NewsUCIPEM n. 683 –7 gennaio 2018

NewsUCIPEM n. 683 –7 gennaio 2018

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

ucipem@istitutolacasa.itwww.ucipem.com

Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

“News” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali. Sono così strutturate:

  • Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.

  • Link diretti e link per download a siti internet, per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto delle news è liberamente riproducibile citando la fonte.

Per visionare i numeri precedenti, dal n. 534 andare su:

http://ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=category&id=84&Itemid=231

In ottemperanza alla direttiva europea sulle comunicazioni on-line (direttiva 2000/31/CE), se non desiderate ricevere ulteriori news e/o se questo messaggio vi ha disturbato, inviateci una e-mail all’indirizzo: newsucipem@gmail.comcon richiesta di disconnessione.

Chi desidera connettersi invii a newsucipem@gmail.com la richiesta indicando nominativo e-comune d’esercizio d’attività, e-mail, ed eventuale consultorio di appartenenza.

[invio a 1.604 connessi]

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

01 ABBANDONO CASA CONIUGALE Il giudice può obbligare a tornare a casa dalla moglie?

03 ADOZIONI INTERNAZIONALI Idoneità: è così difficile per l’Italia fare come il resto d’Europa?

04 AMORIS LÆTITIA Verità immutabili riguardo al matrimonio sacramentale.

07 Tre vescovi kazaki: “L’applicazione di Al diffonde il divorzio”.

08 ANONIMATO Le adozioni e la scelta dell’anonimato.

09 ASSEGNO DIVORZILE Assegno di divorzio all’ex sfrattata.

10 ASSEGNO DI MANTENIMENTO Quando e come chiedere all’ex moglie e l’assegno di divorzio.

11 CENTRO GIOVANI COPPIE. MILANO Il libero ascolto dell’altro.

11 CHIESA CATTOLICA Quei conservatori che fanno gli esami di dottrina a Ratzinger.

12 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Milano1-La casa news. N. 3 dicembre 2017. Corsi e gruppi.

13 Roma1 – via della Pigna. Corsi-Seminari-Laboratori 2018.

14 DALLA NAVATA Battesimo del Signore – Anno B – 7 gennaio 2018.

14 Tu sei il Figlio mio, l’amato. Commento di Enzo Bianchi.

16 FISCO Così il nostro fisco penalizza chi è genitore.

17 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Calo demografico. «Serve un patto per la natalità».

18 HUMANÆ VITÆ “Contraccezione? In certi casi un dovere”. Svolta in Vaticano.

20 MORALE CATTOLICA Chi ha fatto la fecondazione assistita può ricevere la Comunione.

20 POLITICHE PER LA FAMIGLIA Famiglia: tutti i bonus 2018.

21 Natalità. Aiuti ai figli, ecco le vere differenze tra Italia e Francia.

23 SESSUOLOGIA L’amore a prima vista non esiste: è solo desiderio o un falso ricordo.

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ABBANDONO DELLA CASA CONIUGALE

Il giudice può obbligare a tornare a casa dalla moglie?

Abbandono del tetto coniugale: quali conseguenze, civili e penali, per l’uomo che lascia la moglie e non vuol più far ritorno? Il marito va via di casa e lascia la moglie da sola: al di là di quali siano le ragioni, la legge punisce questo comportamento tutte le volte in cui non è determinato da una grave situazione di intollerabilità della convivenza.

Solo quando ci sono le prove di una conclamata rottura tra i coniugi, intervenuta già prima dell’uscita di casa, è possibile l’abbandono del tetto coniugale. Diversamente si commette un illecito civile (e, a determinate condizioni, anche un reato) che comporta la possibilità di chiedere la «separazione con addebito». Con la conseguenza che, se ad andarsene è chi ha un reddito più basso, non può poi chiedere il mantenimento (è tutta qui la caratteristica del cosiddetto addebito). È quindi verosimile che, in una situazione in cui sia l’uomo ad andare via di casa, la moglie agisca contro di lui in tribunale per chiedere la separazione. Ma il giudice può obbligare a tornare a casa della moglie? Cosa può succede in caso di giudizio?

Cos’è l’abbandono del tetto coniugale. Se il marito o la moglie se ne va via di casa, lasciando il coniuge da solo, commette l’illecito comunemente denominato «abbandono del tetto coniugale»: esso integra una violazione dei doveri del matrimonio, tra i quali appunto vi è la convivenza e la reciproca assistenza morale e materiale. Dunque non è tanto un discorso solo fisico, di coabitazione sotto lo stesso tetto, quanto anche il fatto che, andando a vivere da un’altra parte, il coniuge non può prendersi cura moralmente ed economicamente dell’altro, contribuendo a quella parte di compiti che il matrimonio comporta in campo sia al marito che alla moglie.

Attenzione: perché scatti l’abbandono del tetto coniugale è necessario che chi si allontana dalla casa non vi faccia ritorno almeno per un lasso di tempo lungo; un allontanamento temporaneo, per due o tre giorni, magari giustificato da una lite furibonda, non è illecito. La fuga da casa, giustificata con la volontà di separarsi perché non si è più innamorati, anche se anticipata da una lettera è ugualmente vietata dalla legge, salvo che – come detto prima – il motivo sia da addebitare a cause imputabili all’altro coniuge (per esempio: sue gravi mancanze).

Quali sono le conseguenze dell’abbandono del tetto coniugale? La prima conseguenza per chi abbandona il coniuge è quella di subire il cosiddetto addebito. In pratica, nell’esempio da cui siamo partiti, la moglie può rivolgersi al giudice e chiedere la separazione con imputazione, al marito, della colpa per la rottura dell’unione. Ciò comporta per quest’ultimo:

  • L’impossibilità di chiedere l’assegno di mantenimento se economicamente più debole (resta il diritto a ricevere gli alimenti in caso di situazione di grave indigenza);

  • La perdita del diritto di successione in caso di morte della moglie prima del divorzio.

Oltre all’illecito civile si può anche commettere un reato e, quindi, subire una denuncia da parte della moglie abbandonata. Infatti, se il coniuge che va via di casa fa cessare all’altro i mezzi di sostentamento, privandolo ad esempio, in quanto disoccupato, dei redditi necessari per mantenere sé, i figli e l’immobile, commette anche il reato di violazione degli obblighi familiari.

www.laleggepertutti.it/125530_abbandono-tetto-coniugale-se-il-marito-o-la-moglie-va-via-di-casa

In particolare, commette reato chi esce dalla casa coniugale:

  • Con la volontà di non farvi ritorno almeno per un lungo lasso di tempo. Un allontanamento temporaneo non è idoneo ad integrare il reato;

  • Se tale comportamento ha come conseguenza cosciente e volontaria il mancato adempimento degli obblighi di assistenza inerenti alla qualità di coniuge. Il sottrarsi a tali obblighi è considerato evento dannoso indispensabile per la sussistenza del delitto in oggetto.

Risponde del reato anche chi, dopo aver lasciato la casa coniugale, continua a somministrare i mezzi di sussistenza, ma si disinteressa completamente della moglie e dei figli, rendendosi quindi inadempiente agli obblighi morali inerenti alla qualità di coniuge e di genitore.

Il giudice può obbligare il marito a tornare a casa dalla moglie? Rispondiamo ora al quesito iniziale, se cioè il giudice può obbligare a tornare a casa dalla moglie. Nel nostro ordinamento raramente le autorità hanno poteri coercitivi di natura fisica. Nessuno può essere obbligato a fare qualcosa che non vuole, anche se sta commettendo un illecito. In pratica, ciascun cittadino è libero di fare ciò che vuole (anche illecita) assumendosene però le responsabilità e quindi dovendo poi accettare le relative conseguenze di carattere sanzionatorio (civile, penale o amministrativo). Salvo nel caso di commissione di reati che comportino l’arresto e di qualche altra rara ipotesi, la libertà personale è inviolabile. Quindi se il marito se ne va via di casa nessuna pronuncia del giudice potrà imporgli di tornare dalla moglie, ma tutt’al più lo condannerà a pagare gli alimenti e, in caso, gli addebiterà le conseguenze penali della sua condotta. Ma resta ferma la sua libertà di non far più ritorno nel tetto domestico.

Lo stesso problema si è posto con riferimento agli ex coniugi, già separati, che non vanno d’accordo e i cui frequenti litigi creano problemi psicologici nei figli; ci si è chiesto se il giudice può obbligare loro a una terapia di coppia. La risposta della Cassazione (in controtendenza dal tribunale di Roma) è stata negativa. Secondo la Suprema Corte, solo la legge può imporre trattamenti sanitari, mentre il giudice non può costringere i genitori – benché immaturi – a recarsi dallo psicologo per imparare a gestire i figli. Questo non toglie che il magistrato possa suggerire l’opportunità di un percorso guidato congiunto e/o individuale, ma nessuna sanzione può derivare dalla mancata ottemperanza all’indicazione del tribunale. La prescrizione ai genitori di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e a un percorso di sostegno alla genitorialità da seguire insieme – dice la Suprema Corte – è lesiva del diritto alla libertà personale garantito dalla Costituzione.

Quando è possibile abbandonare la moglie. Sono due i casi in cui l’abbandono del tetto coniugale non costituisce illecito:

  • Se la coppia era già in crisi irreversibile: in tal caso non si potrà certo dire che la rottura del legame è stata determinata dall’abbandono della casa. La giurisprudenza ha infatti chiarito che l’addebito scatta solo per quelle condotte che sono causa dell’intollerabilità della convivenza e non che sono il riflesso di situazioni preesistenti. Anche il tradimento, in una situazione di coppia già compromessa, non è vietato;

  • Oppure in presenza di una giusta causa che spinga fuori di casa uno dei due coniugi: determinata da avvenimenti o comportamenti di altri (dell’altro coniuge o di suoi familiari) incompatibili con il protrarsi della convivenza (ad esempio, violenze commesse da uno dei coniugi ai danni dell’altro);

  • Se è già stata depositata in tribunale una domanda di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio.

Redazione La Legge per tutti 7 gennaio 2018

www.laleggepertutti.it/190167_il-giudice-puo-obbligare-a-tornare-a-casa-dalla-moglie

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ADOZIONI INTERNAZIONALI

Adozione internazionale e idoneità delle coppie: è così difficile per l’Italia fare come il resto d’Europa?

Una particolarità che non ha eguali nei sistemi di gestione degli iter adottivi del Vecchio Continente costringe le famiglie italiane che vogliono adottare a doversi sottoporre al giudizio di un giudice che decide se i due coniugi sono ‘idonei’ nel compito di prendersi cura di un bambino abbandonato

Che cosa succede nel resto d’Europa? A partire dall’anno 2000, le procedure di adozione internazionale si svolgono in Italia sotto la competenza di una autorità creata appositamente: la Commissione per le Adozioni Internazionali. Si tratta di una Autorità c.d. ‘centrale’ che esiste in ogni paese che ha ratificato la ‘Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale’, fatta a l’Aja il 29 maggio 1993. Nel nostro Paese la scelta è stata quella di un’Autorità formata da membri che rappresentano diversi Ministeri e che funziona presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Fin qui, nulla di nuovo per chi mastica un po’ della materia.

Quello che forse sfugge è la macchinosità del sistema italiano all’indomani della legge 476/1998, con cui l’Italia ha ratificato la Convenzione. Tra i vari soggetti che intervengono nell’iter adottivo è rimasto il Tribunale per i Minorenni che, chiaramente, si occupava delle adozioni internazionali anche in passato, ma il cui ruolo, nel sistema della Convenzione, risulta meno comprensibile.

L’intervento dei Tribunali per i Minorenni italiani è previsto sia all’inizio dell’iter di adozione internazionale, per rilasciare il ‘certificato’ di idoneità, sia alla fine per dichiarare ufficialmente avvenuta l’adozione e ordinarne la registrazione nei registri dello Stato civile.

Il primo passo da compiere per i coniugi che vogliono adottare un minore straniero è quindi la richiesta al Tribunale per i Minorenni di una valutazione sulla propria idoneità: il Tribunale, attraverso un iter che vede l’intervento dei servizi sociali territoriali, deve pronunciarsi sulla sussistenza o meno di tale idoneità con apposito decreto (art. 30 comma 1 della legge n. 184/1983 e successive modifiche). Il decreto di idoneità in Italia è dunque un provvedimento c.d. ‘giurisdizionale’, pronunciato cioè da un Tribunale.

Ebbene, non accade lo stesso nel resto d’Europa. Infatti, negli altri Paesi a noi vicini la dichiarazione di idoneità degli adottanti viene fatta con provvedimento amministrativo, essendo come ovvio, nella sostanza, una dichiarazione di competenza dei Servizi Sociali.

Così, ad esempio, i francesi presentano la domanda di idoneità ai Servizi di ‘Aide Sociale à l’Enfance (ASE)’; i tedeschi possono essere valutati dall’ufficio centrale per le adozioni, dai servizi regionali del welfare e della gioventù e dagli enti autorizzati; per i greci l’idoneità è rilasciata dagli operatori sociali del servizio regionale della sanità; per gli olandesi le valutazioni delle coppie (‘study report’) sono fatte dal ‘Child Care and protection Board’, che è un dipartimento ministeriale; in Portogallo la valutazione degli aspiranti genitori adottivi e l’emissione certificato di idoneità sono di competenza di appositi servizi pubblici dell’adozione; in Spagna, a parte le differenze tra le varie comunità autonome, la competenza per la dichiarazione di idoneità è delle Autorità centrali regionali che corrispondono agli organismi pubblici di protezione dei minori; per gli svedesi la preparazione e verifica delle coppie è fatta dagli operatori dei servizi sociali presso i servizi municipali.

E così via in tutti i Paesi europei, con la sola eccezione di Italia e Belgio, seppure con alcune differenze a seconda dell’organizzazione interna di ciascun paese. Ovviamente, in tutti questi casi, le relazioni e valutazioni sono di competenza di operatori esperti psico-sociali all’interno di équipe pluridisciplinari.

