UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 687 – 4 febbraio 2018
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984
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02 ADDEBITO Niente addebito per la doppia vita sessuale del marito.
02 ADOZIONI INTERNAZIONALI Conferenza stampa per gratuità adozione internazionale.
03 AFFIDO CONDIVISOFigli minori e capacità giuridica nello stabilire la propria residenza.
04 AMORIS LÆTITIA Nota pastorale dei Vescovi piemontesi.
05 Indicazioni dei Vescovi dell’Emilia-Romagna sul capitolo VIII.
05 Linee guida dalle regioni: Emilia Romagna e Piemonte.
06 ASSEGNO DIVORZILE Revocabile solo se la ex è concretamente indipendente.
07 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 3, 31 gennaio 2018
08 CHIESA CATTOLICA Siamo tutti diversi.
10 CONSULTORI FAMILIARI Approccio family friendly. La forza e il valore di lavorare in rete
11 Torino. Punto familia ospita il servizio pastorale Amoris lætitia
11 Servizio rivolto ai clienti delle prostitute e ai loro familiari
11 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Cesena. Nove mesi valgono una vita.
11Mantova. Progetto Mission Family Net.
11Portogruaro. Siete stressati? un percorso per voi.
11Trieste. Percorsi di preparazione al matrimonio
12 Venezia Mestre. Nuovo sito web.
12 DALLA NAVATA V Domenica del tempo ordinario- Anno B –4 febbraio 2018
12 Come Gesù cura e guarisce. Commento di Enzo Bianchi
14 EUROPA UE: nessuna discriminazione per i coniugi gay
15 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Dalle Associazioni un pacchetto di proposte per il welfare.
15 FRANCESCO VESCOVO DI ROMAAlla Rota Romana: serve discernimento delle coscienze degli sposi.
16Alla Rota Romana. Il Papa: «Regole e attenzione alla persona».
17Il mappamondo di Bergoglio.
18 HUMANÆ VITÆ “Humanæ vitæ” addio.
20 MINORIIn Italia solo il 10% dei minori fuori famiglia adottato o in affido.
20Cosa succede ai minori fuori famiglia al 18mo anno di età?
21 OMOFILIALezioni di fedeltà per i fidanzati gay.
22La Chiesa finalmente fa un bagno di realtà.
22 PRENATALITÀ Scienza prenatale una speranza spesso sconosciuta
23 TRIBUNALI ECCLESIASTICICostituito il Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Piemontese.
24 Tribunale: il ponte tra pastorale e diritto.
25 Indicazioni per il processo brevior davanti al Vescovo diocesano.
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ADDEBITO
Niente addebito per la doppia vita sessuale del marito
Tribunale di Larino, Sezione civile, Sentenza n. 398, 9 agosto 2017
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_29020_1.pdf
Se la condotta trasgressiva dell’uomo non è stata la causa dell’intollerabilità della convivenza non è possibile addebitargli la frattura del legame coniugale. La doppia vita sessuale del marito non basta per l’addebito della separazione, se il comportamento trasgressivo dell’uomo non è alla base della frattura del legame coniugale. Ed è così che il Tribunale di Larino ha respinto la domanda di addebito presentata da una moglie dopo aver scoperto file hard e compromettenti sul personal computer del marito.
Rapporto di causalità. Nonostante la scoperta sconvolgente fatta dalla donna, per il Tribunale non può non tenersi conto del fatto che il consolidato orientamento della Corte di cassazione impone al giudice di merito di accertare se il comportamento oggettivamente trasgressivo di uno o di entrambi i coniugi debba essere considerato come la causa della rottura del rapporto coniugale e, quindi, se tale comportamento si ponga in rapporto di causalità con il verificarsi dell’intollerabilità dell’ulteriore convivenza. Infatti, non può essere decretato l’addebito in capo a chi abbia posto in essere una violazione dei doveri gravanti sui coniugi in forza dell’articolo 143 del codice civile dopo che la crisi del vincolo coniugale era già maturata o per effetto della stessa.
A tale proposito, per i giudici, non si può dimenticare che l’indagine sull’intollerabilità della convivenza non può concentrarsi sulla condotta di uno solo dei coniugi, prescindendo dal raffronto con la condotta dell’altro. Infatti la verifica della crisi matrimoniale necessita imprescindibilmente della comparazione tra i comportamenti tenuti dalla moglie e quelli tenuti dal marito, sulla base di una valutazione globale dei rapporti tra i due e del loro reciproco interferire.
Avv. Valeria Zeppilli Newsletter Giuridica Studio Cataldi 1 febbraio 2018
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_29020_1.pdf
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ADOZIONI INTERNAZIONALI
Conferenza stampa per gratuità adozione internazionale il 15 febbraio a Roma
Adozione internazionale: la strada della gratuità passa dall’assoluta trasparenza e rispetto della legalità degli enti autorizzati. Il prossimo 15 febbraio 2018 a Roma la Conferenza degli Enti autorizzati più rappresentativi per chiedere alla politica la gratuità per chi sceglie di restituire a un bambino abbandonato la dignità di figlio. Ma per poter essere credibili è indispensabile da parte degli operatori del settore l’assoluto rispetto delle fondamentali regole di trasparenza sulle procedure e sui pagamenti previste dalla Linee Guida CAI del 2008.
Nelle ultime settimane, il tema della denatalità e delle difficoltà che il mondo della famiglia e dei figli vivono quotidianamente nel nostro Paese sta ottenendo un’attenzione e un seguito crescente sia da parte dell’opinione pubblica, in cui rientrano le famiglie in questione, che da parte delle realtà politiche e dei media, entrambe alle prese con i programmi elettorali in vista del voto previsto per il 4 marzo 2018 prossimo.
Sul fronte dell’adozione internazionale, molti enti autorizzati hanno manifestato la legittima esigenza di rivederne alcuni aspetti, per renderla meno ostica dal punto di vista burocratico e, soprattutto, economicamente sostenibile per le coppie che desiderano abbracciarla. In tal senso è orientata la proposta che un gruppo di 22 enti autorizzati, i più rappresentativi per quantità e qualità delle adozioni realizzate (fra cui anche Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini), rivolgerà al mondo politico il prossimo 15 febbraio a Roma, chiedendo esplicitamente di trasformare questo meraviglioso atto di giustizia nei riguardi dell’infanzia abbandonata in un’opzione finalmente a costo zero per i nuclei familiari disponibili a sceglierla in Italia.
Per far sì, tuttavia, che la politica e le istituzioni possano far propria questa istanza densa di umanità e di attenzione concreta al presente e al futuro della famiglia nel nostro Paese, c’è la necessità – dall’altra parte – che tutti gli enti autorizzati abbiano chiaro il preciso dovere di rispettare appieno tutte le norme indicate dalle Linee Guida emanate nel 2008 dalla Commissione Adozioni Internazionali. In particolare, tra i criteri stringenti che il testo in questione pone per garantire le necessarie trasparenza e legalità degli enti autorizzati, ci sono due principi importantissimi che, purtroppo, ancora non vengono pienamente rispettati da alcuni di essi: la chiarezza e l’aggiornamento costante del numero e delle caratteristiche delle procedure di adozione seguite e portate a compimento nel tempo; il divieto assoluto di concludere adozioni attraverso la pratica ‘oscura’ e inquietante del pagamento in contanti effettuato direttamente all’estero.
In entrambi i casi, il testo delle Linee Guida è molto chiaro. Per quanto concerne la trasparenza, chiede esplicitamente, tra i dati che l’ente è tenuto a rendere noti, “il numero di adozioni realizzate in ogni Paese, in ciascuno degli ultimi tre anni; il tempo medio d’attesa per il perfezionamento dell’adozione, in ciascuno dei Paesi in cui l’ente opera e negli ultimi tre anni; il costo complessivo che le coppie sostengono nell’intera procedura, compreso il post-adozione, con esclusione delle spese di viaggio e di soggiorno all’estero” (Art. 17, comma 1). Il testo conclude chiarendo che “in ogni caso, l’ente deve impegnarsi ad aggiornare i dati almeno ogni sei mesi”, raccomandando “un’apposita pagina informativa del sito web dell’ente, che sia di facile accesso e comprensione.“
Per la seconda questione, l’articolo 18 delle Linee Guida, al comma 1, specifica che “i rapporti economici tra ente e coppie che conferiscono il mandato devono essere regolati a mezzo di bonifico su apposito conto corrente bancario o postale“, prescrivendo altresì che “l’intero importo della procedura adottiva, suddiviso in tranche, deve essere versato direttamente in Italia all’ente, sia per i servizi resi in Italia, sia per i servizi resi all’estero.“. Due indicazioni necessarie per garantire la verificabilità dell’attività dell’ente e la certificabilità del bilancio dell’attività svolta, in modo da non dare adito ad alcuna ‘zona grigia’ nell’attività di mediazione tra le famiglie aspiranti e i bambini in attesa di adozione internazionale.
Eppure, ancora oggi, il 50% degli enti autorizzati italiani (31 su 62 totali) non ha pubblicato correttamente il proprio report sulle adozioni completate. E sono numerose le coppie che dichiarano di essere state costrette, in qualche modo, da alcuni enti a portare direttamente denaro contante all’estero per effettuare il ‘pagamento’ della mediazione. Perché questi enti aggirano il divieto imposto dalla CAI? A che cosa mai servono per davvero quei soldi in contanti?
Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini, espressione dell’adozione internazionale nata ormai 31 anni fa da una comunità di famiglie adottive, che fin dall’inizio ha puntigliosamente rispettato ogni comma delle Linee Guida citate, ritiene che sia arrivato il momento di richiamare con forza l’intero mondo dell’adozione internazionale italiano a interrogarsi su questi problemi, che insieme al disinteresse della politica degli ultimi anni e alla diffusione di nuove opzioni di natalità ‘artificiali’ (peraltro dagli esiti discutibili) hanno condotto oggi al crollo generalizzato dell’adozione internazionale. Un risultato preoccupante, tanto più perché si manifesta in un Paese che da sempre, fino al recente passato, è stato paladino e fedele ambasciatore nel mondo della meraviglia possibile attraverso l’adozione.
Senza la trasparenza nelle comunicazioni delle procedure seguite e il rispetto delle prescrizioni per i pagamenti è evidente che ogni eventuale richiesta di gratuità dell’adozione internazionale fatta al mondo politico-istituzionale – per portarla all’interno del piano di emergenza e lotta alla denatalità – perderebbe di legittimità e di consistenza, poiché il mondo degli enti autorizzati manca ancora della credibilità necessaria per presentare un’istanza tanto grande, bella, rivoluzionaria e in ogni caso necessaria.
Per tutti gli enti autorizzati è giunto il tempo ineludibile di dimostrare, nei fatti e non solo a parole, di essere perfettamente trasparenti e legali. Solo allora – speriamo al più presto – sarà davvero possibile un dialogo politico-istituzionale imperniato finalmente sui temi concreti che interessano questo mondo, un confronto costruttivo che sia in grado di trasformare in realtà il tanto atteso e auspicato rilancio di quell’officina dei miracoli’ per la famiglia che risponde al nome di adozione internazionale.
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AFFIDO CONDIVISO
Figli minori e capacità giuridica nello stabilire la propria residenza.
La separazione dei coniugi è sicuramente un evento assai spiacevole, con enormi conseguenze da un punto di vista morale e affettivo, ma anche con molteplici questioni giuridiche da risolvere. Tra le più importanti, c’è la scelta del cosiddetto coniuge affidatario prevalente dei figli minori, di regola affidati ad entrambi i genitori, in virtù del regime dell’affido condiviso (Quest’ultimo può essere escluso soltanto qualora il giudice ritenga che sia contrario all’interesse del minore [Art. 155 bis cod. civ.]). In ogni caso deve essere individuato il genitore prevalente, che in pratica è quello dove i figli andranno a vivere. A questo punto, la domanda a cui vogliamo rispondere è la seguente: con la separazione e il divorzio, i figli scelgono il genitore con cui abitare?
Separazione e divorzio: i maggiorenni scelgono il genitore? Questa ipotesi è sicuramente quella meno complicata da risolvere. Abbiamo di fronte un soggetto pienamente capace di agire giuridicamente e pertanto totalmente in grado di decidere con quale genitore abitare. La descritta capacità di scelta non rileva rispetto alla capacità economica del maggiorenne: questa potrebbe essere carente. Fate attenzione, pertanto, alla questione del mantenimento. Essere dei figli maggiorenni, non significa assolutamente non avere diritto al mantenimento. Ne abbiamo parlato più diffusamente nell’articolo mantenimento: devo mantenere mio figlio maggiorenne? Detto ciò, la scelta del genitore per il figlio minorenne è sicuramente una questione più complessa.
Separazione e divorzio: i minorenni scelgono il genitore? Incominciamo a dire che la legge [Art. 155 sexies cod. civ.] prevede che il giudice, prima di stabilire chi è il genitore prevalente, dispone l’ascolto dei figli minori di anni dodici e, eventualmente, anche di età minore se dotati di particolari capacità di giudizio e maturità. Si tratta di un passaggio obbligato [Cass. Sent. n. 16658/2014 del 22.07.2014], nel momento in cui occorre disciplinare l’affidamento del minore, che può essere evitato soltanto se palesemente superfluo o contrario agli interessi del medesimo [Art. 336 bis cod. civ.]. La necessità dell’ascolto è inoltre prevista anche nel caso in cui si tratti di figli di genitori conviventi, allorquando gli stessi si separano [Cass. Sent. n. 19007/2014 del 10.09.2014]. Pertanto, il colloquio col minore è, inevitabilmente, importante nella scelta, operata dal Giudice, del genitore affidatario prevalente e della conseguente residenza del figlio. Tuttavia, la giurisprudenza chiarisce che la valutazione del Giudice in tal senso, potrebbe non coincidere con le opinioni espresse dal minore. In questo caso, sarà, però, dovere motivare adeguatamente la decisione in senso contrario, ad esempio, rilevando la ridotta capacità di giudizio del minore stesso [Cass. Sent. n. 16658, 22.07.2014 – 752, 19.01.2015].
