Mondiale, perché avevano saputo che c’era la possibilità di accesso negli USA per lavoro non specializzato in impianti di confezionamento di carne. Frequentavano la stessa parrocchia; i loro figli, cioè i genitori di Blase, frequentavano la stessa scuola. Si sposarono dopo che il padre di Blase – che portava lo stesso nome – ebbe fatto ritorno dopo la guerra. Dopo essere stato congedato dalla marina, fu impiegato alla posta. Blase era il terzo di nove figli: quattro maschi e cinque femmine. “Eravamo tutti praticanti. Eravamo nel coro, io servivo messa… La parrocchia era la nostra seconda casa”. “Quando eravamo bambini, mio padre si alzava presto, distribuiva la posta, tornava nel primo pomeriggio e pranzava con mia madre. Poi veniva a scuola, dove lavorava part-time come bidello. I miei due fratelli maggiori ed io lo aiutavamo a pulire la scuola; poi tornavamo a casa e la famiglia cenava insieme. Poi mio padre usciva di nuovo per un terzo lavoro come barista”. “Noi maschi dormivamo tutti in una stanza, le ragazze in un’altra. Quando andavo alle superiori, ci trasferimmo in una casa con quattro camere da letto, così le ragazze ebbero due camere”, ricorda. “Tutti noi avevamo un lavoro da ragazzi. Io consegnavo i quotidiani, lavoravo con mio padre come bidello, andavo a fare pulizia nelle case – dovevamo tutti pagare la nostra parte per poter andare alle superiori”. Suo fratello maggiore andò in seminario. Non avrebbe resistito a lungo, ma fece venire l’idea a Blase. “Pensai di provarci”. Prima pensava di studiare legge, ma poi fece studi di filosofia. Studiò a Roma e fu ordinato nel 1975. Tra il 1980 e il 1987 fu segretario per una delegazione papale a Washington DC, dove il nunzio era Pio Laghi, recentemente rinominato dall’Argentina. Dopo essere stato rettore di un seminario, nel 1998, all’età di 49 anni, Cupich fu nominato vescovo di Rapid City, nel Sud Dakota, da papa Giovanni Paolo II. Nel 2010 divenne vescovo di Spokane nello stato di Washington. “Ben tre papi le hanno assegnato un incarico come vescovo… Beh, uno avrebbe anche potuto sbagliare, ma tre!?”. Ancora una volta, il volto pieno del cardinale scoppia in un’ampia risata. È diventato membro della Collegio cardinalizio dal 19 novembre 2016. Come Vincent Nichols, è membro della Congregazione per i vescovi e più recentemente è stato nominato alla Congregazione per l’istruzione cattolica. Paragono gli obiettivi ambiziosi e la guida di papa Francesco al coraggio e all’energia di papa Giovanni Paolo II, che attuò un cambiamento paradigmatico tutto suo, facendo prendere alla Chiesa una direzione diversa quasi solo con la forza di volontà. Ma lui era stato eletto prima di aver compiuto sessant’anni e rimase papa per 27 anni. Il cambiamento di fondo nel modo di intendere la Chiesa verso cui papa Francesco sta cercando di spingerci, può realmente prender radici in un papato relativamente breve?

“Ciò che il papa sta facendo ha le sue radici nel Concilio Vaticano II”, dice Cupich. “È lì che è avvenuto il grande cambiamento paradigmatico. Papa Francesco sta solo riproponendo ciò il Concilio aveva sostenuto. Per questo non penso che si affievolirà quando questo pontificato sarà concluso. Non è una strada diritta. Durante il papato di Giovanni Paolo II, la gente mi diceva: ‘Il Concilio è come morto, adesso seguiamo questa onda, questo nuovo interesse per l’ortodossia’. Io invece dico: ‘Non si torna indietro, il Concilio ha aperto un nuovo percorso, era guidato dallo Spirito, continuerà’. Non sono mai stato al gioco di quale papato scegliere”.

Naturalmente ci sono dei cattolici che semplicemente non sono preparati ad accettare lo sviluppo nella dottrina e nella pratica aperto da Amoris lætitia che, in alcune circostanze potrebbe permettere a qualcuno che si è risposato di accostarsi alla comunione.

Ma Cupich indica Giovanni Paolo II come il papa che ha promosso lo sviluppo davvero straordinario recuperando i divorziati risposati dal loro stato di disgrazia e scomunica e riportandoli all’interno della vita della Chiesa. Amoris lætitia fa fare a questo sviluppo un passo ulteriore.

Cupich mi dice che i suoi stessi preti a Chicago, che sono assolutamente aperti al nuovo cammino, trovano che Amoris laetitia richieda loro cose non sempre facili da realizzare. “Accompagnare le persone è un lavoro impegnativo”. Ammette che, per altri, “è un cambiamento troppo grande perché possa essere accettato. È sempre così quando succede qualcosa di nuovo. La domanda da porre a coloro che si oppongono al papa è: ‘Credete che lo Spirito Santo non fosse presente ai due sinodi sulla famiglia? Credete che lo Spirito Santo non fosse presente quando il Santo Padre ha scritto Amoris lætitia?’. Adesso l’onere di spiegarsi ricade su coloro che sono in disaccordo su ciò che il papa sta facendo, non sul papa”.

Cupich dice che ora spetta alle conferenze episcopali portare avanti l’insegnamento. “Anche qui?”, chiedo. “Ci possono essere difficoltà”, accenna Cupich. “Certo. Ma è meglio parlarne apertamente, non è vero? Non si può restare neutrali su Amoris lætitia. Non ci si può limitare ad ignorarla. Certo, all’interno, ci saranno problemi. Ma all’esterno ci sono moltissime persone che si sentono allontanate dalla Chiesa, allontanate da Dio, allontanate da altre persone, che si sentono come se fossero state abbandonate, scartate, lasciate ai margini, e che nessuno si curi più di loro. Non penso che questo sia soddisfacente”.

Cupich mi riporta indietro alla sua infanzia in Omaha: “Sono cresciuto in una famiglia numerosa. Non abbiamo mai lasciato che i problemi ci sfuggissero di mano. I miei genitori volevano che fossimo assolutamente onesti su ciò che facevano. Se la nostra unica preoccupazione è: ‘questa cosa provocherà casino all’interno?’, stiamo andando verso una Chiesa autoreferenziale. Non sono stato ordinato per essere parte di un’istituzione così”.

a cura di Brendan Walsh www.thetablet.co.uk, 14 febbraio 2018 (traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201802/180218cupichwalsh.pdf

 

Kasper. I tre criteri per leggere Amoris lætitia

Amoris lætitia è un testo che punta a diffondere coraggio e serenità nelle famiglie, «un liberante messaggio sulla gioia dell’amore». Si può e si deve discuterne, ma senza divisioni e senza contrapposizioni. Anzi avviando «discussioni fraterne», «con amichevole affetto per tutti coloro che sono di opinione diversa». Vista la gamma molto ampia di argomenti affrontati dall’Esortazione postsinodale pensare che il dibattito si possa chiudere in breve sarebbe fuorviante e forse anche ingiusto. Il confronto è benvenuto, ma si deve portare avanti su un piano di rispettosa, reciproca attenzione.

L’indicazione arriva da un cardinale-teologo che è forse tra i più profondi conoscitori dell’Esortazione postsinodale. Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, non è soltanto uno dei teologi più ascoltati dal Papa, ma anche l’esperto a cui lo stesso Francesco ha affidato la relazione introduttiva al Concistoro del 21 febbraio 2014 sul ‘Vangelo della famiglia’. Un intervento coraggioso che ha aperto la strada al dibattito sinodale ed è considerato una sorta di ‘bozza’ ideale di Amoris lætitia. Il saggio che arriva in questi giorni in libreria “Il messaggio di Amoris lætitia. Una discussione fraterna”(Queriniana pagg.77, euro 10) a quasi due anni di distanza dalla pubblicazione del testo di papa Francesco, non intende affatto avere toni ultimativi ma offrire spunti di riflessione per orientare il dibattito in modo più razionale e meno violento. E Kasper per primo dà prova di riflessione dialogante. Certo, le opinioni, al solito, sono espresse in modo chiaro, sintetico, efficace, ma senza la pretesa di escludere altri contributi anche di segno diverso.

L’analisi abbraccia, in modo riassuntivo, l’intero percorso dell’Esortazione postsinodale, senza soffermarsi soltanto sulla solita diatriba – ‘sì o no la comunione ai divorziati risposati’? – ma anche senza eludere il discorso. Proprio su questo tema il contributo di Kasper appare di profondo equilibrio e di grande finezza. Rispetta il pensiero autentico del Papa, senza pretendere di arruolarlo né tra i rigoristi né tra i lassisti. Ribadisce che il criterio di giudizio per tutte le situazioni critiche è quello del discernimento, che è segno di considerazione e gesto di prudenza. In qualche modo una conferma della risposta arrivata da Papa Bergoglio nel dialogo con i confratelli gesuiti durante il viaggio in Perù dello scorso 19 gennaio, l’esigenza cioè di superare la logica del ‘fin qui si può, non qui non si può’.

Ogni situazione va contestualizzata, analizzata nelle sue premesse e nei suoi sviluppi, considerata alla luce delle particolari e uniche condizioni in cui si è concretizzata. Di fronte allora al dilemma di una coppia di divorziati risposati – per arrivare al contestato capitolo VIII – che si interroga sul senso del nuovo legame e sulla coerenza del proprio cammino di fede, Amoris lætitia– spiega Kasper – «non dà una concreta risposta diretta», soprattutto evita di entrare nella casistica che risulterebbe comunque incompleta, prescrittiva e quindi incapace di abbracciare tutte le possibilità. Offre però tre criteri di giudizio che il cardinale di origini tedesche sintetizza così.

  1. Il primo è quello dell’integrazione. Il Papa spiega con chiarezza che matrimoni civili, unioni di fatto e unioni tra persone omosessuali «non corrispondono alla visione cristiana del matrimonio», ma anche in queste situazioni possono esserci elementi positivi quando presentano «relazioni durature, in presenza di mutuo affetto e di un vincolo di fedeltà, di responsabilità e cura reciproca come la cura e l’educazione dei figli». Matrimonio sacramentale e unioni irregolari (il Papa avrebbe posto l’aggettivo tra virgolette, Kasper non le usa) non sono sullo stesso piano, ma le persone coinvolte possono essere invitate a partecipare alla vita della Chiesa «verso la piena realizzazione dell’ideale».

  2. Il secondo criterio è il discernimento tra divieto oggettivo e colpevolezza soggettiva. Qui entra in gioco il ruolo della coscienza personale e di coppia, che secondo la visione di Francesco ha una dignità inviolabile. La Chiesa, ha spiegato in Amoris lætitia, ha il compito di contribuire alla formazione delle coscienze, non di sostituirsi a un giudizio personale.

  3. Il terzo criterio è quello ispirato dall’amore e dalla misericordia che deve sempre guidare l’applicazione di una legge. Kasper spiega che in questo caso il riferimento va a Tommaso secondo cui «ogni legge generale è incompleta poiché non prevede tutte le circostanze concrete e pertanto non può in anticipo regolare concretamente tutte le situazioni».

C’è una differenza sostanziale da questa ‘etica della situazione’, ispirata dalla prudenza e la ‘teologia delle situazioni’ che pretenderebbe di ignorare la legge generale. In questa logica, osserva ancora il porporato teologo, «non si può condannare o escludere» una persona per sempre. Una svolta nella teologia morale? Kasper preferisce parlare di un «cambio di paradigma» nel solco della tradizione, «una sfida all’ulteriore riflessione teologica e a ripensare la prassi pastorale», un invito a recuperare «il carisma del discernimento spirituale» non per aprire «un’epoca di fatali conflitti, ma di una nuova gioia (lætitia) nella Chiesa».

Luciano Moia Avvenire 17 febbraio 2018

www.avvenire.it/chiesa/pagine/su-amoris-laetitia-dibattito-fraterno

 

“Matrimonio non è infrangibile”

L’intervista del Vescovo di Pinerolo su AL rende urgente la risposta ai Dubia: “Ai sacramenti può accedere chi vive una nuova unione in tutti gli aspetti, seguendo la coscienza e non il prete. La conferenza episcopale piemontese non lo prevede, ma benedire le unioni adultere è una buona idea”.

Domenica scorsa è appara su la Vita Diocesana Pinerolese (Anno 9, n. 3) un’interessante intervista del neo-vescovo, Derio Olivero [dal 7 luglio 2018], a commento del documento della Conferenza Episcopale Piemontese che fornisce linee guida per l’applicazione dell’esortazione apostolica Amoris Lætitia. Del vescovo di Pinerolo la Bussola Quotidiana si era già occupata in un’occasione precedente, quando prima di assumere l’incarico si era fatto benedire dai fedeli.

Dell’intervista ci hanno colpito alcune frasi, che ci sembrano indicative. Una di queste la troviamo veramente geniale: “Il matrimonio continua così ad essere indissolubile ma non infrangibile”. Non abbiamo capito, e ce ne scusiamo; ma ci sembra, quella della frangibilità o infrangibilità una nuova categoria di cui finora non siamo stati messi al corrente. Vale a dire che se sono sposati con qualcuno lo sono in maniera indissolubile, ma ci possiamo rompere? (In tutti i sensi). E allora che succede? La frase successiva è illuminante: “Per coloro che sono giunti ad una nuova unione ci può essere un cammino che arrivi anche ad essere pienamente integrato”.

Questa frase ha una conseguenza logica, colta con prontezza dall’intervistatore, che infatti chiede: “La direzione è quella di pensare anche ad una benedizione sulla nuova unione?”. Risponde mons. Olivero:Nel documento della Conferenza Episcopale Piemontese questo non è contemplato, ma credo che potrebbe essere una buona soluzione. Fatto un debito cammino si può prevedere una benedizione che significa riconoscere la validità del rapporto”.

Cioè, in pratica, a primo matrimonio sacramentale valido di uno o di tutti e due i partner la Chiesa aggiungerebbe un qualche rito per mettere un sigillo, o un timbro sulla seconda unione? Parlando dell’Amoris Lætitia il vescovo espone quelle che a suo parere sono due grandi novità. “La prima: non è più possibile dire che tutti quelli che si trovano in situazioni cosiddette irregolari vivono in peccato mortale perché ci sono molte questioni da analizzare. Non c’è più l’automatismo. C’è da valutare caso per caso. La seconda: la grazia di Dio opera anche nelle vite di divorziati risposati”.

