NewsUCIPEM n. 665 – 3 settembre 2017

NewsUCIPEM n. 665 – 3 settembre 2017

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

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Le “news” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali. Sono così strutturate:

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I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

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01 ADOZIONI INTERNAZIONALI Urge un ‘pacchetto adozioni’.

03 AMORIS LÆTITIA Le carte segrete. Così Paolo VI decise sull’enciclica Humanae vitæ.

04 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Assegno ai figli: niente scuse per il padre disoccupato.

05 ASSEGNO DIVORZILE Chi vuole l’assegno deve provare di non potersi mantenere.

06 ASSISTENZA Commette reato il figlio che non aiuta i genitori.

06 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 31, 30 agosto 2017.

08 CHIESA CATTOLICA Chiesa e psicanalisi, dalle condanne alla parziale riconciliazione.

09 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Jesi. C. “La Famiglia” Scuola di formazione per Consulenti familiari.

09 DALLA NAVATA XXII domenica del tempo ordinario – Anno A – 3 settembre 2017.

09Se qualcuno vuole venire dietro a me (Enzo Bianchi).

11 ETS (già onlus) NON PROFIT Personalità giuridica.

12 FRANCESCO VESCOVO DI ROMAIl Papa: a 42 anni mi consultai con una psicanalista ebrea

12 GROOMING Il reato di grooming.

13 NULLITÀ MATRIMONIALE Il matrimonio è durato 3 anni? Niente delibazione di nullità.

13 STALKING Litigiosità per i figli, può essere stalking.

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Urge un ‘pacchetto adozioni’.

Pietro Ardizzi (Oltre l’Adozione) “Con la vicepresidente Laera sarà possibile riportare trasparenza e legalità nell’adozione internazionale.

Un adeguato “pacchetto adozioni” da inserire nella prossima Legge di Bilancio, prevista per il prossimo autunno, accompagnato da un rilancio culturale e mediatico del valore straordinario delle adozioni internazionali, per ridare speranza e possibilità alle moltissime coppie italiane che negli ultimi tre anni sono rimaste maltrattate, deluse, scoraggiate e disorientate. Perché l’adozione internazionale è possibile ed è un’avventura straordinaria che l’Italia non può perdere! Di questo ne è certo Pietro Ardizzi portavoce del coordinamento di enti “Oltre l’adozione” intervistato da AiBiNews: ne esce una fotografia della realtà a 360 gradi con la “ricetta” per uscire da questa crisi delle adozioni internazionali causata da diversi fattori, primo fra tutti “l’aver “sottovalutato” il loro grandissimo valore (delle adozioni internazionali ndr) – sostiene Ardizzi – e conseguentemente non averle tutelate e sviluppate, quindi sono finite per essere trascurate”.

1) Quali secondo Lei le principali cause della crisi che ha colpito le adozioni internazionali negli ultimi anni?

Oggi è necessario riaffermare a gran voce che le adozioni internazionali sono un fatto eccezionale, e un’esperienza meravigliosa che ha un altissimo valore umano, sociale e culturale sia per i protagonisti: famiglie e bambini, sia per tutta la società italiana.

L’inizio della crisi delle adozioni internazionali in Italia si può datare: novembre 2011. I fattori della crisi sono stati diversi e non solo italiani, ma ciò che ha pesato di più è stato l’aver “sottovalutato” il loro grandissimo valore e conseguentemente non averle tutelate e sviluppate, quindi sono finite per essere trascurate.

Dal febbraio 2014 poi è iniziato il triennio più disastroso e deleterio mai registrato per le adozioni internazionali, cioè per le famiglie, i bambini e gli Enti Autorizzati.

2) È possibile secondo lei un rilancio e una conseguente crescita delle adozioni internazionali nell’immediato futuro o servirà tempo?

Una ripresa e un rilancio delle adozioni internazionali è possibile, anzi è doveroso. L’Italia, che ha sempre costituito un esempio virtuoso per la comunità internazionale che ci guardava con apprezzamento ed emulazione, non può e non deve perdere questa grandissima possibilità di umanità e di accoglienza: coppie che vogliono adottare e bambini che hanno bisogno di genitori per lo sviluppo della loro vita.

Il “sistema” buono delle adozioni internazionali c’era e c’è. Anche se necessita di qualche correzione, può e deve ripartire al più presto possibile. Ha bisogno di attori, istituzioni ed Enti, che ci credano e sappiano favorire e scommettere sulla grandissima risorsa che sono le coppie italiane.

Ha bisogno di risorse umane ed economiche come prima e più di prima per tornare ad essere un’eccellenza.

Considerando le prospettive del Governo in corso, i tempi sono stretti ma vale la pena rischiare, anzi serve fare tutto il possibile perché le adozioni internazionali in Italia non “muoiano” definitivamente.

3) Crede che con la nuova vicepresidenza di Laura Laera vi sarà un’inversione di tendenza?

Ho incontrato la dott.ssa Laura Laera, insediatasi alla vicePresidenza della CAI il 15 giugno scorso, e posso dire che è la persona adatta a questa carica. Esperienza in campo minorile, come richiesto dalla legge, persona che crede nell’adozione internazionale, che ha capacità e volontà per far ripartire il sistema.

Mi ha sinteticamente esposto il suo programma: ripristinare legalità, trasparenza, dialogo e collaborazione sia in Commissione che nel “sistema”. Questo suo programma deve essere pienamente sostenuto con risorse adeguate dal Governo e fatto proprio da tutti gli Enti Autorizzati.

Dopo il “triennio orribilis” appena passato, occorre uno sforzo ed un lavoro comune per un salto di qualità irrinunciabile ed irrimandabile, per il bene dei bambini, delle coppie, di tutta l’Italia.

4) Quali sono gli errori da non ripetere da parte della CAI e delle istituzioni (se ci sono stati…)?

Qualsiasi Governo sia chiamato a governare non corra il rischio di scelte “improvvisate” o di “compromesso”, ma esprima la massima attenzione ed impegno per il sistema italiano delle adozioni internazionali. E’ un sistema delicatissimo ed ha bisogno di cura e dedizione costanti per poter realizzare bene e a pieno il suo scopo: favorire il formarsi di famiglie che assicurino amore e futuro ai bambini abbandonati che lo aspettano.

La CAI, Commissione per le Adozioni Internazionali, è per legge un organo collegiale con precise funzioni e compiti, perciò non accada più che sia un organo escluso dal controllo del sistema e men che meno che sia sostituita da una guida monocratica.

5) Cosa chiedono gli Enti al Governo e alla nuova vicepresidenza CAI per il rilancio dell’adozione internazionale e quali gli obiettivi futuri?

Gli Enti chiedono che, senza più indugi e rimandi, il sistema riprenda subito a funzionare bene e pienamente ed ogni attore possa fare la sua parte: CAI, Enti, Tribunali e Servizi Sociali.

Occorrono subito risorse economiche adeguate, migliorando le scelte degli anni precedenti. Per questo chiediamo al Presidente del Consiglio e Presidente della CAI di inserire un adeguato “pacchetto adozioni” nella prossima Legge di Bilancio, prevista per il prossimo autunno.