Genitore prevalente: la capacità di scelta del minore. La capacità di scelta del minore dipende dalla sua capacità di giudizio. Lo chiarisce la Cassazione con le sentenze appena citate secondo la quale in tema di audizione del minore infradodicenne, il riscontro della sua capacità di discernimento in relazione alla sua età ed al suo grado di maturità, quale necessario presupposto, è devoluto al libero e prudente apprezzamento del giudice e non necessita di specifico accertamento positivo, d’indole tecnica specialistica, anticipato rispetto al tempo dell’audizione. Ne consegue che tale capacità non può essere esclusa con mero riferimento al dato anagrafico del minore, se esso non sia, di per sé solo, univocamente indicativo in tale senso, mentre può presumersi, in genere, ricorrente, anche considerati temi e funzione dell’audizione, quando si tratti di minori, per età, soggetti ad obblighi scolastici e, quindi, normalmente in grado di comprendere l’oggetto del loro ascolto e di esprimersi consapevolmente…In sostanza, anche il minore di dodici anni potrebbe risultare decisivo nella scelta genitoriale, alla luce della sua capacità di giudizio e della sua maturità accertate in concreto.
Genitore prevalente: la scelta del minore dipende dall’età. Sintetizzando, quanto detto in precedenza, è possibile affermare che il figlio, se non è maggiorenne, non ha un potere diretto di scelta del genitore con cui vivere, ma la sua opinione in tal senso è necessaria, importante e anche decisiva. Quanto maggiore sarà l’età del minore, tanto più sarà difficile contestare la sua capacità di giudizio e quindi le opinioni espresse a riguardo, senza che le stesse siano prese in considerazione nella scelta del genitore prevalente. In sostanza possiamo affermare che non tutti i minori sono uguali. Ad esempio, un ragazzo sedicenne, difficilmente, potrà essere reputato dal Giudice come incapace a stabilire quali sono le sue esigenze morali e affettive e quindi non in grado di scegliere il genitore con cui vivere. In tal caso, infatti, la capacità di discernimento del figlio non potrà essere contestata, e il Giudice dovrà prendere in considerazione le opinioni espresse dal medesimo. [Cass Civ. Sent. n. 7773, 17.05.2016]
Marco Borriello La legge per tutti 31 gennaio 2018
www.laleggepertutti.it/105194_separazione-e-divorzio-i-figli-scelgono-il-genitore
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AMORIS LÆTITIA
Nota pastorale dei Vescovi piemontesi
Vescovi Piemonte e Valle d’Aosta: una Nota con orientamenti per dare attuazione ad “Amoris lætitia”
http://terp.it/uploads/public/207_testo-integrale-della-nota-pastorale-dei-vescovi.pdf
“Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito. Accompagnare, discernere, integrare” è il titolo della Nota elaborata dai vescovi di Piemonte e Valle d’Aosta per offrire alcuni orientamenti e dare attuazione all’esortazione Amoris lætitia. Per affrontare concretamente la realtà di chi vive una situazione familiare ferita o lacerata la Nota, diffusa oggi, riprende dal cap. VIII di Amoris lætitia, tre passi tra loro connessi: accompagnare, discernere, integrare.
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Il primo passo, si legge in un comunicato, “suggerisce un accompagnamento di coppia in un clima di ascolto”. Per questo, la Nota invita ogni diocesi a dotarsi di uno “spazio d’accoglienza”, in cui si potranno valutare le diverse situazioni.
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Quanto al discernimento, il documento insiste sul fatto che avviene in un dialogo disteso nel tempo, tra il sacerdote e la coppia o anche soltanto uno dei coniugi. Tale compito è affidato a tutti i sacerdoti, che possono seguire le coppie in questo cammino.
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Per l’integrazione, la Nota distingue le semplici convivenze; gli sposati solo civilmente; coloro che sono separati (o anche divorziati) e restano in questa condizione; i separati divorziati risposati civilmente. “Nei primi due casi, l’integrazione consiste nell’accompagnare verso il sacramento del matrimonio ‘cristiano’, accompagnando la coppia a riflettere sulla definitività della scelta e sulla realtà del sacramento”. Mentre per i separati e/o divorziati rimasti tali, non vi è alcun impedimento alla testimonianza ecclesiale e alla vita sacramentale, per i divorziati risposati civilmente “l’integrazione deve realizzarsi distinguendo tra situazioni molto diverse”. Sulla partecipazione alla vita della Chiesa, la Nota richiama l’esigenza di discernere quali delle diverse forme di limitazioni attualmente praticati in campo liturgico, pastorale, educativo ed istituzionale possono essere superate: a questo proposito, sono date anche indicazioni pastorali sul tema dei padrini e delle madrine.
Agenzia SIR 29 gennaio 2018
I vescovi dell’Emilia-Romagna. Indicazioni sul capitolo VIII dell’Amoris lætitia
Noi vescovi delle Chiese locali dell’Emilia-Romagna rendiamo grazie al Signore per il recente percorso sinodale sulla famiglia raccolto nell’esortazione Amoris lætitia (AL) che papa Francesco ha offerto a tutta la Chiesa e desideriamo esprimere la nostra profonda gratitudine e vicinanza a tutte le famiglie: a quanti, sentendosi chiamati, si stanno preparando a celebrare il loro matrimonio; alle famiglie che ogni giorno lo vivono nella fedeltà; a quanti sono in condizioni difficili per le avverse condizioni economiche, per la perdita del lavoro, per disgrazie e lutti; a chi patisce le ferite della lacerazione e della separazione; a chi vive situazioni «di fragilità e di imperfezione» (AL296). 15 gennaio 2018
www.imola.chiesacattolica.it/home_diocesi/news/00000474_Indicazioni_sul_capitolo_VIII_dell_Amoris_Laetitia.html
Nuove linee guida dalle regioni: Emilia Romagna e Piemonte
Può capitare che, dopo un periodo di discernimento approfondito, una coppia di divorziati risposati giunga a conclusioni diverse per quanto riguarda il ritorno all’Eucaristia? E cosa fare quando il marito si dice convinto in coscienza di non potervi accedere, mentre la moglie pensa, per quanto la riguarda, di essere nelle condizioni per ricevere di nuovo l’Eucaristia? Non casi teorici, ma realtà concrete, persone con nomi e volti a cui occorre dare una risposta. «Dopo averli ascoltati, ho suggerito alla moglie di attendere, di stare con il marito, di riprendere insieme il discernimento. E ho detto loro: ‘Se un giorno lui tornerà alla Comunione, lo farete insieme’», racconta monsignor Giuseppe Lorizio che si è trovato in prima persona ad accogliere il disagio di queste persone. Non una regola generale, ma lo sforzo di verificare caso per caso, di riflettere insieme, di arrivare ad una conclusione che sia rispettosa della coscienza delle persone e delle indicazioni della Chiesa. Difficile? No, se si fa ricorso a quello strumento, straordinario ma così poco utilizzato e quindi talvolta un po’ arrugginito, che si chiama discernimento.
L’esempio è emerso domenica scorsa, durante l’incontro organizzato dai vescovi del Triveneto per riflettere sul delicato rapporto tra norma e coscienza alla luce delle nuove prospettive aperte dall’Esortazione postsinodale. Il giorno precedente la Consulta nazionale per la pastorale della famiglia aveva posto la sua attenzione sulle linee guida di Amoris lætitia che si stanno moltiplicando da Nord a Sud.
Dopo i documenti proposti dai vescovi della Campania e della Sicilia nei mesi scorsi, sono arrivate la scorsa settimana le ‘linee’ dei vescovi dell’Emilia Romagna e, lunedì, quelle del Piemonte. In dirittura d’arrivo altre regioni ecclesiastiche tra cui Lombardia – che ha già annunciato la pubblicazione nei prossimi mesi – e il Triveneto.
«Sono documenti che si concentrano soprattutto sul capitolo VIII di Amoris lætitia perché – ha spiegato Lorizio, che è docente di teologia fondamentale alla Lateranense – i vescovi e le conferenze episcopali regionali devono rispondere alle preoccupazioni e alle attese degli operatori pastorali. E sono preoccupazioni che riguardano i sacramenti». Non potrebbe essere diversamente. Il timore che l’Eucarestia possa essere ricevuta in modo superficiale, è concreto. Da qui la necessità di chiarire le varie situazioni con un accompagnamento serio, con indicazioni chiare, non improvvisate, di cui i documenti delle conferenze episcopali sono l’esempio. Nella prima lettera ai Corinzi (11, 28) lo stesso Paolo – ha ricordato ancora il teologo – si dice preoccupato del fatto che qualcuno possa mangiare del Corpo e del Sangue del Signore in maniera indegna, perché in quel caso, scrive l’apostolo, ‘mangia e beve la propria condanna’. Paolo usa termini molto interessanti per spiegare la verifica personale che va fatta prima di accedere al sacramento.
«Nell’originale greco – ha detto ancora monsignor Lorizio – si legge: ‘uomo considera te stesso’, cioè scendi in profondità nella tua umanità e quindi, diremmo noi oggi, fai discernimento». Da Paolo a papa Francesco. Difficile pensare che Amoris lætitia si ponga al di fuori della tradizione. I vescovi di Sicilia, nel loro documento, ospitano una bella riflessione sul discernimento che, spiegano, dev’essere pastorale e personale. E, quello pastorale, con una duplice sottolineatura: sia sacramentale sia non sacramentale, per giungere poi a una eventuale decisione che può suggerire anche attese, rinvii e nuovi ‘supplementi d’indagine’. Uno schema che si ritrova, con poche differenze, anche nel nuovo documento piemontese. «Se è vero che occorre offrire gli strumenti più opportuni per evitare di prendere delle scorciatoie nel cammino di riammissione ai sacramenti, è anche vero che – ha osservato il teologo – insistendo in una posizione di rigidità non si comprende che nel sacramento dell’Eucaristia, secondo la grande tradizione della Chiesa, c’è anche il perdono dei peccati, cioè il segno la misericordia di Dio».
Perché è fondamentale questa grande attenzione al discernimento? «Perché ogni coppia è unica, come ogni persona, e rappresenta appunto un’inviolabile unicità. E ogni coppia, nel percorso di fede – ha sottolineato ancora – segue strade uniche, dove talvolta si possono verificare anche maturazioni diverse». L’esempio citato all’inizio è sono uno tra i mille e mille che si potrebbero incontrare.
«Nella coppia ci possono essere situazioni differenti, percezioni diverse del proprio essere davanti a Dio. E bisogna tenerne conto. Il discernimento è anche questo. Ed è quindi giusto non pretendere, come spiega bene il Papa in Amoris lætitia, orientamenti univoci, ma è opportuno andare avanti valutando caso per caso, appunto con lo strumento del discernimento».
Infine una sottolineatura più ampia, utile a chiarire il clima in cui si deve inserire il rinnovamento sollecitato dall’Esortazione postsinodale: «Non si tratta di applicare questa logica solo ai temi trattati nel capitolo VIII, ma di trasformarlo in un nuovo stile pastorale – ha concluso monsignor Lorizio – valido per tutti i momenti vissuti nelle nostre comunità».
Luciano Moia Avvenire 1 febbraio 2018
www.avvenire.it/chiesa/pagine/amoris-laetitia-noi-facciamo-cos
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ASSEGNO DIVORZILE
Revocabile l’assegno di divorzio solo se la ex è concretamente indipendente
Tribunale di Treviso, prima Sezione civile, 09 gennaio 2018
www.studiofronzonidemattia.it/wp-content/uploads/2018/01/Tribunale-di-Treviso-09.01.2018.pdf
In un giudizio di modifica delle condizioni di divorzio, l’assegno divorzile già previsto in favore dell’ex coniuge può essere revocato se sopraggiungano nuove circostanze di fatto e, alla luce del nuovo orientamento giurisprudenziale che svincola il relativo diritto dal tenore di vita, l’indipendenza economica del richiedente risulti effettiva nel caso concreto, non già in senso oggettivo ed astratto.
Il Tribunale di Treviso si è recentemente pronunciato anche in un procedimento di modifica delle condizioni di divorzio, prendendo posizione rispetto al nuovo orientamento della Corte di Cassazione, che svincola il riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio al parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ricollegandolo invece all’assenza di indipendenza economica del coniuge richiedente.
Nel caso esaminato dal Tribunale, un marito aveva tra l’altro chiesto di ridurre l’assegno di divorzio già previsto in favore della moglie, da un lato adducendo un peggioramento delle proprie condizioni economiche e, dall’altro, richiamando l’arresto giurisprudenziale più sopra richiamato.
Il Tribunale trevigiano ha innanzitutto precisato che, in un giudizio per la modifica delle condizioni di divorzio, si può rivedere il diritto all’assegno divorzile, non solo alla luce del nuovo orientamento della Cassazione, ma anche a fronte di mutamenti delle circostanze di fatto che consentano di ritenere il beneficiario autosufficiente dal punto di vista economico.
Sotto tale profilo, come recentemente ha richiamato in un giudizio di divorzio lo stesso Tribunale www.studiofronzonidemattia.it/tribunale-treviso-addio-al-tenore-vita-divorzio-coniuge-va-compensato-dei-sacrifici
la valutazione di detta indipendenza deve essere valutata dal giudice tenendo conto sia di parametri di natura personale, che di parametri di carattere patrimoniale, al fine di assicurare al coniuge più debole un’adeguata perequazione in una prospettiva attuativa del valore di parità: non si può dunque assumere il parametro di indipendenza economica solo in senso oggettivo ed astratto, ma lo si deve calare nella realtà effettiva del caso di specie. Pertanto, in un caso di durata quasi trentennale del matrimonio, nel corso della quale i coniugi hanno costruito un patrimonio comune contando sul connubio tra le reciproche capacità reddituali, occorre considerare anche la necessità di far fronte alle spese per la conservazione del patrimonio comune.
Nella fattispecie esaminata, il Tribunale, per un verso, ha rilevato una effettiva contrazione dei redditi del marito; tuttavia, per altro verso, ha evidenziato come la ex moglie (notaio) avesse precluso una sua crescita professionale a fronte delle esigenze della famiglia e fosse titolare di beni immobili che però, fino all’esito di una divisione, sarebbero stati produttivi di rilevanti oneri.
Il Tribunale, pertanto, ha ridotto l’assegno di divorzio dovuto alla ex moglie.