“Questi due grandi princìpi aprono alla possibilità di fare un cammino di accoglienza e di accompagnamento che possano operare in loro (è la coscienza del singolo, non la coscienza del sacerdote che decide) un discernimento per valutare la possibilità di un’integrazione che giunge fino al ritorno dei sacramenti”. Quindi, nella lettura del presule, il sacerdote, che si presume sia il confessore, non ha una parola da dire sullo stato della persona che si è rivolta a lui.

C’è da chiedersi che fine abbia fatto il sacramento della riconciliazione; e perché mantenerlo. E se è la coscienza del singolo che decide, che senso hanno i tribunali diocesani? Se sono convinto che il mio primo matrimonio non fosse valido, che mi importa di spendere soldi e tempo in diocesi? Ed ecco un ultima frase: “…Amoris Lætitia va oltre la logica giuridica. Ai sacramenti può accedere, dopo un debito cammino, anche una coppia che in coscienza vive pienamente la nuova unione in tutti i suoi aspetti. Questo ci aiuta a capire che i sacramenti non sono un premio per i buoni”.

Ecco alla luce di queste interpretazioni ci sembra evidente ed urgente la necessità di una risposta, finora negata, da parte del Pontefice ai Dubia, che forse è opportuno ricordare, perché toccano ciascuno dei punti sviluppati da mons. Olivero.

  1. Si chiede se, a seguito di quanto affermato in Amoris Lætitia nn. 300-305, sia divenuto ora possibile concedere l’assoluzione nel sacramento della Penitenza e quindi ammettere alla Santa Eucaristia una persona che, essendo legata da vincolo matrimoniale valido, convive “more uxorio” con un’altra, senza che siano adempiute le condizioni previste da Familiaris consortio n. 84 e poi ribadite da Reconciliatio et paenitentia n. 34 e da Sacramentum caritatis n. 29. L’espressione “in certi casi” della nota 351 (n. 305) dell’esortazione Amoris Lætitia può essere applicata a divorziati in nuova unione, che continuano a vivere “more uxorio“?

  2. Continua ad essere valido, dopo l’esortazione postsinodale Amoris Lætitia (cfr. n. 304), l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II Veritatis splendor n. 79, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, circa l’esistenza di norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi?

  3. Dopo Amoris Lætitia n. 301 è ancora possibile affermare che una persona che vive abitualmente in contraddizione con un comandamento della legge di Dio, come ad esempio quello che proibisce l’adulterio (cfr. Mt 19, 3-9), si trova in situazione oggettiva di peccato grave abituale (cfr. Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000)?

  4. Dopo le affermazioni di Amoris Lætitia n. 302 sulle “circostanze attenuanti la responsabilità morale”, si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II Veritatis splendor n. 81, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, secondo cui: “Le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto soggettivamente onesto o difendibile come scelta”?

  5. Dopo Amoris laetitia n. 303 si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II Veritatis splendor n. 56, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, che esclude un’interpretazione creativa del ruolo della coscienza e afferma che la coscienza non è mai autorizzata a legittimare eccezioni alle norme morali assolute che proibiscono azioni intrinsecamente cattive per il loro oggetto?

Marco Tosatti La nuova bussola quotidiana 13 febbraio 2018

www.lanuovabq.it/it/il-vescovo-il-matrimonio-non-e-infrangibile

 

Amoris lætitia. L’indice dei 221 documenti pubblicati dal blog

Amoris lætitia, pubblicata il 19 marzo 2016, com’era prevedibile ha suscitato e sta suscitando nella Chiesa diverse letture: di esse vorremmo dare conto in questa sezione del blog. È un lavoro non piccolo e suscettibile di miglioramento: preghiamo pertanto chi volesse segnalarci delle migliorie, di farlo tempestivamente.

In sostanza, abbiamo racchiuso gli studi su AL (Amoris lætitia) in gruppi.

  1. Uno è decisamente contrario ad AL e, nei casi più estremi, sostiene che sebbene formalmente si dica il contrario, in realtà Papa Francesco desideri cambiare la dottrina della Chiesa sul matrimonio; in questo gruppo alcuni giungono a sostenere che AL non abbia il rango di magistero papale.

  2. Un secondo gruppo si limita ad offrire discorsi generali, sintesi del documento e puntualizzazioni dottrinali senza però entrare nel merito del capitolo ottavo di AL.

  3. Un terzo gruppo sottolinea che non cambia la dottrina sul matrimonio ma invece è cambiata l’impostazione pastorale.

  4. Un quarto gruppo, infine, è semplicemente “entusiasta” delle “novità” di AL.

  5. Un quinto gruppo è il commento per il blog di don Fabio Bartoli per i singoli capitoli.

  6. Il sesto gruppo riguarda le linee guida di applicazione date dai diversi vescovi in ossequio a quanto richiesto da AL al n. 300. Agli inizi del 2017, poiché la questione dominante è stata quella dei dubia, abbiamo aggiunto una sesta categoria.

  7. Dopo la Correctio filialis è stata aggiunta un’ulteriore categoria, divisa in tre sezioni “Contra”, “Pro” e “Neutrum”.

https://mauroleonardi.it/2018/02/17/amoris-laetitia-lindice-dei-220-documenti-pubblicati-dal-blog/

La comunione ai divorziati: cosa dice «Amoris lætitia»

Un lettore ci scrive a proposito di come viene applicata in alcune diocesi l’esortazione di Papa Francesco «Amoris lætitia» a riguardo dei sacramenti ai divorziati risposati o che convivono more uxorio. Risponde padre Francesco Romano, docente di Diritto canonico alla facoltà teologica dell’Italia centrale

Ho avuto modo di prendere visione del recentissimo documento dei Vescovi della vicina Emilia-Romagna dal titolo «Indicazioni sul capitolo VIII dell’Amoris lætitia»*, riguardante la controversa questione dell’ammissione alla piena comunione ecclesiale dei divorziati che hanno costituito una nuova unione di tipo coniugale. Il documento indica un percorso molto articolato, che coinvolge un sacerdote, una equipe di persone incaricate dal Vescovo, un cammino di servizio all’interno della comunità ecclesiale, finalizzato a compiere un discernimento della particolare situazione in cui si trova chi vive tale condizione «irregolare». Al termine di tale percorso, è lasciato alla valutazione personale se richiedere l’ammissione ai sacramenti, quindi la piena comunione ecclesiale, anche nel caso in cui, per il bene della nuova unione e per quello di eventuali figli, si è fatta la scelta di continuare a vivere «more uxorio» la nuova unione. Per chiamare le cose con il proprio nome, mi sembra che in tal modo si introduca, anche se in modo surrettizio, l’istituto del «divorzio cattolico». Mario Fossi

*ww.imola.chiesacattolica.it/home_diocesi/news/00000474_Indicazioni_sul_capitolo_VIII_dell_Amoris_Laetitia.html

Esattamente undici anni or sono, su questa Rubrica ci veniva posta la questione «Chi sposa un divorziato può fare la comunione?» In quell’occasione avevo sinteticamente illustrato la linea del Magistero della Chiesa e, segnatamente, l’insegnamento di san Giovanni Paolo II con l’Esortazione apostolica Familiaris consortio (FC) del 1981 e la lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede «La comunione eucaristica a fedeli divorziati risposati» del 1994 a firma dell’allora Prefetto Card. Ratzinger con l’approvazione del Papa.

La domanda di oggi viene proposta alla luce della Esortazione apostolica Amoris lætitia (AL) di Papa Francesco, in particolare del capitolo VIII intitolato «accompagnare, discernere e integrare la fragilità» in ordine al possibile accesso ai sacramenti di un «divorziato che vive una nuova unione». Il punto di novità introdotto dalla Familiaris consortio stava nella possibilità di accedere ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia anche per coloro che, trovandosi in situazione irregolare e irreversibile, assumevano l’impegno della continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi (FC, 84). Un altro punto fondamentale della Familiaris consortio per comprendere gli sviluppi successivi, ben presente anche nell’ Amoris lætitia, è l’importanza della «legge della gradualità», o cammino graduale, guardando alla legge non come puro ideale da raggiungere in futuro, ma «come un comando di Cristo Signore a superare con impegno le difficoltà» (FC, 34).

Il capitolo VIII di Amoris lætitia, riferendosi ai divorziati in seconda unione, afferma che «in una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio […] ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» (AL, 305). Questa affermazione è completata dalla nota 351 di Amoris lætitia in cui si legge: «In certi casi potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti», per esempio, dato ai divorziati in seconda unione impossibilitati a mettere fine all’attuale legame e che hanno difficoltà a vivere la continenza, pur nel proposito sincero di vivere come fratello e sorella (AL, nota 329).

A fronte di alcune controverse interpretazioni, Papa Francesco, con lettera del 5 settembre 2016, si congratulava con il Delegato della Regione Pastorale di Buenos Aires per le linee guida elaborate dai Vescovi argentini sull’applicazione del cap. VIII di Amoris lætitia dichiarando nel contempo che «non sono possibili altre interpretazioni». Al documento veniva poi da lui riconosciuto il valore di interpretazione autentica (AAS 108[2016]1071-1074).

L’Esortazione Amoris lætitia riafferma preliminarmente, in continuità con il Vangelo e con il Magistero della Chiesa, l’indissolubilità del matrimonio cristiano (AL, 292); il divorzio come un male preoccupante anche per il numero crescente (AL, 246); le nuove unioni consolidate nel tempo e irreversibili, ma che non sono l’ideale proposto dal Vangelo (AL, 298). Scrive il Card. Ennio Antonelli: «La novità di Amoris lætitia sta nell’ampiezza di applicazione che viene data al principio della gradualità, [già presente nella Familiaris consortio], nel discernimento spirituale e pastorale dei singoli casi» (E. Antonelli, Per vivere l’Amoris lætitia, ed. Ares, p. 30).

La via caritatis è il percorso da condividere con quanti chiedono di essere accolti e accompagnati per discernere e integrare la loro condizione familiare di separati e divorziati risposati o divorziati conviventi, «la logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale» (AL, 299) e anche il fine. L’Esortazione Amoris lætitia non parla di permesso del sacerdote per accedere ai sacramenti, ma di processo di discernimento pastorale e personale accompagnato da un pastore (AL, 300), «dato che nella legge non c’è gradualità (FC, 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa […] per evitare il grave rischio di messaggi sbagliati, come l’idea che qualche sacerdote possa concedere rapidamente “eccezioni”, o che esistano persone che possano ottenere privilegi sacramentali in cambio di favori» e, inoltre, «che un determinato discernimento porti a pensare che la Chiesa sostenga una doppia morale» (AL, 300). 

L’opera di discernimento veniva caldamente sollecitata anche da san Giovanni Paolo II (FC, 84) per poter distinguere caso per caso e non cadere nell’equivoco di un accesso allargato ai sacramenti, «il grado di responsabilità non è uguale per tutti i casi, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi» (AL, 300). Tra questi casi, il più emblematico riguarda chi sente il peso della privazione dei sacramenti vivendo una seconda unione consolidata nel tempo, con figli, fedeltà, impegno cristiano, consapevolezza della propria situazione, ma con grande difficoltà a tornare indietro sentendo in coscienza di poter cadere in nuove colpe (AL, 298).

La meta del cammino di crescita, spiega il Card. Antonelli, «viene indicata come pienezza del piano di Dio, che per alcuni, se ne hanno la possibilità, potrebbe essere la celebrazione del matrimonio sacramentale, per altri l’uscita dalla situazione irregolare mediante l’interruzione della convivenza o almeno la pratica della continenza sessuale» (o.c., p. 58). In concreto, prosegue il Card. Antonelli, a proposito dell’ammissione alla Comunione, «per le coppie in situazione irregolare il cambiamento adeguato è il superamento della loro situazione, almeno con l’impegno serio della continenza, anche se per la fragilità umana si prevedono ricadute (AL, nota 364)» (o.c., p. 61). Tuttavia, come scrivono i Vescovi argentini nelle linee guida (n. 5) a proposito dell’impegno sincero di vivere la situazione irregolare nella continenza, «l’Amoris lætitia non ignora le difficoltà di questa scelta (AL, nota 329) e lascia aperta la possibilità di accedere al sacramento della riconciliazione, quando non si riesca a mantenere questo proposito (cf. nota 364, secondo gli insegnamenti di san Giovanni Paolo II al card. W. Baum del 22.03.1996)».

Questa apertura che in alcuni ambiti ha sollevato perplessità, come anche nel nostro lettore, è in realtà in stretta continuità con il Magistero di san Giovanni Paolo II: «Vale la pena di ricordare l’insegnamento di san Giovanni Paolo II il quale affermò che la prevedibilità di una nuova caduta “non pregiudica l’autenticità del proposito”» (AL, nota 364).

Compito della Chiesa è integrare tutti, cioè «aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale perché si senta oggetto di una misericordia immeritata, incondizionata e gratuita» (AL, 297). Questo non può che avvenire attraverso il discernimento «dinamico» nel senso che «deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno» (AL, 303) e offrire una progressiva e più piena integrazione nella vita ecclesiale di persone in situazione di fragilità (AL, 299).

Francesco Romano Toscana oggi 22 febbraio 2018

www.toscanaoggi.it/Rubriche/Risponde-il-teologo/La-comunione-ai-divorziati-cosa-dice-Amoris-laetitia

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Assegno più alto alla ex se il marito non dichiara i redditi

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 3709, 15 febbraio 2018.

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_29278_1.pdf

Se l’ex coniuge, presunto benestante, non produce in giudizio la propria dichiarazione dei redditi aggiornata, è ben possibile che a suo carico venga posto l’assegno di mantenimento nei confronti della moglie o che questo venga aumentato. Infatti, è consentito al giudice di merito di fare ricorso a presunzioni semplici nella sua valutazione comparativa delle situazioni dei coniugi in regime di separazione, non solo per il riconoscimento del diritto all’esborso, ma anche della sua quantificazione.