Occorre un rilancio culturale e mediatico del valore straordinario delle adozioni internazionali, per ridare speranza e possibilità alle moltissime coppie italiane che negli ultimi tre anni sono rimaste maltrattate, deluse, scoraggiate e disorientate: l’adozione internazionale è possibile ed è un’avventura straordinaria che l’Italia non può perdere

News Ai. Bi. 29 agosto 2017

www.aibi.it/ita/pietro-ardizzi-oltre-ladozione-con-la-vicepresidente-laera-sara-possibile-riportare-trasparenza-e-legalita-nelladozione-internazionale-urge-un-pacchetto-adozioni

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AMORIS LÆTITIA

Le carte segrete. Così Paolo VI nel 1968 decise sull’enciclica Humanae vitæ.

Il teologo Gilfredo Marengo analizzerà il supplemento d’indagine, finora secretato, chiesto da Montini alla Congregazione per la dottrina della fede e alla segreteria di Stato

Vedi NewsUCIPEM n. 661 – 6 agosto 2017, pag.5

Uno studio per riattualizzare il messaggio di Paolo VI sulla vita, per riportare alla luce il procedimento rigoroso scelto per documentarsi e approfondire la questione prima di scrivere Humanae vitæ. Chi ha parlato di commissione segreta per azzerare o ribaltare con un ipotetico, futuro documento, le indicazioni di papa Montini sulla regolazione delle nascite, è quindi del tutto fuori strada. Lo studio avviato sull’enciclica in vista del 50° anniversario (25 luglio 1968), punta anzi spiegare, finalmente in modo esplicito, che il no ai metodi di regolazione artificiale delle nascite è maturato attraverso vari gradi di giudizio, al di là dell’esito contraddittorio emerso dai lavori della commissione di cui spesso si parla a sproposito.

Non fu insomma una decisione solitaria di un Papa combattuto tra posizioni inconciliabili, ma un processo ecclesiale lungo e complesso, iniziato nel ’63 da Giovanni XXIII, proseguito con il lavoro della commissione, arricchito dalla decisione di Montini di coinvolgere poi nella riflessione la Congregazione per la dottrina della fede e la Segreteria di Stato. Quando Paolo VI scrisse Humanae vitæ aveva di fronte a sé una serie di valutazioni, di ordine morale e pastorale, ma anche tecnico e scientifico, frutto di un lavoro puntuale e accurato che, dopo quanto emerso dalla commissione, proseguì ancora per circa due anni con il coinvolgimento di molti altri esperti. Sbagliato quindi affermare che fu Montini, da solo, tormentato dai dubbi e dalle incertezze, a prendersi la responsabilità di ribaltare il giudizio della commissione di esperti. Sia perché, com’è noto, l’esito finale della Commissione produsse un documento, votato a maggioranza, favorevole alla liceità della contraccezione artificiale.

E uno, di minoranza, che esprimeva invece una valutazione contraria. Quindi tutt’altro che un giudizio unanime. Sia perché, ad orientare e sostenere la decisione finale del Papa, furono successivamente coinvolti due organismi vaticani in un arco di tempo della durata complessiva di cinque anni. Quanto la Chiesa consideri rilevante tornare a far luce su tutti questi aspetti, in un momento in cui il dibattito sembra soprattutto orientato ad alimentare confusioni inutili e sterili contrapposizioni dopo l’uscita di Amoris Lætitia, lo prova la deroga temporale concessa in via eccezionale per esaminare i documenti conservati negli archivi vaticani. Invece dei 70 anni previsti dalle norme che regolano l’accesso a questi archivi, le decine di faldoni che ospitano testi e documenti utilizzati da Paolo VI sono stati resi disponibili già da alcune settimane. La ricerca è condotta dal professor Gilfredo Marengo, docente di antropologia teologica dell’Istituto Giovanni Paolo II. «Si tratta di un lavoro storico che–spiega–ha l’obiettivo di mettere in luce il valore delle conclusioni a cui arrivò Paolo VI.

L’impegno di documentazione e di analisi fu esemplare. E non sto parlando dei lavori della commissione che da tempo sono pubblici». Tutto quanto dibattuto e deciso dagli esperti, compreso il doppio, opposto, giudizio, è infatti stato reso noto e pubblicato addirittura prima dell’uscita di Humanae vitæ. L’esito di quella discussione e delle relative conclusioni è conosciuto fin dal 1967. Fu una rivista americana, il National Catholic Register, a divulgare per prima tutto il materiale. In seguito i documenti furono oggetto di studio e di analisi da parte di altre decine di riviste e di saggi. E non c’è più nulla da scoprire. «Il materiale più vasto invece riguarda tutto lo studio che Paolo VI – riprende il teologo – fece condurre, dopo la conclusione dei lavori della Commissione, prima dalla Congregazione per la dottrina della fede e poi dalla Segreteria di Stato, dal giugno 1966 al luglio 1968.

La documentazione è conservata, in parte presso l’archivio della Congregazione, perché furono gli esperti di questo organismo a ricevere inizialmente il mandato di Paolo VI di riprendere in mano le conclusioni dei due documenti della Commissione, e in parte presso la Segreteria di Stato. Nel primo caso i lavori si svolsero dal giugno 1966 alla fine del ’67. Nel secondo dall’inizio del ’68 alla pubblicazione del documento, sei mesi dopo». Tutti questi studi, di enorme interesse, perché offrirono a Montini le basi per orientare il suo giudizio, non sono mai stati esaminati. Solo dopo averli attentamente studiati si potrà comprendere quali furono gli elementi che hanno dato forma all’enciclica – l’ultima del pontificato di Paolo VI – con quelle conclusioni.

Come si svolse il “riesame” della Congregazione per la dottrina della fede e poi della segreteria di Stato? «I lavori della Commissione furono metodicamente passati al setaccio e poi – riprende l’esperto – si formarono alcuni gruppi di lavoro in vista della stesura di una bozza della futura enciclica. Un po’ come si fa per tutti i documenti vaticani». Divulgare quel percorso in vista del 50° anniversario della pubblicazione, trattandosi soprattutto di un documento che ebbe un impatto di grande rilievo e suscitò polemiche e discussioni infinite, ha e avrà un grande interesse storico-critico. Tutto qui. Nessuno potrebbe pensare che studiare il percorso documentale con cui prese forma l’enciclica abbia a che fare con una valutazione del merito di quanto Humanae vitæ insegna.

Anche perché papa Francesco, come emerge con chiarezza da Amoris Lætitia, ha rivolto considerazioni di grande stima all’impegno di Paolo VI sul fronte dello sforzo compiuto per divulgare la consapevolezza di una maternità e di una paternità davvero responsabili. E lo stesso arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, e gran cancelliere del “Giovanni Paolo II”, spiegando che non c’era alcuna commissione segreta incaricata di cercare elementi per “ribaltare” Humanae vitæ si era detto convinto che dallo studio del percorso scelto per arrivare all’enciclica sarebbero emersi il rigore e l’impegno di Montini per definire un aspetto tanto rilevante nell’approfondimento e nella definizione della generazione umana. Cinquant’anni dopo è arrivato il momento di spiegare tutto con chiarezza di analisi e trasparenza di intenti. I complottisti si rassegnino. Qui non ci sono spunti per le loro fantasie malsane.

Luciano Moia Avvenire 30 agosto 2017

www.avvenire.it/chiesa/pagine/humanae-vitae-alle-radici-di-una-scelta

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO DEI FIGLI

Assegno ai figli: niente scuse per il padre disoccupato

Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 39411, 24 agosto 2017.