Perché, invece, in Italia resiste la frammentazione di competenze tra Tribunali per i Minorenni e Servizi socio-assistenziali degli Enti locali? La composizione speciale delle Corti minorili, con giudici onorari accanto a quelli togati, non è evidentemente sufficiente a svolgere il delicato compito di accompagnare la coppia nel percorso adottivo, tant’è vero che il Tribunale incarica sostanzialmente i Servizi Sociali dell’intero lavoro curandosi di dichiarare se la coppia è idonea o meno in base al lavoro svolto dai Servizi. In questo quadro, non convince del tutto la giustificazione secondo cui il Tribunale per i Minorenni si pronuncia anche sui requisiti formali della legge: perfino i limiti e la differenza di età tra adottandi e adottando, stabiliti con legge ordinaria, vengono applicati con prassi e ragionamenti variabili senz’altro atipici rispetto al funzionamento di un organo giurisdizionale legato al rispetto del dato normativo.

Resta anche incomprensibile il doppio controllo della sentenza straniera di adozione da parte dei Tribunali per i Minorenni italiani, dopo che il minore ha fatto ingresso in Italia con la famiglia, in base a tutte le verifiche e autorizzazioni delle autorità centrali dei due Paesi (e comunque di quella italiana per i bambini adottati in Paesi ‘non-Aia’).

L’espressione dell’”ultima parola” che il Tribunale per i Minorenni esprime all’inizio e al termine della procedura adottiva su attività compiute da altri soggetti fa pensare più al mantenimento di un ruolo, o ‘status’, piuttosto che a una partecipazione sostanziale, ed è sicuramente un passo indietro contraddittorio e di difficile comprensione per un Paese che ha ratificato una specifica Convenzione internazionale, essendo le Convenzioni internazionali concepite proprio come strumenti tesi a fissare regole e prassi comuni per facilitare le procedure anziché complicarle.

Come avviene per tutte le altre sentenze straniere, dopo la riforma di diritto internazionale privato con legge 218/1995, ben potrebbe essere stabilita la regola generale del riconoscimento automatico delle sentenze e dei provvedimenti stranieri di adozione in presenza di determinate condizioni e dei controlli già previsti da parte della CAI e degli Enti autorizzati.

News AI. Bi. 5 gennaio 2018

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-idoneita-delle-coppie-cosi-difficile-litalia-resto-deuropa

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

AMORIS LÆTITIA

Professione delle verità immutabili riguardo al matrimonio sacramentale

Dopo la pubblicazione dell’Esortazione Apostolica “Amoris lætitia” (2016) vari vescovi hanno emanato a livello locale, regionale e nazionale norme applicative riguardanti la disciplina sacramentale di quei fedeli, detti “divorziati risposati”, i quali, vivendo ancora il loro coniuge al quale sono uniti con un valido vincolo matrimoniale sacramentale, hanno tuttavia iniziato una stabile convivenza more uxorio con una persona che non è il loro coniuge legittimo.

Le norme menzionate prevedono tra l’altro che in casi individuali le persone, dette “divorziati risposati”, possano ricevere il sacramento della Penitenza e la Santa Comunione, pur continuando a vivere abitualmente e intenzionalmente more uxorio con una persona che non è il loro coniuge legittimo. Tali norme pastorali hanno ricevuto l’approvazione da parte di diverse autorità gerarchiche. Alcune di queste norme hanno ricevuto l’approvazione persino da parte della suprema autorità della Chiesa.

La diffusione di tali norme pastorali, ecclesiasticamente approvate, ha causato una notevole e sempre più crescente confusione tra i fedeli e il clero, una confusione che tocca le centrali manifestazioni della vita della Chiesa, quali sono il matrimonio sacramentale con la famiglia, la chiesa domestica e il sacramento della Santissima Eucaristia.

Secondo la dottrina della Chiesa solamente il vincolo matrimoniale sacramentale costituisce una chiesa domestica (cf. Concilio Vaticano Secondo, Lumen gentium, 11). L’ammissione dei fedeli cosiddetti “divorziati risposati” alla Santa Comunione, che è la massima espressione dell’unità di Cristo-Sposo con la Sua Chiesa, significa nella pratica un modo d’approvazione o di legittimazione del divorzio, e in questo senso una specie di introduzione del divorzio nella vita della Chiesa.

Le menzionate norme pastorali si rivelano di fatto e col tempo come un mezzo di diffusione della “piaga del divorzio”, un’espressione usata dal Concilio Vaticano Secondo (cf. Gaudium et spes, 47). Si tratta di una diffusione della “piaga del divorzio” persino nella vita della Chiesa, quando la Chiesa, invece, dovrebbe essere, a causa della sua fedeltà incondizionata alla dottrina di Cristo, un baluardo e un inconfondibile segno di contraddizione contro la piaga ogni giorno più dilagante del divorzio nella società civile.

In modo inequivoco e senza ammettere nessuna eccezione Nostro Signore e Redentore Gesù Cristo ha solennemente riconfermato la volontà di Dio riguardo al divieto assoluto del divorzio. Un’approvazione o legittimazione della violazione della sacralità del vincolo matrimoniale, seppure indirettamente tramite la menzionata nuova disciplina sacramentale, contraddice in modo grave l’espressa volontà di Dio e il Suo comandamento. Tale pratica rappresenta perciò un’alterazione sostanziale della bimillenaria disciplina sacramentale della Chiesa. Inoltre, una disciplina sostanzialmente alterata comporterà col tempo anche un’alterazione nella corrispondente dottrina.

Il costante Magistero della Chiesa, cominciando dagli insegnamenti degli Apostoli e di tutti i Sommi Pontefici, ha conservato e fedelmente trasmesso sia nella dottrina (nella teoria) sia nella disciplina sacramentale (nella pratica) in modo inequivoco, senza alcuna ombra di dubbio e sempre nello stesso senso e nello stesso significato (eodem sensu eademque sententia) il cristallino insegnamento di Cristo riguardo all’indissolubilità del matrimonio.

A causa della sua natura Divinamente stabilita, la disciplina dei sacramenti non deve mai contraddire la parola rivelata di Dio e la fede della Chiesa nell’indissolubilità assoluta del matrimonio rato e consumato. “I sacramenti non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati sacramenti della fede” (Concilio Vaticano Secondo, Sacrosanctum Concilium, 59). “Neppure l’autorità suprema nella Chiesa può cambiare la liturgia a sua discrezione, ma unicamente nell’obbedienza della fede e nel religioso rispetto del mistero della liturgia” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1125). La fede cattolica per sua natura esclude una formale contraddizione tra la fede professata da un lato e la vita e la pratica dei sacramenti dall’altro. In questo senso si può intendere anche la seguente affermazione del Magistero: “La dissociazione tra la fede che si professa e la vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo” (Concilio Vaticano Secondo, Gaudium et spes, 43) e “la pedagogia concreta della Chiesa deve sempre essere connessa e non mai separata dalla sua dottrina” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 33).

In vista dell’importanza vitale che costituiscono la dottrina e la disciplina del matrimonio e dell’Eucaristia, la Chiesa è obbligata a parlare con la stessa voce. Le norme pastorali riguardo all’indissolubilità del matrimonio non devono, quindi, contraddirsi tra una diocesi e un’altra, tra un paese e un altro. Dal tempo degli Apostoli la Chiesa ha osservato questo principio come lo attesta Sant’Ireneo di Lione: “La Chiesa, sebbene diffusa in tutto il mondo fino alle estremità della terra, avendo ricevuto dagli Apostoli e dai loro discepoli la fede, conserva questa predicazione e questa fede con cura e, come se abitasse un’unica casa, vi crede in uno stesso identico modo, come se avesse una sola anima ed un cuore solo, e predica le verità della fede, le insegna e le trasmette con voce unanime, come se avesse una sola bocca” (Adversus hæreses, I, 10, 2). San Tommaso d’Aquino ci trasmette lo stesso perenne principio della vita della Chiesa: “C’è una sola e medesima fede degli antichi e dei moderni, altrimenti non ci sarebbe l’unica medesima Chiesa” (Questiones Disputatæ de Veritate, q. 14, a. 12c).

Resta attuale e valida la seguente ammonizione di Papa Giovanni Paolo II: “La confusione, creata nella coscienza di numerosi fedeli dalle divergenze di opinioni e di insegnamenti nella teologia, nella predicazione, nella catechesi, nella direzione spirituale, circa questioni gravi e delicate della morale cristiana, finisce per far diminuire, fin quasi a cancellarlo, il vero senso del peccato” (Esortazione Apostolica Reconciliatio et pænitentia, 18).

Alla dottrina e disciplina sacramentale riguardanti l’indissolubilità del matrimonio rato e consumato è pienamente applicabile il senso delle seguenti affermazioni del Magistero della Chiesa: “La Chiesa di Cristo, fedele custode e garante dei dogmi a lei affidati, non ha mai apportato modifiche ad essi, non vi ha tolto o aggiunto alcunché, ma trattando con ogni cura, in modo accorto e sapiente, le dottrine del passato per scoprire quelle che si sono formate nei primi tempi e che la fede dei Padri ha seminato, si preoccupa di limare e di affinare quegli antichi dogmi della Divina Rivelazione, perché ne ricevano chiarezza, evidenza e precisione, ma conservino la loro pienezza, la loro integrità e la loro specificità e si sviluppino soltanto nella loro propria natura, cioè nell’ambito del dogma, mantenendo inalterati il concetto e il significato” (Pio IX, Bolla dogmatica Ineffabilis Deus).

“Quanto alla sostanza stessa della verità, la Chiesa ha, dinanzi a Dio e agli uomini, il sacro dovere di annunziarla, d’insegnarla senza alcuna attenuazione, come Cristo l’ha rivelata, e non vi è alcuna condizione di tempi che possa far scemare il rigore di quest’obbligo. Esso lega in coscienza ogni sacerdote a cui è affidata la cura di ammaestrare, di ammonire e di guidare i fedeli” (Pio XII, Discorso ai parroci e ai quaresimalisti, 23 marzo 1949).

“La Chiesa non storicizza, non relativizza alle metamorfosi della cultura profana la natura della Chiesa sempre eguale e fedele a se stessa, quale Cristo la volle e la autentica tradizione la perfezionò” (Paolo VI, Omelia dal 28 ottobre 1965).

“Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime” (Paolo VI, Enciclica Humanae Vitae, 29).

“Le eventuali difficoltà coniugali siano risolte senza mai falsificare e compromettere la verità” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 33).

“Di tale norma [della legge morale Divina] la Chiesa non è affatto né l’autrice né l’arbitra. In obbedienza alla verità, che è Cristo, la cui immagine si riflette nella natura e nella dignità della persona umana, la Chiesa interpreta la norma morale e la propone a tutti gli uomini di buona volontà, senza nasconderne le esigenze di radicalità e di perfezione” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 33).

“È il principio della verità e della coerenza, per cui la Chiesa non accetta di chiamare bene il male e male il bene. Basandosi su questi due principi complementari, la Chiesa non può che invitare i suoi figli, i quali si trovano in quelle situazioni dolorose, ad avvicinarsi alla misericordia divina per altre vie, non però per quella dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, finché non abbiano raggiunto le richieste disposizioni dell’anima” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia, 34).

“La fermezza della Chiesa nel difendere le norme morali universali e immutabili, non ha nulla di mortificante. È solo al servizio della vera libertà dell’uomo: dal momento che non c’è libertà al di fuori o contro la verità” (Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor, 96).

“Di fronte alle norme morali che proibiscono il male intrinseco non ci sono privilegi né eccezioni per nessuno. Essere il padrone del mondo o l’ultimo «miserabile» sulla faccia della terra non fa alcuna differenza: davanti alle esigenze morali siamo tutti assolutamente uguali” (Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor, 96).

“Il dovere di ribadire questa non possibilità di ammettere all’Eucaristia [i divorziati risposati] è condizione di vera pastoralità, di autentica preoccupazione per il bene di questi fedeli e di tutta la Chiesa, poiché indica le condizioni necessarie per la pienezza di quella conversione, cui tutti sono sempre invitati dal Signore” (Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Dichiarazione circa l’ammissibilità alla Santa Comunione dei divorziati risposati, dal 24 giugno 2000, n. 5).

Come vescovi cattolici, i quali – secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano Secondo – devono difendere l’unità della fede e la disciplina comune della Chiesa, e procurare che sorga per tutti gli uomini la luce della piena verità (cf. Lumen gentium, 23), siamo costretti in coscienza a professare, di fronte all’attuale dilagante confusione, l’immutabile verità e l’altrettanto immutabile disciplina sacramentale riguardo all’indissolubilità del matrimonio secondo l’insegnamento bimillenario ed inalterato del Magistero della Chiesa. In questo spirito reiteriamo:

  • I rapporti sessuali tra persone che non sono legate tra loro con il vincolo di un matrimonio valido – ciò che si verifica nel caso dei cosiddetti “divorziati risposati” – sono sempre contrari alla volontà di Dio e costituiscono una grave offesa a Dio.

  • Nessuna circostanza o finalità, neanche una possibile imputabilità o colpevolezza diminuita, possono rendere tali relazioni sessuali una realtà morale positiva e gradevole a Dio. Lo stesso vale per gli altri precetti negativi dei Dieci Comandamenti di Dio. Poiché “esistono atti che, per se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle circostanze, sono sempre gravemente illeciti, in ragione del loro oggetto” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia, 17).

  • La Chiesa non possiede il carisma infallibile di giudicare lo stato di grazia interiore di un fedele (cf. Concilio di Trento, sess. 24, cap. 1). La non-ammissione alla Santa Comunione dei cosiddetti “divorziati risposati” non significa quindi un giudizio sul loro stato di grazia dinanzi a Dio, ma un giudizio sul carattere visibile, pubblico e oggettivo della loro situazione. A causa della natura visibile dei sacramenti e della stessa Chiesa, la ricezione dei sacramenti dipende necessariamente dalla corrispondente situazione visibile e oggettiva dei fedeli.

  • Non è moralmente lecito intrattenere rapporti sessuali con una persona che non è il proprio coniuge legittimo per evitare un altro supposto peccato. Poiché la Parola di Dio ci insegna, che non è lecito “fare il male affinché venga il bene” (Rom. 3, 8).

  • L’ammissione di tali persone alla Santa Comunione può essere permessa solamente quando loro, con l’aiuto della grazia di Dio ed un paziente ed individuale accompagnamento pastorale, fanno un sincero proposito di cessare d’ora in poi l’abitudine di tali rapporti sessuali e di evitare lo scandalo. In ciò si è espresso sempre nella Chiesa il vero discernimento e l’autentico accompagnamento pastorale.