Tanto si desume dall’ordinanza della Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso di un uomo a carico del quale la Corte d’Appello aveva imposto la corresponsione in favore della moglie di un assegno di mantenimento determinato in 300 euro.

Assegno più alto se lui non produce dichiarazione redditi. In Cassazione, tuttavia, l’uomo ritiene che il giudice a quo, nella determinazione dell’esborso che egli avrebbe dovuto corrispondere alla ex, non avesse tenuto conto del fatto che la donna era titolare di adeguati redditi propri. La pronuncia, ribadisce il ricorrente, si era fondata esclusivamente sulla circostanza che lui aveva mancato di produrre in giudizio le sue dichiarazioni dei redditi.

Gli Ermellini, in prima battuta, rammentano che, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento in sede di separazione personale dei coniugi, l’art. 156, comma 2, c.c., dovrà essere inteso nel senso che il giudice sia tenuto a determinare la misura dell’assegno tenendo conto, non solo dei redditi delle parti, ma anche di altre circostanze non indicate specificatamente, né determinabili “a priori”. Queste vanno individuate, prosegue la Cassazione, in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito e idonei a incidere sulle condizioni economiche delle parti, la cui valutazione, peraltro, non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi. Pertanto, in una simile prospettiva, si ritiene ammissibile che il giudice di merito faccia ricorso a presunzioni semplici (nel concorso dei requisiti ex art. 2729 c.c.) nell’operare una valutazione comparativa delle situazioni dei coniugi in regime di separazione, al fine non solo del riconoscimento, ma anche della quantificazione dell’assegno di mantenimento. Non si configura, perciò, un’indebita sostituzione dell’iniziativa d’ufficio a quella della parte cui fa carico l’onere della prova, tenuto conto che tale onere può essere assolto anche mediante la prospettazione al giudice medesimo dell’esistenza di elementi presuntivi.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha effettuato una corretta comparazione dei redditi delle parti evidenziando come l’uomo fosse proprietario di una casa e la moglie solo di un terreno agricolo e di come la ex percepisse una somma certamente inidonea ad assicurarle il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (parametro che, si rammenta, vige ancora in ambito di separazione in quanto, a differenza del divorzio, questo presuppone la permanenza del vincolo coniugale). Ancora, la Corte territoriale ha accertato che l’ex marito, ad onta della dichiarazione da lui effettuata di essere disoccupato e nullatenente, risultava svolgere l’attività di procacciatore di affari, e che il medesimo, in sede di comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente del Tribunale, aveva ammesso l’esistenza di redditi in misura maggiore di quella dichiarata. Nel concorso degli elementi presuntivi suesposti, il giudice di appello ha dunque correttamente valorizzato, al fine di trarne elementi di convincimento ex art. 116 c.p.c., anche la mancata produzione, da parte dell’appellato, delle dichiarazioni dei redditi aggiornate. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

Lucia Izzo news Studio Cataldi 22 febbraio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/29278-mantenimento-assegno-piu-alto-alla-ex-se-il-marito-non-dichiara-i-redditi.asp▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ASSEGNO DI MANTENIMENTO FIGLI

Divorzio: per i figli vale sempre il tenore di vita

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 3922, 19 febbraio 2018.

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_29277_1.pdf

Il noto addio al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, che non rientra più nei parametri per la concessione dell’assegno divorzile all’ex, non riguarda i figli, i quali quindi, in caso di divorzio dei genitori, hanno diritto a mantenere il medesimo tenore di vita del quale godevano quando mamma e papà erano ancora una coppia. Sul punto la Corte di cassazione non lascia più adito a dubbi, ma, con la sentenza afferma chiaramente che “i figli hanno il diritto di mantenere il tenore di vita loro consentito dai proventi e dalle disponibilità concrete di entrambi i genitori, e cioè quello stesso che avrebbero potuto godere in costanza di convivenza”.

La determinazione del mantenimento. Per quanto riguarda la determinazione in concreto del mantenimento, poi, i giudici hanno precisato che essa non può basarsi solo sui costi necessari al mero sostentamento dei figli, ma deve essere parametrata anche su quelli che rispondono a esigenze connesse “all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale”.

Nel caso di specie, così argomentando, i giudici hanno respinto il ricorso proposto da un padre avverso la decisione della Corte d’appello di L’Aquila di determinare in 600 euro l’assegno dovuto per il mantenimento dei due figli, conviventi con la madre, e di porre interamente a suo carico il mantenimento del figlio con lui convivente.

Per la Cassazione il giudizio circa la congruità del contributo costituisce un giudizio di merito rispetto al quale, comunque, va tenuto conto di tutto quanto sopra detto con riferimento ai costi da considerare nella sua determinazione e ai parametri posti alla base della stessa.

Avv. Valeria Zeppilli news Studio Cataldi 22 febbraio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/29277-divorzio-per-i-figli-vale-sempre-il-tenore-di-vita.asp

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 6, 21 febbraio 2018

  • Rapporto CISF 2017 – il dibattito prosegue.

  • Relazioni educative e nuovi giochi relazionali tra le generazioni. Contributo rivisto, integrato e riadattato a partire dall’intervento svolto dalla Prof.ssa Marina D’Amato (Università Roma3) in occasione della presentazione del Nuovo Rapporto Cisf 2017, “Le relazioni familiari nell’era delle reti digitali”, tenutosi il 25 gennaio 2018 a Roma, con il Patrocinio e presso la sede AGCOM.

newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0618_allegato1.pdf

  • Trentino, safer internet day, safer internet month. Un mese per riflettere sulla sicurezza della navigazione del web per i minori in Corrispondenza del Safer Internet Day, giornata internazionale dedicata alla sicurezza della rete per i minori (il 6 febbraio di ogni anno), la Provincia autonoma di Trento ha promosso un intero mese di sensibilizzazione sul tema, fino al 6 marzo 2018. L’iniziativa si presenta strettamente collegata al tema del Nuovo Rapporto Cisf 2017, e conferma la centralità dei media digitali nel vivo delle relazioni familiari e sociali.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0618_allegato4.pdf

  • La famiglia ai tempi di wapp: ingiusto demonizzare la rete. Così si intitola l’articolo pubblicato sulla Tribuna di Treviso sabato 17 febbraio 2018, a commento della presentazione del Rapporto Cisf 2017 tenutasi presso la Libreria Paolina di Treviso venerdì 16 febbraio 2018, con una relazione del direttore Cisf (Francesco Belletti) e l’intervento del Presidente del Forum provinciale delle associazioni familiari, Francesco Gallo.

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  • Londra: un centro per accompagnare le coppie interculturali. Il London Intercultural Couple Centre [vai al sito – in inglese] offre servizi specialistici di terapia e di mediazione familiare per coppie e famiglie interculturali, in un contesto, quale quello di Londra, in cui si prevede che entro il 2030 metà delle persone saranno straniere. Un modello di grande interesse anche per il nostro Paese, dove la presenza di persone non italiane è molto minore, ma dove le coppie e le famiglie “miste” (interculturali) sono già un laboratorio di integrazione e di dialogo estremamente innovativo, non privo di rischi e difficoltà. www.tcfp.org.uk/the-london-intercultural-couples-centre

  • Regione Piemonte: rapporto sull’assistenza familiare a persone non autosufficienti. L’assistenza sanitaria e socio-assistenziale delle persone non autosufficienti rappresenta una delle grandi sfide che la società italiana si trova oggi ad affrontare. L’Italia è in profondo ritardo nel riformare il sistema di servizi pubblici rivolti alle persone non autosufficienti. Il sistema di cura continua quindi a reggersi in larga parte sul contributo delle famiglie degli anziani non autosufficienti. La Regione Piemonte per questo ha commissionato un’indagine propedeutica allo sviluppo di un intervento di sistema nell’ambito dell’assistenza familiare. Lo scopo è di fornire informazioni e materiali aggiornati che contribuiscano a migliorare le azioni della Regione in materia di assistenza alle persone non autosufficienti e di lavoro di cura, attraverso la ricognizione e l’analisi critica di esperienze e buone prassi realizzate sul territorio piemontese a partire dal 2010; l’individuazione di soluzioni innovative e sostenibili nel tempo a supporto delle famiglie e delle reti locali; l’individuazione delle condizioni che possano favorire lo sviluppo di interventi e soluzioni efficaci ed efficienti e un ripensamento dell’assistenza familiare che valorizzi la domiciliarità come modalità di intervento.

www.regione.piemonte.it/diritti/web/dwd/pariopp/indagine_ass_familiare.pdf

  • Fisco e servizi, alle famiglie serve sostegno. Un intervento del Cisf (intervista a Pietro Boffi)

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0618_allegato3_v2.pdf

su Gazzetta d’Alba del 13 febbraio 2018 sulla condizione delle famiglie in Italia, in occasione del ciclo di incontri, a cura dell’Ufficio Diocesano Famiglia di Alba, sul tema “Interpellati dalla fragilità. Orientamenti di Pastorale Familiare alla luce di Amoris lætitia”

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Nel secondo appuntamento, (relatore Francesco Belletti), in collaborazione con il Centro Culturale San Paolo, verrà affrontato il tema del ruolo e dello spazio che le reti digitali e social hanno all’interno delle relazioni familiari, a partire dal Nuovo Rapporto Cisf 2017. Le relazioni familiari nell’era delle reti digitali (Edizioni San Paolo). Prossimi appuntamenti, sempre ad Alba, nei venerdì di 16 marzo, 20 aprile, 18 maggio, 8 giugno 2018.

  • Ultimi arrivi dalle case editrici.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0618_allegatolibri.pdf

  • Effatà, Amarsi e capirsi. Essere liberi nell’amore, Aceti E.

  • Armando Editore, Identità fluide. Gruppo e ricerca con i giovani adulti, Lo Re E., Bestazza R.

  • Castelvecchi, Santi, eroi e brava gente. Sociologia della devianza virtuosa, Merlo V.

  • Cittadella Editrice, La vera storia di Peter Pan. Un bacio salva la vita, Salonia G. (ed.)

  • Donati Pierpaolo, Generare un figlio. Che cosa rende umana la generatività? Cantagalli, Siena, 2017, Da tempo si stanno diffondendo varie modalità di avere un figlio, che prescindono dalla relazione fra due genitori naturali, mediante tecniche di laboratorio che combinano i gameti maschili e femminili ricevuti da varie persone. Ci si chiede allora: in queste condizioni, chi o che cosa genera un figlio? Chi è “genitore”? Lo è chi dona il materiale biologico, o lo sono i tecnici del laboratorio, o chi si assume il compito di prendere con sé e allevare il nascituro? La risposta, dice l’autore, deve essere data dal punto di vista del figlio, e non solo dal lato della genitorialità. L’identità personale del figlio giace nella relazione fra coloro che lo hanno generato. Chi genera non sono gli individui come tali; chi genera è la loro relazione. Questo è il punto che bisogna comprendere: ciò che qualifica come umana la generazione di un figlio è la struttura uomo-donna e la qualità intersoggettiva di quella relazione. Infatti, per portare i cambiamenti indotti nella procreazione dalla tecnologia ad essere virtuosi e non patologici, occorre prendere atto che le relazioni sono una cosa seria, cioè sono il fondamento della nostra realtà umana, in tutte le sue dimensioni, culturali, psicologiche, sociali, giuridiche. Il rischio che denuncia l’autore è allora quello che le moderne tecnologie finiscano per frantumare, sbriciolare le relazioni, rimuovendo così anche quello che definisce l’”enigma della relazione tra generante e generato”, da cui in definitiva dipende la nostra personale identità.

  • Specializzarsi per la famiglia.

  • Diritto delle relazioni familiari nella prospettiva nazionale ed europea. Il corso di Alta Formazione in Diritto delle Relazioni Familiari nella Prospettiva Nazionale ed Europea organizzato dall’AMI (Associazione degli Avvocati Matrimonialisti) per la tutela dei minori e della persona prenderà il via a Roma il prossimo 15 marzo 2018 e si concluderà il 31 gennaio 2020, previa concessione dei crediti formativi da parte del Consiglio Nazionale Forense.

www.altaformazioneami.it/images/pdf/bandoeregolamentoultimi.pdf

www.ami-avvocati.it/wp-content/uploads/2017/10/Corso-di-Alta-formazione-per-sito-ami.pdf

Per info e iscrizione http://www.altaformazioneami.it

  • Save the date – dall’Italia e dall’estero

  • Nord Concerto per la vita, in occasione della 40.a Giornata per la Vita, promosso da Centro Ambrosiano di aiuto alla Vita, Associazione a Piccoli Passi, Fondazione Ratti Welcher, Milano, 25 febbraio 2018. http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0618_allegato5.jpg

Alzheimer senza paura L’arte di parlare con chi rischia di perdere la memoria, incontro promosso da Gruppo Anchise e ScopriCoop, Milano, 6 marzo 2018.

www.formalzheimer.it/wp-content/uploads/2018/02/2018marzo6COOP.pdf

  • Centro: Tra segregazione e accoglienza: accolti.it. Per un progetto nazionale per l‘accoglienza della disabilità psichica, promosso dall’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute con il Tavolo Nazionale sulla salute mentale, Roma, 21 febbraio 2018.

  • http://salute.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/26/2018/01/29/Programma_20180221.pdf

La povertà minorile ed educativa. Dinamiche territoriali, politiche di contrasto, esperienze sul campo, presentazione della ricerca realizzata da Compagnia di San Paolo, Fondazione Banco di Napoli e SRM, Roma, 27 febbraio 2018.www.sr-m.it/wp-content/uploads/2018/02/programma_27-02-18.pdf

  • Sud Il fenomeno dell’immigrazione. Workshop teorico-pratico, promosso da Ordine degli assistenti sociali della regione Calabria, Cooperativa il Ponte, dr.ssa Teresa Perri, Pizzo Calabro (Vibo Valentia), 17 marzo 2018.

www.cnoas.it/cgi-bin/cnoas/vfile.cgi?i=DDCDHDTCJCVDXDZHWCFXTD&t=brochure&e=.pdf

  • Estero Student Sexual Health and Well Being: Working in Partnership to Improve Sexual Health Services for those Attending University or FE Colleges, simposio organizzato da Public Policy Exchange, Londra, 8 marzo 2018.

www.publicpolicyexchange.co.uk/media/events/flyers/IC08-PPE_flyer.pdf

Iscrizione alle newsletter http://c«»isf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/febbraio2018/5067/index.html

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CONSULENTI DELLA COPPIA E DELLA FAMIGLIA

Il Consulente Familiare anno XXIX, n. 1 marzo 2018

Organo dell’Associazione italiana Consulenti Coniugali e Familiari A.I.C.C. e F.

