NewsUCIPEM n. 686 – 28 gennaio 2018

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02 ACCOGLIENZA “B&B della Mamma”, quando l’accoglienza costruisce futuro.

02 AFFIDO Vieni a vedere cos’è l’affido. Corso introduttivo 2018. Milano.

03 AFFIDO CONDIVISO Nessuna violazione se il provvedimento del giudice è generico.

04 ASSEGNO DIVORZILE Niente assegno di divorzio se l’ex coniuge si può mantenere.

05 Matrimonio, comunione di vita ed interessi e autoresponsabilità.

05 Divorzio: come e quando si può chiedere la revoca dell’assegno.

07 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – N. 3, 31 gennaio 2018.

08 CENTRO ITALIANO SESSUOLOGIA Costituiti gli organi sociali.

09 CHIESA CATTOLICA Il Papa: “Un cammino da Gaudium et Spes ad Amoris lætitia.

09 In «Gaudium et spes» si rivela l’essenza del Concilio Vaticano II.

11 COMM. ADOZIONI INTERNAZ. 37 dossier italiani saranno portati a termine.

11 CONSULTORI FAMILIARI Il consulente etico nei consultori d’ispirazione cristiana.

12 CFC Rassegna stampa.

12 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Pescara. Tirocini per l’Università degli Studi di Aquila.

13 DALLA NAVATA La giornata di Cafarnao. Commento di Enzo Bianchi.

15 DEMOGRAFIA Patto natalità: l’impegno delle donne. Cinque voci.

16 DIRITTI Avvocati: a Milano nasce il “Codice dei diritti degli indifesi”.

16ENTI TERZO SETTORE Gli enti non profit hanno 789 mila dipendenti.

17 EUROPA Divorzi internazionali: Ue, più protezione per i minori.

17 FECONDAZIONE ETEROLOGA Perché si deve permettere la ricerca dei genitori biologici.

18 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Perché le donne non siano più costrette a rinunciare a maternità.

19 MINORITutori volontari x minori non accompagnati, riaprono le

20 MORALE CATTOLICA Come faccio a fare la comunione da divorziata risposata?

25 OMOFILIAI matrimoni gay celebrati all’estero vengono riconosciuti in Italia?

25 Trascrivibilità del provvedimento di adozione emesso all’estero.

26 POLITICHE PER LA FAMIGLIA Progettate di divenire genitori, vi state chiedendo quanto vi spetta

27 UCIPEM Il sito web dell’UCIPEM ha pubblicato recentemente saggi.

27 ZIBALDONE Se una donna ha queste 14 qualità, non devi lasciarla andare

Se un uomo ha queste 9 qualità, non devi lasciarlo andare

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ACCOGLIENZA

B&B della Mamma”, quando l’accoglienza costruisce futuro

È stata inaugurata il 25 gennaio 2018 la struttura di via Forlì a Roma, il “B&B della Mamma”, progetto voluto e sostenuto dall’associazione La casa della mamma che dal 1969 accoglie ragazze madri in difficoltà sociali ed economiche – italiane e straniere – insieme ai loro bambini, con l’obiettivo di aiutarle a diventare donne in grado di crescere con responsabilità e autonomia i figli. «La nostra attività di ricezione – illustra la direttrice Lucia Di Mauro – ha due grandi finalità: la ricostruzione della personalità emotiva delle ragazze unitamente e mediante un percorso di formazione professionale qualificata, necessaria per la vita di domani».

Nel B&B saranno impiegate, con un contratto di formazione e di apprendistato, due delle sei giovani mamme ad oggi accolte nella casa famiglia. «Una ha 16 anni e un figlio di un anno e mezzo – racconta Di Mauro -; l’altra ha 2 bambini, 22 anni e da uno è con noi: si è dimostrata molto volenterosa e le abbiamo dato fiducia».

Finito di ristrutturare a dicembre 2017 scorso, il B&B è oggi una realtà accogliente, in posizione strategica (via Forlì 40), non lontano dalle stazioni Termini e Tiburtina, dietro all’ingresso del parco di Villa Torlonia, a pochi passi dalle fermate della metropolitana Bologna e Policlinico. All’interno di una palazzina liberty degli anni ’20, affaccia su un giardino e dispone di 5 stanze doppie e 1 singola, tutte dotate di aria condizionata, riscaldamento, bagno privato, connessione internet wi-fi, cassaforte e tv lcd.

«Le prime ospiti – spiega la direttrice – le stiamo ospitando in forma amicale: si tratta di una ex ragazza-madre e della sua “bambina”, oggi diciassettenne, nata proprio alla Casa della mamma». Sono a Roma in queste settimane ma vivono in Colombia oramai da qualche anno «eppure il filo non si spezza, anzi, si rinforza».

La direttrice evidenzia che il sostegno dell’associazione «non si limita ai 4-6 anni di permanenza nella nostra struttura» bensì si intensifica una volta che le giovani madri la lasciano «perché la solitudine è una cattiva consigliera». Una delle prime ragazze madri che la casa accolse oggi ha «un figlio adulto che è commercialista – racconta ancora la direttrice che da 27 anni opera nella struttura -: è lui che ci fa da consulente del lavoro». A dire che quello che si instaura è un legame che dura per tutta la vita.

Nel tentativo di offrire un sostegno non solo nell’immediato ma guardando al futuro, negli anni l’attività della Casa della Mamma si è evoluta, adeguandosi ai cambiamenti sociali e storico-culturali. «Le giovani hanno necessità nuove, oggi, primariamente di autonomia economica – conclude Di Mauro – e così si è trasformato il tipo di assistenza che offriamo»: sono coinvolte appieno nella gestione della casa dove condividono i compiti con gli operatori; viene inoltre proposto loro un piccolo lavoro retribuito nella casa famiglia o, appunto, nel nuovissimo b&b, con un accordo interno e una costante verifica.

Per informazioni e prenotazioni: www.bnbdellamamma.com.

 

La Casa della Mamma è un’associazione nata nel 1969, che accoglie ragazze madri in difficoltà e i loro bambini con l’obiettivo di aiutarle a diventare donne e a far crescere con responsabilità e autonomia i propri figli. Oggi la Casa della Mamma ospita sei ragazze madri, dai 15 ai 23 anni, con i propri figli, spesso allontanate dalle famiglie dal Tribunale per i Minorenni. www.casadellamamma.org

Michela Altoviti Romasette 26 gennaio 2018

www.romasette.it/bb-della-mamma-laccoglienza-costruisce-futuro

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AFFIDO

Vieni a vedere cos’è l’affido. Corso introduttivo 2018. Milano

24 febbraio Perché l’affido? Di cosa si tratta? dr Lia Sanicola, già docente all‘Università di Parma

Testimonianza di una famiglia affidataria

03 marzo Come si fa l’affido? Come l‘Associazione accompagna le famiglie? dr Caterina Chiarelli AS

Testimonianza di una famiglia affidataria

10 marzo Chi accogliamo? Cosa succede a lui/lei e a noi? dr Luigi Regoliosi, psicologo

Testimonianza di una famiglia affidataria

Corso formato da 3 incontri seguiti da un momento di convivenza (data e luogo da concordare).

Locandina corso Affido affido@famiglieperaccoglienza.it

www.famiglieperaccoglienza.it/2018/01/16/vieni-a-vedere-cose-laffido-corso-introduttivo-milano

Corsi in altre sedi www.famiglieperaccoglienza.it/category/news

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AFFIDO CONDIVISO

Separazione dei coniugi: nessuna violazione dolosa se il provvedimento del giudice è troppo generico

Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n.1748, 16 gennaio 2018.

In sede di separazione, due coniugi vedevano disciplinata la frequentazione della figlia minore con un provvedimento del giudice che lasciava al genitore non affidatario, in questo caso il padre, la più amplia possibilità di frequentare la figlia, potendo vederla ogniqualvolta egli lo desiderasse. Questa previsione, che nelle intenzioni del Tribunale doveva probabilmente essere mirante a lasciare che padre e figlia si frequentassero senza limitazione ed in modo libero e pieno, aveva però ingenerato grande confusione nella coppia, ove permaneva alto il tasso di conflittualità.

L’uomo infatti, di lì a breve, aveva convenuto in giudizio la donna, contestandole di non avergli permesso di frequentare la bambina, come da previsione del provvedimento del tribunale di Roma, in alcune occasioni, in particolare nelle vacanze estive e pasquali, e ne aveva chiesto la condanna ed il risarcimento del danno ex art 388 co 2 c.p. La donna però, condannata nei primi due gradi di giudizio per il reato di violazione dolosa di provvedimento del giudice, riusciva a dimostrare di non aver mai volontariamente impedito la frequentazione fra padre e figlia, ma che il provvedimento del giudice di prime cure la costringeva ad una condotta realisticamente impossibile da mantenere.

Di fatto, detto provvedimento aveva portato l’ex marito alla controversa conclusione che la figlia poteva essere a sua disposizione per ventiquattro ore al giorno. La vaghezza e la genericità del provvedimento del Presidente del Tribunale di Roma, avevano, se possibile, ancora più inasprito i rapporti fra i due genitori, a scapito della minore, soggetto fragile e conteso, senza alcuna possibilità di difesa.

Ma la Cassazione, accogliendo le difese della donna, ha ritenuto non sussistente il reato in questione, ritenendo che lo stesso si configuri “solo quando da parte del coniuge affidatario ci sia una precisa volontà di non far vedere il figlio all’altra parte”, in questo caso non risultata ad evidenza dalle condotte esaminate. Per il reato ex art. 388 c.p. deve sussistere, quindi, un vero e proprio intento di eludere l’obbligo imposto dal giudice. La Corte ha evidenziato come, invece, fosse da censurare il provvedimento del tribunale, e non la condotta della donna, indicando sostanzialmente che il ragionamento probatorio compiuto dalla Corte di merito fosse viziato nella tenuta e che la sentenza dovesse quindi essere annullata con rinvio per un nuovo esame.

La Corte di merito, pertanto, motivando in maniera non sbrigativa, deve ora chiarire i punti indicati e verificare se e in che limiti il comportamento dell’imputata sia sussumibile nell’ambito della fattispecie di reato contestata. Il provvedimento del Presidente del Tribunale nel caso di specie, definito apoditticamente dalla Suprema Corte come “vuoto e generico” aveva avuto come conseguenza diretta che “l’imputata, per non rischiare di commettere suo malgrado il reato ascrittole, avrebbe dovuto essere a disposizione dell’arbitrio dell’ex marito, ogni momento ed ogni giorno, senza potersi mai allontanare da casa, neppure per esigenze contingenti della figlia, come un ricovero in ospedale.”

Francesca Zadnik Newsletter Giuridica Studio Cataldi 16 gennaio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/28897-separazione-dei-coniugi-per-la-cassazione-nessuna-violazione-dolosa-se-il-provvedimento-del-giudice-e-troppo-generico.asp

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ASSEGNO DIVORZILE

Niente assegno di divorzio se l’ex coniuge si può mantenere

Tribunale Roma, Sezione 1 civile, Sentenza n. 18063, 26 settembre 2017

La moglie deve essere mantenuta? Assegno di divorzio negato a chi ha già un lavoro e va a vivere a casa degli ex genitori.

Non c’è più ragione di mantenere chi può farlo da sé. Dopo il divorzio si recide ogni legame tra i coniugi: per cui nessun mantenimento è più dovuto, salvo situazioni eccezionali di incapacità economica incolpevole, quando cioè non si ha più l’età o la salute per reimpiegarsi nel mondo del lavoro. Non basta neanche essere disoccupati per pretendere il mantenimento se il richiedente è ancora giovane e non presenta inabilità al lavoro: a lui spetta dimostrare di non aver potuto trovare un impiego per rendersi autosufficiente

Sono questi i principi sposati dal tribunale di Roma che non solo ha recepito, in materia di divorzio, il nuovo orientamento della Cassazione inaugurato il 10 maggio 2017 con la famosa sentenza “Grilli”, ma è anche andata oltre, estendendolo anche ai casi di separazione. Il tutto viene ribadito in una sentenza recente del Tribunale di Roma con cui viene affermato a chiare lettere: niente assegno di divorzio se l’ex coniuge si può mantenere.

La moglie deve essere mantenuta? La risposta dipende da alcuni (pochi, in realtà) fattori di cui parleremo a breve. Di certo il mantenimento non è più scontato come un tempo in cui, alla donna che lasciava il marito (o che veniva lasciata), era sempre dovuto un assegno salvo che si fosse resa colpevole della rottura del matrimonio (tradendo o abbandonando il marito). Oggi le cose vanno pressappoco nel seguente modo.

Mantenimento dopo la separazione. Nel periodo intermedio che va tra la separazione e il divorzio, la Cassazione ha preferito lasciare le cose com’erano un tempo. Affinché il coniuge con un reddito più basso non si trovi, dalla sera alla mattina, senza possibilità di mantenersi e organizzare il proprio nuovo futuro, il coniuge col reddito più alto deve versargli un mantenimento tale da garantirgli lo stesso tenore di vita di cui godeva quando ancora conviveva col primo. In pratica, i due redditi prima si sommano tra loro e poi si dividono tra marito e moglie, detratte le spese (criterio molto approssimativo ma che rende l’idea di come, sostanzialmente, lo scopo sia quello di colmare la sproporzione economica).

L’obbligo di versare il mantenimento andando a togliere al marito la parte di ricchezza che ha “in più” rispetto alla moglie resta però per un tempo limitato, ossia solo fino a quando i due non procedono al divorzio. Divorzio che può essere chiesto al più entro un anno dalla separazione se questa avviene in via giudiziale (ossia con una causa); invece se la separazione avviene con un accordo, il divorzio si può chiedere già dopo sei mesi.

Per inciso: il tribunale di Roma non ha condiviso questa posizione della Cassazione e ha stabilito che anche con la separazione non è più necessario garantire lo stesso tenore di vita, ma semplicemente l’autosufficienza economica, ossia l’indispensabile per vivere. Corte Appello Roma decreto 5 dicembre 2017

www.laleggepertutti.it/191493_abolito-anche-lassegno-di-mantenimento-dopo-la-separazione

Mantenimento dopo il divorzio. Regole completamente diverse valgono quando la coppia divorzia. Qui lo scopo del mantenimento (o meglio detto «assegno di divorzio») non è più quello di garantire lo stesso tenore di vita, ma solo l’indipendenza economica o, per dirla con le parole della cassazione, l’autosufficienza. L’ex che riesce a mantenersi da solo o che, pur potendo farlo non vi provvede, non ha diritto all’assegno. Cosa significa in pratica? Che non può chiedere il mantenimento:

  • L’ex che ha già un reddito adeguato alle esigenze primarie di vita, tale cioè da renderlo autonomo e autosufficiente: questo reddito viene valutato in base alle condizioni economiche medie della zona in cui vive. Secondo il Tribunale di Milano corrisponde a mille euro al mese [ordinanza del 22.05.20173]. Ciò significa che chi guadagna questa cifra (o una superiore) non ha diritto al mantenimento; chi ne guadagna una inferiore, ha diritto a un contributo nei limiti delle possibilità economiche dell’ex coniuge fino a garantirgli tendenzialmente l’autosufficienza;

  • L’ex disoccupato se è ancora giovane, in salute e non dimostra di essersi adoperato per cercare un lavoro ma non lo ha trovato.

Invece, la condizione tipica per chiedere il mantenimento è quella dell’ex coniuge – di solito la moglie – che, dopo essersi occupata una vita della casa e aver così rinunciato alla carriera, si trova sola a cinquant’anni e non più in grado di trovare un lavoro (visto che a quell’età è più difficile rimediare un impiego).

Come deve essere il mantenimento dei figli? Per quanto invece riguarda il mantenimento dei figli, nulla è cambiato rispetto al passato. A questi spetta il diritto di essere mantenuti non solo fino ai 18 anni ma fino all’indipendenza economica (che vuol dire non un semplice lavoro occasionale, ma stabilità seppur non ricchezza), e tenendo comunque conto dello stesso tenore di vita che avevano quando ancora vivevano coi genitori o quando padre e madre erano uniti.

Un esempio concreto. Il caso deciso dalla sentenza in commento rende l’idea di quella che può essere una possibile situazione in cui l’assegno di divorzio viene negato. La signora, laureata, oltre a percepire un reddito da lavoro dipendente, viveva nella casa di proprietà della madre e godeva di alcune rendite. Ella, dunque, come marcato dal legale del marito, aveva i mezzi adeguati per potersi mantenere da sé. La coniuge si difende sostenendo di essere onerata da spese mediche necessitate dal suo stato di salute e che, comunque, le rendite erano destinate ai bisogni dell’anziana madre.

Il divorzio estingue definitivamente ogni rapporto tra i coniugi, anche patrimoniale. L’assegno, perciò, siccome di natura assistenziale, spetta solo al divorziato privo dei mezzi sufficienti a vivere (non a conservare il precedente tenore di vita) o che non possa procurarseli per motivi legati all’età, alla salute o al mercato lavorativo.