Per la Cassazione è irrilevante lo stato di disoccupazione dell’uomo quanto al mancato versamento dell’assegno. Va condannato per violazione degli obblighi di assistenza familiare il padre che versa l’assegno di mantenimento nei confronti dei figlio, il quale non è giustificato dallo stato di disoccupazione da lui lamentato, ritenuto all’uopo irrilevante.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con cui ha rigettato il ricorso avanzato da un uomo condannato ex art. 570 c.p. per mancato assolvimento degli obblighi di mantenimento nei confronti della figlia.

L’uomo, in sede di legittimità, evidenzia che non è stata considerata dai giudici di merito la mancanza dello stato di indigenza della minore, che avrebbe a detta sua dovuto caratterizzare il reato, nonché la sua impossibilità di adempiere in quanto disoccupato.

Tuttavia, gli Ermellini condividono quanto stabilito dai giudici di merito e precisano che le eccezioni attinenti lo stato di disoccupazione appaiono infondate: queste, infatti, non scriminano dall’obbligo di contribuzione, a meno che non si provi l’assoluta impossibilità di fare fronte alle obbligazioni attraverso la dimostrazione di una fruttuosa attivazione in tal senso.

Altresì è irrilevante la verifica di uno stato di indigenza della minore, atteso che lo stato di bisogno è insito in tale condizione, per pacifica giurisprudenza. Ancora, neppure assume rilievo la “mancata considerazione della deposizione della figlia”, contestata nel ricorso, a fondamento della pretesa cessazione dell’omissione alla data di raggiungimento della maggiore età della ragazza: tale condotta, infatti, non elide gli effetti di quanto già realizzato e continua a sussistere per effetto del mancato adempimento delle prestazioni scadute.

Il reato neppure può ritenersi estinto per prescrizione, come affermato dal ricorrente, in quanto successivamente la figlia è andata a vivere presso di lui e dunque il reato sarebbe stato consumato fino a quella data. Per la Cassazione, infatti, è pacifico che il ricorrente non ha mai dedotto di aver fatto fronte alle obbligazioni scadute, cosicché rispetto a esse l’omissione è ancora in atto. Pertanto, correttamente si è ritenuta la permanenza del reato fino alla data della sentenza di primo grado.

Questa segna il limite della permanenza della condotta, esclusivamente per la necessità di ancorare l’accertamento di responsabilità all’oggetto del giudizio, non potendo la valutazione proiettarsi per il futuro. La permanenza delle omissioni maturate in precedenza impedisce quindi la maturazione della causa estintiva del reato.

Lucia Izzo Newsletter Giuridica Studio Cataldi 28 agosto 2017

www.studiocataldi.it/articoli/27273-assegno-ai-figli-niente-scuse-per-il-padre-disoccupato.asp

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ASSEGNO DIVORZILE

Chi vuole l’assegno deve provare di non potersi mantenere

Secondo il recente orientamento della Cassazione e delle corti di merito, l’assegno divorzile va riconosciuto solo al coniuge non indipendente o autosufficiente economicamente. Tenore di vita, addio! Ora si guarda all’indipendenza economica dell’ex coniuge che richiede la misura. Infatti, ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile a favore dell’ex coniuge, la Corte di Cassazione ha definitivamente abbondato il criterio del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

La sentenza n. 11504/2017, pubblicata dalla prima Sezione civile, ha superato un orientamento consolidato e ha indicato, quale parametro per la spettanza dell’assegno, misura avente natura “assistenziale”, l’indipendenza o autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede.

www.studiocataldi.it/articoli/26094-assegno-divorzio-la-cassazione-dice-addio-al-tenore-di-vita.asp

La pronuncia nasce dal gravame interposto da una ex moglie contro una sentenza della Corte d’Appello di Milano del 27 marzo 2014, la quale aveva ritenuto non esserle dovuto l’assegno divorzile non avendo ella dimostrato l’inadeguatezza dei propri redditi ai fini della conservazione del tenore di vita matrimoniale. A tal proposito si rilevava l’incompletezza della documentazione reddituale prodotta, in una situazione di fatto in cui l’altro coniuge aveva subito una contrazione reddituale successivamente allo scioglimento del matrimonio.

Assegno divorzile solo se mancano “mezzi adeguati” ed è impossibile procurarseli. Una conclusione “conforme a diritto” per la Cassazione che ha rammentato che il divorzio, infatti, estingue definitivamente il rapporto matrimoniale, sia sul piano dello status personale dei coniugi, i quali devono perciò considerarsi da allora in poi “persone singole”, sia dei loro rapporti economico-patrimoniali, salva la presenza dei figli che impongono a entrambi di esercitare la responsabilità genitoriale.

Il diritto all’assegno di divorzio, ex art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970 (nel testo sostituito dall’art. 10 della legge n. 74 del 1987), è condizionato dal previo riconoscimento di esso in base all’accertamento giudiziale della mancanza di “mezzi adeguati” dell’ex coniuge richiedente l’assegno o, comunque, dell’impossibilità dello stesso “di procurarseli per ragioni oggettive”

Tale accertamento giudiziale deve per gli Ermellini passare attraverso due fasi distinte: la prima (fase dell’an debeatur), necessaria, riguarda la possibilità di riconoscimento del diritto all’assegno, mentre la seconda (fase del quantum), eventuale, si attiva a seguito dell’esito positivo della precedenza al fine di determinare quantitativamente la misura dell’assegno.

Autosufficienza economica: gli indici per dimostrarla. In sostanza, se il coniuge richiedente ha mezzi adeguati o effettive possibilità di procurarseli, dunque appaia indipendente o autosufficiente economicamente, manca qualunque presupposto per attuare quella “solidarietà economica” post coniugale che è alla base del riconoscimento dell’assegno secondo i principi costituzionali.

Riconoscere la misura, anche in situazione di autosufficienza economica dell’altro, apparirebbe una “locupletazione illegittima” e rappresenterebbe un’indebita prospettiva di “ultrattività” del vincolo matrimoniale.

Per dimostrare l’autosufficienza dell’ex, secondo gli Ermellini sono quattro gli indici di prova da valorizzare: in primis il possesso di redditi di qualsiasi specie, seguito dalla verifica del possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e/o immobiliari, considerando però anche gli oneri e il costo della vita nel luogo in cui l’ex che chiede l’assegno risiede; ancora, si guarda alle capacità e le effettive possibilità di lavoro personale dell’ex (tenendo conto di salute, età e sesso, nonché alle condizioni del mercato) e, infine, alla stabile disponibilità di una casa di abitazione

Assegno divorzile: le pronunce successive alla sentenza n. 11504/2017. Quanto stabilito dalla Cassazione ha da subito trovato ampio respiro nelle sentenze dei giudici di merito. La Corte d’Appello di Salerno, ad esempio, nella sentenza n. sentenza n. 29/2017 (per approfondimenti: Divorzio: addio all’assegno per la ex disoccupata) ha precisato che il matrimonio non è un modo per “sistemarsi a vita” e, pertanto, laddove cessi l’unione di affetti vengono meno anche gli effetti patrimoniali del vincolo coniugale, a meno che il partner non dimostri di non essere in grado di procurarsi mezzi adeguati al suo sostentamento e non per sua colpa.

Nel caso di specie, nonostante la richiedente fosse disoccupata, per i giudici tale status non vale di per sé a giustificare l’onere a carico dell’ex, in quanto bisogna tener conto di altri fattori ad esempio l’età e le capacità di lavoro che consentirebbero di trovarsi un’occupazione.