  • Editoriale. Maurizio Qualiano

  • Lettera della Presidente. Rita Roberto

  • Compleanno della Legge 4 del 2013. Comunicato stampa COLAP

  • Psicologi: tutti sanitari! La nuova riforma degli Ordini professionali sanitari

  • L’AICCeF all’Exposcuola di Padova. Gabriella Tognon

  • Dossier: La diversità come concetto sociologico e relazionale

a cura di Francesco Belletti e Rita Roberto

  • Essere Consulenti familiari Sergio Pepe, Mercedes Indri De Carli

  • A proposito di famiglia Ivana De Leonardis

  • Letto e visto per Voi Licia Serino, Davide Monaci

  • Lettere all’Aiccef Tiziana De Marco

  • Notizie Aiccef Roma, Toscana, Vittorio Veneto, Veneto

www.aiccef.it/it/canali-tematici/fotogallery

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CONSULTORI FAMILIARI

Roma. Al Quadraro. Educazione dei figli adolescenti, a rischio la tenuta di coppia.

La psicologa e psicoterapeuta Natalia Perotto, operatrice nelConsultorio diocesano Al Quadraro racconta l’esperienza di Marco e Lucia, genitori di due ragazzi, il cui rapporto di coppia è stato messo a dura prova dall’incapacità di attuare una strategia educativa efficace. Segue

Consultorio diocesano Al Quadraro pubblicato il 23 febbraio 2018

www.romasette.it/educazione-dei-figli-adolescenti-rischio-la-tenuta-coppia

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Trento. Progetto Pinocchio

La Giunta Provinciale di Trento: omissis in riferimento al consultorio Ucipem, per implementarne la funzione di prevenzione e sostegno della genitorialità fragile, in via sperimentale si propone che il progetto “Pinocchio” rientri nell’ambito della programmazione socio-sanitaria.

Comunicato stampa Provincia autonoma di Trento 22 febbraio 2018

www.regioni.it/dalleregioni/2018/02/22/trento-disabilita-eta-evolutiva-salute-mentale-e-dipendenzdie-le-direttive-2018-551622

Vittorio Veneto Trasmissione radiofonica

Tre Consulenti familiari hanno condotta una trasmissione radiofonica nella Rubrica Famiglia oggi di Radio Palazzo Carli di Pordenone. E’ uno spazio di circa una ventina di minuti in cui, con il sistema dell’intervista ad un ospite, si parla di famiglia. A seconda della competenza specifica dell’ospite, i temi trattati variano, ruotando sempre attorno alle tematiche che riguardano la famiglia nel suo complesso.

Nell’arco temporale in cui la trasmissione è andata in onda, le materie che sono state affrontate, in maniera semplice e con la consapevolezza di non poter essere esaustivi, sono state molteplici. Si è parlato di famiglia patriarcale, di emigrazione femminile nella nostra storia e di immigrazione, di contratti e consumatori, di Famiglia e territorio, di Famiglia e diritto (famiglia di fatto; la promessa di matrimonio; il matrimonio, diritti ed obblighi; affido e genitorialità; separazione e divorzio mantenimento di coniuge e figli, responsabilità genitoriale, modifica delle condizioni di separazione, riconciliazione, alimenti, amministratore di sostegno), di Famiglia e psicologia, di coppie e convivenze, di figli, di affettività e relazione, di invecchiamento e disturbi cognitivi, di cure palliative e di perdite, di strumenti di supporto come il Centro di consulenza familiare Ucipem di Vittorio Veneto e dei Gruppi di parola

La trasmissione è a cura dell’associazione di volontariato denominata Forum Famiglie Sacile (presidente sig. Lucio Busetto). www.radiopalazzocarli.org/conduttori/spagnol.html

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DALLA NAVATA

II Domenica di Quaresima – Anno B –25 febbraio 2018

Gènesi 22, 18 «Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».

Salmo 116, 10 Ho creduto anche quando dicevo: «Sono troppo infelice».

Romani 08, 31 Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?

Marco 09, 10 Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Ascoltate lui, il Figlio amato. Commento di Enzo Bianchi, priore emerito nel convento di Bose (BI)

La seconda domenica di Quaresima è tradizionalmente la domenica della trasfigurazione di Gesù, ovvero il polo opposto alla prima dedicata alle tentazioni di Gesù. Quest’anno leggiamo il racconto presente nel vangelo secondo Marco e cerchiamo di mettere in evidenza le particolarità di questa narrazione rispetto a quella degli altri sinottici. Iniziamo contestualizzando il racconto di questo evento, che viene collocato durante il ministero di Gesù, dopo la svolta della confessione di Pietro circa l’identità messianica di quel rabbi e profeta che annunciava la venuta del regno di Dio (cf. Mc 8,29). Marco sottolinea che dopo quella dichiarazione, sulla quale Gesù impose l’obbligo del silenzio (cf. Mc 8,30), egli cominciò (érxato) a insegnare con parrhesía (cf. Mc 8,32) che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molte cose, essere rifiutato dagli anziani, dai grandi sacerdoti, dagli scribi, poi venire ucciso e dopo tre giorni risuscitare (cf. Mc 8,31).

Questo insegnamento è seguito da una promessa solenne: “Amen, vi dico che alcuni qui presenti non gusteranno la morte prima di aver visto il regno di Dio venuto con potenza” (Mc 9,1). Parole enigmatiche, che riguardavano certamente i discepoli che ascoltavano Gesù, ma riguardano anche noi che oggi leggiamo il vangelo. Dunque, confessione di Pietro, profezia di Gesù sulla sua passione, morte e resurrezione e promessa della visione del regno di Dio sono ciò che precede di sei giorni l’evento della trasfigurazione. Nel giorno della creazione dell’uomo (cf. Gen 1,26-31), l’uomo Gesù è rivelato dal Padre come il Figlio amato, colui al quale deve andare l’ascolto.

Per questo Marco precisa: “Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli”. Gesù prende e porta in alto, con sovrana e libera iniziativa, i tre discepoli più vicini a lui, facenti parte del gruppo dei Dodici ma separati dagli altri in alcune occasioni, per essere testimoni privilegiati di esperienze uniche: la resurrezione della figlia di Giairo (cf. Mc 5,37-43), la trasfigurazione e poi la de-figurazione, l’agonia al Getsemani (cf. Mc 14,32-42). Tre situazioni vissute da Gesù in disparte, in una solitudine condivisa solo con i tre prescelti per entrare nella sua intimità con il Padre. Si potrebbe dire che Gesù se li carica sulle spalle e li porta in alto, su un monte, luogo della rivelazione di Dio e della sua teofania; monte che la tradizione antica ha individuato nel Tabor (Tab ‘or, “vicino alla luce”).

Si potrebbe dire che Gesù se li carica sulle spalle e li porta in alto, su un monte, luogo della rivelazione di Dio e della sua teofania; monte che la tradizione antica ha individuato nel Tabor (Tab ‘or, “vicino alla luce”).

Ed ecco avvenire la rivelazione: “Gesù fu trasfigurato (passivo divino) davanti a loro”. Un’azione di Dio muta le sembianze visibili di Gesù, in modo che egli sia visto altrimenti. Matteo cerca di esprimere questo mutamento scrivendo che “il suo volto brillò come il sole” (Mt 17,2). Luca attesta che “l’aspetto del suo volto divenne altro” (Lc 9,29), mentre Marco allude con molta discrezione al mutamento avvenuto, precisando però che “le sue vesti divennero splendenti, bianchissime”, di un biancore che nessuno sulla terra potrebbe dare alle vesti, essendo quella un’azione che solo Dio può compiere. Siamo di fronte al mistero da adorare, senza pretendere di spiegarlo o anche solo di narrarlo. Anche il profeta Isaia nell’ora della vocazione aveva confessato: “Ho visto il Signore” (cf. Is 6,5), alludendo a tale evento ineffabile con l’immagine del manto di Dio che riempiva il tempio (cf. Is 6,1).

Ciò che è avvenuto resta indicibile, e anche quando i padri della chiesa interpreteranno questo biancore splendente ricorrendo alla metafora delle “energie divine increate”, presenti nel corpo di Cristo, approfondiranno il mistero ma non lo descriveranno. Il bianco è il colore della luce, è il colore del mondo celeste (cf. Dn 7,9), del cielo aperto, e nulla sulla terra vi si avvicina o può produrlo. Sono le creature del cielo, gli angeli a essere luminosi, vestiti di bianco, e solo Mosè ha avuto un volto luminoso che rifletteva la luce, avendo visto Dio, Colui che era la luce (cf. Es 34,29-35). Gesù non riflette la luce di Dio, ma grazie all’azione del Padre è luce divina, è la luce del Figlio amato.

In questa visione apocalittica si fanno presenti Elia e Mosè, i quali conversano con Gesù: Elia, colui che secondo la profezia di Malachia precederà la venuta del Signore (cf. Ml 3,23-24), e Mosè, il profeta escatologico cui va rivolto l’ascolto (cf. Dt 18,18), diventano i testimoni di Gesù. Rappresentano la profezia e la legge che, concordi, riconoscono in Gesù il loro pieno compimento. Gesù dunque non è Elia redivivo (cf. Mc 6,15), né Mosè, né uno dei profeti ma, come dichiara la voce venuta dal cielo, è il Figlio, l’amato, al quale deve andare l’ascolto. Elia, che riassume in sé tutti i profeti, vede in Gesù colui del quale tutti avevano profetizzato; Mosè, che aveva chiesto di vedere la gloria di Dio (cf. Es 33,18), è finalmente esaudito. La conversazione tra Gesù, Elia e Mosè è un dialogo di concordanze, di convergenze, di compimenti. Marco non ci dice il tema di questo dialogo – a differenza di Luca, che indica “l’esodo” di Gesù come l’argomento della conversazione (cf. Lc 9,30) – ma testimonia la continuità della fede, l’accordo tra antica e nuova alleanza, la profezia e il suo compimento. Il messaggio è dossologico!

Allora Pietro interviene, forse anche a nome degli altri, e dice a Gesù, chiamandolo “rabbi”, che la situazione di cui sono testimoni è bellezza e beatitudine. Egli vorrebbe fissare e prolungare questa condizione e nel suo entusiasmo è disposto a costruire tre tende, non per sé e per gli altri due discepoli, ma per Gesù, Elia e Mosè. Egli è forse consapevole di vedere il regno di Dio venuto con potenza? Oppure quello era solo un momento di rivelazione e di illuminazione, l’esperienza di una presenza elusiva di Dio in Gesù? In ogni caso, Pietro balbetta, prende la parola, senza sapere bene cosa dice, perché è preda dello spavento, come gli accadrà anche nell’ora dell’agonia di Gesù, al Getsemani. Le sue sono parole comunque inadeguate rispetto al mistero che sta contemplando, segno della venuta del tempo messianico, del regno di Dio venuto nella carne di Gesù.

E così una nube avvolge i tre discepoli nella sua ombra. È la nube della Shekinah, della Presenza, è la dimora di Dio che nell’esodo è il segno della sua gloria. Quella nube che stava sul Sinai, che aveva guidato il popolo nel deserto e che aveva riempito il tempio di Gerusalemme fissandovi la dimora di Dio, ora qui è presenza divina, gloria del Figlio che, avvolgendo i tre discepoli, fa loro ascoltare la parola del Padre: “Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: ‘Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!’ (cf. Sal 2,7; Gen 22,2; Dt 18,18)”. Se nel battesimo al Giordano la voce del Padre era risuonata solo su Gesù, (cf. Mc 1,11), qui la rivelazione è per i tre discepoli: Gesù è il Figlio, è veramente l’unico Figlio amato e a lui va l’ascolto. Shema’ Jisra’el (Dt 6,4): l’invito rivolto a Israele ad ascoltare Dio diventa qui invito ad ascoltare Gesù. Ascoltare lui, non le proprie paure, non i propri desideri, non le proprie immagini o le proprie proiezioni su Dio. Anche le sante Scritture (Mosè ed Elia) devono essere ascoltate attraverso di lui, che secondo il quarto vangelo è la Parola di Dio rivolta verso il Padre, la Parola che è Dio (cf. Gv 1,1).

“E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro”. La narrazione dell’evento termina in modo brusco. I discepoli si guardano attorno e non vedono più nessuno, se non Gesù, il Gesù totalmente umano, umanissimo, che avevano sempre visto, il Gesù loro rabbi e profeta che avevano seguito. Nulla di ulteriore appariva in Gesù, ma quella trasfigurazione di cui erano diventati testimoni resterà nei loro cuori come enigma e poi, dopo la Pasqua, come mistero. Pietro lo ricorderà nella sua Seconda lettera, rievocando la propria qualità di “testimone oculare della sua gloria sull’alta montagna” (cf. 2Pt 1,16-18).

Dopo la prima domenica di Quaresima in cui abbiamo contemplato Gesù tentato dal demonio, con grande sapienza l’ordo liturgico ci fa contemplare Gesù trasfigurato nella gloria del Padre. Siamo così preparati alla memoria della sua agonia nell’orto degli Ulivi, avvenuta alla vigilia della sua passione, e poi alla sua resurrezione dai morti, quando il Padre lo farà rialzare alla vita per sempre. Come Pietro e gli altri discepoli tentiamo di seguire Gesù, pur non comprendendolo sempre ed essendo incapaci di restare anche solo vigilanti accanto a lui. Ma Gesù rimane fedelmente “con noi”, se almeno tentiamo di accogliere la voce del Padre che ci chiede di ascoltarlo.

http://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12109-ascoltate-lui

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DIRITTO DI FAMIGLIA

Separazione e divorzio: ultime novità

Tutte le novità in materia di crisi di coppia tra marito e moglie dopo la sentenza di separazione e quella di divorzio: gli effetti della sentenzaGrilli della Cassazione e i nuovi orientamenti.

