NewsUCIPEM n. 688 – 11 febbraio 2018

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02 ADOZIONE E AFFIDO Quarta Relazione sullo stato di attuazione della legge 149/2001.

02 ADOZIONE INTERNAZIONALE L’adozione internazionale è “un bene per tutti”.

03 Occorre “lavorare sulla linea tracciata dal Governo” uscente. Iori.

05 “Possono essere un motore per rinnovare il trend della natalità”.

06 AMORIS LÆTITIA Cupich: “Amoris lætitia come nuovo paradigmaˮ.

08 ASSEGNO DI MANTENIMENTOCome avere il mantenimento se il marito si finge povero.

09 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Spese straordinarie: ticket e dentista non sempre vi rientrano.

10 Mantenimento dei figli: quali sono le spese straordinarie?

11 ASSEGNO DIVORZILE Addio assegno all’ex da quando si instaura una nuova convivenza.

11 CENTRO GIOVANI COPPIE MILANO Conoscersi per essere più liberi.

11 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 4, 7 febbraio 2018.

13 CHIESA CATTOLICA Proposta di benedizione x le coppie omosessuali e quelle risposate.

14 Coppie omosessuali, il cardinale Marx: “La benedizione è possibile”.

15 COM. ADOZIONI INTERNAZIONALI Adozioni dall’estero, la famiglia seguirà la domanda sul web.

16 Comunicato stampa 9 febbraio 2018.

16 Comunicato stampa 7 febbraio 2018.

16 CONSULTORI FAMILIARI Roma. Al Quadraro. Educazione all’affettività, i ragazzi chiedono …

18 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Frosinone. Convegno. “M’ama, non M’ama?: quando l’amore….

18Pescara. Percorso di conoscenza di sé’

19 COPPIA 4 rimedi per impedire che la vita di coppia si trasformi in routine.

20 DALLA NAVATA VI Domenica del tempo ordinario- Anno B –11 febbraio 2018.

20 Anche Gesù va in collera. Commento di Enzo Bianchi.

21 DEMOGRAFIA Perché in Italia (e nei Paesi ricchi) la natalità non riparte.

22 Il mondo dell’adozione internazionale chiederà a Politica un rilancio

23ENTI TERZO SETTORE Pubblicati i decreti per la trasmissione delle erogazioni liberali.

23 FIGLI Femminicidio: gratuito patrocinio per i figli.

24 HUMANÆ VITÆ La manovra “sleale” di chi vuole riscrivereHumanæ vitæ.

27 Contro la HV teologi contestatori e morale sessuale della Chiesa.

32 OMOFILIAAccompagnare i credenti non significa approvare comportamenti.

32Troppi equivoci, sospeso il ritiro spirituale per gay a Torino.

33Fedeltà e amore di Dio Ecco la verità sul ritiro per gli omosessuali.

34Protezione internazionale in Italia per lo straniero omosessuale.

35 POLITICHE PER LA FAMIGLIA Ape rosa: cos’è e come funziona.

36 Assegno di maternità 2018: che cos’è e a chi spetta.

36 Sposarsi solo in chiesa: si ha diritto al congedo matrimoniale?

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ADOZIONE E AFFIDO

Quarta Relazione sullo stato di attuazione della legge 149/2001

È online, sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali,

www.lavoro.gov.it/notizie/Pagine/Adozione-e-affidamento-dei-minorenni-dati-riflessioni-e-prospettive.aspx

la Quarta Relazione sullo stato di attuazione della legge 149/28 marzo 2001,

www.camera.it/parlam/leggi/01149l.htm

norma che ha introdotto importanti modifiche alla legge 184/4 maggio1983 sull’adozione e l’affidamento dei minori e al titolo VIII del libro primo del codice civile.

www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/legge184%20del%201983.htm

Il documento, pubblicato nel numero 41 della collana del Ministero Quaderni della ricerca sociale, «aggiorna lo stato delle conoscenze descritto nell’ultima edizione della Relazione e dedica un’attenzione particolare anche a fenomeni emergenti o ad aspetti nuovi di situazioni tipiche. Il periodo di riferimento è il biennio 2014-2015 ma per dare continuità all’esame della materia alcuni contributi tengono conto di un periodo più ampio, che arriva sino all’attualità».

www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/studi-e-statistiche/Documents/Quaderno%20Ricerca%20Sociale%2041%20%e2%80%93%20Relazione%20sullo%20stato%20di%20attuazione%20della%20Legge%20149-2001/QRS-41-Relazione-Legge-149-2001.pdf

La Relazione – elaborata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della giustizia con la collaborazione dei rappresentanti della Conferenza unificata e degli esperti del Centro nazionale – si sofferma su vari aspetti: i dati di tipo quantitativo e qualitativo sull’affidamento familiare, l’accoglienza nei servizi residenziali e l’adozione nazionale e internazionale; gli esiti della rilevazione sull’attuazione della legge attraverso i tribunali per i minorenni e le procure minorili, condotta dal Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della giustizia; le principali novità delle norme internazionali, europee, nazionali e regionali sull’accoglienza dei bambini e degli adolescenti fuori famiglia; il panorama degli interventi a sostegno dei minori non accompagnati; le iniziative delle amministrazioni centrali; una selezione di temi emergenti che interessano l’azione delle amministrazioni centrali, regionali e locali; una ricognizione sulle risorse disponibili.

«Anche questa Relazione – si legge nella premessa – non ha solo una natura descrittiva dell’esistente, ma sollecita riflessioni di prospettiva e individua percorsi di intervento innovativi, nonché criticità che interrogano la capacità del mondo adulto e delle istituzioni di rispondere alle esigenze di bambini e adolescenti fuori famiglia o provenienti dai percorsi dell’adozione nazionale o internazionale».

www.minori.it/it/news/adozione-e-affido-quarta-relazione-sullo-stato-di-attuazione-della-legge-1492001

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

L’adozione internazionale è “un bene per tutti”

Enti Autorizzati presentano alla Politica una proposta di sostegno alle future famiglie adottive.

Conferenza in programma a Roma giovedì 15 febbraio alle ore 13.00, presso la Sala ‘Caduti di Nassirya’ del Senato della Repubblica, organizzata dai rappresentanti di 20 Enti Autorizzati all’adozione internazionale, che incontreranno le forze politiche.

Una crisi drammatica, la peggiore della sua gloriosa storia: è quella che sta attraversando negli ultimi anni l’universo dell’adozione internazionale in Italia. I numeri ufficiali del Ministero della Giustizia, relativi al 2016, parlano di un crollo verticale: solo nel confronto tra i numeri dell’anno 2014 e quelli del 2016 si registra un calo del 24%, con appena 1.580 minori stranieri adottati nell’ultimo anno considerato, secondo i Tribunali per i Minorenni.

Sebbene non ci siano ancora dati definitivi, resta alta la preoccupazione che l’Italia chiuda il 2017 con soltanto 1.400 adozioni, registrando l’ennesima diminuzione.

Tutt’altro che positivi i numeri sulle domande di disponibilità all’adozione internazionale presentate ai Tribunali per i minorenni che sono precipitate dalle 7.887 del 2001 alle 3.190 del 2016: un calo del 60% circa. E’ la fotografia di un rapido declino delle adozioni internazionali, che fa temere per il futuro di tanti bambini in attesa di riavere una famiglia e di molte coppie che aspirano a diventare genitori.

A fronte di questa grave situazione e dopo il preoccupante ‘silenzio’ degli ultimi tre anni della Commissione per le Adozioni Internazionali (CAI) e l’inerzia della sua azione – anche a causa della distanza cosciente rispetto all’argomento da parte della politica nazionale – non è dunque più procrastinabile un rilancio dell’adozione internazionale, partendo da ciò che sembra ostacolare maggiormente le coppie: i costi dell’iter adottivo.

Per questo, è arrivata la decisione di un gruppo di 20 Enti Autorizzati all’adozione internazionale di organizzare una conferenza dal titolo “Adozioni Internazionali. Un bene per tutti”. L’obiettivo è quello di portare all’attenzione delle forze politiche – che sembrano finalmente essersi accorte dell’emergenza-denatalità che da anni colpisce drammaticamente il nostro Paese – una proposta per rendere immediatamente più accessibile l’adozione internazionale a tutte le coppie che la scelgono.

A nome degli enti promotori interverranno Pietro Ardizzi e Antonio Crinò, quali portavoce, per proporre ai partiti politici e al futuro Governo un passo avanti di qualità verso la pari dignità della genitorialità adottiva.

Affinché l’adozione internazionale venga riconosciuta realmente come ‘Un bene per tutti‘ urge il risveglio di un interesse e di un impegno tangibile della Politica, che porti finalmente alla gratuità dell’adozione: una battaglia prioritaria e ancora tutta da affrontare.

Ecco gli Enti promotori dell’iniziativa: A.F.N. – Ai.Bi. – A.M.I. – Amici Trentini – A.Mo – Fondazione Avsi – Bambarco – C.I.A.I. – Cifa – Ass.ne Il Conventino – I Fiori Semplici – In Cammino per la Famiglia – International Adoption – Istituto La Casa – La Maloca – Mehala – N.A.A.A. – N.A.D.I.A. – N.O.V.A – Sjamo.

Newsletter Ai.Bi. 9 febbraio 2018

www.aibi.it/ita/roma-ladozione-internazionale-e-un-bene-per-tutti-il-15-febbraio-20-enti-autorizzati-presentano-alla-politica-una-proposta-di-sostegno-alle-future-famiglie-adottive.

 

Per il PD occorre “lavorare sulla linea tracciata dal Governo” uscente. Intervista a Vanna Iori

La deputata e docente ordinaria di Pedagogia all’Università Cattolica di Milano Vanna Iori sottolinea il bisogno di formare “giovani capaci di dire sì alla vita” e l’urgenza di realizzare “interventi di sistema nell’ambito del fisco, della salute, del lavoro, del benessere sociale, della cultura. “. Apprezzamento per “l’attuale gestione della Commissione Adozioni Internazionali” e sull’ipotesi gratuità: “Prima bisogna passare per un’azione di definizione di una cornice chiara dell’adozione internazionale”, quindi comunque l’idea è una detrazione “dilazionabile nel corso di un certo numero di anni di vita del bambino. “.

Parole di apprezzamento per “l’attuale gestione della Commissione Adozioni Internazionali “, la promessa di “politiche strutturali” a sostegno dell’adozione internazionale, ma anche l’imputazione alla povertà che ha colpito le famiglie come co-fattore che ha portato al crollo delle adozioni, legato ai costi economici, definiti “un forte deterrente che va assolutamente superato parificando l’adozione alle altre forme di genitorialità “. Ma, dall’altra parte, la consapevolezza che i costi sarebbero solo “la punta di un iceberg: troppa burocrazia, troppa frammentazione a tutti i livelli. Il primo intervento politico da fare è culturale. “; infine, un’apertura alla gratuità adottiva solo dopo che “si sarà creato un ambiente favorevole” e comunque in una formula “dilazionabile nel corso di un certo numero di anni di vita del bambino “: sono gli aspetti più interessanti dell’intervista che abbiamo realizzato sui temi ‘caldi’ dell’adozione internazionale con l’esponente del PD in Parlamento.

Il testo integrale dell’intervista all’on. Vanna Ioriwww.vannaiori.it/about

La denatalità oggi è uno dei problemi più rilevanti in Italia. Gli italiani hanno in media il primo figlio dopo i 30 anni. Alla stessa età i francesi stanno in media per avere già il secondo. Il nostro tasso di fecondità totale (pari a 1,34) è circa un terzo sotto il loro (1,96). L’attuale Governo in questi giorni ha dato il via a una campagna di comunicazione istituzionale di sostegno ai nuovi nati. Lei in questi anni è stata attiva nella Commissione Giustizia della Camera dei deputati, nella Commissione bicamerale Infanzia e adolescenza, come Responsabile nazionale Pd Infanzia e adolescenza. Quali saranno le Sue proposte nel merito per il futuro?

“Ritengo che sia necessario lavorare sulla linea tracciata dal Governo fino ad oggi e implementare le politiche sulla natalità e sulla educazione alla natalità. Se non formeremo oggi giovani capaci di dire sì alla vita, correremo il rischio di vedere ulteriormente impoverito il nostro paese in termini di nascite e di forze. L’educazione a cui mi riferisco va alimentata in tutti i luoghi opportuni, scuola compresa. Occorrono inoltre interventi di sistema nell’ambito del fisco, della salute, del lavoro, del benessere sociale, della cultura…e risorse che mettano in condizione i giovani di voler fare famiglia”.

Per esempio, in questa direzione va la sua proposta di legge sulla “Disciplina dell’affiancamento familiare“.

www.camera.it/leg17/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=17&codice=17PDL0044690&back_to=http://www.camera.it/leg17/126?tab=2-e-leg=17-e-idDocumento=4006-e-sede=-e-tipo=

“Non solo. In questa direzione va ogni sforzo affinché, fuori dalla demagogia e fuori da logiche meramente partitiche, si impari a lavorare insieme per il bene dei bambini e delle famiglie”.

Ritiene che nel programma del Suo partito possa rientrare il sostegno all’adozione internazionale?

“Per questo stiamo lavorando da anni. La prossima legislatura spero sia quella giusta per definire politiche strutturali anche in questa direzione. Pensiamo a quante coppie sterili potrebbero voler fare questo passo e oggi non sono in condizione, economica o solo anche per mancanza di supporto e affiancamento adeguato al loro stato”.

Negli ultimi anni l’adozione internazionale in Italia è letteralmente crollata. Come mai secondo lei? Quali sono secondo Lei le azioni da intraprendere per tentarne un rilancio su larga scala?

“La povertà che oggi tocca pesantemente le famiglie, soprattutto quelle monoparentali, composte da madri o padri soli con bambini, indica chiaramente come sia sempre più difficile fare famiglia. Sicuramente i costi economici dell’adozione internazionale sono un forte deterrente che va assolutamente superato parificando l’adozione alle altre forme di genitorialità. I costi sono tuttavia solo la punta dell’iceberg: troppa burocrazia, troppa frammentazione a tutti i livelli. Il primo intervento politico da fare è culturale”.

Sono anni che le famiglie adottive stanno chiedendo la gratuità: perché secondo lei non è mai stata concessa?

“Forse anche perché mancano interventi culturali prima che sociali ed economici in favore dell’adozione. Penso al ruolo della comunicazione in tal senso: le cattive notizie di questi anni hanno sovrastato le più belle notizie di tante storie di accoglienza riuscita. Penso anche che ci sia ancora troppo poco interesse da parte dell’opinione pubblica. Basta vedere quanto si parla di fecondazione artificiale e quanto poco dell’adozione. Il confronto è impari”.

Sul fronte gratuità dell’adozione, che cosa pensa si possa fare come Governo?

“Esprimo apprezzamento per il cammino che sta tracciando la attuale gestione della Commissione Adozioni Internazionali: digitalizzazione delle procedure, dialogo con Enti Autorizzati e coppie adottive. La gratuità arriverà, ne sono certa, ma prima bisogna passare per una azione di definizione di una cornice chiara dell’adozione internazionale. E quando si sarà creato un ambiente favorevole si potrà ragionare anche su una detrazione al cento per cento delle spese certificate che le coppie avranno effettuato. Detrazione magari dilazionabile nel corso di un certo numero di anni di vita del bambino.”.

Spesso i decreti che vengono rilasciati dai Tribunali contengono limitazioni all’adottabilità sia sul versante delle coppie che su quello dei minori in attesa di adozione. Qual è la posizione del suo partito rispetto ai cosiddetti ‘decreti vincolati’?

“Un bambino è un bambino a prescindere dall’età o dal sesso. In tale direzione è importante che lavorino gli addetti ai lavori per favorire il migliore incontro tra la coppia e il bambino che può essere adottato. Le coppie ora ottengono decreti di idoneità all’adozione, quando stanno solo cominciando a comprendere cosa significhi adottare. Man mano che comprendono conoscono e frequentano di più quel mondo la loro idoneità diventa più solida”.

La Presidenza della Commissione Adozioni Internazionali per legge è in capo al presidente del Consiglio o a un Ministro da lui delegato. Avete già in mente un nome per la presidenza CAI in caso di vittoria elettorale?

“Non sapendo quale sarà lo scenario politico, credo sia difficile fare nomi”.

Lei ha chiuso il 2017 con la legge a Sua prima firma sulla “Disciplina delle professioni di educatore professionale socio-pedagogico, educatore professionale socio-sanitario e pedagogista”. Ritiene che in futuro si rivedrà anche la disciplina sui professionisti che si occupano di adozione?

www.camera.it/leg17/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=17&codice=17PDL0044690&back_to=http://www.camera.it/leg17/126?tab=2-e-leg=17-e-idDocumento=4006-e-sede=-e-tipo=

“Tra gli ambiti occupazionali che ho inserito per la figura di educatore vi è quello ‘familiare’ e dunque in special modo per le famiglie in difficoltà o per quelle che attraversano il passaggio dell’adozione. Tutte le professioni dovranno prima o poi riqualificarsi. Il mondo sta cambiando vorticosamente. A maggior ragione chi svolge una professione sociale che ha a cuore il bene dell’essere umano, della famiglia e dei bambini, non può non tener conto delle innovazioni professionali così come dei cambiamenti relazionali e umani “.

Newsletter Ai.Bi. 8 febbraio 2018

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-pd-candidata-vanna-iori

 

Sen. Di Biagio: “Adozioni possono essere un motore alternativo per rinnovare il trend della natalità

Sull’ipotesi di gratuità, chiarisce: “E’ tema che ho portato già nella 16ma Legislatura in una proposta di legge che ora va ripresa e ricontestualizzata in ragione dell’inverno demografico che condiziona il Paese: la procedura di adozione accostata ad un onere cospicuo per le famiglie è un’anomalia, un ossimoro da superare definitivamente”. Nel programma della lista di Beatrice Lorenzin saranno presenti anche “iniziative per creare un circuito europeo delle adozioni”

Ben più di una priorità, “una vera e propria missione”: è questa la definizione che il sen. Aldo Di Biagio, candidato alle prossime elezioni politiche nella circoscrizione Estero con Civica Popolare, dà del proprio impegno verso il mondo dell’adozione internazionale. Una scelta che arriva da lontano e prende origine dalla sua storia personale, che egli ha consapevolmente deciso di spendere all’interno delle aule del Parlamento già nella Legislatura appena terminata. Abbiamo parlato con lui per conoscere quali sono le posizioni e gli intendimenti suoi personali e della lista nella quale è inserito rispetto alle tematiche care ad Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini sul fronte dell’adozione internazionale.

www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Attsen/00025517.htm

Onorevole, quali sono le priorità sul fronte dell’adozione internazionale nel vostro programma politico?

“Il tema delle adozioni internazionali e l’urgenza di una riforma della disciplina unitamente alla promozione dell’accoglienza genitoriale adottiva e all’individuazione degli strumenti di tutela, sensibilizzazione e valorizzazione del comparto sotto il profilo istituzionale, normativo sociale e politico sono stati per me ben più di una priorità, ma una vera e propria missione che mi accompagna da quasi dieci anni di attività parlamentare e di impegno istituzionale. In questa mia scelta ha inciso sicuramente la mia esperienza di bambino abbandonato ed accolto in orfanotrofio e ho scelto di trasformare questo mio bagaglio di esperienze e di conoscenze al servizio di una causa per troppo tempo lasciata un po’ ai margini dell’attenzione delle istituzioni, anche se l’impegno di anni di attività, eventi, proposte di legge e sollecitazioni istituzionali, in ultimo la ben nota ‘impasse’ con la CAI che ci ha visti impegnati in un confronto serrato con gli organi competenti, hanno condotto ad un crescendo di attenzione inimmaginabile fino a qualche anno fa”.

“Per questo motivo ho voluto inserire in maniera chiara nel programma di ‘Civica Popolare’ per la Circoscrizione estero una mission specifica sul tema, perché i tempi sono maturi per inquadrare la materia in una cornice più ampia e per responsabilizzare maggiormente il Paese anche in uno scenario internazionale. Il programma evidenzia la promozione di iniziative in sede europea ed internazionale per la tutela dell’accoglienza dei minori e la creazione di un circuito europeo delle adozioni: per favorire un percorso alternativo di integrazione e di accoglienza che sia univoco per i membri UE e che consenta di rinnovare la disciplina applicata alla tutela dei diritti dei minori abbandonati”.

Che cosa pensa dell’ipotesi di rendere gratuita l’adozione internazionale per le coppie idonee che lo richiedono?

“Ho sempre pensato che la procedura di adozione accostata ad un onere, anche cospicuo, in capo alle famiglie che compiono un gesto così estremo e incondizionato di amore verso il minore abbandonato, ma anche verso la società ed il Paese sia una anomalia, un ossimoro da sanare e superare definitivamente. Infatti, la gratuità dell’adozione non è soltanto una questione di diritto per i bambini che possono essere accolti anche da famiglie non abbienti, ma che hanno tanto amore da dare, ma anche e soprattutto un servizio a cui non può essere imposto un prezzo. Il tema, che ho portato anche in una mia proposta di legge, depositata già in occasione della [precedente] 16sima Legislatura, va ripreso e ricontestualizzato anche in ragione dell’inverno demografico che al momento condiziona il Paese e della non trascurabile correlazione esistente tra costi, burocrazia e calo delle domande di adozione in Italia. Veniamo da settimane di impegno sul patto per la natalità – un cammino che abbiamo avviato con il Forum delle Associazioni Familiari. Le adozioni possono essere un motore alternativo per rinnovare il trend della natalità nel nostro Paese. “.