  • Le persone che hanno abituali rapporti sessuali non coniugali, violano con tale stile di vita il loro indissolubile vincolo nuziale sacramentale nei confronti del loro coniuge legittimo. Per questa ragione essi non sono capaci di partecipare “nello Spirito e nella Verità” (cf. Giov. 4, 23) alla cena nuziale eucaristica di Cristo, tenendo conto anche delle parole del rito della Santa Comunione: “Beati gli invitati alla cena nuziale dell’Agnello!” (Ap. 19, 9).

  • L’adempimento della volontà di Dio, rivelata nei Suoi Dieci Comandamenti e nel Suo esplicito e assoluto divieto del divorzio, costituisce il vero bene spirituale delle persone qui in terra e le condurrà alla vera gioia dell’amore nella salvezza della vita eterna.

Essendo i vescovi nel loro ufficio pastorale “cultores catholicae et apostolicae fidei” (cf. Missale Romanum, Canon Romanus), siamo coscienti di questa grave responsabilità e del nostro dovere dinanzi ai fedeli che aspettano da noi una professione pubblica e inequivocabile della verità e della disciplina immutabile della Chiesa riguardo all’indissolubilità del matrimonio. Per questa ragione non ci è permesso tacere.

Affermiamo perciò nello spirito di San Giovanni Battista, di San Giovanni Fisher, di San Tommaso More, della Beata Laura Vicuña e di numerosi conosciuti e sconosciuti confessori e martiri dell’indissolubilità del matrimonio: Non è lecito (non licet) giustificare, approvare o legittimare né direttamente, né indirettamente il divorzio e una relazione sessuale stabile non coniugale tramite la disciplina sacramentale dell’ammissione dei cosiddetti “divorziati risposati” alla Santa Comunione, trattandosi in questo caso di una disciplina aliena rispetto a tutta la Tradizione della fede cattolica e apostolica.

Facendo questa pubblica professione dinanzi alla nostra coscienza e dinanzi a Dio che ci giudicherà, siamo sinceramente convinti di aver prestato con ciò un servizio di carità nella verità alla Chiesa dei nostri giorni e al Sommo Pontefice, Successore di San Pietro e Vicario di Cristo sulla terra.

31 dicembre 2017, Festa della Sacra Famiglia, nell’anno del centenario delle apparizioni della Madonna a Fatima.

+ Tomash Peta, Arcivescovo Metropolita dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana

+ Jan Pawel Lenga, Arcivescovo-Vescovo emerito di Karaganda

+ Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana

 

La nuova bussola quotidiana 4 gennaio 2018

http://lanuovabq.it/it/professione-delle-verita-immutabili-riguardo-al-matrimonio-sacramentale

 

Tre vescovi kazaki: “L’applicazione di Amoris lætitia diffonde il divorzio”

Un documento dei prelati Peta, Lenga e Schneider, sottoscritto anche dagli italiani Negri e Viganò e dal cardinale lettone Pujats, afferma che la disciplina sacramentale sul matrimonio è «immutabile» e appartiene alla categoria dei dogmi di fede.

Non soltanto l’indissolubilità matrimoniale, ma anche la disciplina sacramentale sul matrimonio è «immutabile» e appartiene ai dogmi di fede. È quanto sostiene un documento scritto da tre presuli delle diocesi latine del Kazakistan, Tomash Peta, arcivescovo metropolita della diocesi di Maria Santissima in Astana; Jan Pawel Lenga, vescovo emerito di Karaganda e Athanasius Schneider, vescovo ausiliare della diocesi di Maria Santissima in Astana. Il testo, che è stato presentato da alcuni siti web come una “correzione formale” alle interpretazioni di Amoris lætitia, è stato successivamente sottoscritto anche da due vescovi emeriti italiani – Luigi Negri (già arcivescovo di Ferrara) e Carlo Maria Viganò (già nunzio apostolico negli Stati Uniti) – ai quali si è aggiunto l’anziano cardinale lettone Janis Pujats, già arcivescovo di Riga.

«Siamo costretti in coscienza a professare – scrivono i vescovi kazaki – di fronte all’attuale dilagante confusione, l’immutabile verità e l’altrettanto immutabile disciplina sacramentale riguardo all’indissolubilità del matrimonio secondo l’insegnamento bimillenario ed inalterato del Magistero della Chiesa». Nel documento si afferma che i testi applicativi di Amoris lætitia, promulgati da diverse conferenze episcopali dopo la pubblicazione dell’esortazione, stanno provocando una grande “confusione” nella Chiesa.

I firmatari sostengono che l’ammissione in qualche caso di fedeli divorziati in seconda unione all’eucaristia «significa nella pratica un modo d’approvazione o di legittimazione del divorzio, e in questo senso una specie di introduzione del divorzio nella vita della Chiesa», nonché «un mezzo di diffusione» del divorzio stesso.

I tre vescovi scrivono che «senza ammettere nessuna eccezione Nostro Signore e Redentore Gesù Cristo ha solennemente riconfermato la volontà di Dio riguardo al divieto assoluto del divorzio» e che l’ammissione in certi casi alla comunione dei divorziati in seconda unione all’eucaristia «contraddice in modo grave l’espressa volontà di Dio e il suo comandamento».

La parte teologicamente più innovativa del documento dei vescovi kazaki sottoscritto anche dai due italiani e dal porporato lettone, è quella nella quale si afferma che non solo la dottrina sull’indissolubilità matrimoniale, ma anche la disciplina sacramentale sul matrimonio «rato e consumato» è «immutabile» e appartiene alla categoria dei “dogmi” di fede. I presuli scrivono infatti che alla disciplina sacramentale sul matrimonio sarebbe «pienamente applicabile» il senso di questa affermazione contenuta nella bolla “Inneffabilis Deus” del Concilio Vaticano I: «La Chiesa di Cristo, fedele custode e garante dei dogmi a lei affidati, non ha mai apportato modifiche ad essi, non vi ha tolto o aggiunto alcunché».

Secondo l’insegnamento tradizionale, la disciplina dei sacramenti non è considerata dogma immutabile ma è un potere legislativo affidato alla Chiesa, perché questa, nel corso della storia e nel variare delle circostanze, possa amministrare i sacramenti nel modo più conveniente e più proficuo alle anime.

Come si ricorderà, nella nota 351 del capitolo VIII dell’esortazione Amoris lætitia, Papa Francesco scrive che per i divorziati in seconda unione «in certi casi», potrebbe esserci «anche l’aiuto dei sacramenti», dopo un percorso di discernimento. Un passo ulteriore rispetto a quelli importanti già compiuti da Giovanni Paolo II, il quale nell’esortazione Familiaris consortio invitava a distinguere le responsabilità arrivando ad ammettere ai sacramenti quei divorziati in seconda unione che si impegnavano a vivere astenendosi dai rapporti sessuali.

Amoris lætitia non specifica in quali e quanti casi si possa arrivare a concedere i sacramenti. Il Papa ha elogiato con una lettera e ha voluto iscrivere negli Acta Apostolicae Sedis le norme pastorali applicative predisposte dai vescovi della regione di Buenos Aires, i quali hanno scritto (n. 5): «Quando le circostanze concrete di una coppia lo rendano possibile, specialmente quando entrambi siano cristiani all’interno di un cammino di fede, si può proporre l’impegno di vivere in continenza. L’AL (Amoris lætitia, ndr) non ignora le difficoltà di questa scelta (cfr nota 329) e lascia aperta la possibilità di accedere al sacramento della riconciliazione, quando non si riesca a mantenere questo proposito».

http://www.lastampa.it/2017/12/06/vaticaninsider/ita/vaticano/amoris-laetitia-il-papa-rende-ufficiale-la-lettera-ai-vescovi-argentini-7Uzx2Ijt6sIYUdZNAQl0wI/pagina.html

Nel paragrafo successivo, i vescovi argentini scrivono che «In altre circostanze più complesse e quando non è possibile ottenere l’annullamento, la scelta menzionata può essere di fatto non praticabile. Ciò nonostante, è comunque possibile un cammino di discernimento. Se si giunge a riconoscere che in caso concreto vi siano limitazioni che attenuano la responsabilità e la colpevolezza, in particolare quando una persona ritenga di poter cadere in ulteriore peccato facendo del male ai figli della nuova unione, l’AL apre la possibilità di accedere ai sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia. Questi ultimi a loro volta dispongono la persona a continuare a maturare e a crescere con la forza della grazia».

In un’intervista con Vatican Insider negli ultimi giorni del 2017, il cardinale Gerhard Ludwig Müller ha parlato del caso in cui «il penitente sia convinto in coscienza, e con buone ragioni, della invalidità del primo matrimonio pur non potendone offrire la prova canonica. In questo caso il matrimonio valido davanti a Dio sarebbe il secondo e il pastore potrebbe concedere il sacramento».

www.lastampa.it/2017/12/30/vaticaninsider/ita/inchieste-e-interviste/mller-il-libro-di-buttiglione-ha-dissipato-i-dubia-dei-cardinali-BGa9DT809pw5WyEgRdZC9I/pagina.html

Il porporato tedesco aveva anche detto: «Ci sono di fatto situazioni drammatiche dalle quali è difficile trovare una via d’uscita. Qui il buon pastore distingue accuratamente le condizioni oggettive e quelle soggettive e dà un consiglio spirituale. Egli però non si erge a Signore sopra la coscienza degli altri. Qui dobbiamo collegare la parola di salvezza di Dio, che nella dottrina della Chiesa viene soltanto trasmessa, con la situazione concreta, nella quale si ritrova l’uomo nel suo peregrinare».

Andrea Tornielli Vatican Insider 6 gennaio 2017

www.lastampa.it/2018/01/06/vaticaninsider/ita/vaticano/tre-vescovi-kazaki-lapplicazione-di-amoris-laetitia-diffonde-il-divorzio-N4hvvKYBYITgHFzslX2aPO/pagina.html

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ANONIMATO

Le adozioni e la scelta dell’anonimato

Lo scioglimento delle Camere lascerà in sospeso anche un piccolo, importantissimo aspetto delle regole sulle adozioni: le norme sui figli non riconosciuti alla nascita, da donne che hanno scelto di partorire restando anonime. Da quando nel 2013, la Corte Costituzionale ha censurato l’inviolabilità di questo anonimato, invitando il legislatore a rimediare, diversi deputati e senatori hanno presentato proposte per correggere la legge sulle adozioni e un disegno di legge unificato era infine approdato alla commissione giustizia del Senato. Ma lì si è fermato e – visti alcuni suoi contenuti – può essere una buona notizia.

www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2013&numero=278

Il conflitto tra le ragioni della donna che ricorre all’anonimato e il diritto di chi è stato adottato a conoscere le proprie origini potrà sembrare, a chi non si occupa della materia o non ne ha esperienza, un dettaglio trascurabile. Ma è, invece, un passaggio determinante per decidere cosa pensiamo delle adozioni e cosa vogliamo che siano.

Serve un breve riepilogo, per capirsi: l’impianto originale della legge, la 184 del 1983, dettava una separazione totale e invalicabile tra partoriente anonima e bambino;

www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/legge184%20del%201983.htm

Nel 2001 (art. 24, L. 28 marzo 2001, n. 149) è stata introdotta la possibilità per l’adottato di «accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici», ma solo dopo aver raggiunto i 25 anni (art. 28, comma 5 legge 184 del 1983) e stabilendo comunque, poche righe più oltre, che «l’accesso alle informazioni non è consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato» (co. 7).

Alcune decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo e la sentenza 278/2013 della nostra Corte costituzionale hanno dato diverse spallate a questo fragile equilibrio tra diritti dell’adottato, volontà della donna e – dato non trascurabile – tutela dell’adottato e dell’adozione, che si vorrebbe il più stabile e serena possibile. La Consulta, in particolare, ha dichiarato illegittimo proprio il comma 7, per l’irreversibilità del segreto. «Sarà compito del legislatore – ha scritto il giudice nazionale – introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata e, nello stesso tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all’anonimato». Un compitino da niente. E – ha aggiunto la Consulta – questa nuova norma dovrà poggiare su «scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo, agli effetti della verifica di cui si è detto». Insomma, risalite alla partoriente anonima, chiedetele se conferma l’anonimato, ma non fatelo sapere.

Nell’attesa che il Parlamento risolvesse la sciarada, i tribunali per i minorenni si sono mossi in ordine sparso, quando si sono trovati a gestire richieste di informazioni sulle origini. Talvolta ignorando le norme bocciate e talaltra ignorando la bocciatura. Del resto, non è che dalle Camere giungessero segnali confortanti: il disegno di legge da ultimo stilato, congiungendo numerose proposte di diversa provenienza, lasciava libertà di accesso alle origini dal 18° anno dell’adottato, in luogo dei 25 attuali; consentiva sempre la ricerca nel caso la donna fosse deceduta (attualmente il vincolo permane per cento anni); se in vita, le permetteva di confermare la scelta per l’anonimato o la sua revoca al tribunale dei minorenni, 18 anni dopo il parto . E per i parti anonimi avvenuti in passato, si immaginava che le donne comunicassero la volontà di rimanere nel segreto entro dodici mesi dall’entrata in vigore delle nuove norme.

Un segreto da comunicare (comunicare un segreto?) nella massima riservatezza (??). Anche nell’astrattezza delle norme, si capisce come il conflitto scuota alcuni capisaldi delle norme sulle adozioni, spingendole dalla filiazione vera e propria a una sorta di filiazione “provvisoria” o soggetta a conferma. Se poi si prova a fare un esercizio di realtà (all’Anfaa, l’associazione delle famiglie adottive, sono arrivate lettere di donne che hanno partorito nell’anonimato, preoccupate dalle proposte in discussione), l’alone romantico alla Facebook che circonda l’accesso alle origini si cala in vicende di privazioni, emarginazione, talvolta violenza. Non è esattamente come ritrovare la fidanzatina o il fidanzatino delle medie: dietro quella scelta di anonimato e dietro le tutele che la legge dovrà nuovamente bilanciare, nella prossima legislatura, ci sono vicende dolorose, qualche volta pericolose per lo stesso adottato e i suoi genitori. Quelli adottivi.

Mauro Meazza Il sole 24 032 29 dicembre 2017

Segnalato da ANFAA Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie

www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-12-28/le-adozioni-e-scelta-dell-anonimato-214746.shtml?uuid=AEec99XD&refresh_ce=1

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ASSEGNO DIVORZILE

Assegno di divorzio all’ex sfrattata

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 30738, 21 dicembre 2017.