Anche per il Tribunale di Roma, sentenza del 13 luglio 2017 va privilegiato il criterio attributivo assistenziale dell’assegno di mantenimento, e non l’originaria tesi che individuata i presupposti dell’assegno divorzile nella triplice funzione assistenziale (tenuto conto delle condizioni economiche e personali dei coniugi), risarcitoria (con riferimento alle ragioni della decisione) e compensativa (avuto riguardo all’impegno profuso da ciascuno dei coniugi nella formazione del patrimonio comune e nella gestione familiare).

Il Tribunale di Milano, invece, in un’ordinanza del 22 maggio 2017, ha ritenuto che un parametro (non esclusivo) di riferimento, quanto all’indipendenza economica idonea a negare il diritto all’assegno divorzile, essere rappresentato dall’ammontare degli introiti che consente a un individuo di accedere al patrocinio spese dello Stato, soglia che ad oggi è di euro 11.528,41 annui ossia di circa euro 1000 mensili.

Un secondo parametro suggerito dai giudici meneghini per adattare in concreto il concetto di “indipendenza” può essere rintracciato “nel reddito medio percepito nella zona in cui il richiedente vive ed abita” Inoltre, per i giudici l’onere probatorio circa l’esistenza del diritto all’assegno, infine, resta sul richiedente, fermo il diritto all’eccezione e alla prova contraria dell’altro ex coniuge.

La stessa Cassazione, inoltre, ha precisato che le direttive stabilite dalla sentenza n. 11504/2017 dovranno valere anche in sede di giudizio di revisione dell’assegno divorzile. Nella sentenza n. 15481/2017, gli Ermellini hanno evidenziato che il giudice, in tale sede, dovrà verificare se i motivi sopravvenuti alla base della richiesta di esonero dal mantenimento giustifichino effettivamente una negazione dello stesso a causa della sopraggiunta indipendenza o autosufficienza economica del beneficiario.

Lucia Izzo Newsletter Giuridica Studio Cataldi 28 agosto 2017

www.studiocataldi.it/articoli/27238-divorzio-chi-vuole-l-assegno-deve-provare-di-non-potersi-mantenere.asp

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ASSISTENZA

Commette reato il figlio che non aiuta i genitori

Le fattispecie penali che vengono in rilievo sono l’abbandono di incapaci e la violazione degli obblighi di assistenza familiare. Se ci si sofferma sul rapporto tra genitori e figli, a primo istinto si pensa al dovere dei primi di occuparsi dei secondi. Ciò, però, non vuol dire che non sia vero anche il contrario, specie quando l’età di mamma e papà avanza e il loro bisogno di assistenza cresce.

Abbandono di incapaci. Addirittura, in alcuni casi l’obbligo di aiutare e assistere i genitori, ove non adempiuto, può integrare una fattispecie di reato, ovverosia l’abbandono di incapaci.

L’articolo 591 del codice penale, infatti, punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque abbandona una persona incapace di provvedere a se stessa per una serie di cause tra le quali anche la malattia di corpo o la vecchiaia, della quale abbia la custodia o debba avere cura.

E la giurisprudenza ha ricondotto in più occasioni a tale fattispecie penale il caso di inadempimento dell’obbligo di cura dei genitori. Ad esempio, con la sentenza numero 44098/2016 la Corte di cassazione ha confermato la condanna per tale reato di un uomo responsabile di aver lasciato l’anziano padre in una situazione di pericolo, così contravvenendo anche alle norme costituzionali che riconoscono la famiglia come società naturale (art. 29) e la inquadrano tra le formazioni sociali ove i singoli estrinsecano la propria personalità e che sanciscono il dovere di solidarietà sociale (art. 3). La stessa posizione, rispetto a un caso analogo, è stata assunta anche dal Tribunale di Firenze con la sentenza numero 3964/2016, che ha ricordato che in capo ai figli sorge un dovere giuridico oltre che morale di assistere i genitori in difficoltà.

Anche dal punto di vista civilistico, i figli hanno dei precisi doveri di cura rispetto alla madre e al padre e a sancirlo sono gli articoli 433 e seguenti del codice civile, che disciplinano gli alimenti legali.

Si tratta, in sostanza, di prestazioni di assistenza materiale che vanno riconosciute nei confronti di chi non è in grado di provvedere autonomamente al proprio mantenimento e che sono poste a carico di soggetti vicini al bisognoso, tra i quali i figli, anche adottivi.

A tal proposito, va comunque precisato che l’obbligo di prestare gli alimenti ai genitori è influenzato, nella sua concreta estrinsecazione, dalle capacità reddituali del singolo onerato, che contribuiscono, unitamente all’effettivo bisogno del beneficiario, a determinare il quantum della prestazione. Quest’ultima può consistere o in un assegno periodico o nell’accoglienza e nel mantenimento del bisognoso nella propria casa.

Chi si sottrae all’obbligo di prestare gli alimenti al genitore potrà peraltro subire una condanna penale per il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, previsto dall’articolo 570 del codice penale e punito con la reclusione sino a un anno e con la multa da 103 a 1.032 euro.

Avv. Valeria Zeppilli Newsletter Giuridica Studio Cataldi 31 agosto 2017

www.studiocataldi.it/articoli/27288-commette-reato-il-figlio-che-non-aiuta-i-genitori.asp

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 31, 30 agosto 2017

  • Dal sito de ilsole24ore. La famiglia può salvare il cuore dell’economia? “Riusciremo a rileggere il rapporto tra economia e famiglia, attribuendo a genitori e figli il reale “valore aggiunto” e la capacità di generare “capitale sociale”? C’è tutto un modo di intendere la società e il futuro, dietro queste domande, che fa leva sul principio di sussidiarietà e sulla ricerca del bene comune. Ne parla Lubomír Mlcoch, in un interessante volume recentemente pubblicato in Italia («Family Economics. Come la famiglia può salvare il cuore dell’economia», Edizioni San Paolo, pagine 320, euro 18), con una accurata traduzione del testo originale del 2014 a cura di Francesco Belletti, direttore del Cisf-

www.sanpaolostore.it/family-economics-come-famiglia-puo-salvare-cuore-dell-economia-lubomir-mlcoch-9788892211247.aspx?Referral=newsletter_cisf_20170830

[Recensione sul blog curato da Francesco Antonioli]

http://francescoantonioli.blog.ilsole24ore.com/2017/08/09/family-economics-la-famiglia-che-salva-il-cuore-delleconomia/?refresh_ce=1

  • E’ ancora possibile iscriversi al seminario internazionale sulla valutazione d’impatto delle politiche familiari (21-22 settembre, Milano, 23 settembre, Trento – vedi il Programma), promosso dal CISF e dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano.

http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/eventi-cisf/valutare-l-impatto-delle-politiche-familiari.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_30_08_2017

  • Il CISF e il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano presenteranno, in collaborazione con il Family Impact Institute della Purdue University (USA) un innovativo modello di valutazione dell’impatto familiare delle politiche a livello nazionale e locale, già ampiamente sperimentato negli Stati Uniti.