Quali sono le concrete azioni che prevedete d’intraprendere per garantire la regolarità e l’efficienza nell’espletamento delle procedure da parte degli enti autorizzati?

“Dal 2008 abbiamo posto il problema dell’eccessiva frammentazione e diversificazione di un sistema che va reso organico, semplice trasparente in tutte le sue fasi operative e di confronto con le famiglie. Occorre strutturare percorsi di adozione in cui non vi siano eccessi di offerte e proposte che diventano barocche e confusionarie per le famiglie e nel contempo carenze burocratico-amministrative pericolose. Faccio in particolare riferimento alla diversificata offerta formativa nella fase pre-adozione. I servizi e gli Enti autorizzati dovrebbero lavorare sempre in sinergia per realizzare un percorso unico, in cui insieme alla coppia si decide se proseguire il percorso in adozione nazionale o internazionale. Rispetto ai pericoli di ‘carenze’, penso ad esempio alla deliberazione della sentenza di adozione. Quando la Commissione Adozioni Internazionali autorizza l’ingresso del bambino in Italia, il nostro Paese dovrebbe riconoscere in automatico la sentenza di adozione, senza che si creino dei tempi di attesa in cui, nel frattempo, il bambino si colloca in una sorta di limbo giuridico in cui non vi è alcun legame con il suo Paese di origine né alcun legittimo riconoscimento in Italia”.

“Al superamento dei suddetti paradossi operativi, bisognerebbe accostare una forte azione di politica estera che sia realmente protagonista nella definizione delle bilaterali con i Paesi di adozione e che dovrebbe condurre a traslare l’intero comparto sotto l’egida del MAECI, così come da me sempre richiesto nel citato disegno di legge “.

Dal 2001 una legge prevede che venga creata una Banca Dati tra i 29 Tribunali per i Minorenni nazionali, in grado di incrociare le disponibilità di bambini sul nostro territorio con quella all’adozione di coppie che ne fanno richiesta; di fatto, finora, è un’opzione irrealizzata: se la sente di includerla tra gli atti che il vostro Governo metterà in campo nei primi 100 giorni?

“Si tratta di un attuativo di una norma già approvata, pertanto ci si trova dinanzi ad un ritardo su una questione che afferisce al buon senso e alla migliore operatività amministrativa. Sarà sicuramente mia cura sollecitare i ministeri competenti a dare seguito alla norma. “.

Qual è la sua posizione rispetto alla pratica dei cosiddetti decreti ‘vincolati’ emessi da alcuni Tribunali per i Minorenni?

“I decreti vincolati che restringono l’accoglienza non possono essere in alcun modo accettabili. Occorre certamente favorire il migliore incontro nell’abbinamento coppia-bambino, partendo dal presupposto che valga il superiore interesse del minore ad essere accolto da una famiglia che lo può amare”.

In che modo vede il futuro della Commissione Adozioni Internazionali, dopo il preoccupante ‘silenzio’ degli ultimi anni e l’inerzia della sua azione anche a causa della distanza della politica nazionale?

“Posso finalmente affermare, riprendendo quanto da me già dichiarato e ribadito in altre circostanze, che ci si trova dinanzi ad una stagione nuova per le adozioni internazionali, anche in ragione della rinnovata configurazione della CAI, dopo anni di mala gestio, di opacità operativa oltre che di dubbia liceità, senza trascurare le decine di atti di sindacato ispettivo, di sollecitazioni e di iniziative di protesta messe a punto anche dal sottoscritto negli ultimi 4 anni. Ho avuto modo di confrontarmi personalmente con la vice-Presidente Laera, appurandone la competenza e la volontà di far ripartire il motore amministrativo-istituzionale delle adozioni internazionali, rimettendo a posto in primis le falle e le lacune lasciate dalla precedente gestione. Una premessa di speranza per le iniziative che dovranno essere messe in atto nei prossimi mesi, oltre che un segnale di attenzione e di ascolto verso istanze che ormai erano cadute in un dimenticatoio. “.

Newsletter Ai.Bi. 6 febbraio 2018

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-civica-popolare-di-biagio-adozioni-natalita

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AMORIS LÆTITIA

Cupich: “Amoris lætitia come nuovo paradigmaˮ.

«Sono convinto che alcune persone fraintendano Amoris lætitia semplicemente perché rifiutano di prendere in considerazione la realtà attuale in tutta la sua complessità». Lo ha detto nel pomeriggio di venerdì 9 febbraio 2018 al St. Edmund College di Cambridge il cardinale arcivescovo di Chicago Blase Cupich, al quale è stata affidata l’Annual del Von Hügel Institute.

Cupich ha fatto proprie le parole usate all’inizio di gennaio dal cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, che in un’intervista aveva detto che l’esortazione Amoris lætitia «è scaturita da un nuovo paradigma che Papa Francesco sta portando avanti con sapienza, con prudenza e anche con pazienza». Parole contestate pochi giorni fa con un articolo su “First thingsˮ dall’analista politico cattolico statunitense George Weigel.

Il cardinale Cupich ha innanzitutto fatto notare come la complessità della realtà vissuta oggi dalle coppie e dalle famiglie sia profondamente diversa da quella del passato. La Chiesa, come si legge nella costituzione conciliare Gaudium et spes, non può certamente ignorare questa situazione. Ecco dunque la necessità di «un approccio nuovo». Il «cambio di paradigma», secondo l’arcivescovo di Chicago, avviene nel documento papale pubblicato dopo il lavoro dei due Sinodi sulla famiglia attraverso alcuni principi interpretativi tra loro connessi e «una nuova ermeneutica» attraverso la quale la Chiesa è chiamata ad avvicinarsi alle famiglie.

Cupich osserva che la vita familiare «è così significativamente cambiata» e che questo «non può essere ignorato». Ricorda l’«impoverimento del capitale sociale» rappresentato dalla famiglia, la vita frenetica che lascia meno tempo alla vita familiare, le difficoltà che colpiscono in modo particolare le mogli e le madri unita al fatto che per loro «tradizionalmente mancano uguali possibilità di accesso al lavoro e sono pagate di meno». La «mancanza di un sistema di sostegno familiare colpisce in particolare i giovani, che, per una serie di motivi, spesso si sentono spinti a ritardare il matrimonio».

Il rimandare le nozze «porta i giovani a convivere, a volte senza un fermo impegno nei confronti del matrimonio». Il Papa con Amoris lætitia, spiega il cardinale, tiene conto di tutto ciò e chiede di cambiare il «modo in cui ci avviciniamo e pensiamo al nostro ministero verso le famiglie».

Cupich riassume quindi i principi essenziali di questa «nuova ermeneutica».

  1. Innanzitutto il fatto che la famiglia è un luogo privilegiato nel quale Dio si rivela. Il cardinale ricorda che bisognerà allontanarsi da «una presentazione astratta e idealizzata del matrimonio», riconoscendo che se «le famiglie sono un luogo privilegiato dell’autorivelazione e dell’azione di Dio, allora nessuna famiglia dovrebbe essere considerata priva della Sua grazia». L’azione di Cristo, continua l’arcivescovo di Chicago, si rivela anche negli «imperfetti tentativi di amore e compassione che permeano la vita ordinaria» delle famiglie. E bisogna ammettere, come si legge nel documento, che «non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante».

  2. Nella sua relazione, il cardinale ha quindi presentato un altro principio, quello secondo il quale la «Chiesa sinodale accompagna le famiglie equilibrando l’insegnamento e l’apprendimento», e dunque ci dovrebbe essere «maggiore attenzione alle voci dei laici, specialmente su questioni riguardanti il matrimonio e la vita familiare». Ciò significherà anche «rifiutare un modo autoritario o paternalistico di trattare con persone che fissano la legge, che pretendono di avere tutte le risposte, o di avere risposte facili a problemi complessi» e che ritengono che «le regole generali porteranno subito chiarezza immediata o che gli insegnamenti della nostra tradizione possano essere preventivamente applicati alle particolari sfide che devono affrontare le coppie e le famiglie». Al posto di tutto ciò «sarà necessaria una nuova direzione», che preveda il ministero della Chiesa «come accompagnamento, un accompagnamento segnato da un profondo rispetto per la coscienza dei fedeli». La Chiesa, come si legge in Amoris lætitia, non rinuncia a proporre l’ideale pieno del matrimonio, «il piano di Dio in tutta la sua grandezza». Allo stesso tempo, l’obiettivo principale è l’accompagnamento «non il perseguimento di un insieme astratto e isolato di verità». Questo, secondo Cupich, «rappresenta un importante cambiamento nel nostro approccio», un cambiamento «a dir poco rivoluzionario».

  3. Un terzo principio riguarda l’importanza della coscienza dei fedeli, che è essenziale nel discernimento. Il punto di partenza per il ruolo della coscienza in questa «nuova ermeneutica», spiega il cardinale, è ancora una volta Gaudium et spes, là dove identifica la coscienza come «il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità». «Se presa seriamente – osserva Cupich – questa definizione richiede un profondo rispetto per il discernimento delle coppie sposate e delle famiglie: le loro decisioni di coscienza rappresentano la guida personale di Dio» per le particolarità della loro vita familiare. E la voce della coscienza, come recita l’esortazione papale, «può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo». Pur rimanendo la persona chiamata a crescere e a prendere decisioni per realizzare pienamente l’ideale cristiano. Proprio in considerazione di ciò, il Papa, osserva Cupich, «incoraggia i pastori numerose volte nel corso dell’esortazione a esercitare un attento discernimento. I pastori, adeguatamente formati e sufficientemente familiari con le circostanze particolari di coloro che sono coinvolti in questo processo di discernimento, devono tenere conto della complessità delle varie situazioni».

  4. Ecco quindi la necessità del successivo principio, quello secondo il quale bisogna ascoltare le preoccupazioni dei fedeli, mostrando compassione e vicinanza alla fragilità delle persone, senza proporre un ideale troppo astratto e lontano dalle possibilità delle famiglie reali. Ancora, ed è un altro principio, bisogna riconoscere la grande varietà di situazioni concrete, che richiedono un «discernimento personale e pastorale responsabile», riconoscendo che «il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi» e dunque «le conseguenze o gli effetti di una regola non devono necessariamente essere sempre gli stessi». «Il risultato – commenta Cupich – non è il relativismo, o un’applicazione arbitraria della legge dottrinale, ma un’autentica ricezione dell’autorivelazione di Dio nelle concrete realtà della vita familiare e dell’opera dello Spirito Santo nelle coscienze dei fedeli».

  5. Infine, l’arcivescovo di Chicago osserva come Amoris lætitia colleghi «la tradizione e l’esperienza, l’insegnamento e la pratica in un modo che risponda meglio alle realtà che le persone affrontano nella loro vita quotidiana». E tutto ciò, in fondo non è nuovo, ma recupera «un modo di pensare l’insegnamento e la pratica della Chiesa che ha le sue radici nella nostra tradizione».

Andrea Tornielli “La Stampa Vatican Insider” del 9 febbraio 2018

www.lastampa.it/2018/02/09/vaticaninsider/ita/nel-mondo/cupich-amoris-laetitia-come-nuovo-paradigma-eBkdAN7JCUXTctIM8ipJfL/pagina.html

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Come avere il mantenimento se il marito si finge povero

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 2659, 2 febbraio 2018.

I metodi per stanare i redditi in nero del marito evasore che non vuol versare gli alimenti a moglie e figli. Il tuo ex marito non vuol versare il mantenimento per te e per i vostri figli, nonostante il suo reddito sia alto. Prima di presentare il ricorso in tribunale per la separazione, avete tentato un accordo ma lui ti ha proposto una cifra insignificante se non addirittura umiliante. Lui, affermato professionista, che può vantare un reddito in nero superiore a quello dichiarato all’Agenzia delle Entrate, ora piange povertà proprio davanti a te, che hai condiviso con lui cene in ristoranti di prima categoria, viaggi di lusso, hotel a cinque stelle e vacanze all inclusive. In vista della separazione, però, sta già vendendo le auto che prima cambiava una volta ogni due anni e sistemando i conti dello studio in modo – secondo lui – di fregarti. A questo punto, visto che in processo conteranno le prove, ti chiedi come avere il mantenimento se il marito si finge povero. La risposta viene da una ordinanza della Cassazione depositata pochi giorni fa [1].

Separazione e divorzio: la dichiarazione dei redditi che valore ha? Se la dichiarazione dei redditi fosse sempre veritiera e rappresentasse fedelmente le condizioni economiche di una persona, non ci sarebbe bisogno di tante indagini e il tribunale potrebbe basarsi solo sull’analisi di questo documento per stabilire la ricchezza di una persona. Ma non è così: inutile nascondersi dietro un dito. Se però è vero che l’evasione fiscale è un fenomeno diffusissimo, specie tra imprenditori e liberi professionisti, è anche vero che esistono diversi elementi per stanarla. E il giudice può far ricorso a tali strumenti per ristabilire l’equità. Questi meccanismi, che servono ad ottenere il mantenimento se il marito si finge povero, possono essere elencati nel seguente modo.

Patrimonio mobiliare e immobiliare. Nel momento in cui calcola l’assegno di mantenimento, il giudice, al fine di valutare l’entità della ricchezza del coniuge più benestante, non limita la propria indagine al solo reddito – ad esempio lo stipendio – del soggetto, ma anche ai beni da questi detenuti, beni che spesso indicano un potere di acquisto superiore ai dati ufficiali. Si pensi agli immobili, anche se non in affitto: terreni e appartamenti hanno un costo di gestione e, pertanto, chi li possiede deve poterseli permettere (a maggior ragione se da questi non ricava un reddito da locazione). E così vale anche per le azioni o partecipazioni in società.

Inoltre, a nulla serve vendere i propri beni “all’ultimo minuto”, ossia prima di separarsi. Il giudice tiene conto, di solito, delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni. Ed anche una visura storica può rappresentare la situazione patrimoniale degli anni precedenti, indicando quali auto o quali case il coniuge ha ceduto.

Ricostruzione del tenore di vita. Nel calcolare il mantenimento, il giudice ha poi diversi modi per risalire alla ricchezza del coniuge senza dover necessariamente rifarsi alla dichiarazione dei redditi “ufficiale”, presentata all’Agenzia delle Entrate. Egli può innanzitutto basarsi sul tenore di vita tenuto da una coppia, ossia alle spese costantemente sostenute durante la convivenza. Se colui che chiede il mantenimento riesce a dimostrare di aver condotto una quotidianità senza badare troppo al portafogli potrà avere un assegno superiore a quello che i dati fiscali potrebbero attribuire. In questo vale qualsiasi tipo di prova: le foto dei viaggi, delle auto, delle vacanze al mare o in montagna, le cene a ristorante, gli incontri con gli amici, le palestre, i centri benessere, i conti con il parrucchiere, ecc. Insomma, quando si tratta di spese contano più i fatti che non i dati comunicati all’Agenzia.

Le dichiarazioni in causa e negli atti processuali. Anche le dichiarazioni fatte dalle parti in processo possono giocare un ruolo importante. Nella sentenza in commento la Cassazione valorizza una affermazione dell’ex marito in cui si definisce un «brillante avvocato penalista», incompatibile certo con una situazione di povertà.

Anagrafe tributaria. Ma se il soggetto interessato a ottenere i dati reddituali dell’ex non dispone della documentazione necessaria per dimostrare il tenore di vita di quest’ultimo, la richiesta può essere rivolta all’Agenzia delle Entrate che deve garantire all’interessato all’accesso all’anagrafe tributaria, il maxi database del fisco che consente di sapere tutto di tutti. Il fisco non può limitarsi a mandare per posta elettronica certificata al difensore del coniuge il semplice riepilogo dei redditi complessivi dell’altro coniuge, contenuti nei quadri Rn dei modelli Unico. L’accesso parziale ai dati fiscali non basta perché la domanda di esibizione dei documenti corrisponde a una situazione giuridicamente tutelata e collegata agli atti per i quali è richiesto l’accesso all’amministrazione finanziaria.

Ciò che può fare l’interessato, senza dover necessariamente proporre richiesta al giudice nel corso del giudizio, è presentare una istanza di accesso agli atti amministrativi all’Agenzia delle Entrate, la quale ha l’obbligo di rispondere entro 30 giorni. La domanda si presenta in carta esente da bolli e consegnata a mani, con raccomandata a.r. o con posta certificata. In caso di mancato riscontro o di diniego è possibile proporre opposizione al Tar.

In alternativa si può fare richiesta di accesso all’Anagrafe tributaria, depositando istanza al Presidente del Tribunale con cui si chiede la possibilità di verifica telematica dei redditi dell’ex coniuge. In realtà tale ultima possibilità viene riservata nel caso successivo al giudizio, in cui si debba procedere ad esecuzione forzata.

Polizia tributaria. Quando tutto manca è sempre possibile incaricare le indagini della polizia tributaria. La finanza riuscirà laddove il coniuge più povero non è riuscito a dimostrare. Tuttavia, non è un obbligo del giudice ricorrere a tale strumento. Dovrà ritenere i dati in suo possesso insufficienti o contrastanti. Le indagini potranno estendersi anche a prestanome di beni o attività riconducibili ad uno dei coniugi, grazie ai quali l’ex potrebbe aver occultato il proprio patrimonio. Sentenza

Redazione La Legge per tutti 8 febbraio 2018

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO FIGLI

Spese straordinarie figli: ticket sanitari e dentista non sempre vi rientrano

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 1070, 17 gennaio 2018.

Per la Cassazione va verificata la loro imprevedibilità ed eccezionalità, altrimenti andranno ricomprese nell’assegno di mantenimento

Gli esborsi per ticket sanitari e cure odontoiatriche dei figli minori non possono qualificarsi automaticamente spese straordinarie, dovendo il giudice valutare se, per la loro natura, si atteggiano a spese non aventi carattere di imprevedibilità ed eccezionalità e, per il loro modesto esborso, di esborsi ordinari e come tali compresi nell’assegno di mantenimento.

La vicenda muove dalla domanda avanzata dalla madre nei confronti del padre dei due figli minori affinché questi le corrispondesse la metà delle spese straordinarie sostenute. In Cassazione, tuttavia, l’uomo si duole che siano state considerate spese straordinarie, da porre a suo carico pro quota in quanto genitore non affidatario, una serie di esborsi, ovverosia: la retta della scuola materna privata frequentata dalla figlia per l’anno 2012-2013, le spese per i ticket relativi alle visite pediatriche, alle inalazioni termali e agli esami audiometrici per i due figli, nonché le cure odontoiatriche della figli.

In particolare, in relazione alla retta, l’uomo deduce di non aver prestato il consenso all’iscrizione per l’anno in discussione stante le numerose assenze effettuate dalla stessa, sicché la frequentazione dell’istituto si era tradotta in una sorta di collocazione provvisoria della bambina ove la madre fosse stata occupata.

Invece, per ticket sanitari e cure odontoiatriche, il ricorrente ne contesta l’ascrivilità a spese straordinarie trattandosi esborsi routinari, di modesto e prevedibile importo, in ordine ai quali neppure vi sarebbe stata alcuna consultazione con il padre.

Nessun dubbio per la Cassazione sussiste in ordine alla retta scolastica: il padre aveva dato il consenso all’iscrizione della bambina alla scuola materna privata, in tal modo valutandone la convenienza e la conformità all’interesse della minore, revocandolo in base alla sola considerazione che la medesima aveva effettuato molte assenze nel corso del precedente anno.

Viene, pertanto, condivisa la decisione del giudice a quo secondo cui il consenso del padre, una volta concesso, non poteva più essere revocato senza alcuna specifica e rilevante ragione di convenienza e di adeguatezza all’interesse della minore.

Quanto alle spese straordinarie invece, gli Ermellini rammenta che tali sono quelle che, “per la loro rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità, esulano dall’ordinario regime di vita dei figli, talché la loro inclusione in via forfettaria nell’ammontare dell’assegno posto a carico di uno dei genitori, può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dall’art. 316 c.c. e con quello dell’adeguatezza del mantenimento, nonché recare grave nocumento alla prole, che potrebbe essere privata, non consentendolo le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell’assegno cumulativo, di cure necessarie o di altri indispensabili apporti”.

Nel caso in esame, invece, la decisione di appello non si è conformata a tali principi avendo il giudice ritenuto straordinarie le spese relative ai ticket sanitari e alle cure dentistiche, senza considerare se trattavasi, per la loro natura, di spese non imprevedibili ed eccezionali e, per il loro modesto importo, di esborsi ordinari come tali ricompresi nell’assegno di mantenimento. Sul punto si pronuncerà il giudice del rinvio.

Lucia Izzo Newsletter Giuridica Studio Cataldi 5 febbraio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/28873-spese-straordinarie-figli-ticket-sanitari-e-dentista-non-sempre-vi-rientrano.asp

 

Nel rideterminare l’assegno il giudice dovrà valutare le esigenze dei nati dalla successiva relazione

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 2620, 2 febbraio 2018.