È dovuto un assegno di divorzio alla ex moglie priva di indipendenza ed autosufficienza economica, la quale, dopo aver subito uno sfratto per morosità, è andata a convivere con un’anziana prestandole assistenza in cambio di un alloggio.

La Cassazione ha così statuito rigettando il ricorso di un marito che, in sede di appello, aveva visto ridotto l’assegno di divorzio posto a suo carico in favore della ex moglie, ritenendo che – al contrario – non sussistessero i requisiti per il riconoscimento di alcun contributo al mantenimento della medesima. Egli, in particolare, ha contestato che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente valutato le condizioni reddituali sia proprie sia della ex moglie, la quale – secondo la difesa – avrebbe percepito redditi da un’attività lavorativa svolta in nero.

La Cassazione tuttavia, rigettando l’impugnazione, ha evidenziato come la Corte d’Appello, nel confermare l’attribuzione dell’assegno divorzile alla ex moglie, seppure in una misura ridotta rispetto a quella in precedenza determinata dal Tribunale, ha accertato l’inadeguatezza dei redditi della donna a consentirle di far fronte alle normali ed ordinarie esigenze di vita.

Nello specifico la Suprema Corte ha precisato come nei precedenti gradi di giudizio si era appurato che la situazione della ex moglie si era aggravata a seguito di uno sfratto per morosità e che ella viveva nell’abitazione di una anziana che assisteva in cambio di ospitalità: tali circostanze rappresentavano un accertamento di fatto (incensurabile in cassazione), che indubbiamente integrava la condizione di mancanza di indipendenza e autosufficienza economica che è presupposto legale per l’attribuzione di un assegno divorzile.

Ciò soprattutto alla luce della recente evoluzione giurisprudenziale, che ritiene irrilevante l’ulteriore riferimento relativo al requisito, ormai superato, della conservazione del tenore di vita goduto durante il matrimonio.

www.studiofronzonidemattia.it/wp-content/uploads/2018/01/Cassazione-Civile-21.12.2017-n.-30738.pdf

Studio Fronzoni & De Mattia 2 gennaio 2018

www.studiofronzonidemattia.it/wp-content/uploads/2018/01/Cassazione-Civile-21.12.2017-n.-30738.pdf

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Alimenti: quando e come chiedere l’assegno di mantenimento all’ex moglie e l’assegno di divorzio.

Sei stato sposato per alcuni anni con una donna che, come libera professionista, ha sempre avuto un reddito più alto del tuo. I lavori che hai fatto sono stati saltuari e sporadici, spesso sei stato disoccupato e, anche quando hai avuto la fortuna di guadagnare, lo stipendio non è stato mai particolarmente elevato. Le accuse che tua moglie ti rivolge sono di non esserti mai adoperato per cercare un’occupazione seria e di non aver mai voluto promuovere e migliorare la tua professionalità. Questi litigi, uniti ad altre questioni personali, vi hanno portato a separarvi. Ora però vorresti chiederle il mantenimento. Una situazione che, a detta dei tuoi amici, è inverosimile: «non si è mai sentito che l’uomo chiede gli alimenti alla moglie» ti hanno detto con tono sarcastico. A te però sembra assurdo: la legge non deve ammettere distinzioni di sesso. Cosa prevede la legge? Il marito può chiedere il mantenimento? È quanto cercheremo di comprendere in questo articolo.

1 Quando spetta il mantenimento?Prima però di spiegare se il marito può chiedere alla moglie il mantenimento dobbiamo fare alcune premesse che, per quanto semplici, sono importanti per dare una soluzione precisa al problema. Affinché una coppia possa divorziare, deve prima separarsi. Dalla separazione devono poi passare 6 mesi (in caso di separazione consensuale: al Comune, in tribunale o con la negoziazione assistita) o 1 anno (in caso di separazione con causa davanti al giudice) per ottenere il divorzio.

Subito dopo separati, il coniuge con il reddito maggiore deve versare all’ex il cosiddetto assegno di mantenimento. A determinare l’importo possono essere i coniugi di comune accordo; in caso contrario lo fa il giudice dietro ricorso. Scopo di tale misura è garantire al coniuge più debole economicamente lo «stesso tenore di vita» che aveva quando ancora conviveva con l’altro. Questo significa che – con larga approssimazione – i due redditi vengono sommati e poi divisi tra i due coniugi, tenendo tuttavia conto delle spese che chi abbandona la casa deve sostenere.

Quando invece la coppia divorzia, l’assegno di mantenimento viene revocato e, al suo posto, scatta l’assegno di divorzio. Dal 10 maggio 2017, sono cambiate profondamente. Se un tempo l’assegno di divorzio seguiva gli stessi criteri dell’assegno di mantenimento, oggi viene riconosciuto solo a chi non è in grado di mantenersi da solo (ad esempio guadagna meno di mille euro al mese) o se, per condizioni di salute o età, non può trovare un posto di lavoro (ad esempio la cinquantenne che, per una vita, ha fatto la casalinga). Lo scopo dell’assegno divorzile non è quindi garantire «lo stesso tenore di vita» che si aveva durante il matrimonio (come l’assegno di mantenimento), ma solo l’autosufficienza, lo stretto indispensabile per mantenersi da solo alla luce del reddito medio nella zona di residenza.

Alla luce di ciò si comprende come l’assegno di mantenimento è di solito più elevato di quello di divorzio.

2 A chi spetta il mantenimento o l’assegno di divorzio?Se per l’assegno di mantenimento e quello di divorzio sono diversi sia il presupposto (reddito più basso per avere il mantenimento; non autosufficienza per avere l’assegno divorzile) e i criteri per la quantificazione (stesso tenore di vita per l’assegno di mantenimento; raggiungimento dell’indipendenza economica per l’assegno divorzile), ciò che non cambia mai sono i soggetti che hanno diritto a tali due misure. In questo, la legge non fa alcuna differenza tra uomo e donna. In pratica, anche il marito può chiedere il mantenimento alla moglie (ed anche l’assegno divorzile, si intende). Insomma, anche se statisticamente è meno frequente che sia l’uomo a chiedere gli alimenti alla donna – non fosse altro per il fatto che, nella nostra società, gli uomini lavorano più spesso e hanno un reddito più elevato – nulla toglie che il diritto all’assegno si capovolga se è il marito a essere la parte economicamente più debole. Cerchiamo allora di capire a quali condizioni il marito ha diritto all’assegno di mantenimento o a quello divorzio.

3 Quando il marito ha diritto al mantenimento. Vediamo ora quali sono i presupposti per chiedere l’assegno di mantenimento alla moglie. Il marito può chiedere al giudice l’assegno di mantenimento se sussistono due condizioni:

  1. La separazione non deve essere stata determinata da sua colpa; non deve cioè aver subito l’addebito (il che succede se tradisce la moglie, se è violento, se abbandona la casa senza motivo, ecc.);

  2. Il marito non deve avere “adeguati redditi propri”. Ciò impone di confrontare la sua situazione economica e della moglie per verificare se sussiste uno squilibrio patrimoniale. Per stabilire se il marito ha redditi adeguati bisogna confrontare il suo reddito con il tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale. Per cui, se un uomo guadagna mille euro ma la moglie ne guadagna 10mila, avrà diritto al mantenimento; non invece se la moglie ne guadagna solo 1.200.

4 Quando il marito ha diritto all’assegno di divorzio. Come abbiamo detto l’assegno di divorzio ha presupposti diversi. Anche qui la condizione iniziale è non aver subito l’addebito in sede di separazione. Tuttavia, non è più sufficiente dimostrare di avere un reddito più basso, ma bisogna anche dar prova che:

  1. Il reddito, benché più basso, non rende possibile l’autosufficienza economica (cosa che succede, ad esempio, secondo il tribunale di Milano, se si guadagna meno di mille euro al mese);

  2. L’uomo non è più giovane per trovare un nuovo lavoro o non ha le condizioni di salute per poter svolgere un’attività

Redazione La Legge per tutti 7 gennaio 2018

www.laleggepertutti.it/190171_il-marito-puo-chiedere-il-mantenimento

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CENTRO GIOVANI COPPIE – MILANO

Il libero ascolto dell’altro

All’interno del ciclo di conferenze 2017-18 “Legàmi di libertà”, ingresso libero

avrà luogo la Conferenza del 18 gennaio 2018, ore 21, P.zza San Fedele, 4 – Milano Sala Ricci

“Il libero ascolto dell’altro”

L’ascolto nelle relazioni affettive: una riflessione su sintonie e simbiosi, corrispondenze e incompatibilità, limiti reali e impossibilità”

Relatore: Cesare Viviani, psicanalista, poeta

Il percorso è rivolto a coppie che desiderino riflettere al loro interno e con altri sulla natura del legame di coppia e su come garantire in esso autenticità e libertà.

http://mailchi.mp/6a78ec262b90/conferenza-del-18-gennaio-2018-di-cesare-viviani-il-libero-ascolto-dellaltro?e=f682904bbd

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CHIESA CATTOLICA

Quei “conservatori carenti di tradizione” che fanno gli esami di dottrina a Ratzinger

Dagli scritti sul Concilio del futuro Benedetto XVI emergono giudizi utili per leggere l’attuale stagione ecclesiale: le critiche al Vaticano II e ai Papi conciliari e post-conciliari che accomunano molti degli accusatori di Francesco.

Il libro di Enrico Maria Radaelli sul pensiero teologico di Joseph Ratzinger, avallato dal teologo Antonio Livi, nel quale si sostiene che proprio il futuro Benedetto XVI e la sua opera “Introduzione al cristianesimo” abbiano aiutato a diffondere e consolidare la «teologia modernista» con «la sua evidente deriva ereticale», contribuisce a fare chiarezza. Confermando che molti dei critici dell’attuale pontificato non soltanto sono e sono stati critici del pontificato dei predecessori ma contestano il Concilio Ecumenico Vaticano II.

www.lastampa.it/2018/01/02/vaticaninsider/ita/vaticano/laccusa-gli-insegnamenti-di-ratzinger-pericolosi-per-la-fede-XxF2UKmYFRvnTUMIizlahL/pagina.html

Nel VII volume dell’Opera Omnia di Joseph Ratzinger, pubblicato poco più di un anno fa, che contiene gli scritti del futuro Papa dal Concilio e sul Concilio, si può trovare un giudizio quanto mai attuale per leggere non soltanto il dibattito interno al Vaticano II ma anche l’attuale stagione ecclesiale.

http://www.fondazioneratzinger.va/content/fondazioneratzinger/it/joseph-ratzinger/opera-omnia.html

Nel resoconto che il giovane teologo bavarese [perito del Concilio] dedica al terzo periodo conciliare ci sono alcune pagine sulla famosa “Nota esplicativa previa”, il testo aggiunto in coda alla Costituzione apostolica Lumen Gentium, firmato dal cardinale Pericle Felici per spiegare i criteri con cui andavano letti i passaggi sulla collegialità episcopale che la minoranza conciliare contestava considerandoli un possibile depotenziamento dell’autorità del Pontefice.

Il professor Ratzinger, che mostra di non apprezzare la “Nota previa”, scrive che in Concilio si erano manifestate chiaramente due opzioni a confronto.

  1. Da un lato «un pensiero che parte da tutta la vastità della Tradizione cristiana, e in base a essa cerca di descrivere la costante ampiezza delle possibilità ecclesiali».

  2. Dall’altro «un pensiero puramente sistematico, che ammette soltanto la presente forma giuridica della Chiesa come criterio delle sue riflessioni, e quindi necessariamente teme che qualsiasi movimento al di fuori di essa sia cadere nel vuoto».

Il «conservatorismo» di questa seconda opzione, secondo Ratzinger, si radicava «nella sua estraneità alla storia e quindi in fondo in una “carenza” di Tradizione, cioè di apertura verso l’insieme della storia cristiana».

Questa descrizione del futuro Benedetto XVI capovolge già all’epoca lo schema secondo il quale il Concilio sarebbe stato caratterizzato da un conflitto tra “conservatori” preoccupati per i possibili “strappi” dalla Tradizione e “progressisti” da tendenze moderniste. Per Ratzinger la situazione era l’esatto contrario: erano i cosiddetti “progressisti”, o almeno «la parte prevalente di loro» che lavorava per un «ritorno all’ampiezza e alla ricchezza di ciò che è stato tramandato». Ritrovando le sorgenti dell’atteso rinnovamento proprio nella «intrinseca larghezza propria della Chiesa».

«La Tradizione e il magistero» scriveva allora Joseph Ratzinger, «devono sempre sviluppare il germe contenuto nella Scrittura». Perché la Chiesa, Sposa di Cristo, non è un’entità sacrale autosufficiente, al di fuori del tempo e dello spazio. Essa riconosce sé stessa come una realtà che cammina nella storia rimanendo dipendente passo dopo passo dalla grazia operante di Cristo, «continuamente bisognosa di rinnovamento», posta «sotto il segno della debolezza e del peccato», e che per questo «ha sempre bisogno della tenerezza di Dio che la perdona».

Colpisce, nelle parole con cui Ratzinger descrive le due posizioni contrapposte in Concilio, quel riferimento al «pensiero puramente sistematico» che sembra caratterizzare anche molti dei critici di oggi. Una fede ridotta ad assiomi, a pensiero filosofico, a dimostrazione razionale che rischia di essere disincarnata e che diventa «pensiero puramente sistematico» usato per fare gli esami di dottrina persino al Papa. 

Andrea Tornielli Vatican Insider 4 gennaio 2018

www.lastampa.it/2018/01/04/vaticaninsider/ita/vaticano/quei-conservatori-carenti-di-tradizione-che-fanno-gli-esami-a-ratzinger-RMooihKq66NbnUJIbGrMwN/pagina.html

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Milano1 – La casa news. La famiglia in cammino. N. 3 dicembre 2017, Corsi e gruppi.

Rivista, fondata da don Paolo Liggeri nel 1941. On line

Editoriale. Alice Calori

Ogni giorno viene il Signore. Dagli scritti di don Paolo Liggeri

Ospitalità e intrusione. Beppe Sivelli

Un Dio in ascolto dell’uomo. Luisa Solero

Il mondo nascosto del bambino autistico. Emidio Tribulato

Un meraviglioso grande mosaico. Jolanda Cavassini

Educare alla responsabilità. Mary Rapaccioli

Torna il progetto per i bambini con DSA. Elena D’Eredità

In onda da quattro anni. Elena e Teresa

Mia cara mamma. Alan

Genitori e figli in formazione. Servizio Adozioni

Progetti di cooperazione. Associazione Hogar Onlus

Appuntamenti.