A presentarlo sarà la prof. Karen Bogenschneider, che si confronterà con ricercatori, amministratori locali, esperti dell’associazionismo familiare. Il programma in

newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf2817_Seminario-FAMILY-IMPACT-21-22-set-17.pdf

Accesso gratuito (iscrizione obbligatoria per posti limitati. Per info e iscrizioni inviare una mail a

cisf@stpauls.it

  • L’accesso alle cure sanitarie per i migranti privi di documenti negli Stati Uniti. Un progetto (e un sito) realizzato dall’Hastings Center. Per gli oltre 11 milioni di persone presenti negli Stati Uniti “senza documenti in regola” l’accesso alle cure sanitarie è certamente problematico. Questo sito (in inglese), realizzato da uno dei centri di etica sanitaria più accreditati a livello mondiale, intende favorire l’accesso a cure sanitarie attraverso un rigoroso lavoro di documentazione empirica, senza nascondere le criticità di natura economico-finanziaria, etica e politico-culturale implicate da un fenomeno di così grandi dimensioni. Nodo certamente rilevante anche in Italia, pur tenendo conto delle rilevanti differenze tra i sistemi sanitari e di welfare dei due paesi- http://undocumentedpatients.org

  • Il lavoro domestico in italia. Partiamo dai dati di realtà. E’ in fase di realizzazione un prezioso e documentato percorso di studio da parte della Fondazione Leone Moressa e dell’associazione DOMINA (Associazione Nazionale Famiglie Datori di Lavoro Domestico, firmataria del CCNL sulla disciplina del lavoro domestico), con l’obiettivo di mettere in evidenza il ruolo del lavoro domestico in Italia, dal punto di vista delle famiglie italiane, sottolineandone l’impatto sociale e quantificando il valore economico generato. Lo studio è suddiviso in 9 dossier, che verranno pubblicati tra marzo e ottobre 2017. www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/lavoro-domestico

In particolare segnaliamo il terzo dossier, L’impatto socio economico del lavoro domestico sulla famiglia, che evidenzia, nelle conclusioni, il prezioso valore (di grande rilevanza economica) del ruolo di cura che la famiglia svolge, anche attraverso la presenza dei collaboratori familiari per la cura della casa, dei bambini, degli anziani e delle persone fragili, a fronte di un welfare pubblico in costante ritirata. Per questo servono sia maggiori defiscalizzazioni per i costi sostenuti alle famiglie, sia agevolazioni per misure di welfare aziendale orientate alla vita familiare (ad esempio voucher aziendali per servizi alla non autosufficienza).

www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/wp-content/uploads/2017/03/Lavoro-domestico-03-16-X-24.pdf

  • Consulenza familiare. Master Universitario di Secondo livello. “Il Master è rivolto a operatori che a vario titolo si occupano o intendono occuparsi della famiglia (educatori, pedagogisti, psicologi, assistenti sociali, avvocati, medici, consulenti etici e canonici). Il Master ha la durata di due anni accademici (2017-2018 e 2018-2019) per complessivi 60 CFU”, ed è promosso e realizzato dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, con la collaborazione del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia (Un. Cattolica, Milano), della Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana e dell’Ufficio nazionale della CEI per la Pastorale della Famiglia. Le lezioni si terranno a Roma per 19 week end a cadenza mensile, da venerdì 17-sabato 18 novembre 2017 fino a venerdì 7-sabato 8 giugno 2019. Termine delle iscrizioni: 15 ottobre 2017.

www.istitutogp2.it/public/DepliantMasterCONSULENZA.pdf

  • Save the date

Nord Dalla coppia alla famiglia e ritorno: il ciclo di vita tra legame e progetto, Giornata nazionale di studio promossa da AICCeF (Associazione Italiana Consulenti per la Coppia e la Famiglia), Milano, 22 ottobre 2017.

Malattia: la sfida dell’eros Qualità della vita sessuale nell’insorgenza di una malattia, XXX Convegno CIS (Centro Italiano di Sessuologia), Bologna 9-10-11 novembre 2017.

CentroDidattica inclusiva DSA e BES, corso di formazione riconosciuto dal M.I.U.R. -Ufficio Scolastico Regionale del Lazio (20 ore) per insegnanti, educatori, operatori e genitori di ragazzi DSA, promosso da

Sapere più – Centro Servizi Scolastici, Roma, 6, 7 e 8 ottobre2017.

www.saperepiu.it/corso-di-formazione-didattica-inclusiva-dsa-bes-week-end-roma-ottobre-2017

Sud L’autodeterminazione e il rispetto delle scelte delle persone: i dilemmi dell’assistente sociale, percorso formativo per assistenti sociali (richiesti 12 crediti deontologici per assistenti sociali al CROAS Regione Sardegna), promosso da Scuola IRS per il Sociale, Cagliari, 26-27 settembre 2017.

newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf3117_allegato3.pdf

Estero Pastorale giovanile e famiglia (programma in italiano), congresso internazionale promosso dal Dicastero per la Pastorale Giovanile dei Salesiani di Don Bosco, Madrid, 27 novembre – 1 dicembre 2017.

www.symfamily17.org/?lang=it

Iscrizione alle newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

http:/newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/agosto2017/5043/index.html

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CHIESA CATTOLICA

Chiesa e psicanalisi, dalle condanne alla parziale riconciliazione

Il libro intervista di Wolton con Francesco e l’episodio della psicanalista ebrea. Esistono diverse modalità di analisi, non solo quella che contrasta ogni trascendenza. Dai divieti del Sant’Uffizio alle aperture di Paolo VI.

«Ho consultato una psicanalista ebrea. Per sei mesi sono andato a casa sua una volta alla settimana per chiarire alcune cose. Lei era medico e psicanalista, ed è sempre rimasta al suo posto. Poi un giorno, quando stava per morire, mi chiamò. Non per ricevere i sacramenti, dato che era ebrea, ma per un dialogo spirituale. Era una persona molto buona. Per sei mesi mi ha aiutato molto, quando avevo 42 anni». Sono le parole usate da Papa Francesco in uno dei dialoghi con il sociologo francese Dominique Wolton, raccolte nel libro “Politique et société”, edizioni L’Observatoire, di prossima pubblicazione in Francia. L’esperienza raccontata da Francesco si colloca dunque tra gli anni 1978 e 1979, in piena dittatura, quando il futuro Papa aveva concluso la non facile esperienza di provinciale dei gesuiti d’Argentina e iniziava quella di rettore del Collegio Máximo, dove venivano formati gli studenti che desideravano entrare nella Compagnia.

Il racconto di Bergoglio è significativo non soltanto per l’aneddoto personale riguardante quei sei mesi di colloqui con l’analista, ma anche perché rivelano che tra il sacerdote e il medico si era instaurato un rapporto di amicizia, attestato dal fatto che la donna, in punto di morte, volle essere assistita e confortata proprio dal futuro Papa. Ferdinando Camon, sul quotidiano La Stampa, ha commentato: «Non è affatto detto, come credono gli psicanalisti anticattolici, che analisi e fede siano due nemiche. Viktor Frankl lo dimostra. E ora anche l’analisi di Bergoglio. Perché ha avuto una conclusione stupefacente. È durata poco, sei mesi, e aveva un ritmo blando, una seduta per settimana, ma alla fine successe qualcosa di raro: in punto di morte, fu la psicanalista a chiamare l’ex-paziente, “per un dialogo spirituale. In analisi le due forze che agiscono sono il transfert, che lega il paziente all’analista, e il controtransfert, che lega lo psicanalista al paziente. Se succede che il secondo sia più forte del primo, allora è lo psicanalista che è in analisi dal suo paziente. Andò così con Bergoglio?».