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_29093_1.pdf

Per la Cassazione, il giudice non potrà respingere la richiesta di riduzione dell’esborso senza prima valutare le esigenze di crescita degli altri figli già nati alla data della sentenza di divorzio. Il giudice non può respingere la richiesta del divorziato tesa alla riduzione dell’assegno di mantenimento nei confronti della prima figlia, senza effettuare una valutazione circa le esigenze di crescita degli altri figli avuti dalla successiva relazione e già nati alla data della sentenza.

La Corte di Cassazione ha così accolto il ricorso di un padre che, in prime cure, aveva chiesto ridursi l’assegno di mantenimento da lui versato nei confronti della figlia nata dal precedente matrimonio.

A seguito del divorzio dalla ex moglie, infatti, l’uomo si era risposato ed era diventato padre di altri tre figli, ancora in tenera età; quindi, l’importo dovuto alla prima figlia, ormai maggiorenne, non gli consentiva di provvedere adeguatamente alle esigenze della nuova famiglia, anche poiché la seconda moglie era malata e priva di reddito.

Se il Tribunale accoglieva il ricorso ex art. 710 c.p.c., riducendo l’assegno da 550 a 300 euro, la Corte d’Appello lo rideterminava equitativamente in 500 euro osservando che, alla data di emissione della sentenza di divorzio (che aveva recepito l’accordo intervenuto tra le parti in ordine ai contributi dovuti per il mantenimento), l’uomo aveva già formato una nuova famiglia di fatto con la donna che in seguito avrebbe sposato, ed era già padre di altre due figlie.

In Cassazione, invece, l’uomo evidenzia come la Corte di merito, nella sua decisione, abbia tenuto conto unicamente delle esigenze di vita della prima figlia, senza considerare quella degli altri tre figli.

Una doglianza che gli Ermellini ritengono fondata. Il giudice a quo, infatti, ha ritenuto che il fatto preesistente (la nascita delle due figlie) precludesse l’esame del fatto sopravvenuto la cui ricorrenza avrebbe dovuto accertare (il mutamento in peius della complessiva condizione economica dell’obbligato rispetto alla data del divorzio, che non gli consentiva più di far fronte agli obblighi inizialmente assunti).

Egli avrebbe erroneamente considerato il primo nella sua sola dimensione statica, anziché in quella dinamica, che gli avrebbe imposto di tener conto delle accresciute esigenza materiali delle altre figlie del ricorrente, indubitabilmente connesse alla loro crescita.

Nel muovere da tale erroneo presupposto, spiega la Cassazione, la Corte ha operato una non consentita parcellizzazione del reddito dell’uomo, omettendo di effettuare l’indagine dovuta consistente nel verificare globalmente se e in quale misura le circostanze sopravvenute avessero alterato l’equilibrio economico raggiunto tra le parti alla data di divorzio e nell’adeguare eventualmente l’importo alla nuova situazione patrimoniale riscontrata.

Dall’accoglimento del ricorso deriva la cassazione della sentenza con rinvio affinché venga operata tale indagine.

Lucia Izzo Newsletter Giuridica Studio Cataldi 8 febbraio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/29093-mantenimento-figli-nel-rideterminare-l-assegno-il-giudice-dovra-valutare-le-esigenze-dei-nati-dalla-successiva-relazione.asp

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ASSEGNO DIVORZILE

Divorzio: addio assegno all’ex dal momento in cui si instaura una nuova convivenza

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 2732, 5 febbraio 2018.

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_29106_1.pdf

Per determinare il venir meno dell’assegno, spiega la Cassazione, il giudice dovrà accertare il momento in cui ha avuto inizio la coabitazione della ex con il nuovo partner. Addio assegno di divorzio, ma solo dal momento in cui il beneficiario del contributo economico ha instaurato una nuova convivenza stabile e duratura. Sarà il giudice, nel valutare il venir meno dell’esborso, a dover accertare il momento esatto in cui si è instaurata la nuova convivenza.

Lo ha precisato la Corte di Cassazione, in occasione di un procedimento di modifica delle condizioni di divorzio, la Corte d’Appello aveva riformato la pronuncia di primo grado escludendo che la convivenza more uxorio dell’ex coniuge beneficiario dell’assegno facesse venire meno il diritto all’assegno stesso.

In Cassazione ricorrono entrambi, sia l’ex marito (con ricorso principale) che l’ex moglie (con ricorso incidentale), e gli Ermellini ritengono che ambedue le pretese meritino accoglimento.

Quanto a quella dell’ex marito, il Collegio spiega che, per consolidata giurisprudenza, la scelta dell’ex coniuge di costituire una convivenza more uxorio stabile e duratura (quindi, all’evidenza, ben diversa da una mera coabitazione tra soggetti estranei) fa venir meno il diritto all’assegno di divorzio, indipendentemente dalla posizione economica di ciascun convivente (cfr. Cass. n. 18111/2017, n. 6855/2015 e 17195/2011).

D’altronde, la stessa ex moglie aveva ammesso, nel corso del giudizio d’appello, la sua convivenza more uxorio. Tuttavia, in Cassazione, la signora evidenzia come la predetta convivenza già esisteva durante la procedura di divorzio e, pertanto, il marito avrebbe dovuto proporre la questione in tale ambito. Per avvalorare le sue affermazioni, la controricorrente richiama il verbale presidenziale nel quale l’ex si era limitato a precisare che esisteva una relazione della moglie con altra persona.

Per i giudici, la sussistenza di una relazione è indubbiamente cosa diversa dalla convivenza more uxorio ed è possibile che tale rapporto si sia trasformato, successivamente alla pronuncia di divorzio, in una vera convivenza.

Il provvedimento impugnato andrà dunque cassato con rinvio alla Corte d’Appello che, fermo il principio per cui la convivenza more uxorio stabile e duratura dell’ex coniuge esclude il suo diritto all’assegno, ferma altresì la sussistenza di tale convivenza, dovrà accertare il momento in cui questa si è costituita.

Lucia Izzo Newsletter Giuridica Studio Cataldi 8 febbraio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/29106-divorzio-addio-assegno-all-ex-dal-momento-in-cui-si-instaura-una-nuova-convivenza.asp

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CENTRO GIOVANI COPPIE – MILANO

Conoscersi per essere più liberi.

All’interno del ciclo di conferenze 2017-18 “Legàmi di libertà“, avrà luogo la Conferenza del 22 febbraio 2018: “Conoscersi per essere più liberi”

Relatrice: Marilia Albanese, Indologa, Counselor umanistica.

Ha collaborato con il Centro Giovani Coppie San Fedele, sia in veste di conferenziera che di trainer in vari percorsi per coppie.

Per la sua ricca bibliografia, si veda http://www.marilia-albanese.it/pubblicazioni/

https://mailchi.mp/e26cd730acec/conferenza-del-22022018-di-marilia-albanese-conoscersi-per-essere-pi-liberi?e=f682904bbd

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 4, 7 febbraio 2018

https://video.repubblica.it/edizione/roma/val-di-fiemme-ecco-come-spelacchio-diventa-una-casetta-per-mamme-prima-di-tornare-a-roma/295388/296006?ref=fbpr&videorepmobile=1

La Segheria della Magnifica Comunità di Fiemme trasformerà il tronco dell’abete rosso conosciuto dagli italiani col nome di “Spelacchio” in tante assi di legno che, una volta assemblate, diventeranno una casetta di legno da collocare in un parco della Capitale dove le mamme potranno accudire i loro figli piccoli. Cinque minuti di video, che anziché fare polemica, finalmente “aiutano a capire”. Bell’esempio di buona informazione (purtroppo rara!).

Per maggiori informazioni sulle baby little home in trentino

www.trentinofamiglia.it/Attualita/Archivio-2014/Agosto/La-nascita-della-Baby-little-home-dall-idea-al-progetto

www.sanpaolostore.it/relazioni-familiari-nell-era-delle-reti-digitali-nuovo-rapporto-cisf-2017-9788892213289.aspx?Referral=newsletter_cisf_20180207

  • Come in tutti gli altri Rapporti Cisf, il volume contiene una miniera di dati, riflessioni, analisi, difficilmente sintetizzabili. Per questo proseguiamo, in questa Newsletter, a segnalare alcune riflessioni specifiche, in forma sintetica, in modo da esplorare in qualche modo tutte le gallerie di questa miniera. E magari sollecitare la curiosità, in chi legge, di approfondire il tema attraverso la lettura dell’intero volume… Questa volta proponiamo la parte finale del paragrafo curato da Francesco Belletti (direttore Cisf), che ha commentato la sezione di dati dell’indagine Cisf (3.708 interviste) specificamente dedicata al modo in cui le reti digitali modificano le relazioni interne alla famiglia. Emerge nel complesso “un processo di tranquillo cambiamento”.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0418_allegato2.pdf

  • Diventare adulti in Europa (Becoming an Adult in Europe). E’ tempo di offrire ai giovani maggiore sostegno interesettoriale (It’s time to provide more cross-sectorial support to young people). Interessante documento di sintesi (quattro pagine, in inglese), che sottolinea la comune consapevolezza, in Europa, dell’urgenza di dover investire maggiormente sulle nuove generazioni, tuttora fortemente penalizzate da uno squilibrio generazionale di politiche pubbliche (che nel nostro Paese è particolarmente grave). Il documento è proposto da Population Europe, network europeo di centri universitari di ricerca socio-demografica, all’interno del programma Generation and Gender Programme, altra rete interuniversitaria che mette a disposizione specifici data base on line in open-source. Interessanti anche le proposte operative, in conclusione.

http://population-europe.eu/policy-brief/becoming-adult-europe

  • Rinnovato il ComitatoMedia e Minori. Dopo quasi due anni di latitanza, è stato ricostituito dal Ministero dello Sviluppo Economico, d’intesa con l’AGCOM, il Comitato Media e Minori, e ne sono stati rinnovati i componenti.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0418_allegato3.pdf

  • L’organismo ha il compito di verificare il rispetto e l’attuazione del “Codice di autoregolamentazione tv e minori”, sottoscritto dalle emittenti tv nel 2002 e recepito nel Testo Unico della radiotelevisione del 2005. www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/mise_extra/codice-tv-minori-pdf.pdf

  • Secondo le prime indicazioni fornite dalla neo-presidente, la professoressa Donatella Pacelli, il Comitato sarà chiamato soprattutto ad «allargare gli obiettivi della tutela dei minori in relazione al mutato scenario dei media. A distanza di quindici anni dalla sua nascita, infatti, il Codice si colloca in un contesto sul quale hanno insistito importanti cambiamenti, indotti dalla multimedialità e da un’offerta multipiattaforma, ed anche da esigenze e stili di fruizione che esprimono più nitidamente la complessità dell’universo dei minori e le difficoltà degli adulti. Pertanto, la necessità di intervenire sul Codice di autoregolamentazione tv e minori del 2002 è avvertita su differenti piani (…) al fine di offrire un serio supporto all’istanza irrinunciabile di un uso consapevole di tutte le piattaforme oggi disponibili»

www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php/it/ministero/organismi/area-tutela-minori

  • Alba. Presentazione del rapporto CISF in un percorso sull’amoris lætitia. Continua il ciclo di incontri, a cura dell’Ufficio Diocesano Famiglia di Alba, sul tema “Interpellati dalla fragilità. Orientamenti di Pastorale Familiare alla luce di Amoris lætitia”. Nel secondo appuntamento, in collaborazione con il Centro Culturale San Paolo, verrà affrontato il tema del ruolo e dello spazio che le reti digitali e social hanno all’interno delle relazioni familiari, a partire dal Nuovo Rapporto Cisf. Le relazioni familiari nell’era delle reti digitali (Edizioni San Paolo 2017). Interverrà il Direttore Cisf (F. Belletti)

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0418_allegato4.jpg

  • Management del fenomeno migratorio e del processo di integrazione. “Il Master si rivolge a laureati interessati a sviluppare conoscenze e competenze nel settore dell’immigrazione: Istituzioni, enti locali, organizzazioni nazionali e internazionali, associazioni del Terzo settore, operatori del settore, insegnanti interessati a conseguire una qualificazione professionale specifica per poter svolgere un ruolo di rilievo nel mondo dell’immigrazione. L’obiettivo è di fornire da un lato una conoscenza approfondita del dibattito teorico per lo studio del fenomeno migratorio in una prospettiva multi-disciplinare e dall’altro l’acquisizione degli strumenti operativi e professionalizzanti che possono venire impiegati nei servizi per l’integrazione dei migranti in Italia”. Master annuale, Università degli Studi Aldo Moro, Dipartimento di Scienze Politiche, Bari – anno accademico 2017-2018-data di inizio: 15 febbraio 2018 (durata: 12 mesi).

http://www.cnoas.it/cgi-bin/cnoas/vfile.cgi?i=KKYKAKUUMALKTKDAEDRASB&t=brochure&e=.pdf

  • Save the date.

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CHIESA CATTOLICA

Dai vescovi tedeschi la proposta di una benedizione per le coppie omosessuali e quelle risposate.

La proposta di un vescovo tedesco, che invita la Chiesa Cattolica a creare una cerimonia di benedizione per le coppie omosessuali e per le persone divorziate che si sono risposate civilmente, ha ricevuto una certa approvazione in occasione di un convegno cattolico a Francoforte sul Meno.

All’inizio di gennaio (2018) il vescovo Franz-Josef Bode, vicepresidente della Conferenza Episcopale Tedesca, durante un’intervista al quotidiano Neue Osnabrucker Zeitung ha detto che la Chiesa dovrebbe creare una cerimonia di benedizione per le coppie omosessuali: “Dobbiamo pensare a come distinguere la relazione tra due persone dello stesso sesso. In esse c’è molto di positivo, buono e giusto e dobbiamo riconoscerlo.” Ha poi proseguito dicendo che le unioni omosessuali sono una realtà in Germania: “Dobbiamo quindi interrogarci sul modo di andare incontro a chi stringe questa unione ed è in parte coinvolto nella vita della Chiesa. Come possiamo accompagnare queste persone, dal punto di vista pastorale e liturgico, per non deluderle?”.

Il 20 gennaio scorso padre Johannes Zu Eltz, decano cattolico di Francoforte e prelato della diocesi di Limburgo, ha detto che la Chiesa dovrebbe pensare a “cerimonie di benedizione teologicamente fondate” per le coppie che non si possono sposare cattolicamente. Il suggerimento è stato fatto a margine del Secondo Forum Cattolico della Città di Francoforte, che ha visto la presenza di 170 leader cattolici. Il Forum, come altre iniziative del genere, serve a discutere le possibili riforme nella Chiesa locale.

La proposta di benedizione si rivolge alle coppie omosessuali “e a [quelle divorziate e] a chi si è risposato civilmente, oltre che alle persone le quali ritengono di non essere sufficientemente degne del sacramento del matrimonio”, come scrive katholisch.de, il sito ufficiale dei vescovi tedeschi.

Le coppie che desiderano la benedizione dovrebbero soddisfare determinati criteri, come “essere ufficialmente registrate allo stato civile”; questo includerebbe le coppie omosessuali, visto che la Germania le ha legalizzate lo scorso anno. La cerimonia sarebbe “diversa” dalla liturgia matrimoniale: verrebbero omessi certi atti, come lo scambio delle promesse e degli anelli, per evitare ogni confusione con il sacramento del matrimonio. La proposta di padre Zu Eltz, secondo la diocesi di Limburgo, è che la cerimonia sia fatta “nel rispetto del legame sancito”, implorando la benedizione di Dio “per il futuro felice di qualcosa che già esiste”. Tale cerimonia soddisferebbe “l’esigenza umana primitiva di ‘salvezza, protezione, felicità e soddisfazione nella vita’, che si collega alla richiesta di benedizione da parte di Dio”.

Secondo katholisch.de, lo scorso anno il vescovo di Münster Felix Glenn ha proibito “la benedizione di una coppia omosessuale” per evitare ogni confusione. Secondo l’insegnamento della Chiesa Cattolica, il matrimonio è l’unione per la vita di un uomo e una donna. A proposito di chi si sente attratto dalle persone dello stesso sesso, il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che: “Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione. Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.” (CCC 2358-2359).

Questa proposta non è la prima che proviene dalla Chiesa tedesca. Nel 2015, in vista del Sinodo sulla Famiglia, monsignor Bode dichiarò all’agenzia di stampa tedesca KNA che era d’accordo sul fatto che la Chiesa non dovesse equiparare tali unioni al matrimonio, ma che comunque bisognava prendere in considerazione i loro punti di forza e le loro debolezze e magari celebrare una benedizione privata. Monsignor Bode era uno dei tre vescovi tedeschi eletti delegati al Sinodo dell’ottobre 2015. A seguito della pubblicazione dell’esortazione apostolica Amoris lætitia, monsignor Bode, assieme ad altri prelati tedeschi, si è fatto interprete del desiderio che la Chiesa riveda la sua prassi sulle coppie omosessuali e sui divorziati risposati.

Testo originale: Frankfurt Church leader supports plan for same-sex blessings

Articolo pubblicato sul sito Catholic News Agency (Stati Uniti) il 24 gennaio 2018,

liberamente tradotto da Giacomo Tessaro, fine settimana 8 febbraio 2018

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201802/180208redazione.pdf

 

Coppie omosessuali, il cardinale Marx: “La benedizione è possibile”

Finora mai un leader di una conferenza episcopale si era spinto a tanto su un tema delicato come la pastorale delle coppie omosessuali. Men che meno un cardinale, figurarsi un componente del C9, il consiglio di porporati che coadiuva il Papa nel governo della Chiesa. Mai nessuno prima del presidente dei vescovi tedeschi, Reinhard Marx, nomen omen, certo non nuovo a posizioni progressiste (vedesi il nodo dei divorziati risposati), che, in un’intervista al canale B5 della radio pubblica bavarese, ha sdoganato nelle alte sfere ecclesiali la benedizione in chiesa delle unioni gay e lesbiche.

“Sì, è immaginabile una possibilità simile, ma non ci sono soluzioni generali – ha detto l’arcivescovo di Monaco -. Non sarebbe nemmeno giusto, penso. È una questione di cura pastorale per i singoli casi e questo vale anche per altri ambiti che non possiamo regolare, dove non abbiamo una serie di leggi”. L’intervento del cardinale, votato al discernimento ignaziano e dal quale traspare una forte sintonia con la visione del Papa secondo cui non tutte le questioni possono essere disciplinate dal magistero, segue e rafforza le dichiarazioni espresse dal suo vice al vertice dell’episcopato tedesco nemmeno un mese fa. Anche in quel caso a mezzo stampa, ma stavolta in un colloquio con il quotidiano Neue Osnabrucker Zeitung, il vescovo di Osnabrück, Franz-Josef Bode, aveva incoraggiato la Chiesa ad approfondire l’ipotesi di una benedizione delle coppie omosessuali.

Da non confondere, era stata la sua precisazione, con un vero e proprio matrimonio. Già ai tempi del doppio Sinodo sulla famiglia, svoltosi tra il 2015 e il 2016 in Vaticano, con prudenza i vescovi tedeschi, Bode in testa, avevano caldeggiato un cambio di approccio nei confronti dei gay e delle lesbiche. Spalleggiati più o meno dagli altri episcopati dell’Europa centrale, avevano però dovuto fare i conti con le chiusure delle altre Chiese nazionali, strenui quelle dei presuli africani e dei Paesi ex comunisti. Risultato, sul tema il Sinodo aveva segnato il passo, ribadendo le posizioni classiche della dottrina cattolica: vicinanza alle persone omosex, nessuna discriminazione, ma l’omosessualità va considerata ‘oggettivamente disordinata’ e gli atti sessuali fra soggetti dello stesso sesso restano ‘intrinsecamente disordinati’. Nessun riferimento, invece, alle coppie gay o lesbiche, come anche nell’esortazione del Papa, Amoris lætitia, che dell’assise episcopale tira le somme.

Ora Marx e Bode alzano il tiro. Le carte stavolta sono del tutto scoperte. È la strada che resta in salita per il fronte riformista. E i primi a saperlo sono proprio i credenti omosessuali, ancora troppo spesso oggetto nelle parrocchie di luoghi comuni e ostracismi. Vero che qualcosa sta cambiando nell’opinione pubblica cattolica, ma la soluzione per una piena armonia nella Chiesa, anche su un tema come la pastorale omosex, sembra sempre più passare da una sorta di federalismo ecclesiale che valorizzi le differenze culturali e sociali delle singole comunità nazionali, nell’unità garantita dalla verità cristiana, contrassegnata dal rispetto della dignità umana e dal primato dell’amore.

Giovanni Panettiere quotidiano net 6 febbraio 2018

www.quotidiano.net/cronaca/benedizione-coppie-omosessuali-1.3706790

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Adozioni dall’estero, la famiglia seguirà la domanda sul web

IlSole24Ore” intervista la vice-Presidente Laura Laera: la CAI esce da un letargo durato 3 anni. In estate l’apertura di nuovi Paesi (5 febbraio 2018). Minori stranieri. Cambio di passo. Con la nuova gestione della Commissione liquidati ai genitori i rimborsi spese del 2011.I numeri. Nel 2017 sono arrivati circa 1.500 bambini. Domande in calo ma si profila un recupero. In arrivo il dossier online.