Studio Legale Fronzoni e De Mattia 29 gennaio 2018
www.studiofronzonidemattia.it/tribunale-treviso-revocabile-lassegno-divorzio-solo-la-ex-concretamente-indipendente
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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA
Newsletter CISF – n. 3, 31 gennaio 2018
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Rapporto Cisf 2017 – Roma 25 gennaio 2018. La presentazione del Rapporto Cisf è stata una stimolante occasione di confronto tra numerosi operatori del settore, tutti convergenti sulla necessità di approfondire il tema, davanti ad una rivoluzione di cui siamo solo agli inizi
Il Rapporto Cisf 2017 è anche una miniera di tabelle e dati, nuovi e articolati, in una forma grafica sintetizzata e semplice. https://infogram.com/le-relazioni-familiari-nellera-delle-reti-digitali-1h0n25zp79rz2pe
Il Rapporto Cisf può essere ordinato online con lo sconto promozionale del 15%
www.sanpaolostore.it/relazioni-familiari-nell-era-delle-reti-digitali-nuovo-rapporto-cisf-2017-9788892213289.aspx?Referral=newsletter_cisf_20180131
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Chancing partnerships patterns, housing and new social vulnerabilities (Cambiamenti dei modelli di coppia, condizione abitativa e nuove vulnerabilità sociali). Una sintetica descrizione di un interessante analisi socio-demografica, concentrata soprattutto nel Regno Unito ma rilevante anche in altre nazioni (e sicuramente nel nostro Paese), che mette a tema la vulnerabilità abitativa (e non solo) a seguito di separazioni/frammentazioni delle famiglie, avanzando anche alcune proposte di social housing. http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0318_allegato1.pdf
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Forum famiglie. Patto per la natalità. Roma, 6 gennaio 2018. Perché le donne non siano più costrette a rinunciare alla maternità
http://www.forumfamiglie.org/2018/01/17/un-patto-per-la-natalita-2
www.forumfamiglie.org/2018/01/26/pattoxnatalita-perche-le-donne-non-siano-piu-costrette-a-rinunciare-alla-maternita
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Accogliere la vita per generare speranza. Il Cisf (F. Belletti) interverrà il 3 febbraio 2018 ad un evento formativo sul tema, promosso da Caritas Ambrosiana, da Sportello Anania e dall’Arcidiocesi di Milano in occasione della Giornata per la Vita, con una relazione su “Famiglie accoglienti: spazi di protagonismo per un welfare generativo”.
www.caritasambrosiana.it/Public/userfiles/files/convegno%20anania%20%20febbraio_2018%20light.pdf
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Il CISF al festival della vita – Caserta e Pietravairano. In occasione dell’Ottava Edizione del Festival della Vita (Vivere è.. Raccontare), una settimana di eventi, incontri e feste a Caserta e dintorni, promosso dal locale Centro Culturale San Paolo, il Cisf ha presenziato a due incontri, con due relazioni del direttore Cisf (F. Belletti) incentrate sul tema del recente Rapporto Cisf 2017 (quale posto occupano i media digitali nelle relazioni familiari Il Festival prosegue fino a domenica 4 febbraio (Giornata della Vita), ma anche nei mesi successivi sono previsti altri incontri collegati, in diverse città del territorio.
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Dalle Case editrici.
http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0318_allegatolibri.pdf
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Jaca Book, L’anziano e il suo futuro. Un problema di riconoscimento, Antoniazzi S., Carcano M.
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Gribaudi, Le età della coppia. Parliamone insieme. Schede per sposi e fidanzati, Comunità di Caresto
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Aracne, Il sistema integrato di educazione e di istruzione dell’infanzia. Un ordinamento ad assetto variabile, Mari A.
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Marsilio, Riprendiamoci i nostri figli. La solitudine dei padri e la generazione senza eredità, Polito A.
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Palmieri Gaspare, Grassilli Cristian, La neuropsichiatria infantile. Manuale cantato di psicopatologia dell’età evolutiva, La meridiana, Molfetta (BA), 2017, pp. 173, € 28,00. Musica e canzone rappresentano in questo volume un modo caldo, empatico e sufficientemente “leggero” per affrontare i disturbi psichici dell’età evolutiva […]. Attualmente, il 15-20% della popolazione tra 0 e 18 anni manifesta un qualche tipo di difficoltà di carattere e di questi solo il 10-15% viene preso in cura da servizi, pubblici o privati, mentre il restante rimane impigliato in vario modo nella condizione psicopatologica. […] Tutto ciò rende evidente quanto sia importante dar voce all’infanzia e alla sofferenza infantile. Ecco allora l’obiettivo di questo volume, con CD musicale allegato: mettere al centro dell’attenzione – non solo degli specialisti, ma anche del lettore/ascoltatore comune – il tema dell’infanzia e delle possibili forme di sofferenze infantile, con la loro ricca, variegata e talora sorprendente espressività sintomatologica:
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Save the date
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Nord: “Riflessi…”. A cinquant’anni dall’Humanae Vitae: riflessi nella Diocesi di Brescia, in occasione della Giornata Nazionale per la Vita, tavola rotonda, Brescia, 3 febbraio 2018.
www.diocesi.brescia.it/main/uffici-pastorali/evangelizzazione-e-educazione/ufficio-per-la-famiglia/giornata-per-la-vita/giornata-nazionale-per-la-vita-tavola-rotonda-3-febbraio
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Centro: Fedeltà e fiducia. Logiche del desiderio e teologia della fede, seminario di studio e conferenza pubblica, a cura del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia, Pontificia Università Lateranense, Roma, 12-16 febbraio 2018.
www.istitutogp2.it/public/VP-2018-Depliant%20(2018.01.11)%20DEFINITIVO.pdf
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Donne di testa. Lo spazio dei saperi femminili, iniziativa promossa dall’Osservatorio di Genere e dalla Commissione per le Pari opportunità tra uomo e donna della Regione Marche, Ancona, 3 febbraio 2018 http://cislmarche.it/2018/01/31/donne-di-testa-diamo-spazi-ai-saperi-femminili
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Sud: Ad alterum, ovvero della relazione. Come tutto s’intesse nel gran Tutto e ogni cosa nell’altra opera, evento promosso da Universitas-University (U&U), Silvi Marina (PE), 8-10 febbraio 2018.
www.universitas-university.org/System/files/Universitas/Incontri/Convegni/volantino_2018.pdf
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Estero: Aging Workforce: Older Workers and Immigrants as New Pillars of Western Economies? (Una forza lavoro che invecchia: lavoratori anziani e immigrati come nuovi pilastri delle economie occidentali?), conferenza internazionale organizzata da Keynote in collaborazione con Center. (Organizzazioni operanti in Repubblica Ceca), Praga, 1-2 marzo 2018.
www.keynote.cz/aging-workforce-older-workers-and-immigrants-as-new-pillars-of-western-economies/event/40
Iscrizione alle newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter
http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/gennaio2018/5063/index.html
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CHIESA CATTOLICA
Siamo tutti diversi
L’intervento di Teresa Forcades al ciclo di Teologia della donna organizzato a Reggio Emilia Giovedì primo febbraio si è svolto nel secondo dei quattro incontri del ciclo: “Teologia delle donne”, organizzato dalle amiche del gruppo di cristiani LGBT della stessa città. A prendere la parola, in una sala davvero gremita di gente, segno di un bisogno grande di ascoltare parole nuove e diverse sul tema della sessualità e della diversità, è stata la teologa spagnola suor Teresa Forcades. La serata è stata una boccata di aria fresca, anche perché questa suora benedettina non ci ha parlato di ascesi o di castità, ma di sessualità in un modo nuovo, proponendo una visone antropologica nella quale tutti e tutte si sentano accolti.
Teresa Forcades è una monaca benedettina di origine catalana. E’ medico (ha studiato negli Stati Uniti), teologa (dottorato a Barcellona e a Berlino); si interessa di psicoanalisi e di femminismo. Che cosa ci ha comunicato durante la serata?
La sete di verità di una donna innamorata del Signore e della sua Parola, una donna dotata di un’intelligenza straordinaria, che comunica i risultati delle sue ricerche con molta semplicità e umiltà. I punti del suo intervento sono stati sostanzialmente due.
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Nel primo Teresa ci ha aiutato ad entrare nel mistero della sessualità umana, sforzandosi di mettere da parte le teorie e le teologie, per concentrarsi sulla realtà. Ebbene, nella realtà non esiste solamente una struttura binaria della sessualità – maschio e femmina -, ma ogni tanto si presentano persone che non rientrano in questo schema. Forcades ci ha mostrato che, sino ad ora, sia la medicina che la teologia hanno sempre fatto di tutto per fare in modo che ciò che si presentava come minoranza sessuale, fosse esclusa, repressa, modificata per mantenere inalterata la teoria della presenza binaria della sessualità. Per quale motivo? La struttura binaria della sessualità è retaggio della cultura patriarcale, che indica la supremazia dell’uomo sulla donna, esigendone la sottomissione. Sono dinamiche di potere che esigono delle prese di posizione antropologiche e teologiche. Ascoltando la realtà ci si rende conto che, quando si tratta di persone e non di cose, il criterio della maggioranza non serve più, anzi è nocivo. “
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Occorre un’antropologia teologica – ha ribadito la Forcades – per la maggioranza o per tutti? Per tutti. E’ la teoria che deve adattarsi alla all’esperienza. Basta una persona per provocare il cambiamento della teoria. Non è la quantità l’importanza”. Come ci ricorda papa Francesco nell’Evangeli Gaudium, la realtà è più importante dell’idea e la precede. Teresa Forcades ha applicato questo principio alla sessualità umana, per farci comprendere che le teorie sessuofobe e omofobe, nascono da un non ascolto della realtà, dall’ottusità di voler rivestire la realtà con la camicia di forza delle proprie ideologie per giustificare una specifica visione del mondo oppressiva, in cui il più forte domina sul più debole (struttura binaria sociale e politica). I casi concreti narrati da durante l’incontro, avevano l’intento di mostrare come la natura si ribella tutte le volte che non la rispettiamo e non l’ascoltiamo, tutte le volte che la imprigioniamo nei nostri schemi ideologici.
La prospettiva binaria della cultura Occidentale non riesce a descrivere la realtà e, di conseguenza, occorre fare lo sforzo di ripensare la teoria per renderla il più umana possibile. E’ in questa direzione che si è mossa Teresa Forcades nella seconda parte della serata, approfondendo il cuore dell’antropologia cristiana che vede l’uomo e la donna creati ad immagine di Dio. Che cosa significa questa immagine? Se Il tempo e lo spazio sono elementi fondanti della struttura umana, così come ci ha insegnato Kant, elementi che non si trovano in Dio, come si fa a pensare che siamo ad immagine di Dio se Dio non ha tempo, spazio, sesso? Se l’antropologia binaria creata dalla cultura patriarcale ha incentivato la proposta della complementarietà identificando la libertà con la mascolinità e l’amorevolezza con la femminilità, con tutte le conseguenze negative di un’impostazione infelice come questa, l’antropologia attenta alla realtà deve guardar altrove per cercare ispirazione.
Teresa Forcades ha trovato nel mistero della Trinità, che ha studiato per anni per la realizzazione del suo dottorato in teologia, il punto di riferimento per la sua nuova impostazione antropologica. L’amore trinitario non ha nulla a che vedere con la complementarietà. “I l Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono tre persone distinte: questo è il centro del pensiero trinitario nella storia. Sono differenti, ma non nel senso di uno che completa l’altro”.
Amare, in questa prospettiva trinitaria, non significa andare alla ricerca di qualcosa che ci manca e quindi ci completa. Dio non ci ama perché ne ha bisogno, per completarsi: la gratuità è centrale nell’amore trinitario e nel cristianesimo in generale. Per comprendere meglio il senso dell’amore trinitario Forcades fa appello ad un termine teologico: pericoresi, che significa fare spazio intorno. L’amore trinitario, come amore pericoretico, produce spazio intorno alle persone. In questa prospettiva, è comprensibile come l’amore autentico non solo esige, ma produce libertà per la persona amata. “Percepisco che qualcuno mi ama quando sento che nella relazione, accanto a quella persona, lo spazio attorno a me si amplia. In questo tipo di relazione posso anche essere me stessa in qualcosa che ancora non so di me, si schiude uno spazio nuovo attorno a me in cui oso entrare. Questo spazio è la migliore definizione dell’amore”.
Amare significa fare spazio all’altro in modo tale da permettergli di essere ciò che deve essere. Tutte le volte che la relazione si chiude nella complementarietà duale, rischia di collassare. La dinamica della pericoresi garantisce all’amore un dinamismo creativo. In questa prospettiva antropologica, come si capisce, non c’è più spazio per il dominio di una parte sull’altra e la successiva richiesta di sottomissione. L’amore esige libertà, spazio. “
Dio non ha complementarietà – ha concluso Teresa Forcades -, ma reciprocità, verità, fuoco. E allora, quando due persone si amano con impegno, non può essere la differenza sessuale ad ostacolare questo amore”.
Il numeroso pubblico presente alla serata sarebbe rimasto ancora a lungo ad ascoltare le profondi riflessioni di questa suora speciale. Il desiderio, è comunque di continuare la riflessione affinché le idee condivise possano col tempo modificare le pratiche violente in atteggiamenti amorevoli e di pace.
don Paolo Cugini in “Pensando” – https://regiron.blogspot.it 2 febbraio 2018
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201802/180203cugini.pdf
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CONSULTORI FAMILIARI
Approccio “family friendly”. La forza e il valore di lavorare in rete sui territori.
Questa la proposta dei Consultori di ispirazione cristiana che guardano al futuro per i bisogni di singoli e famiglie tenendo conto della persona nella sua interezza.
“Bambini e ragazzi: quale futuro?” questo il tema del Convegno Nazionale avvenuto a Catania dal 18 al 20 gennaio u.s. a cui hanno preso parte i consultori familiari di ispirazione cristiana con un intervento di Don Edoardo Algeri, Presidente della Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana, dal titolo: “Il lavoro nei consultori familiari: un sostegno alla famiglia in prevenzione”. Due gli spunti.
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Il primo più di quadro generale e quantitativo, misura la rilevanza sociale, preventiva e socio sanitaria che giocano i Consultori familiari di ispirazione cristiana: 200 i consultori operanti in tutte le regioni italiane; 78 quelli della rete Ucipem; nei 50 consultori della rete FeLCeAF (Federazione Lombarda dei Centri di Assistenza alla Famiglia) circa 180.000 le persone visitate, ascoltate, accompagnate in un anno, di cui circa 60.000 ragazzi e adolescenti in ambito scolastico con attività di prevenzione sui temi della sessualità e dell’affettività.
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Il secondo, di visione di insieme, individua alcuni principi chiave che in qualche modo tracciano la strada per i consultori di matrice cristiana, partendo dal principio, afferma Don Algeri che: “le famiglie cambiano, faticano, si spezzano e si ricompongono, ma la famiglia sembra restare al suo posto di prima in classifica fra gli ideali di gran parte delle persone, come dimostrano diversi indicatori sociali. Anche chi esce da un’esperienza difficile di famiglia sente il bisogno di costituirne una più solida. Le famiglie si trasformano, ma il bisogno di un legame coniugale tra uomo e donna e di genitorialità sembra attraversare le crisi e le generazioni.