  • Corsi e gruppi pre e post adozione per coppie adottive, genitori, figli adottivi adolescenti e giovani. dr Chiara Righetti, dr Viviana Rossetti, dr Daniela Sacchet

  • Gruppi di lingue bulgara e spagnola per coppie adottive

  • La trasgressività in adolescenza. dr Matteo Ciconali

  • Genitori a confronto. dr Laura Sibilia

  • Costruire la coppia. dr Francesca Neri e dr Gabriela Sbiglio

  • Internet, smartphone e social network. dr Matteo Ciconali

  • Gruppi e DSA. (Disturbo Specifico dell’Apprendimento)

  • Gruppi di parola (per bambini in evento separativo) dr Daniela Sacchet

www.ist-lacasa.it/pdf_sarat/rivistapdf_pdf_23.pdf

 

Roma1 – via della Pigna. Corsi-Seminari-Laboratori 2018

  • Seminario “Il conflitto tra contesti e dinamiche…e alcuni modi per superarlo” dal 10 febbraio

  • Dr Sara Capriolo, psicologa e consulente familiare

  • Dr Chiara Narracci, sociologa, scrittrice, consulente e mediatore familiare.

Molto spesso abbiamo una difficoltà ad esternare i nostri bisogni, tanto che la risposta che otteniamo, dal mondo esterno, alla loro soddisfazione è deludente. Attraverso l’auto osservazione e la consapevolezza delle proprie dinamiche errate, si può iniziare a camminare con il piede giusto verso l’armonizzazione delle nostre relazioni. Non si può uscire da un problema con lo stesso modo di pensare che ha causato il problema.

La prima parte del Seminario è dedicata all’esplorazione del “conflitto” e delle aree conflittuali. Si metteranno a confronto le “strategie errate” che solitamente si mettono in scena per risolvere il conflitto con alcuni modi superare tali dinamiche e vivere relazioni in modo gratificante.

  • Storia degli eventi critici e disegno delle relazioni familiari dal 27 gennaio.

per consulenti familiari.

Sono due strumenti che facilitano nel cliente la focalizzazione della propria storia personale e delle proprie risorse interne.

La visualizzazione della propria storia degli eventi critici porta con sé la consapevolezza delle nostre forze e delle nostre debolezze ma soprattutto la coscienza delle nostre risorse interne da attivare nel qui ed ora. La conoscenza dei propri eventi critici permette di valorizzare la resilienza che nel corso del tempo si è attivata e di ampliare il raggio delle nostre possibilità di scelta. Detta storia è un importante strumento per affrontare il presente con meno paure e più consapevolezza. Questa integrità consente di scegliere con maggiore lucidità, lungimiranza e libertà la via da percorrere.

La creazione di un disegno delle relazioni familiari è sempre una esperienza cognitivo-affettiva che, se accompagnata da verbalizzazioni di chi lo compila, può far emergere la natura delle relazioni familiari. Rappresenta pertanto un ottimo trampolino di lancio per uno o più incontri finalizzati alla presa di coscienza di dove si è e di come si è. Dalla consapevolezza di sé può nascere un buon contratto su come si vorrebbe essere e sarà pertanto più semplice lavorare restando sul piano della realtà. L’invitare le persone ad argomentare il proprio disegno, consente in modo efficace di fotografarsi.

I due strumenti facilitano pertanto il difficile compito del Consulente familiare, che ha a disposizione un numero limitato di incontri per aiutare le persone a visualizzarsi, centrarsi e coordinarsi per compiere scelte delle quali essere consapevoli e sereni. Gli strumenti proposti consentono di guardare velocemente al passato per poter poi concentrare la consulenza nel “qui ed ora”, evidenziando “le cause e gli effetti degli eventi” e “i limiti e le risorse interne” per gestirsi al meglio!

  • Essere genitori di figli adolescenti dal 26 gennaio.

  • Daniela Campana, consulente familiare

Vivere l’Adolescenza dei propri figli come esortazione a rimanere in equilibrio nel continuo fluire della vita attingendo a nuove e più costruttive risorse per fronteggiare i cambiamenti, talvolta destabilizzanti, di un periodo tanto delicato quanto foriero di trasformazioni profonde. La sensazione di inadeguatezza che possono avvertire i genitori rispetto agli atteggiamenti dei figli nella pre-adolescenza e nell’adolescenza, collude con la sensazione di inadeguatezza provata dai propri figli. L’aggressività, l’insofferenza, la mancanza di riconoscimento, la tendenza a provocare, la svogliatezza, la fatica nell’assunzione di responsabilità dei ragazzi, talvolta vanno ad impattare situazioni e nodi non ancora sciolti della vita dei genitori con il risultato di potenziare anziché dirimere controversie e conflitti. Non sempre è facile amare il proprio figlio per quello che è, gioire per i suoi traguardi raggiunti, per le sue curiosità, per la sua creatività, lasciarlo libero nei suoi affetti, nei suoi tempi, nelle sue cadute, rinforzarlo e sostenerlo nel suo processo di cambiamento.

Questo laboratorio, incentrato sul tema dell’autostima, nasce e si sviluppa dall’idea che ciascuno di noi, come un artista, elaborando la propria storia unica e personale, possa iniziare un percorso che gli consenta di riconoscersi e di ridefinirsi. Grazie a questo percorso è possibile diventare consapevoli dei nostri bisogni, dei nostri valori e delle nostre convinzioni, delle potenzialità e delle fragilità, in modo da esplorare la nostra vera consistenza, il nostro vero sé e porre le basi per una sana autostima. Verrà approfondito il nostro modo di relazionarci con gli altri, prendendo in considerazione in particolare quelle forme di dipendenza, che ci impediscono di essere noi stessi e di esprimerci in autonomia. Cosa pensiamo di noi stessi? Come ci relazioniamo con gli altri? Siamo capaci di fare scelte autonome? Esercizi interattivi e dinamiche di gruppo ci permetteranno di confrontarci e di trovare dentro di noi le nostre risposte.

  • Autostima e oltre. Percorso verso un’equilibrata valutazione di sé, dal 13 gennaio.

  • Gabriella Bonanno e Maria Garuffi, consulenti familiari

  • Cecilia Falcetti e Barbara Ferlito.

Questo laboratorio, incentrato sul tema dell’autostima, nasce e si sviluppa dall’idea che ciascuno di noi, come un artista, elaborando la propria storia unica e personale, possa iniziare un percorso che gli consenta di riconoscersi e di ridefinirsi. Grazie a questo percorso è possibile diventare consapevoli dei nostri bisogni, dei nostri valori e delle nostre convinzioni, delle potenzialità e delle fragilità, in modo da esplorare la nostra vera consistenza, il nostro vero sé e porre le basi per una sana autostima. Verrà approfondito il nostro modo di relazionarci con gli altri, prendendo in considerazione in particolare quelle forme di dipendenza, che ci impediscono di essere noi stessi e di esprimerci in autonomia. Cosa pensiamo di noi stessi? Come ci relazioniamo con gli altri? Siamo capaci di fare scelte autonome? Esercizi interattivi e dinamiche di gruppo ci permetteranno di confrontarci e di trovare dentro di noi le nostre risposte.

www.centrolafamiglia.org/category/prossimi-appuntamenti/corsi

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

DALLA NAVATA

Battesimo del Signore – Anno B – 7 gennaio 2018

Isaia 55, 06 Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino.

Salmo Isaia 12, 02 Ecco, Dio è la mia salvezza; io avrò fiducia, non avrò timore, perché mia forza e mio canto è il Signore; egli è stato la mia salvezza.

1Giovanni 05, 06 Egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto ma con l’acqua e con il sangue.

Marco 01, 08 Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo.

 

Tu sei il Figlio mio, l’amato

Commento di Enzo Bianchi, priore emerito nel convento di Bose (BI)

Battesimo, pannello del soffitto dipinto

Chiesa di san Martino, Zillis (svizzera),1109-1114.

 

Con la festa del battesimo di Gesù si conclude il tempo liturgico delle manifestazioni, delle epifanie del Signore. Partorito da Maria a Betlemme, Gesù è stato manifestato ai pastori come il Salvatore e Signore, è stato manifestato nel tempio ai poveri di Israele che attendevano il Messia, infine è stato manifestato alle genti della terra, rappresentate dai magi, quale Re dei Giudei. Ora, immerso nelle acque del Giordano, è manifestato come il Figlio amato da Dio, che fa risuonare su di lui la sua parola rivelativa.

Il vangelo secondo Marco inizia proprio con l’annuncio, da parte di Giovanni il Battista, dell’entrata in scena di Gesù: “Viene dietro a me (opíso mou) uno che è più forte di me”. L’annuncio è sorprendente e scandaloso: tra quelli che seguono il Battista come discepoli, vi è un discepolo che in realtà è più forte di lui, il maestro, il profeta. Tra Giovanni e questo veniente vi è addirittura un rapporto che non può nemmeno essere paragonato a quello tra un servo e il signore cui questi scioglie i legacci dei sandali. Il Battista riconosce e annuncia soprattutto una differenza nelle rispettive missioni: egli immerge nell’acqua quanti confessano i propri peccati, mostrandosi disposti alla conversione; Gesù invece immergerà nello Spirito santo, nella forza stessa di Dio, inaugurando così i tempi della salvezza definitiva, realizzata mediante l’effusione dello Spirito su tutta l’umanità (cf. Is 32,15; Ez 36,25-27, ecc.).

Ecco apparire il Messia, “unto” con lo Spirito santo (cf. Is 11,2; 61,1), non con un’unzione umana: Gesù, da Nazaret di Galilea. Ma come appare, come viene? Essendo il Cristo, il Figlio di Dio, ci attenderemmo una venuta carica di gloria, una manifestazione che si imponga. E invece siamo in presenza di una scena nella quale non è evidenziato nulla di divino. Nella lunga fila di uomini e donne che si confessano peccatori e bisognosi di purificazione e di perdono da parte di Dio, c’è anche Gesù. Lui che è “senza peccato” (cf. 2Cor 5,21; 1Gv 3,5) si fa solidale con quanti sono in contraddizione con Dio e con la sua volontà, non si distingue da loro vantando come differenza la propria santità. No, senza esibizioni, senza protagonismo, chiede a Giovanni di essere immerso nelle acque del Giordano come gli altri penitenti. Ma per Gesù il battesimo ricevuto non coincide con la purificazione dei peccati, bensì con l’inizio di una precisa missione di comunione con gli ultimi, con i peccatori pubblici.

Gesù, il cui nome significa “il Signore salva”, è connotato mediante la sua provenienza da Nazaret, villaggio della sua famiglia e della sua infanzia, luogo sconosciuto in tutto l’Antico Testamento. Per questo sarà chiamato “nazareno”, “quello di Nazaret”, “il profeta di Nazaret” (cf. Mc 1,24; 10,47; 14,67; 16,6). Sì, Gesù di Nazaret è un nome umano, umanissimo, ed è forse per questo che nell’ultimo secolo, all’interno della spiritualità cristiana e non solo, gode di una fortuna privilegiata rispetto ad altri suoi titoli o designazioni: questo non è un misconoscere la sua divinità, ma risponde al bisogno di affermare la sua umanità, che è innanzitutto solidarietà con noi uomini e donne.

Ed ecco che colui il quale è stato annunciato come uno che battezza, viene ora battezzato, immerso da Giovanni. Va detto con chiarezza: Giovanni immerge Gesù nel Giordano, lo sprofonda nelle acque, sicché Gesù è come immerso nella morte, affogato e poi rialzato, strappato al vortice che sommerge. È così che Gesù scende, raggiunge il “très bas”, l’ultimo posto che non gli sarà mai tolto! {il Giordano è sotto il livello del mare}. Non possiamo dimenticare che questa prima manifestazione pubblica di Gesù è apparsa scandalosa per i primi cristiani, i quali, acclamandolo nella fede quale Kýrios, Signore, temevano che in questo evento egli venisse percepito come inferiore al Battista. Così, progressivamente, non si ricorderà più il fatto che sia stato Giovanni a immergere Gesù (come se egli si fosse autoimmerso!). Non a caso, nel vangelo secondo Matteo Gesù stesso viene presentato come colui che deve convincere il Battista a immergerlo, vincendo la sua ritrosia: “Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia” (Mt 3,15).

E invece proprio in questa condizione “bassa” avviene per Gesù una manifestazione di Dio, una teofania. Mentre egli risale dall’acqua, vede i cieli squarciati e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. Vede ciò che gli altri non vedono, riceve una rivelazione che agli altri resta nascosta. I cieli sono squarciati su di lui, Gesù ha piena comunione con Dio, la terra e il cielo sono in comunicazione. Viene ristabilita la comunione tra Dio e l’umanità dopo che, secondo la tradizione giudaica, i cieli si erano chiusi con la fine della profezia post-esilica (V secolo). E proprio in quei cieli aperti Gesù vede lo Spirito di Dio – lo Spirito che tante volte era sceso sui profeti, lo Spirito che costituiva l’unzione del Servo-Profeta annunciato da Isaia (cf. Is 61,1) – scendere su di lui come una colomba.

L’invocazione tante volte innalzata a Dio dai credenti di Israele: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!“ (Is 63,19), è finalmente esaudita, e qui tale esaudimento ci viene narrato in primo luogo mediante l’immagine del volo dolce e pacifico di una colomba. Di più, proprio in quella pagina di Isaia si legge: “Dov’è colui (Dio) che fece risalire dal mare il pastore del suo gregge? Dov’è colui che pose in lui il suo Spirito santo?” (Is 63,11). Ecco perché Gesù riceve lo Spirito al momento di risalire dalle acque. Lo Spirito che scende su di lui è quello stesso Soffio che si librava, che covava come colomba, sulle acque della prima creazione (cf. Gen 1,2), e ora scende in Gesù (eis autón), il quale diventa la Dimora, la Shekinah di Dio.