 

Fascicolo dell’adozione trasparente, rinnovamento del sito istituzionale, attivazione degli studi Paese, digitalizzazione delle procedure, riattivazione della linea Cai di ascolto e informazione: sono queste le iniziative che la Commissione adozioni internazionali (Cai) avvierà a breve.

Dopo diversi anni di stallo completo, la Cai ha iniziato una nuova stagione con l’insediamento, a metà giugno dell’anno scorso, della vicepresidente Laura Laera che ha riavviato la “macchina” delle riunioni affrontando questioni che si trascinavano da tempo. Intanto, sono state chiuse le richieste di rimborso spese presentate dalle famiglie per il 2011, poi si è iniziato a lavorare alla liquidazione dei progetti di cooperazione 2012-2014 e, infine, è stato avviato l’esame delle richieste di autorizzazione a operare in nuovi Paesi. Sono circa 150 le domande presentate dagli enti per allargare il numero dei Paesi da cui adottare che, in questi anni, si sono accumulate nei cassetti della Commissione. L’obiettivo è esaminarle tutte entro l’inizio dell’estate. Nel frattempo la Commissione ha chiesto agli enti di non inviare nuove domande.

Le iniziative in arrivo. In questi anni, le famiglie hanno spesso lamentato la difficoltà di avere informazioni e contatti. La risposta della Cai è duplice: il fascicolo dell’adozione trasparente e la riattivazione della linea di ascolto e informazione.

«Il primo – spiega la vicepresidente Laera – permetterà alle famiglie di conoscere lo stato dell’arte della loro domanda di adozione e controllarne la progressione». Al fascicolo, che debutterà nelle prossime settimane, si accederà con Spid attraverso il sito istituzionale della Cai.

«A giorni riprenderà a funzionare – prosegue la vicepresidente – la linea di ascolto e informazione che sarà gestita direttamente dalla Commissione, mentre nel passato, prima dell’interruzione, se ne occupava l’Istituto degli Innocenti. Sarà un canale di contatto con le famiglie, gli enti e altri operatori».

Le due novità vanno di pari passo con il rinnovamento e l’aggiornamento del sito. «Vorrei, inoltre, procedere – sottolinea Laera – con la digitalizzazione delle procedure, materia che richiede il coordinamento con la presidenza del Consiglio».

Non si arresta la diminuzione dei bambini adottati. «Si tratta – commenta la vicepresidente – di un fenomeno generale, che non interessa solo il nostro Paese e sul quale incidono diversi fattori: la chiusura da parte di alcuni Paesi da cui tradizionalmente arrivavano molti minori o la decisione da parte di altri di privilegiare i percorsi interni come l’affido o l’adozione nazionale. La Russia è per esempio uno di questi ultimi».

Calo demografico e ricorso alla fecondazione assistita hanno invece inciso negativamente sul numero delle coppie disponibili ad adottare, che resta però, nonostante la diminuzione, comunque superiore a quello dei minori adottabili.

Il trend in discesa è confermato dai dati degli ultimi anni: basti pensare che nel 2015 i bambini adottati sono stati 2.216 mentre per il 2017 le stime elaborate sui dati degli enti parlano di circa 1.500 minori.

Per compensare la chiusura totale delle frontiere (decisa di recente dall’Etiopia) o le politiche restrittive adottate da altri Paesi è necessario lavorare all’apertura di nuove rotte o riallacciare rapporti al momento interrotti. «A tale riguardo – afferma Laera – stiamo mettendo a punto gli studi Paese per verificare tutte le opportunità e organizzando missioni all’estero».

Una piccola inversione di tendenza arriva, tuttavia, dall’ultimo semestre del 2017, in cui ci sono state circa cento richieste in più di autorizzazioni al proseguimento della procedura, una fase successiva all’abbinamento del bambino alla famiglia e che prelude alla chiusura dell’adozione.

La riorganizzazione. Il nuovo assetto della Cai ha dovuto fare i conti con le vecchie pratiche. Liquidati, come detto, i rimborsi del 2011, per gli anni successivi si attende la ripartizione dei 25 milioni di euro stanziati dall’ultima legge di Bilancio, una parte dei quali sarà destinata alla copertura di parte delle spese già sostenute dalle famiglie. Sono in attesa tutti coloro che hanno adottato dal 2012 a oggi. «Sarebbe utile – precisa Laera – introdurre oltre al tetto sul reddito, già previsto, anche un limite al rimborso, in modo da ripartire equamente le somme disponibili».

Capitolo delicato è quello del numero degli enti autorizzati. Sul sito oggi ne compaiono 62, ma alcuni sono poco o per nulla operativi: secondo un monitoraggio della Cai, nel 2017 sette enti non hanno fatto alcuna adozione e altri solo poche. «Verranno posti sotto attenzione. Rimodulare gli enti non è un’operazione semplice – spiega Laera – ma è necessario. C’è anche una selezione naturale: in corso ci sono, per esempio, tre fusioni».

www.giuraemilia.it/RassegneStampaData/2018_2_11/x8F4RbMp.pdf

www.infodata.ilsole24ore.com/2018/02/05/adozioni-dallestero-numeri-percorso-delle-famiglie

http://istitutodeglinnocenti.waypress.eu/RassegnaStampa/LeggiArticolo.aspx?codice=OPA1103.TIF&subcod=20180205&numPag=4&tipo=GIF

 

Comunicato stampa 9 febbraio 2018

Dal 12 febbraio 2018 sarà riattivato il Servizio Linea CAI”, gestito dalla segreteria tecnica della CAI attraverso personale interno qualificato, dedicato alla informazione, alla comunicazione, all’ascolto telefonico. Il servizio è rivolto alle famiglie adottive, con esclusione del tema rimborsi, trattato separatamente dal funzionario preposto (0667796830), nonché agli operatori dei Servizi territoriali e dei Tribunali per i Minorenni per consulenza rispetto a casi particolari, agli Enti autorizzati per confronto e scambi di informazione, agli studiosi della materia e a tutti i cittadini interessati a diverso titolo alle tematiche adottive.

Sarà attivo il lunedì e venerdì dalle 10 alle 13 e il mercoledì dalle 15 alle 17 al numero telefonico 0667793222; in alternativa sarà possibile inviare un messaggio all’indirizzo di posta elettronica lineacai@governo.it.

www.commissioneadozioni.it/it/linea-cai.aspx

 

Comunicato stampa 7 febbraio 2018

Negli ultimi giorni la casella di posta elettronica della Commissione per le Adozioni Internazionali è stata riempita da un gran numero di e-mail, spesso con identico testo, con finalità di sensibilizzare la Commissione, come le altre Autorità in indirizzo, affinché ponga in essere ogni possibile strategia per affrontare e risolvere la vicenda del blocco delle adozioni internazionali in Etiopia, deciso dal Parlamento della Repubblica Federale Democratica dell’Etiopia lo scorso 9 gennaio 2018

Occorre premettere che questa Commissione si è attivata sin da subito, all’indomani dell’approvazione della legge, per porre in essere ogni azione a livello politico e diplomatico, per cercare di pervenire ad una soluzione di questa vicenda, nell’interesse primario dei minori abbandonati e delle famiglie italiane che da tempo attendono di coronare il loro desiderio di famiglia, tenendo sempre presente, però, il fatto di trovarsi al cospetto di una decisione adottata dal Parlamento di uno Stato sovrano, che esige il massimo rispetto.

Peraltro le e-mail che stanno pervenendo contengono alcune inesattezze, potenzialmente foriere di vane aspettative, che necessitano di un chiarimento. Dal sistema informatico di questa Commissione risultano infatti, ad oggi, circa 80 famiglie instradate per un’adozione in Etiopia, delle quali poco meno di un terzo hanno ricevuto la segnalazione di un abbinamento. Questi dati potrebbero forse non essere precisi, ma sono quelli forniti dagli enti autorizzati, cui le famiglie hanno conferito incarico per adottare in Etiopia. Riferirsi quindi a centinaia di famiglie e di minori in attesa appare fuorviante.

D’altra parte va detto che è assolutamente improprio parlare di “diritto ad adottare”, come anche di “diritti acquisiti” dalle famiglie italiane, dal momento che tali aspettative non sono riconosciute quali “diritti” da alcuna legge dell’ordinamento italiano. L’adozione, infatti, non si configura giuridicamente come un “diritto” a divenire genitori adottivi, ma come un atto di generosa disponibilità ad accogliere un minore in stato di abbandono. E’ invece un diritto quello del minore ad avere una famiglia (Legge n. 184/1983).

Questa Commissione pertanto, pur condividendo i timori e le ansie delle famiglie italiane coinvolte in questa vicenda e rispettando il diritto di ognuno a manifestare il proprio pensiero nelle forme più opportune, auspica che le informazioni fornite siano esaustive.

A sostegno di quando detto, si informa che è in fase di preparazione una missione urgente a Addis Abeba, che si spera possa avere luogo al più presto, organizzata di concerto con il Ministero degli Affari Esteri, per incontrare le autorità etiopi, dalle quali attendiamo di conoscere la disponibilità, al fine di individuare ogni possibile spiraglio che consenta al numero più ampio possibile di famiglie italiane di portare a termine la procedura di adozione in Etiopia, nel rispetto delle prerogative di uno Stato sovrano di cui gode la Repubblica Federale Democratica dell’Etiopia.

Sarà cura della Commissione aggiornare sugli ulteriori sviluppi delle procedure in Etiopia.

www.commissioneadozioni.it/it/notizie/2018/adozioni-in-etiopia.aspx

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CONSULTORI FAMILIARI

Roma. Al Quadraro. Educazione all’affettività, i ragazzi chiedono ascolto e rispetto

Gli spunti di riflessione emersi da un’esperienza formativa del Consultorio diocesano con alcune scuole, negli ambiti delle emozioni e della sessualità.

L’obiettivo: la consapevolezza dell’identità fisica ed emotiva. Sempre più spesso basta accendere la tv oppure aprire un social network, che l’immagine che ci viene più frequentemente proposta è quella di un corpo perfetto, da curare a tutti i costi. L’uomo o la donna appaiono interessanti solo se attraenti, spigliati, smaliziati, provocanti. I giovani d’oggi crescono con questo ideale nella mente: uno status da raggiungere basato sulla perfezione dell’aspetto esteriore, apparire sempre a tutti costi, anche a discapito di situazioni più importanti e prioritarie. Tutto questo, in un momento di “crisi”, quale può essere l’adolescenza, in cui il corpo cambia in maniera veloce, il giovane si può trovare immerso in una condizione che lo allontana dalla conoscenza reale di sé.

Le famiglie, d’altro canto, che hanno da sempre supportato questo passaggio, sono diventate delle piccole isole; genitori lavoratori, spesso con poco tempo da dedicare a tali tematiche, rimbalzano la palla alla scuola; la scuola, dal lato suo, pensa di affidare il compito alle famiglie: insomma, chi deve parlare con questi ragazzi? Chi deve raccontare loro come cambia il corpo e perché? Chi parla loro della bellezza che tutto questo percorso cela? Chi parla loro della responsabilità che avranno nella capacità di mettere al mondo nuovi esseri umani? Ma soprattutto, chi parla loro del rispetto che ogni persona deve avere del proprio corpo, tutelandolo e mantenendolo in salute fin dal principio?

Un rispetto che si metterà in relazione con quello che si ha verso l’altro, verso la persona amata e che porterà verso una sessualità consapevole e attenta.

Si è parlato tanto di quella che è l’educazione sessuale nelle scuole, ma effettivamente tanta teoria e poca pratica. Forse sbagliamo anche a chiamarla così: dovremmo parlare di educazione all’affettività, perché è questa l’idea che il giovane deve far crescere in sé, un’idea di sviluppo delle emozioni che parte dal concetto di conoscenza e rispetto, di sé e degli altri. Allora se parlassimo di tale esperienza, dovremmo prevedere un simile percorso fin dalle scuole primarie, affiancandolo al giovane che cresce; ma è davvero difficile trovare scuole disposte a dedicare tempo, spazio e risorse a tale tema.

Nel 2015 Il Consultorio familiare al Quadraro ha elaborato e proposto un percorso presso l’I.C. Settembrini di Roma, strutturato in maniera differente nelle I, II e III medie, attraverso la collaborazione di un gruppo composto da psicologi, psicoterapeuti e personale sanitario. L’obiettivo di fondo è stato legato alla maturazione di una consapevolezza della propria identità fisica ed emotiva, passando per i cambiamenti legati al corpo e alla mente.

Tanti spunti di riflessione sono emersi da tale progetto, in primis legati alla richiesta da parte dei ragazzi stessi di maggiori spazi per il dialogo, la riflessione, la condivisione: i giovani hanno bisogno di essere ascoltati, di esprimersi, di essere rispettati all’interno di un contesto che è tutto loro e che, normalmente, il sistema scolastico imposta a favore di obiettivi cognitivi e intellettivi, a discapito di quelli emotivi e psicologici.

L’altro importante spunto di riflessione è stato legato alla scarsa conoscenza che hanno i giovani del proprio corpo, nello specifico nelle classi delle terze, in cui si è proposto l’incontro con gli operatori sanitari, quale ostetrica e genetista. Né le ragazze né i ragazzi conoscono come sono fatti e quali cambiamenti stanno vivendo, nonostante molti avevano già affrontato lo sviluppo. Spesso erano legati a tabù e falsi miti, evidentemente errati. Ma la cosa che saltava più facilmente agli occhi era l’imbarazzo che si esprimeva, non tanto sulle tematiche riguardanti la sessualità, piuttosto sulla propria anatomia.

Questo fa davvero riflettere: siamo costantemente bombardati da immagini di vario tipo, ma ancora la conoscenza profonda di noi, del nostro corpo, della nostra fisiologia è un concetto lontano. Ma siamo sicuri che sia una questione legata solo ai ragazzi? Dall’esperienza possiamo dire che anche negli adulti questa scarsa conoscenza rimane frequente, basta dare un’occhiata ai forum di discussione su internet, in cui le domande mostrano persone adulte che ignorano come sono fatte e di conseguenza come sono fatte le persone con cui hanno una relazione: tutto ciò potrebbe portare ad una sessualità non consapevole e sicuramente poco sana.

Ma anche nei corsi pre-parto abbiamo sentito, come consultorio, la necessità di inserire un incontro legato all’anatomia femminile e maschile, perché troppo spesso venivano fuori lacune importanti, legate ad una scarsa conoscenza del proprio corpo. Eppure questi sono i genitori del futuro: come faranno ad insegnare ai propri figli come sono fatti se non lo sanno loro stessi?

Torniamo sempre al punto di partenza. Abbiamo bisogno di attuare delle politiche di informazione e di formazione, in cui si deve insegnare a riconoscere la propria identità fisica ed emotiva. Investire in questi progetti fin dall’infanzia è come prendere un seme e piantarlo nella terra: con il tempo, il sostegno, la cura crescerà una pianta sana e rigogliosa che darà i suoi frutti belli, colorati e maturi.

Simona Marocchini, ostetrica Consultorio diocesano Al Quadraro 9 febbraio 2018

www.romasette.it/educazione-allaffettivita-ragazzi-chiedono-ascolto-rispetto

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Frosinone. Convegno. “M’ama, non M’ama?: quando l’amore diventa violento”.

Il 17 Febbraio 2018 si terrà a Frosinone l’XI Convegno Annuale, un appuntamento ormai consolidato per il Consultorio Familiare Anatolè, dove, ogni anno cerchiamo di affrontare temi riguardanti le relazioni e le difficoltà ad esse connesse per promuove il benessere della persona, della coppia, della famiglia. Lo scopo è riflettere e sensibilizzare, soprattutto i giovani, sul rispetto della persona, in questo caso della donna, da non considerare come un oggetto.

Inoltre intendiamo fornire alle donne e ai loro familiari gli strumenti per saper riconoscere la violenza spesso mascherata d’amore e trovare la forza ed il coraggio di affrontarla. Un passo che certamente non si può fare in solitudine ma è fondamentale il sostegno di familiari, amici e soprattutto di professionisti in quanto, in situazioni così delicate, è fondamentale il ruolo di operatori che sappiano mettere in campo interventi delicati ma efficaci per accompagnare le donne nei loro percorsi di uscita dalla situazione di violenza.

Ci concentreremo quindi sul ruolo che può avere la figura del Consulente di Coppia e Familiare nell’aiutare la donna vittima di violenza ad una maggiore consapevolezza delle proprie risorse. Lavorando in equipe e con la rete dei Servizi Territoriali si può fornire un servizio di orientamento, di protezione e assistenza a tali situazioni anche riguardo l’aspetto legale che, ad oggi, ancora non tutela pienamente le vittime di violenza, tenendo sempre presente che esistono diverse forme di violenza, pensiamo a tutte quelle violenze quotidiane, fisiche o verbali, spesso non denunciate, magari avvenute tra le mura domestiche.

Secondo l’Istat sono almeno 7 milioni le donne italiane ad aver subito almeno una volta nella vita una forma di abuso. Non dobbiamo aspettare di leggere fatti che finiscono in cronaca nera ma bisogna lavorare di più ed in maniera costante sulla prevenzione, coinvolgendo anche gli uomini in una sorta di rieducazione al rispetto dell’essere umano, al saper gestire le emozioni, all’affettività ed alla sessualità, in una parola all’amore verso l’altro!

Apertura: Don Ermanno D’Onofrio presidente, Alessandra Testani e direttore del consultorio

Saluti delle Autorità

Dr Rosa Campese, Consulente Coniugale e Familiare, Psicologa e Psicoterapeuta:

“Prendersi cura: il fenomeno della violenza sulle donne e possibile intervento del Consulente di Coppia e Familiare”

Avv. Simona Simeone del Foro di Roma:

“Violenza sulle donne: Stato dell’arte della legislazione penale”

Dr Cristina Pagliarosi, Psicologo Esperta della Questura di Frosinone, Ambasciatrice del Telefono Rosa:

“I segni della violenza: consapevolezza della vittima e ruolo delle forze dell’ordine”

Prof.ssa Patrizia Palombo, Presidente Telefono Rosa Frosinone Centro di orientamento per le donne Onlus:

“Strategie di prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne

Dr Giuseppina Bonaviri, Presidente del Progetto Provincia Area Vasta Smart:

“Iniziative del Territorio per costruire una società contro ogni tipo di violenza”

Testimonianza di una donna vittima di violenza

Spazio alle domande e dibattito

www.consultorioanatole.it/site/index.php

 

Pescara. Percorso di conoscenza di sé’

Il percorso mira, attraverso l’utilizzo di dinamiche esperienziali, a favorire la capacità di auto-ascolto, l’esplorazione di sé e del proprio mondo interiore, per acquisire maggiore consapevolezza di ciò che siamo.

  • Facilitare il riconoscimento e la valorizzazione delle proprie risorse e l’accettazione/integrazione dei propri limiti.

  • Favorire le relazioni all’interno del gruppo, attraverso stili comunicativi improntati all’autenticità e al rispetto di sé e degli altri.

  • Facilitare l’ascolto dei propri bisogni e la comprensione dei propri stili comportamentali.

Il quadro di riferimento teorico-applicativo è basato sui principi della Psicologia Umanistica e dell’Analisi Transazionale e fornisce ai partecipanti griglie di lettura e modalità di intervento integrate, al fine di offrire sostegno e aiuto altamente personalizzati, partendo dalle esigenze e dalle caratteristiche di unicità e soggettività di ogni persona.

Il Percorso si articola in due anni, ciascun anno è composto da 9 moduli formativi di 3 ore ognuno ed un seminario di una intera giornata (Minitona), per complessive 33 ore.

Si specifica, inoltre, che:

  • Non è possibile partecipare in coppia;

  • Pur trattandosi di moduli a contenuto differenziato è fortemente consigliata la partecipazione per tutta la durata del percorso;

  • Non sarà possibile accogliere nuove richieste di accesso ai percorsi se questi sono già iniziati e/o se hanno raggiunto il numero massimo di partecipanti. In questi casi sarete ricontattati e vi sarà comunicata la più vicina data di partenza prevista di un nuovo percorso.

  • La partecipazione al secondo anno è evidentemente possibile solo dopo aver frequentato il primo anno del percorso ed è comunque facoltativa per questi ultimi, nel senso che è possibile ovviamente scegliere di frequentare solo il primo anno.

La metodologia di apprendimento è teorico-esperienziale. Attraverso esercitazioni tecnico-pratiche si vuol favorire lo sviluppo e l’integrazione di abilità comunicative e di ascolto utili a migliorare la relazione con l’altro sia in ambito professionale che personale.

Il 30% delle ore è dedicato alla parte teorica, il 70% alla pratica esperienziale.