Qual è stato e qual è oggi il rapporto tra la Chiesa e la psicanalisi? All’inizio fu guerra. Sigmund Freud considerava la religione il maggiore ostacolo alla felicità umana e non faceva mistero di odiare la Chiesa cattolica. Quest’ultima ricambiava con sentimenti analoghi, denunciando non soltanto il «pansessualismo» ma anche l’ambizione «totalitaria» della pratica psicanalitica freudiana che veniva decisamente osteggiata. Le opere di Freud furono messe all’Indice e ancora agli inizi degli anni Cinquanta il Vicariato di Roma, la diocesi del Papa, definiva «peccato mortale» il fatto che un cattolico si rivolgesse a uno psicanalista.

Ad aprire uno spiraglio fu Pio XII, un Papa che amava essere informato di ogni progresso della scienza, il quale nel settembre 1952, parlando ai partecipanti al primo congresso internazionale di istopatologia del sistema nervoso, disse che «è inesatto sostenere che il metodo pansessuale di una certa scuola di psicoanalisi sia parte indispensabile di ogni psicoterapia degna di tal nome». Come dire: la psicanalisi non è tutta uguale ed essa non deve per forza abbracciare il pansessualismo. Ancora nel luglio 1961, dunque sotto il pontificato di Giovanni XXIII, il Sant’Uffizio pubblicava un “monitum” proibendo ai preti praticare la psicanalisi e ai seminaristi di sottoporvisi.

Una prima significativa svolta avviene durante il pontificato di Papa Montini, il quale fa cadere i divieti precedenti e nell’enciclica “Sacerdotalis coelibatus” del 1967 ammette la possibilità del ricorso «all’assistenza e all’aiuto di un medico o di uno psicologo competenti». Sette anni dopo, durante un’udienza generale del novembre 1973, Paolo VI afferma: «Abbiamo stima di questa ormai celebre corrente di studi antropologici, sebbene noi non li troviamo sempre coerenti fra loro, né sempre convalidati da esperienze soddisfacenti e benefiche». Una concessione di credito, la fine delle condanne, pur con i necessari distinguo e dubbi.

Con l’arrivo di Giovanni Paolo II, sul trono di Pietro siede non soltanto il primo Papa proveniente dall’Est europeo, ma anche il primo ad aver riflettuto e scritto tanto sul tema della sessualità umana. Oggi il clima è decisamente cambiato. Ci sono psicanalisti che tengono lezioni nelle università pontificie e collaborano nelle delicate inchieste sui preti pedofili. Il sociologo Massimo Introvigne, in un editoriale sul Mattino di Napoli, ha osservato: «Oggi la preoccupazione della Chiesa non è tanto che si insista troppo sull’importanza delle caratteristiche sessuali dell’uomo e della donna, ma che le si neghi alla radice, come fa la teoria del gender. Sembra un paradosso, ma contro gli eccessi del gender la Chiesa e certe forme di psicanalisi potrebbero ritrovarsi alleate».

Come dato curioso si può infine ricordare il film “Habemus Papam? di Nanni Moretti, che nel 2011 ha raccontato in un film la storia di un Pontefice che si pente di aver accettato l’elezione e ricorre – seppur con poca convinzione – al consulto di una psicanalista.

Andrea Tornielli Vatican insider 1 settembre 2017

www.lastampa.it/2017/08/31/vaticaninsider/ita/vaticano/chiesa-e-psicanalisi-dalle-condanne-alla-parziale-riconciliazione-z3bX9D60eQpw6q6zB6UveN/pagina.html

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Jesi. Consultorio “La Famiglia” Scuola di formazione per Consulenti familiari

Il prossimo ottobre inizierà il triennio della Scuola di formazione per Consulenti familiari e per l’occasione il Consultorio di Jesi organizza un incontro illustrativo e informativo per tutti gli interessati che sono venuti a conoscenza di questa scuola.

Questo incontro ha l’obiettivo di approfondire questa conoscenza e di rispondere agli eventuali interrogativi che possono nascere nell’intraprendere questo percorso.

L’incontro si terrà venerdì 8 settembre alle ore 18.00 presso la sede di piazza Federico II, 8

Al termine dell’incontro, per chi lo desidera, ci sarà l’opportunità di effettuare un breve colloquio e l’iscrizione. In alternativa, per chi ha intenzione di iscriversi, ci si potrà accordare per il colloquio individuale in altra data.

Le iscrizioni terminano il 30 settembre. cpfamiglia@alice.it

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DALLA NAVATA

XXII domenica del tempo ordinario – Anno A – 3 settembre 2017

Geremia 20, 09 Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!». Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo.

Salmo 63, 03 Così nel santuario ti ho contemplato, guardando la tua potenza e la tua gloria. Poiché il tuo amore vale più della vita, le mie labbra canteranno la tua lode.

Romani 12, 02 Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

Matteo 16, 23 Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!»

 

«Se qualcuno vuole venire dietro a me» Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose

Nel brano evangelico di domenica scorsa, che precede immediatamente quello odierno, Pietro rispondeva a Gesù che interrogava i suoi discepoli sulla sua identità, con una confessione di fede: “Tu sei il Cristo, il Messia, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Proprio per questa rivelazione ricevuta dal Padre che è nei cieli, Simone, il pescatore di Galilea, viene istituito da Gesù come Roccia (pétra), la prima pietra della costruzione della sua chiesa (cf. Mt 16,18).

Ma ecco l’ordine perentorio di Gesù di non svelare a nessuno la sua identità di Messia e, insieme, l’inizio di una nuova rivelazione. Sta scritto infatti che “da allora cominciò (érxato) a mostrare (deiknýein) ai suoi discepoli…”. Non solo a dire, a insegnare, come annotano gli altri sinottici, ma a mostrare, dunque con le parole e il comportamento, che “era necessario (deî) per lui andare a Gerusalemme e patire molte cose (pollá) da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. Matteo racconta che Gesù, dopo l’uccisione di Giovanni il Battista (cf. Mt 14,1-12) e le contestazioni e il rifiuto da parte di scribi e farisei (cf. Mt 15,1-20; 16,1-12), si era allontanato dalla Galilea verso le terre del nord, oltre le frontiere della terra santa, ma ora ritorna e decide di iniziare la salita verso Gerusalemme, la città santa, ma che egli conosce anche come “città che uccide i profeti” (Mt 23,37).

Gesù sente che “è necessario”, che “deve” intraprendere questo viaggio, non perché un fato lo decida per lui, ma perché la sua missione lo richiede, anche al prezzo della morte violenta. Questa necessitas è innanzitutto umana, inscritta nella storia umana, nelle vicende del mondo: in un mondo ingiusto, il giusto può solo ricevere rifiuto, persecuzione e persino la morte. Se Gesù vuole compiere la sua missione in parole e opere secondo la volontà del Padre suo, se resta coerente con ciò che ha predicato, deve compiere la sua missione anche andando nella città santa, anche affrontando l’odio e il rifiuto dei sacerdoti, degli scribi, degli uomini religiosi muniti di autorità e potere nel popolo del Signore. Questa necessitas umana diventa così anche necessitas divina. Ma attenzione: non perché Dio, il Padre di Gesù che è nei cieli, desideri la morte del Figlio, ma perché vuole che Gesù lo narri fedelmente come Dio di amore, Dio disarmato e mite, Dio che accetta di essere colpito piuttosto che colpire. Vigiliamo a non proiettare su Dio l’immagine perversa di un Padre che vorrebbe la morte e la sofferenza del Figlio (pollà patheîn). No, avviene così perché è una logica insita nel mondo, come aveva letto e profetizzato l’autore del libro della Sapienza, smascherando i ragionamenti degli empi e la loro persecuzione del giusto e povero credente nel Signore, il quale confessa Dio come Padre (cf. Sap 1,16-2,20).