Se c’è una materia che, per anni, è rimasta sempre uguale a sé stessa è il diritto di famiglia. Dalla riforma avvenuta nel 1975 [Legge n. 151/1975; Legge n. 39/1975], anticipata dall’introduzione nel 1970 del divorzio [Legge n. 898/1970], poco è cambiato fino al 2012. Quasi quarant’anni di sostanziale staticità nella gestione dei conflitti tra coniugi. Fino al 10 maggio 2017 [Cass. Sent. n. 11504, 10.05.2017], quando la Cassazione ha stravolto le regole sulla determinazione e quantificazione dell’assegno divorzile (il mantenimento cioè che viene fissato con la sentenza di divorzio). Da quel giorno, quotidianamente la Cassazione sta tentando di chiarire meglio quali sono i nuovi principi a cui attenersi e, in definitiva, le ultime novità in materia di separazione e divorzio.

Breve storia del diritto di famiglia. Volendo ripercorrere una breve storia, ricordiamo solo che nel 2004 sono state approvate le norme in materia di procreazione assistita [L. n. 40/20045]; nel 2006 sono state adottate le norme sull’affidamento del figlio che hanno stabilito, come regola, l’affidamento condiviso (al posto di quello esclusivo) [L. n. 54/2006.]. Nel 2012 è arrivata l’equiparazione dei figli naturali con quelli legittimi (ora chiamati rispettivamente «figli nati fuori il matrimonio» e «figli nati dentro il matrimonio») [L n. 2019/2012 e D.lgs. n. 54/2014], mentre nel 2014 è stata introdotta la possibilità di separarsi o di divorziare davanti al sindaco o con un accordo firmato dai rispettivi avvocati (negoziazione assistita) [DL n. 132/2014]. Infine, nel 2015, è stato approvato il cosiddetto divorzio breve che riduce a più di un terzo i tempi per passare dalla separazione al divorzio: se, in precedenza, erano necessari 3 anni, oggi il termine si riduce a 6 mesi (se la separazione è stata consensuale) e a 1 anno dalla prima udienza del tentativo di conciliazione (se la separazione è stata giudiziale) [L. n. 55/2015].

La sentenza “Grilli” della Cassazione sull’assegno di divorzio. Se nulla è cambiato rispetto al passato per quanto riguarda l’assegno di mantenimento (quello cioè a seguito della separazione, il cui scopo resta ancora quello di garantire all’ex coniuge il medesimo tenore di vita che aveva durante la convivenza, con una sostanziale divisione dei redditi tra i due coniugi), dal 10 maggio del 2017 le cose cambiano radicalmente quando si divorzia. Col divorzio, infatti, cessa ogni legame tra moglie e marito e ciascuno dei due deve iniziare a badare a sé stesso. Questo significa che il coniuge con il reddito più elevato non è più tenuto a garantire all’ex – come invece è tutt’ora obbligatorio subito dopo la separazione – lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio, ma solo l’autosufficienza economica. Autosufficienza che consiste nel minimo per sopravvivere e sempre che lo stesso coniuge non sia in grado, per età e condizioni di salute, a procurarselo da solo.

Scopo dell’assegno di divorzio – ed è qui la grande differenza con quello di mantenimento – è garantire all’ex moglie l’autosufficienza economica (ossia mantenersi da sola). Il che non significa necessariamente (come una volta) essere benestante qualora il marito lo sia; vuol dire solo «poter badare a se stessa». Ben si potrà quindi avere una situazione in cui, a fronte di un uomo con un reddito di 10mila euro al mese per attività imprenditoriale, la donna riceve un mantenimento di solo mille euro al mese. Dall’altro lato, se la donna ha già un proprio reddito minimo o altre forme di ricchezza (mobili o immobiliari) o dispone di aiuti da parte dell’ex famiglia, non ha diritto all’assegno di divorzio.

Tanto per esemplificare, in una coppia dove l’uomo guadagna 5mila euro al mese e la moglie mille, se in passato alla donna sarebbe spettato un assegno di circa 1.500/2.000 euro mensili, oggi non le tocca più nulla.

L’ex coniuge che rivendica il mantenimento non deve però solo dimostrare di avere un reddito insufficiente a vivere, ma anche di non essere nelle condizioni di procurarselo, avendo ad esempio superato l’età per reimmettersi sul mercato del lavoro o per non essere nelle condizioni fisiche di cercare un impiego.

La conseguenza è che, allo stato attuale, possono ottenere l’assegno divorzile solo le donne che:

  1. Sono state casalinghe per tutto l’arco del matrimonio e ormai hanno raggiunto i 50 anni, età “limite” – secondo la Cassazione – oltre la quale è difficile immettersi nel mercato del lavoro;

  2. Per ragioni di salute non possono lavorare.

La Cassazione ha infatti escluso il mantenimento anche per la donna disoccupata, se giovane e con un bagaglio formativo tale da consentirle di cercare un posto. Non spetta quindi l’assegno di divorzio alla ex moglie che si rifiuta di cercare un lavoro. Il fatto di versare in stato di disoccupazione e in precarie condizioni economiche non è più una giustificante se le condizioni fisiche, mentali e la formazione della donna le consentono di cercare occupazioni. A complicare la vita alla donna si ci mette anche l’aspetto processuale, quello cosiddetto dell’onere della prova. È l’ex moglie, che rivendica l’assegno di divorzio, a dover dimostrare il mancato reperimento di un’entrata economica frutto della propria individuale attività lavorativa. In pratica, è lei che deve dar prova di una «disoccupazione incolpevole». Ed è incolpevole tutto ciò che non dipende dalla volontà del coniuge quando questi si è dato animo di cercare un lavoro e che le sue proposte non sono state accettate [Cass. Ord. n. 25697/2017].

Nulla cambia durante la separazione. La Cassazione ha chiarito che il criterio di calcolo dell’assegno di mantenimento resta invariato per quanto riguarda la separazione. In questo caso l’ex coniuge più benestante deve garantire all’altro – sempre che non abbia subito l’addebito – lo stesso tenore di vita che aveva durante la vita coniugale. In questo modo si offre a quest’ultimo un ombrello di salvataggio per provvedere alle proprie esigenze nella immediatezza della mutata situazione familiare.

In pratica, nel periodo intermedio che va tra la separazione e il divorzio, la Cassazione ha preferito lasciare le cose com’erano un tempo. Affinché il coniuge con un reddito più basso non si trovi, dalla sera alla mattina, senza possibilità di mantenersi e organizzare il proprio nuovo futuro, il coniuge col reddito più alto deve versargli un mantenimento tale da garantirgli lo stesso tenore di vita di cui godeva quando ancora conviveva col primo. Nel caso però di matrimonio lampo, durato pochi mesi, il giudice può escludere del tutto il mantenimento.

Nulla cambia per il mantenimento dei figli. La Cassazione ha chiarito che per i figli resta l’obbligo di versare il mantenimento garantendo loro lo stesso tenore di vita che avevano quando stavano con entrambi i genitori. Per loro quindi nulla cambia [Cass. Sent. n. 3922/2018].

La convivenza stabile con un’altra persona fa perdere il mantenimento. È ormai costante anche la giurisprudenza secondo cui perde il diritto all’assegno di mantenimento o a quello divorzile l’ex coniuge che va a vivere stabilmente con un’altra persona iniziando una vita di coppia basata sugli stessi principi del matrimonio (cosiddetta convivenza more uxorio, ossia la tradizionale coppia di fatto).

Quando una donna si può dire autosufficiente? Abbiamo detto che, dopo il divorzio, all’ex moglie non spetta più l’assegno di mantenimento se è autonoma e autosufficiente, a prescindere dal tenore di vita di cui ha goduto quando era ancora sposata. Il punto però è che ancora pochi tribunali hanno capito come capire se la moglie è autonoma e indipendente. Secondo il tribunale di Milano è autosufficiente la donna che riesce a procurarsi almeno mille euro al mese [Trib. Milano, Ord. del 22.05.2017]; tale è infatti la soglia di reddito sotto la quale spetta il gratuito patrocinio. La Cassazione ha però messo in guardia: nessun automatismo nella determinazione dell’indipendenza economica, bisogna valutare le situazioni concrete e reali [Cass. Sent. n. 3015, 7.02.2018]. Tale parametro va valutato con la «necessaria elasticità e la considerazione dei bisogni del richiedente l’assegno, considerato come persona singola e non come ex coniuge, ma pur sempre inserita nel contesto sciale». Per determinare la soglia dell’indipendenza economica – scrivono ancora i giudici supremi – occorre aver riguardo alle indicazioni provenienti, nel momento storico determinato, dalla coscienza collettiva e, dunque, né bloccata alla soglia della pura sopravvivenza né eccedente il livello della normalità. È il giudice, secondo la propria coscienza, a dover interpretare questi parametri così generici. Insomma, chi si aspettava di leggere un importo preciso, come invece avevano fatto i giudici di Milano, è rimasto sicuramente deluso. Anzi, sembrerebbe quasi che la Cassazione voglia proprio evitare definizioni nette come è avvenuto nel capoluogo lombardo. Ma è anche vero che a nulla vale la svolta contenuta nella sentenza dello scorso anno se ai giudici viene di nuovo data la libertà di definire quando la donna possa essere indipendente e quando non lo è, perché in un campo così libero c’è il rischio che si torni ai medesimi criteri di un tempo.

Per entrare più nel dettaglio e capire se e quando la moglie è autosufficiente – e come tale non può accampare pretese economiche – bisogna considerare i seguenti fattori:

  1. Il possesso di redditi di lavoro autonomo o dipendente; così ad esempio, se la moglie ha un contratto part time di 400 euro al mese e il marito guadagna 5mila euro al mese, il giudice potrebbe obbligare quest’ultimo a versare alla moglie solo 600 euro al mese e non già – come sarebbe successo con le vecchie regole – qualche migliaio. Infatti ora la ricchezza non va più “divisa” tra gli ex coniugi e la moglie può dirsi soddisfatta integralmente se ha quel minimo per vivere;

  2. Il possesso di altri redditi di natura mobiliare (ad esempio investimenti o quote societarie) o immobiliari (ad esempio l’affitto di fondi rustici o di appartamenti); così il coniuge che percepisce un canone di affitto da un immobile di sua proprietà, dato in locazione, potrebbe non aver diritto al mantenimento se tale importo gli garantisce l’autosufficienza;

  3. Le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo;

  4. La disponibilità di una casa di abitazione: così, se il giudice assegna la casa familiare alla donna e il marito viene costretto ad andare via, il mantenimento viene ridotto in proporzione al risparmio di spesa che da tale situazione l’ex moglie ottiene.

In crisi anche l’assegno di mantenimento. Di recente la Corte di Appello di Roma [decreto del 5.12.2017] ha stabilito che, se la moglie è autosufficiente non va mantenuta sin dal momento della separazione. E non importa se il reddito del marito è significativamente più elevato. Conta la capacità dei coniugi, dopo la cessazione dell’unione, di badare a se stessi con i propri mezzi: capacità che, se sussistente, esclude il diritto a percepire qualsiasi assegno da parte dell’ex più ricco.

La morte del coniuge in causa. A fronte di un contrasto, la Cassazione ha affermato [Cass. Sent. n. 4092/2018] che la morte del coniuge in pendenza di giudizio fa cessare la materia del contendere.

Redazione La Legger tutti 21 febbraio 2018

www.laleggepertutti.it/196184_separazione-e-divorzio-ultime-novita

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DIVORZIO

Dopo quanto tempo si può chiedere?

La riforma del 2015 ha abbreviato i termini intercorrenti tra la separazione e il divorzio. Il divorzio breve però è davvero più veloce rispetto a prima? La riforma 2015 che ha previsto il divorzio breve, accolta con favore dagli addetti ai lavori, è inefficace quando, per separarsi e divorziare, i coniugi intraprendono una vera e propria causa giudiziale. Vediamo perché.

Divorzio: il presupposto della separazione. L’ art. 3 della legge sul divorzio prevede, tra le cause di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, la separazione giudiziale o consensuale dei coniugi. La separazione, a differenza del divorzio, è una interruzione non definitiva del matrimonio, per dare la possibilità ai coniugi di tornare sui propri passi e riconciliarsi. Nel momento in cui i coniugi decidono di separarsi formalmente, alcuni obblighi derivanti dal matrimonio come la fedeltà, la convivenza e il sostegno morale reciproco sono sospesi.

Altri obblighi invece, come quello di sostegno economico tra i coniugi, permangono. Il coniuge con maggiori possibilità economiche infatti può dover corrispondere un assegno di mantenimento all’ex, a meno che a quest’ultimo non sia stata addebitata la separazione (per infedeltà, violenza ai danni del coniuge, abbandono della casa coniugale etc.).

Separazione: procedure. I coniugi che decidono di separarsi possono scegliere tra due procedure:

  1. giudiziale

  2. consensuale

Separazione giudiziale. Questa procedura viene intrapresa quando i coniugi non riescono ad accordarsi. I casi più frequenti di conflitto hanno a che fare con l’affidamento dei figli e la divisione dei beni. Il procedimento di separazione giudiziale è un processo vero e proprio di competenza del Tribunale, la cui durata quindi non si può prevedere.

Separazione consensuale. Trattasi di una procedura semplificata, che si conclude in tempi decisamente più brevi, perché i coniugi si sono accordati su ogni aspetto. La riforma, oltre al tradizionale procedimento di separazione consensuale da intraprendersi davanti al Tribunale, ha previsto la possibilità di separarsi in Comune o con una negoziazione assistita a cui devono presenziare gli avvocati dei coniugi.

Divorzio breve. La riforma del 2015 ha introdotto il divorzio breve, così definito perché ha ridotto i termini, decorsi i quali, si può divorziare. I termini per divorziare dopo la riforma sono:

  1. un anno dalla separazione giudiziale;

  2. sei mesi dalla separazione consensuale.

La sospensione dei termini di divorzio. I termini di 6 mesi e di 1 anno per poter chiedere il divorzio possono essere sospesi nel momento in cui i coniugi decidono di riconciliarsi mentre sono separati o successivamente. La riconciliazione si desume da tutte quelle condotte che si pongono in contrasto con la volontà di separarsi (coniugi che tornano a convivere insieme stabilmente).