Così, nel decidere sul diritto all’assegno, il giudice deve verificare: la mancanza di risorse adeguate o l’impossibilità di assicurarsele per motivi oggettivi con riferimento – è questa la svolta della Grilli – al criterio dell’indipendenza o autosufficienza economica, desunta dai precisi indici: possesso di redditi o cespiti; capacità e possibilità effettive di lavoro; stabile disponibilità di un’abitazione. Secondo il Tribunale di Milano l’indipendenza economica consiste nella «capacità per una persona adulta e sana, tenuto conto del contesto sociale di inserimento, di provvedere al proprio sostentamento, inteso come capacità di avere risorse sufficienti per le spese essenziali». Il tutto pari a circa mille euro al mese (il limite di reddito che consente l’accesso al patrocinio a spese dello Stato).

L’assegno di divorzio, in buona sostanza, va negato al divorziato autonomo o in grado di esserlo.

Redazione Le legge per tutti 22 gennaio 2018 sentenza

www.laleggepertutti.it/192192_niente-assegno-di-divorzio-se-lex-coniuge-si-puo-mantenere

 

Matrimonio, vera comunione di vita ed interessi e autoresponsabilità.

Tribunale di Treviso, 9 gennaio 2018

In un giudizio di modifica delle condizioni di divorzio, si può rivedere il diritto all’assegno divorzile non solo a fronte dei mutamenti delle circostanze della fattispecie, ma anche alla luce dello ius superveniens (il nuovo orientamento della Cassazione, sentenza 11504/2017).

L’effettiva contrazione dei redditi dell’obbligato costituisce motivo di riduzione della misura dell’assegno. Tuttavia, in ordine alla persistenza o meno di un contributo economico in un caso di durata quasi trentennale del matrimonio, nel corso della quale i coniugi hanno costruito un patrimonio comune contando sul connubio tra le reciproche capacità reddituali, occorre considerare anche la necessità di far fronte alle spese per la conservazione del patrimonio comune.

Occorre assicurare al coniuge più debole un’adeguata perequazione, in una prospettiva attuativa del valore di parità, non potendosi assumere il parametro di indipendenza economica solo in senso oggettivo ed astratto, ma dovendolo calare nella realtà effettiva del caso di specie.

Il tribunale trevigiano si spinge poi ad un giudizio prognostico, dichiarando verosimile che all’esito del procedimento divisionale del patrimonio fra i coniugi, la beneficiaria dell’assegno potrà essere considerata in grado di mantenersi autonomamente.

Osservatorio sul diritto di famiglia 27 gennaio 2018

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17507304/matrimonio,-vera-comunione-di-vita-ed-interessi-e-autoresponsabilit%C3%A0.-tribunale-.html

 

Divorzio: come e quando si può chiedere la revoca dell’assegno

Quando vengono meno i presupposti per la conservazione dell’assegno di divorzio secondo la legge e la giurisprudenza. L’assegno di divorzio può essere revocato nel momento in cui vengono meno determinati presupposti per la sua conservazione. Ai motivi di estinzione automatica dell’assegno di divorzio previsti dalla legge se ne affiancano altri, frutto di una lunga e ormai consolidata elaborazione giurisprudenziale.

Come si chiede la revoca dell’assegno di divorzio. A parte i casi in cui la revoca avviene automaticamente, se il soggetto obbligato desidera agire per ottenere la revoca dell’assegno di divorzio, deve dimostrare che sussistono giustificati motivi a supporto della sua domanda. In questo caso egli ha due possibilità:

  1. Se il soggetto beneficiario si oppone alla revoca, l’unica strada da percorrere è quella giudiziale. Il coniuge obbligato dovrà quindi intraprendere una causa in cui dovrà dimostrare documentamene che dopo la sentenza che ha riconosciuto l’assegno, si sono verificati dei mutamenti che non giustificano più la corresponsione dello stesso;

  2. Se invece il coniuge beneficiario non fa alcuna resistenza alla revoca, non ci sono figli minorenni o maggiorenni non autonomi e non si devono affrontare trasferimenti patrimoniali allora le parti potranno semplicemente recarsi in Comune e chiedere la revoca dell’assegno.

Come ribadito di recente dalla Cassazione nella pronuncia n. 15481/2017, al fine di disporre la revoca dell’assegno di divorzio “i relativi accertamenti vanno compiuti, appunto, sulla base delle pertinenti allegazioni deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’altro ex coniuge”.

Inoltre, come precisato dalla Cassazione n. 4292/2017: “In tema di determinazione dell’assegno di mantenimento in sede di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, l’esercizio del potere del giudice che, ai sensi dell’art. 5, comma 9, della legge n. 898 del 1970, può disporre – d’ufficio o su istanza di parte – indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova; l’esercizio di tale potere discrezionale non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorio” già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova; tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi, sicché la relativa istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge tenuto al predetto mantenimento devono basarsi su fatti specifici e circostanziati”.

La corresponsione dell’assegno di divorzio, secondo la legge 898/1970 cessa automaticamente:

  1. Se il beneficiario passa a nuove nozze (art. 5 comma 10);

  2. Se si verifica il decesso del coniuge obbligato o del beneficiario.

L’art. 9 della Legge n. 898/1970 prevede inoltre che la revoca dell’assegno di divorzio può essere richiesta dall’obbligato e dal beneficiario se dopo la sentenza di divorzio, sopravvengono giustificati motivi che vanno a modificare le condizioni economiche delle parti. La domanda con cui si chiede la revoca o la modifica dell’assegno di divorzio deve quindi essere supportata da giustificati motivi sopravvenuti. Devono essersi cioè verificati mutamenti importanti nelle condizioni personali o economiche di uno o di entrambi gli ex coniugi, dopo la sentenza che ha riconosciuto il diritto all’assegno. www.studiocataldi.it/guide_legali/divorzi

Assegno divorzio: i giustificati motivi sopravvenuti che possono condurre alla revoca.

  • Se la legge sul divorzio prevede che il passaggio a nuove nozze rappresenta uno dei motivi di cessazione automatica dell’assegno di divorzio, la giurisprudenza, dando rilievo al nuovo modello della famiglia di fatto, ritiene che anche la nuova convivenza dell’ex coniuge beneficiario, purché caratterizzata da stabilità e durevolezza (non necessariamente da intimità come precisato dall’ordinanza n. 6009/2017 della Cassazione) rappresenti un giustificato motivo per chiedere la revoca dell’assegno di divorzio. In questo modo la convivenza di fatto viene parificata alla famiglia fondata sul matrimonio, in quanto frutto di una scelta consapevole, che acquista maggior valore se viene arricchita dalla presenza di figli. Ai fini della revoca, non rilevano i problemi economici dei nuovi conviventi, poiché verrebbe meno la coerenza dell’interpretazione giurisprudenziale menzionata. Come precisato dalla Cassazione, con sentenza 19345/2016 inoltre, la nuova convivenza dell’ex coniuge beneficiario dopo il divorzio, determina il venir meno della solidarietà post matrimoniale gravante sul coniuge obbligato, anche se il nuovo compagno non è in grado di provvedere alle necessità della ex beneficiaria dell’assegno perché dichiarato fallito (Cassazione ordinanza n. 12879/2017). Spetta però a chi chiede la revoca dell’assegno: “la dimostrazione dell’instaurazione da parte del coniuge beneficiario di un nuovo rapporto familiare che assuma i connotati di famiglia di fatto spetta, in linea di principio, al coniuge onerato, come fatto estintivo del diritto all’assegno divorzile”. Per cui se il soggetto obbligato non adempie a tale onere probatorio, il diritto della ex moglie all’assegno divorzile non viene meno (Cassazione n. 25074/2017).

  • Dalla perdita del lavoro o riduzione dell’orario: lo sostiene la Cassazione civile nella sentenza n. 5378/2006. Ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 898 del 1970 la sopravvenuta diminuzione dei redditi derivanti dallo svolgimento di attività lavorativa costituisce giustificato motivo di riduzione o soppressione dell’assegno, anche se l’alterazione dell’equilibrio economico delle parti rispetto alla pronuncia di divorzio dipende da una libera scelta dell’obbligato che opti per un part-time o accetti un lavoro a tempo determinato.

  • Dal sopravvenuto pensionamento del coniuge obbligato: la Cassazione, nella sentenza n. 8754/2011 evidenzia come la pensione debba essere considerata un evento destinato a verificarsi nella vita del coniuge obbligato a corrispondere l’assegno di divorzio. La pensione rientra quindi nelle circostanze sopravvenute idonee a mutare in peggio le condizioni economiche e giustificato motivo per la richiesta di riduzione o di revoca dell’assegno di divorzio. Sullo stesso filone interpretativo si sono mosse anche le ordinanze della Cassazione n. 2435/2015 e n. 4263/2015.

  • Dalla nascita di un figlio del soggetto obbligato all’assegno: la Cassazione nella sentenza 2959/2017 ha stabilito che la nascita ed il mantenimento di un nuovo figlio nato da una successiva unione familiare, con conseguente diminuzione dei redditi del soggetto obbligato, possono giustificare la revoca dell’assegno divorzile in favore della ex moglie.

  • Dal peggioramento delle condizioni di salute del coniuge obbligato: la Corte di Cassazione, con sentenza n. 927/2014 ha confermato che il sopravvenire di una malattia o il peggioramento di una patologia in atto hanno sicuramente importanti conseguenze sulla capacità del soggetto obbligato a corrispondere l’assegno di divorzio, sia perché viene meno o comunque si riduce la capacità di produrre reddito, sia per le spese mediche che deve affrontare.

Assegno divorzio: giustificati motivi sopravvenuti che non conducono necessariamente alla revoca

  • La sopravvenuta delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio non comporta anche l’abolizione dell’assegno di mantenimento poiché non travolge gli effetti della sentenza di divorzio. Le pronunce che disciplinano i rapporti soggetti a mutamento dovuti a sopravvenienze, si caratterizzano per un giudicato “rebus sic stantibus”, la cui autorità, intangibilità e stabilità, sono da ritenersi limitate nel tempo. In questi casi infatti non è correttamente configurabile un giudicato, proprio perché è possibile un giudizio di revisione (Cassazione, sentenze n. 11913/2009 e n. 13514/2015).

  • La sopravvenuta immissione in ruolo dall’ex coniuge beneficiario non giustifica la revoca dell’assegno di divorzio se la nuova qualifica non produce un rilevante incremento del suo reddito. Questo quanto statuito dall’ordinanza n. 16952/2014:”La Corte (…) condivide la relazione rilevando che la Corte di appello non ha voluto svalutare immotivatamente il fatto sopravvenuto della immissione in ruolo della prof. M., ma ha rilevato che tale elemento di fatto (il quale come si è detto si è sovrapposto utilmente per la a una situazione di svolgimento non stabilizzato della professione) non è sufficiente a determinare la modifica delle condizioni economiche del divorzio in relazione alla perdurante sperequazione della situazione reddituale degli ex coniugi e alla non rilevante entità dell’assegno divorzile e del contributo al mantenimento della figlia.”

  • La Cassazione con la sentenza n. 28994/17 ha precisato che l’assegno di divorzio non può essere revocato se il soggetto beneficiario, nel caso di specie una donna ultrasessantenne, con una pensione di € 400,00 e solo una casa di proprietà, non ha la possibilità, per età, di inserirsi lavorativamente e quindi procurarsi il denaro che le occorre per essere autonoma.

Da quando decorre la revoca dell’assegno di divorzio? A questa domanda ha risposto di recente la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 30257 del 15/12/2017, la quale ha precisato che l’accertamento dell’insussistenza del diritto all’assegno divorzile produce i suoi effetti dal passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento del matrimonio, poiché è in questo momento che si verifica il presupposto di fatto per il suo riconoscimento.

Annamaria Villafrate Studio Cataldi 26 gennaio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/28972-come-e-quando-si-puo-chiedere-la-revoca-dell-assegno-di-divorzio.asp

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 3, 31 gennaio 2018

  • Rapporto Cisf 2017 – Roma 25 gennaio 2018. La presentazione del Rapporto Cisf è stata una stimolante occasione di confronto tra numerosi operatori del settore, tutti convergenti sulla necessità di approfondire il tema, davanti ad una rivoluzione di cui siamo solo agli inizi

http://cisf.famigliacristiana.it/cisf/cisf-news/articoloCISF/rapporto-cisf-2017-presentato-a-roma—rassegna-stampa.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_31_01_2018

Il Rapporto Cisf 2017 è anche una miniera di tabelle e dati, nuovi e articolati, in una forma grafica sintetizzata e semplice. https://infogram.com/le-relazioni-familiari-nellera-delle-reti-digitali-1h0n25zp79rz2pe

Il Rapporto Cisf può essere ordinato online con lo sconto promozionale del 15%

www.sanpaolostore.it/relazioni-familiari-nell-era-delle-reti-digitali-nuovo-rapporto-cisf-2017-9788892213289.aspx?Referral=newsletter_cisf_20180131

  • Chancing partnerships patterns, housing and new social vulnerabilities (Cambiamenti dei modelli di coppia, condizione abitativa e nuove vulnerabilità sociali). Una sintetica descrizione di un interessante analisi socio-demografica, concentrata soprattutto nel Regno Unito ma rilevante anche in altre nazioni (e sicuramente nel nostro Paese), che mette a tema la vulnerabilità abitativa (e non solo) a seguito di separazioni/frammentazioni delle famiglie, avanzando anche alcune proposte di social housing. http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0318_allegato1.pdf

  • Forum famiglie. Patto per la natalità. Roma, 6 gennaio 2018. Perché le donne non siano più costrette a rinunciare alla maternità

http://www.forumfamiglie.org/2018/01/17/un-patto-per-la-natalita-2

www.forumfamiglie.org/2018/01/26/pattoxnatalita-perche-le-donne-non-siano-piu-costrette-a-rinunciare-alla-maternita

  • Accogliere la vita per generare speranza. Il Cisf (F. Belletti) interverrà il 3 febbraio 2018 ad un evento formativo sul tema, promosso da Caritas Ambrosiana, da Sportello Anania e dall’Arcidiocesi di Milano in occasione della Giornata per la Vita, con una relazione su “Famiglie accoglienti: spazi di protagonismo per un welfare generativo”.

www.caritasambrosiana.it/Public/userfiles/files/convegno%20anania%20%20febbraio_2018%20light.pdf

  • Il CISF al festival della vita – Caserta e Pietravairano. In occasione dell’Ottava Edizione del Festival della Vita (Vivere è.. Raccontare), una settimana di eventi, incontri e feste a Caserta e dintorni, promosso dal locale Centro Culturale San Paolo, il Cisf ha presenziato a due incontri, con due relazioni del direttore Cisf (F. Belletti) incentrate sul tema del recente Rapporto Cisf 2017 (quale posto occupano i media digitali nelle relazioni familiari Il Festival prosegue fino a domenica 4 febbraio (Giornata della Vita), ma anche nei mesi successivi sono previsti altri incontri collegati, in diverse città del territorio.

  • Dalle Case editrici.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0318_allegatolibri.pdf

  • Palmieri Gaspare, Grassilli Cristian, La neuropsichiatria infantile. Manuale cantato di psicopatologia dell’età evolutiva, La meridiana, Molfetta (BA), 2017, pp. 173, € 28,00. Musica e canzone rappresentano in questo volume un modo caldo, empatico e sufficientemente “leggero” per affrontare i disturbi psichici dell’età evolutiva […]. Attualmente, il 15-20% della popolazione tra 0 e 18 anni manifesta un qualche tipo di difficoltà di carattere e di questi solo il 10-15% viene preso in cura da servizi, pubblici o privati, mentre il restante rimane impigliato in vario modo nella condizione psicopatologica. […] Tutto ciò rende evidente quanto sia importante dar voce all’infanzia e alla sofferenza infantile. Ecco allora l’obiettivo di questo volume, con CD musicale allegato: mettere al centro dell’attenzione – non solo degli specialisti, ma anche del lettore/ascoltatore comune – il tema dell’infanzia e delle possibili forme di sofferenze infantile, con la loro ricca, variegata e talora sorprendente espressività sintomatologica:

  • Save the date

www.diocesi.brescia.it/main/uffici-pastorali/evangelizzazione-e-educazione/ufficio-per-la-famiglia/giornata-per-la-vita/giornata-nazionale-per-la-vita-tavola-rotonda-3-febbraio

www.istitutogp2.it/public/VP-2018-Depliant%20(2018.01.11)%20DEFINITIVO.pdf

www.universitas-university.org/System/files/Universitas/Incontri/Convegni/volantino_2018.pdf

www.keynote.cz/aging-workforce-older-workers-and-immigrants-as-new-pillars-of-western-economies/event/40

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http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/gennaio2018/5063/index.html

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CENTRO ITALIANO SESSUOLOGIA

Costituiti gli organi sociali

Il Consiglio Direttivo, eletto nell’Assemblea dei Soci tenutasi lo scorso 9 novembre 2017 in Bologna presso la sede del XXX Congresso CIS, ha proceduto alla Costituzione degli incarichi.

Consiglio direttivo

Presidente Maria Cristina Florini, vicepresidente Antonio La Torre, segretario generale Gabriella Rifelli, tesoriere Giada Mondini, consiglieri Margherita Graglia, Walter La Gatta, Alba Mirabile, Marta Panzeri, Gennaro Scione.