Pertanto, i nostri consultori, sono chiamati a non perdere di vista questo assunto di partenza, guardando anzitutto alle persone e alle famiglie che accedono ai nostri servizi non come a utenti, ma a soggetti portatori di fragilità e di bisogni, spesso e non solo strettamente di tipo sanitario, aiutandoli nella fatica di educare, a ben-trattare i loro figli, a sostenere i fattori protettivi del loro sviluppo, ad andare incontro in modo innovativo ai nuovi bisogni delle nuove famiglie. Per fa ciò, i nostri consultori con i professionisti che li rendono luoghi così accoglienti e competenti, devono offrire risposte personalizzate, adeguate alla singolarità di ogni persona”.
In tal senso, la legge n. 405/1975, istitutiva dei consultori familiari e le successive applicazioni regionali, ci guida affinché venga garantita una crescente attenzione a tutti i membri della famiglia, ove il bambino possa godere del diritto a crescere ed essere educato nella propria famiglia e il riconoscimento al bambino in stato di abbandono di poter contare sul diritto ad avere una famiglia. Una legislazione attenta a rimettere al centro dell’attenzione l’intero e non la parte.
Diviene dunque importante che i nostri consultori non agiscano solo sull’urgenza di dover intervenire sul mal-essere delle tante famiglie secondo un approccio di tipo medico-clinico-sanitario-riparatorio, orientato alla patologia, ma di mettere in campo interventi family friendly, a bassa soglia, facilmente accessibili, localmente collocati, in cui le famiglie sono considerate soggetti con cui costruire gli interventi e non destinatari su cui intervenire, protagonisti e non solo beneficiari di intervento.
Perché ciò avvenga, si rende necessario un ri-posizionamento del consultorio nei confronti delle famiglie, dei bambini, della società civile, delle comunità locali, del sistema dei servizi alla persona, delle scuole in ordine a questa funzione di sostegno ai genitori nel difficile compito dell’educazione. Il consultorio oggi è chiamato ad “uscire fuori”, in modo tale da avvicinarsi ancor prima che accogliere chi gli si avvicina, di entrare nella quotidianità della vita familiare, poiché è là che le famiglie, di fronte alla rapidità dei cambiamenti sociali e culturali, sperimentano difficoltà nel riconoscere e accrescere la propria autonomia e le proprie risorse e opportunità. Si tratta quindi di affiancare agli interventi «tradizionali» interventi finalizzati a promuovere relazioni significative nella comunità locale.
Incontrare, formare, raccordarsi con nuovi interlocutori che, da punti di vista e da prospettive disciplinari diverse, si dimostrano oggi attenti al tema del sostegno alla genitorialità: insegnanti di scuole di vario ordine e grado, dirigenti scolastici, pediatri, educatori dei servizi per la prima infanzia, di servizi educativi di vario tipo quali le ludoteche o i nuovi centri per le famiglie, delle strutture tutelari, operatori di altri enti quali i Comuni, di altri servizi come quelli delle équipe di neuropsichiatria infantile, i volontari e gli operatori del privato sociale, ecc.
Esercitare le funzioni di sostegno alla genitorialità di cui il consultorio familiare è titolare significa ampliare il proprio modello di riferimento in un continuum di interventi: da consultorio/ambulatorio in cui si gestiscono prestazioni di tipo specialistico a servizio della comunità, che orienta e sostiene le competenze di una molteplicità di soggetti, più che dispensare esclusivamente le proprie funzioni da erogatore di servizi e informazioni di carattere sanitario e socio-sanitario a luogo generatore di relazioni, formazione e opportunità di crescita della rete territoriale che si sviluppa proprio attraverso l’associazionismo di famiglie e la buona alleanza tra genitori.
Confederazione italiana dei Consultori familiari di ispirazione cristiana 29 gennaio 2018
www.cfc-italia.it/cfc/index.php/2-non-categorizzato/421-approccio-family-friendly-la-forza-e-il-valore-di-lavorare-in-rete-sui-territori?jjj=1517333474806
Torino. Presso la sede del Punto familia il servizio pastorale Amoris lætitia
La Metropolia di Torino ha attivato il servizio pastorale “Amoris lætitia” che ha come scopo l’accoglienza delle situazioni complesse e l’accompagnamento attraverso vari percorsi di discernimento che possono riguardare gli aspetti psicologici, pedagogici, giuridici, spirituali e sacramentali delle persone singole o coppie che si presentano. http://terp.it/uploads/public/186_centro-amoris-laetitia.pdf
Un servizio rivolto ai clienti delle prostitute e ai loro familiari di ascolto e consulenza
I clienti che frequentano le prostitute sono persone che tutti noi conosciamo: padri di famiglia, divorziati, single, vicini di casa, giovani ed anziani soli. Persone normali che abitano nel nostro condominio o che incontriamo ogni giorno sul posto di lavoro
www.puntofamilia.it/parliamone-insieme-consultorio/parliamone-insieme.html
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Cesena. Nove mesi valgono una vita
Venerdì, al Palazzo del Ridotto, si parlerà di “Nove mesi valgono una vita“, con l’intervento del presidente dell’associazione nazionale di psicologia e di educazione prenatale, Gino Soldera. La conferenza è proposta dalla Commissione diocesana per la pastorale familiare, in occasione della 40esima Giornata per la Vita indetta dalla Conferenza episcopale italiana (Cei) col tema “Il Vangelo della vita gioia per il mondo”.
Gino Soldera è psicologo-psicoterapeuta che svolge la sua attività presso il Consultorio Familiare Ucipem di Vittorio Veneto. È fondatore e presidente dell’Associazione Nazionale di Psicologia e di Educazione Prenatale (Anpep). Dirige la rivista “Il giornale italiano di Psicologia e di educazione prenatale” e collabora con varie riviste mensili, come “Io e il mio bambino”, “Donna e mamma”, “Dolce attesa”.
www.cesenatoday.it/cronaca/si-celebra-la-giornata-per-la-vita-il-vescovo-benedice-le-mamme-in-attesa.html
Mantova. Progetto Mission Family Net
Il progetto si rivolge alle famiglie in difficoltà, in relazione alla presenza di un proprio familiare: anziano, disabile, o in uno stato di fragilità, per cui occorre attivare una soddisfacente integrazione sociale.
Lo spazio di ascolto offre:
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Accoglienza: un team di professionisti, accoglie la famiglia per la valutazione del bisogno e nell’individuazione di percorsi utili a migliorare le dinamiche relazionali e sociali.
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Orientamento: un operatore si fa carico di orientare e accompagnare la famiglia nell’utilizzo delle proprie risorse e dei servizi presenti sul territorio.
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-sostegno: si darà sostegno ai singoli membri o a tutto il nucleo familiare, in momenti fortemente critici, inerenti la famiglia.
www.consultorioucipemmantova.it/consultorio/index.php/servizi/progetti-genitorialita
Portogruaro. Siete stressati? un percorso per voi.
Quando lo stress colpisce.
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Che cos’è lo stress e che cosa ci “stressa”?
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I nostri punti di forza e i nostri punti deboli.
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Proviamo a gestire efficacemente lo stress
Conduce la dr Laura Del Maschio
www.consultoriofamiliarefondaco.it
Trieste. Percorsi di preparazione al matrimonio.
In collaborazione con il Centro Diocesano Vocazioni è organizzato il Primo percorso 2018.
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Noi e i nostri sogni.
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Vita di coppia e amore responsabile.
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Perdono e riconciliazione nella Chiesa.
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Fondamenti biblici del matrimonio.
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Tra sogno e realtà.
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Il corpo al servizio dell’amore e della vita.
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Il dono della vita.
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Il dono di sé.
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Dal progetto di Dio al progetto della coppia.
www.consultonlus.it
Venezia Mestre. Nuovo sito web.
www.ucipem-mestre.it
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DALLA NAVATA
V Domenica del tempo ordinario- Anno B –4 febbraio 2018
Giobbe 07, 07 Ricordati che un soffio è la mia vita: il mio occhio non rivedrà più il bene.
Salmo 147, 07 Risana i cuori infranti e fascia le loro ferite.
1Corinzi 09, 35 Questo lo dico per il vostro bene: non per gettarvi un laccio, ma perché vi comportiate degnamente e restiate fedeli al Signore, senza deviazioni.
Marco 01, 39 E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni.
Pannello del soffitto dipinto,
Chiesa di san Martino, Zillis (svizzera),1109-1114.
Come Gesù cura e guarisce. Commento di Enzo Bianchi, priore emerito nel convento di Bose (BI)
Domenica scorsa abbiamo iniziato a leggere il racconto della “giornata di Cafarnao” (cf. Mc 1,21-34), esempio concreto di come Gesù viveva, parlando del regno di Dio e compiendo segni che lo annunciavano. E oggi il racconto continua.
Gesù e i suoi primi quattro discepoli, usciti dalla sinagoga, vanno a casa di due di loro, Pietro e Andrea. Come c’era una dimensione pubblica della vita di Gesù, così ce n’era anche una privata: la vita vissuta con i suoi discepoli, o con i suoi amici, la vita in casa, dove si parlava, ci si ascoltava, si mangiava insieme e ci si riposava. Anche queste sono dimensioni umane della vita di Gesù, alle quali purtroppo facilmente non prestiamo attenzione, eppure fanno parte della realtà, del mestiere del vivere quotidiano… Così come ci si dimentica che Pietro, avendo una suocera, non era celibe ma sposato, anche se non abbiamo notizie più precise: aveva figli? Era vedovo? Certamente l’incontro con Gesù ha mutato la vita del pescatore Simone, che significativamente dirà in seguito a Gesù “Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (Mc 10,28).
Ora, entrati in casa di Pietro e Andrea, si accorgono che nessuno li accoglie: dovrebbe essere compito della suocera di Pietro, ma una febbre la tiene a letto. La febbre è un’indisposizione che accade sovente, e non è certo grave o preoccupante. Gesù, informato della cosa, si avvicina a questa donna allettata, la prende per mano e la fa alzare. Egli vuole incontrarla e, non appena le è vicino, senza dire una parola compie gesti semplici, umanissimi, affettuosi: prende nella sua mano quella mano febbricitante, attua una relazione carica di affetto, e quindi con forza la aiuta ad alzarsi. Questi sono i gesti di Gesù che guariscono: non gesti di un guaritore di professione, non gesti medici, né tantomeno gesti magici. Se siamo attenti comprendiamo che, sull’esempio di Gesù, a un malato dobbiamo soprattutto avvicinarci, renderci prossimi, toglierlo dal suo isolamento, prendendo la sua mano nella nostra, in un contatto fisico che gli dica la nostra presenza reale, e infine fare qualcosa perché l’altro si rialzi dal suo stato di prostrazione.
Questa azione con cui Gesù libera la donna dalla febbre può sembrare poca cosa (“un miracolo sprecato”, ha scritto un esegeta!), ma la febbre è il segno più comune che ci mostra la nostra fragilità e ci preannuncia la morte di cui ogni malattia è indizio. Sì, Gesù è sempre all’opera verso i nostri corpi e le nostre vite e sempre discerne, anche dove c’è soltanto la febbre, che l’essere umano si ammala per morire, che qualunque malattia è una contraddizione alla vita piena voluta dal Signore per ciascuno di noi. Non fermiamoci dunque alla cronaca dell’azione di Gesù, ma comprendiamo come egli, il Veniente con il suo Regno, è in lotta contro il male, lo fa arretrare, fino a vincere la morte il cui re è il demonio, colui che dà la morte e non la vita.
Gesù appare così come colui che fa rialzare, risuscita – verbo egheíro, usato per la resurrezione della figlia di Giairo (cf. Mc 5,41) e per la stessa resurrezione di Gesù (cf. Mc 14,28; 16,6) – ogni uomo, ogni donna dalla situazione di male in cui giace. Egli dà “i segni” del regno di Dio veniente, dove “non ci sarà più la morte, né il lutto, né il lamento, né il dolore, quando Dio asciugherà le lacrime dai nostri occhi” (cf. Ap 21,4; Is 25,8). Quando Gesù guarisce concretamente, narra Dio come Rapha’el, “colui che guarisce” (cf. Es 15,26) e appare come il medico dei corpi e delle anime (cf. Mc 2,17).
Ciò che è messo in rilievo come frutto di quel “far rialzare” da parte di Gesù è l’immediato servizio, la pronta diakonía da parte della suocera di Pietro. Rialzati dal male, a noi spetta il servizio verso gli altri, perché servire l’altro, avere cura dell’altro è vivere l’amore verso di lui: l’amore dell’altro è il volere e il realizzare il suo bene. Nel caso presente questa donna, ormai in piedi, offre da mangiare a Gesù e ai suoi discepoli, servendo chi l’ha servita fino a liberarla dalla sua malattia.
Giunge la sera, la giornata descritta da Marco come la prima in cui Gesù opera è quasi terminata, ma ecco che da tutta la città vengono portati malati e indemoniati davanti alla porta della casa in cui egli si trova. Con enfasi l’evangelista scrive “tutti i malati … tutta la città”, perché l’afflusso era considerevole. Cosa cercava tutta quella gente? Innanzitutto guarigione, ma certamente desiderava anche vedere miracoli: la medicina era troppo cara, spesso senza efficacia, e poi in quel tempo c’erano molti esorcisti, guaritori, maghi, da cui la gente si recava. Quelli venuti da Gesù non trovano però né un mago né un operatore di miracoli. Trovano uno che guarisce chi incontra, parlando, entrando in relazione, ma soprattutto suscitando nei malati fede-fiducia: e quando Gesù trova questa fiducia, allora può manifestarsi la vita più forte della morte.
Gesù non guariva tutti ma – ci dicono i vangeli – curava tutti quelli che incontrava, e le sue liberazioni dalla malattia, dal peccato o dal demonio volevano essere segni, indicazioni riguardo al regno di Dio che egli annunciava e chiedeva di accogliere. Come interpreta Matteo a margine di questo brano, egli si manifesta come il Servo del Signore che “ha preso le nostre debolezze e si è addossato le nostre malattie” (Mt 8,17; Is 53,4). Gesù combatte le malattie per far arretrare la potenza del male e del demonio, ma ciò avviene al prezzo di caricarsi lui stesso delle sofferenze che cerca di sconfiggere! Sintetizzerà Pietro in una predicazione riportata dagli Atti degli apostoli: “Gesù di Nazaret passò facendo il bene e guarendo tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo” (At 10,38), perché ogni situazione di lontananza da Dio e di dominio della morte è dovuta all’azione del demonio
Viene la notte, ma anche questa è fatta per operare: prima dell’alba Gesù esce di casa, va in un luogo solitario e là prega. È la sua preghiera del mattino, preghiera che attende il sorgere del sole invocando il Signore e lodandolo per la luce che vince la notte. Questa azione notturna di Gesù non è secondaria, non è una semplice appendice al giorno. È la fonte del suo parlare e del suo agire, è l’inizio del suo “ritmo” giornaliero, è ciò che gli dà la postura per vivere tutta la giornata nella compagnia degli uomini: perché egli è sempre l’inviato di Dio, colui che deve sempre “raccontarlo” (cf. Gv 1,18) agli uomini, e per questo è sempre in comunione con lui.