Divorzio immediato. La legge prevede, in casi tassativi, la possibilità di divorziare immediatamente. In questi casi infatti, per porre fine al matrimonio, non è necessario separarsi. Vediamo in quali casi è possibile:

  1. Matrimonio non consumato

  2. Condanne per reati familiari gravi (incesto, maltrattamenti, violenze, omicidio etc.)

  3. Annullamento o scioglimento di matrimonio celebrato all’estero

  4. Mutamento di sesso rettificato da sentenza passata in giudicato.

Divorzio: effetti giuridici. Dalla fine di un matrimonio derivano tutta una serie di conseguenze giuridiche molto rilevanti. I coniugi infatti non sono più tenuti a rispettare i doveri derivanti dal matrimonio. Discorso diverso invece per quanto riguarda i diritti, alcuni dei quali, anche se con opportuni correttivi, non cessano completamente.

Chi divorzia, ad esempio, non può vantare diritti ereditari. Vero però che, in presenza di certi presupposti, il coniuge con maggiori possibilità economiche può essere obbligato a corrispondere l’assegno di divorzio al coniuge che non riesce a mantenersi e ha obiettive difficoltà a trovare un lavoro.

Divorzio: procedure. I coniugi che decidono di divorziare possono scegliere tra due opzioni:

  1. giudiziale

  2. congiunto

Divorzio giudiziale. Si intraprende questa procedura quando i coniugi sono in disaccordo su qualche aspetto del divorzio. Questo tipo di divorzio prevede l’instaurarsi di una causa vera e propria innanzi all’autorità giudiziaria, per cui non è possibile stabilirne la durata a priori.

Divorzio congiunto. Procedura estremamente snella e veloce, che si conclude in un incontro o udienza davanti al Tribunale, in Comune o ricorrendo allo strumento della negoziazione assistita che richiede l’intervento dei difensori delle parti.

Il divorzio breve è davvero più veloce? La riforma del 2015 ha ridotto il precedente termine di tre anni decorrente dalla separazione per poter avanzare domanda di divorzio. Oggi quindi prima di divorziare sono necessari:

  1. Sei mesi di separazione ininterrotta (dalla comparsa dei coniugi innanzi al Presidente del Tribunale), se i coniugi si sono separati consensualmente;

  2. Un anno di separazione ininterrotta (dalla comparsa dei coniugi innanzi al Presidente del Tribunale), se i coniugi hanno intrapreso una causa di separazione giudiziale.

Occorre precisare a questo punto, che il giudizio di separazione consensuale si conclude in un’unica udienza fissata nel giro di qualche mese dal Presidente del Tribunale (entro 5 giorni da deposito del ricorso). Fissata l’udienza i coniugi dovranno comparire davanti al Presidente che, verificata la rispondenza degli accordi all’interesse dei figli, omologherà l’accordo.

Discorso diverso per quanto riguarda la separazione giudiziale che, come anticipato è una vera e propria causa, di cui è impossibile conoscere preventivamente la durata.

Si può concludere che la riforma del 2015 in realtà non ha ridotto di molto i termini necessari per porre fine al matrimonio, perché è intervenuta solo sul termine intercorrente tra separazione e divorzio. Per ridurre veramente i tempi necessari a divorziare, la legge avrebbe dovuto intervenire sul divorzio giudiziale in particolare, semplificando il rito e abbreviando i termini della procedura. Stesso discorso per quanto riguarda la separazione giudiziale, visto che anche la sua durata incide sui tempi in cui può essere presentata la domanda di divorzio. I risultati hanno deluso le aspettative.

Annamaria Villafrate Newsletter Giuridica Studio Cataldi 19 febbraio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/29247-divorzio-dopo-quanto-tempo-si-puo-chiedere.asp

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EUROPA

Il Parlamento Ue approva la risoluzione per le modifiche al regolamento 2201/2003

Procede, con taluni ritardi, il cammino verso la modifica del regolamento Ue n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale. Il Parlamento europeo ha approvato il 18 gennaio la risoluzione P8_TA-PROV(2018)0017 (risoluzione 2201) con la quale ha chiesto alla Commissione europea di procedere ad alcune modifiche della proposta iniziale, con l’obiettivo non solo di favorire procedure più rapide per le controversie transfrontaliere in materia di responsabilità genitoriale, ma anche di rafforzare la tutela dei diritti collegati all’interesse superiore del minore.

www.marinacastellaneta.it/blog/wp-content/uploads/2018/02/risoluzione-2201.pdf

Gli eurodeputati chiedono più spazio per la mediazione considerata strumento essenziale per la risoluzione delle controversie che hanno al centro il minore: questo sia nei casi di conflitti genitoriali transfrontalieri in materia di diritti di affidamento e di visita relativi al minore, sia nelle cause di sottrazione internazionale di minori. Centrale, poi, la limitazione di cause ostative al riconoscimento e, in questa direzione, il Parlamento precisa che il rifiuto di riconoscere una decisione perché manifestamente contraria all’ordine pubblico dello Stato membro interessato deve essere conforme al principio di non discriminazione fissato dall’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Marina Castellaneta 23 febbraio 2018

www.marinacastellaneta.it/blog/il-parlamento-ue-approva-la-risoluzione-per-le-modifiche-al-regolamento-22012003.html

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

«I blog che mi chiamano eretico? Conosco chi li scrive, non li leggo»

Si pubblicano in anteprima alcuni estratti dei colloquio che papa Francesco ha avuto con i gesuiti del Cile, avvenuto il 16 gennaio 2018 scorso, e del Perù, che ha avuto luogo il 19 gennaio 2018, durante il suo viaggio in Sud America.

[Tra i presenti, i padri Carlos e José Aldunate, fratelli di sangue, che hanno compiuto l’uno 101 e l’altro 100 anni. «Sono contento di vedere padre Carlos! È stato il mio direttore spirituale nel 1960, nel mio juniorato. José era il maestro dei novizi, poi lo fecero provinciale».]

Le conversazioni sono trascritte dal direttore, padre Antonio Spadaro, sul prossimo numero de “La Civiltà Cattolica”.

www.laciviltacattolica.it/articolo/dove-che-il-nostro-popolo-e-stato-creativo/

Santo Padre, quali sono state le grandi gioie e i grandi dispiaceri che lei ha avuto nel suo pontificato?

«Questo del pontificato è un periodo piuttosto tranquillo. Dal momento in cui in Conclave mi sono reso conto di quello che stava per succedere — una sorpresa istantanea per me —, ho provato molta pace. E fino ad oggi quella pace non mi ha lasciato. È un dono del Signore, di cui sono grato. E davvero spero che non me lo tolga. Le cose che non mi tolgono la pace, ma sì mi addolorano, sono i pettegolezzi. E a me i pettegolezzi dispiacciono, mi rattristano. Accade spesso nei mondi chiusi. Quando accade in un contesto di sacerdoti o di religiosi, a me viene da chiedere: ma come è possibile? Tu che hai lasciato tutto, hai deciso di non avere accanto una donna, non ti sei sposato, non hai avuto figli… vuoi finire come uno scapolone pettegolo? Oh, mio Dio, che vita triste!».

Quali resistenze ha incontrato e come le ha vissute?

«Davanti alla difficoltà non dico mai che è una “resistenza”, perché significherebbe rinunciare a discernere, cosa che invece voglio fare. È facile dire che c’è resistenza e non rendersi conto che in quel contrasto può esserci anche un briciolo di verità. Questo mi aiuta anche a relativizzare molte cose che, a prima vista, sembrano resistenze, ma in realtà è una reazione che nasce da un fraintendimento. Quando invece mi rendo conto che c’è vera resistenza, certo, mi dispiace. Alcuni mi dicono che è normale che ci sia resistenza quando qualcuno vuol fare dei cambiamenti. Il famoso “si è sempre fatto così” regna dappertutto, è una grande tentazione che tutti abbiamo vissuto. Le resistenze dopo il Vaticano II, tuttora presenti, hanno questo significato: relativizzare, annacquare il Concilio. Mi dispiace ancora di più quando qualcuno si arruola in una campagna di resistenza. E purtroppo vedo anche questo. Non posso negare che ce ne siano, di resistenze. Le vedo e le conosco. Ci sono le resistenze dottrinali. Per salute mentale io non leggo i siti internet di questa cosiddetta “resistenza”. So chi sono, conosco i gruppi, ma non li leggo, semplicemente per mia salute mentale. Se c’è qualcosa di molto serio, me ne informano perché lo sappia. È un dispiacere, ma bisogna andare avanti. Quando percepisco resistenze, cerco di dialogare, quando il dialogo è possibile; ma alcune resistenze vengono da persone che credono di possedere la vera dottrina e ti accusano di essere eretico. Quando in queste persone, per quel che dicono o scrivono, non trovo bontà spirituale, io semplicemente prego per loro. Provo dispiacere, ma non mi soffermo su questo sentimento per igiene mentale».

In quali riforme possiamo appoggiarla meglio?

«Credo che una delle cose di cui la Chiesa oggi ha più bisogno, e questa cosa è molto chiara nelle prospettive e negli obiettivi pastorali di Amoris lætitia, è il discernimento. Noi siamo abituati al “si può o non si può”. Ho ricevuto anch’io, nella mia formazione, la maniera del pensare “fin qui si può, fin qui non si può”. Non so se ti ricordi di quel gesuita colombiano che venne a insegnarci morale al «Collegio Massimo»; quando si venne a parlare del sesto comandamento, uno si azzardò a fare la domanda: “I fidanzati possono baciarsi?”. Se potevano baciarsi! Capite? E lui disse: “Sì, che lo possono! Non c’è problema! Basta però che mettano in mezzo un fazzoletto”. Questa è una forma mentis del fare teologia in generale. Una forma mentis basata sul limite. E ce ne portiamo addosso le conseguenze».

Che cosa dire (nella Compagnia) a coloro che vanno invecchiando e dietro loro vedono meno persone?

«Considerando la diminuzione di giovani e forze, si potrebbe entrare in desolazione istituzionale. No, non ve lo potete permettere. La desolazione ti tira verso il basso, è una coperta fradicia che ti tirano addosso per vedere come te la cavi, e ti porta all’amarezza, al disinganno. Io mi domando se Saverio, davanti al fallimento di vedere la Cina senza poterci entrare, fosse desolato. No, io immagino che egli si sia rivolto al Signore, dicendo: “Tu non lo vuoi, quindi ciao, va bene così”. Ha scelto di seguire la strada che gli veniva proposta, e in quel caso era la morte! Ma va bene! Come Saverio alle porte della Cina, guardate sempre avanti… Sa Dio!».

Vorrei ci dicesse qualche parola sul tema degli abusi sessuali. Siamo molto segnati da questi scandali.

«È la desolazione più grande che la Chiesa sta subendo. Questo ci spinge alla vergogna, ma bisogna pure ricordare che la vergogna è anche una grazia molto ignaziana. E quindi prendiamola come grazia e vergogniamoci profondamente. Dobbiamo amare una Chiesa con le piaghe. Molte piaghe… Ti racconto un fatto. Il 24 marzo, in Argentina è la memoria del colpo di Stato militare, della dittatura, dei desaparecidos, e Plaza de Mayo si riempie per ricordarlo. In uno di quei 24 marzo, mentre stavo per attraversare la strada, c’era una coppia con un bambino di due o tre anni, e il bambino correva avanti. Il papà gli ha detto: “Vieni, vieni, vieni qua… Attento ai pedofili!”. Che vergogna ho provato! Che vergogna! Non si sono resi conto che ero l’arcivescovo, ero un prete e… che vergogna! A volte si tirano fuori “premi di consolazione”, e qualcuno perfino dice: «Guarda le statistiche… il… non so… 70% dei pedofili si trova nell’ambito familiare, dei conoscenti. Poi nelle palestre, le piscine. La percentuale dei pedofili che sono preti cattolici non raggiunge il 2%, è dell’1,6%. Non è poi tanto…”. Ma è terribile anche se fosse uno solo di questi nostri fratelli! Perché Dio l’ha unto per santificare bambini e grandi, e lui li ha distrutti. È orribile! Bisogna ascoltare che cosa prova un abusato o un’abusata! Di venerdì — a volte lo si sa e a volte non lo si sa — mi incontro abitualmente con alcuni di loro. Il loro processo è durissimo, restano annientati. Per la Chiesa è una grande umiliazione. Mostra non solo la nostra fragilità ma anche, diciamolo chiaramente, il nostro livello di ipocrisia. È curioso: il fenomeno dell’abuso ha toccato alcune Congregazioni nuove, prospere. Lì l’abuso è sempre frutto di una mentalità legata al potere, che va guarita nelle sue radici maligne. Ci sono tre livelli di abuso che vanno insieme: abuso di autorità, sessuale, e pasticci economici. Il denaro c’è sempre di mezzo: il diavolo entra dal portafoglio».

Come vede che lo Spirito adesso stia muovendo la Chiesa verso il futuro?

«Riprendete in mano il Concilio Vaticano II, la Lumen gentium. Parlando ai vescovi cileni, li esortavo alla declericalizzazione. L’evangelizzazione viene fatta dalla Chiesa come popolo di Dio. A noi il Signore sta chiedendo di essere Chiesa in uscita, ospedale da campo… Una Chiesa povera per i poveri! I poveri non sono una formula teorica del partito comunista, sono il centro del Vangelo! È su questa linea che sento ci sta portando lo Spirito. Ci sono forti resistenze, ma per me il fatto che nascano è il segno che si va per la via buona. Altrimenti il demonio non si affannerebbe a fare resistenza».

a cura di Antonio Spadaro Corriere della Sera, 15 febbraio 2018

www.corriere.it/digital-edition/CORRIEREFC_NAZIONALE_WEB/2018/02/15/21/i-blog-che-mi-chiamano-eretico-conosco-chi-li-scrive-non-li-leggo_U43440290513919bJB.shtml

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LAVORATRICE MADRE

Quando è possibile il licenziamento

Le ipotesi di licenziamento durante il periodo protetto, fino a un anno di età del bambino, il periodo in prova, la ristrutturazione, la cessione o la cessazione del ramo d’azienda, l’outsourcing, il licenziamento disciplinare.