Il percorso prevede, al 5° incontro, un seminario di approfondimento di una giornata (MINITONA) con orario indicativo dalle 9.00 alle 18.00 in una sede che sarà tempestivamente comunicata

  • 1° anno, 3° Gruppo previsto al sabato mattina 9.30-12.30, a partire dal 10 marzo 2018

Conduttori: Lidia Di Bartolomeo e Raffaela La Torre

1° anno – 4° gruppo Lunedì ore: 19:00 – 22:00

  • 1° anno, 4° Gruppo previsto al sabato mattina 19-22, a partire dal 9 aprile 2018

Conduttori: Alessandro Angelucci e Chiara Monticelli

www.ucipempescara.org/percorsi

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COPPIA

Quattro rimedi per impedire che la vita di coppia si trasformi in routine

Non basta il buonsenso, serve confronto e chiarezza. E, al tempo stesso, la volontà di non litigare per piccole cose che, alla lunga, diventano enormi. Bello stare insieme, certo. Ma dopo qualche tempo la vena romantica si esaurisce, la passione scende, la normalità si impone fino a ingrigire. E alla fine la vita di coppia diventa una vita tra single coinquilini, con in più alcuni obblighi fastidiosi che i coinquilini si risparmiano volentieri.

C’è un modo per evitarlo? Forse sì. Di sicuro si può, in qualche modo, attenuare la noia del vivere insieme, ad esempio seguendo questi quattro consigli.

  1. Addio al telefono. Secondo quanto racconta qui la psicologa clinica Traci Stein, uno dei nemici principali della relazione è il cellulare. Certo, tutti passano ore sui social, scrollando a tempo perso la loro pagina. I rischio è di farlo senza prestare attenzione al partner. È una situazione semi-ipnotica pericolosa, perché sebbene si sia presenti, in realtà si dà l’impressione di essere lontani e distaccati. Il telefono è davvero uno schermo che separa dal mondo e permette/impone di ignorarlo. Se nel mondo c’è anche il partner, allora qualcosa smetterà di funzionare.

  2. Insistere sulle proprie insicurezze. Se ci si sente sotto giudizio in ogni momento, se non si è in grado di capire a cosa stia pensando l’altro (o addirittura si comincia a temere che voglia rompere il rapporto), se – insomma – manca quell’intesa che non richiede l’uso di parole, allora anche il senso della storia d’amore comincia a scemare. Sentire che la storia non funziona è il modo migliore per non farla funzionare. La cosa più semplice è ricominciare a parlare: confidare al partner timori e paure. Se non si ha il coraggio di fare nemmeno questo, allora si suggerisce di cambiare partner.

  3. Evitare sessioni di autoanalisi. Se parlare troppo poco sulle difficoltà che si vivono nei confronti del partner è un male, lo è anche il contrario. Non tutto merita di essere studiato, sezionato, illustrato in modo serio e approfondito. Esiste una zona grigia enorme di cose su cui è meglio lasciare stare, piccoli fastidi che si possono solo ignorare (e non tirare fuori nei momenti del litigio). La vita di coppia non va confusa, insomma, con la terapia di coppia.

  4. Litigare spesso per piccole cose. Succede sempre. Sulla posto da dare alle cose. Sulla pulizia. Sulle abitudini di tutti i giorni. A volte, nonostante gli affetti, è difficile conciliare gli stili di vita tra due persone con atteggiamenti molto diversi nella quotidianità. E allora è meglio confrontarsi. Sì, ma con attenzione: se l’altro avverte il tentativo, da parte vostra, di cambiare le sue abitudini, si ribellerà. E prima o poi la cosa diventerà grave. In questo senso la strada giusta è il compromesso.

LinkPop Linkiesta.it9 febbraio 2018

www.linkiesta.it/it/article/2018/02/09/quattro-rimedi-per-impedire-che-la-vita-di-coppia-si-trasformi-in-rout/37076

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DALLA NAVATA

VI Domenica del tempo ordinario- Anno B –11 febbraio 2018

Levitico 13, 46 Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento.

Salmo 32, 05 Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa. Ho detto «Confesserò al Signore le mie iniquità» e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato.

1Corinzi 10, 32 Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio.

Marco 01, 39 45 Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

 

Pannello del soffitto dipinto,

Chiesa di san Martino, Zillis (Svizzera),1109-1114.

 

Anche Gesù va in collera Commento di Enzo Bianchi, priore emerito nel convento di Bose (BI)

 

Nel vangelo di questa domenica leggiamo un racconto che ha un inizio improvviso, senza precisazione di tempo e di luogo, un racconto che facilmente ci appare attuale, collocabile qui è ora: è l’incontro tra Gesù e un uomo affetto da lebbra.

Il lebbroso era allora ed è ancora adesso un malato ripugnante, a tal punto che lo si qualificava come un uomo morto. Per un giudeo, poi, la lebbra era segno di un preciso castigo di Dio, una malattia mediante la quale erano stati colpiti per i loro peccati la sorella di Mosè, Miriam (cf. Nm 12,9-10), il servo del profeta Eliseo (cf. 2Re 5,27) e altri peccatori. Grande è l’orrore, terribile la reazione di fronte a questa malattia che devasta fino alla putrefazione della carne il volto e il corpo dei malati.

Essendo la lebbra contagiosa, esigeva che il malato fosse escluso dalla convivenza, segregato in qualche luogo deserto e riconoscibile dal grido che doveva emettere qualora vedesse qualcuno avvicinarsi a lui: “Sono impuro! Sono impuro!” (cf. Lv 13,45-46). Un lebbroso appariva dunque come una persona senza possibilità di relazione e di comunione, né con Dio né con gli uomini. Non era solo un malato, ma un “impuro”, come un cadavere. Toccare una persona in quella condizione significava escludersi da qualsiasi atto religioso. Ci si poteva riaccostare al lebbroso solo dopo la scomparsa in lui dei sintomi del male e dopo la sua “purificazione”: questa doveva essere riconosciuta da un sacerdote il quale, con un atto religioso, poteva reintegrare la persona nella comunità dei credenti.

Ed ecco l’incontro tra Gesù e un lebbroso che viene a lui, gli si inginocchia davanti e lo supplica: “Se vuoi, tu puoi purificarmi!”. Di quest’uomo non sappiamo nulla, né possiamo valutare la sua vita e la sua fede. Certamente ha fiducia in Gesù, che gli pare affidabile; da Gesù è attratto come da un uomo che può fare qualcosa per lui. Con audacia, più che con fede, si avvicina dunque a quell’uomo che merita ascolto, fiducia, forse anche adesione. 

E Gesù davanti a costui ha una reazione: proprio perché lo guarda e sa cosa significa questa malattia, proprio perché sente il fetore delle sue piaghe e vede il suo viso stravolto, il suo corpo devastato, “va in collera” (orghistheís), adirato per l’intollerabilità del male e del destino che pesa su quest’uomo. Sì, Marco ci narra un Gesù, che, proprio perché è capace di passione, ha una reazione di collera; ci descrive quanto Gesù senta intollerabile una tale situazione per un uomo che è suo fratello, uomo come lui, uguale a lui nella dignità di persona umana. Ma si faccia attenzione alle parole di Gesù. In risposta alla supplica dell’altro, egli non risponde: “Io lo voglio e ti purifico!”, ma: “Io lo voglio, sii purificato!” (passivo divino). Gesù lascia il posto a colui che purifica, Dio: non pretende di occuparlo, ma proclama il suo desiderio e la sua volontà che quell’uomo non debba più essere separato, ma possa essere purificato, guarito.

L’evangelista non sapeva però che, usando alcune espressioni che testimoniano l’umanità vera e concreta di Gesù, poteva destare stupore, opposizione e giudizio su Gesù stesso. Sempre, infatti, soprattutto tra gli uomini religiosi, ci sono anime mefitiche, talmente tese a una santità formale che si scandalizzano della passione di Gesù e della sua collera. Questi religiosi sono sempre in scena. Per loro Gesù avrebbe dovuto prima pensare a cosa prevede la Legge, poi mostrare il suo sentimento conformemente a ciò che la Legge comanda.

E invece Marco, volendo mostrare in modo chiaro e comprensibile i comportamenti di Gesù, dice ciò che per alcuni non è sopportabile: Gesù va in collera, qui come altrove (cf. Mc 3,5: di fronte ai farisei; 10,14: di fronte ai suoi discepoli). Sì, Gesù andò in collera, perché sapeva vivere il conflitto e ribellarsi contro il male, la malattia, la situazione di schiavitù e di segregazione che rendeva come morto quell’uomo. Non era cosa giusta, ed ecco allora la collera di Gesù!

Qualche scriba, però, pensò di correggere questa espressione, che in alcuni manoscritti diventò: “fu preso da compassione” (splanchnistheís; cf. Mc 6,34 e 8,2: di fronte alle folle). Così le persone a bassa frequenza di sentimenti ne sono state soddisfatte… In verità anche nell’espressione “andò in collera” c’era la passione della compassione, ma con questa correzione, che la versione italiana segue, il comportamento di Gesù sembrerebbe forse più accettabile, ma meno capace di esprimere i suoi sentimenti.

In quello scatto d’ira, Gesù prende la mano di quell’uomo, lo tocca, entrando così in relazione, anzi in comunione con lui. Mano lebbrosa nella mano di Gesù, contatto vietato dalla Torah, stretta di una carne giudicata demoniaca, e il suo gesto viene accompagnato dalla parola: “Io lo voglio, sii purificato!”. “E subito” – annota Marco – “la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato”: quel lebbroso è sanato, la sua fiducia in Gesù ha ottenuto il risultato sperato, la sua preghiera di compassione è stata esaudita. Non è più uno scomunicato, anzi è una persona che è entrata in piena comunione con Gesù, il quale ha eliminato quel male così orribile ed escludente. Questo dovrebbe essere l’atteggiamento del cristiano verso i malati e verso i peccatori, quando la cura e la misericordia diventano mano nella mano, occhio contro occhio, volto contro volto, un bacio come quello che Francesco d’Assisi seppe dare al lebbroso quale segno dell’inizio di un’altra visione e dunque di un’altra vita.

Gesù dice anche: “Va’ a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro”. Ricorda le prescrizioni della Legge, chiede al malato purificato di osservarle, ma si preoccupa anche che sia data testimonianza ai sacerdoti e agli addetti al tempio. Non sarebbero necessarie queste “osservanze”, perché l’azione purificatrice di Dio è avvenuta con efficacia, ma Gesù insiste su di esse affinché anche al tempio si sappia la novità da lui portata con la sua predicazione e la sua azione.

Ma dopo la guarigione ecco ancora un Gesù che non piace alle persone “religiose” che si nutrono solo di miele. Il testo dice che Gesù, “sdegnandosi con lui, lo cacciò via subito”. Avvenuta la liberazione, Gesù non sta lì a prendere complimenti, a chiedere che si guardi e si constati la sua azione: non è infatti mai tentato dal narcisismo che attende il riconoscimento per il bene fatto e, a costo di sembrare burbero e scortese, si sdegna e scaccia quell’uomo da lui guarito, ammonendolo di non dire niente a nessuno. Gesù non vuole essere riconosciuto per uno che fa miracoli, non vuole che lo acclamino per delle azioni prodigiose, e soprattutto vuole che il segreto riguardo alla sua identità di Messia sia svelato e proclamato quando sarà appeso alla croce. Solo allora è lecito, a chi ha capito Gesù, dire che egli era buono, che era giusto (cf. Lc 23,47), che era il Figlio di Dio (cf. Mc 15,39; Mt 27,54).

Gesù è discreto di fronte alla gente, fa silenzio e chiede di fare silenzio per non destare l’applauso, conosce l’arte della fuga nei luoghi deserti per sottrarsi al facile consenso degli altri; ma va anche in collera, si sdegna visibilmente di fronte alla sofferenza, alla menzogna, al misconoscimento della verità, alla pigrizia e alla vigliaccheria delle persone. E così da tutte le città vengono a cercare, a vedere, a pregare Gesù. Successo? Sì, ma successo da cui Gesù sa difendersi, perché è consapevole che ciò che egli compie lo realizza solo prestando occhi, mani, voce al Padre, a Dio che lo ha inviato.

http://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12086-gesu-collera

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DEMOGRAFIA

Perché in Italia (e nei Paesi ricchi) la natalità non riparte

Nuovi stili di vita, economia, precarietà del lavoro, donne penalizzate. Ecco perché senza misure drastiche la crisi non si può superare.

Il calo delle nascite continua, ma il clima da campagna elettorale non aiuta a riflettere sulle vere cause di questa crisi. Nascono meno bambini in Italia (464mila nel 2017) perché la riduzione della natalità dura da così tanto tempo che oggi ci sono meno donne che possono metterne al mondo: negli ultimi 10 anni le donne in età fertile, dai 15 ai 50 anni, sono calate di un milione (-900.000). Inoltre l’età media del parto è salita a quasi 32 anni (31,8), fatto che rende più complicato avere più figli nel corso della vita. Insomma, ci sono ragioni strutturali molto forti che rendono difficile recuperare terreno, e la demografia richiede una certa pazienza. O misure drastiche.

Una delle ragioni principali del crollo demografico, che in Italia ha portato il tasso di fecondità a 1,34 figli per donna, è stata la crisi economica. Un recente studio dell’istituto demografico di Vienna sull’impatto della Grande recessione in Europa ha confermato che crisi e disoccupazione hanno avuto un impatto diretto sulla dimensione delle famiglie. La mancanza di lavoro ha però inciso maggiormente dove il welfare è meno efficace nel sollevare le persone dalla povertà e a compensare il costo del mantenimento dei figli: nell’Europa del Sud e in quella dell’Est.

Senza un recupero dell’occupazione e senza prospettive di lavoro stabili, dunque, la natalità difficilmente potrà ripartire. Molte ricerche hanno dimostrato che l’incertezza e la precarietà fanno aumentare le convivenze rispetto ai matrimoni e calare le nascite. Salari molto bassi per i lavori meno qualificati, spesso assai precari, obbligano a lavorare stabilmente in due se si vuole crescere un figlio, e non sempre basta. Anche per questo, rispetto a un tempo, meno donne con bassa istruzione diventano madri.

Quello che si nota oggi, tuttavia, è che la mancanza di figli caratterizza sempre di più anche gli uomini e le donne con istruzione elevata e carriere migliori. Investire molto sulle proprie competenze sposta così tanto in avanti il momento per costituire una famiglia che a risentirne è la natalità. D’altra parte oggi ci sono più persone, sia uomini che donne, che non intendono rinunciare alla carriera o ad altre cose per far posto a dei bambini. E’ un cambio culturale con il quale si deve fare i conti.

Chi invece continua a nutrire il sogno di una famiglia deve rapportarsi a un contesto culturale ed economico che in Italia disincentiva la parità: mentre gli uomini con prole risultano più attivi sul mercato del lavoro, per le donne vale esattamente il contrario. Maternità e lavoro non riescono ancora ad andare d’accordo.

Occupazione, politiche per la conciliazione e un welfare più attento ai figli sono le strade per provare a far ripartire un po’ le nascite. Ma senza illusioni: il dato di 2,1 figli per donna – il tasso di sostituzione della popolazione – è diventato un livello che i Paesi sviluppati riescono ad avvicinare solo grazie a chi arriva da Paesi più poveri.

Massimo Calvi Avvenire 9 febbraio 2018

www.avvenire.it/attualita/pagine/crisi-lavoro-precario-e-donne-sfavorite-perch-la-natalit-non-riesce-a-ripa

 

Ancora meno figli. Il mondo dell’adozione internazionale chiederà alla Politica un rilancio concreto

I dati ISTAT relativi allo scorso anno indicano il 2% di nascite in meno rispetto al 2016: un nuovo record negativo nel tasso di natalità del nostro Paese, che continua dal 2008. Saldo negativo tra nascite e morti (-183mila) ‘ripianato’ dalle migrazioni (+184mila)

Grido di dolore di Gigi De Palo, presidente del Forum Famiglie: “Lo dicevamo lo scorso anno commentando i dati Istat del 2016: ‘Scommettiamo che nel 2017 gli italiani saranno ancora meno?’. E la nostra fu una triste profezia“. Per evitare il tracollo si muove anche il mondo dell’adozione internazionale: giovedì 15 febbraio a Roma chiederà alla Politica azioni concrete per il rilancio dell”officina dei miracoli’

Un Paese ‘in panchina’: così ribattezza Avvenire l’Italia, dopo la notizia – per il nono anno consecutivo – di un calo nel numero delle nascite nel nostro Paese: nel 2017, in effetti, sono nati 464mila bambini, il 2% in meno rispetto all’anno prima, quando furono 473mila. E sempre enormemente meno rispetto al 2008, anno in cui la tendenza si è avviata: erano stati, allora, 577mila. In 10 anni, insomma, si è scesi del 20% nel numero delle nascite. Il saldo demografico negativo del 2017 tra nati e morti (-183mila) viene ‘sanato’ appena dall’afflusso di migranti (+184mila), con 100mila persone comunque in meno nel Paese (-1,6%) rispetto al 2016.

Un Paese sempre più ‘vecchio’ (l’età media sale a 45 anni) e con il 22,6% della popolazione che al primo gennaio 2018 ha compiuto 65 anni, con solo il 13,4% di persone sotto i 15 anni. A questi dati sempre più preoccupanti fa eco il presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, Gigi De Palo, che in una nota sottolinea come “lo dicevamo lo scorso anno commentando i dati Istat del 2016: ‘Scommettiamo che nel 2017 gli italiani saranno ancora meno?’. E la nostra fu una triste profezia’“, aggiungendo che i dati pubblicati dall’Istat “sono impietosi e allarmanti“.

Dalle colonne del Messaggero, gli fa eco il prof. Alessandro Rosina, docente di demografia all’Università Cattolica, che analizzando da tecnico i numeri dell’Istat evidenzia come “la riduzione delle potenziali madri è il risultato del calo delle nascite del passato, per il quale ormai non possiamo fare più nulla “. E aggiunge: “A maggior ragione, però, dobbiamo impegnarci per aiutare in particolare la fascia di età decisiva, quella tra i 25 e i 34 anni. I giovani che posticipano il momento di diventare genitori, così che alla fine alcuni rinunciano del tutto, altri non vanno oltre il primo figlio “.

In effetti, secondo l’Istat sono cinque milioni le coppie sposate senza figli in Italia, di cui, secondo alcune stime, sarebbero 3 milioni 430mila quelle sterili. Un numero enorme, un vero e proprio ‘esercito’ di genitori apparentemente ‘falliti’, che tuttavia avrebbero una soluzione per diventarlo, chiamata adozione internazionale. Eppure, nel triste solco della crisi demografica e di denatalità che ha avvolto il Paese negli ultimi anni, anche per questo ambito le cose non sono andate come avrebbero potuto e dovuto negli ultimi 3 anni.

Certamente, uno dei motivi è stata l’inefficienza e l’inerzia della passata gestione della Commissione Adozioni Internazionali, che di fatto non ha svolto il proprio lavoro. Dall’altra parte, però, c’è stato anche il silenzio colpevole del mondo politico rispetto al bisogno di ‘endorsement’ dell’adozione internazionale, alla quale il Governo uscente ha preferito – nei fatti – la strada tortuosa, dolorosa, rischiosa e nella maggior parte dei casi fallimentare della fecondazione artificiale, aggiunta ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) come prestazione sanitaria ritenuta, appunto, ‘essenziale’. E l’adozione internazionale?

Con milioni di bambini chiusi negli istituti o in orfanotrofio in tanti Paesi del mondo, in attesa di un abbraccio da parte di un papà e di una mamma, la gestione passata è stata realmente un fallimento e i costi per chi continua coraggiosamente a sceglierla non sono diminuiti di un centesimo. Di fronte a quello che il presidente del Movimento per la vita italiano, Gian Luigi Gigli, ha chiamato “un Paese ripiegato su se stesso “, sembra davvero arrivato l’ultimo tempo utile per evitare che la tendenza non s’inverta più, come segnalato anche dal demografo Rosina.

Ecco perché, accanto alla richiesta di appoggio del ‘pattoXnatalità’ lanciato nelle scorse settimane dal Forum Famiglie, un gruppo di 20 Enti autorizzati all’adozione internazionale, tra cui Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini, ha convocato per giovedì 15 febbraio, alle ore 13.00, presso la Sala Caduti di Nassirya del Senato, a Roma, una grande Conferenza nella quale confrontarsi con il mondo politico e lanciare alcune proposte concrete, reali e soprattutto possibili per rilanciare l’officina dei miracoli’ che risponde al nome di adozione internazionale. L’appuntamento sarà trasmesso in diretta streaming dal canale TV del Senato.

L’ultima chiamata per il ‘treno’ del futuro dell’Italia è appena stata fatta: a due settimane dalle elezioni politiche che chiameranno il Paese a esprimersi anche sulle proposte politiche di rilancio della natalità e dell’adozione internazionale, l’evento di Roma segnerà uno spartiacque decisivo per comprendere le intenzioni degli schieramenti politici che si candidano a governare nei prossimi anni in merito al destino della famiglia nel nostro Paese. L’appuntamento del Senato, magari, potrà servire per capire e far capire meglio agli italiani quale partito risulta più credibile, propositivo e affidabile in tal senso.