La preghiera di Gesù nella notte, in luoghi deserti, nella solitudine, è testimoniata più volte dai vangeli, fino a quella preghiera con cui prepara spiritualmente la sua passione e morte. Preghiera piena di confidenza, in cui Dio è sempre invocato come “Abba, Papà caro e amato”; preghiera nella quale Gesù discerne la volontà di questo Padre che è amore e trova vie per realizzarla; preghiera nella quale lo Spirito santo, compagno inseparabile di Gesù è per lui forza e consolazione. La veglia, la preghiera notturna che è operazione di tutto il corpo e non solo delle facoltà mentali, è decisiva nella vita del cristiano, il quale non deve mai dimenticare questa “attività”, vera e propria azione di Gesù.
Ma i primi discepoli, la piccola comunità appena formata, su iniziativa di Simone cerca Gesù, e in questo “cercare Gesù” vi è molto più di una ricerca volta a conoscere dove egli sia. In realtà il quaerere Deum nel vangelo secondo Marco diventa quaerere Jesum, cercare Gesù. E quando lo trovano, significativamente intento a pregare, gli dicono: “Tutti ti cercano!”. Quasi lo inseguono, ma per che cosa? Qui è testimoniato il desiderio di vedere, ascoltare, incontrare, chiedere guarigioni, invocare liberazione dal demonio. “Tutti ti cercano!”, dicono i discepoli; secondo il quarto vangelo saranno addirittura i pagani a dire: “Vogliamo vedere Gesù!” (Gv 12,21).
Ma Gesù risponde: “Andiamo altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo, infatti, sono uscito”. È ora di andare, di continuare la missione insieme in altri villaggi non ancora raggiunti dalla buona notizia, dal Vangelo del Regno. Ma il fondamento di tutta questa missione – “per questo sono uscito” – resta un’espressione ambigua: uscito dalla città nella notte, oppure uscito da Dio, dal Padre, come intenderemmo se questa espressione fosse attestata dal quarto vangelo? Ecco la missione di Gesù: è mandato dal Padre ed è uscito nel mondo per fare il bene e donare la salvezza. E così di villaggio in villaggio, il sabato di sinagoga in sinagoga, Gesù predicava e toglieva terreno ai demoni. Da Cafarnao a tutta la Galilea.
www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12076-gesu-cura-guarisce
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EUROPA
UE: nessuna discriminazione per i coniugi gay
Gli Stati non possono rifiutare diritto di soggiorno permanente, non si possono discriminare i coniugi gay. A dichiararlo l’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Ue, Melchior Wathelet, nel corso di una controversia tra le autorità romene e una coppia di uomini, uno rumeno e l’altro americano. Le conclusioni dell’avvocato generale non impegnano la Corte, ma forniscono una possibile soluzione giuridica alla causa.
La vicenda riguarda il romeno Relu Adrian Coman e Robert Clabourn Hamilton, cittadino Usa, conviventi per 4 anni negli Usa, prima di sposarsi a Bruxelles nel 2010. Nel dicembre 2012 Coman e Hamilton hanno chiesto alle autorità rumene i documenti necessari perché il primo potesse lavorare e soggiornare in modo permanente in Romania col coniuge. La richiesta poggiava sulla direttiva relativa alla libertà di circolazione, che permette al coniuge di un cittadino dell’Ue di raggiungere la propria metà nello Stato membro in cui soggiorna. Nonostante le premesse c’è stato un diniego da parte delle autorità rumene di concedere a Hamilton il diritto di soggiorno, escludendo la qualifica in Romania come “coniuge” di un cittadino Ue, considerato che lo stato non riconosce i matrimoni omosessuali.
Contro la decisione delle autorità romene, i due coniugi si sono rivolti ai giudici. La Corte Costituzionale della Romania, investita di un’eccezione di incostituzionalità, ha chiesto alla Corte di Giustizia Ue se a Hamilton, coniuge di un cittadino dell’Unione che ha esercitato la sua libertà di circolazione, debba essere concesso un diritto di soggiorno permanente in Romania.
A proposito della vicenda, secondo l’interpretazione dell’avvocato Wathelet della Corte Ue, la problematica giuridica al centro della controversia non riguarda la legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso, bensì la libera circolazione dei cittadini dell’Unione. “Il coniuge di un cittadino dell’Unione deve poter raggiungere quest’ultimo nello Stato membro in cui soggiorna”, asserisce la direttiva Ue sulla libertà di circolazione. Secondo l’avvocato generale la direttiva non prevede alcun rinvio al diritto degli Stati membri per la determinazione della qualità di “coniuge”: ne consegue che questa nozione deve essere oggetto, nell’intera Unione, di un’interpretazione “autonoma e uniforme”. La stessa nozione di “coniuge”, in relazione alla libertà di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, è riferita anche ai coniugi dello stesso sesso.
Anche se gli Stati membri sono liberi di autorizzare o meno il matrimonio tra persone dello stesso sesso, non possono certo ostacolare la libertà di soggiorno di un cittadino dell’Unione rifiutando di concedere al suo coniuge dello stesso sesso, cittadino di uno Stato non Ue, un diritto di soggiorno permanente sul loro territorio. Queste le conclusioni dell’avvocato generale.
Ancora, “alla luce dell’evoluzione generale delle società degli Stati membri dell’Unione nel corso dell’ultimo decennio in materia di autorizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso”, la giurisprudenza della Corte secondo cui “il termine ‘matrimonio’ secondo la definizione comunemente accolta dagli Stati membri, designa un’unione tra due persone di sesso diverso”, non può più essere condivisa. L’avvocato sottolinea che la nozione di “coniuge” è necessariamente connessa alla vita familiare, che è tutelata in maniera identica dalla carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu). E la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto che, da un lato, le coppie omosessuali possono avere una vita familiare e, dall’altro, che dev’essere loro offerta la possibilità di ottenere un riconoscimento legale e la tutela giuridica della loro coppia. Nel provvedimento l’avvocato specifica che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in materia di ricongiungimento familiare, statuisce che l’obiettivo della protezione della famiglia tradizionale non giustifica una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale.
In queste circostanze, per l’avvocato generale la nozione di “coniuge” prevista dalla direttiva comprende anche i coniugi dello stesso sesso. Di conseguenza, anche una persona che ha lo stesso sesso del proprio coniuge può soggiornare in modo permanente sul territorio dello Stato membro in cui quest’ultimo si è stabilito come cittadino dell’Unione, dopo avere esercitato la propria libertà di circolazione. Questa conclusione, asserisce l’avvocato generale, è valida anche per lo Stato di origine del cittadino in questione, quando costui vi ritorna dopo avere soggiornato permanentemente in un altro Stato membro in cui ha sviluppato o consolidato una vita familiare, come Coman ha fatto con Hamilton nel caso in questione.
Conclusioni Avvocato Generale Ue ww.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_28773_1.pdf
Gabriella Lax studio Cataldi 12 gennaio 2018
www.studiocataldi.it/articoli/28773-ue-nessuna-discriminazione-per-i-coniugi-gay.asp
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
Dalle Associazioni del Forum un pacchetto di proposte per il welfare.
Famiglia Lavoro Abitazione
Le proposte delle Associazioni. Gli Impegni dei partiti. Le sintesi delle proposte in discussione.
www.forumfamiglie.org/2018/02/05/famiglia-lavoro-abitazione
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Papa alla Rota Romana: serve discernimento delle coscienze degli sposi
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/january/documents/papa-francesco_20180129_annogiudiziario-rotaromana.html
All’inaugurazione dell’Anno giudiziario del Tribunale che giudica sui casi di nullità matrimoniale, Papa Francesco ha ricordato ai giudici l’importanza di impedire che “la coscienza dei fedeli in difficoltà nel loro matrimonio si chiuda ad un cammino di grazia”. Ribadita la necessità di un catecumenato matrimoniale per i fidanzati
Nel dichiarare la nullità o la validità del vincolo matrimoniale, voi giudici del Tribunale della Rota Romana “vi ponete come esperti della coscienza dei fedeli cristiani”, e per questo dovete impedire, insieme ai vescovi locali, ma anche ai sacerdoti e laici impegnati nella pastorale, che la coscienza dei fedeli in difficoltà nel loro matrimonio si chiuda ad un cammino di grazia.
Così Papa Francesco si è rivolto ai giudici rotali nel suo discorso per l’inaugurazione dell’Anno giudiziario del Tribunale della Rota Romana, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico.
Il vostro è ministero della pace delle coscienze. Dopo il saluto del decano del Tribunale, monsignor Pio Vito Pinto, il Pontefice ha centrato l’attenzione su un aspetto qualificante del servizio dei giudici, “la centralità della coscienza”. Il vostro, ha spiegato è un “ministero della pace delle coscienze” che richiede di essere esercitato “in tutta coscienza”.
Nel decidere sulla dichiarazione di nullità o validità di un matrimonio, ha proseguito Francesco, invocate l’assistenza divina per raggiungere la connessione tra la certezza morale e l’ambito della vostra coscienza, noto solo allo Spirito Santo. Solo così potrete entrare nell’ambito sacro della coscienza dei fedeli.
Ascoltare i fedeli che hanno reso la loro coscienza muta
L’ambito della coscienza, ha sottolineato il Papa, è risuonato in modo significativo nell’Esortazione apostolica Amoris lætitia. Ciò è derivato dalla consapevolezza che il Successore di Pietro e i Padri sinodali hanno maturato circa l’impellente necessità di ascolto, da parte dei Pastori della Chiesa, delle istanze e delle attese di quei fedeli i quali hanno reso la propria coscienza muta e assente per lunghi anni e, in seguito, sono stati aiutati da Dio e dalla vita a ritrovare un po’ di luce, rivolgendosi alla Chiesa per avere la pace della loro coscienza.
I fidanzati e una scelta aperta al dono dei figli. Quindi Francesco ha ribadito l’invito a quanti operano nella pastorale matrimoniale e familiare ad aiutare i fidanzati “a costruire e custodire l’intimo santuario della loro coscienza cristiana”, per edificare una famiglia secondo il disegno di Dio. Nell’Amoris lætitia, ha sottolineato il Papa, sono indicati percorsi pastorali per aiutare i fidanzati ad entrare senza paure nel discernimento e nella scelta del futuro stato di vita coniugale. Perché “è quanto mai necessaria una continua esperienza di fede, speranza e carità, perché i giovani tornino a decidere, con coscienza sicura e serena, che l’unione coniugale aperta al dono dei figli è letizia grande per Dio, per la Chiesa, per l’umanità”.
Aiutare i giovani ad assumere impegni stabili. Questo è stato il percorso e lo scopo del cammino sinodale su matrimonio e famiglia e dell’esortazione Amoris lætitia. Come salvare i giovani dal frastuono e rumore assordante dell’effimero, che li porta a rinunciare ad assumere impegni stabili e positivi per il bene individuale e collettivo. Un condizionamento che mette a tacere la voce della loro libertà, di quell’intima cella – la coscienza appunto – che Dio solo illumina e apre alla vita, se gli si permette di entrare.
E’ urgente quindi, per il Papa, “l’azione pastorale di tutta la Chiesa per il recupero, la salvaguardia, la custodia di una coscienza cristiana, illuminata dai valori evangelici”. Il punto primordiale stabilito dal Sinodo e dall’Amoris lætitia è il rapporto necessario tra la regula fidei, cioè “la fedeltà della Chiesa al magistero intoccabile sul matrimonio, così come sull’Eucaristia, e l’urgente attenzione della Chiesa stessa ai processi psicologici e religiosi di tutte le persone chiamate alla scelta matrimoniale e familiare”.
Matrimoni e famiglia, futuro di Chiesa e società. Francesco ha ribadito per questo l’invito a avviare un catecumenato matrimoniale, come itinerario indispensabile dei giovani e delle coppie, perché la ricchezza della grazia del sacramento “non può che essere custodita nella coscienza dei coniugi come singoli e come coppia”.
Questa cura delle coscienze non può essere impegno esclusivo dei Pastori, ma, ha sottolineato il Papa, “è missione di tutti, ministri e fedeli battezzati”, proprio perché matrimonio e famiglia sono il futuro della Chiesa e della società. È necessario pertanto favorire uno stato di catecumenato permanente, affinché la coscienza dei battezzati sia aperta alla luce dello Spirito. “L’unione sponsale può dirsi vera solo se l’intenzione umana degli sposi è orientata a ciò che vogliono Cristo e la Chiesa.” Per rendere sempre più consapevoli di ciò i futuri sposi, occorre l’apporto, oltre che dei vescovi e dei sacerdoti, anche di altre persone impegnate nella pastorale, religiosi e fedeli laici corresponsabili nella missione della Chiesa.
La giustizia rotale non è espletamento burocratico. Questo appello e attenzione alla coscienza, ha concluso il Pontefice rivolto ai giudici rotali, vi chiede di “evitare che l’esercizio della giustizia venga ridotto a un mero espletamento burocratico. Se i tribunali ecclesiastici cadessero in questa tentazione, tradirebbero la coscienza cristiana”.
Ecco perché, nella procedura del processo breve, il Papa ha stabilito non solo un ruolo più centrale per il Vescovo diocesano, ma anche che egli stesso, “giudichi in prima istanza i possibili casi di nullità matrimoniale”. Dobbiamo impedire che la coscienza dei fedeli in difficoltà per quanto riguarda il loro matrimonio si chiuda ad un cammino di Grazia. Questo scopo si raggiunge con un accompagnamento pastorale, con il discernimento delle coscienze e con l’opera dei nostri tribunali. Tale opera deve svolgersi nella sapienza e nella ricerca della verità: solo così la dichiarazione di nullità produce una liberazione delle coscienze.