Collegio dei Probiviri, elettoil 9 novembre 2017

Rosanna Intini, Stefano Lepore, Piergiovanni Rocchi.

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CHIESA CATTOLICA

La Chiesa e le sfide della famiglia, il Papa: “Un cammino da Gaudium et Spes ad Amoris lætitia”

Lettera al gran cancelliere Paglia in occasione della inaugurazione presso l’Istituto Giovanni Paolo II della nuova cattedra che prende il nome della costituzione conciliare. C’è un lungo filo rosso che lega la Gaudium et Spes, la costituzione apostolica attraverso la quale i Padri del Concilio hanno saputo «esprimere una comprensione profondamente rinnovata del Vangelo della famiglia», alla esortazione Amoris lætitia, frutto di due intense e dibattute stagioni sinodali, ed è l’attenzione della Chiesa alla famiglia, alla sua vocazione, alle sue sfide nella contemporaneità.

La cattedra inaugurata oggi presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II, che prende proprio il nome della quarta costituzione promulgata da Paolo VI, diviene quindi l’emblema di questa «peculiare missione accademica rivolta al matrimonio e alla famiglia», realtà umane che «vennero messe dai Padri conciliari al primo posto tra i problemi contemporanei particolarmente urgenti». Francesco lo scrive in una lettera rivolta a monsignor Vincenzo Paglia, Gran cancelliere dell’Istituto voluto e fondato da Papa Wojtyla nel 1981, e “rifondato” dallo stesso Bergoglio con un Motu proprio del settembre 2017 con il quale ne ha ampliato il campo d’azione.

www.lastampa.it/2017/09/19/vaticaninsider/ita/vaticano/il-papa-rifonda-listituto-su-matrimonio-e-famiglia-voluto-da-wojtyla-d1WSnQyIBTRkDnYApnDiMI/pagina.html

L’impegno di riflessione e di formazione legato a questo nuovo corso è «una conquista e una promessa per il vostro Istituto, e potrà andare a beneficio di tutta la Chiesa e anche della società civile», sottolinea il Pontefice. Che si dice «fiducioso» nel fatto che la cattedra inaugurata oggi potrà «far sì che il vostro Istituto sia in prima linea di fronte alle nuove sfide pastorali».

Sfide nuove quanto numerose che oggi interpellano la Chiesa: «La straordinaria rilevanza antropologica e sociale che oggi assume l’alleanza dell’uomo e della donna, in ordine all’apertura di un nuovo orizzonte per la convivenza umana nel suo complesso, esalta la sua originaria vocazione a farsi interprete della benedizione di Dio per l’intera creazione», afferma infatti il Pontefice.

Che conclude esortando, ancora una volta, a «generare luoghi di incontro e dialogo nei quali sperimentare quanto la comunità ecclesiale sia capace di dare carne e sangue alle parole con cui il Vaticano II ha voluto esprimere il suo sguardo agli uomini del proprio tempo». Alle loro «gioie» e alle loro «speranze», alle «tristezze» e alle «angosce», soprattutto «dei poveri» e di «tutti coloro che soffrono». Esse, rimarca il Papa, «sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo. Nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2018/documents/papa-francesco_20180125_lettera-mons-paglia.html

Salvatore Cernuzio La Stampa Vatican Insider 25 gennaio 2018

www.lastampa.it/2018/01/25/vaticaninsider/ita/vaticano/la-chiesa-e-le-sfide-della-famiglia-il-papa-un-percorso-che-va-da-gaudium-et-spes-ad-amoris-laetitia-2ds5prFzkMV9A6CsqzUaDI/pagina.html

 

In «Gaudium et spes» si rivela l’essenza del Concilio Vaticano II

Pubblichiamo ampi stralci della lectio magistralis che sarà tenuta da padre John O’Malley, oggi all’inaugurazione della Cattedra “Gaudium et spes” del Pontificio Istituto teologico “Giovanni Paolo II” per le Scienze del matrimonio e della famiglia. Il gesuita, docente alla Georgetown University di Washington (D.C), interverrà sul tema: “Attualità della Gaudium et spes a 50 anni dal Concilio Vaticano II”.

 

Possiamo considerare Gaudium et spes come il documento che rivela davvero l’essenza del Vaticano II. Significativa a tale riguardo è la facilità con cui il Concilio accettò l’idea di un simile documento quando il cardinale Léon-Joseph Suenensil 4 dicembre 1962 lo propose esplicitamente per la prima volta. Sicuramente i Padri del Concilio videro nella proposta di Suenens l’ufficializzazione del “Messaggio al mondo” reso noto i primi giorni dei lavori. (…) I segni dei tempi richiedono di guardare al mondo e alle sue necessità reali, dunque al mondo realmente esistente e di essere realistici respirando la stessa aria dei nostri contemporanei. È necessario scendere dai ghiacciai dell’astrazione per rispondere alle necessità reali delle vite umane. Tale preoccupazione ha animato i due recenti Sinodi sulla famiglia, come si evince nell’Esortazione apostolica il Papa: “Un cammino da Gaudium et Spes ad Amoris lætitia.

Come noto, i Sinodi e l’Esortazione sono di impulso per la attuale nuova fase di vita dell’Istituto Giovanni Paolo II. (…) Gaudium et spes ha spostato l’attenzione su tali tematiche dai margini al centro del Magistero della Chiesa. È un tema di grandissimo significato. Gaudium et spes è un documento di solito considerato pastorale ma è allo stesso tempo un testo dottrinale. Non dovremmo sorprenderci visto che la Dei

Verbum insegna che la Rivelazione consiste in verità utili «a far sì che il popolo di Dio viva la sua vita in santità e aumenti la sua fede» (n.8). In altre parole Dio ha rivelato verità pastorali.

Gaudium et Spes è della stessa importanza delle altre Costituzioni in quanto a numero ed importanza delle verità che trasmette. Tra queste verità, la più pertinente per la nuova cattedra che inauguriamo oggi è l’insegnamento che il matrimonio è «un’intima condivisione di vita e amore» (intima communitas vitae et amoris, n.48), una definizione del matrimonio mai trovata in documenti di così alto livello. Il documento più in generale illustra la dignità del matrimonio e la bellezza della vocazione della vita coniugale.

Inoltre Gaudium et spes insegna che mentre la Chiesa ha la responsabilità di proclamare il Vangelo, deve mettere se stessa al servizio della comunità umana proprio per ottemperare al dettato evangelico. In altre parole la Chiesa ha una responsabilità nel benessere del cosiddetto ordine temporale.

Il documento insegna che la Chiesa deve per definizione preoccuparsi della giustizia sociale, delle atrocità delle guerre, deve favorire pace e progresso di ogni aspetto della cultura umana. Insegna che i cattolici devono lavorare con gli altri nel favorire questi risultati, anche se gli altri sono non-credenti. Ed insegna che come la Chiesa porta del bene al mondo, così il mondo fa del bene alla Chiesa. La Chiesa deve ascoltare il mondo ed imparare da esso, un insegnamento importante e senza precedenti anche se, ancora una volta, è semplicemente un riconoscimento di un dato di fatto incontrovertibile.

Questi non sono insegnamenti banali. Sono insegnamenti pastorali e pertanto si tratta di veri insegnamenti cristiani. Sono insegnamenti «per far crescere il popolo di Dio in santità e nella crescita della fede». Gaudium et spes insegna molte altre cose, ma per la nostra nuova cattedra il capitolo sulla ‘Dignità della Famiglia e del Matrimonio‘ avrà sempre un posto speciale. È il primo capitolo della seconda parte di Gaudium et spes, che termina illustrando “Alcuni dei problemi più urgenti” del mondo in cui viviamo. La famiglia ed il matrimonio hanno un posto d’onore nella Gaudium et spes.

Gaudium et spes insegna e proclama sia la dignità della famiglia e del matrimonio sia la dignità della coscienza morale, quel «nucleo segreto e santuario della persona umana, il luogo in cui ognuno è a contatto la voce di Dio nel profondo dell’animo». Così Gaudium et spes insegna e proclama al di sopra di tutto la dignità della persona umana.

La nuova forma letteraria adottata dal Concilio ha liberato la Chiesa riunita in assise dalle costrizioni del paradigma giuridico-legislativo, facendola riflettere maggiormente sulla sua identità, articolando più efficacemente i suoi più alti e preziosi valori, proclamando al mondo in termini più chiari ed efficaci la propria visione del sublime destino dell’umanità. Nel massacrante lavoro richiesto per promuovere questa visione, non vi è passaggio nell’intero Concilio che ci illustri in modo più esplicito l’identità della Chiesa e che articoli più chiaramente i suoi valori più profondi delle parole d’inizio di Gaudium et spes.

«Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo». Nessun passaggio cattura meglio la visione della Chiesa che papa san Giovanni XXXIII ha voluto che il Concilio adottasse nella sua allocuzione iniziale: la Chiesa come «la madre amorevole di tutti, benevola, paziente, piena di bontà e misericordia». Se la nuova cattedra fa sua tale visione della Chiesa come sua più profonda ricerca, adempierà al mandato assegnato da Papa Francesco all’Istituto Giovanni Paolo II nella sua lettera apostolica Summa familiae cura: «Dobbiamo essere interpreti consapevoli e appassionati della sapienza della fede in un contesto nel quale gli individui sono meno sostenuti che in passato dalle strutture sociali, nella loro vita affettiva e familiare. Nel limpido proposito di rimanere fedeli all’insegnamento di Cristo, dobbiamo dunque guardare, con intelletto d’amore e con saggio realismo, alla realtà della famiglia, oggi, in tutta la sua complessità, nelle sue luci e nelle sue ombre».

John O’Malley traduzione di Domenica Visalli Avvenire 25 gennaio 2018

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201801/180126omalleyjohn.pdf

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Etiopia. 37 dossier italiani saranno portati a termine

Lo scorso 9 gennaio 2018 il Parlamento dell’Etiopia ha approvato a larga maggioranza una nuova legge che sancisce, di fatto, il blocco delle adozioni internazionali nel paese.

Nel corso di una riunione tenutasi con varie autorità diplomatiche lo scorso 17 gennaio 2018, il Ministro delle Donne e dell’Infanzia, signora Demitu Hambissa, ha assicurato che i dossier che si trovano già all’attenzione delle Corti Regionali o Federali saranno portati a termine ai sensi della normativa federale previgente e che nessun’altro fascicolo verrà preso in considerazione.

In particolare, il Ministro ha fatto riferimento a 37 dossier seguiti dagli enti italiani che potranno essere portati a termine, mentre ha esplicitamente negato questa possibilità per tutte le altre coppie instradate sull’Etiopia.

Comunicato stampa 24 gennaio 2018

www.commissioneadozioni.it/it/notizie/2018/comunicato-etiopia.aspx

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CONSULTORI FAMILIARI

Il consulente etico nei consultori d’ispirazione cristiana

Don Giuseppe Colleo chiarisce il ruolo della figura professionale: «Possiede una formazione teologico-morale continuamente aggiornata, una buona capacità di ascolto, di dialogo, di confronto e di verifica»

Correva l’anno 1975 quando il Parlamento italiano varava la legge 405 istitutiva dei consultori familiarii. Una legge senza dubbio innovativa in quanto, per la prima volta, una legge della Repubblica aveva come destinataria la famiglia nel suo complesso. Nello stesso anno la dodicesima Assemblea nazionale della Conferenza Episcopale Italiana auspicava: «In ogni Diocesi siano promossi, valorizzati e sostenuti consultori familiari professionalmente validi e di sicura ispirazione cristiana». Per amore del vero, la Chiesa da sempre nella sua azione pastorale ha avuto un’attenzione speciale per la famiglia, ma si trattava di incentivare strutture professionali al servizio della famiglia quali, appunto, i consultori familiari.

Ma cosa contraddistingue un consultorio di ispirazione cristiana da un consultorio familiare “laico”? La risposta chiara la troviamo in un documento della Conferenza Episcopale Italiana: «Nell’ambito dell’equipe consultoriale tutti gli operatori sono chiamati a far riferimento ai valori e alla responsabilità di ispirazione cristiana». Non è dunque la preparazione e la competenza qualificata di ciascun operatore nella disciplina professata, competenza che allo stesso modo dovrebbe caratterizzare ogni professionista in qualunque ambito eserciti, ma il dato che gli operatori dei consultori di ispirazione cristiana fanno riferimento al messaggio evangelico e alla dottrina morale secondo il Magistero della Chiesa. È in questa ottica che la presenza del consulente etico, figura non prevista dalla legge 405, è qualificante per tutto il servizio del consultorio.

Chi è dunque il consulente etico? Non è un docente di morale, non è un giudice, non è un confessore, non indottrina e non converte. Il consulente etico è innanzitutto un “consulente” (esperto nella tecnica della consulenza) che possiede una formazione teologico-morale continuamente aggiornata, una buona attitudine al lavoro di équipe, una buona capacità di ascolto, di dialogo, di confronto e di verifica. Autobiograficamente non nasco come consulente etico, ma come sacerdote che, successivamente agli studi accademici teologico-morali, ha conseguito la laurea in psicologia ad indirizzo applicativo e la specializzazione in psicoterapia. Ho iniziato ad interessarmi più a fondo dei problemi etici quando, ancora dipendente di una Asl romana, ho deciso di dedicare parte del mio tempo al volontariato e mi è stato chiesto di far parte dell’équipe del consultorio familiare diocesano “Al Quadraro” non come psicoterapeuta, ma come consulente etico.

Ho iniziato a partecipare a tutte le attività, particolarmente alle riunioni di équipe e di supervisione. Ho cercato di richiamare sempre l’attenzione agli aspetti etici, di sollecitare tale attenzione nella discussione dei vari casi e di badare che nelle iniziative di aggiornamento si desse spazio anche alla dimensione etica. Allo stesso tempo sono stato, e continuo ad esserlo, disponibile a rispondere ai bisogni degli utenti del consultorio, promuovendone la loro crescita, orientandoli e sostenendoli nel processo di discernimento delle varie situazioni.

Le tematiche con cui maggiormente, nel corso degli anni, mi sono confrontato hanno riguardato: genitori in difficoltà nel rapporto con i figli adolescenti ed in particolare la richiesta di sostegno nel comprendere ed accettare le loro scelte sessuali; coppie in crisi coniugale che hanno chiesto anche un supporto e un sostegno etico per affrontare la dimensione “religiosa” nella loro separazione. Non raramente il mio supporto come consulente etico mi è stato richiesto parallelamente al percorso di psicoterapia quando il paziente è venuto a trovarsi in situazioni di conflitto in quanto gli aspetti etici rientravano nella decisione e il chiarirli diventava necessario per superare la difficoltà.

In conclusione posso affermare che, in questa mia ormai non breve esperienza di consulente etico, ho sempre cercato di aiutare le persone fornendo tutti gli elementi necessari per una corretta valutazione dei loro problemi senza mai accettare di sostituirmi alle loro responsabilità decisionali pur incoraggiandole a seguire con determinazione e coerenza la loro coscienza ben informata.

Don Giuseppe Colleo Consultorio diocesano Al Quadraro-Roma 26 gennaio 2018

http://www.romasette.it/consulente-etico-nei-consultori-dispirazione-cristiana

 

Rassegna stampa.

Confederazione Italiana dei Consultori familiari di Ispirazione Cristiana

Il Forum nazionale delle famiglie, in vista delle prossime elezioni politiche in Italia, lancia il «Patto per la natalità». «Il compito che sentiamo nostro in questa campagna elettorale è da un lato quello di fare la tara a ogni proposta fatta, in modo da distinguere sogni e realtà, dall’altro quello di incalzare perché il giorno dopo il 4 marzo 2018 accada qualcosa di concreto nel fisco italiano e nella cultura di questo Paese», spiega Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari.

«Le premesse – insiste – vanno messe oggi: a tutti proponiamo un documento chiaro e semplice, lo abbiamo chiamato Patto per la natalità, che impegna ciascuno a operare, dal giorno successivo al voto, perché l’intero sistema del fisco e dei servizi sia un invito a fare figli». E il presidente del Forum indica una strada possibile. «Si tratta di un patto che è innanzitutto un promemoria ai leader dei partiti in Italia. Segretari e presidenti di partito, ricordate i commenti che voi stessi fate quando l’Istat, ogni anno, ci comunica che il numero dei morti supera in maniera netta quello dei nuovi nati? Ricordate i paroloni che voi stessi usate nei convegni per spiegare che senza neonati il Paese implode da ogni punto di vista? Siamo già in ritardo di venti anni, non cerchiamo altre scuse…».

Un patto poi che serva a prevenire che la mole di proposte sulla famiglia finisca nel nulla. «Lavoriamo ora – sottolinea De Palo – che il clima ancora non è rovente. Facciamo in modo che i leader, solitamente litigiosi su tutto, sulla famiglia trovino un punto di caduta comune. Nessuno deve più strattonare la famiglia in modo ideologico e strumentale. Tutti, invece, se le vogliono bene devono mostrarlo sostenendola concretamente con una riforma strutturale del fisco, dei servizi, delle condizioni bancarie, dei contratti di lavoro… Per anni la natalità è stata un tabù perché intersecava questioni incomprensibilmente divisive: il ruolo della donna, la maternità, il matrimonio, l’immigrazione. Ora però che siamo sull’orlo del precipizio ci vuole uno scatto di concretezza e realismo.