Newsletter Ai.Bi. 9 febbraio 2018

www.aibi.it/ita/famiglia-nel-2017

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ENTI TERZO SETTORE

Dichiarazione precompilata: pubblicati i decreti per la trasmissione delle erogazioni liberali

Le erogazioni liberali effettuate a favore delle Onlus, delle associazioni di promozione sociale e delle fondazioni e di ulteriori associazioni. Per questa tipologia di dati, la trasmissione all’Agenzia delle entrate viene introdotta in via sperimentale e facoltativa per gli anni d’imposta 2017, 2018 e 2019. Se si esercita la facoltà, deve essere trasmessa telematicamente all’Agenzia delle entrate, entro il 28 febbraio dell’anno successivo a quello di riferimento, un’apposita comunicazione contenente

I dati relativi alle erogazioni liberali in denaro costituenti oneri deducibili o detraibili effettuate nell’anno precedente dalle persone fisiche tramite banca o ufficio postale ovvero mediante altri sistemi di pagamento tracciabili (ad esempio, carte di debito, di credito e prepagate)

A stabilirlo un decreto del ministero dell’Economia e delle finanze pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 30, 6 febbraio 2018: Decreto MEF 30 gennaio 2018

www.fiscoetasse.com/upload/Decreto%20erogazioni%20liberali%2030_01_2018%20-%20Min.%20Economia%20e%20Finanze.pdf

www.fiscoetasse.com/rassegna-stampa/24655-asili-nido-ed-erogazioni-liberali-nella-precompilata.html

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FIGLI

Femminicidio: gratuito patrocinio per i figli a prescindere dal reddito

In Gazzetta Ufficiale la legge a tutela degli orfani per crimini domestici che prevede la possibilità di accedere al gratuito patrocinio indipendentemente dal reddito

Gratuito patrocinio a prescindere dal reddito per i figli delle vittime di femminicidio. Ma anche sequestro dei beni e provvisionale a garanzia del risarcimento dei danni e indegnità a succedere per il reo. Sono alcune delle novità previste dalla legge n. 4/11 gennaio 2018, recante disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 26, 1° febbraio scorso e in vigore dal prossimo 16 febbraio. https://www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_29100_1.pdf

Chi sono gli orfani per crimini domestici. La legge dispone innanzitutto che sono orfani per crimini domestici “i figli minori o i figli maggiorenni economicamente non autosufficienti rimasti orfani di un genitore a seguito di omicidio commesso in danno dello stesso genitore dal coniuge, anche legalmente separato o divorziato, dall’altra parte dell’unione civile, anche se l’unione civile è cessata, o dalla persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza”.

Ex art. 1 della legge 4/2018, dunque, tutti gli orfani per crimini domestici potranno essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato, anche in deroga ai limiti di reddito previsti. La disposizione vale sia per i procedimenti penali che per quelli civili derivanti dal reato, ivi compresi quelli di esecuzione forzata.

Altro importante intervento a tutela dei figli delle vittime di crimini domestici è quello disposto dall’art. 3 della legge che introduce l’obbligo per il PM che procede per omicidio contro il coniuge, il partner civile o il convivente, di richiedere “il sequestro conservativo dei beni a garanzia del risarcimento dei danni civili subiti dai figli delle vittime”.

Inoltre, agli orfani che si costituiscono parte civile, in virtù del novellato art. 539 c.p.p., il giudice deve provvedere “anche d’ufficio, all’assegnazione di una provvisionale – in misura – non inferiore al 50% del presumibile danno, da liquidare in separato giudizio civile”. Nel caso in cui i beni dell’imputato siano già sottoposti a sequestro conservativo, lo stesso si converte in pignoramento con la sentenza di condanna in primo grado, nei limiti della provvisionale accordata.

Indegnità a succedere per l’omicida. Ulteriore intervento della nuova legge è quello di cui al nuovo art. 463-bis, secondo il quale, il coniuge, anche legalmente separato e il partner dell’unione civile indagati per omicidio volontario o tentato nei confronti dell’altro coniuge o partner, sono sospesi dalla successione, fino al decreto di archiviazione o alla sentenza definitiva di proscioglimento.

Nel caso di condanna o di patteggiamento, il responsabile è escluso definitivamente dalla successione. Le disposizioni si applicano anche agli indagati per omicidio (volontario o tentato) nei confronti dei genitori, dei fratelli o delle sorelle. Ne deriva che, ex nuovo art. 537-bis c.p.p., quando pronuncia la sentenza di condanna il giudice è tenuto a dichiarare l’indegnità dell’imputato a succedere.

Pensione di reversibilità agli orfani di femminicidio. Inoltre, nei confronti dell’indagato per il quale è chiesto il rinvio a giudizio per omicidio volontario del coniuge (o partner civile) viene prevista la sospensione del diritto alla pensione di reversibilità, fino alla sentenza definitiva.

Nel corso del periodo di sospensione e senza obbligo di restituzione, la stessa sarà percepita dai figli della vittima. Nell’ipotesi di condanna, il giudice dovrà disporre il pagamento di una somma di denaro pari a quanto percepito dal condannato, a titolo di indennità una tantum o di pensione di reversibilità (o indiretta), sino alla data di sospensione. Nel caso, invece, di proscioglimento o archiviazione, la sospensione viene meno e lo Stato dovrà corrispondere gli arretrati.

Figli vittime crimini domestici potranno cambiare cognome. Viene previsto altresì che i figli della vittima di crimini domestici potranno chiedere la modifica del proprio cognome, allorquando coincidente con quello del genitore condannato in via definitiva. La domanda, per indegnità del genitore, va presentata personalmente dal figlio maggiorenne o dal figlio minore, previa autorizzazione del giudice tutelare.

Fondo vittime reati anche per orfani crimini domestici. Il fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, usura, estorsione e reati intenzionali violenti viene esteso anche agli orfani per crimini domestici, con risorse aggiuntive pari a 2 milioni di euro annui, destinati all’erogazione di borse di studio ovvero al finanziamento di iniziative di orientamento, formazione e sostegno per l’inserimento lavorativo.

Marina Crisafi Newsletter Giuridica Studio Cataldi 8 febbraio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/29100-femminicidio-gratuito-patrocinio-per-i-figli-a-prescindere-dal-reddito.asp

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HUMANÆ VITÆ

La manovra “sleale” di chi vuole riscrivereHumanæ vitæ (25 luglio 1968)

http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_25071968_humanae-vitae.html

Una lettera estratto passim

L’autore della lettera è un ecclesiastico con specializzazione scientifica di alto livello e con rilevanti incarichi d’insegnamento in Italia e all’estero, ma che dedica anche tempo ed energie alla cura pastorale.

È lo stesso di cui ho pubblicato nel gennaio del 2016 una precedente lettera riguardante lo scadimento di “qualità” delle confessioni sacramentali, uno scadimento a cui non appare estraneo l’impatto su tanti fedeli di certi detti di papa Francesco enfatizzati dai media.

In questa nuova lettera egli mette in luce l’infondatezza degli argomenti recentemente addotti – principalmente in una conferenza autorizzata dall’alto alla Pontificia Università Gregoriana – per reinterpretare e in sostanza invalidare l’insegnamento dell’enciclica di Paolo VIHumanæ vitæ.

In particolare, egli confuta come “sleale” la pretesa di far derivare la liceità delle tecniche anticoncezionali dal fatto che già un gran numero di coniugi cattolici le pratica, convinti in coscienza di agire nel giusto. La responsabilità di questa “coscienza erronea” promossa a virtù – spiega – non può essere scaricata sui coniugi, ma deve essere ricondotta a chi nella Chiesa li ha male educati, sistematicamente tacendo o deformando l’insegnamento di Humanæ vitæ.

 

Caro Magister,

tra gli obsoleti argomenti rispolverati dal teologo moralista della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (FTIS, Milano), nonché membro di fresca nomina della “nuova” Pontificia Accademia per la Vita, professor don Maurizio Chiodi, per togliere autorevolezza e credibilità alla norma della lettera enciclica Humanæ vitæ (HV) del beato Paolo VI – che indica come moralmente illecita la contraccezione e, invece, come accettabili i metodi per evitare un concepimento che si basano sulla conoscenza e la individuazione personalizzata dei periodi infecondi del ciclo femminile – vi è quello del mancato recepimento di questa norma nell’ethos coniugale degli sposi cattolici, pur di solida fede e praticanti per altre dimensioni della vita cristiana.

Il sessantaduenne teologo bergamasco, in una conferenza pubblica a Roma presso la Pontificia Università Gregoriana dal titolo “Rileggere Humanæ vitæ alla luce di Amoris lætitia”, tenutasi il 14 dicembre 2017, ha contestato la permanente validità e vincolatività, per tutti i fedeli che hanno ricevuto il sacramento del matrimonio e vivono more uxorio, dell’insegnamento del beato Paolo VI – confermato dai suoi successori san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e sino ad oggi non abrogato da papa Francesco – che “condanna come sempre illecito l’uso dei mezzi direttamente contrari alla fecondazione, anche se ispirato da ragioni che possano apparire oneste e gravi” (HV, 16) e denuncia come “errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo, e perciò intrinsecamente non onesto, possa essere coonestato dall’insieme di una vita coniugale feconda” (HV, 14).

Uno degli argomento addotti da don Chiodi per cercare di scardinare il magistero di papa Giovanni Battista Montini sulla intrinseca illiceità di ogni azione che separa intenzionalmente “i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo” (HV, 12), si appoggia sulla osservazione di natura statistico-sociologica-pastorale che questa norma sarebbe stata largamente disattesa dal popolo di Dio, con la conseguenza pratica di non essere osservata dalla maggior parte delle mogli e dei mariti, i quali, pur utilizzando la contraccezione, non si accuserebbero di questo peccato nel corso della confessione sacramentale, né chiederebbero l’aiuto del confessore per giudicare circa la rettitudine o meno del loro comportamento.

L’argomento che “una vasta maggioranza anche delle coppie di credenti sposati vive come se questa norma non esistesse” (citazione dalla traduzione inglese (…) non è certo originale. Già nel 1985, monsignor Giuseppe Angelini, anche lui teologo della FTIS, scriveva: “La divaricazione tra morale personale dei cattolici e magistero ecclesiale è particolarmente accentuata sul tema della contraccezione. […] È stata più volte rilevata la distanza delle argomentazioni proposte per sostenere la condanna morale di ogni artificiale tecnica contraccettiva rispetto alla prospettiva personalistica di approccio al tema della sessualità” (“La teologia morale e la questione sessuale. Per intendere la situazione presente”, in: Aa. Vv., “Uomo-donna. Progetto di vita”, Roma 1985, 47-102, pp. 49-50).

Il tentativo di scaricare sui fedeli laici – in particolare, i coniugi – l’onere della prova che l’insegnamento di HV sulla regolazione naturale delle nascite non apparterrebbe al patrimonio consolidato e perenne della dottrina morale cattolica risulta maldestro e fuorviante, e deve essere respinto. È infatti un giudizio temerario quello che vorrebbe vedere i coniugi cattolici come i principali o unici responsabili della non attuazione della norma di HV, che essi avrebbero rifiutato in nome di una “altra verità” del rapporto tra amore e procreazione che non consentirebbe alla loro coscienza di giudicare ultimamente come un male la contraccezione.

A ben vedere, e sulla scorta di una lettura della vicenda teologica e pastorale di HV in molte Chiese locali a partire dalla fine degli anni Sessanta, le cose non stanno così. Come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), che in questo segue la teologia morale e il magistero precedente, “l’essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza” (CCC, n. 1790). È dunque ammissibile che molti credenti sposati (in alcune comunità cristiane forse anche la maggioranza o addirittura la quasi totalità), nel deliberare il ricorso alla contraccezione, abbiano seguito la loro coscienza, la cui voce, con certezza, non indicava questa azione come un male da evitare. Questo significa che la contraccezione non sia intrinsecamente un male? È forse il loro comportamento “secondo coscienza” la prova morale che la legge di HV è contraria alla coscienza dei coniugi cristiani e, dunque, non è giusta? No. La loro coscienza, per quanto certa, non era retta, perché “accade che la coscienza morale sia nell’ignoranza e dia giudizi erronei su azioni da compiere o già compiute” (CCC, n. 1790).

Poniamoci allora questa ulteriore domanda: con la loro scelta contraccettiva “secondo coscienza erronea” questi numerosi coniugi portano la responsabilità di prestare una “testimonianza della coscienza” contro il magistero, ossia di indicare a chi compete l’insegnamento morale cattolico che quanto prescritto da HV confligge con la coscienza del credente e, dunque, non ha valore vincolante?

Se così fosse, il teologo moralista o pastoralista che raccoglie il vissuto degli sposi rispetto alla regolazione delle nascite, e lo studia al fine di sottoporre all’autorità della Chiesa una proposta circa questa materia (come intende fare don Chiodi), attribuirebbe loro una grave responsabilità. Sulla base di quello che le loro scelte in coscienza attestano verrà emesso infatti un giudizio che si tradurrà in una norma (nuova o modificata, oppure reinterpretata) che dovrà valere per tutti i credenti. Se la testimonianza delle loro coscienze è falsa, i fedeli porterebbero il peso di un orientamento fuorviante impresso a tutta la Chiesa e il teologo nasconderebbe la sua responsabilità nei confronti di questo “nuovo corso” dietro alla risposta del popolo alla domanda pilatesca: “In coscienza, cosa volete che sia liberalizzata: la regolazione naturale della fertilità o la contraccezione?”

In realtà, le cose non posso andare affatto così. Sarebbe troppo comodo (e soprattutto sleale) non considerare che una coscienza erronea ed i suoi giudizi non sono sempre imputabili alla responsabilità dei singoli. All’origine delle deviazioni del giudizio della coscienza non vi è sempre l’incuranza colpevole di cercare la verità e il bene, ma vi può essere una ignoranza incolpevole della verità e del bene (cfr. CCC, n. 1792-1793). Questo accade, per esempio, quando una persona o un numero anche ampio di credenti non hanno avuto la possibilità di ricevere una adeguata formazione della coscienza e una illuminazione del giudizio morale (cfr. CCC, n. 1783) perché non è stata loro offerta nessuna opportunità di conoscere integralmente e fedelmente gli insegnamenti della Chiesa che li riguardano direttamente.

Questo è appunto ciò che è accaduto nel caso della dottrina di HV. Per decenni innumerevoli sacerdoti, catechisti, formatori e accompagnatori dei corsi di preparazione al sacramento del matrimonio ed educatori dei giovani nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti cattolici hanno ingiustificatamente taciuto sull’insegnamento della Chiesa a proposito della regolazione delle nascite.

Oppure, lo hanno presentato in modo parziale o erroneo, per esempio dicendo che ciò che conta per gli sposi è “aprirsi alla vita”, generando uno o qualche figlio, e non, invece (secondo HV) che ogni singolo atto coniugale deve restare aperto alla vita secondo il disegno creaturale di Dio, nel quale è previsto che non tutti i periodi dell’età feconda della donna siano fertili.

Numerosi sono stati anche – tra i sacerdoti e i laici incaricati della pastorale familiare – coloro che, per ignoranza colpevole, non si sono aggiornati sugli aspetti pratici dei metodi per la regolazione naturale della fertilità e sulla loro effettiva capacità di indicare i giorni nei quali il coito può dar luogo ad un concepimento e quelli in cui quest’ultimo non può avvenire. Molti sono rimasti fermi al solo rilievo delle variazioni cicliche della temperatura corporea interna in condizioni basali (metodo del calendario), che effettivamente risultava non sempre attendibile quando fu promulgata HV, ignorando che, nel frattempo, altri metodi basati su rilevazioni sintomatiche o biochimiche (livelli di ormoni nelle urine) si sono resi disponibili e sono attualmente in uso per individuare i giorni fertili della donna, fornendo – in associazione alla continenza periodica – risultati comparabili a quelli dei metodi contraccettivi più diffusi. Quanti preti o educatori continuano a ripetere ai fidanzati e agli sposi: “Tanto non funzionano!” o “Se li usate, farete figli come i conigli!”.

Al contrario, laddove, nelle comunità cattoliche (e non solo) sia dei Paesi occidentali che in Africa e in Asia, i metodi naturali sono presentati ed insegnati alle coppie di sposi in modo corretto sia nella loro ragione antropologica ed etica che nella loro applicazione pratica, elevati sono il consenso che essi trovano tra i coniugi e la diffusione nelle famiglie e tra i giovani. Ancor più oggi che quando venne pubblicata HV, in quanto la visione antropologica da essa proposta incontra ora uno sguardo “laico” alla vita sessuale e alla procreazione guidato da una maggiore sensibilità alla “ecologia del corpo umano” (in particolare di quello femminile) e dal ricorso alla “natura” come sorgente per regolarne le diverse funzioni, anziché dall’impiego di prodotti chimico-farmaceutici e di dispositivi meccanici.

Ma sarebbe ingeneroso o addirittura un grave torto nei confronti dei sacerdoti e dei loro collaboratori pastorali se si scaricasse su di essi l’intera o maggiore responsabilità di non avere formato rettamente le coscienze dei fedeli e degli sposi cattolici in materia di procreazione responsabile.

A sua volta, infatti, troppo spesso il clero non è stato formato adeguatamente o correttamente circa l’insegnamento di HV. In quanti seminari, corsi delle facoltà teologiche o incontri di aggiornamento per sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose essi non vengono istruiti circa le ragioni antropologico-teologiche e morali che soggiacciono alla dottrina di HV! Se loro stessi non sanno rendere pienamente ragione dell’insegnamento del beato Paolo VI, confermato dai suoi successori fino all’attuale papa, come potrebbero illuminare su questo i fedeli?

Una pesante responsabilità per questa deplorevole situazione deve quindi essere ravvisata in non pochi docenti di antropologia teologica della corporeità e della sessualità e di teologia morale della vita matrimoniale che svolgono corsi nei seminari, nelle facoltà teologiche e negli istituti superiori di scienze religiose. Senza dimenticare la responsabilità, anch’essa grave, dei vescovi diocesani e dei superiori degli ordini religiosi che hanno nominato questi docenti o hanno omesso di controllare il loro operato nella formazione dei seminaristi, del clero e dei consacrati.

Del resto, non si può dimenticare che lo stesso professor Chiodi fu più volte chiamato dall’allora presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, a tenere dei seminari sulla morale coniugale e la procreazione per gli officiali di questo dicastero. I quali però – solidamente formati alla scuola dei predecessori di monsignor Paglia, i cardinali Alfonso López Trujillo ed Ennio Antonelli – non si piegarono mai a quel tentativo di indottrinamento promosso da colui che ora è presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Grazie per l’attenzione e tanti saluti cordiali, “ad maiorem Dei gloriam”.

Sandro Magister Settimo cielo 8 febbraio 2018

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/02/08/

 

Humanæ vitæ n. 10. § 4

«In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita. Paternità responsabile comporta ancora e soprattutto un più profondo rapporto all’ordine morale chiamato oggettivo, stabilito da Dio e di cui la retta coscienza è vera interprete.»

 

Vedi 50 anni dopo. L’ Humanæ Vitæ di Paolo VI: Chiesa, amore e vita, come si cambia?

NewsUCIPEM n. 672 – 22 ottobre 2017, pag. 19

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/humanae-vitae-sguardi-sul-futuro

 

Contro la Humanae Vitae. Teologi contestatori e morale sessuale della Chiesa

Partiamo da una semplice definizione: una “enciclica” (dal greco enkýklos, “in giro”, “in circolo”) è una lettera pastorale del Papa della Chiesa cattolica su materie dottrinali, morali o sociali, indirizzata ai Vescovi della Chiesa stessa, e, attraverso di loro, a tutti i fedeli.

Di per sé, una enciclica non è strumento di definizione dogmatica, formulata nei modi che attribuiscono alle risoluzioni pontificie, nel contesto della disciplina giuridica interna al mondo cattolico, il carattere dell’infallibilità. Il Pontefice se ne serve piuttosto per tracciare indicazioni pressanti, chiarire punti della Dottrina di cui le circostanze hanno evidenziato il rilievo o formulare giudizi su situazioni e problemi di particolare urgenza.

E’ però vero che, laddove è accentuato l’aspetto dottrinale, il messaggio di una enciclica è riconosciuto nondimeno dotato di intrinseca autorevolezza, frutto del rispetto dovuto al Magistero ordinario del Sommo Pontefice e della garanzia di autenticità che rivendicano gli atti solenni del suo ruolo di governo.

Insomma, in parole povere, pur non essendo un atto formale di governo ecclesiastico, in pratica ogni enciclica diventa un documento programmatico e normativo ineludibile per i fedeli.

Nel XX secolo, non sono state poche le encicliche che hanno aperto dibattiti anche accesi in seno al mondo cattolico, ma, probabilmente, nessun documento papale è mai stato discusso, analizzato e aspramente contestato come la Humanæ Vitæ di Papa Paolo VI.

Per comprendere le ragioni di ciò, dobbiamo tentare di contestualizzare storicamente e sociologicamente la sua redazione. Siamo nel 1968, in un periodo di fermenti sociali, politici e culturali volti al cambiamento che non ha precedenti nella complicata storia del “secolo breve”: tutto deve cambiare e tutto sta cambiando, inclusa la morale sessuale. Siamo nel periodo dell’“amore libero”, del rifiuto dei legami matrimoniali e di ogni elemento sentito come “costrittivo” nei confronti di quelli che vengono vissuti come sentimenti ed istinti naturali e non imbrigliabili dalla ragione e dall’etica, da vivere in assoluta libertà. È ovvio che, in questo panorama, la Chiesa dovesse intervenire per tentare di dare, proprio dal punto di vista morale, un po’ di ordine al caos imperante.