Alessandro Di Bussolo vatican news 29 gennaio 2018
Alla Rota Romana. Il Papa: «Regole e attenzione alla persona»
Il Papa in apertura dell’Anno giudiziario della Rota Romana: i Tribunali Ecclesiastici non siano mero espletamento burocratico. C’è l’importanza della coscienza al centro del discorso pronunciato dal Papa in apertura dell’Anno giudiziario della Rota Romana. Coscienza che è decisiva tanto per i casi di cui i giudici devono occuparsi, che nella vita delle persone che di quei casi sono protagonisti. L’attività dei Tribunali Ecclesiastici, il loro impegno nella cause di accertamento delle nullità matrimoniali e più in generale la pastorale familiare della Chiesa infatti – ha detto Francesco – «si esprime anche come ministero della pace delle coscienze e richiede di essere esercitata in tutta coscienza». Detto in altro modo, si tratta di coniugare le regole all’attenzione specifica per le persone. «La voce sinodale dei Padri vescovi e la successiva Esortazione apostolica Amoris lætitia – ha sottolineato in proposito il Papa – hanno così assicurato un punto primordiale: il necessario rapporto tra la regula fidei, cioè la fedeltà della Chiesa al magistero intoccabile sul matrimonio, così come sull’Eucaristia, e l’urgente attenzione della Chiesa stessa ai processi psicologici e religiosi di tutte le persone chiamate alla scelta matrimoniale e familiare». Per Francesco raccomanda «l’impegno di un catecumenato matrimoniale, inteso come itinerario indispensabile dei giovani e delle coppie destinato a far rivivere la loro coscienza cristiana, sostenuta dalla grazia dei due sacramenti, battesimo e matrimonio».
Tuttavia quando nel suo percorso la vita coniugale incontri gravi ostacoli e venga ferita, arrivando a chiedere aiuto al tribunale ecclesiastico occorre che l’esercizio della coscienza serva anche ad evitare un rischio da parte dei giudici, quello cioè che «l’esercizio della giustizia venga ridotto a un mero espletamento burocratico». «Se i tribunali ecclesiastici cadessero in questa tentazione, tradirebbero – ha aggiunto il Pontefice – la coscienza cristiana.
Ecco perché, nella procedura del processo abbreviato, ho stabilito non solo che sia reso più evidente il ruolo di vigilanza del vescovo diocesano, ma anche che egli stesso, giudice nativo nella Chiesa affidatagli, giudichi in prima istanza i possibili casi di nullità matrimoniale». In tal senso il Papa ha chiesto di evitare il rischio che «la coscienza dei fedeli in difficoltà per quanto riguarda il loro matrimonio si chiuda ad un cammino di grazia». «Questo scopo – ha aggiunto – si raggiunge con un accompagnamento pastorale, con il discernimento delle coscienze e con l’opera dei nostri tribunali. Tale opera deve svolgersi nella sapienza e nella ricerca della verità: solo così la dichiarazione di nullità produce una liberazione delle coscienze».
Avvenire 29 gennaio 2018
www.avvenire.it/papa/pagine/alla-rota-romana
Il mappamondo di Bergoglio
Per disegnare il mappamondo politico del Papa e cogliere i fondamenti della sua politica internazionale è necessario evitare semplificazioni e cercare le giuste chiavi di lettura. È molto utile partire dalle sue radici biografiche e culturali, ma è anche necessario andare al di là di esse. In ogni caso, bisogna sempre considerare che l’agenda del Papa è aperta, e questa apertura è una particolare forma della sua politica. Possiamo individuare quattro aspetti della politica del Pontefice: il carattere kerigmatico; l’orientamento al tutto e all’unità; l’origine nel discernimento; il legame diretto tra la politica e la carità.
La “politica” di Francesco è kerigmatica. Il termine kerygma identifica l’annuncio del messaggio di Cristo, il Vangelo. Per Francesco, dunque, l’annuncio del Vangelo si fa politica; l’impegno politico discende dal Vangelo e non da una ideologia. Sappiamo che per i greci, che hanno inventato questo termine, la “politica” è l’arte che permette la costruzione della polis — vale a dire la costruzione della città vista come un tutto — per cui offre un ordine alle sue relazioni “interne” (con una politica interna) e al tempo stesso sicurezza nelle sue relazioni “esterne” (con una politica estera).
La visione che si ha attualmente della politica è diversa da questo concetto antico. Al giorno d’oggi, la politica viene spesso intesa come “arte del possibile”, diventando un’arte delle “parti”, un’arte della parzialità, sia che si tratti di una persona, sia di un partito, sia di uno Stato. La politica rischia di diventare così l’arte della quale si servono gli uomini di parte per cercare di imporre i propri interessi.
La visione del Papa si differenzia profondamente da questa concezione interessata e strumentale della politica. In un articolo del 1987 Jorge Bergoglio affermava che un determinato fatto ha un «valore politico», è autenticamente politico, quando porta un messaggio, un significato attuale per il popolo di Dio. Il messaggio politico di Papa Francesco ha valore kerigmatico, cioè è un annuncio del Vangelo, e non di un’ideologia; pertanto è valido per tutto il popolo di Dio, e non solo per una parte o per un partito che rappresentino interessi particolari.
A partire da quanto è stato detto, emerge la seconda caratteristica che abbiamo menzionato: quando parliamo della politica secondo la visione di Papa Francesco, dobbiamo intendere la polis come la “totalità del mondo”. Per il Papa, ogni politica è sempre “politica interna”. Egli considera il mondo come un’unica città, a cui corrisponde una politica unitaria. Questa visione ha come fondamento la sua riflessione sulla relazione tra il tutto e la parte, mantenendo la tensione propria degli esseri viventi. Il Papa afferma che ogni conflitto deve essere risolto a un livello superiore, nel quale venga rispettata l’unità, cioè il tutto. In questo senso, «l’unità prevale sul conflitto». Una soluzione del conflitto che rispetti la realtà cerca il modo di mantenere l’unità senza negare la diversità.
Infatti, dice sempre Francesco, «la realtà è più importante dell’idea». Affinché si realizzi questa dinamica, occorre rispettare il tempo che essa richiede. Il bene deve essere desiderato, non può essere imposto. C’è bisogno, dunque, di tempo: tempo affinché la verità risplenda e si imponga da se stessa, senza che venga fatta violenza; tempo che permetta l’azione di Dio nella vita dell’uomo e della città. È per questo che «il tempo è superiore allo spazio». Il rispetto del dinamismo temporale significa un’apertura alla crescita, al dialogo, alla riflessione, alla conversione e all’azione dello Spirito.
I quattro principi menzionati devono essere tenuti insieme. In caso contrario, si producono relazioni disturbate con il mondo. La cultura dell’usa e getta è il risultato del non rispettare il tempo, in quanto non si dà spazio ai processi. In questo senso vanno evitate sia la retorica degli “illuminati”, sia quella dei “puri”.
Ogni forma di retorica politica che promuove forme di illuminismo e di eticismo di élite, magari legata alla figura di alcuni leader o di un gruppo specifico, è a rischio di inganno. In base a queste considerazioni, possiamo riconoscere nella politica di Papa Francesco una politica autenticamente cristiana. È una politica che sostiene l’armonizzazione delle parti nell’accettazione reciproca, senza distruggere le particolarità, ma senza neppure mettere al primo posto le differenze, imparando a dialogare e ad arricchirsi scambievolmente a partire da tali differenze, costruendo un’unità superiore. La politica richiede un processo che avviene nel tempo, per mezzo del dialogo e del discernimento.
Ci vuole tempo per capirsi e per cercare le strade verso l’unità. Il cristiano impegnato in politica è consapevole che è necessario un dialogo con la storia che permetta di scoprire i segni dei tempi; e, contemporaneamente, un dialogo con Dio, perché è Lui che guida i cuori degli uomini e il corso della storia. Per questo occorre essere attenti e «discernere gli spiriti» — come direbbe sant’Ignazio di Loyola — che determinano le relazioni e le azioni.
Questa è la terza caratteristica della politica di Papa Francesco. Se la politica mondiale è “politica interna”, non sarebbe sbagliato descrivere la politica estera — intesa come l’arte che cerca di difendere la città contro gli interessi esogeni — con le parole di san Paolo: «La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro (…) i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti» (Efesini 6, 12).
Il bene comune e la pace sociale sono minacciati dall’amore per se stessi, dall’egoismo che arriva a negare il bene di tutti o, meglio, che si serve dell’altro o degli altri per soddisfare l’amore per se stesso. La politica è lotta, ma non è lotta della carne contro la carne, e tanto meno una lotta tra uomini contro altri; piuttosto, è una lotta spirituale, con l’arma del discernimento.
José Luis Narvaja, teologo L’Osservatore Romano 2 febbraio 2018
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201802/180201narvaja.pdf
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HUMANÆ VITÆ
“Humanæ vitæ” addio.
A mezzo secolo di distanza, l’enciclica contro i metodi artificiali di regolazione delle nascite che ha segnato il momento più drammatico del pontificato di Paolo VI, rifiutata da interi episcopati, contestata da innumerevoli teologi, disobbedita da miriadi di fedeli, cede ormai il passo a una sua radicale re-interpretazione, a un “cambio di paradigma” indubitabilmente voluto e incoraggiato da papa Francesco in persona.
Paradosso vuole che Paolo VI sia il papa che Jorge Mario Bergoglio ammira e loda di più. E proprio – sono parole sue – per “la genialità profetica” con cui scrisse quell’enciclica e per il suo “coraggio di schierarsi contro la maggioranza, di difendere la disciplina morale, di esercitare un freno culturale, di opporsi al neo-malthusianesimo presente e futuro”.
Ma appunto, “tutto dipende da come Humanæ vitæ viene interpretata”, non manca di chiosare ogni volta papa Francesco. Perché “la questione non è quella di cambiare la dottrina, ma di andare in profondità e far sì che la pastorale tenga conto delle situazioni e di ciò che per le persone è possibile fare”.
Detto e fatto. A dare veste autorevole al nuovo paradigma interpretativo di Humanæ vitæ con un esplicito via libera ai contraccettivi artificiali, è intervenuto un teologo dei più accreditati presso l’attuale papa, Maurizio Chiodi, professore di teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e membro di fresca nomina della Pontifica Accademia per la Vita, già autore nel 2006 di un libro, “Etica della vita“, che sosteneva la liceità della procreazione artificiale.
L’autorevolezza della sua presa di posizione è avvalorata da due fatti concatenati.
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Il primo è il contesto in cui Chiodi ha dettato la nuova interpretazione di Humanæ vitæ in una conferenza alla Pontificia Università Gregoriana, il 14 dicembre 2017, nel quadro di un ciclo di incontri tutti dedicati a quell’enciclica nel cinquantenario della sua pubblicazione, promossi dalla facoltà di teologia morale dell’università, diretta dal gesuita argentino Humberto Miguel Yáñez, pupillo di Bergoglio. Di questa conferenza ha dato un dettagliato resoconto la giornalista americana Diane Montagna su Life Site News dell’8 gennaio 2018, a cui sono seguite le vivaci reazioni dei difensori della contestata enciclica:
www.lifesitenews.com/news/new-academy-for-life-member-uses-amoris-to-say-some-circumstances-require-c
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Ma ora c’è di più. Domenica 28 gennaio 2018 la conferenza di Chiodi è stata ripubblicata con grande evidenza sul quotidiano della conferenza episcopale italiana “Avvenire”, nel supplemento mensile “Noi, Famiglia & Vita”, introdotta da una nota col titolo: “Da papa Montini a Francesco, sviluppo nella fedeltà”, nella quale si legge: “È una posizione [quella di Chiodi] che si inserisce autorevolmente nel dibattito in corso, e che non va intesa come un superamento o una critica a Humanæ vitæ che è e rimane frutto di una scelta profetica e coraggiosa per il tempo e per la situazione storica in cui papa Montini la concepì, non senza tormenti e non senza aver chiarito che si trattava di magistero né infallibile né irreformabile. In questa prospettiva la riflessione del teologo va intesa come una proposta che intende rappresentare lo sviluppo di una tradizione. E una tradizione, per essere viva e continuare a parlare alle donne e agli uomini del nostro tempo, non va sclerotizzata ma resa dinamica, cioè coerente con una società che cambia. Don Chiodi ha il coraggio di definire il problema che si pongono da alcuni decenni teologi ed esperti di pastorale. Davvero i metodi naturali vanno intesi come l’unico percorso possibile di pianificazione familiare?”.
La nota, come si vede, termina con un punto interrogativo. Che però è del tutto retorico. Le tesi esposte da Chiodi nella sua conferenza, infatti, non sono ipotetiche, ma assertive. Vi sono circostanze – sostiene – che non solo consentono ma “richiedono” altri metodi, non naturali, per la regolazione delle nascite. Il testo integrale della conferenza di Chiodi ripubblicata su “Avvenire” – con qualche taglio ininfluente rispetto a quella pronunciata alla Gregoriana – è in quest’altra pagina di Settimo Cielo:
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/01/28/rileggere-humanae-vitae-alla-luce-di-amoris-laetitia
Dopo aver ridiscusso “la responsabilità soggettiva della coscienza e il rapporto costitutivo tra norma e discernimento” nel solco dell’esortazione postsinodale di papa Francesco, Chiodi pone “la domanda se i metodi naturali possano/debbano essere l’unica forma di generazione responsabile”. E queste sono le conclusioni a cui approda:
“Ciò che la pratica dei ‘metodi naturali di fecondità’ attesta è il carattere responsoriale della generazione: anch’essi dicono che generare non è creare. Il metodo attesta però più di quanto possa garantire da se stesso. Rivela un senso che lo trascende. Se la responsabilità del generare è ciò a cui rimandano questi ‘metodi’, allora si può comprendere come nelle situazioni in cui essi siano impossibili o impraticabili, occorre trovare altre forme di responsabilità: queste ‘circostanze’, per responsabilità, richiedono altri metodi per la regolazione delle nascite. In questi casi, l’intervento ‘tecnico’ non nega la responsabilità del rapporto generante, così come del resto un rapporto coniugale che osservi i metodi naturali non è automaticamente responsabile.
“L’insistenza del magistero sui metodi naturali non può dunque essere interpretata come una norma fine a se stessa né come una mera conformità alle leggi biologiche, perché la norma rimanda al bene della responsabilità coniugale e le leggi fisiche (physis) dell’infecondità si inscrivono in un corpo di carne e in relazioni umane irriducibili a leggi biologiche.
“La tecnica, in circostanze determinate, può consentire di custodire la qualità responsabile dell’atto sessuale. Essa perciò non può essere rifiutata a priori, quando è in gioco la nascita di un figlio, poiché anch’essa è una forma dell’agire e come tale richiede un discernimento sulla base di criteri morali irriducibili ad un’applicazione sillogistico-deduttiva della norma”.