Da dove si parte? Per De Palo «Ci vuole una misura unica, chiara, forte, che contenga un messaggio: questo Paese premia chi fa figli facendogli pagare meno tasse. O si agisce sull’Irpef e sulla no-tax area, come propone il “fattore famiglia” che da tempo il Forum cerca di far conoscere. O si ragiona su una misura di assegno universale sostanziosa e collegata al numero di figli. Io penso che su uno di questi provvedimenti possa raccogliersi il 99,9 per cento del Parlamento italiano: questo è il senso del Patto per la natalità. Poi intorno ci possono essere interventi specifici su nidi o altri aspetti della vita familiare. La metafora potrebbe essere questa: sino ad ora si è scelto l’arredo senza avere la casa, ora ripartiamo dai pilastri.

La famiglia produce benessere e ricchezza per tutti; partiamo da questa evidenza, riconosciamo alla famiglia, ma dobbiamo riconoscerlo tutti, non solo Forum e politica, ma anche imprese, banche, società civile». E ribadisce infine che «puntando sulla famiglia si investe, la società investe. Facciamo evolvere le politiche per la famiglia in politiche anche economiche, di sviluppo e di crescita. Per questo, da tempo, lavoriamo con le banche per il microcredito legato a eventi familiari come la nascita di un bimbo, l’acquisto della stanzetta o di una macchina più grande… Con i sindacati e le imprese ci unisce il tema della conciliazione casa-lavoro per le donne e non solo».

G. Bosoni rassegna stampa 26 gennaio 2018

http://cfc-italia.it/cfc/index.php/2-non-categorizzato/420-il-forum-nazionale-delle-famiglie-lancia-pattoxnatalita

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Pescara. Tirocini per l’Università degli Studi di Aquila.

Il Dipartimento di Scienze cliniche applicate e biotecnologiche, area di psicologia prevede il Tirocinio pre laurea presso Consultorio Familiare UCIPEM – Amici del Consultorio Onlus – Pescara –

Avviso 15 gennaio 2018

http://discab.univaq.it/index.php?id=2321&tx_avvisi_pi1%5BshowUid%5D=16241&cHash=19be5c2b872d7362b850e8ca91b21b06

L’Ufficio per la Pastorale della Famiglia e della Vita della diocesi di Macerata propone un incontro con le famiglie, dal titolo Toccati da Gesù. Domenica 28 gennaio, alle 15,30, nell’Aula Sinodale di via Cincinelli, a Macerata, intervento di don Cristiano Marcucci, direttore del consultorio familiare UCIPEM di Pescara. www.radionuova.com/2018/01/27/incontro-con-le-famglie

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DALLA NAVATA

IV Domenica del tempo ordinario- Anno B –28 gennaio 2018

Deuteronòmio 18,15 Mosè parlò al popolo dicendo: «Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto».

Salmo 95, 07 Se ascoltaste oggi la sua voce!

1Corinzi 07, 35 Questo lo dico per il vostro bene: non per gettarvi un laccio, ma perché vi comportiate degnamente e restiate fedeli al Signore, senza deviazioni.

Marco 01, 22 Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.

 

La giornata di Cafarnao. Commento di Enzo Bianchi, priore emerito nel convento di Bose (BI)

Pannello del soffitto dipinto,

Chiesa di san Martino, Zillis (Svizzera),1109-1114.

Dopo il racconto della vocazione dei primi quattro discepoli (cf. Mc 1,16-20), Marco sottolinea che Gesù non è più solo. Ormai c’è una piccola comunità alla sequela di questo rabbi venuto in Galilea dalle rive del Mar Morto in seguito all’arresto del suo maestro e profeta Giovanni il Battista, e questa comunità crescerà e accompagnerà Gesù, coinvolta nella sua vita fino alla fine.

L’evangelista ci presenta dunque una giornata-tipo vissuta da Gesù e dai suoi discepoli: la “giornata di Cafarnao” (cf. Mc 1,21-34), una piccola città situata a nord del mare di Galilea, centro commerciale, luogo di passaggio tra Palestina, Libano e Assiria, città con gente composita, scelta da Gesù come “residenza”, come luogo in cui egli e la sua comunità avevano una casa (cf. Mc 1,29.35, ecc.), una dimora dove sostavano di tanto in tanto, nelle pause dei loro itinerari in Galilea e in Giudea. Com’era vissuta da Gesù una giornata? Egli predicava e insegnava, incontrava delle persone liberandole dal male e curandole, pregava. Vi erano poi certamente un tempo e uno spazio per mangiare con i suoi, per stare con la sua comunità e per insegnare a essa come occorreva vivere per accogliere il regno di Dio veniente.

Ecco come il vangelo ci narra questa giornata di Gesù. È un sabato, il giorno del Signore, in cui l’ebreo vive il comandamento di santificare il settimo giorno (cf. Es 20,8-11; Dt 5,12-15) e va alla sinagoga per il culto. Anche Gesù e i suoi discepoli si recano alla sinagoga di Cafarnao dove, dopo la lettura di un brano della Torah di Mosè (parashah) e di una pericope dei Profeti (haftarah), un uomo adulto poteva prendere la parola e commentare quanto era stato proclamato. Gesù è un semplice credente del popolo di Israele, è un laico, non un sacerdote, ed esercita questo diritto. Va all’ambone e fa un’omelia, di cui però Marco non ci dice il contenuto, a differenza di quanto fa Luca riguardo all’omelia tenuta da Gesù nella sinagoga di Nazaret (cf. Lc 4,16-21).

Ed ecco, “erano colpiti dal suo insegnamento”, attesta l’evangelista: senza manifestare il contenuto preciso della sua predicazione, mette però in risalto che gli ascoltatori erano presi da stupore (exepléssonto) all’ascoltarlo. Certamente in quell’insegnamento vi era l’annuncio del regno di Dio veniente, vi era la chiamata alla conversione (cf. Mc 1,15), ma il lettore è qui soprattutto invitato a cogliere l’“autorevolezza” (exousía) di Gesù, ben diversa rispetto a quella degli scribi, degli esperti delle sante Scritture. Non che questi non avessero autorevolezza, perché tra loro vi erano dei maestri che sapevano destare discepoli e toccare il cuore degli ascoltatori. Ma l’autorità dello scriba, abitualmente, era quella di un maestro che aveva ricevuto l’insegnamento da un altro maestro prima di lui, in una tradizione, in una trasmissione che risaliva a Mosè. Gesù invece ha un’autorevolezza simile a quella di Mosè, che gli viene dall’essere stato reso profeta da Dio e da lui inviato. Non si dimentichi che Marco ha appena presentato Gesù come colui sul quale si sono aperti i cieli e sono scesi lo Spirito di Dio e la sua Parola che lo ha definito Figlio amato, abilitandolo così al ministero profetico (cf. Mc 1,10-11). Anche Giovanni il Battista, nel presentare il Veniente come “il più forte” (Mc 1,7), aveva indicato Gesù come uomo colmato dalla potenza dello Spirito santo.

Gesù mostra dunque di avere un’autorevolezza inedita, rara. La sua non è una parola come quella dei professionisti religiosi, dei molti scribi incaricati di studiare e spiegare le Scritture. Che cosa c’è di diverso nel suo predicare? Possiamo almeno dire che in lui vi è una parola che viene dalle sue profondità, una parola che sembra nascere da un silenzio vissuto, una parola detta con convinzione e passione, una parola detta da uno che non solo crede a quello che dice, ma lo vive. È soprattutto la coerenza vissuta da Gesù tra pensare, dire e vivere a conferirgli questa autorevolezza che si impone ed è performativa. Attenzione: Gesù non è uno che seduce con la sua parola elegante, erudita, letterariamente cesellata, ricca di citazioni culturali; non appartiene alla schiera dei predicatori che impressionano soltanto e seducono tutti senza mai convertire nessuno. Egli invece sa penetrare al cuore di ciascuno dei suoi ascoltatori, i quali sono spinti a pensare che il suo è “un insegnamento nuovo”, sapienziale e profetico insieme, una parola che viene da Dio, che scuote, “ferisce”, convince.

Lo sappiamo bene: tutti noi desideriamo un tale predicatore nelle nostre liturgie domenicali, ma a volte rimaniamo delusi. D’altronde chi predica nelle nostre assemblee non è il Figlio di Dio fattosi uomo, a volte è stanco e anche frustrato nella propria missione, a volte è talmente costretto a ripetere riti e parole, che gli vengono a mancare la convinzione e la passione. Eppure io credo che, anche in questa situazione di povertà di alcune assemblee liturgiche, se uno ha il cuore aperto e desideroso di ascoltare la parola di Dio, qualche suo frammento lo raggiunge sempre. Dicevano già i rabbini: se la Legge di Dio è stata donata tra tuoni, rumori, suoni, eppure è stata accolta dai credenti, anche la predicazione, che a volte è solo rumore, può trasmettere la parola di Dio a chi di questa parola ha fame.

L’autorevolezza di Gesù si mostra subito dopo in un atto di liberazione. Nella sinagoga c’è un uomo tormentato da uno spirito impuro, un uomo in cui il demonio è all’opera. Non soffermiamo la nostra attenzione sulla violenza e sul frastuono con cui quest’uomo si esprime, secondo la descrizione tipica dello stile orientale, immaginifico. Andiamo alla sostanza: c’è un uomo in cui il demonio opera in modo particolare, in cui la forza che si oppone a quella di Dio ha preso un grande spazio; in questa persona c’è uno spirito impuro che si oppone allo Spirito santo di Dio che abita in Gesù. La presenza di Gesù nella sinagoga è una minaccia per questa forza demoniaca, ed ecco allora che la verità viene gridata: “Che c’è tra noi e te, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il Santo di Dio!”. 

Significativamente questo spirito impuro parla di sé al plurale, presentandosi come una schiera di forze malefiche, demoniache; come una potenza che, messa alle strette, reagisce urlando con violenza, eppure proclamando una formula cristologica vera: “Tu sei il Santo di Dio” (cf. Gv 6,68-69). Ciò però è finalizzato a generare scandalo e incredulità, perché questa forza plurale non vuole avere nulla a che fare con Gesù. Egli però intima a quella potenza: “Taci!”, gli impedisce di fare una proclamazione senza adesione, senza sequela; quindi libera l’uomo da quella presenza devastante e mortifera. Il segno della liberazione avvenuta è un grande urlo: “lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui”.

Si noti l’imposizione del silenzio da parte di Gesù: il grido dell’indemoniato è formalmente una confessione di fede, l’identità di Gesù non può essere proclamata troppo facilmente, come se fosse una formula dottrinale o, peggio ancora, magica. È diabolico confessare la retta fede senza porsi alla sequela di Gesù! Lungo tutto il vangelo secondo Marco è testimoniata questa preoccupazione di Gesù circa la manifestazione della propria identità: non lo si deve divinizzare troppo velocemente, non si deve farlo perché incantati dai prodigi da lui compiuti, né si deve farlo perché ci si entusiasma di lui. Lo si potrà fare solo quando, avendo seguito Gesù fino alla fine, lo si vedrà appeso alla croce. Solo allora – attesta il vangelo – la confessione del lettore può essere vera, fatta in verità e con conoscenza profonda, insieme al centurione che, vedendo Gesù appeso al legno, proclama: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39). Il miglior commento è una parola di un monaco del XII secolo, Guigo I il Certosino: “Nuda e appesa alla croce deve essere adorata la verità”.

Ed ecco che Marco, creando un’inclusione con l’inizio del racconto (“erano colpiti dal suo insegnamento”), annota: “Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: ‘Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorevolezza. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!”. Le persone presenti nella sinagoga di Cafarnao si interrogano piene di timore: hanno ascoltato e hanno visto che anche le potenze del male sono vinte da Gesù grazie alla sua parola nuova, efficace. Il regno di Dio si è veramente avvicinato, e Gesù è sempre più riconosciuto come una presenza attraverso la quale Dio stesso parla e agisce in tutta la Galilea, la terra destinataria della sua predicazione.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12068-gioranata-cafarnao

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DEMOGRAFIA

Patto natalità: l’impegno delle donne. Cinque voci contro l’emergenza demografica

Ora scendono in campo le donne per chiedere più attenzione alla natalità e alla famiglia, a partire dalla campagna elettorale. Il Patto per la natalità, lanciato il 18 gennaio 2018 dal presidente del Forum delle Famiglie Gianluigi De Palo per porre all’attenzione della politica il tema dell’inverno demografico, ora vede protagoniste le donne.

Così ieri al Senato a parlare di conciliazione famiglia-lavoro, maternità, fisco amico della famiglia, sono state proprio loro, portando esperienze e proposte che riportiamo in questa pagina.

Come pure la politica. Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, sottolinea la necessità di «un piano almeno ventennale che impegni tutte le forze politiche», anche perché la demografia è «il tema principale per la sostenibilità dello sviluppo del nostro Paese nei prossimi 50 anni». Perciò propone un piano per la fertilità e uno per la natalità «con misure universali» da 3 miliardi l’anno.

Parla allo stesso modo di trasversalità l’assessore alle Politiche sociali della Regione Lazio Rita Visini, che lancia l’idea di «un’alleanza sul modello di quella contro la povertà, che ha dato buoni frutti», perché «i soldi alla fine ci sono ma il problema è avere chiara la visione politica integrata».

  1. Colombo (Forum famiglie). «Maternità sia una scelta desiderata e possibile, ma non penalizzante». Il salto in avanti da fare è innanzitutto smetterla di «parlare di natalità come di un problema, ma come un tema da affrontare». Basta, dunque, ragionare di figli «solo come numeri, come coloro che pagheranno le nostre pensioni» e basta a una «politica piegata solo sugli interessi». Maria Grazia Colombo, vicepresidente del Forum per le Famiglie, perciò invita a vivere la campagna elettorale come «una possibilità interessante: sappiamo bene che tutti promettono, ma è un tempo prezioso da spendere e da vivere bene». Il calo demografico si può infatti fermare, secondo lei, solo se si parte dalla consapevolezza che «un figlio è un bene per tutti, questo è il punto. E il Patto per la natalità non è di qualcuno, è di tutti quelli che hanno a cuore il Paese e hanno voglia di mettersi in gioco». Ma adesso non si tratta di fare la lista di chi ci sta o non ci sta – conclude Colombo – ma «di mettere al centro la natalità e la maternità come scelta libera, desiderata e possibile, non penalizzata e penalizzante».

  2. Fiaschi (Terzo settore). «Ora la riforma del mondo non profit e politiche familiari di lungo periodo». Le nuove generazioni sono il «vero cantiere di sviluppo del Paese». Per questo investire «sui figli e sui giovani significa investire sulla riserva di fiducia dell’Italia, sulla cassaforte del futuro, l’unica fonte di energia rinnovabile per il cambiamento e il progresso». Ne è convinta Claudia Fiaschi, portavoce del Forum Terzo settore, per cui è urgente «una riforma del Terzo settore che metta la cittadinanza al centro dello sviluppo del Paese», come pure «politiche di lungo periodo, di sostegno alla famiglia e alle adozioni» anche in termini di conciliazione con il lavoro e di sostegno alle nuove generazioni, di contrasto alla povertà anche educativa. «In generale cioè – la precisazione – occorre ripensare il welfare del futuro». L’Italia insomma deve tornare ad essere il Paese in cui «nascere, crescere e fare progetti di vita e di lavoro sia facile e sostenibile. Investire sulle nuove generazioni, infatti, significa avere una visione su identità e paradigmi della cittadinanza di domani».

  3. Izzo (Se non ora quando). «La maternità è un atto di libertà. Esigere condizioni per realizzarla». Scegliere di essere madri è «l’affermazione più grande della tua libertà di essere donna». Per questo – esordisce Francesca Izzo presidente dell’associazione “Se non ora quando-Libere” – bisogna insegnare a figlie e nipoti che «a pretendere che le vengano date le condizioni perché questa libertà si realizzi, nel lavoro e nella società. Questa è la vera scommessa». Serve perciò un cambio di mentalità, che superi «l’idea sbagliata di libertà femminile del passato vista come liberazione da tutto ciò che le donne avevano sulle spalle, compresa la maternità». La partita storica è tutta qui, perciò: trasmettere «alle nostre figlie e nipoti che scegliere di essere madri non è solo qualcosa che limita». A livello politico e sociale, inoltre, continua Francesca Izzo, il tema della natalità «non è mai diventato argomento della politica con la P maiuscola», ma neppure «ho mai visto in cinquant’anni uno sciopero in difesa dei nostri figli». Questo perché «l’Italia fatica ancora a dire che la famiglia e i figli sono un bene pubblico».