Non si può licenziare un dipendente durante:

  1. L’assenza dal lavoro per astensione obbligatoria e facoltativa, congedo di paternità, riposi giornalieri e permessi per malattia del bambino

  2. Nel cosiddetto periodo protetto ossia fino al compimento di 1 anno di età del bambino.

Indice

1 L’astensione e il rientro al lavoro

2 Il divieto di licenziamento

3 Le conseguenze del licenziamento

4 Quando è possibile licenziare la lavoratrice madre

4.1 1- Licenziamento disciplinare per colpa grave del lavoratore (giusta causa di licenziamento)

4.2 2- Licenziamento collettivo

4.3 3- Cessazione dell’attività aziendale

4.4 4- Ristrutturazione, esternalizzazione e cessione del ramo d’azienda

4.5 5- Scadenza del contratto a tempo determinato

4.6 6- Ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice era stata assunta.

4.7 7- Assunzione in prova con esito negativo della prova Segue

Redazione La legge per tutti 23 febbraio 2018

www.laleggepertutti.it/124128_lavoratrice-madre-quando-e-possibile-il-licenziamento

 

Donna e lavoro: senza figli ti promuovo

Alla tutela della maternità non si può rinunciare e l’aut aut del datore di lavoro è sempre illegittimo. Tra le varie prassi adottate dai datori di lavoro a tutela del rendimento economico della propria azienda ve n’è una tanto bizzarra quanto ormai frequente: la richiesta, alla propria dipendente, della sottoscrizione della rinuncia alla maternità.

Vuoi mantenere il posto di lavoro? Vuoi fare carriera e avere una promozione? Allora rifiuta il progetto di una gravidanza, quanto meno per alcuni anni.

La donna lavoratrice e forme di tutela. Il riconoscimento culturale e socio-politico della donna, si sa, è frutto di una conquista maturata nel tempo e la storia ne ha visto penalizzata la posizione su vari fronti, non da ultimo quello lavorativo. Chi storce(va) il naso nel vederle attribuiti ruoli di responsabilità, di vertice aziendale, chi esitava ad accordarle il medesimo stipendio spettante al collega di sesso maschile…sono solo esempi di una forma mentis che si è progressivamente evoluta ma che sembra non essere stata completamente digerita e fatta propria da tutti.

La prassi discriminatoria sul luogo di lavoro. E più le forme di tutela della donna a livello costituzionale, comunitario e nazionale si impongono a grandi caratteri in modo sempre più pregnante, insieme con le rivendicazioni di diritti di parità, uguaglianza e quote rosa, ecco il parallelo aumento delle differenze e, in sordina, delle ufficiose pratiche “di riparazione” dei datori di lavoro.

Una richiesta, più o meno cogente, alla propria dipendente di rinunciare ad una futura gravidanza in favore di un posto di lavoro o di uno scatto di carriera, in fondo, si basa su una libera scelta della donna. Questa, in via autonoma, preso atto delle condizioni e della policy di una determinata azienda (ricordiamo tutti la famosa clausola Rai che nel 2012 scatenò accese polemiche), decide liberamente se accettare o meno il pacchetto. Ragioni di economia e sviluppo aziendale portano il titolare a fare scelte orientate secondo il criterio del maggior profitto e rendimento dei propri dipendenti. E allora? E’ sbagliato? Quale il confine?

Insomma, trovata la legge, trovato l’inganno? Non proprio.

La posizione della Suprema Corte. La giurisprudenza della Suprema Corte ha ripetutamente escluso la legittimità del licenziamento della lavoratrice – neo mamma o con progetti di diventarlo- per motivazioni discriminatorie, non da ultima la nota sentenza di Cassazione Civile, Sezione Lavoro, n. 6575 del 5 aprile 2016). In detta pronuncia gli Ermellini sanciscono la nullità del licenziamento della lavoratrice motivato dal proposito della medesima di sottoporsi a pratiche di inseminazione artificiale. Il licenziamento fondato su tale base è da intendersi discriminatorio alla luce della corretta lettura della Direttiva Europea 76/207 CEE e successive modifiche, che vieta disparità di trattamento atte a costituire discriminazioni dirette fondate sul sesso. E tale discriminazione, afferma la Corte, contrariamente al motivo illecito ex art.1345 c.c. (che deve essere stato il solo ed unico motivo determinante ai fini del licenziamento) “opera obiettivamente, ovvero in ragione del mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore quale effetto della sua appartenenza alla categoria protetta ed a prescindere dalla volontà illecita del datore di lavoro”. Come a dire, la tutela della maternità presente o futura non è derogabile. Non è un diritto disponibile, non è rinunciabile e non si sceglie.

Si arriva al paradosso?

Ma, allora, ci si chiede: il diritto alla maternità avrebbe rango superiore rispetto al diritto di orientare la propria vita secondo le proprie inclinazioni e sulla base di scelte maturate in libertà e piena consapevolezza (passatemi la semplificazione, diritto alla carriera)? Se la Costituzione difende la donna attraverso la cristallizzazione dei principi di uguaglianza (art.3), di tutela della famiglia e della maternità (art. 31), e della lavoratrice madre (art.37, comma 1°), non sarebbe configurabile la violazione di questi medesimi diritti laddove alla dipendente fosse negato il potere di scelta e di rinuncia? Se così fosse ci si troverebbe, paradossalmente, di fronte ad interessi-beni giuridici, pur previsti dall’ordinamento costituzionale ma degni di una più debole protezione.

Chiaramente la risposta è no. Se così fosse si perderebbe di vista la ratio della composita normativa che disciplina l’argomento e sarebbero calpestati tutti i passi avanti che storicamente si sono conquistati.

La giurisprudenza non si spinge fin là ma tronca ab origine una possibilità di forzatura interpretativa e decreta che ciò che è illegittimo è semplicemente il porre la donna di fronte ad una scelta di questo tipo.

La donna lavoratrice potrà certamente scegliere la carriera in via esclusiva ma potrà farlo, quanto meno formalmente ed astrattamente, se la sua opzione di maternità non sia esplicitamente messa in discussione dal datore di lavoro.

Come poi riuscire a conciliare, in concreto, i due aspetti, ancora non è dato sapere.

Avv. Elisabetta Roli Newsletter Giuridica Studio Cataldi 19 febbraio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/29173-donna-e-lavoro-senza-figli-ti-promuovo.asp

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MATRIMONIO

Avvocati matrimonialisti, boom di matrimoni tra over 70 e badanti

E’ boom di nozze tra anziani e badanti, mentre tracollano quelle tra i giovani. “In Italia si registrano almeno 3mila matrimoni all’anno tra uomini che hanno superato i 70 anni e le proprie badanti” commenta all’Adnkronos, Gian Ettore Gassani, presidente dell’Ami, l’associazione matrimonialisti italiani.

Il dato, offre la misura dell’”esercito delle seconde nozze”, ricorda Gassani. Si tratta soprattutto di “uomini che non ci pensano proprio a rottamarsi: meno autonomi rispetto alle donne, non sanno rinunciare al ‘nido’ e quindi non hanno nessun problema a dire ‘sì’ per la seconda volta”, dice Gassani sottolineando come questo boom sia legato anche al cambiamento socio-culturale in Italia dove avanzano convivenze e single e diminuiscono i matrimoni. “Viagra, chirurgia plastica, procreazione assistita – prosegue il presidente Ami – hanno stravolto gli schemi consolidati dell’Italia e la terza età sembra scomparire”.

La crescita delle seconde nozze va letta in ogni caso insieme a un altro dato, ossia le circa 90mila separazioni e i 56.000 divorzi all’anno, ricorda l’avvocato e “il 20% di quest’ultimi ha più di 70 anni”.

Il boom dei matrimoni tra anziani dell’ultimo decennio mette in risalto ancora di più il “tracollo delle nozze tra giovani”. Rispetto al 1970 quando i matrimoni ammontavano a 470mila, nel 2015, ricorda il presidente Ami, “ne abbiamo appena superati 200mila”. 50 anni fa, “un ragazzo di 20 anni si accingeva a fare il ‘grande passo’ già al primo stipendio. Oggi l’età si è elevata di circa 9 anni: le donne mediamente si sposano a 31 anni, gli uomini a 33” spiega Gassani. Sempre che a quell’età, le coppie arrivino davanti all’altare, conclude “dal momento che alloggi proibitivi e lavoro precario, sono tra le principali cause che frenano i matrimoni tra giovani”.

Redazione Studio Cataldi 20 febbraio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/29260-avvocati-matrimonialisti-boom-di-matrimoni-tra-over70-e-badanti.asp

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NOTE PASTORALI

Germania: dai vescovi tedeschi un “aiuto orientativo” ai coniugi non cattolici

Dal Sinodo sui giovani alla trasparenza delle finanze ecclesiastiche, passando per la valutazione degli interventi della Chiesa tedesca per i rifugiati e i migranti, per i rapporti con le Chiese dell’Europa orientale e centrale senza perdere di vista i problemi pastorali e l’ecumenismo: l’assemblea plenaria della Conferenza episcopale tedesca (Dbk) terminata ieri a Ingolstadt ha trattato i temi in maniera esaustiva senza però dare delle risposte definitive davanti all’evoluzione della situazione politica nazionale e internazionale.

Infine, il cardinale Reinhard Marx, presidente della Dbk, nel corso della conferenza stampa conclusiva dell’assemblea, ha annunciato un “aiuto orientativo” che consentirà ai coniugi protestanti di ricevere la comunione a determinate condizioni. Si tratta di una “guida alla cura pastorale”, ha detto il cardinale. È indispensabile che prima dell’ammissione dei coniugi non cattolici “i pastori parlino con gli interessati della loro fede e assicurino che entrambi condividano la dottrina eucaristica cattolica”.

Il cardinale ha elogiato l’aiuto all’orientamento come “progresso positivo”, anche perché frutto di un “intenso dibattito”. Sul tema della condivisione economica nella gestione delle diocesi tedesche il cardinale Marx ha invitato i confratelli a rinnovare i loro sforzi per aumentare la trasparenza e il controllo sulle finanze della Chiesa. Il pubblico e i fedeli hanno diritto alla evoluzione positiva della Chiesa, ha affermato il porporato che si è lamentato del fatto che alcune diocesi erano ancora in ritardo nella pubblicazione dei loro bilanci.

Agenzia SIR 23 febbraio 2018

 

Diocesi di Como. Per l’attuazione del cap. VIII di AL: accompagnare, discernere e integrare le fragilità.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia.html

Separati e divorziati: in diocesi un nuovo percorso di accompagnamento per coppie in nuova unione.

Presentata ufficialmente 14 febbraio 2018 dal Vescovo, monsignor Oscar Cantoni, la Nota pastorale per l’attuazione del capitolo VIII di Amoris Lætitia. Il documento riguarda le situazioni “dette irregolari” e offre “vie di discernimento per l’accesso ai sacramenti e alla vita nelle comunità parrocchiali delle persone separate, divorziate, che vivono una nuova unione, da cui, magari, sono nati dei figli”.

Per sostenere chi si impegnerà in questo cammino verrà istituito un apposito “Servizio diocesano per situazioni di fragilità familiare”.

www.diocesidicomo.it/pls/como/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=37436

Accompagnare, discernere e integrare le fragilità Estratti Passim

Care sorelle e fratelli nella fede: pace e misericordia a tutti voi nel nome del Signore Gesù!

01. Scrivo a tutte le comunità della nostra Diocesi e ai loro pastori per incoraggiare nuovamente il cammino in favore della famiglia, accogliendo tutte le sfide e le opportunità che questo tempo ci offre. In particolare, dopo la lunga riflessione operata dalla Chiesa con i due Sinodi sulla famiglia celebrati nel 2014 e 2015 e l’Esortazione Apostolica Amoris Lætitia (AL) di Papa Francesco (19 marzo 2016), con il vivace dibattito che ne è seguito, intendo offrire alcune indicazioni per dare continuità a questo documento.

Nota 1. In diversi contesti, infatti, Francesco esorta i vescovi ad offrire proposte pratiche ed efficaci, dando precisi orientamenti.

(Al 199). “I dialoghi del cammino sinodale hanno condotto a prospettare la necessità di sviluppare nuove vie pastorali, che cercherò ora di riassumere in modo generale. Saranno le diverse comunità a dover elaborare proposte più pratiche ed efficaci, che tengano conto sia degli insegnamenti della Chiesa sia dei bisogni e delle sfide locali.”

(AL 300). “Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete… è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari … I presbiteri hanno il compito di accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo.”

03. (…) Infine, di fronte alle difficili situazione attraversate da tante famiglie, siamo invitati a mettere in atto tutte le risorse possibili per “rischiarare crisi, angosce e difficoltà”, anche accompagnando i coniugi dopo le rotture e i divorzi e servendosi, dove possibile, di centri di ascolto specializzati da stabilire nelle diocesi(231-252)

Nota 6 Ringrazio tutti i gruppi e le associazioni e anche i consultori di ispirazione cristiana presenti nel territorio della diocesi per il prezioso servizio svolto in favore delle famiglie in difficoltà. {tra cui UCIPEM.ndr}

04. La nostra diocesi ha già alle spalle un cammino lungo e fecondo di servizio a favore della famiglia. Vorrei però ricordare di mantenere una prospettiva ampia, che sostenga le proposte di pastorale giovanile (perché i nostri giovani non si sposano più?), l’educazione affettiva e sessuale fin dai primi passi della vita, l’impegno educativo più volte ribadito dai miei predecessori. (…) Un’ultima premessa. Alla fine di questa “nota pastorale”, ma come parte integrante di essa, ho voluto pubblicare i “Criteri fondamentali per l’applicazione del capitolo VIII di Amoris Lætitia indicati dai Vescovi della Regione pastorale di Buenos Aires già a pochi mesi dalla pubblicazione della Esortazione. Papa Francesco ha ribadito che tali criteri sono validi e preziosi per quel cammino di integrazione che la Chiesa vuole compiere nei confronti delle situazioni di fragilità nel campo della vita matrimoniale. (…).