Al tentativo di raccontare l’evento, l’azione di Dio, mediante l’immagine della colomba, si accompagna la parola pronunciata dalla voce che giunge dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato; in te ho posto il mio compiacimento”. Dopo avere visto, Gesù ascolta una voce (la bat qol, “figlia di una voce”, secondo i rabbini) che gli dice innanzitutto: “Tu sei il Figlio mio, l’amato”. È la parola che rivela a Gesù la sua identità più profonda, parola che Gesù dovrà interiorizzare nella sua vita umana per rispondere pienamente alla sua vocazione, alla sua missione, ma prima ancora alla sua verità. In questa dichiarazione di Dio, che giunge a Gesù attraverso lo Spirito santo, vi è l’eco di numerose dichiarazioni di Dio attestate nelle Scritture di Israele: “Tu sei il Figlio mio, oggi ti ho generato” (Sal 2,7); “Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio” (2Sam 7,14).

Questa voce implica la paternità di Dio su Gesù e specifica che egli è l’unico Figlio, il Figlio amato, come lo era Isacco per suo padre Abramo (cf. Gen 22,2). Un Figlio che però, a differenza di Isacco, non sarà risparmiato dal sacrificio, perché – come dirà Gesù– i vignaioli perfidi, al vedere il Figlio amato, non lo risparmieranno, come si augurava il Padre, ma lo uccideranno e lo getteranno fuori della vigna (cf. Mc 12,6-8). Ecco dunque il Figlio amato di cui il Padre si compiace, perché è come il Servo nel quale egli ha posto il suo Spirito (cf. Is 42,1), il Servo eletto, scelto, eppure rifiutato.

Questa prima scena della vita di Gesù nel vangelo secondo Marco è posta significativamente in inclusione con il battesimo ultimo e definitivo, che Gesù conoscerà come adempimento della sua missione. Non a caso egli interrogherà i discepoli Giacomo e Giovanni chiedendo loro: “Potete essere immersi nell’immersione in cui io sono immerso?” (Mc 10,38). L’immersione nelle acque della morte, del rigetto e del tradimento, Gesù la vivrà nella sua passione, che sarà la sua epifania sulla croce: Gesù tra due peccatori, in piena solidarietà con noi umani, così come aveva iniziato il suo ministero. Allora, quando i cieli sembrano chiusi, al suo spirare si squarcia il velo del tempio (cf. Mc 15,38), perché il Santo dei santi, il luogo della presenza di Dio sulla terra, del dialogo definitivo tra terra e cielo, è proprio lui, Gesù. Il velo squarciato è il segno che ogni essere umano può avere comunione con Dio attraverso il corpo di Gesù, corpo datore di Spirito e di vita.

In questa festa del battesimo noi discepoli e discepole di Gesù siamo condotti a considerare il nostro battesimo non solo come evento che segna l’inizio della vita cristiana, ma come dinamica quotidiana che ci chiede, alla sequela di Gesù, di morire a noi stessi e di vivere del suo Spirito. Ormai ciascuno di noi, grazie allo Spirito santo effuso nei nostri cuori, Spirito con cui siamo stati “unti” e resi cristiani, cioè “messianici”, può rivolgersi a Dio balbettando: “Abba, Padre” (Rm 8,15; Gal 4,6), e sentirsi da lui amato. E Dio ha una sola e unica parola in risposta ai nostri gemiti e alla nostra invocazione: “Tu sei amato, amata”. È questa parola che ci sostiene e ci fa andare con speranza verso l’immersione della morte.

http://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12033-tu-sei-il-figlio-mio-l-amato

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

FISCO

Così il nostro fisco penalizza chi è genitore

In altre nazioni tutte le famiglie contano su un sistema che lascia loro una quota di reddito crescente all’aumentare del numero di figli.

Ogni volta che l’Istat aggiorna la serie dei dati mensili del bilancio demografico di questo Paese, si resta col fiato sospeso nell’attesa di un segnale di cambiamento che anticipi una qualche inversione di tendenza. Salvo poi ritrovarsi al punto di partenza con un misto di delusione e di preoccupazione. Ciò è quanto puntualmente si è verificato anche quando le statistiche anagrafiche ci hanno informato, qualche giorno fa, che la popolazione italiana è scesa quest’anno sotto la soglia simbolica di 300 mila nati nei primi otto mesi, con una riduzione del 2,2% rispetto al corrispondente periodo del 2016 e collezionando un deficit naturale (più morti che nati) di 142mila unità. Un passivo che ha già raggiunto, in solo due terzi dell’anno, quanto registrato nei dodici mesi del 2016; a conferma del continuo inseguimento di nuovi record al ribasso in un Paese da tempo demograficamente allo sbando.

Se poi alla luce di queste premesse andiamo alla ricerca di una reazione nei palazzi della politica, la delusione e la preoccupazione rischiano di trasformarsi in rabbia. A quanto è dato capire, la nuova legge di bilancio sembra infatti non dimostrare particolare impegno nell’affrontare, con misure serie e coerenti, ciò che frequentemente e nelle sedi più diverse viene etichettato come “inverno demografico”. Un malessere di cui sono ben noti i sintomi, le cause, gli effetti e le possibili terapie. Ma rispetto al quale manca tuttora la scelta (o quanto meno la disponibilità) di un medico cui affidare il paziente, con le necessarie garanzie di competenza e fiducia.

Eppure è agevole rendersi conto come l’inverno demografico sia meno rigido, rispetto al nostro “clima”, oltre confine in molte parti dello stesso Mondo economicamente più sviluppato. Nella graduatoria della fecondità tra i 55 Paesi dell’area Ocse l’Italia, con i suoi 1,34 figli per donna, si colloca al settimo posto: fanno peggio di noi solo quattro partner Ue mediterranei (Portogallo, Spagna, Cipro e Grecia) cui si aggiungono Polonia e Corea del Sud. Viceversa il numero medio di figli per donna è, rispetto al dato italiano, superiore del 33% nel Regno Unito, del 37% in Svezia, del 42% in Francia e persino la Federazione Russa, che pur ha recentemente segnalato preoccupazioni sul fronte demografico, presenta un livello di fecondità che è del 32% superiore al nostro.

I fattori che ci collocano in coda alle graduatorie della vitalità demografica sono di varia natura e complessità, tuttavia esiste accordo su una delle cause che, forse più di altre, spiega il forte divario tra l’Italia e quei Paesi che, come la vicina Francia, si caratterizzano per elementi di cultura e stili di vita non così diversi dai nostri. In particolare, ci si riferisce al tema del supporto economico alle famiglie a fronte degli ingenti costi di mantenimento, cura ed educazione dei loro figli.

Secondo un recente studio Ocse il sistema fiscale e le misure di sostegno presenti in Italia consentirebbero solo alle famiglie più povere – nel caso specifico identificate come coppie di lavoratori con salari inferiori del 50% al dato medio nazionale – una crescente protezione del loro reddito all’aumentare del numero di figli. Se infatti ci si sposta su condizioni di salario medio il divario tra chi è senza figli e chi ne ha (finanche tre o più) diventa decisamente modesto, per poi scomparire quasi del tutto quando si ha abbia che fare con lavoratori con una retribuzione del 50% superiore alla media (livello medio-alto). Come si vede, in Italia l’obiettivo di contrasto alla povertà sembra essere dominante nelle scelte di politica familiare, tanto da rendere secondario quello, altrettanto rilevante, di sostegno alla natalità.

Le analisi Ocse mostrano viceversa come in altri Paesi – non a caso Francia, Svezia e Regno Unito – anche nell’ambito della classe media (e in Francia persino in quella medio-alta) le famiglie contano su un sistema fiscale e su forme di supporto che consentono di lasciar loro una quota del reddito guadagnato che è crescente all’aumentare del numero dei figli di cui si fanno carico.

L’esempio è dunque eloquente e il messaggio è del tutto chiaro: per combattere efficacemente livelli di denatalità come sono quelli che caratterizzano l’Italia di oggi occorre avere il coraggio e trovare i mezzi per agire anche sulle famiglie del ceto medio (e persino medio-alto) con forme di aiuto che siano adeguate e soprattutto concepite (e percepite) come azioni di accompagnamento persistente. Peccato, come più volte si è sottolineato su questo giornale (che, pure, ha difeso il bonus quando lo si voleva cancellare di colpo), che non sia esattamente quanto sembra prospettarsi con l’attuale un “bonus bebè”: riservato unicamente ai redditi più bassi, necessariamente di importo modesto e, per di più, garantito per un solo anno.

Gian Carlo Blangiardo Avvenire 4 gennaio 2018

www.avvenire.it/attualita/pagine/il-nostro-fisco-penalizza-i-genitori

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Calo demografico. «Serve un patto per la natalità»

Il presidente del forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo: basta con i bonus, chi ha i figli va sostenuto. La richiesta ai partiti di firmare un impegno concreto per sostenere chi ha figli.

A sentire le promesse dei partiti sulla famiglia, ai papà e alle mamme d’Italia potrebbero venire le vertigini. «Il compito che sentiamo nostro in questa campagna elettorale è da un lato quello di fare la tara a ogni proposta fatta, in modo da distinguere sogni e realtà, dall’altro quello di incalzare perché il giorno dopo il 4 marzo 2018 accada qualcosa di concreto nel fisco italiano e nella cultura di questo Paese», attacca con un misto tra disincanto e determinazione Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari. «Le premesse – insiste – vanno messe oggi: a tutti proponiamo un documento chiaro e semplice, lo abbiamo chiamato Patto per la natalità, che impegna ciascuno a operare, dal giorno successivo al voto, perché l’intero sistema del fisco e dei servizi sia un invito a fare figli».

Cosa chiedete, esattamente, con il Patto?

Innanzitutto è un promemoria ai leader. Segretari e presidenti di partito, ricordate i commenti che voi stessi fate quando l’Istat, ogni anno, ci comunica che il numero dei morti supera in maniera netta quello dei nuovi nati? Ricordate i paroloni che voi stessi usate nei convegni per spiegare che senza neonati il Paese implode da ogni punto di vista? Siamo già in ritardo di venti anni, non cerchiamo altre scuse.

Quali scuse teme?

Beh, facile. Il giorno dopo il voto potrebbe registrarsi una specie di stallo. Si inizierà a parlare dei timori dell’Europa, dei conti, della stabilità finanziaria. A quel punto i programmi dei partiti diventeranno secondari e primari, invece, diventeranno accordi di governo tendenzialmente al ribasso. E chi viene sacrificata sempre quando si determinano queste condizioni? La famiglia, che tanto regge e se la cava sempre da sola, senza fare rumore, senza organizzare proteste di piazza e scioperi.

Quindi il Patto serve a prevenire che la mole di proposte sulla famiglia finisca nel nulla.

Esatto. Lavoriamo ora che il clima ancora non è rovente. Facciamo in modo che i leader, solitamente litigiosi su tutto, sulla famiglia trovino un punto di caduta comune. Nessuno deve più strattonare la famiglia in modo ideologico e strumentale. Tutti, invece, se le vogliono bene devono mostrarlo sostenendola concretamente con una riforma strutturale del fisco, dei servizi, delle condizioni bancarie, dei contratti di lavoro… Per anni la natalità è stata un tabù perché intersecava questioni incomprensibilmente divisive: il ruolo della donna, la maternità, il matrimonio, l’immigrazione. Ora però che siamo sull’orlo del precipizio ci vuole uno scatto di concretezza e realismo.

Da dove si parte?

Leggiamo con interesse tutti i programmi. Una cosa è chiara: basta bonus. Ci vuole una misura unica, chiara, forte, che contenga un messaggio: questo Paese premia chi fa figli facendogli pagare meno tasse. O si agisce sull’Irpef e sulla no-tax area, come propone il “fattore famiglia” che da tempo il Forum cerca di far conoscere. O si ragiona su una misura di assegno universale sostanziosa e collegata al numero di figli. Io penso che su uno di questi provvedimenti possa raccogliersi il 99,9% del Parlamento italiano: questo è il senso del Patto per la natalità. Poi intorno ci possono essere interventi specifici su nidi o altri aspetti della vita familiare. La metafora potrebbe essere questa: sino ad ora si è scelto l’arredo senza avere la casa, ora ripartiamo dai pilastri.

Il tema-famiglia richiede di andare anche oltre il fisco, no?

Il terreno è vastissimo. La famiglia produce benessere e ricchezza per tutti; partiamo da questa evidenza, riconosciamo alla famiglia, ma dobbiamo riconoscerlo tutti, non solo Forum e politica, ma anche imprese, banche, società civile. La famiglia mette d’accordo tutti. Puntando sulla famiglia si investe, la società investe. Facciamo evolvere le politiche per la famiglia in politiche anche economiche, di sviluppo e di crescita. Per questo, da tempo, lavoriamo con le banche per il microcredito legato a eventi familiari come la nascita di un bimbo, l’acquisto della stanzetta o di una macchina più grande. Con i sindacati e le imprese ci unisce il tema della conciliazione casa-lavoro per le donne e non solo. Dobbiamo dire che nel privato le cose si stanno muovendo più velocemente. È lo Stato che ancora non riesce a capire che ogni soldo messo sulla famiglia non è un costo ma un investimento che rende dieci volte dal punto di vista sociale, culturale ed economico. Qualsiasi demografo o sociologo o statistico è in grado di prevedere benissimo a cosa andrà incontro il nostro Paese senza bambini: collasso sanitario, previdenziale, collasso della finanza privata a causa del degrado di immobili, borghi e interi paesi colpiti dallo spopolamento. Quanto costerà domani fare quello che si dovrebbe realizzare oggi?

Lei pensa che con queste misure alle giovani coppie verrà la voglia di avere figli? O c’è un dato culturale più profondo?

È innegabile che il problema sia profondissimo. Però dobbiamo anche ancorarci a dati certi. Se la legge genera cultura, allora anche l’economia condiziona la mentalità. Tutte le ricerche su questo tema dicono che le famiglie e le giovani coppie vorrebbero avere due o più figli. Si fermano al primo per paura, perché temono di non poterli crescere nella dignità. Ne so qualcosa, aspetto il quinto figlio e la paura assale anche me, a volte. Insomma io non credo alla narrazione minoritaria e ideologica di nuove generazioni di adulti che non vogliono bambini. Semmai vedo e tocco con mano le difficoltà delle giovani coppie che vorrebbero mettere al mondo un figlio, ma senza casa e lavoro non è così facile.

Quando sarà proposto concretamente il Patto?

Ormai ci siamo. Nelle settimane scorse ho incontrato quasi tutti i segretari e presidenti di partito. Tutti, a parole, hanno indicato nella famiglia la priorità della prossima legislatura. Il primo parziale modo di dimostrarlo è firmare il nostro documento e inserire il tema natalità nei loro programmi elettorali.