  4. Ventura (Cisl). «Lavoro, fisco e previdenza i tre pilastri per rimettere al centro la persona». Sostegni all’occupazione femminile, «congedi parentali obbligatori di quattro mesi per entrambi i genitori e utilizzabili entro i 18 anni del figlio» per vivere con lui il periodo delicato dell’adolescenza, prolungamento del congedo fino a tre anni per i figli con disabilità, «congedo di paternità obbligatorio di dieci giorni da essere utilizzati nei primi cinque mesi del figlio e copertura retribuita ai permessi per malattia dei figli». Parte da queste proposte Giovanna Ventura, segretario confederale della Cisl, per tratteggiare il programma a favore del lavoro, fisco e previdenza che «rimetta al centro la persona e la sua famiglia, attorno al quale costruire un sistema di benessere e qualità di vita». Solo così difatti si potrà create un Paese diverso. Compito dello Stato, quindi, è «costruire con le donne un’alleanza trasversale e dare sistematicità agli interventi per la famiglia. A partire da una fiscalità a favore della famiglia, rivedendo gli assegni familiari.

  5. Ciccarelli (Forum Famiglie). «Una grande alleanza per la natalità Mettiamoci la faccia tutti insieme». La parola chiave per lei adesso è «responsabilità». Responsabilità della politica a cui si chiedono «scelte coraggiose» in tema di natalità, maternità e famiglia. Ma anche «responsabilità collettiva perché si punti sul nostro futuro investendo sui figli». Emma Ciccarelli, vicepresidente nazionale del Forum delle Associazioni familiari, pensa a una vera e propria «alleanza trasversale e come donne siamo chiamate per prime a metterci la faccia, a dare con responsabilità risposte». La natalità infatti oggi va affrontata «senza ideologie», mettendo insieme tutte le forze positive della società, perché si trovino a confrontarsi proprio a partire dall’essere donne, per sostenere con forza che «i figli non sono una proprietà privata, sono il bene comune, un investimento sul futuro di tutti». Il punto, per la vicepresidente del Forum, è «avere la libertà di scegliere se essere solo madri o solo lavoratrici o tutte e due», rivedendo gli assegni familiari».

Testi a cura di Alessia Guerrieri Avvenire 27 gennaio 2018

www.avvenire.it/attualita/pagine/emergenza-natalit-le-donne-in-campo

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DIRITTI

Avvocati: a Milano nasce il “Codice dei diritti degli indifesi”

È nato il “Codice dei diritti degli indifesi”, realizzato dall’ordine degli avvocati di Milano, pubblicato da Giuffrè editore e presentato dal presidente Remo Danovi.

Il testo raccoglie in una sorta di “catalogo”, tutti i provvedimenti (dalle leggi costituzionali alle convenzioni internazionali sino alle disposizioni regionali) sui soggetti più deboli.

È suddiviso in tre tipologie principali:

  1. Le persone con disabilità, “destinatarie di una legislazione evoluta ma non sempre conosciuta e attentamente applicata”;

  2. I minori su cui c’è “una vastissima legislazione a tutela dell’infanzia e dell’adolescenza, nonché al diritto a crescere in famiglia”;

  3. Le vittime di violenza, “legate al genere e alle irrisolte relazioni familiari e affettive”.

Il senso dell’iniziativa è “difendere gli indifesi” spiga il presidente dell’ordine milanese. Il codice “che vuole riaffermare i diritti degli indifesi, non è per alimentare liti e contenzioso ma – conclude Danovi – per contribuire a tutelare la dignità di ciascuno di loro e per far conoscere una realtà meritevole di aiuto”.

Redazione studio Cataldi 24 gennaio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/28931-avvocati-a-milano-nasce-il-quotcodice-dei-diritti-degli-indifesi-quot.asp

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ENTI TERZO SETTORE

Gli enti non profit hanno 789 mila dipendenti

In Italia ci sono 336.275 istituzioni non profit, ma solo il 16,4% di queste impiega lavoratori dipendenti.

I dipendenti sono in tutto 789 mila: più della metà lavora in cooperative sociali.

L’85% delle istituzioni non profit italiane è costituito da associazioni.

I numeri di enti, dipendenti e volontari sono tutti in aumento in questa rilevazione al 2015 rispetto ai dati del 2011, a testimonianza di “un settore in espansione e sempre più articolato”, come s’intitola la relazione Istat sul Censimento permanente del non profit.

E’ stata presentata il 23 gennaio 2018 in occasione della conferenza stampa del ministro del lavoro Giuliano Poletti sull’attuazione della Riforma del Terzo Settore.

http://www.lavoro.gov.it/notizie/Pagine/Poletti-una-riforma-di-buon-senso-che-offre-certezze-sullo-scenario-normativo-sul-contesto-fiscale-e-sulle-risorse.aspx

UNEBA 26 gennaio 2018

www.uneba.org/gli-enti-non-profit-hanno-789-mila-dipendenti/

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EUROPA

Divorzi internazionali: Ue, più protezione per i minori

Giovedì scorso 18 gennaio 2018 i deputati hanno proposto modifiche alle norme UE sulla risoluzione delle controversie internazionali in materia di divorzio. I dati riferiscono di 16 milioni di famiglie internazionali nell’Unione europea, con circa 140.000 divorzi internazionali ogni anno e circa 1.800 l’anno casi di rapimento di minori da parte dei genitori registrati.

Serve una maggiore protezione dei minori nelle controversie internazionali tra i genitori. Da qui, la proposta di modifiche alla norma europea circa la risoluzione delle controversie internazionali in materia di divorzio presentata dagli eurodeputati qualche giorno fa.

I punti focalizzati sono tre:

  1. Nuove regole per affrontare i casi di divorzi internazionali e le sottrazioni di minore;

  2. Maggiore protezione dei diritti del minore;

  3. Le decisioni sui casi di sottrazioni devono essere prese da giudici esperti in materia.

Come riferisce il Parlamento europeo, i deputati propongono di rafforzare la tutela dei diritti dei minori durante l’intera procedura di risoluzione delle controversie tra le coppie divorziate. Dunque assicurarsi che il bambino possa esprimere la propria opinione, attraverso una procedura chiara, senza il rischio che su di lui vengano esercitate pressioni, a tal proposito l’intervistatore deve essere un esperto appositamente formato.

Il relatore Tadeusz Zwiefka (PPE, PL) sottolinea l’importanza della dimensione infantile, col bambino che incarna “l’anello più debole nelle controversie tra genitori e necessita quindi di tutta la protezione che possiamo offrirgli. In particolare, l’audizione del bambino rappresenta una questione fondamentale e merita disposizioni dettagliate”.

Inoltre i deputati si impegnano a migliorare la condivisione delle informazioni e la cooperazione tra le autorità giudiziarie degli Stati membri.

Il parere del Parlamento è stato approvato con 562 voti in favore, 16 voti contrari e 43 astensioni e passerà al Consiglio per la decisione finale.

Gabriella Lax • Newsletter Giuridica Studio Cataldi 22 gennaio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/28885-divorzi-internazionali-ue-piu-protezione-per-i-minori.asp

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FECONDAZIONE ETEROLOGA

Perché si deve permettere la ricerca dei genitori biologici

La norma affossata rappresenta un pericolo per il crescente business della fecondazione eterologa e per quello, al momento vietato in Italia ma tutt’altro che assente, della maternità surrogata.

Perché si deve permettere la ricerca dei genitori biologici. Sono in tanti ad aver tirato un sospiro di sollievo quando la fine della legislatura ha affossato, tra le altre in dirittura d’arrivo, anche la legge sul riconoscimento delle origini biologiche per i figli non riconosciuti alla nascita. Bisogna dirlo con franchezza: il principio a cui si ispira questa ipotesi di normativa apre prospettive che rischiano di scombinare il fragile e problematico rapporto tra generazione, biotecnologie procreatiche e cultura dell’adozione, con i tentativi connessi di scardinarne i presupposti in chiave adultocentrica.

La legge, come forse si ricorderà, era stata approvata dalla Camera nel giugno 2015, ma poi era stata ‘parcheggiata’ in Commissione Bilancio del Senato. E qui è rimasta, nonostante l’insistenza del Comitato che si batte per dare concretezza di legge a un diritto che è facilmente comprensibile a chiunque si metta nei panni di una persona che ignora tutto del proprio passato. Una persona che ovviamente si chieda da dove viene, chi è sua madre, perché ha voluto o dovuto abbandonarlo. La legge offre la possibilità di cercare queste informazioni, una volta raggiunta la maggiore età, attraverso i Tribunali per i minorenni. Con esito positivo solo se la madre biologica, dopo che ne sia stata verificata in modo riservato e prudente la disponibilità, si dichiara d’accordo nel cancellare la richiesta di anonimato siglata alla nascita del figlio. Una possibilità che cerca di equilibrare due diritti comunque meritevoli di attenzioni: quello della madre di rimanere nell’ombra per motivi pregressi, ma anche contingenti (magari ha una nuova famiglia e altri figli che ignorano il suo passato), e quello del figlio ad alzare il velo che grava sulle proprie origini.

Abbiamo più volte analizzato su queste pagine opportunità e rischi di una simile legge, dando voce a chi la sostiene – la maggioranza delle forze politiche, degli esperti e delle associazioni – ma anche a chi continua a scorgervi possibili incongruenze. C’è però da chiedersi se, al di là di queste argomentazioni già esposte, non ci siano tra gli oppositori anche coloro che vedono in questa norma un pericolo per il crescente business della fecondazione eterologa e per quello, al momento vietato in Italia ma come sappiamo tutt’altro che assente, della maternità surrogata. I motivi sono evidenti. Se passasse il principio secondo cui un figlio avrà comunque la possibilità – pur rispettando i punti indicati dalla legge – di andare alla ricerca delle proprie origini biologiche, perché mai si dovrebbero stabilire delle differenze tra chi è nato da un ‘parto anonimo’ e chi da una fecondazione eterologa, magari con gameti completamente estranei ai genitori ‘sociali’? Un’evidenza che diventa addirittura clamorosa per un figlio o una figlia nati da una maternità surrogata e/o da un commercio di gameti e ‘adottati’ da una coppia eterosessuale o omosessuale. Perché queste persone non dovrebbero avere il diritto, sostenuto dalla legge, di conoscere la loro madre e/o il loro padre biologici?

Nelle ricerche, ormai numerose, condotte negli Usa all’interno di coppie omosessuali con figli, è emerso come il problema delle origini sia tra i più avvertiti e che l’impossibilità di accertarlo – nella maggioranza dei casi – sia fonte di conflitti interiori con frequenti manifestazioni psicopatologiche. Secondo la maggior parte degli psicologi la conoscenza del proprio passato e delle ragioni che l’hanno determinato è un elemento fondamentale nella formazione di quel puzzle complesso e delicatissimo verso la definizione dell’identità personale. Può essere vero che, come argomentano altri, un percorso adottivo con esiti positivi possa contribuire a rendere meno lacerante e meno urgente l’esigenza di riannodare i fili del proprio passato. Ma si tratta comunque di un auspicio che, più o meno silente, più o meno posticipato, non può mai essere del tutto escluso. Tanto più quando, raggiunta l’età adulta, emerge il bisogno di fare i conti con un passato che, avvolto nel mistero, ‘parla’ comunque all’individuo con corredi genetici, tendenze caratteriali, orientamenti familiari che, per quanto silenziati dall’assenza di contatti con i genitori biologici, esistono e alla fine chiedono spazio. È indubitabile – e si tratta di un momento bellissimo e denso di calda umanità – che l’adozione rappresenti una sorta di seconda nascita per un bambino privo di famiglia. Ma il legame di sangue comunque resta ed è, obiettivamente, indelebile.

Ecco perché, quando ci sono le condizioni previste dalla legge, offrire la possibilità di avviare la ricerca si configura come atto di giustizia per tutti i figli che non hanno avuto la possibilità di conoscere la propria origine, per quelli accolti da genitori adottivi o ‘sociali’, per chi è sempre vissuto nella stessa famiglia ma non ha mai conosciuto i propri genitori naturali. Certo, oggi questo viaggio a ritroso per ritrovare se stessi non è tecnicamente possibile in tutte le situazioni. Ma se, come appare evidente, è eticamente apprezzabile e può contribuire all’equilibrio e al benessere della persona, perché non attrezzarsi per renderlo tale? Il percorso sarebbe sicuramente molto impegnativo perché andrebbe ad intercettare, con il proposito di modificarle, legislazioni e prassi tecnico-scientifiche non solo italiane.

Occorrerebbe per esempio uniformare i criteri per l’aggiornamento e la consultazione dei registri relativi ai donatori di gameti, almeno a livello europeo e sarebbe anche indispensabile regolamentare l’attività delle banche di seme e di ovociti a cui oggi ci si può rivolgere anche via web ottenendo ‘prodotti’ in pochi giorni senza troppi intralci burocratici. Tutt’altro che semplice – ne siamo consapevoli – ma se il nostro Paese riconoscerà il principio secondo cui è possibile avviare la ricerca per ricostruire la propria identità biologica, non ci potranno essere figli di serie A e di serie B. Una legge concepita in questo modo avrebbe, tra le altre conseguenze, quella di stabilire regole un po’ più stringenti a tutti i livelli per il business della generazione artificiale. Un mondo non sempre trasparente, ma vasto e potente, per cui allargare il principio del riconoscimento delle origini biologiche suonerebbe come un campanello d’allarme. Può essere che, per prevenire il rischio connesso all’approvazione, chi di dovere abbia comunque già fatto in modo di bloccare questo disegno di legge in commissione Bilancio?

Cattivi pensieri, ma il livello del dibattito dei prossimi mesi sarà indicativo. Si potranno cercare per esempio prospettive più larghe, inserendo per esempio la questione del ‘riconoscimento’ nella riforma delle adozioni? Oppure si tenterà di negare l’esistenza del problema senza neppure riprendere l’iter parlamentare? Ipotesi e questioni complesse che non potranno essere oscurate né da interessi di parte né da pregiudizi ideologici e su cui non allenteremo l’attenzione.

Luciano Moia Avvenire 23 gennaio 2018

www.avvenire.it/opinioni/pagine/origini-biologiche-dei-figli-diritto-sempre-pi-ampio

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Perché le donne non siano più costrette a rinunciare alla maternità.

Si è tenuto oggi nei locali del Senato il secondo appuntamento del Patto per la famiglia lanciato dal Forum delle associazioni familiari, un incontro destinato a cogliere e raccogliere le voci delle donne della società civile.

«Le donne non vogliono più essere obbligate a scegliere e vogliono potersi esprimere come donne e come madri» spiega Emma Ciccarelli, vicepresidente del Forum. «Lo Stato deve farsi carico della maternità a cominciare da una fiscalità compatibile. È interesse dell’intero Paese perché senza figli non c’è futuro».

«Il Patto» ha aggiunto Maria Grazia Colombo, anch’essa vicepresidente del Forum «è nato anche seguendo i consigli che il presidente Mattarella aveva lanciato qualche mese fa: auspico che tutte le forze politiche facciano un patto di non belligeranza sulla questione famiglia e natalità, quindi giovani e futuro dell’Italia».

Il ministro Beatrice Lorenzin, intervenuta all’incontro, ha detto: «quello demografico è il tema più importante per il Paese. Avremmo dovuto occuparcene da almeno venti anni, ora dobbiamo partire subito e da subito servono misure per la natalità che devono essere universali».

Claudia Fiaschi, portavoce del Forum del Terzo settore, aggiunge: «L’Italia deve tornare a stare al fianco delle nuove generazioni, deve tornare ad essere un Paese dove nascere, crescere e fare progetti di vita e di lavoro è facile e sostenibile. Investire sulle nuove generazioni significa avere una visione su identità e paradigmi della cittadinanza di domani».

Per Francesca Izzo, presidente di “Se Non Ora Quando – Libere” «Non bastano i provvedimenti economici, bisogna insistere sulla libertà della donna».

Per Giovanna Ventura, segretario confederale della Cisl, «Lo Stato deve costruire con le donne un’alleanza trasversale e dare sistematicità agli interventi per la famiglia».

Emma Ciccarelli ha espresso «Piena soddisfazione per questo evento. Le donne che hanno aderito al patto per la natalità hanno avuto il coraggio di guardare oltre le proprie realtà e si sono rese disponibili a costruire una grande alleanza di intenti. La natalità è emergenza nazionale, la politica non può non metterla come priorità nei programmi. Auspichiamo che il Patto per la natalità diventi strumento di una mobilitazione generale del Paese».

«In questo momento elettorale» conclude Maria Grazia Colombo «il Forum ha saputo creare sinergia con altre realtà applicando il metodo “Forum” che è un metodo di dialogo e sussidiarietà tra società civile e politica. La storia non finisce qui ma continua».

Comunicato stampa 26 gennaio 2018

www.forumfamiglie.org/2018/01/26/pattoxnatalita-perche-le-donne-non-siano-piu-costrette-a-rinunciare-alla-maternita

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MINORI

Tutori volontari per minori non accompagnati, riaprono le candidature

Nella gran parte delle regioni stanno partendo nuove edizioni dei corsi formativi per gli aspiranti tutori di minori non accompagnati. Nelle Marche ad esempio ci si può candidare fino al 30 marzo pv, ma nella maggior parte delle regioni la domanda può essere inoltrata in qualsiasi momento. Sul sito del Garante Infanzia della Campania, un manuale operativo. Sul sito del Garante dell’Infanzia della regione Campania è invece possibile scaricare un utile manuale per i tutori “Orientamenti per i tutori volontari dei minori stranieri non accompagnati”. www.consiglio.regione.campania.it/garanteinfanzia

C’è tempo fino al 30 marzo per dare la propria disponibilità a diventare tutore volontario di un minore non accompagnato nelle Marche e partecipare al secondo corso di formazione organizzato dal Garante dei diritti, Andrea Nobili. La formazione partirà in aprile. Sono state più di cento le adesioni all’avviso attivato a luglio dal Garante e che, dopo la necessaria selezione, ha portato alla formulazione dell’elenco affidato al Tribunale per i minorenni.