08. È tuttavia possibile che un uomo o una donna separati dal coniuge, soprattutto se ancora giovani, nel momento in cui si accende in essi un sentimento profondo per una nuova persona e si presenta l’occasione di un nuovo legame, non riescano a rinunciare a questa possibilità di vivere un amore felice. A questo si aggiungano la presenza eventuale di figli da accompagnare nella crescita, le responsabilità della vita, dure da portare da soli, e altri motivi comprensibili, inclusi quelli economici. Così la persona, rimasta sola, inizia un nuovo rapporto affettivo di tipo coniugale (convivenza o matrimonio civile), pur sapendo trattarsi di un legame “irregolare”, perché contraddice l’indissolubilità del primo matrimonio. Si aprono allora altri scenari

15. Un ulteriore passaggio riguarda il pentimento in relazione al matrimonio precedente. La persona, ricordando che nessuno è “senza peccato”, si manifesta pentita per il fallimento del proprio matrimonio. È consapevole di essere venuta meno gli impegni familiari, della sofferenza arrecata al coniuge, ai figli e alla famiglia del primo matrimonio, nonché della confusione arrecata alla comunità cristiana e della contro-testimonianza offerta soprattutto alle giovani generazioni (AL 298). Di conseguenza si impegna a non serbare odio, rancore o risentimento alcuno nei confronti del coniuge, a percorrere nel limite del possibile una via di riconciliazione, nonché alla riparazione dei danni causati, sempre nel limite del possibile: per esempio iniziando, o continuando a provvedere, secondo giustizia, al coniuge e ai figli del primo matrimonio (AL 300)

Nota 17. È prezioso, a questo riguardo, il percorso di “mediazione familiare” proposto nei consultori o in centri specializzati.

16. Il quarto passo, il discernimento forse più delicato, riguarda l’irreversibilità della nuova unione. La nuova unione si deve manifestare consolidata nel tempo, con provata fedeltà e dedizione generosa da parte di entrambi. Con il nuovo coniuge devono essersi stabiliti solidi legami relazionali, con corrispondenti esigenze di giustizia e aspettativa da parte delle persone coinvolte (il compagno/a e gli eventuali figli nati dalla nuova unione). In forza di ciò la nuova unione risulta essere non solo concretamente, ma anche moralmente irreversibile: non sarebbe infatti possibile risolverla senza nuove colpe perché la rottura del legame costituirebbe un venir meno a elementari obblighi di giustizia, specie verso i figli nati dalla nuova unione (AL 298).

26. Un “Servizio diocesano” per le situazioni di fragilità familiare. Partendo dalla oggettiva difficoltà che l’accompagnamento di queste situazioni diverse e complesse porta con sé, AL244 suggerisce, specialmente in riferimento ai processi di nullità matrimoniale: “Sarà pertanto necessario mettere a disposizione delle persone separate o delle coppie in crisi, un servizio d’informazione, di consiglio e di mediazione, legato alla pastorale familiare, che potrà pure accogliere le persone in vista dell’indagine preliminare al processo matrimoniale”.(…)

27 La logica del “Servizio diocesano” deve essere quella della sussidiarietà e non della “sostituzione”: le persone vanno indirizzate alla loro comunità di appartenenza, magari anche accompagnate e facilitate nel farlo, verificando che trovino effettivamente accoglienza e disponibilità ad avviare un cammino.

  • Oscar Cantoni Vescovo della diocesi di Como 14 febbraio 2018

www.diocesidicomo.it/como/allegati/37436/Nota%20cap%208%20AL.pdf

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OMOFILIA

Nozione di ordine pubblico: decidono le Sezioni Unite

La parola alle Sezioni Unite Civili per stabilire se la trascrizione di un provvedimento con il quale è riconosciuta la genitorialità, acquisita all’estero, di una coppia dello stesso sesso, sia contraria all’ordine pubblico. Con ordinanza interlocutoria n. 4382/2018 depositata il 22 febbraio 2018, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha chiesto il deferimento alle Sezioni Unite in particolare per chiarire la nozione di ordine pubblico come limite al riconoscimento di provvedimenti stranieri (ordinanza).

www.marinacastellaneta.it/blog/wp-content/uploads/2018/02/ordinanza.pdf

La vicenda vede al centro una coppia di sposi dello stesso sesso che avevano chiesto la trascrizione nei registri dello stato civile del comune di Trento di un provvedimento della Superior Court of Justice dell’Ontario con la quale era accertata la genitorialità di uno dei due coniugi. I figli, nati da maternità surrogata in Canada, sono cittadini canadesi mentre i due genitori hanno la cittadinanza italiana e hanno contratto matrimonio in Ontario. La coppia aveva impugnato il diniego del Comune in Tribunale il quale aveva respinto la richiesta di trascrizione, mentre la Corte di appello di Trento ha riconosciuto l’efficacia nell’ordinamento italiano del provvedimento canadese, anche in ragione dell’interesse superiore del minore. Di qui l’impugnazione della decisione da parte del Ministero dell’interno e del sindaco di Trento.

La Suprema Corte ha chiesto l’intervento delle Sezioni Unite e questo in particolare per chiarire la nozione di ordine pubblico ai sensi della legge n. 218/1995. Questo perché la Corte territoriale ha richiamato una nozione molto circoscritta in linea con la sentenza della Cassazione n. 19599 del 2016, facendo così riferimento unicamente ai principi supremi o fondamentali della Carta costituzionale, ed escludendo, invece, “norme costituenti esercizio della discrezionalità legislativa”, tra le quali la legge sulle unioni civili (legge n. 76 del 2016) e sulla fecondazione assistita (legge n. 40 del 2004). Ed invero, poiché di recente, con la pronuncia n. 16601 del 2017 relativa all’ingresso in Italia di decisioni relative ai danni punitivi, vi è stato un distacco rispetto a tale orientamento, la prima sezione ha ritenuto di chiedere al primo presidente di assegnare la causa alle Sezioni Unite.

Marina Castellaneta 23 febbraio 2018

www.marinacastellaneta.it/blog/nozione-di-ordine-pubblico-decidono-le-sezioni-unite.html

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POLITICHE PER LA FAMIGLIA

Congedo parentale: premio di 400 euro alla mamma, se lo prende il papà

La sperimentazione è stata avviata dalla regione Piemonte e l’esempio potrebbe essere mutuato in tutta Italia

www.studiocataldi.it/guide_legali/rapporto_di_lavoro/congedi-parentali.asp

Il papà prende il congedo parentale per prendersi cura del figli appena nato e la moglie riceve 400 euro. A sperimentare questa situazione è stata, come riporta il Corriere, la Regione Piemonte, peraltro non nuova a questo tipo di iniziative. Già da anni erano state fatte numerose sperimentazioni: sempre la Regione, nel 2011, aveva sperimentato il “Bonus per i papà in congedo” ovvero 400 euro al mese dopo la nascita del figlio, per i papà che decidevano di rimanere a casa ad accudire il neonato, 400 euro in più in busta paga rispetto a quanto erogato dall’Inps per il congedo parentale. In quel caso il progetto era stato finanziato dalla Regione Piemonte con la somma di 200mila euro ed era destinato ai lavoratori dipendenti del settore privato.

Quale la ratio per i 400 euro in più nel portafoglio delle mamme se a casa resta il papà? Sicuramente c’è il tentativo di perequazione all’interno della coppia, considerato che i papà guadagnano più delle mamme e quindi ci sarebbe una perdita dal punto di vista economico. Un tentativo dunque per favorire il “gioco di squadra” nell’ambito dei ruoli dei coniugi.

Secondo l’esperimento, l’incentivo, valido anche in caso di adozione o affidamento, viene conferito in un’unica soluzione a lavoratrici dipendenti del settore privato, a lavoratrici autonome e titolari o socie di micro imprese, alla fine del congedo parentale del padre. Si tratta di 400 euro erogate per ogni mese in cui il padre ha usufruito del congedo, fino al 12simo mese di vita del bambino. In caso di nuclei monoparentali composti dalla sola mamma, invece, l’incentivo, in questo caso di 500 euro, viene riconosciuto, al termine del congedo di maternità o parentale, a fronte del suo ritorno al lavoro, fino al 12esimo mese di vita del bambino (18esimo nel caso di minori in situazione di grave disabilità).

E’ chiaro che se l’esperimento piemontese dovesse risultare vincente potrebbe essere esteso ad altre regioni del Paese.

Gabriella Lax news Studio Cataldi 22 febbraio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/29262-congedo-parentale-premio-di-400-euro-alla-mamma-se-lo-prende-il-papa.asp

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI

25° Congresso a Bologna

Nel 50° della sua fondazione, è programmato il 25° Congresso Nazionale dell’Ucipem, che si svolgerà a Bologna presso l’Hotel Castello, da venerdì 4 a domenica 6 maggio 2018.

Il Congresso che ha come tema: Una storia proiettata nel futuro.

Il Consultorio familiare Ucipem dai bisogni attuali della famiglia agli scenari futuri.

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VIOLENZA

Il nostro complesso? Oreste batte Edipo

In questo libro, titolato “Oreste, la faccia nascosta di Edipo? Attualità del matricidio“, Jean-Pierre Lebrun, psicoanalista belga di scuola lacaniana, si trova impegnato in un interessante dialogo con la collega Michèle Gastambide che prende spunto da una comune rilettura dell’Orestea di Eschilo. Al centro è il gesto matricida di Oreste. Perché ritornare su di una figura dimenticata dalla psicoanalisi come quella del matricida che vendica il padre Agammenone, ucciso al suo ritorno da Troia dalla moglie Clitennestra, sua madre, decidendo, a sua volta, di sopprimere la sua genitrice?

Quale il segreto custodito in questo figlio che non risparmia chi lo ha messo al mondo? Nel privilegiare la figura di Oreste a quella di Edipo è in gioco la lettura del disagio contemporaneo della civiltà. Lo dichiara apertamente Michèle Gastambide in conclusione del libro: «Se Edipo è la tragedia del destino… da cui Freud ha tratto l’interdetto dell’incesto, Oreste è la tragedia dell’impossibile godimento incestuoso per chi vuole essere umano». Nel tempo della nascita della psicoanalisi il complesso che organizzava la vita individuale e collettiva era stato isolato da Freud nella figura di Edipo, il figlio maledetto macchiato dai due crimini più efferati dell’umanità: parricidio e incesto. La trasgressione della barriera dell’incesto avviene a causa dell’oltrepassamento della Legge del padre che, dunque, ancora esiste in quanto tale nell’inconscio del soggetto riuscendo a scavare nel figlio stesso quel senso della colpa che umanizza la sua vita separandola dalla vita animale.

Insomma la dialettica del desiderio che l’Edipo di Sofocle, riletto da Freud, ci consegna è una dialettica simbolica, triangolare, dove il figlio si confronta con un oggetto (impossibile) sul quale cade l’interdizione paterna che lo obbliga a pagare il prezzo della sua trasgressione e – se si vuole evitare la fine tragica di Edipo – , a spostare la meta del suo desiderio su altri oggetti, non colpiti dall’interdetto paterno. Oreste precede Edipo come Eschilo precede Sofocle. Si tratta di una precedenza non solo storica ma anche psichica: per poter accedere alla triangolazione simbolica che governa il complesso edipico bisogna passare dalla frattura della diade madre-bambino, o, meglio, dall’uccisione, altrettanto simbolica, della madre. In questo senso il gesto di Oreste anticipa necessariamente quello di Edipo. Al suo centro non è la morte del padre rivale ma quella della madre onnipotente che assoggetta il figlio uccidendo il padre. La tendenziale “scomparsa dell’Edipo freudiano” che caratterizza il nostro tempo finisce per abbandonare il figlio in balia di una maternalizzazione diffusamente incestuosa. Il conflitto non si triangolarizza simbolicamente, ma resta inespresso scatenandosi solo come violenza erratica, la quale altro non sarebbe – è una tesi forte e discutibile del libro – che un passaggio all’atto di tipo matricida: la mancanza del taglio simbolico tra il figlio e la madre affida al figlio questa responsabilità che in Oreste assume la forma compiuta dell’atto matricida. In questo senso egli diviene «l’attore della propria separazione». Qui si colloca l’interesse psicoanalitico e antropologico che investe il gesto di Oreste: come estrarre il soggetto dal vincolo incestuoso che lo assoggetta al capriccio materno in un tempo dove la funzione paterna è in declino?

Oreste accede alla separazione attraverso l’atto orrendo del matricidio. È questa nel nostro tempo la sola forma che può assumere un atto di separazione? Perché, come affermano i protagonisti di questo appassionante dialogo, «il problema non è tanto separare la madre dal bambino, o viceversa, quanto che entrambi si separino da ciò che li tiene insieme in modo tale che nessuna frattura possa intromettersi, nessuna perdita possa essere contemplata». Siamo in un tempo dove l’accesso al complesso di Edipo è ostruito dalla presenza di una maternage perverso – da una mèrversion per usare una efficace espressione di Lebrun -, incrementato da una “società maternalizzante”, come teorizza anche Michel Schneider in Big Mother, che vincola la vita del figlio a quella dell’oggetto incestuoso sopprimendo la dimensione terza incarnata dalla parola del padre. In questo corpo a corpo del figlio con la madre – che può essere assunto come paradigma clinico delle cosiddette dipendenze patologiche oggi diffuse epidemicamente – non circola ossigeno, aria, non c’è alcuna possibilità di differenziazione, di separazione, di soggettivazione.

Nella violenza che sembra caratterizzare la psicopatologia contemporanea sia individuale (il passaggio all’atto violento sempre più diffuso, si pensi, per esempio, al femminicidio) che di massa (si pensi al terrorismo fondamentalista), gli autori di questo libro vedono all’opera quello che potremmo definire, seguendo il loro ragionamento, un vero e proprio complesso di Oreste. In una società che non conosce più il senso del limite e dove il godimento che si diffonde appare incestuoso, il matricidio sarebbe il tentativo disperato di creare uno spazio, una frattura, una separazione, una discontinuità da questo godimento fatalmente mortifero che impedisce il sorgere della differenza, come accade ad un paziente tossicomane di Michèle Gastambide che dichiarava senza mezzi termini: «Dovrei uccidere mia madre… ma non posso, sono intessuto in lei».

Massimo Recalcati la Repubblica 12 febbraio 2018

www.massimorecalcati.it/images/La_Repubblica_12_febbraio_2018.pdf

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