Come da cliché, il Forum sarà accusato di fare politica.

Ben venga la politica e ben vengano le proposte ed i contenuti. Io non mi devo candidare, ma almeno lasciatemi fare da pungolo alla politica per alzare il livello del dibattito. Non ci sarà data un’altra occasione per far ripartire il Paese.

Marco Iasevoli Avvenire 4 gennaio 2018

www.avvenire.it/attualita/pagine/serve-un-patto-per-la-natalita

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

HUMANÆ VITÆ

“Contraccezione? In certi casi un dovere”. Svolta in Vaticano.

«Ci sono circostanze, mi riferisco ad Amoris lætitia, capitolo VIII, {§305} che proprio per responsabilità richiedono la “contraccezione”». Se si voleva trovare una frase più chiara per spiegare il senso che viene dato al rinnovamento del paradigma della teologia morale sarebbe stato difficile.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia.html

L’ha pronunciata don Maurizio Chiodi, teologo moralista e neo membro ordinario della Pontificia accademia della vita, recentemente rinnovata e retta da monsignor Vincenzo Paglia.

Chiodi è intervenuto lo scorso 14 dicembre 2017 alla Università Gregoriana di Roma nell’ambito di un ciclo di lezioni pubbliche in occasione dei cinquant’anni dell’enciclica di Paolo VI Humanae vitæ (25 luglio 1968). www.unigre.it/Univ/eventi/documenti_17_18/614_PUG_FT_BIB_famiglia_programma.pdf

Il titolo della relazione di Chiodi è molto chiaro: “Rileggere Humanae vitæ (1968) a partire da Amoris lætitia (2016)”, un titolo che a suo modo conferma le tante voci che vorrebbero in atto un progetto di rilettura dell’enciclica di Paolo VI in vista del suo cinquantenario.

http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_25071968_humanae-vitae.html

Le battaglie teologiche ed ecclesiali intorno ad Humanæ vitæ, hanno caratterizzato la storia moderna della Chiesa cattolica, al punto che Paolo VI dovette soffrire molto di fronte all’aperta contestazione che subì per quello che fu il suo ultimo documento ufficiale. L’enciclica, come atto di magistero autentico e definitivo, indica chiaramente che la contraccezione è contraria non solo alla procreazione, ma anche all’amore umano. Lascia aperta la porta soltanto ai metodi naturali, però non intesi in senso contraccettivo.

Ma, dopo 45 minuti di relazione che abbiamo avuto modo di ascoltare interamente (e per primo resa nota da Lifesitenews con una sua fedele traduzione in inglese),

www.lifesitenews.com/news/new-academy-for-life-member-uses-amoris-to-say-some-circumstances-require-c

il professor Chiodi arriva al punto: «La tecnica, in determinate circostanze, può consentire di custodire la qualità responsabile dell’atto coniugale, anche nella decisione di non generare quando sussistano motivi plausibili per evitare il concepimento di un figlio. La tecnica, mi pare, non può essere rifiutata a priori quando è in gioco la nascita di un figlio, perché anche la tecnica è una forma dell’agire e quindi richiede un discernimento sulla base di criteri morali irriducibili però a una interpretazione materiale della norma». Il punto di appoggio per arrivare a questa conclusione è il discusso capitolo VIII di Amoris lætitia, quello che ha sollevato i dubia di quattro cardinali e addirittura “correzioni filiali” al Papa e recentemente l’intervento di altri vescovi.

Chiodi nel suo intervento dice che Amoris lætitia non parla lungamente di Humanæ vitæ, ma offre comunque uno spunto fondamentale per pensare quello che lui reputa il nodo teologico fondamentale, cioè quello tra responsabilità soggettiva e situazione oggettiva. Quel nodo che alcuni, come ha scritto il professor Rocco Buttiglione, dicono utile per risolvere certi casi per l’accesso ai divorziati risposati conviventi more uxorio all’eucaristia, diventa così la chiave di volta per sostenere un rinnovato sguardo su tutta la dottrina morale della Chiesa cattolica, in questo caso per rimuovere il divieto della contraccezione.

«Io credo», dice Chiodi alla Gregoriana, «che il compito della teologia morale di oggi, riprendendo le istanze conciliari di Gaudium et spes n. 16 e alla luce anche della svolta antropologica rahneriana, sia quello di affrontare una sfida per pensare una teoria della coscienza del soggetto morale che dimostri la forma morale e credente».

www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19651207_gaudium-et-spes_it.html

In questa prospettiva, spiega, «le norme morali non sono riducibili a una oggettività razionale, ma appartengono alla vicenda umana intesa come una storia di salvezza e di grazia. Le norme custodiscono il bene e istruiscono, ma sono storiche», così «la persona è chiamata alla dimensione del cammino, a discernere quel bene possibile che sfuggendo all’opposizione assoluta tra bene e male, bianco o nero, dice Amoris lætitia, si fa carico delle circostanze a volte oscure e drammatiche».

Da queste premesse la conclusione della scelta responsabile della contraccezione, in certi casi, è la diretta e ovvia conseguenza. «Credo che la riflessione che abbiamo svolto autorizzi a ripensare il senso della norma morale di Humanæ vitæ; non si tratta di abolire la norma ma di mostrarne il senso e la verità». E’ un altro ritornello che si sente spesso: nessun cambiamento dottrinale, ma solo rinnovamento e conversione pastorale. Peccato però che questo senso e verità scovate dal nuovo paradigma portino a conclusioni pratiche che l’enciclica di Paolo VI escludeva in modo chiaro, come, appunto, qualsivoglia contraccezione.

Il punto è che la necessità impellente di “pensare questo rapporto tra soggettivo e oggettivo”, la necessità di fornire una risposta da parte del teologo moralista, così come ha ripetutamente detto don Chiodi nella sua relazione, forse una qualche risposta dal magistero l’aveva già ricevuta ed è da ricercare nell’enciclica di Giovanni Paolo II Veritatis splendor, che stigmatizza chiaramente la cosiddetta etica della situazione. Veritatis splendor è l’enciclica che è al cuore dei dubia posti dai quattro cardinali, domande a cui però non è mai stata data risposta.

http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_06081993_veritatis-splendor.html

In fondo gli argomenti di Chiodi, come di altri assertori del nuovo paradigma di Amoris lætitia, non sono poi così nuovi. Sono gli stessi che venivano portati avanti da quei teologi che attaccavano Humanæ vitæ e Paolo VI negli anni Settanta. Niente di nuovo sotto il sole.

Lorenzo Bertocchi la nuova bussola quotidiana gennaio 2018

http://lanuovabq.it/it/contraccezione-in-certi-casi-un-dovere-svolta-in-vaticano

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

MORALE CATTOLICA

Chi ha fatto la fecondazione assistita può ricevere la Comunione?

Una domanda. Nella mia parrocchia due genitori hanno portato il loro bambino per chiedere il Battesimo, raccontando che è nato con la fecondazione assistita. Il parroco giustamente non ha fatto problemi per battezzare il bambino. Mi chiedevo però se i genitori possono fare la Comunione.

 

Risponde padre Maurizio Faggioni, docente di Teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia centrale.

La domanda a prima vista può suonare inopportuna e un po’ stonata. Di che cosa potrebbero essere accusati due genitori che hanno desiderato tanto un figlio e che, dopo una lunga attesa, sono finalmente riusciti ad averlo? Quale colpa potrebbe mai macchiare questa gioia così naturale? Il fatto, però, che essi raccontino – o si vantino? – in parrocchia di essere ricorsi a un aiuto medico ha creato nel nostro lettore qualche perplessità.

Sappiamo che la morale cattolica approva il ricorso a terapie destinate a ripristinare la fertilità di una persona (es. interventi di microchirurgia tubarica) e non proibisce quei mezzi artificiali che permettono ad un atto d’amore fra coniugi di fiorire nel concepimento di un figlio (es. inseminazione omologa o intraconiugale). Sappiamo, però che alcune tecniche di fecondazione artificiale oggi molto diffuse non sono ritenute lecite, come il caso della fecondazione in vitro, anche fra sposi, o il ricorso a gameti donati da estranei perché negano od oscurano alcuni valori umani essenziali del generare. Ogni essere umano ha, infatti, diritto ad essere concepito nel contesto dell’amore coniugale e attraverso i gesti che incarnano questo amore.

Questo giudizio negativo – come il lettore ben sottolinea – non coinvolge certo il figlio: lo sguardo paterno di Dio si posa su ogni creatura umana e non dipende dalle circostanze del concepimento e da nessun altra considerazione sulla qualità della sua vita, ma dall’alleanza d’amore che Dio stesso ha stretto, fin dall’inizio del mondo, con ogni figlio d’uomo. L’istruzione Donum vitae nel 1987 ricordava a questo proposito che, «pur non potendo essere approvata la modalità con cui viene ottenuto il concepimento umano nella FIVET, ogni bambino che viene al mondo dovrà comunque essere accolto come un dono vivente della Bontà divina e dovrà essere educato con amore».

Come valutare, allora, la posizione morale dei genitori? Il loro desiderio di avere un figlio è naturale, buono e lodevole ed esprime una delle esigenze dell’amore coniugale, quella di aprirsi al dono della vita. Bisogna, d’altro canto, riaffermare che non tutte le modalità di aiuto offerte dalla medicina sono ritenute dalla sensibilità credente degne della persona e della piena verità dell’amore coniugale. Non di rado, poi, nelle tecniche extracorporee come la FIVET e la ICSI, tenuto conto di una percentuale di riuscita generalmente inferiore al 30%, il conseguimento della nascita tanto desiderata si accompagna al concepimento di un numero di embrioni superiore a quanto è prudente trasferire e al susseguente congelamento di quelli da tenere di riserva per nuovi tentativi. L’efficienza del risultato e la garanzia di avere figli sani comportano, infine, la selezione degli embrioni concepiti in vitro e la distruzione di quelli che, pur essendo viabili, presentano un qualche difetto.

Non sappiamo, nel caso concreto, se i genitori hanno fatto ricorso o meno a tecniche illecite e a quali o se erano consapevoli degli aspetti conturbanti ad esse connesse o se, pur essendone consapevoli, hanno deciso comunque di proseguire a qualunque costo e con qualunque mezzo nel loro progetto di genitorialità. Nella preparazione al sacramento del battesimo il parroco probabilmente ne ha parlato con loro e, a quanto è dato a noi di sapere, essi si accostano alla mensa eucaristica in buona coscienza, magari dopo essersi confessati. Di che cosa avrebbero dovuto pentirsi? Non di aver messo al mondo un figlio, ma del modo e delle circostanze in cui egli è stato concepito

Da Toscana Oggi Aleteia 2 gennaio 2018

https://it.aleteia.org/2017/11/13/chi-ha-fatto-la-fecondazione-assistita-puo-ricevere-la-comunione

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

POLITICHE PER LA FAMIGLIA

Famiglia: tutti i bonus 2018

La manovra di bilancio 2018 di recente approvazione ha introdotto, confermato e modificato diverse misure riguardanti il sostegno ai nuclei familiari, dal bonus bebè fino alle detrazioni per i figli a carico.

  • Bonus bebè solo per il 2018.Giunge l’attesa conferma per l’erogazione del c.d. bonus bebè: la misura, tuttavia, sarà circoscritta al solo anno 2018 e non più stabilizzata. Inoltre, dell’importo annuo (che resta fissato in 960 euro) potranno beneficiare i bambini nati o adottati nel 2018, ma solo fino al primo anno di vita e sempre che l’ISEE familiare non superi i 25.000 euro annui. L’importo spettante risulta, invece, raddoppiato (1.920 euro l’anno) se l’ISEE familiare non supera i 7.000 euro annui.

  • Ampliamento detrazioni figli a carico. La manovra di bilancio introduce anche un ampliamento relativo alle detrazioni per i figli a carico con nuovi tetti di reddito in vigore a partire dal 1° gennaio 2019. Da tale data, il reddito complessivo per essere considerati fiscalmente a carico, infatti, salirà a 4.000 euro, ma limitatamente ai figli fino a 24 anni. La precedente soglia pari a 2.840,15 euro resterà, invece, invariata per altre tipologie di familiari a carico.

  • Il “caregiver” familiare. Anche nel nostro paese inizia a trovare maggior riconoscimento e dignità la figura del caregiver familiare. Questi viene definito dalla manovra di bilancio come “la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, di un familiare o di un affine entro il secondo grado, ovvero, nei soli casi indicati dall’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o sia titolare di indennità di accompagnamento ai sensi della legge 11 febbraio 1980, n. 18”. La nuova legge di bilancio istituisce, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare, con una dotazione iniziale di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020. Il Fondo sarà destinato alla copertura finanziaria di interventi legislativi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura non professionale del caregiver familiare, come sopra definito.

  • Interventi per i giovani allontanati dalla famiglia. Inoltre, la manovra introduce in via sperimentale, una misura finanziaria volta a prevenire condizioni di povertà ed esclusione sociale dei giovani che, al compimento della maggiore età, vivano fuori dalla famiglia di origine sulla base di un provvedimento dell’autorità giudiziaria. Vengono, in sostanza, destinati 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020, nell’ambito della quota del Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale (art. 7, comma 2, d.lgs. n. 147/2017) destinati a interventi atti a completare il percorso di crescita verso l’autonomia garantendo la continuità dell’assistenza nei confronti degli interessati, sino al compimento del ventunesimo anno d’età.

  • Detrazione IRPEF per universitari fuori sede. Agli studenti fuori sede, la manovra riconosce una detrazione IRPEF sui canoni di locazione di alloggi universitari se questi sono iscritti a un corso di laurea presso un’università ubicata a una distanza minima di 100 km dal proprio comune di residenza e, comunque, in una provincia diversa. Limitatamente ai periodi d’imposta in corso al 31 dicembre 2017 e al 31 dicembre 2018, il requisito della distanza si intenderà rispettato anche all’interno della stessa provincia e sarà ridotto a 50 chilometri per gli studenti residenti in zone montane o disagiate. La detrazione varrà per gli affitti di unità immobiliari nello stesso Comune in cui ha sede l’Università o in quelli limitrofi, per un importo non superiore a 2.633 euro.