In Lazio i corsi per tutori volontari di minori stranieri non accompagnati sono giunti già alla VI edizione: il 10 gennaio 2018 sono stati consegnati gli attestati di partecipazione ai primi tre corsi di formazione, già conclusi.

In Lombardia il corso è appena partito, con 253 candidati selezionati fra le candidature inviate in risposta al bando dello scorso luglio: la maggior parte sono donne laureate tra i 41 e i 55 anni. La maggior parte degli aspiranti tutori è residente a Milano, poi Bergamo e Monza e Brianza. Il percorso formativo si svolgerà a Milano e a Brescia e si concluderà il 24 marzo. In Lombardia sono presenti 1.155 minorenni maschi e 67 femmine.

In Basilicata parte oggi, 22 gennaio 2018, il secondo corso di formazione per tutori volontari di minori stranieri non accompagnati, con 34 i tutori che frequenteranno la sessione formativa: in Basilicata sono 350 sono i minori non accompagnati e l’83% di questi ha più di 15 anni. A ottobre era stato approvato l’elenco dei primi soggetti idonei a svolgere la funzione di tutori legali di minori stranieri non accompagnati a titolo volontario e gratuito, di altri 34 nomi.

In Emilia Romagna, la raccolta delle domande avviene a livello regionale, mentre la formazione è fatta a livello provinciale. Ferrara ha fatto da apripista, nel mese di dicembre la formazione è partita a Bologna e a Parma, con quasi 200 cittadini interessati complessivamente a ricoprire questo ruolo: «ancora troppo pochi» ha sottolineato la Garante per l’infanzia e l’adolescenza Clede Maria Garavini, «a fronte dei 1.045 minori ospitati nella nostra regione».

In Piemonte il primo corso è stato frequentato da 100 iscritti un secondo corso è già in programma: «il Bando è aperto, non ha una scadenza, le domande di adesione potranno essere inviate in qualsiasi moment», ricorda Rita Turino, Garante per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Piemonte.

In Puglia è stato presentato il 10 gennaio il progetto della “Banca dati elettronica dei Tutori legali volontari di Minori e Minori stranieri non accompagnati (L.47/2017)”, in formato aperto e cogestita dal Garante regionale e dal Tribunale per i Minorenni di Bari

Sara De Carli Vita.it 22 gennaio 2018

www.vita.it/it/article/2018/01/22/tutori-volontari-per-minori-non-accompagnati-riaprono-le-candidature/145685

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MORALE CATTOLICA

Come faccio a fare la comunione da divorziata risposata?

La franca e impegnativa domanda di una lettrice ci porta a una delicata riflessione su Amoris Lætitia e sul documento dei Vescovi argentini che Papa Francesco ha ormai autenticato a mezzo della pubblicazione negli Acta Apostolicæ Sedis. Vediamo dunque di capire cosa il documento non dice… e anche cosa dice.

Il dibattito su Amoris lætitia è così dominato da contrapposte polarizzazioni che non di rado anche quanti si pongono davanti alla nuda lettera dei documenti magisteriali con buona disposizione d’animo e retta coscienza faticano a raccapezzarsi. Così ci è capitato di ricevere in redazione – grazie di cuore, grazie sempre per le vostre preziose interazioni! – la lettera di una lettrice che scriveva, fra l’altro: Mi piacerebbe approfondire il tema della Comunione ai divorziati alla luce di ciò che papa Francesco ha scritto nel capitolo VIII di Amoris lætitia. Se ho ben capito si procede da caso a caso considerando le responsabilità del divorzio cosicché ad esempio una donna con figli lasciata dal marito e che abbia poi contratto una nuova unione non sia in peccato mortale ma veniale in quanto non ne ha responsabilità e colpe e quindi poter avere la Santissima Eucarestia.

La domanda posta è in sé così apparentemente semplice che l’interlocutore si sente portato a cercare una risposta altrettanto lineare. Chissà quanti sacerdoti, in queste settimane e in questi mesi, si sentono fare domande analoghe. Il fatto è che la domanda non è tanto semplice quanto semplicistica, e non si potrebbe rispondere con semplicità a una siffatta domanda senza prima correggerla, nel testo e nel sottotesto.

Pars destruens. Prima di tutto bisogna capire cosa non s’intende con l’espressione “da caso a caso”. Non s’intende, per essere chiari, abolire una casuistica per approvarne un’altra. Non s’intende “fino a ieri questa situazione era irregolare, adesso va bene”. Questo sarebbe semplicemente – per così dire – espiantare un semaforo da un crocevia per impiantarcene un altro (e fuor di metafora il bene e il male non sono certo convenzionali e intercambiabili come un semaforo). Questo non è quanto il Papa ha inteso fare con Amoris lætitia. Se vogliamo restare nella metafora della segnaletica stradale verticale, il Papa non ha sradicato alcun semaforo, ma ha invitato tutti a tenere ben presente la ratio legis che ha voluto e posto il suddetto semaforo, oltre al fatto che nessun semaforo può tenere conto della complessità della vita stradale: può passare un’ambulanza, una volante della polizia, un tipo con il fazzoletto al finestrino e una donna in macchina che sta partorendo. Tutti costoro passerebbero col rosso, non sempre avendo la lettera del codice dalla loro parte, ma il contesto sociale (che ha stabilito il Codice e per il quale il codice esiste) ammette agevolmente che passino: può accadere, sulla strada vera, molto più di quanto il Codice della Strada espressamente preveda (il tutto escludendo i casi estremi del matto e dell’attentatore, che ci porterebbero troppo lontano).

Insomma, parafrasando il Vangelo, il semaforo è fatto per la strada e non la strada per il semaforo – e proprio per questo, ed entro tali limiti, il semaforo è utilissimo e prezioso. È davvero incredibile che taluni si mostrino così inflessibili con la debolezza degli uomini in cammino e così morbidi con la cieca ricorsività degli uomini viziosi. A pensarci bene capisco meglio perché Osea, citato da Gesù, accosti in parallelo la misericordia alla conoscenza di Dio:

Andate dunque e imparate cosa significhi: «Misericordia io voglio, e non sacrificio. [La conoscenza di Dio più degli olocausti]» Mt 9, 13 [cf. Os 6, 6]

Veramente «chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1 Gv 4, 8), e quindi giustamente, invece, «a chi molto ama viene perdonato molto» (cf. Lc 7, 47). Ed ecco infine spiegato perché i malvagi che si credono buoni, quand’anche andassero a messa tutti i giorni, non possono che essere invidiosi di Dio (cf. Mt 20, 15) – il quale solo è buono (cf. Mc 10, 18; Lc 18, 19).

Ora, dopo questa tirata che i detrattori volentieri tacceranno di “misericordismo” ci si aspetterà che io finalmente enunci i casi in cui è possibile, per le persone in situazioni già brevemente dette “irregolari”, accedere ai sacramenti. Mi dispiace, non si può: è questo il punto. Proprio questo non vuole, Papa Francesco, ed è forse la cosa più chiara in un contesto dilaniato da narrazioni violentemente contrapposte: la signora sbaglia nel porre la domanda proprio perché anche lei viene a proporre un caso

La qual cosa è, in un certo senso, inevitabile, ma lo vedremo meglio nella pars construens: per ora accenno solo che quando dei vescovi sono andati dal Papa a porgli analoghe questioni, chiedendo se potessero dare o non dare siffatti permessi, Francesco ha appunto rimandato al discernimento. Il quale non significa che ogni vescovo diventa papa e re della morale nella propria diocesi – «giudice finalmente, / arbitro in terra / del bene e del male» (F. De André) –, ma che ognuno di loro deve farsi carico di cadauna particolare situazione di ciascuna persona, specialmente di quante vivono maggiori difficoltà. Il che è molto più facile a dirsi che a farsi: i primi ad essere sollevati, se Amoris lætitia si risolvesse in un semaforo (nuovo o vecchio cambia poco) sarebbero «i pastori che amano esser chiamati pastori mentre si rifiutano di adempiere l’ufficio di pastori» (Agostino, s. 46, 1), giacché «il mondo è pieno di sacerdoti e tuttavia si trova di rado chi lavori nella vigna del Signore; ci siamo assunti l’ufficio sacerdotale e non compiamo le opere che l’ufficio comporta» (Gregorio Magno, h. 17). E siffatti cattivi pastori – lo si dica serenamente quantunque gravemente – si trovano variamente assortiti nei due contrapposti schieramenti.

Non può essere, dunque, l’aver subito il divorzio piuttosto che averlo procurato, a fare la differenza: a nessuno che sia stato lasciato dal coniuge è mai stato negato il conforto dei sacramenti, ma ogni uomo che si sposi s’impegna ad amare in modo totale ed esclusivo una e una sola persona «per tutti i giorni della propria vita». Della propria, dice la formula! – nemmeno di quella dell’altro: dunque non c’è modo di liberarsi dal giogo per il quale si è diventati coniugi (il coniugium è proprio l’appaiarsi sotto un unico giogo) per il semplice fatto che l’altra persona se n’è andata. Certo, il giogo che una pariglia di buoi porta senza neppure accorgersene – anzi si tratta di un «giogo soave» (Mt 11, 20) – può diventare un carico pesante, o esistenzialmente “insostenibile” (Lc 11, 46), per una giovenca o per un bue rimasti soli. Ciò vale per la vedovanza, ma ancora più dolorosamente per quando la promessa (mi piace che in francese sia “promessa” il nome dell’anello nuziale) viene infranta: nel primo caso un nuovo matrimonio è di nuovo possibile perché con la morte di uno dei coniugi il matrimonio viene meno – anche se la Chiesa ha sempre tenuto in alto onore lo stato della vedovanza – ma soprattutto è la stessa assenza del coniuge dipartito ad essere temperata di dolcezza nella comunione dei santi. E come si vede… poco aggiunge (o toglie), in tutto ciò, la presenza (o l’assenza) dei figli. La quale dunque non è, in sé, un criterio che permetta alle coppie in condizioni già definite “irregolari” di accedere ai sacramenti.

Pars construens. A tale proposito, dunque, occorre anzitutto richiamare all’attenzione comune il motivo teologico che sostiene insieme la sacramentalità e l’indissolubilità del matrimonio cristiano: esso consta della stretta analogia tra «l’unità di vita e d’amore» (CCC 1603) instaurata tra i coniugi e quell’unione mistica tra Cristo e la Chiesa che opportunamente è stata definita “sponsale” (il testo fondamentale si trova in Ef 5, 21-33). Ecco perché – come mi è capitato di rilevare altrove – ritengo che cogliesse nel segno la nota critica di Aldo Maria Valli rispetto al “matrimonio al volo” benedetto dal Santo Padre nella tratta aerea interna al Cile: non è affatto necessario che il matrimonio avvenga all’interno della celebrazione eucaristica, nondimeno resta sommamente opportuno che il legame tra i due “misteri grandi” venga evidenziato con il collocamento del sacramento nuziale all’interno di quello eucaristico. Per questo motivo troverei molto preoccupanti, se risultassero confermate, le proposte di promozione del rito del matrimonio celebrato fuori dal rito eucaristico.

Vale la pena ricordare questo perché allo stato attuale delle cose esiste un’interpretazione autentica e autenticata dei dubia su Amoris lætitia: poco tempo fa ho avuto l’onore di intervistare, con un caro amico che mi accompagna nella ricerca teologica, monsignor Agostino Marchetto, unanimemente riconosciuto “il miglior ermeneuta del Concilio Vaticano II” (Benedetto XVI – Francesco). A mons. Marchetto dunque ho chiesto quale sia il suo giudizio sul peso che la pubblicazione della nota dei vescovi argentini unitamente al rescritto pontificio bergogliano negli Acta Apostolicæ Sedis porta sulla vexata quæstio. La sua risposta è stata:

«La pubblicazione in AAS di cui fa menzione, penso ponga fine alla discussione su quello che è il pensiero del Santo Padre. […]».

È vero, ma non è solo fair play ammettere che da questo punto di vista la formulazione volutamente ancipite di Amoris lætitia ha trovato una sua chiarificazione: dopo aver ricevuto la risposta di mons. Marchetto sono tornato a leggere quella nota pastorale e mi sono accorto che solo agli occhi di chi la raccoglie tutta nel suo sesto punto – come l’Esortazione postsinodale era stata banalmente ridotta all’VIII capitolo! – quella nota “apre” a “dispense” e “permessi”.

In realtà, a leggerla come essa va letta [a tal fine la riportiamo integralmente in calce, N.d.R.], vi troviamo come il primo punto del “decalogo argentino” esclude che la questione possa ridursi alla procedura di richiesta/rilascio di un permesso. Il secondo è migliore del primo: […] il pastore deve porre l’accento sull’annuncio fondamentale, il kerygma, che stimoli all’ incontro personale con Gesù Cristo vivo o a rinnovare tale incontro (cfr. 58).

Resterebbe immancabilmente deluso, quindi, chi andasse dal Vescovo per sentirsi dire “ma sì, fa’ pure la comunione”. Va per ascoltare un carismatico e bruciante richiamo alla conversione a Gesù, in realtà. Quella carità pastorale del Vescovo deve necessariamente accogliere la retta intenzione del/dei fedele/i, accompagnarne l’integrazione comunitaria ed esortarne la vita teologale, ma non deve necessariamente condurre all’accesso ai sacramenti: […] può anche orientarsi ad altre forme di integrazione proprie della vita della Chiesa: una maggior presenza nella comunità, la partecipazione a gruppi di preghiera o di meditazione, l’impegno in qualche servizio ecclesiale, etc.

A questo punto, alla coppia già definita “irregolare” dovrebbe essere proposta la via della dottrina della Chiesa tracciata da Giovanni Paolo II in Familiaris Consortio: la coabitazione continente mantenuta in vista del bene dell’eventuale prole (la quale – osservava il santo Papa polacco – a questo punto segna un limite di non-ritorno nella vicenda personale della coppia già detta “irregolare”). Papa Francesco sa che questa richiesta è molto impegnativa, e del resto già Giovanni Paolo II era intervenuto a chiarire che quanti non riuscissero a vivere “come fratello e sorella” con il genitore dei propri figli potrebbero comunque sempre accedere al sacramento della Riconciliazione.

Ed eccoci al famigerato “sesto comandamento” dei vescovi argentini (chissà se l’hanno fatto apposta, a mettere il più dibattuto al sesto posto del loro decalogo!): In altre circostanze più complesse, e quando non si è riusciti a ottenere una dichiarazione di nullità, l’opzione menzionata può non essere di fatto realizzabile. Ad ogni modo, è comunque possibile un cammino di discernimento. Se si arriva a riconoscere che in un caso concreto ci sono limitazioni che attenuano la responsabilità e la colpevolezza (cfr. 301-302), soprattutto quando una persona considera che cadrebbe in un’ulteriore mancanza danneggiando i figli nati dalla nuova unione, la Amoris lætitia apre la possibilità all’accesso ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia (cfr. Note 336 e 351). Questi a loro volta dispongono la persona a continuare a maturare e a crescere con la forza della grazia.

Come si vede, quanto i Vescovi argentini (e a questo punto il Santo Padre stesso) insegnano è che va da principio tentata la via ordinaria: dunque i comandamenti, dunque i processi canonici, dunque la continenza domestica. Su tutto questo, però, devono prevalere il precetto evangelico di non «legare carichi insostenibili sulle spalle degli uomini» (cf. Lc 11, 46) e il criterio morale della legge della gradualità (Familiaris consortio 34): in breve, se questa coppia oggi non ce la fa a vivere secondo l’ideale indicato dalla Chiesa, occorre sostenere i due perché domani o dopodomani ce la facciano.

Il “pane dei deboli”? Qui va una precisazione importante – troppo spesso disattesa – sulla funzione dei sacramenti nella vita degli uomini. Fermo restando che «Dio non lega la sua grazia ai sacramenti», come insegna san Tommaso, e che dunque può benissimo portare in paradiso persone che non abbiano ricevuto il battesimo sacramentale e lasciare che si dannino uomini e donne battezzati con tutti i crismi; va tuttavia ribadito che i sacramenti, tutti i sacramenti, sono un viatico utile all’uomo «in questa valle di lacrime». Nessuno si stupirà, spero, se ricordiamo che tutti i sacramenti svaniranno definitivamente col giudizio universale (e in larga misura, sebbene individualmente, anche con la morte di chi li ricevette). Come estremizzazione di queste giuste considerazioni si sente talvolta dire – e personalmente l’ho sentito di recente dalle labbra di un meraviglioso missionario in Brasile – che l’eucaristia sarebbe “il pane dei deboli”. Ecco, no: questo è un grave errore. L’espressione è calcata su quella di sant’Agostino, il quale avvertì un giorno in mozione interiore la voce di Cristo che gli diceva: «Io sono il pane dei forti: cresci e mi avrai» (Aug., conf. VII, 10,18). La metafora alimentare è usata fin dai più remoti scritti cristiani, e basta risalire al loro capostipite assoluto – san Paolo – per capire come mai non sia assolutamente possibile parlare del “pane dei deboli”: Vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido, perché non ne eravate capaci. E neanche ora lo siete, perché siete ancora carnali: dal momento che c’è tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera tutta umana? 1 Cor 3, 2-3.