Lo ripeto: in un mondo ingiusto, il giusto può solo conoscere la sofferenza, e Gesù, da quell’ora immediatamente successiva alla confessione di Pietro, lo mostra. Si noti che Gesù fa per tre volte questo annuncio durante la salita a Gerusalemme (cf. Mt 16,21; 17,22-23; 20,17-19), dunque con un’insistenza e un’intenzione precise: i discepoli che lo seguono devono comprendere che nella sua vocazione, nella sua identità di Messia è contenuta tutta la vocazione del Servo del Signore, che conosce sofferenza e morte (cf. Is 52,13-53,12). L’essenziale dell’annuncio-profezia è la necessitas della passione quale sofferenza patita, quale rifiuto da parte dell’autorità religiosa legittima, quale morte violenta, esito umanamente fallimentare di una vita e di una missione. Proprio dopo questa fine, però, vi sarà la resurrezione dai morti il terzo giorno, come azione del Padre su di lui, il Figlio: resurrezione non come vendetta sulla morte, ma come frutto della passione e della morte. E non vi sono solo parole da parte di Gesù, ma anche il suo comportamento insegna ai suoi discepoli tale necessitas: vita e parole concorrono nel suo “annunciare la parola apertamente (parrhesía)” (cf. Mc 8,32).

Di fronte a questo annuncio, la Roccia della chiesa, Pietro, appena istituito tale e proclamato da Gesù “beato” (cf. Mt 16,17-19), reagisce. Prende con sé Gesù, quasi in disparte dagli altri discepoli, e comincia a rimproverarlo dicendogli: “(Dio) ti preservi, Signore! Ciò non ti accadrà mai!”. Pietro invoca Gesù quale Kýrios, Signore, lo riconosce nella sua identità, ma proprio per questo lo rimprovera ritenendo le sue parole insensate, perché la passione e la morte non possono accadere al Messia. Non scandalizziamoci delle parole di Pietro: anche Gesù provava rifiuto e ripugnanza per ciò che lo attendeva e nel Getsemani lo mostrerà ai discepoli con un’angoscia vissuta visibilmente e con una preghiera al Padre affinché allontanasse da lui il calice di quella misera fine (cf. Mt 26,36-46)! La sofferenza e la morte, nostra e di chi amiamo, ma anche degli altri, ci fanno male e ci ripugnano. Pietro sta dicendo questo.

Ma per Gesù quelle parole suonano come una tentazione rinnovata da parte di Satana. Colui che l’aveva tentato nel deserto, offrendogli una via messianica senza croce e senza morte, ma fatta solo di successo e di potere (cf. Mt 4,1-11), si manifesta ora nelle parole del discepolo da lui istituito come Roccia. Per questo Gesù gli grida: “Opíso mou, sta alla mia sequela, dietro a me, non prendermi in disparte, non essere un ostacolo sulla mia strada, perché i tuoi pensieri sono umani, non sono pensieri di Dio”. Ecco perché la Roccia può essere chiamato Satana! Nessuna smentita della precedente investitura e della beatitudine rivolta a Pietro, ma un chiaro avvertimento: anche alla Roccia è possibile finire per ragionare mondanamente ed essere un ostacolo sulla via del Signore.

E affinché questo “mostrare” la necessitas passionis sia una parola definitiva, a questo punto Gesù, secondo Marco, chiama addirittura a sé la folla (cf. Mc 8,34), e secondo Matteo dice ai discepoli: “Se qualcuno vuole venire dietro a me (opíso mou), smetta di conoscere solo se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Ecco come il discepolato si precisa per tutti: non è solo seguire un maestro sapiente e autorevole, non è solo seguire un profeta capace di compiere miracoli, ma significa essere coinvolti con la vita di Gesù, significa rinunciare a conoscere e affermare se stessi, significa prendere la propria croce, lo strumento della morte dell’uomo mondano, dell’“uomo vecchio” (Rm 6,6; Ef 4,22; Col 3,9), e seguire Gesù ovunque egli vada (cf. Ap 14,4). Discepolato a caro prezzo! Discepolato che non rende esenti dallo scandalo, dalla prova, dalla sofferenza. Discepolato che pone dalla parte di Gesù, il Servo sofferente, e dalla parte di tutti quelli che soffrono in questo mondo. Sì, beati i poveri, i miti, quelli che piangono, quelli che sono perseguitati (cf. Mt 5,1-12). La perdita di sé, del sé mondano, è necessaria perché possa emergere il proprio autentico sé, quello che si trova in Cristo Gesù. I cristiani, e soprattutto i pastori della chiesa, che proclamano la vera identità di Gesù quale Figlio del Dio vivente, non dimentichino, non occultino mai il crocifisso. Infatti, la gloria di ogni cristiano sta tutta in quel prendere la propria croce e seguire il suo Signore nella passione, morte e resurrezione.

Ecco allora, di seguito, alcune sentenze di Gesù imperniate sulla parola “vita”. La vita è innanzitutto non quella che uno cerca di conservare a ogni costo, seguendo l’impulso a vivere anche senza e contro gli altri, in una logica di autoconservazione, logica che non riconosce la dinamica del dono di sé a Dio e agli altri. Al contrario, si può addirittura spendere la vita fino a perderla nel darla, e in questo caso la si ritrova nella potenza della resurrezione che Dio opera come parola ultima e intima sulle nostre vite.

La vita vera, inoltre, non significa guadagnare il mondo, non si identifica con l’avere, con il possedere, perché nessuno può pagare a Dio la propria redenzione e salvare la propria vita (cf. Sal 49,8-9). Questa verità sarà manifesta quando verrà il Figlio dell’uomo nella gloria del Padre, con tutti i suoi angeli, in quello che sarà “il giorno del Signore”, annunciato dai profeti e confermato da Gesù come giorno del Figlio dell’uomo (cf. Mt 24,44; 25,31). Allora, mediante un giudizio ultimo e definitivo, apparirà la verità della vita di ciascuno di noi e ognuno riceverà da Dio un giudizio conforme a ciò che avrà vissuto e operato sulla terra. All’orizzonte ultimo della storia sta dunque per tutti noi la venuta nella gloria di Cristo, Figlio dell’uomo e Figlio del Dio vivente, colui che è stato crocifisso ed è stato risuscitato il terzo giorno.

E se noi abbiamo tentato di seguire Gesù, ma come Pietro, la Roccia, di fronte alla persecuzione abbiamo riconosciuto solo noi stessi, fino a dire di Gesù: “Non lo conosco” (cf. Mt 26,69-75), nel pentimento conosceremo lo sguardo misericordioso di Gesù. Come è accaduto a Pietro (cf. Lc 22,61-62)!

http://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11726-venire-dietro-a-me

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ETS (già ONLUS) NON PROFIT

Personalità giuridica

Il Codice del terzo Settore semplifica e riordina il procedimento per l’acquisizione della personalità giuridica degli Enti del Terzo Settore mediante l’iscrizione nel Registro Unico nazionale

Il procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica è stato fino ad ora disciplinato dal D.P.R. n. 361/2000.

La legge delega n.106/2016 ha stabilito di “rivedere e semplificare il procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica”. In ossequio a tale disposizione l’art. 20 del Codice del Terzo settore ha disposto che le associazioni e le fondazioni del Terzo settore possono, in deroga al DPR 361/2000 acquistare la personalità giuridica mediante l’iscrizione nel Registro Unico nazionale del Terzo settore.