A beneficio dei lettori, “Avvenire” sintetizza così, a centro pagina, la reinterpretazione di Humanæ vitæ fatta da Chiodi: “Se ci sono situazioni in cui i metodi naturali sono impossibili o impraticabili, occorre trovare altre strade, perché una generazione responsabile non può ignorare le offerte della tecnica”.
È utile aggiungere che il 27 gennaio 2018, il giorno precedente la ripubblicazione di questa conferenza di Chiodi, anche monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e gran cancelliere dell’Istituto Giovanni Paolo II, ha detto in un’intervista al giornale della conferenza episcopale italiana, alludendo ad Humanæ vitæ che vanno fatti “ulteriori approfondimenti sul fronte della responsabilità della generazione”, perché “le norme sono per far vivere gli esseri umani, non per far funzionare i robot”, e quindi “richiedono un processo di valutazione che deve prendere in conto l’insieme concreto delle circostanze e delle relazioni in cui si trova la persona”.
E già prima che Chiodi tenesse la sua conferenza alla Gregoriana, anche monsignor Luigi Bettazzi, 94 anni, uno dei pochissimi vescovi ancora in vita che presero parte al Concilio Vaticano II [unico degli italiani], aveva detto ad “Avvenire”, il 29 ottobre 2017, che a cinquant’anni dalla Humanæ vitæ è ormai “arrivato il momento di ripensare la questione”, perché “non sono le dottrine a cambiare, ma siamo noi, col trascorrere degli anni, che riusciamo a comprenderne sempre meglio il significato, leggendole alla luce dei segni dei tempi”.
Inoltre è già all’opera dalla scorsa primavera la commissione di studio istituita in Vaticano per ricostruire la genesi di Humanæ vitæ dal punto di vista storico e documentario. Ne fanno parte i teologi Gilfredo Marengo e Pierangelo Sequeri dell’Istituto Giovanni Paolo II, Angelo Maffeis dell’Istituto Paolo VI di Brescia e lo storico Philippe Chenaux della Pontificia Università Lateranense.
Marengo e Paglia hanno negato che i lavori della commissione riguardino i contenuti di Humanæ vitæ e tanto meno una loro reinterpretazione. Ma è fin troppo evidente che la rivisitazione del tormentato percorso di preparazione di quell’enciclica – nel quale già allora le correnti favorevoli alla contraccezione artificiale erano molto più forti e pressanti di quelle contrarie, sposate da Paolo VI – potrà solo giovare al cambio di paradigma che è in atto.
Sandro Magister settimo cielo 30 gennaio 2018
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/01/30/humanae-vitae-addio-francesco-liberalizza-la-pillola
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MINORI
In Italia solo il 10% dei minori fuori famiglia adottato o in affido
Commissione Parlamentare Infanzia: in Italia più di 26mila minori fuori famiglia, ma solo il 10% viene accolto in affido o adozione. Nelle regioni del Centro-Nord si concentra il 53% dei minori accolti a livello residenziale e familiare (15.532, dato 2013). Tra quelli ospitati in strutture residenziali, il 3% viene adottato da una famiglia
Italia fanalino di coda in Europa per numero assoluto di minori fuori famiglia (26.420), dietro Francia (138.269), Germania (125.841), Inghilterra (69.540) e Spagna (32.682)
Italia in fondo alla graduatoria ‘europea’ per il numero di bambini e adolescenti tra 0 e 17 anni che vivono fuori dalla propria famiglia di origine: il dato sull’infanzia sembrerebbe incoraggiante, se non fosse che i riscontri in qualche caso appaiono non completi e lacunosi e che il numero di affidi e adozioni registrati, rispetto al totale dei minori ospiti di servizi residenziali, supera a stento il 10%.
Sono le cifre del documento appena pubblicato dalla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza sui minori fuori famiglia nel nostro Paese, con un particolare riferimento all’affido familiare.
Il primo dato che viene portato in evidenza è quello secondo cui il 53% dei minori sono accolti in strutture situate nelle 10 regioni del Centro-Nord Italia. La Lombardia è in testa, con 4.337 tra bambini e adolescenti accolti, seguita da Emilia-Romagna (2.230) e Piemonte (2.095, tutti dati 2013, ndr).
Nel confronto con gli altri principali Paesi europei, come accennato, l’Italia è in coda per numero di minori senza famiglia accolti: sono infatti 26.420, contro i 138.269 della Francia, i 125.841 della Germania, i 69.540 dell’Inghilterra e i 32.682 della Spagna (dati al 31.12.2014, ndr).
Un altro elemento interessante che le cifre indagate portano a galla è quello del ‘destino’ che questi minori vivono una volta dimessi dalle strutture residenziali in cui sono stati ospitati: solo poco meno di un terzo (31,1%) rientra nella famiglia di origine; il 24,1% viene semplicemente ‘spostato’ in una nuova residenza; il 17,2% si allontana spontaneamente o fugge dal centro in cui è ospitato e solo il 10,2% viene dato in affidamento familiare (3,1% intrafamiliare, 4,1% eterofamiliare) o viene adottato (3%). Del totale di ospiti fuori famiglia in Italia, d’altronde, al 31 dicembre 2014, soltanto il 4,8% aveva ricevuto un decreto di adottabilità (969). Bassa pure la percentuale dei minori che vengono resi autonomi (8,1% del totale).
Una tabella riassuntiva, con dati ISTAT aggiornati al 31 dicembre 2014, mostra che nei soli presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari, in Italia gli ospiti minorenni sono 19.955, il 62,1% dei quali maschi (12.383) e il rimanente 37,9% femmine. Quanto alle regioni con il maggior numero di minori fuori famiglia, in testa c’è la Sicilia (3.470), seguita da Lombardia (2.746), Lazio (2.504) ed Emilia-Romagna (2.021). Il 40,7% di tutti i minori fuori famiglia sul nostro territorio nazionale sono stranieri. E il 23,2% (4.636) tra il totale dei bambini e adolescenti considerati nel documento sono accolti in realtà ‘diffuse’, a carattere familiare; la maggioranza è ospite di strutture comunitarie (15.278).
Ultimo cenno interessante, rispetto al documento della Commissione parlamentare, è quello sul numero di comunità presenti sul territorio nazionale, ripartito per regioni: 3.352 in tutto al 31.12.2015. Quella con il numero maggiore di strutture è la Lombardia (511, -4% rispetto all’anno precedente), seguita da Sicilia (494, +10%), Emilia-Romagna (451, +22%) e Campania (338, -1%).
Fonte: Camera.it
News Ai. Bi. 30 gennaio 2018
www.aibi.it/ita/commissione-parlamentare-infanzia-in-italia-piu-di-26-mila-minori-fuori-famiglia-ma-solo-il-10-viene-accolto-in-affido-o-adozione
Cosa succede ai minori fuori famiglia al 18mo anno di età?
Ancora troppo pochi quelli che riescono a inserirsi felicemente nel tessuto socio-economico del Paese: rimangono tanti i ‘careleavers’ che, raggiunta la maggiore età, corrono il rischio di ‘perdersi’ con l’uscita dalle realtà di accoglienza e affido, senza prospettive per il futuro. Su una stima (in assenza di banche dati ufficiali) di circa 26mila fuori famiglia in Italia, 3mila ragazzi ogni anno diventano maggiorenni, i due terzi dei quali non rientrano più nella famiglia di origine. Problema nel problema, gli attuali 424 minorenni ‘grandi’ o malati dichiarati adottabili nel nostro Paese, ma per i quali non c’è una famiglia disposta ad abbracciarli
In Italia solo il 10% dei minori fuori famiglia adottato o in affido. Sono 3mila i ragazzi fuori famiglia in Italia che ogni anno diventano maggiorenni e sono costretti a lasciare le realtà di accoglienza che li hanno ospitati fino a quel momento. I due terzi, peraltro, non rientrano più nelle famiglie di origine, diventando a tutti gli effetti ‘careleavers’: paracadutisti senza paracadute, rimasti soli e a forte rischio di emarginazione e persino delinquenza per riuscire a sopravvivere.
Un quadro a tinte scure, in cui non di rado le ragazze cadono in unioni infelici e in gravidanze precoci di figli nati nel disagio; gli uomini, invece, hanno come prospettive frequenti droga, carcere, sfruttamento.
In tutto sono poco più di 26mila i minori fuori famiglia in Italia di cui circa la metà sono in affidamento familiare (il 50% di questi in famiglie parentali) e per l’altra metà si dividono tra comunità e strutture di accoglienza. In questa cifra rientrano anche i minori stranieri non accompagnati, che sono circa il 40% del totale. Di questo ‘esercito’, solo una minima parte diventa ‘adottabile’. Le difficoltà, pertanto, sono acuite quando arrivano ai 14 anni o se il minore ha delle gravi patologie. In questo caso, il futuro si fa davvero buio. Basti pensare che sono ancora 424 minorenni dichiarati adottabili dai Tribunali preposti, ma rimasti senza una famiglia disponibile ad accoglierli perché troppo ‘grandi’ o malati. Al momento, soltanto il Piemonte ha una legge che prevede un contributo regionale per questi genitori-coraggio.
Sul fronte dei neomaggiorenni fuori famiglia, invece, è la Sardegna l’unica regione ad avere una legge specifica, integrata da un programma ad hoc chiamato ‘Prendere il volo’, accessibile tra i 18 e i 25 anni. Secondo Monya Ferritti, presidente del Coordinamento Care e membro della Commissione Adozioni Internazionali, si dovrebbe fare molto di più per facilitare l’ingresso dei piccoli in una nuova famiglia, prima che crescano troppo. “Servirebbero – spiega in un’intervista al Corriere della Sera ‘Buone Notizie‘ – nuovi strumenti, più flessibili, per permettere ai Tribunali dei minori di superare un atteggiamento conservativo, a volte ideologico, sui legami di sangue. La conseguenza è lo stallo delle vite di centinaia di bimbi e ragazzi. Ci si accorge troppo tardi che non è possibile recuperare i genitori d’origine, quando ormai i bambini sono diventati grandi e diventa difficile trovare chi si prenda cura di loro. “
Chissà se la notizia arrivata direttamente dall’ultima Finanziaria – un fondo di 5 milioni di euro all’anno per tre anni destinati a progetti di sostegno e inclusione sociale (pagamento dell’affitto, di corsi di formazione, etc.) di questi neomaggiorenni – basteranno: la stima fatta dagli esperti sulla cifra indica che coprirebbe a stento l’aiuto a 500 giovani all’anno. Meglio poco che niente, certo, in attesa di giorni migliori.
Fonte: Corriere della Sera ‘Buone Notizie’
News Ai. Bi. 1 febbraio 2018
www.aibi.it/ita/category/archivio-news/page/2
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OMOFILIA
Lezioni di fedeltà per i fidanzati gay
La diocesi di Torino dà lezione di fedeltà alle coppie gay. O, meglio, «la propone, perché non vogliamo erigerci troppo a maestri, ma vogliamo dire che anche i gay meritano la fedeltà». Don Gianluca Carrega, responsabile della «pastorale degli omosessuali», racconta di un personale sorpasso negli inviti ricevuti dai suoi amici: l’anno scorso ha partecipato a un solo matrimonio che potremmo definire «tradizionale», di una coppia etero, e a ben tre unioni civili gay. «È stato bello, ogni volta una festa: quella legge ha portato molti frutti, io li ho visti e li riconosco», racconta il sacerdote che ha ricevuto l’investitura ufficiale dall’arcivescovo, monsignor Cesare Nosiglia.
Ma la legge sulle unioni civili aveva, per così dire, una lacuna, un compromesso, su cui s’è consumato un braccio di ferro nei giorni dell’approvazione: la legge sulle unioni civili alla fine non ha previsto, tra i diritti e i doveri della coppia, l’obbligo di fedeltà. Don Gianluca, che insegna Nuovo Testamento alla Facoltà Teologica torinese, lo definisce un paradosso. E per questo la Diocesi di Torino ha dedicato a questo tema un fine settimana di ritiro quaresimale rivolto alle coppie gay, intitolato «Degni di fedeltà». Si terrà il 24 e il 25 febbraio in un istituto di suore, le Figlie della Sapienza. La due giorni avrà partecipanti single e coppie. Alla domanda se ci saranno camere matrimoniali, don Gianluca resta vago: «Non ci siamo ancora posti il problema, essendo un monastero, cercheremo di dare a ciascuno una “cella” singola». Ci saranno momenti di preghiera alternati alla riflessione.
Un’iniziativa nuova ma con origini lontane: l’attenzione alla condizione spirituale, e più in generale sociale, di vita, delle persone omosessuali è incominciata a Torino – dove presso il Gruppo Abele di don Luigi Ciotti è attivo anche il Centro Studi e Documentazione Ferruccio Castellano – ormai molti anni fa, durante l’episcopato del cardinale Severino Poletto. Allora era stato incaricato del dialogo don Ermis Segatti, direttore della Pastorale della cultura.
«La legge può anche non prevedere l’obbligo di fedeltà – spiega don Gianluca – ma riflettendo sull’affettività dei gay, possiamo dire che ciascuno merita un amore esclusivo, unico. La legge può decidere quali siano i requisiti minimi, ma noi vogliamo parlare di qualità del rapporto».
Nell’incontro si discuterà «del valore della fedeltà e dell’amore, alla luce del messaggio biblico», insieme al padre gesuita Pino Piva. Non ci saranno facili ricette: «Su questi temi dobbiamo affiancare le coppie più che dirigere, d’altra parte non sarebbe onesto per chi, come me, è etero e celibe».
La diocesi più avanti della Cirinnà? Le aperture di don Gianluca gli sono costate l’accusa, da parte della rivista ultracattolica «Il Timone», di essere un prete «omoeretico». Ma lui agisce in nome e per conto della diocesi, è uno dei pochissimi con un incarico ufficiale di questo tipo in Italia. E non ha paura di parlare di «controsenso» nell’insegnamento tradizionale della Chiesa. Se un uomo o una donna omosessuale ha rapporti occasionali, può confessarsi e ricevere i sacramenti. Se ha un’unione stabile e non un amore solo platonico la risposta spesso è no.
«Ma così rischiamo di fare tanti danni, incentivare tra i fedeli la clandestinità e la deresponsabilizzazione», dice. E il weekend di riflessione sulla fedeltà nasce anche per questo: «Una coppia credente che fa un’unione civile dovrà pur portare la sua fede religiosa all’interno della convivenza». Ma per don Gianluca il discorso è duplice, anche la Chiesa deve «fare una riflessione sul valore dell’affettività omosessuale». Perché, «come dice il vescovo di Nanterre, Gérard Daucourt, alcuni dei gay che decidono di vivere in coppia vi trovano una maggiore serenità e cercano di restare fedeli. E noi dobbiamo valorizzare ciò che di bello c’è nella loro vita».