L’arrosto è un cibo nutriente, ma a nessuno sano di mente verrebbe in mente di prepararne per un uomo che stia male… a meno che non sia ormai in via di guarigione e abbia bisogno/possibilità di riprendere rapidamente le forze e tornare alla propria piena autonomia. Lo scriveva meravigliosamente proprio sant’Agostino, individuando una luminosa distinzione mistica tra “debole” e “malato”: Occorre infatti distinguere fra “debole”, cioè privo di forze, e “malato”. Anche il malato è certamente un debole, ma mi sembra che fra il debole in genere e il malato, cioè uno colpito da infermità, ci sia della differenza. Son queste, fratelli, delle distinzioni appena abbozzate. Mettendoci maggiore impegno potremmo, forse, noi stessi approfondirle meglio, come potrebbero fare anche altri più esperti e interiormente illuminati. Per non deludervi sul senso delle parole scritturali, vi esporrò la mia opinione. Quando si tratta di una persona debole, c’è da temere che, capitandole una prova, ne resti schiacciata; nel caso invece di un malato, esso è già affetto da qualche passione disordinata e questa gli impedisce di entrare nella via di Dio e di sottomettersi al giogo di Cristo. Osservate certi uomini intenzionati e già decisi a vivere bene: potreste riscontrare che son meno disposti a subire il male di quanto non lo siano a compiere il bene. Invece la fortezza cristiana comporta non solo la pratica del bene ma anche la pazienza di fronte al male: sicché chiunque è zelante in opere buone (o sembra esserlo), se poi si rifiuta o non è in grado di accettare le tribolazioni che gli sopravvengono, costui è un debole. Quanto invece a quegli altri che, vinti da passioni disordinate, si abbandonano all’amore del mondo e trascurano totalmente le opere buone, costoro giacciono infermi, malati. La malattia li ha svigoriti completamente e non sono in grado di compiere alcun bene. Aug., s. 46, 13

Ecco, tornando alla lettera dei Vescovi argentini, il punto 6 significa esattamente (e solamente) questo: a chi non è ancora in grado di compiere il bene indicato da Familiaris consortio (e fedelmente richiamato dai Padri Sinodali e dal Pontefice) si può, in alcuni casi, fornire la medicina dei sacramenti, che fortifichi lo spirito e corrobori le coscienze. Proprio perché l’eucaristia non è “il pane dei deboli”, essa neppure è “un premio per i perfetti” (e questo mette fuori gioco anche quanti, “irregolari”, vi ambiscono come a un lenitivo socio-ecclesiale per la loro cattiva coscienza): l’eucaristia è “il pane del cammino”, come da secoli e secoli l’innologia latina meravigliosamente canta.

Ecce panis angelorum factus cibus viatorum. Ecco il pane degli angeli divenuto cibo dei viandanti.

Vere panis filiorum, non mittendus canibus! È davvero il pane dei figli: non dev’essere gettato ai cani!

Th. Aq., Lauda Sion

La Comunione resta “il pane dei figli” e non deve essere sprecata con chi non intende vivere da figlio nel Figlio: ma a chi vuole questo, a chi intensamente desidera corrispondere alla volontà salvifica di Cristo, a questi può essere data anche mentre tornano dalla “regione lontana” in cui sono andati a sperperare il patrimonio di casa (cf. Lc 15). È il pane dei viandanti, talvolta stanchi, talvolta lenti, spesso sporchi e di quando in quando smarriti – ma sempre decisamente diretti verso casa.

Tutto questo è stato dettagliatamente spiegato dai Vescovi argentini nella loro nota: i quattro punti che seguono il sesto precisano con ogni cura che non si può intendere questa disposizione «come un accesso “allargato” ai sacramenti, o come se qualsiasi situazione giustificasse questo accesso». Non si tratta di situazioni, cioè di condizioni in cui stare: si tratta di passaggi per cui procedere:

Il discernimento non si conclude, perché «è dinamico e deve rimanere sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno» (303), secondo la «legge della gradualità» (295) e confidando sull’aiuto della grazia.

Per cui, infine, che diremo alla nostra lettrice – alla quale spero di aver dato una risposta esauriente e precisa quanto potevano le mie facoltà – in risposta alla sua domanda? Riassumerei così, con un’immagine in parte già accennata e che può facilmente richiamare alla propria mente, quando le fosse capitato di aver accudito qualcuno – figli, marito, genitori – durante una malattia che «non fosse per la morte» (cf. Gv 11, 4): Nessun medico può dirti, senza entrare in casa tua e senza aver visitato con cura il paziente, quando arriverà il momento opportuno – tra la debolezza totale e il pieno ristabilimento – in cui un ricostituente potrà risultare efficace e perciò consigliabile; Tutti i trattamenti speciali riservati a un malato in vista della sua prossima guarigione sono ovviamente destinati a terminare una volta che il malato sia almeno grossomodo ristabilito.

E ringrazio di cuore la lettrice che ha posto la domanda iniziale: raccogliendo le idee per scrivere queste pagine mi sono reso conto «della solidità degli insegnamenti che ho ricevuto» (cf. Lc 1, 4), capisco perché Papa Francesco abbia voluto autenticare questo carteggio privato con la pubblicazione negli Acta Apostolicæ Sedis e mi sento di dire con lui, riguardo ad Amoris lætitia (che comunque va letta tutta, senza limitarsi a qualche nota del capitolo VIII): «Non c’è altra interpretazione».

Il documento dei Vescovi argentini. Cari sacerdoti,

abbiamo ricevuto con gioia l’esortazione Amoris lætitia che ci spinge in primo luogo a far crescere l’amore degli sposi e a motivare i giovani affinché scelgano il matrimonio e la famiglia. Questi sono i grandi temi che mai dovrebbero essere trascurati né dimenticati a causa di altri problemi. Francesco ha aperto diverse porte nell’ambito della pastorale familiare e siamo chiamati ad approfittare di questo tempo di misericordia e a farlo nostro come Chiesa.

Di seguito ci soffermeremo solo sul capitolo VIII poiché fa riferimento ad “orientamenti del vescovo” (300) in ordine al discernimento sul possibile accesso ai sacramenti di qualche “divorziato che vive una nuova unione”. Pensiamo opportuno, come vescovi di una medesima regione pastorale, avere in comune alcuni criteri di massima. Senza togliere nessuna autorità ai competenti vescovi delle diocesi, che possono precisarli, completarli o adeguarli.

  1. Innanzitutto vogliamo ricordare che non è opportuno parlare di “permesso” per accedere ai sacramenti, ma di un processo di discernimento accompagnati da un pastore. Questo discernimento è «personale e pastorale» (300).

  2. In questo percorso, il pastore deve porre l’accento sull’annuncio fondamentale, il kerygma, che stimoli all’ incontro personale con Gesù Cristo vivo o a rinnovare tale incontro (cfr. 58).

  3. L’accompagnamento pastorale è un esercizio dalla «via caritatis». È un invito a seguire «la via di Gesù, che è quella della misericordia e dell’integrazione» (296). Questo itinerario appella alla carità pastorale del sacerdote che accoglie il penitente, lo ascolta attentamente e gli mostra il volto materno della Chiesa, mentre, contemporaneamente, accetta la sua retta intenzione e il suo buon proposito di leggere la propria vita alla luce del Vangelo e di praticare la carità (cfr. 306).

  4. Questo cammino non finisce necessariamente nell’accesso ai sacramenti, ma può anche orientarsi ad altre forme di integrazione proprie della vita della Chiesa: una maggior presenza nella comunità, la partecipazione a gruppi di preghiera o di meditazione, l’impegno in qualche servizio ecclesiale, etc. (cfr. 299)

  5. Quando le circostanze concrete di una coppia lo rendono fattibile, in particolare quando entrambi sono cristiani con un cammino di fede, si può proporre l’impegno di vivere la continenza sessuale. Amoris lætitia non ignora le difficoltà di questa scelta (cfr. nota 329) e lascia aperta la possibilità di accedere al sacramento della Riconciliazione quando non si riesca a mantenere questo proposito (cfr. nota 364, secondo gli insegnamenti di san Giovanni Paolo II al card. W. Baum, del 22/03/1996).

https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/letters/1996/documents/hf_jp-ii_let_19960322_penitenzieria.html

  1. In altre circostanze più complesse, e quando non si è riusciti a ottenere una dichiarazione di nullità, l’opzione menzionata può non essere di fatto realizzabile. Ad ogni modo, è comunque possibile un cammino di discernimento. Se si arriva a riconoscere che in un caso concreto ci sono limitazioni che attenuano la responsabilità e la colpevolezza (cfr. 301-302), soprattutto quando una persona considera che cadrebbe in un’ulteriore mancanza danneggiando i figli nati dalla nuova unione, la Amoris lætitia apre la possibilità all’accesso ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia (cfr. Note 336 e 351). Questi a loro volta dispongono la persona a continuare a maturare e a crescere con la forza della grazia.

  2. Ma bisogna evitare di capire questa possibilità come un semplice accesso “allargato” ai sacramenti, o come se qualsiasi situazione giustificasse questo accesso. Quello che viene proposto è un discernimento che distingua adeguatamente caso per caso. Per esempio, speciale attenzione richiede «una nuova unione che viene da un recente divorzio» o «la situazione di chi è ripetutamente venuto meno ai propri impegni familiari» (298). O, ancora, quando c’è una sorta di apologia o di ostentazione della propria situazione «come se facesse parte dell’ideale cristiano» (297). In questi casi più difficili, i pastori devono accompagnare le persone con pazienza cercando qualche cammino di integrazione (cfr. 297, 299).

  3. È sempre importante orientare le persone a mettersi in coscienza davanti a Dio, e a questo fine è utile l’«esame di coscienza» che propone Amoris lætitia (cfr. 300), specialmente per ciò che si riferisce a «come ci si è comportati con i figli» o con il coniuge abbandonato. Quando ci sono state ingiustizie non risolte, l’accesso ai sacramenti risulta di particolare scandalo.

  4. Può essere opportuno che un eventuale accesso ai sacramenti si realizzi in modo riservato, soprattutto quando si possano ipotizzare situazioni di disaccordo. Ma allo stesso tempo non bisogna smettere di accompagnare la comunità per aiutarla a crescere in spirito di comprensione e di accoglienza, badando bene a non creare confusioni a proposito dell’insegnamento della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio. La comunità è strumento di una misericordia che è «immeritata, incondizionata e gratuita» (297).

  5. Il discernimento non si conclude, perché «è dinamico e deve rimanere sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno» (303), secondo la «legge della gradualità» (295) e confidando sull’aiuto della grazia.

Siamo innanzitutto pastori. Per questo vogliamo fare nostre queste parole del papa: «Invito i pastori ad ascoltare con affetto e serenità, con il desiderio sincero di entrare nel cuore del dramma delle persone e di comprendere il loro punto di vista, per aiutarle a vivere meglio e a riconoscere il loro proprio posto nella Chiesa» (312).

Con affetto in Cristo.

Giovanni Marcotullio, teologo e saggista Aleteia Italia 25 gennaio 2018

https://it.aleteia.org/2018/01/25/amoris-laetitia-divorziati-risposati-casi-vescovi-argentini/?utm_campaign=NL_it&utm_source=weekly_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it

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OMOFILIA

I matrimoni gay celebrati all’estero vengono riconosciuti in Italia?

Molti italiani, soprattutto prima del riconoscimento di questo diritto, hanno contratto matrimonio all’estero, queste unioni sono valide? Il matrimonio gay, l’unione civile, la decisione di condividere il percorso di vita tra persone dello stesso sesso, che dir si voglia, al pari di ogni altro matrimonio, è una scelta d’amore dei futuri sposi che decidono di intraprendere un cammino comune ma, allo stesso tempo, è anche una forma di tutela per entrambi perché produce diritti e conseguenti doveri giuridici riferiti a tutti gli ambiti dell’esistenza.

Chi ha coronato il proprio sogno in un’altra nazione si domanda: i matrimoni gay celebrati all’estero vengono riconosciuti in Italia?

Unioni civili in Italia. Il riconoscimento ufficiale delle unioni tra persone dello stesso sesso in Italia è avvenuto in seguito all’introduzione della Legge Cirinnà. Dall’unione civile derivano gli obblighi della reciproca assistenza morale e materiale e della coabitazione, inoltre, entrambe le parti sono tenute, ciascuna in base alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni della coppia. Il regime patrimoniale dell’unione civile può essere stabilito concordemente tra le parti e, in assenza di espressa indicazione, si intende quello della comunione dei beni. In caso di morte di uno dei partner permangono una serie di tutele patrimoniali a beneficio di quello superstite.

Tutela giuridica dei partner. Le principali garanzie di cui possono godere le parti di una unione civile riguardano il campo successorio e pensionistico. Al momento della morte di una persona si apre la cosiddetta successione ereditaria, che mira, secondo regole e criteri specifici, ad assicurare la continuità nei rapporti attivi e passivi facenti capo al defunto.

Con la Legge Cirinnà viene operato un passo in avanti, poiché anche ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, essendo parificata dalla legge al coniuge, rientra a tutti gli effetti nella categoria degli eredi, ossia di coloro che possono succedere nel patrimonio del defunto. Si parla, al riguardo, di successione necessaria, perché taluni familiari devono ricevere necessariamente una data quota del patrimonio del defunto, fissata per legge.

In caso di testamento, il defunto può quindi disporre liberamente solo di una parte del patrimonio, la cosiddetta quota disponibile, mentre l’altra parte, la quota di riserva, deve comunque pervenire agli eredi legittimari. E’ evidente come la tutela delle parti dell’unione civile, che fino a ieri in caso di morte del proprio partner potevano essere gratificate soltanto limitatamente alla quota disponibile del patrimonio caduto in successione, risulti rafforzata in maniera decisiva, essendo riservato alle stesse il medesimo trattamento che la legge prevede per il coniuge superstite.

Con riferimento alle indennità e alle pensioni, la Legge Cirinnà prevede che in caso di morte del lavoratore, le indennità siano corrisposte anche al partner dell’unione civile. Tali indennità si riferiscono al recesso senza preavviso, da parte del datore, del contratto di lavoro a tempo indeterminato, nel caso in cui il contratto di lavoro a tempo indeterminato cessi per morte del prestatore di lavoro, e al trattamento di fine rapporto. Ulteriore beneficio esteso ai partner dell’unione civile è la pensione ai superstiti, prestazione economica erogata ai familiari del pensionato o del lavoratore che sia mancato, qualora il beneficiario superstite non sia autosufficiente economicamente o sia stato abitualmente mantenuto dal defunto. Questo è ciò che accade nel nostro Paese ma i matrimoni gay celebrati all’estero vengono riconosciuti in Italia?

La trascrizione del matrimonio gay, o unione civile, in Italia. Il matrimonio gay, o unione civile, celebrato all’estero, se contratto nella piena libertà dei coniugi senza alcuna costrizione e non in violazione del codice civile ha completa validità anche in territorio italiano. Tuttavia, al fine di un generalizzato riconoscimento è necessario provvedere alla trascrizione presso l’Ufficiale di Stato Civile del comune di residenza, portando con sé l’originale del certificato di matrimonio.

In pratica: I matrimoni gay celebrati all’estero acquistano validità in Italia con la trascrizione.

Rossella Blaiotta La legge per tutti 22 gennaio 2018

www.laleggepertutti.it/86077_i-matrimoni-gay-celebrati-allestero-vengono-riconosciuti-in-italia

 

Trascrivibilità diretta del provvedimento di adozione emesso all’estero

Tribunale per i minorenni dell’Emilia e Romagna in Bologna, Decreto n. 4635, 19 dicembre 2017.

www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/18850.pdf

Il provvedimento di adozione di un minore da parte della partner della mamma biologica, emesso da un’autorità giurisdizionale straniera è direttamente trascrivibile dall’Ufficiale di Stato civile Italiano, negli appositi registri ex art.41, co.1, L.218/1995, senza necessità di alcun procedimento, siccome, a norma dell’art.64 e ss. L.218/1995, non è ravvisabile alcun contrasto con l’ordine pubblico secondo la lettura evolutiva della nozione di “constatata impossibilità di affidamento preadottivo” di cui all’art.44, L.184/1983 elaborata dalla Corte di Cassazione con la sentenza 12962/2016.

Carla Nassetti Bologna Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 18850 -27 gennaio 2018

http://divorzio.ilcaso.it/sentenze/ultime/18850/divorzio

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POLITICHE PER LA FAMIGLIA

State progettando di diventare genitori e vi state chiedendo quanto vi spetta di maternità e chi vi pagherà concretamente? Ecco tutte le informazioni utili.