Lo fa, appunto, Paolo VI, il 25 giugno 1968, con la Humanæ Vitæ, riaffermando categoricamente alcuni principi di fondo, ma a molti, anche all’interno della Chiesa stessa, quello che doveva essere un freno verso tendenze troppo libertarie appare da subito una sorta di “prigione” di imperativi categorici ormai fuori dal tempo e dalla storia, assolutamente inadatti alla società corrente e atti unicamente ad allontanare le masse (in particolare quelle giovanili) dalla fede.

In sostanza, cosa afferma l’enciclica papale? Di base, Paolo VI riafferma semplicemente la posizione tradizionale della Chiesa cattolica sul matrimonio e sui rapporti coniugali e condanna senza appello ogni di controllo artificiale delle nascite, anche sulla base dei risultati delle ricerche di due Commissioni papali e di numerosi esperti indipendenti su quest’ultimo argomento.

Già in passato i suoi predecessori, in particolare Pio XI, Pio XII e Giovanni XXIII, avevano molto insistito sugli obblighi dei coniugi alla luce del loro “rapporto di collaborazione” con Dio creatore: se il divieto per i Cristiani alla contraccezione e all’aborto risaliva agli scritti di Padri della Chiesa come Clemente Alessandrino e Sant’Agostino (e non era mai stata messo in dubbio fino alla “Conferenza di Lambeth”[dei vescovi della Comunione anglicana] del 1930, in cui, subito seguita dalle altre principali Confessioni protestanti, la Comunione Anglicana aveva permesso la contraccezione in determinate circostanze), Pio XI, nella Casti Connubii, si era scagliato contro ogni forma di contraccezione e di pianificazione familiare non naturale, mentre Giovanni XXIII aveva addirittura istituito, nel 1963, una commissione di sei esperti non-teologi europei per riflettere sulle questioni del controllo delle nascite e della popolazione, che aveva finito per riconfermare le posizioni ecclesiastiche classiche.

Sulla scia di secoli di Magistero, dunque, Paolo VI vede i rapporti coniugali come molto più di una unione di due persone ma come il massimo grado di libera unione creatrice con Dio: le due persone creano un nuovo essere umano materialmente, mentre Dio porta a compimento tale creazione aggiungendo l’anima, in una sorta di partenariato divino, tale per cui non sono consentite arbitrarie decisioni umane che possano limitare la Provvidenza celeste e tale da risultare, pur nelle possibili difficoltà e nei possibili disagi di un rapporto coniugale, superiore a qualunque considerazione proveniente da discipline quali biologia, psicologia, demografia e sociologia.

All’interno di una coppia l’amore deve essere totale dono di sé, fonte di condivisione di ogni cosa e scevro da ogni indebita inferenza e da ogni sentimento egoistico. Le circostanze possono imporre spesso che le coppie sposate debbano limitare il numero di bambini: in sé, l’atto sessuale tra marito e moglie è ancora degno anche se non sfocia in conseguenze procreative, ma esso deve “mantenere il suo rapporto intrinseco alla procreazione della vita umana”. Di conseguenza, l’“interruzione diretta del processo generativo già iniziato” è ovviamente illegittima (e, dunque, l’aborto, anche per ragioni terapeutiche, è assolutamente vietato, così come la sterilizzazione, anche se temporanea), ma, allo stesso modo, anche ogni azione specificamente destinate ad impedire la procreazione (includendo in ciò sia l’uso di mezzi chimici che di metodi di barriera al concepimento) è vietata (tranne nei casi medicalmente necessari), essendo direttamente in contraddizione con l’ordine morale stabilito da Dio.

In questo quadro, i mezzi terapeutici che inducono l’infertilità sono ammessi (ad esempio, l’isterectomia) solo se non sono specificamente destinati a causare infertilità così come sono ammessi i metodi di pianificazione familiare naturali (l’astensione dai rapporti durante alcune parti del ciclo mestruale) essendo essi una “una facoltà prevista dalla natura”, ma nessun’altra deroga può essere concessa in materia di limitazione delle nascite.

Dal punto di vista morale, per altro, l’accettazione di metodi artificiali di controllo delle nascite comporterebbe una serie di effetti negativi, fra cui un generale “abbassamento degli standard morali” derivanti da una sessualità vissuta senza pensare alle sue conseguenze, il pericolo che gli uomini possono ridurre le donne ad essere un mero strumento per la soddisfazione dei propri desideri, l’abuso di potere da parte delle autorità pubbliche e un falso senso di autonomia dell’essere umano.

L’enciclica ha anche risvolti socio-politici di notevole portata:

  • Le autorità pubbliche dovrebbero opporsi alle leggi che minano il diritto naturale;

  • Gli scienziati dovrebbero studiare ulteriormente efficaci metodi di controllo naturali delle nascite;

  • I medici dovrebbero familiarizzarsi con l’insegnamento della Chiesa per essere in grado di dare consigli ai loro pazienti;

  • I Sacerdoti devono precisare in maniera chiara e completa l’insegnamento della Chiesa sul i matrimonio.

Già in fase estensiva dell’enciclica Paolo VI riconosce le difficoltà di recepimento di un testo così definitivo, affermando che “forse non tutti facilmente accetteranno questo insegnamento particolare”, ma sottolinea come la Chiesa cattolica romana non possa “dichiarare legittimo ciò che è di fatto illegittimo”, dal momento che Essa si occupa di “tutelare la santità del matrimonio, al fine di orientare la vita coniugale in tutta la sua pienezza umana e cristiana”.

E, infatti, le reazioni alla pubblicazione della lettera papale furono immediate. Lasciando anche da parte le prevedibili critiche dei governi comunisti dell’Est europeo (il governo della Polonia, ad esempio, dopo l’uscita dell’enciclica iniziò a promuovere l’aborto e il controllo delle nascite con maggior vigore, mentre, in Unione Sovietica, la “Literaturnaja Gazeta”, una pubblicazione di intellettuali vicini a PCUS, pubblicò addirittura un lunghissimo editoriale che includeva una dichiarazione ufficiale da parte di medici russi contro l’enciclica), furono in molti, anche nel mondo occidentale, a criticare aspramente il testo pontificio: l’Unione Luterana si dichiarò delusa dall’assunto papale, Eugene Carson Blake, leader della Chiesa Evangelica attaccò gli “obsoleti” concetti di natura e diritto naturale, che, a suo avviso, ancora dominavano la teologia cattolica, il presidente della Banca Mondiale Robert McNamara dichiarò ad una riunione del FMI che i Paesi che consentono pratiche di controllo delle nascite, avrebbero avuto accesso privilegiato alle risorse per lo sviluppo e, ovunque, Cattolici e non Cattolici si dimostrarono molto preoccupati per le conseguenze sociali e demografiche che gli insegnamenti cattolici avrebbero potuto avere (e le preoccupazioni si sono, naturalmente, più recentemente moltiplicate con la diffusione del virus HIV).

Anche all’interno dei ranghi ecclesiastici lo scontento per soluzioni che a molti sembravano improntate unicamente al più rigido conservatorismo non tardarono a farsi sentire. Il Cardinal Suenens, ad esempio, subito chiese pubblicamente se la teologia morale avesse tenuto sufficientemente conto dei progressi scientifici nella determinazione di cosa fosse secondo natura e, nel 1969, arrivò a criticare la decisione del Papa come non collegiale e, anzi, anti-collegiale, ricevendo immediato sostegno da teologi del calibro di Karl Rahner e Hans Küng, e da diversi vescovi, tra cui Christopher Butler. Il dissenso contro la Humanæ Vitæ, però, in qualche modo, si incarnò nel più attento teologo morale del ‘900, Bernard Häring, e nel suo discepolo Charles Curran.

Redentorista dall’età di 12 anni, missionario in Brasile, membro della Commissione preparatoria del Concilio Vaticano II e in seguito professore di teologia morale e sociologia pastorale all’Accademia Alfonsiana dal 1949 al 1987, Bernard Häring [†1998] ebbe un lunghissimo contrasto con il Papato riguardo all’enciclica di Paolo VI. Dopo essere stato segretario della Commissione redattrice della Gaudium et Spes, cioè della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Padre Häring aveva, infatti, elaborato un sistema che egli stesso aveva definito di “teologia morale esperienziale”, basato sulla sintesi rielaborativa del Magistero tradizionale riletto alla luce delle Scritture e ricontestualizzato nel quadro delle necessità delle società moderne, ponendosi, in questo modo, al polo ecclesiastico radicalmente opposto rispetto a quello rappresentato dallo spirito che aveva guidato la redazione della Humanæ Vitæ. Non è, dunque strano che, già nel 1964, egli avesse, nel suo saggio “Theology and the Pill”, largamente circolato soprattutto negli Stati Uniti, apertamente sostenuto la liceità dell’utilizzo della pillola anticoncezionale a fini di controllo delle nascite (pur riconoscendo che la decisione finale dovesse competere al “Magisterium Ecclesiae”) né che, alla pubblicazione dell’enciclica di Paolo VI, immediatamente si schierasse nel campo degli oppositori, definendo il testo papale “inutilmente legalistico” e sostenendo gli interventi fortemente critici del suo discepolo Charles Curran (di cui si tratterà più estesamente in seguito) con dichiarazioni quali “Chiunque sia convinto che il divieto assoluto di mezzi artificiali di controllo delle nascite, come affermato dalla Humanæ Vitæ sia la corretta interpretazione della legge divina deve seriamente sforzarsi di vivere secondo questa convinzione. Chiunque, però, dopo seria riflessione e aver molto pregato è convinto che un tale divieto non possa essere conforme alla volontà di Dio dovrebbe seguire, con totale pace interiore, la sua coscienza e, quindi, non sentirsi un Cattolico di seconda classe” e, soprattutto in un breve ma densissimo scritto dal titolo emblematico: Love is the Answer, primo passo di quella serie di atti che lo porteranno, nel giro di pochissimi anni, a finire sotto processo della Congregazione per la Retta Dottrina (processo, per altro, mai concluso con una sentenza di condanna, anche a causa del tumore alla gola che, nel frattempo, aveva colpito Häring e che, dopo lunghissimo decorso, lo porterà alla morte nel 1998).

Fu, comunque, soprattutto il periodo successivo che vide una radicalizzazione delle posizioni di Häring e una loro sempre più forte divaricazione rispetto a quelle vaticane. In particolare, in un testo del 1973 dal titolo Medical Ethics il teologo redentorista difese atti ritenuti assolutamente inconciliabili con la morale cattolica, quali la sterilizzazione, la fecondazione artificiale e la contraccezione, tutti visti come possibili strumenti di “paternità e maternità responsabili” e presentò un “parere” riguardante l’aborto (specificamente in caso di stupro) secondo cui, “prima del periodo tra venticinquesimo e quarantesimo giorno, l’embrione non può essere considerato una persona umana”. Nello stesso libro, tra l’altro, Häring affermò che in una società pluralista la Chiesa avrebbe dovuto smettere di discutere di questioni etico-mediche in termini religiosi e avrebbe dovuto cominciare a pensare in termini di bene comune, di giustizia verso i deboli e di tutela dei valori comunemente accettati. Ovviamente, in queste affermazioni v’era già abbastanza materia per un biasimo ufficiale ma la vera e propria apertura del fascicolo processuale avvenne nel 1975, dopo la pubblicazione di un saggio sul “Western Catholic Report” in cui il teologo affermava che il divieto alla contraccezione era causa della diffusione delle pratiche abortive e che anche le leggi della Chiesa sul matrimonio e il divorzio avrebbero dovuto essere riviste, essendo unicamente causa di “sofferenze crudeli, soprattutto per i giovani”, provocate da una Sacra Rota che “vive nel peccato” e da conservatori militanti che “lottano stupidamente contro il cambiamento”.

A processo in corso, nel 1976, Häring attaccò nuovamente i “metodi naturali” di contraccezione, ritenendoli, in alcuni casi, addirittura causa di danni per il nascituro e di problemi sociali di estrema rilevanze, ma fu soprattutto qualche anno dopo, nel 1989, che la sua polemica contro la morale sessuale della Santa Sede riprese con estremo vigore, con un articolo su “Il Regno” in cui, attaccando ferocemente Monsignor Carlo Caffarra, posto da Papa Giovanni Paolo II a capo dell’“Istituto per gli Studi sul Matrimonio e la Famiglia” della Pontificia Università Lateranense, chiedeva a gran voce che la discussione sulla contraccezione venisse riaperta, ponendo termine ad una polarizzazione “catastrofica per la Chiesa”. In quello stesso articolo, il teologo morale sosteneva che l’enciclica del 1968 fosse solamente un dibattito sulla legittimità dei metodi contraccettivi artificiali rispetto a quelli naturali e che, in ogni caso, ciò che veramente conta non è che una coppia utilizzi l’uno o l’altro metodo, ma che gli sposi giungano alla decisione di trasmettere la vita in modo responsabile: in altre parole, secondo Häring, la moralità dell’atto non si basa sulla natura oggettiva dell’azione, ma sul processo soggettivo utilizzato da parte dell’interessato per arrivare alla sua decisione, tesi questa duramente attaccata nella risposta del Vaticano, apparsa sull’“Osservatore Romano” del 27 febbraio 1989, in cui si ribadiva che il fondamento della morale si basa sul giudizio oggettivo sull’azione, vista come “di per sé” giusta o sbagliata.

Infine, l’ultimo atto della disputa, si è avuta nel 1993, alla pubblicazione della Veritatis Splendor di Papa Giovanni Paolo II, quando un Häring ormai già molto malato ma pur sempre combattivo ha messo in dubbio la competenza del Papa in materia di teologia morale e di etica sessuale e ha dichiarato: “Dobbiamo far sì che il Papa sappiamo quanto siamo feriti dai segni di una così radicata mancanza di fiducia nel genere umano”.

Dopo la morte di Häring, il comando del (cospicuo) nucleo dei prelati contrari alla morale sessuale corrente della Chiesa Cattolica è stato decisamente preso dal suo ex discepolo (all’Accademia Alfonsiana) Charles Curran anch’egli, come anticipato, da sempre critico verso l’enciclica di Paolo VI. Anzi, era stato proprio Curran, nel 1968, ad “aprire le danze”, organizzando, a solo due giorni dalla pubblicazione della Humanæ Vitæ, un gruppo di teologi americani dissidenti e dichiarando pubblicamente che “le coscienze individuali dovrebbero prevalere in questioni tanto personali e private” come la sfera sessuale coniugale. Di fatto, poi, essendo una figura sicuramente meno “imponente” e carismatica di Häring in campo teologico, Roma ha avuto un maggior agio di agire direttamente nei suoi confronti, così da renderlo una sorta di “martire della causa” della rivolta alla morale ecclesiastica e da fare della sua stessa vita una “bandiera della causa”.

Sacerdote dal 1958 per la diocesi di Rochester (New York) e giovane “Peritus” al Concilio Vaticano II, Curran viene, infatti, rimosso dal suo incarico di docente di teologia morale a tempo indeterminato presso l’Università Cattolica di America (CUA) nel 1967 proprio per le sue opinioni sul controllo delle nascite, ma il provvedimento viene revocato cinque giorni dopo a seguito di un imponente sciopero di tutti i docenti della sua facoltà che sostengono il suo “diritto di critica”. Il suo nome torna, però, alla ribalta già nel 1968 quando, a capo di un gruppo di circa 600 teologi, pubblica una durissima risposta alla Humanæ Vitæ. Dopo quanto accaduto l’anno precedente, la Chiesa, pur aprendo un dossier sul suo comportamento, preferisce comunque non agire direttamente e Curran continua a insegnare e scrivere idee in aperto contrasto con l’insegnamento della Chiesa su varie questioni morali, compresi il sesso prematrimoniale, la masturbazione, la contraccezione, l’aborto, gli atti omosessuali, il divorzio, l’eutanasia e la fecondazione in vitro per tutti gli anni ’70 e ‘80.

Nel 1986, però, su precise disposizioni di Papa Giovanni Paolo II, la mano della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, retta dall’allora Cardinale Josef Ratzinger, è ben più pesante che negli anni ’70 e il teologo dissidente, al termine di un “processo” iniziato già nel 1979, viene definitivamente rimosso dalla Facoltà di Scienze della Catholic University of America, con la motivazione che per i suoi scontri con l’autorità della Chiesa egli non è “né adatto né idoneo a essere un professore di teologia cattolica”. Curran risponde al provvedimento in due modi: in campo teologico, come ricorda nel suo successivo (2006) Loyal Dissent: Memoirs of a Catholic Theologian, afferma il principio che tutti i Cattolici possono dissentire ma, allo stesso tempo adeguarsi al Magistero del Papa, dei Vescovi e della Congregazione per la Dottrina della Fede, mentre, in campo sindacale, nel 1989 cita in giudizio la CUA per non aver seguito le procedure appropriate nel suo licenziamento ma, pur ottenendo il pieno appoggio della AAUP (Associazione Americana dei Docenti Universitari), perde la causa (anche se la CUA rimane, per questo episodio, a tutt’oggi una “istituzione censurata” dalla AAUP). In seguito, dopo aver insegnato come “visiting professor” presso la Cornell University, ottiene una nuova cattedra (di “Valori Umani”) presso la Southern Methodist University di Dallas e da tale “pulpito” continua, pur avendo toccato la soglia dei 75 anni, la sua crociata per cambiare una morale che definisce “retriva, stupida, senza nessun contatto con la realtà effettuale e atta unicamente ad allontanare giovani e meno giovani dalla Chiesa di Dio”, cosa che fa perdurare il divieto pontificio all’insegnamento in qualunque università cattolica (tanto che, nel 2006, una sua prevista conferenza al St. Patrick’s College di Maynooth ha dovuto essere cancellata per un diktat papale diretto).

In realtà, comunque, anche al di là di quella che è ormai una “crociata personale” di Curren (e, prima ancora, di Häring), le voci dissenzienti contro la Humanæ Vitæ sono ancora più che presenti e, anzi, provengono da figure sempre più eminenti della Chiesa.

Un esempio per tutti è dato dal Cardinal Carlo Maria Martini che, nel suo Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede del 2008 accusa l’enciclica di Paolo VI per aver prodotto “un grave danno” col divieto della contraccezione artificiale, cosicché: “molte persone si sono allontanate dalla Chiesa e la Chiesa dalle persone”. A Paolo VI in particolare, l’ex Arcivescovo di Milano imputa d’aver celato deliberatamente la verità, lasciando che fossero poi i teologi e i pastori a rimediare adattando i precetti alla pratica, e scrive: “Io Paolo VI l’ho conosciuto bene. Con l’enciclica voleva esprimere considerazione per la vita umana. Ad alcuni amici spiegò il suo intento servendosi di un paragone: anche se non si deve mentire, a volte non è possibile fare altrimenti; forse occorre nascondere la verità, oppure è inevitabile dire una bugia. Spetta ai moralisti spiegare dove comincia il peccato, soprattutto nei casi in cui esiste un dovere più grande della trasmissione della vita”. Martini ricorda poi che “dopo l’enciclica Humanæ Vitæ i vescovi austriaci e tedeschi, e molti altri vescovi, seguirono, con le loro dichiarazioni di preoccupazione, un orientamento che oggi potremmo portare avanti”, ma sottolinea come Giovanni Paolo II, abbia seguito “la via di una rigorosa applicazione”. La speranza del Cardinale è nel futuro, quando afferma “Probabilmente il Papa non ritirerà l’enciclica, ma può scriverne una nuova che ne sia la continuazione. Sono fermamente convinto che la direzione della Chiesa possa mostrare una via migliore di quanto non sia riuscito alla Humanæ Vitæ. Saper ammettere i propri errori e la limitatezza delle proprie vedute di ieri è segno di grandezza d’animo e di sicurezza. La Chiesa riacquisterà credibilità e competenza”.

Certamente, all’interno della Chiesa Cattolica, si tratta di una speranza condivisa …

Lawrence M.F. Sudbury In storia n. 25 gennaio 2010

www.instoria.it/home/critica_humanae_vitae.htm

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OMOFILIA

Accompagnare” gli omosessuali credenti non significa “approvare comportamenti o unioni gay”

“La diocesi di Torino ha da diversi anni promosso un servizio pastorale di accompagnamento spirituale, biblico e di preghiera per persone omossessuali credenti che si incontrano con un sacerdote e riflettono insieme, a partire dalla Parola di Dio, sul loro stato di vita e le scelte in materia di sessualità”.

Vedi newsUCIPEM n. 687, 4 febbraio 2018, pag. 21

È quanto dichiara mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, a proposito di alcuni interventi dei media circa l’impegno pastorale di don Gianluca Carrega, sacerdote della diocesi di Torino, incaricato per la pastorale degli omosessuali. “È questo un servizio che si è rivelato utile e apprezzato e che corrisponde a quanto l’esortazione apostolica Amoris Lætitia di Papa Francesco afferma e invita a compiere”, precisa il presule citando il n. 250 del documento in questione: “Desideriamo anzitutto ribadire che ogni persona indipendentemente dal proprio orientamento sessuale va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza. Nei confronti delle famiglie con figli omosessuali è necessario assicurare un rispettoso accompagnamento affinché coloro che manifestano una tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita”.