  • Nuove risorse per il reddito di inclusione. Sul fronte della lotta alla povertà, grazie a un maggiore stanziamento di risorse al Fondo Povertà (300 milioni nel 2018, di 700 milioni nel 2019 e di 900 milioni nel 2020) sarà possibile, non solo, estendere la platea dei beneficiari del Reddito di Inclusione (ReI), ma anche incrementare l’importo del beneficio introdotto dal d.lgs. 147/2017 e che entrerà in vigore a partire dal 1° gennaio 2018.

Lucia Izzo Newsletter Giuridica Studio Cataldi 2 gennaio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/28593-famiglia-tutti-i-bonus-2018.asp

 

Natalità. Aiuti ai figli, ecco le vere differenze tra Italia e Francia

Parigi spende il doppio di Roma per sostenere la famiglia. Ma tra bonus, assegni e sconti fiscali gli incentivi dei due Paesi si assomigliano molto, tranne che in una cosa: le risorse al ceto medio

Lo sanno tutti e tutti lo dicono: la Francia è un vero “paradiso” per le famiglie con figli e quanto a sostegni economici alla natalità è uno dei posti migliori al mondo per diventare genitori. La prova è anche nei numeri: in Francia il tasso di fecondità è di 1,93 di figli per donna, il dato più vicino al tasso di sostituzione demografica (2,1) di tutto l’Occidente, mentre l’Italia è a 1,34. Ma che cosa rende tanto efficace il modello francese? E cosa lo distingue dal sistema italiano? Provare a rispondere è quasi un dovere, dopo che tutti i principali candidati alle elezioni hanno promesso di aumentare gli incentivi alla natalità, indicando spesso la Francia come esempio.

Alla prova dei fatti, tuttavia, il confronto riserva non poche sorprese: infatti dopo i diversi “bonus” introdotti negli ultimi tre anni in Italia i due Paesi si sono avvicinati molto, la vera differenza riguarda l’entità complessiva delle risorse ma soprattutto il fatto che Oltralpe gli aiuti sono concessi in modo pressoché universale.

Due Paesi quasi gemelli.

La Francia ha circa 67 milioni di abitanti, l’11% in più dell’Italia, che ne ha 60,6 milioni. Nel 2016 in Francia sono nati 785.000 bambini, il 65% in più che in Italia, dove ne sono nati 474mila. Il Prodotto interno lordo francese nel 2015 è stato superiore di circa il 20% rispetto a quello italiano e alla voce “Famiglia e figli” la Francia ha destinato il 2,5% del Pil, 53 miliardi di euro, l’Italia l’1,7%, 26 miliardi, cioè la metà.

L’Eurostat ha calcolato che mentre a ogni “figlio” francese spettano circa 4.000 euro l’anno di sostegni, agli italiani ne arrivano circa 2.000. Le differenze, insomma, ci sono. Già, ma dove? Per i redditi bassi gli incentivi alla natalità si equivalgono, Parigi prende invece il largo nelle risorse per le famiglie numerose e per i redditi medi e alti. Lo si comprende analizzando le tipologie tipiche di sostegni alla natalità: benefit monetari, sostegni fiscali, servizi di cura.

  • I Bonus alla nascita. Il primo tipo di aiuto che si ottiene in Francia per i figli è il Premio alla nascita: 927,71 euro per ogni bebè (il doppio per le adozioni). Il Premio rientra tra le “Prestazioni di accoglienza del bambino” (Paje) e spetta solo a chi ha un reddito annuo sotto i 35.872 euro netti (45.575 euro se i genitori lavorano entrambi). L’Italia non è da meno: il Bonus mamma domani, introdotto dal 2017, ammonta a 800 euro per ogni figlio.

  • Fino ai tre anni del bambino in Francia viene poi corrisposto l’Assegno mensile di base: 185,54 o 92,77 euro a seconda del reddito (stessi tetti del “Premio nascita”). In Italia dal 2014 c’è il Bonus bebè, contributo identico ma con limiti di reddito più bassi: 160 euro al mese per le famiglie con Isee sotto i 7.000 euro, 80 euro dai 7 ai 25 mila euro. La manovra 2017 lo ha però tagliato e dal 2018 si potrà prendere pienamente solo il primo anno.

  • Assegni familiari. Dopo i bonus per l’”accoglienza”, in Francia arrivano le “Prestazioni generali di mantenimento”. Gli Assegni familiari spettano solo dal secondo figlio fino ai 20 anni, e va a tutti i residenti: 130,51 euro al mese per 2 figli, 297,72 per 3 figli, 167,21 per ogni figlio in più. Dal 2015 l’importo è dimezzato per i redditi oltre i 67.408 euro netti (73mila euro con 3 figli, 78.642 con 4). Anche in questo caso l’Italia ha un corrispettivo simile, gli Assegni al nucleo familiare. A differenza della Francia partono già dal primo figlio, ma si fermano a 18 anni, e vanno solo a dipendenti e pensionati, non ad autonomi e disoccupati. I nostri assegni non sono inferiori, anzi: 137,50 euro per una persona a carico, 258,33 per 2, 375 per 3. Il problema è che oltre i 14mila euro lordi di reddito familiare calano velocemente. Già con un reddito di 30mila euro l’assegno scende a 47 euro; al tetto dei 67mila euro, cioè quando in Francia l’assegno si dimezza, in Italia si azzera. Alle famiglie con più di tre figli tra i 3 e i 21 anni, poi, lo Stato francese paga un Supplemento familiare di 169,87 o 235,89 euro al mese a seconda delle fasce di reddito (37mila euro, 46mila se lavorano in due). Anche in Italia c’è un Contributo per le famiglie numerose, in teoria di poco inferiore: 141 euro al mese. In realtà va a pochissimi, dato che non spetta alle famiglie con Isee oltre gli 8.555,99 euro.

Per un quadro completo degli aiuti in Francia ecco una guida aggiornata in italiano.

http://www.cleiss.fr/docs/regimes/regime_france/it_a1.html

  • Cura dei figli. Secondo pilastro degli aiuti ai figli, dopo i benefit economici, sono i servizi di cura. In Francia le rette per gli Asili nido sono definite a livello nazionale e seguono il reddito e il numero dei figli. E il calcolo della propria retta può essere fatto tranquillamente via Internet. In Italia le tariffe variano molto da comune a comune ma sono molto più alte per i redditi medi. Solo il 16% dei francesi riesce però a mandare i figli al nido (nell’area di Parigi la percentuale sale al 38%), il 30% dei genitori si rivolge a una tata e il 54% li cura direttamente. In Italia il nido copre in media il 23% del bacino di utenza: il 30% al Nord, il 10% al Sud. La ragione della differenza è anche nel sistema di aiuti, che Oltralpe favorisce la libera scelta. Se i genitori decidono di stare a casa dal lavoro, in Francia c’è la Prestazione condivisa di educazione del bambino (PreParE): da 6 a 48 mesi per ogni genitore a seconda che si tratti di primogeniti, secondogeniti o superiori, e spettano 394,06 euro al mese in caso di cessazione totale dell’attività, 254,74 in caso di part-time inferiore al 50%. Per chi preferisce la tata, la baby sitter o il micronido, per 6 anni c’è l’Integrazione di libera scelta del modo di custodia (Cmg): da 176 a 850 euro al mese.

Anche in Italia da qualche anno ci sono aiuti in questo ambito, ma più limitati e solo per chi lavora. Il Bonus baby sitter offre 600 euro al mese per 6 mesi alle mamme che dopo la maternità rinunciano al congedo parentale per tornare subito al lavoro. Il Bonus nido, invece, sono 1.000 euro in un anno, a esaurimento dei fondi.

  • Sistema fiscale. È sul sistema fiscale che si gioca la vera partita. In Francia il Quoziente familiare rende fiscalmente molto conveniente avere più figli. Le aliquote fiscali si applicano sul reddito familiare dopo che è stato diviso per il numero di “parti” del nucleo: 2 parti i genitori, 0,5 il primo e secondo figlio, 1 il terzo, 0,5 i successivi. Più figli, meno tasse. Il sistema è molto articolato, ma a titolo di esempio: una coppia con 2 figli e 25mila euro di reddito complessivo non paga alcuna tassa; una coppia con 3 figli e 50mila euro di entrate paga al Fisco poco più di 3.000 euro l’anno, con 100.000 euro di reddito ne pagherebbe solo 10.000.

In Italia invece la tassazione avviene su base individuale e per i figli a carico sono previste Detrazioni: 1.220 euro per i figli con meno di tre anni e 950 euro fino ai 25. Per ogni figlio dopo il terzo spettano 200 euro in più. Le detrazioni italiane non sono basse, ma decrescono molto velocemente con il reddito e si azzerano a 95mila euro lordi. In sostanza il Fisco francese premia nettamente chi ha più di due figli, favorisce i nuclei monoreddito mentre l’Italia li penalizza, concede sconti che aumentano con il reddito e la prole.

Il vantaggio del Quoziente rispetto all’Italia è enorme per i redditi medi e alti: fino a circa 20 mila euro non vi è grande differenza tra i due Paesi, dopo sì.

Uno studio della Cgia di Mestre ha calcolato che con il sistema transalpino una famiglia italiana con un reddito di 35mila euro e 2 figli pagherebbe 6.277 euro in meno di tasse se monoreddito e 1.866 in meno se bireddito; con 60.000 euro di entrate il vantaggio sarebbe di 14.551 o 8.737 euro.

www.cgiamestre.com/articoli/18923

  • Le riforme possibili. La natalità di un Paese dipende da molti fattori: culturali, spirituali, economici. Valutando solo gli incentivi monetari l’Italia ha molta strada da fare, e le vie possibili sono diverse. Chi guarda e cita il “modello francese” dovrebbe però tenere presente che richiede il doppio delle risorse e che per allinearsi a Parigi andrebbero ampliati i sostegni per i figli di disoccupati e autonomi, ma soprattutto dei ceti medi e medio alti.

Una via che alcuni ritengono iniqua in quanto regressiva, altri giusta perché i figli riducono il reddito disponibile. Opinioni a parte, il modello francese ha anche un chiaro obiettivo demografico, quello italiano non ancora

Massimo Calvi Avvenire mercoledì 3 gennaio 2018

www.avvenire.it/attualita/pagine/aiuti-ai-figli-la-vera-differenza-tra-italia-e-francia

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

SESSUOLOGIA

L’amore a prima vista non esiste: è solo desiderio o un falso ricordo

Secondo uno studio olandese sono gli uomini in maggioranza ad ammettere di essere stati colti da un “colpo di fulmine”, ma si tratta di un autoinganno: è attrazione fisica oppure una memoria ‘distorta’, vista attraverso la lente del sentimento che rafforza il legame di una coppia

I romanticoni si mettano il cuore in pace, l’amore a prima vista è un’illusione. Il colpo di fulmine è questione di desiderio fisico. A rovinare la poesia di quella frase, “Ti ho amato fin dal primo momento”, purtroppo è la scienza. Non per questo chi giura di aver amato il proprio partner dal primo sguardo o chi sostiene di aver sperimentato l’amore a prima vista è per forza un bugiardo, anzi. Si tratta proprio di questo: chiamiamo amore la percezione e le sensazioni che proviamo quando crediamo che la freccia di Cupido ci abbia colpito in maniera inaspettata. Ma secondo gli studiosi dell’Università di Groningen, in Olanda, si tratta, molto più prosaicamente, di attrazione fisica.

I ricercatori del dipartimento di Psicologia hanno misurato in diversi modi la “capacità di infatuazione” di alcune centinaia di giovani, per lo più studenti attorno ai 20 anni. Un sondaggio online, test in laboratorio con questionari e alcuni incontri reali, faccia a faccia, speed date (dove si ha un tempo limitato per sedersi e conoscersi) e un meeting con cena. In seguito hanno risposto a domande sulla loro esperienza e i sentimenti o sensazioni generati dagli incontri.

I partecipanti allo studio erano quasi 400 ma solo una piccola parte, 32 in maggioranza uomini, hanno dichiarato di aver sperimentato l’amore a prima vista. Qualcuno più volte (i “colpi di fulmine” sono stati 42).

Analizzando i dati però è emerso come la quasi totalità di loro collegava l’esperienza all’attrazione fisica e non ad altre sensazioni come “passione”, “intimità” o “impegno” (inteso nel senso di legame). Non era amore, dunque, o almeno non lo era ancora. E questo sembra sia vero non solo per le potenziali nuove coppie, ma anche riguardo a quello che i partner ricordano del loro primo incontro.

Non è la prima volta che gli scienziati si immischiano delle questioni di coppia.

www.repubblica.it/scienze/2015/02/10/news/amore_la_matematica_svela_il_segreto_della_coppia-106983771

Precedenti studi che hanno “misurato” il fenomeno indicano che una persona su tre, nei paesi occidentali, ha vissuto (o crede di averlo fatto) l’amore a prima vista. Ciononostante quello che le coppie ricordano come un amore scoppiato all’improvviso, subito dopo aver conosciuto la propria metà, è un ricordo costruito, in qualche modo falso, che rafforza il legame della coppia. Anche in questo caso, dunque, si tratta di una illusione, un’attrazione fisica vista attraverso la lente dei sentimenti, che sono cresciuti nel tempo.

Per riportare un po’ di poesia in questo spoiler potremmo chiamare in causa Dante: “Amor che a nullo amato amar perdona” diceva per bocca di Francesca, nel girone dei lussuriosi, travolti (guarda caso) dall’attrazione fisica e sbattuti da un vento, quello del desiderio, che non si placa mai. “Amore che non consente a nessun amato di non amare a sua volta”. Forse è questa la prova: dei 42 innamoramenti a prima vista dichiarati nell’esperimento, nessuno è risultato corrisposto. Chissà se tra Paolo e Francesca è stato un “colpo di fulmine”?

Matteo Marini La Repubblica 27 dicembre 2017

www.repubblica.it/scienze/2017/12/27/news/l_amore_a_prima_vista_non_esiste_e_solo_desiderio_o_un_falso_ricordo-185321123/?ref=RHPPRT-BS-I0-C4-P1-S1.4-T2

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

Le comunichiamo che i suoi dati personali sono trattati per le finalità connesse alle attività di comunicazione di newsUCIPEM. I trattamenti sono effettuati manualmente e/o attraverso strumenti automatizzati.

Il titolare dei trattamenti è Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali Onlus – 20135 Milano-via S. Lattuada, 14. Il responsabile è il dr Giancarlo Marcone, via Favero 3-10015-Ivrea

.newsucipem@gmail.com

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

Condividi, se ti va!