Fabrizio Assandri e Maria Teresa Martinengo La Stampa 3 febbraio 2018
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201802/180203assandrimartinengo.pdf
“La Chiesa finalmente fa un bagno di realtà”
«Prima la Chiesa ha fatto di tutto contro il riconoscimento delle coppie gay, ora sembra preoccupata di consolidarle, permettetemi un sorriso. Forse è una resa culturale all’evidenza». Gabriele Piazzoni, segretario nazionale di Arcigay, sorride, sì, ma poi prende molto sul serio l’iniziativa della diocesi di Torino.
Come la valuta?
«Mi sembra il miglior riconoscimento possibile. Voler applicare una pastorale di coppia anche ai gay significa considerarli nella loro dimensione di famiglia. Non può che farci piacere».
Cosa ne pensa della riflessione sulla fedeltà?
«Noi riteniamo che ogni coppia debba essere libera di trovare i suoi equilibri, ma quando fu fatta la legge Cirinnà il mancato obbligo di fedeltà è stato uno schiaffo: è stato come svalutare le coppie gay rispetto a quelle etero. Ben venga che la diocesi riconosca che anche noi meritiamo la fedeltà».
Non è in contraddizione con la linea ufficiale della Chiesa?
«Formalmente non ci sono ambiguità, perché la linea ufficiale è molto netta. Poi però quando si fa un bagno di realtà, come mi sembra abbia fatto la diocesi di Torino con questa iniziativa, le cose cambiano. E le associazioni cattoliche e chi è vicino ai fedeli, anche se ci sono realtà aperte e altre sigillate, sa che non può far a meno di considerare la realtà delle nostre famiglie».
Intervista a Gabriele Piazzoni, a cura di Fabrizio Assandri La Stampa 3 febbraio 2018
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201802/180203piazzoniassandri.pdf
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PRENATALITÀ
Scienza prenatale una speranza spesso sconosciuta
Le diagnosi prenatali sono vissute il più delle volte dai genitori come sentenze di morte, mentre quattrocento studi documentano che la scienza prenatale ha compiuto enormi progressi e può migliorare le condizioni dei nascituri, in certi casi risolvere problematiche sussistenti e, comunque, sostenere e accompagnare i nascituri, le mamme e le famiglie.
Il professor Giuseppe Noia del Policlinico Gemelli ha messo in luce molte carenze nei percorsi di gravidanza. Nelle sue ricerche ha rilevato una mancanza di supporto medico o di assistenza, non di rado l’induzione all’aborto. A ciò si accompagna un deficit di informazione: errate convinzioni sulle patologie, l’amplificazione del rischio, la non conoscenza della storia naturale della patologia. Infine fanno difetto i punti di riferimento e le forme di supporto. Alle famiglie capita di frequente di non sapere a chi rivolgersi.
“La società – osserva lo scienziato – si sposta sempre più verso una forma di eugenismo selettivo. L’aborto eugenetico, non uso volutamente il termine ‘terapeutico’ perché non c’è nessuna terapia, è aumentato in 35 anni: dallo 0,5% del 1981 al 5,3% del 2016, con punte in Sardegna che arrivano al 23,2%”. Per questo, secondo il professore, c’è bisogno di un sistema di assistenza alle famiglie che crei consapevolezza sulle reali condizioni del bambino.
La scienza prenatale come servizio sociale. La scienza prenatale non abdica al rigore ma, spiega il ginecologo: “sposa la compassione, la tenerezza, diventa medicina condivisa, come dice Papa Francesco: bisogna lasciare il camice e indossare il grembiule”.
Il professor Noia, presidente della Fondazione il Cuore in una Goccia Onlus, insiste sul fatto che le consulenze devono aiutare a comprendere e non avere un carattere direttivo, servono a offrire cioè quella alternativa all’aborto di cui parla la stessa legge 194/1978. Una buona informazione e il supporto aiutano a restituire “dignità genitoriale” di fronte a un progetto che le famiglie sognano, ma che una diagnosi infausta può far crollare.
I progressi della medicina prenatale. Il servizio sociale della scienza prenatale parte da dati scientifici maturati con quattrocento lavori su come curare il bambino in utero, senza accanimento terapeutico, con alte percentuali di sopravvivenza. La scienza ha fatto grandi passi avanti nella terapia fetale. Accanto alla terapia c’è l’Hospice perinatale, un’unità operativa specialistica che offre assistenza alle famiglie che devono affrontare diagnosi prenatali di gravi patologie e malformazioni spesso incompatibili con la vita extrauterina.
Nell’Hospice vengono offerte, tra l’altro, cure prenatali e analgesia del dolore fetale, accoglienza e accompagnamento dei bambini affetti dalle patologie, cure palliative pre e post-natali. Un esempio: in 20 anni di studio dell’igroma cistico, si è visto che su 156 casi la regressione intrauterina è stata osservata nel 38% dei casi, con completa scomparsa nel 75%. Ci sono stati 54 aborti spontanei (63%) e 51 nati vivi (50%), con un buon esito nel 68,6% dei casi, i controlli medici programmati – il cosiddetto follow-up – sono stati completati in 102 casi.
Il contributo concreto di ProVita. In occasione della conferenza stampa, ospitata dall’associazione “Per Roma” e moderata dal suo segretario generale Renato Corbella, Toni Brandi, presidente di ProVita ha mostrato l’assegno con i fondi raccolti grazie all’aiuto dei sostenitori nell’ambito della campagna natalizia “Aiuta a far nascere il Bambino!”.
Il denaro sosterrà le attività scientifiche e sociali della Fondazione il Cuore in una Goccia Onlus. Toni Brandi sottolinea l’importanza di aprire centri di ascolto e hospice, perché, secondo il presidente di ProVita: “La gente non sa, non è informata. Ci vuole una battaglia culturale di tre o quattro anni per poter modificare sostanzialmente o abrogare la legge 194/1978 L’informazione è fondamentale”.
L’interruzione di gravidanza un trauma sottovalutato. La scienza prenatale e perinatale, come scienza condivisa, va incontro anche alla salute psicologica della donna.
Afferma il professor Noia: “Tantissimi studi dicono che l’interruzione di gravidanza non è facile. La salute psicologica della donna è fortemente inficiata dalla perdita non di grammi, non di centimetri, non di morfologia o di aspetto, ma dalla perdita del figlio, perché la realtà del figlio nessuno la può disconoscere. Un figlio va aiutato, va curato prenatalmente”.
Eugenio Murrali VaticanNews – Newsletter del 31 gennaio 2018
www.vaticannews.va/it/mondo/news/2018-01/scienza-prenatale-provita-prevenzione-aborto.html
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TRIBUNALI ECCLESIASTICI
Costituito il Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Piemontese
I Vescovi di sedici diocesi piemontesi, riuniti a Spotorno per gli esercizi spirituali, hanno costituito lo scorso 29 novembre 2017 il “Tribunale ecclesiastico interdiocesano piemontese (TEIP)” che subentra al Tribunale ecclesiastico regionale piemontese (TERP) dopo il recesso della diocesi di Alessandria deciso dal Vescovo S.E. Mons. Guido Gallese.
La costituzione è stata presa per dare seguito all’attuazione della riforma dei processi di nullità matrimoniale varata da Papa Francesco col Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus del 15 agosto 2015.
La costituzione del TEIP riprende e conferma la Nota dei Vescovi piemontesi del 19 gennaio 2016 che dà specificazione anche all’esercizio del munus giudiziale di ogni singolo Vescovo nello svolgimento del processo brevior e collega lo strumento giudiziale con la pastorale matrimoniale delle singole diocesi.
18 gennaio 2018 http://terp.it/eventi/costituito-il-tribunale-interdiocesano-piemontese
Tribunale: il ponte tra pastorale e diritto
Quando le domande e le obiezioni non conoscono la realtà dei fatti. Quante domande, obiezioni e visioni distorte sorgono a proposito dell’operato dei tribunali ecclesiastici anche in questi ultimi tempi, dopo la riforma voluta da Papa Francesco e il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia. Proviamo a porre qualche punto fermo offrendo nel modo più semplice possibile risposte e chiarimenti.
Il nostro è un tribunale “di frontiera” che da anni ormai lavora per offrire concretamente sinergie pastorali e cerca collaborazioni con le Chiese particolari, con i vescovi, con le università e con gli altri operatori pastorali.
Oggi lo fa, in punta di piedi, con un sito dedicato che esiste da tempo come semplice valore di una proposta di servizio informativo, ancor più necessario nella fase di passaggio dal Tribunale Regionale al Tribunale Interdiocesano.
Valenti studiosi su riviste specializzate, sottolineando il fatto che non mancano tribunali che si isolano dal tessuto ecclesiale limitandosi a mettere on line il loro sito, invocano una “vera sinergia pastorale” sia nella formazione degli operatori, sia nella reciproca conoscenza. “Una vera sinergia pastorale potrebbe anche realizzare quei percorsi di accompagnamento che permettano la comprensione del significato della dichiarazione di nullità”.
Ma la sinergia evocata va fatta cominciando “dal basso” cioè dagli operatori del tribunale e della pastorale famigliare, per non rimanere ai livelli di una “illuminata lezione” che non va al di là del “si dovrebbe fare così” e senza scadere in uno sterile dualismo che contrappone pastorale e diritto.
Accanto al rischio di un tribunale chiuso in sé stesso e arroccato in un una sorta di autoreferenzialità, ci sembra di poterne scorgere un altro, altrettanto pericoloso, quello di chi, identificate “le periferie”, smarrisce la “sgangherata corriera” che ci porta colà. La “Chiesa in uscita” non è il fine, ma il mezzo per arrivare a tutti i fedeli che versano nel bisogno.
L’immagine da evitare è quella evocata dal card. Giacomo Biffi, la cui sottile ironia ci ha lasciati recentemente. Nel quinto evangelo scriveva: “Il Regno dei cieli è simile a un pastore che avendo cento pecore e avendone perdute novantanove, rimprovera l’ultima pecora per la sua scarsità di iniziativa, la caccia via e, chiuso l’ovile, se ne va all’osteria a discutere di pastorizia”.
Questo sito non è un’autodifesa, o una presa di posizione che si cala dall’alto, non è “un prodotto di nicchia”, ma di “frontiera”.
Le informazioni in esso contenute e le domande abbastanza consuete, riprendono alcuni dei luoghi comuni e le conseguenti risposte hanno lo scopo di dare le prime indicazioni generali sull’operato del Tribunale Ecclesiastico, per favorirne la conoscenza e l’opera al servizio del bene spirituale delle persone.
Queste righe e questo sito si rivolgono ai fedeli e in primo luogo a quelli che, laici, presbiteri e religiosi, sono operatori pastorali nei vari ambiti della famiglia e dell’evangelizzazione. Quante idee sul matrimonio e quanti pregiudizi ideologici corrono sulla rete informatica!
Tra le varie domande e risposte che trovate nel sito una è essenziale: “Qual è la visione del matrimonio secondo la Chiesa Cattolica?”.
I documenti del magistero della Chiesa, la teologia, il Catechismo della Chiesa Cattolica e il Codice di diritto canonico descrivono il matrimonio come un patto coniugale con cui un uomo e una donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinato al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole.
Le sue proprietà essenziali sono l’unità e l’indissolubilità. Tra due battezzati, poi, il patto coniugale è sacramento. Questa realtà matrimoniale sorge dal consenso delle parti, legittimamente manifestato tra un uomo e una donna, giuridicamente abili. Il consenso è l’atto di volontà con cui l’uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio. Il patto coniugale, espresso con un valido consenso, è indissolubile.
Quando si tratta di un sacramento, cioè di un consenso valido espresso tra due battezzati, nessuna autorità umana può sciogliere questo matrimonio.
Esprime in modo chiaro questa realtà il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1640): «Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che risulta dall’atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad un’alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione della sapienza divina».
Prassi pastorali di accoglienza e accompagnamento dei fedeli così come il nuovo processo canonico di nullità prevede, non possono prescindere da questo dato di fondo che appartiene alla Rivelazione.
Il Vicario Giudiziale Don Ettore Signorile, del clero di Saluzzo
Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Piemontese 19 gennaio 2018
http://terp.it/eventi/tribunale-il-ponte-tra-pastorale-e-diritto#
Indicazioni per il processo brevior davanti al Vescovo diocesano
La prassi da seguire nel nostro Tribunale qualora le parti richiedano il processo breve, attese le decisioni prese dai Vescovi piemontesi nel gennaio 2016, viene qui di seguito esplicitata per favorire questa via processuale. Riteniamo che essa sia un tentativo coerente e in linea con il Motu proprio.
Il libello (domanda), deve essere indirizzato al Vescovo diocesano competente, ma è presentato al vicario giudiziale del TEIP, il quale vaglia le condizioni previste dal can. 1683. Così recitano le decisioni dei Vescovi piemontesi: “le domande del processo più breve, novità introdotta dal Motu Proprio, saranno inoltrate al Tribunale interdiocesano regionale e il Vicario giudiziale contatterà quanto prima il Vescovo competente a giudicare perché si attivi a norma del diritto”.
Il vicario giudiziale designa l’istruttore e l’assessore della diocesi del Vescovo competente (laddove è possibile), perché il Vescovo sia coadiuvato a norma dei canoni innovati 1685 e 1687 § 1 del C.I.C. e Art. 19 delle Regole Procedurali.
L’istruttoria, tendenzialmente in un’unica sessione (laddove le parti e i testi possano garantire contestualmente la loro presenza) si svolge nella diocesi del Vescovo competente con l’ausilio del Cancelliere/Notaio del TEIP e alla presenza del Difensore del vincolo del Tribunale interdiocesano.
Istruttore ed assessore, con gli atti di causa, consegnano personalmente la relazione e le considerazioni volte a coadiuvare il Vescovo nella sua personale ed esclusiva decisione.
Il Vescovo infine decide se consegnare personalmente la sentenza nel caso si sia pronunciato affermativamente.
Al Tribunale interdiocesano spettano solo le relative notifiche, il decreto esecutorio compiuti i termini di legge e la richiesta di annotazione nei registri di matrimonio e battesimo delle parti.
Per un’informazione più completa del Vescovo come giudice nel processo più breve, rimandiamo a quanto è scritto sul nostro sito:
http://terp.it/uploads/public/135_il-processo-brevior-don-gottero-2-aprile-2016.pdf
Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Piemontese 18 gennaio 2018
http://terp.it/eventi/indicazioni-per-il-processo-brevior-davanti-al-vescovo-diocesano#
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