“Questo è lo scopo del percorso spirituale di accompagnamento e discernimento proposto in diocesi”, spiega Nosiglia: “Aiutare le persone omosessuali a comprendere e realizzare pienamente il progetto di Dio su ciascuno di loro. Ciò non significa approvare comportamenti o unioni omosessuali che restano per la Chiesa scelte moralmente inaccettabili: perché tali scelte sono lontane dall’esprimere quel progetto di unità fra l’uomo e la donna espresso dalla volontà di Dio Creatore (Gen. 1-2) come donazione reciproca e feconda. Questo però non significa non prendersi cura dei credenti omosessuali e della loro domanda di fede”. “Il percorso che la diocesi ha intrapreso non intende in alcun modo legittimare le unioni civili o addirittura il matrimonio omosessuale su cui l’Amoris Lætitia precisa chiaramente che ‘non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie neppure remote tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia” ‘, come si legge al n. 251.

Alcune pubblicazioni hanno fornito, in questi giorni, interpretazioni diverse – spesso superficiali, a volte tendenziose – che rendono necessario chiarire le caratteristiche e i limiti del lavoro in questo ambito pastorale. “Poiché si tratta di persone in ricerca, che vivono situazioni delicate e anche dolorose, è essenziale che anche l’informazione che viene pubblicata corrisponda alla verità e a una retta comprensione di quanto viene proposto, con spirito di profonda carità evangelica e in fedeltà all’insegnamento della Chiesa in materia”, afferma Nosiglia facendo notare che “alcune pubblicazioni hanno fornito, in questi giorni, interpretazioni diverse – spesso superficiali, a volte tendenziose – che rendono necessario chiarire le caratteristiche e i limiti del lavoro in questo ambito pastorale”. Di qui la decisione presa dal vescovo, insieme con don Gianluca Carrega di cui il vescovo apprezza l’operato, di “sospendere l’iniziativa del ritiro, al fine di effettuare un adeguato discernimento”.

Agenzia SIR (Servizio Informazione Religiosa) 5 febbraio 2018

https://agensir.it/quotidiano/2018/2/5/diocesi-mons-nosiglia-torino-accompagnare-gli-omosessuali-credenti-non-significa-approvare-comportamenti-o-unioni-gay

 

Troppi equivoci, sospeso il ritiro spirituale per gay della diocesi di Torino

«I tempi non sono maturi». Doveva essere un’occasione di dialogo e preghiera, ma ha scatenato un putiferio. «Piuttosto che creare disagio, meglio fermarsi, finché non ci saranno le condizioni». C’è un sottofondo di amarezza nelle parole di don Gianluca Carrega, sacerdote torinese, da sei anni responsabile (proprio su incarico della Diocesi) dell’accompagnamento delle persone omosessuali.

Per la quaresima aveva organizzato un ritiro spirituale dedicato ai gay. Tema: la fedeltà. Ma la notizia ha fatto esplodere una marea di polemiche, dentro e fuori la Chiesa. Così, poche ore fa, è arrivato un comunicato dell’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia. «Ritengo, insieme con don Gianluca Carrega di cui apprezzo l’operato, che sia opportuno sospendere l’iniziativa del ritiro, al fine di effettuare un adeguato discernimento» si legge nel testo. «Una decisione tutto sommato condivisa», commenta, dal canto suo, il sacerdote.

Così i rapporti tra Chiesa e mondo omosessuale ritornano al centro di uno scontro che non sembra trovare conciliazione. Nel comunicato, l’arcivescovo di Torino ribadisce una posizione ben chiara, al di là di fraintendimenti e forzature. «Ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto», scrive monsignor Nosiglia, citando l’enciclica Amoris Lætitia di papa Francesco. «Bisogna evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza». Le persone omosessuali vanno accompagnate in un cammino che le aiuti a «comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita». Ecco il senso del percorso proposto dalla Diocesi. Un percorso che, evidenzia l’arcivescovo «non intende in alcun modo legittimare le unioni civili o addirittura il matrimonio omosessuale. La Amoris Lætitia precisa chiaramente che “non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie neppure remote tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”».

All’interno della Chiesa torinese una figura di riferimento per le persone omosessuali esiste dal 2005 ed è un caso raro in Italia. Da sei anni questo incarico è affidato a don Carrega, docente di Sacra Scrittura presso la Facoltà Teologica del capoluogo piemontese. «E’ un lavoro di frontiera» racconta il sacerdote. «Ci sono battute d’arresto, come questa, ma nonostante tutto siamo sereni e cerchiamo di non disperdere il lavoro svolto finora». S’impone però una considerazione: «Quello dell’omosessualità è un tema che fa esplodere reazioni sproporzionate, figlie di un’emotività instabile. Evidentemente va a toccare ferite aperte. Pare impossibile anche solo parlarne. Mi colpisce la totale mancanza di ascolto».

Tra l’altro, don Carrega chiede da tempo che la vita delle persone omosessuali diventi oggetto di una seria riflessione all’interno della Chiesa. Anche per quanto riguarda i sacramenti. Paradossalmente, se una persona confessa di aver avuto rapporti di promiscuità occasionali, con persone diverse, può essere assolta. Chi invece ha scelto una convivenza stabile si trova in una condizione peggiore. Mi pare un controsenso. Se vogliamo educare a un’etica della responsabilità, poi dobbiamo comportarci di conseguenza. Anche per questo mi sembrava importante parlare di fedeltà».

Lorenzo Montanaro Famiglia cristiana.it 6 febbraio 2018

www.famigliacristiana.it/articolo/diocesi-di-torino-gli-incontri-con-le-coppie-omosessuali-sul-tema-fedelta-parla-don-carrega.aspx

 

Fedeltà e amore di Dio Ecco la verità sul ritiro per gli omosessuali

Una riflessione sull’amore di Dio fedele e inesauribile che, amandoci fino alla fine attraverso il sacrificio di suo Figlio, rappresenta per ogni amore umano un riferimento da cui non si può prescindere. Un richiamo forte all’azione della grazia condotta sulla base di alcuni testi evangelici, tra cui alcuni capitoli di Giovanni e delle lettere paoline. Ecco il cuore dello scandaloso e improponibile “Ritiro per omosessuali” che l’arcidiocesi di Torino, sotto la pressione di una campagna di stampa condotta in modo «superficiale e tendenzioso» – per dirla con l’arcivescovo Cesare Nosiglia – ha deciso di rinviare. Abbiamo letto di violazioni del magistero, di dottrina calpestata, di attacchi al Catechismo. Anche alcune lettere giunte in redazione ci hanno convinto che, alla base di tutto questo clamore mediatico, c’è stato un fraintendimento preventivo. Se tutti coloro che hanno gridato allo scandalo e hanno sollecitato la diocesi a fare marcia indietro, avessero avuto il buon senso di informarsi e di riflettere – la tradizione cristiana definisce questi atteggiamenti prudenza e discernimento, scelte che sembrano cadute in disgrazia – si sarebbero accorti di aver rovesciato i termini della questione.

L’argomento del ritiro era sì la fedeltà, ma non tanto quella “tra coppie omosessuali”, innanzi tutto quella che Dio esprime con il suo amore verso tutte le creature, specialmente quelle più fragili e bisognose di aiuto. Anche se la fedeltà, prima che teologico, dovrebbe essere valore umano e sociale sempre auspicabile per tutti. «Sarebbe stato un ritiro quaresimale sull’amore per convertirci all’amore, oggi è quanto mai necessario. E non solo per persone omosessuali e per i loro familiari, anche per persone e coppie eterosessuali». Lo spiega padre Pino Piva, gesuita, che era stato incaricato di condurre la giornata torinese.

«Obiettivo del ritiro? Aiutare le persone a fare una esperienza profonda e personale dell’amore di Dio; un amore sempre fedele e inesauribile», riferisce ancora padre Pino. Già definiti anche i testi biblici da cui partire: il Vangelo di Giovanni (cap. 13,1. 15,1217), la prima Lettera di Giovanni (cap. 4, 8-19), l’Inno alla carità (1 Corinzi 13, 4-7). Tutto secondo la “retta dottrina”, a meno che anche questi brani non risultino in linea con le posizioni degli oltranzisti più osservanti. «Siamo fermamente convinti – sono ancora parole di padre Piva – che fare l’esperienza autentica dell’amore di Dio, un amore senza misura e senza condizioni – se non quella di accoglierlo – significhi anche permettere che questo amore possa mettere ordine nella vita delle persone». Il passo del magistero scelto per proseguire la riflessione sarebbe stato un capitolo della Costituzione conciliare Gaudium et spes(Gs 16): «Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi (…). Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell’intimità del cuore: fa questo, evita quest’altro (…) La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo».

La luce dell’amore di Dio, la guida della coscienza, la voce del magistero, l’accompagnamento della comunità ecclesiale. Ecco i punti che sarebbero stati messi in luce durante il ritiro.

«L’esperienza dell’amore fedele di Dio – osserva il padre gesuita – è un modo per mettere ordine nelle relazioni disordinate: omosessuali o eterosessuali, amicali o familiari. Chi fa affidamento all’amore di Dio si accorge che nelle parole e nelle azioni non c’è più posto per l’odio ma solo per l’amore e per il rispetto reciproco».

Ecco tutto. Davvero così intollerabile? Scorgere in questa catechesi un tentativo di «abbassare l’asticella della moralità» – anche questo è stato detto – non significa guardare alla realtà con uno sguardo carico di pregiudizi, se non di malafede? Anche perché, considerare inaccettabile un momento di catechesi riservato agli omosessuali – anche se tale non era quello di Torino – vuol dire ignorare ciò che papa Francesco, raccogliendo le indicazioni di due assemblee sinodali, quindi di tutta la Chiesa, ha scritto in Amoris laetitia: «Ogni persona, indipendentemente dal suo orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione». Alzare il tono della protesta fino al punto da costringere un arcivescovo a rinviare un appuntamento pastorale finisce invece per tradursi in discriminazione e scelt http://www.studiofronzonidemattia.it/wp-content/uploads/2018/02/Corte-di-Cassazione-06.02.2018-n.-2875.pdfa destinata a calpestare dignità e rispetto. «In un contesto sociale e mediatico dove la calunnia, la strumentalizzazione e la demonizzazione dell’altro, solo perché diverso, possono avere esiti distruttivi per le persone più fragili – conclude padre Piva – la Chiesa non può rinunciare a fare la differenza».

Luciano Moia Avvenire 10 febbraio 2018

www.avvenire.it/chiesa/pagine/fedelt-e-amore-di-dio-ecco-la-verit-sul-ritiro-per-gli-omosessuali

 

Protezione internazionale in Italia per lo straniero omosessuale

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, Ordinanza n. 2875, 6 febbraio 2018

www.studiofronzonidemattia.it/wp-content/uploads/2018/02/Corte-di-Cassazione-06.02.2018-n.-2875.pdf

L’ accusa di omosessualità da parte del Paese d’origine, che rende attuale il rischio di persecuzione o di danno grave alla persona in relazione alle conseguenze possibili previste dall’ordinamento straniero, legittima la concessione della protezione internazionale in Italia.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione. Nella fattispecie esaminata la Corte d’appello di Bologna accoglieva il gravame del Ministero dell’Interno e rigettava la domanda di riconoscimento di protezione internazionale di un uomo straniero accusato di controtendenza politica ed omosessualità. La Corte, infatti, riteneva insussistenti i rischi di incolumità e pregiudizio dedotti, rilevando che l’asserita omosessualità non fosse provata (essendo l’uomo sposato con un figlio) e che neppure fosse provata la sua opposizione al regime dittatoriale.

Avverso tale sentenza, lo straniero presentava ricorso in Cassazione deducendo l’erronea valutazione dei fatti e dei rischi documentati connessi al rientro forzato in Gambia (Paese d’origine). Il ricorrente denunciava altresì l’omessa indagine sulle reali condizioni di pericolo esistenti in Gambia, paese sottoposto ad una dittatura legittimante la violenza, la tortura ed i trattamenti inumani stabilendo, peraltro, pene gravissime per l’omosessualità, considerata reato.

Orbene, la Suprema Corte ha considerato tali doglianze fondate ed ha evidenziato l’errore in cui è incorsa la Corte d’Appello nell’esaminare nel merito esclusivamente la fondatezza dei fatti e delle accuse rivolte dal Paese d’origine. La Corte di Cassazione, infatti, ha affermato che è irrilevante che i fatti contestati siano veri o meno o che le accuse mosse siano fondate; ciò che rileva, invece, è “la sussistenza di queste accuse che rende attuale il rischio di persecuzione o di danno grave, in relazione alle conseguenze possibili secondo l’orientamento straniero”.

Secondo la Suprema Corte, soffermandosi esclusivamente sul dimostrare l’infondatezza della accuse rivolte al ricorrente, la Corte di merito ha minimizzato il rischio che il richiedente, in caso di rientro forzato, sarebbe sottoposto alle gravissime pene previste per l’omosessualità e l’opposizione al regime, in conseguenza alla forte compromissione dei diritti umani e civili di fatto presente in Gambia.

La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso presentatole, ha affermato che qualora l’omosessualità sia considerata un reato dall’ordinamento giuridico del Paese di provenienza tale da costituire una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali e comprometterne così la libertà personale, è legittima la concessione della protezione internazionale a favore del richiedente.

Studio Fronzoni & De Mattia 9 febbraio 2018

www.studiofronzonidemattia.it/protezione-internazionale-italia-lo-straniero-omosessuale

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POLITICHE PER LA FAMIGLIA

Ape rosa: cos’è e come funziona

Una nuova misura a favore delle donne: ma cosa significa tale ‘sussidio’? Delle novità portate dalla Legge di bilancio 2018 in tema di anticipo pensionistico avevamo già detto e accennato; ma non è tutto: c’è dell’altro. In tema di Ape social, arriva anche l’Ape social rosa. Ma che cos’è?

Le tre categorie dell’Ape rosa. Dopo le quote rosa, dopo i parcheggi rosa, dopo l’Ape volontario e l’Ape social, ecco che la Legge di bilancio 2018 propone l’Ape rosa. Si tratta, detto in poche parole, di un bonus di circa un anno di sconto per ogni figlio, fino a due, sui contributi versati. Tre le categorie di lavoratrici interessate, purché rigorosamente iscritte all’assicurazione generale obbligatoria Inps (Ago). L’Ape rosa, infatti, sarà interamente versata dallo Stato e non dall’azienda alle cui dipendenze lavora la donna. Le tre tipologie coinvolte sono:

  1. Donne disoccupate, licenziate o che abbiano rassegnato le proprie dimissioni, ma che non percepiscono da almeno tre mesi la prestazione di disoccupazione;

  2. Donne con un’invalidità pari o superiore al 74%;

  3. Le cosiddette caregiver, ossia coloro che devono assistere un parente con handicap grave e disabilità invalidante (in base alla legge 104/1992);

Come funziona l’Ape rosa. Sinteticamente, l’assegno potrà essere richiesto a partire dai 63 anni d’età e sarà percepito fino al raggiungimento dell’età pensionabile prevista dalla legge (ovvero 66 anni e 7 mesi per uomini e donne fino al 2018 che saliranno a 67 a partire dall’anno successivo, nel 2019). L’anticipo pensionistico verrà erogato con uno sconto (per ogni figlio a carico) rispetto agli anni di contributi versati previsti dalla normativa (in genere circa 30 o 36); dunque con 28 anni di contributi invece di 30 o 34 al posto di 36. Il calcolo verrà effettuato sull’anzianità di servizio aggiornata al 31 dicembre 2011. Tuttavia, sebbene il beneficio sia più o meno di uno o due anni, esso può variare da sei mesi fino a tre anni (come inizialmente era stato addirittura ipotizzato); poi, però, c’è stata una frenata da parte del Governo. L’assegno, innanzitutto, non potrà superare i 1.500 euro mensili.

In una prima fase era stata avanzata la proposta di tre anni di sconto, poi ritenuta troppo elevata, e così è stata portata almeno a un paio d’anni, ma si vorrebbe ridurla ad uno soltanto. Per una donna che abbia addirittura quattro figli a carico, gli anni di contributi saranno 28 invece di 30 e 34 in luogo di 36 se abbia anche compiuto lavori usuranti, logoranti e “pesanti”; per coloro le quali hanno, invece, almeno tre figli gli anni saranno – rispettivamente – 27 e 33.

Sostituisce, così, quella che è stata la cosiddetta “Opzione donna”, misura che permetteva l’uscita anticipata dal mondo del lavoro alle donne con almeno 57 anni d’età e 35 di contributi. Tuttavia, per la diffusione di tale pratica, resta ostativo un elemento: il fatto cioè che, ad esempio, l’Europa non appoggia distinzioni di genere nel trattamento previdenziale.

Altre misure oltre l’Ape rosa. Ma l’Ape rosa non è la sola novità apportata dalla legge di bilancio. Innanzitutto quella dei cosiddetti lavoratori precoci, che potranno andare in pensione con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età anagrafica; poi quella che viene definita come Ape aziendale: è un equivalente dell’Ape sociale, solo che – a differenza di questo tipo di anticipo pensionistico – l’assegno di prestito anticipato sulla pensione è versato dall’azienda stessa e non dallo Stato. All’interno di essa si inserisce anche la misura meglio nota quale “Isopensione” (derivante da quella che tutti chiamano legge Fornero), che dà la possibilità all’azienda di pagare per quattro anni assegno e contributi a chi lasciasse il lavoro (ed ora si è giunti sino a ben sette anni). E – infine – il cosiddetto cumulo gratuito, altra misura senza nessun costo aggiuntivo per il dipendente, similare al più caro provvedimento della cosiddetta ricongiunzione. Grazie ad esso il lavoratore può, senza doversi accollare altre spese onerose, cumulare i periodi assicurativi ottenuti con lo svolgimento del suo mestiere presso diversi datori, facendosi riconoscere così un’unica e sola pensione totale complessiva finale.

Barbara Conti La legge per tutti 7 febbraio 2018

www.laleggepertutti.it/194556_ape-rosa-cose-e-come-funziona

 

Assegno di maternità 2018: che cos’è e a chi spetta.

Disoccupate, casalinghe, lavoratrici o precarie: chi ha diritto all’assegno di maternità del Comune o dello Stato? Requisiti, importo e come presentare domanda.

Pannolini, pappe, vestitini. Non sarà un assegno di maternità a pagare tutte le spese legate all’arrivo di un figlio. Ma è pur sempre un aiuto a cui si ha diritto, quindi perché non richiederlo se ci sono le condizioni per farlo?

Ce ne sono non uno ma due tipi di assegni di maternità 2018. Quello erogato dal Comune di residenza e quello versato dallo Stato. Naturalmente ci sono dei requisiti da rispettare per ottenere l’uno o l’altro ed è di questo che ci occuperemo in seguito.

1 Assegno di maternità 2018 del Comune: che cos’è?

1.1 Chi ha diritto all’assegno di maternità 2018 del Comune?

1.2 Quanto si prende di assegno di maternità 2018 del Comune?

1.3 Come presentare la domanda per l’assegno di maternità 2018 del Comune?

2 Assegno di maternità 2018 dello Stato: che cos’è?

2.1 Chi ha diritto all’assegno di maternità 2018 dello Stato

2.2 Quanto si prende di assegno di maternità 2018 dello Stato?

2.3 Come presentare la domanda per l’assegno di maternità 2018 dello Stato?

Segue in dettaglio

Carlos Arija Garcia La legge per tutti 8 febbraio 2018

www.laleggepertutti.it/126636_assegno-di-maternita-2018-che-cose-e-a-chi-spetta

 

Sposarsi solo in chiesa: si ha diritto al congedo matrimoniale?

Congedo e assegno matrimoniale: ne ha diritto solo chi si sposa con matrimonio civile o concordatario o le parti di un’unione civile.

I futuri sposi possono scegliere di celebrare il matrimonio concordatario (cattolico con effetti civili) oppure con il solo rito civile o con il solo rito religioso. Dal punto di vista strettamente giuridico, tuttavia, nel nostro ordinamento due persone possono dirsi unite in matrimonio e diventano pertanto coniugi con tutti i conseguenti diritti e obblighi e tutele solo in caso di matrimonio concordatario o matrimonio con rito civile.

In queste due tipologie di matrimonio, infatti, grazie alla trascrizione dell’atto di matrimonio (atto pubblico) nei registri di stato civile, l’unione tra i partner è riconosciuta dalla legge.

Nel caso, invece, del matrimonio solo religioso, non si producono effetti civili; il matrimonio resta un atto semplicemente religioso e spirituale e i partner non possono beneficiare di quelle tutele garantite dalla legge statale solo a chi si è sposato con effetti civili. Una di queste tutele è il congedo matrimoniale, riservato solo a chi si è sposato con il rito civile o concordatario. Il congedo matrimoniale è previsto anche in caso di unione civile tra persone dello stesso sesso.

Segue in dettaglio

1 Congedo matrimoniale: cos’è

2 Assegno congedo matrimoniale Inps

2.1 A chi non spetta l’assegno per congedo matrimoniale

2.2 Importo assegno congedo matrimoniale

2.3 Domanda assegno congedo matrimoniale

2.4 Documenti da allegare alla domanda di concedo matrimoniale

Maria Monteleone La legge per tutti 10 febbraio 2018

www.laleggepertutti.it/189350_sposarsi-solo-in-chiesa-si-ha-diritto-al-congedo-matrimoniale

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