C’è gioia più grande di questa per due persone che si amano e che vogliono mettere al mondo un’altra vita? Diventare padre e madre è il desiderio di molti. E quando il desiderio diventa realtà e davvero ci si ritrova in tre (e perché no anche di più) si devono fare i conti non solo con il cambiamento radicale di vita all’interno della relazione e con le spese future. Ci si deve organizzare anche dal punto di vista lavorativo. Diventare genitori in Italia è un diritto sancito dalla Costituzione [, artt. 29-31]. Da questo diritto inviolabile è nata tutta la legislazione che tutela le madri lavoratrici (e anche i padri lavoratori). Diventare madre o padre comporta infatti il diritto a godere di un congedo di maternità o paternità: un periodo limitato di tempo in cui portare a termine la gravidanza nel modo più sereno e sicuro possibile e crescere il proprio bambino o la propria bambina per i primi mesi di vita, assentandosi da lavoro. E dal momento che non si campa di solo amore, ma pannolini e pappette vanno pur comprati, questo periodo di non lavoro comporta un’indennità. State progettando anche voi la grande avventura di diventare padri e madri, e vi state chiedendo come e chi paga la maternità?

  1. Indennità di maternità: cos’è e cosa comporta? Come dicevamo, siete lavoratrici (o lavoratori) dipendenti o libere professioniste e state progettando di avere un figlio o avete appena avuto la conferma della gravidanza. Bene, sappiate che per diritto [D. L. n. 151, 26 marzo 2001] vi spetta un periodo di astensione dal vostro lavoro: il congedo di maternità, un lasso di tempo che va dai due mesi prima della presunta data del parto fino a tre mesi di età del bambino o bambina nato (in gravidanza e puerperio). Ad eccezione di casi particolari, come può essere una gravidanza a rischio, in base ai quali è il medico della Asl a stabilire che potete iniziare il vostro congedo anche prima di quel periodo; oppure il caso particolare in cui potete scegliere di lavorare fino all’ottavo mese di gravidanza (inizio del congedo un mese prima della presunta data del parto) per poi restare a casa per quattro mesi successivi alla nascita del bambino. Durante il congedo avete diritto a percepire un’indennità: un contributo statale che sostituisce a tutti gli effetti il vostro salario e che vi viene corrisposto proprio perché in quel periodo di assenza da lavoro non avete la possibilità di percepire stipendio. Lo Stato quindi vi tutela come lavoratrici e come future madri. Avete diritto al congedo, e quindi all’indennità, anche nel caso di un’interruzione involontaria di gravidanza (dal 180esimo giorno).

  2. Quanto spetta di indennità? Il contributo economico che percepirete durante il congedo corrisponderà all’80% della vostra retribuzione (riferita all’ultima mensilità). A cui si deve anche aggiungere la tredicesima ed eventuali premi stabiliti dal vostro contratto. Ovviamente tutto deve essere calcolato ai fini pensionistici. Qualora si volesse prolungare un po’ di più il periodo di maternità (nei termini della legge), potete chiedere un ulteriore periodo di astensione da lavoro per stare a casa con vostro figlio. Si chiama congedo parentale (o maternità facoltativa) e in termini di retribuzione però è decisamente più penalizzante: l’indennità in questo periodo corrisponderà solo al 30 per cento della vostra retribuzione. Lo potete chiedere entro i 12 anni di vita del bambino e per un periodo complessivo che non può superare i 10 mesi per entrambi i genitori.

  3. Indennità di maternità: chi la paga? Essendo appunto un contributo statale, è lo Stato che si occupa di sborsare i soldi per pagare l’indennità di maternità alle future mamme. Di fatto quindi spetta all’Inps. Solitamente però l’indennità viene anticipata in busta paga alle lavoratrici o ai lavoratori in congedo dal datore di lavoro, che in seguito si occuperà di comunicare all’Inps quanto ha corrisposto e l’Istituto lo rimborserà. Il datore di lavoro anticipa per conto dell’Inps l’indennità, e in seguito questa somma gli verrà rimborsata. In alcuni casi tuttavia è direttamente l’Inps a pagare l’indennità. Ecco in quali:

  1. Lavoratrici stagionali

  2. Operaie agricole a tempo determinato

  3. Lavoratrici dello spettacolo a termine

  4. Addette ai servizi domestici e familiari (le colf e le badanti)

  5. Lavoratrici disoccupate o sospese

  6. Lavoratrici con contratti parasubordinati iscritte alla gestione separata Inps

  7. Lavoratrici autonome e libere professioniste iscritte alla gestione separata Inps

  8. Lavoratrici con contratti di collaborazione occasionale

  9. Lavoratrici assicurate exIpsema (settore marittimo)

In questi casi l’Inps paga le lavoratrici in due modi, a seconda della scelta che la persona fa: tramite bonifico presso l’ufficio postale oppure tramite accredito sul conto corrente bancario o postale.

  1. Congedo di maternità: a chi spetta? e la relativa indennità:

  1. Lavoratrici dipendenti assicurate all’Inps con regolare contratto di lavoro subordinato: indeterminato, determinato, apprendistato, part-time

  2. Lavoratrici disoccupate o sospese, se in presenza di almeno una delle seguenti condizioni

  3. Inizio congedo entro sessanta giorni dall’ultimo giorno di lavoro

  4. Inizio congedo oltre i sessanta giorni ma con diritto di indennità di disoccupazione, cassa integrazione o mobilità

  5. Lavoratrici agricole a tempo determinato, a cui è richiesta l’iscrizione per almeno 51 giornate di lavoro agli elenchi nominativi delle braccianti nell’anno di inizio congedo

  6. Lavoratrici agricole a tempo indeterminato

  7. Lavoratici addette ai servizi domestici e familiari (colf e badanti), a cui sono richiesti almeno 52 contributi settimanali nei due anni che precedono l’inizio congedo oppure 26 contributi settimanali nell’anno precedente l’inizio congedo.

  8. Lavoratrici a domicilio

  9. Lavoratrici Lsu e Apu (lavori socialmente utili e di pubblica utilità)

  10. Lavoratici autonome o libere professioniste iscritte alla gestione separata Inps

  11. Lavoratrici con forme di contratti parasubordinati iscritte alla gestione separata Inps

Chiara Arroi La legge per tutti 23 gennaio 2018

www.laleggepertutti.it/185979_inps-chi-paga-la-maternita

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI

Il sito web dell’UCIPEM ha pubblicato recentemente saggi di:

  • Giuseppe Cesa. Vissuti di tristezza nelle festività:… è qui la festa?

Sulla funzione materna.

  • Riccardo Prandini. Le problematiche legate all’eccessiva libertà sessuale e sentimentale.

  • Paolo Breviglieri. In gruppo per sviluppare la resilienza: l’esperienza di “Viaggiare Nella Tempesta”.

www.ucipem.com/it

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ZIBALDONE

Se una donna ha queste 14 qualità, non devi lasciarla andare (secondo gli scienziati)

L’Independent ha confrontato diversi studi e, in base ai loro risultati, ha stilato la lista. Gli scienziati di tutto il mondo hanno trascorso migliaia di ore a cercare di capire quali sono le qualità necessarie per creare una relazione felice e duratura. L’Independent ha confrontato i diversi studi e, in base ai loro risultati, ha stilato una lista delle 14 qualità che secondo la scienza fanno di una donna la partner perfetta.

  1. È più intelligente di te. Lawrence Whalley, professore emerito della University of Aberdeen, ha scoperto che avere a fianco una donna intelligente può proteggere un uomo dalla demenza. “Sposate una donna intelligente”, è il suo consiglio. La relazione sarà quotidianamente stimolante, apprenderai da lei e a tua volta sarai spinto a sapere di più, mantenendo la mente in allenamento.

  2. È onesta. Secondo diverse ricerche, per le relazioni a lungo termine gli uomini preferiscono avere al loro fianco partner oneste, che non siano pronte ad assecondarli su qualsiasi capriccio, a dar loro ragione anche quando hanno torto, solo per compiacerli. Dissentire, dire la verità, essere oneste aiuta l’altro a crescere, imparando dai propri errori.

  3. È positiva. La negatività è tossica, in grado di infettare un rapporto e di renderti a tua volta negativo. Per questo sarebbe meglio evitare le personalità che tendono a essere troppo pessimiste, a vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto. Secondo uno studio compiuto dalla psicologa Elaine Hatfield, questa negatività può portare a un aumento della frequenza cardiaca, impedisce la digestione e riduce la concentrazione.

  4. Scende a compromessi. Due persone diverse, due teste diverse. Essere sempre in simbiosi con il proprio partner, sempre d’accordo su tutto, è praticamente impossibile, per questo è importante non impuntarsi sempre sulle proprie scelte, essere coscienti del fatto che si è in due ed è giusto ascoltare anche l’altro. Lo conferma un esperimento effettuato dagli psicologi della University of California, che hanno analizzato i comportamenti di 172 coppie sposate da 11 anni, giungendo a una semplice conclusione: “Se la relazioni ha delle difficoltà, sii pronto a fare dei sacrifici, a scendere a compromessi, se ci tieni a mandarla avanti”.

  5. Ride delle tue battute. Scherzare insieme, avere lo steso senso dell’umorismo, è linfa vitale per un rapporto. Uno studio del 2006 degli psicologi della Westfield State University ha rilevato che per gli uomini è più importante che per le donne avere un partner che ride delle sue battute.

  6. Parla a cuore aperto. Uno studio dell’Università di Westminster suggerisce che le persone che parlano a cuore aperto e condividono con gli altri informazioni personali, sono considerate particolarmente attraenti. Per gli autori dello studio si tratta di una caratteristica fondamentale, in grado di condizionare il modo in cui giudichiamo il partner fisicamente e il modo in cui possiamo sentirci attratti da lei.

  7. Supporta i tuoi obiettivi e persegue i suoi. Nel suo libro “Perché gli uomini intelligenti sposano donne intelligenti”, Christine C. Whelan smentisce, statistiche alla mano, che donne di successo, ben istruite e con alti guadagni, non si sposano meno spesso delle altre. I vantaggi, ricordati nel libro, sono molteplici: ti motiverà a far meglio, non dipenderà da te e non avrà bisogno di ricevere tue conferme per sentirsi soddisfatta.

  8. Ha un buon rapporto con i suoi genitori. Il detto è noto: se vuoi sapere come sarà il tuo partner tra 30 anni, guarda i suoi genitori. Se vuoi sapere come ti tratterà tra 30 anni, guarda come tratta i suoi genitori adesso. Lo conferma lo studio dei ricercatori dell’Università di Alberta, che hanno intervistato 2970 persone di diverse età, trovando una chiara correlazione tra la relazione avuta con i genitori negli anni dell’adolescenza e la loro vita amorosa. Questo non significa che una negativa relazione con i genitori debba sempre essere perfetta. Stare al fianco della partner che ha problemi nella relazione con i genitori, aiutare a risolvere i suoi problemi, può rafforzare e rendere più intimo un rapporto.

  9. È gentile. Lo psicologo John Gottmann, dell’Università di Washington, 40 anni fa ha iniziato una ricerca sulle donne sposate, riscontrando come gentilezza e generosità possano garantire una relazione lunga e felice. Dire “grazie” e “prego”, non essere gratuitamente scontrosi, favorisce un rapporto più disteso e duraturo.

  10. Rimane calma durante i litigi e riesce a calmarti. Impossibile non litigare mai, non confrontarsi in maniera accesa, non essere in disaccordo. Scontrarsi non significa che il proprio rapporto è in crisi, l’importante è essere in grado di gestire questi momenti in maniera adeguata, senza trasformali in punti di rottura. I ricercatori dell’Università della California Berkeley e della Northwest University hanno analizzate 80 coppie per 13 anni e hanno scoperto che un rapporto può durare più a lungo se la donna è in grado di calmarsi durante il litigio e riesce a trasferire la calma sull’uomo. L’effetto non sarà lo stesso se sarà l’uomo il primo a calmarsi.

  11. Fa cose folli con te. Uno studio dell’Università del Michigan ha analizzato 4864 persone sposate e ha dimostrato che le coppie felici sono quelle che bevono alcol insieme. Chiaramente lo studio non è un invito a esagerare con gli alcolici, né suggerisce che gli alcolizzati siano coppie felici. Il punto è un altro: la condivisione.

  12. Ha una vita propria. La condivisione è importante, ma altrettanto importante è avere degli spazi propri. La vita di coppia deve coesistere assieme a quella dei singoli. Lo ha dimostrato uno studio dell’Università del Michighan: “Quando i partner hanno amici propri, propri interesse, quando riescono a definirsi a prescindere dalla loro relazione, li rende felici e meno annoiati”.

  13. Accetta i tuoi difetti. La psicologa Terry Orbuch, nella sua rubrica su HuffPost, ha spiegato che un partner che ha sempre da ridire – per il modo di vestire, per il taglio di capelli, per l’atteggiamento evitabile – sono destinate a essere tossiche e a non durare a lungo.

  14. Non porta rancore. Uno studio condotto dai ricercatori del Luther Collere, della Duke University ha dimostrato che le persone in grado di perdonare vivono più a lungo e hanno relazioni sane. L’importante è essere consapevoli che la perfezione non sta da nessuna delle due parti, entrambi sbaglierete e quando sarà il vostro turno di esser vittima di un errore, ricordate quando è toccato a voi, e perdonate.

Huffington Post 24 gennaio 2018

http://www.huffingtonpost.it/2018/01/24/se-una-donna-ha-queste-14-qualita-non-devi-lasciarla-andare-secondo-gli-scienziati_a_23341952/?ref=nl-huff

 

Le 9 qualità che, se riscontrate in un uomo, devono convincere a non lasciarlo andare.

  1. È intelligente. Avere a che fare con un uomo molto intelligente, potrebbe portare a sentirsi intimiditi da lui, ma è bene mettere da parte questa inibizione. Uno studio della Hanken School of Economics in Finlandia suggerisce che gli uomini più intelligenti siano meno inclini a tradire, ma maggiori di sposarsi e non divorziare.

  2. Ti fa ridere. Ridere insieme è una caratteristica fondamentale delle coppie più solide. Condividere lo stesso senso dell’umorismo, poi, garantisce una maggiore complicità, che aiuterà nel tempo il rapporto a solidificarsi e a durare più a lungo. Uno studio ha dimostrato che gli uomini hanno maggiori probabilità di avere successo con una donna se hanno senso dell’umorismo.

  3. Sostiene attivamente la tua carriera. Avere accanto una persona che ti spinge a coltivare le tue aspirazioni, è spesso la spinta decisiva che serve per migliorarsi e non lasciarsi andare nei momenti più bui. Uno studio ha rivelato che i mariti influenzano in maniera decisiva la decisione delle donne di abbandonare il proprio lavoro, spesso perché ritengono debbano dedicarsi ai figli.

  4. Fa degli sforzi con la tua famiglia e amici, così come tu con i suoi. Quando si intraprende una relazione con un partner il rischio è di far terra bruciata intorno: ridurre la vita sociale e abbandonare le amicizie che hanno accompagnato del corso della vita. Nonostante l’entusiasmo e l’amore, è bene non lasciare che ciò accada. I benefici saranno molteplici, anche all’interno della propria relazione.

  5. Ha un’intelligenza emotiva. Per una relazione sana, è essenziale che anche il partner maschio possegga un’intelligenza emotiva, sia cioè riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni: una caratteristica spesso attribuita alle donne.

  6. Rispetta le tue opinioni e ascolta ciò che hai da dire. Essere convinti di avere sempre ragione, non lasciar spazio alle opinioni altrui, tentare sempre di sovrastare l’altro, sono comportamenti in grado di rendere tossica una relazione. Attenzione, dunque, ai segnali: secondo il dottor John Gottman, se un uomo rifiuta di ascoltare una donna, ha problemi con il potere e ha voglia di primeggiare a tutti i costi.

  7. È disposto a dare il massimo. Uno studio del Texas ha dimostrato che non è la carenza di compatibilità a generare il fallimento di una storia, ma spesso il modo in cui viene impostata la relazione e ci si spende per farla funzionare. Se tu o il tuo partner siete sempre alla ricerca di qualcosa di meglio, anziché impegnarvi a rendere la vostra relazione duratura, potrebbe non essere un buon auspicio.

  8. Celebra i tuoi risultati. I complimenti sono sempre graditi, soprattutto se giungono al termine di un lavoro e di un impegno. Non solo perché aiutano a stare meglio e gratificano dopo gli sforzi. Secondo uno studio pubblicato su The Journal of Personality and Social Psychology le coppie che si scambiano vicendevoli complimenti, sono destinati ad avere relazioni più durature.

  9. Condivide i tuoi valori. Per stare bene insieme non è necessario esser uguali, il rapporto potrebbe alla lunga diventare noioso. Tuttavia, non vale neanche il contrario: scontrarsi su ogni cosa. È necessario che ci siano dei punti in comune, soprattutto su questioni ritenute importanti, come i valori.

www.huffingtonpost.it/2018/01/28/se-un-uomo-ha-queste-9-qualita-non-lasciarlo-andare-secondo-gli-scienziati_a_23345716

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