Sarà compito del notaio che redige l’atto costitutivo dell’associazione o fondazione del Terzo Settore depositarlo, entro venti giorni presso il competente ufficio del registro unico nazionale del Terzo settore, dopo aver verificato la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per il Terzo Settore (attività, patrimonio minimo ecc.).

Si considera patrimonio minimo per il conseguimento della personalità giuridica una somma liquida e disponibile non inferiore a 15.000 euro per le associazioni e a 30.000 euro per le fondazioni.

Dopo che il notaio ha verificato i requisiti e depositato l’atto spetterà all’ufficio del registro unico nazionale del Terzo settore, verificata la regolarità formale della documentazione, iscrivere l’ente nel registro stesso.

Se mancano i requisiti il notaio deve informare gli amministratori dell’ente i quali potranno integrare entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione.

Nelle fondazioni e nelle associazioni riconosciute come persone giuridiche, per le obbligazioni dell’ente risponde soltanto l’ente con il suo patrimonio.

Codice del terzo settore

www.altalex.com/documents/leggi/2017/08/03/codice-terzo-settore

Fisco e tasse 1 settembre 2017

www.fiscoetasse.com/rassegna-stampa/23809-come-acquistano-la-personalit-giuridica-gli-enti-del-terzo-settore.html

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Il Papa: a 42 anni mi consultai con una psicanalista ebrea

L’episodio della vita di Bergoglio raccontato in un libro che esce in Francia, con la trascrizione di 12 colloqui con il sociologo Wolton. Migranti, islam, guerra, ma anche aneddoti personali. I passaggi salienti anticipati da “Le Figaro Magazine” Estratto

Padre Jorge Mario Bergoglio, all’età di 42 anni, per sei mesi ogni settimana ha incontrato una psicanalista. È lui stesso a rivelarlo in un libro di prossima pubblicazione in Francia, che contiene la trascrizione di dodici dialoghi con il sociologo Dominique Wolton. I due hanno dialogato grazie alla presenza di un sacerdote che ha fatto da traduttore. Durante una delle interviste, il Papa e l’intellettuale francese, che è direttore di ricerca al CNRS e autore di un famoso libro-intervista con il cardinale Jean Marie Lustiger, hanno parlato del ruolo avuto da alcune donne nella loro vita. Francesco ha citato il coraggio della madre, ha accennato alle due nonne dicendo di ringraziare Dio «per aver conosciuto queste vere donne». Aggiungendo: «Quelle che ho conosciuto mi hanno aiutato molto nella mia vita quando ho avuto bisogno di consultarmi». E ha quindi parlato della psicanalista. Ecco alcuni estratti anticipati da Le Figaro Magazine, nella nostra traduzione dal francese.

Quel consulto per sei mesi.

«Ho consultato una psicanalista ebrea – racconta Bergoglio al suo interlocutore – Per sei mesi sono andato a casa sua una volta alla settimana per chiarire alcune cose. Lei era medico e psicanalista, ed è sempre rimasta al suo posto. Poi un giorno, quando stava per morire, mi chiamò. Non per ricevere i sacramenti, dato che era ebrea, ma per un dialogo spirituale. Era una persona molto buona. Per sei mesi mi ha aiutato molto, quando avevo 42 anni». L’esperienza raccontata da Francesco si colloca dunque tra gli anni 1978 e 1979, quando aveva concluso la non facile esperienza di provinciale dei gesuiti d’Argentina e stava iniziando quella di rettore del Collegio Máximo, dove venivano formati gli studenti che desideravano entrare nella Compagnia.

Andrea Tornielli Vatican insider 31 agosto 2017

www.lastampa.it/2017/08/31/vaticaninsider/ita/vaticano/il-papa-a-anni-mi-consultai-con-una-psicanalista-ebrea-DEXxW6iBAvfQFNrIkkxEEM/pagina.html

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GROOMING

Il reato di grooming.

Una delle più rilevanti minacce in rete è rappresentata dall‘adescamento online del minore: c.d. grooming.

I minori, infatti, sono esposti al rischio di essere adescati da soggetti che li manipolano carpendone la fiducia e riducendone l’autocontrollo, per fini di abuso o sfruttamento sessuale.

È necessario, quindi, che i minori siano educati al buon utilizzo di internet per evitare eventuali rischi, in più gli organi competenti, sono chiamati a controllare i siti sospetti come forma di garanzia.

Il mondo virtuale – nella maggior parte dei casi – elimina i freni inibitori e l’adescamento diviene molto più facile.

La convenzione di Lanzarote. Proprio a protezione dei bambini, contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, è stata firmata il 25 ottobre 2007 la Convenzione di Lanzarote.

Gli Stati firmando la stessa, si impegnano a criminalizzare ogni attività sessuale con bambini sotto l’età del consenso, la prostituzione minorile e la pornografia infantile. La Convenzione, inoltre, intraprende misure di prevenzione allo sfruttamento sessuale dei minori, tra cui l’educazione dei bambini, il monitoraggio dei responsabili e il controllo delle persone che lavorano con i minori.

Il grooming come fattispecie di reato. È stato il Regno Unito il primo paese ad introdurre il grooming come fattispecie di reato penalmente rilevante. In Italia, solo nel 2012, con la legge n. 172 è stata data esecuzione alla Convenzione di Lanzarote. Nel codice penale, infatti, è stato introdotto l’articolo 609 undecies che recita: “Chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600 bis, 600 ter e 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600 quinquies, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies, adesca un minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione”.

Naturalmente dalla semplice lettura del dettato legislativo, si evince che la tutela è stata ristretta ai soli minori di anni sedici, la peculiarità, però, sta nel fatto che si sanziona la condotta a prescindere dal verificarsi del danno, che, qualora dovesse verificarsi comporta un’aggravante.

Solo il Regno Unito specifica il grooming come “ogni condotta tesa ad organizzare un incontro, per se stessi o per conto di terzi, con un minore al fine di abusarne sessualmente”.

Molto più rigida appare la normativa australiana e canadese che prevede sanzioni penali per il solo fatto di instaurare via internet una comunicazione, al fine di sedurre un minore per poi abusarne.

Istigazione a pratiche di pedofilia e pedopornografia. Altra fattispecie di reato introdotta in Italia è quella prevista dall’articolo 414 bis del codice penale (istigazione a pratiche di pedofilia e pedopornografia). Esso recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga a commettere, in danno di minorenni, uno o più delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 609-quater e 609-quinquies è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni. Alla stessa pena soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti previsti dal primo comma. Non possono essere invocate, a propria scusa, ragioni o finalità di carattere artistico, letterario, storico o di costume”.

Tale delitto ha inserito per la prima volta nel nostro ordinamento penale la parola “pedofilia”, ma molte questioni si sollevano per la collocazione dell’articolo in questione.

Esso seguendo l’articolo 414 codice penale – istigazione a delinquere – potrebbe configurarsi come un’aggravante e non come una fattispecie autonoma.

Per la dottrina, però, non vi sono dubbi, l’articolo 414 bis configura una fattispecie autonoma, ponendosi la norma in un rapporto di specialità.

Dott. ssa Raffaella Feola Newsletter Giuridica Studio Cataldi 28 agosto 2017

www.studiocataldi.it/articoli/27275-il-reato-di-grooming.asp

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NULLITÀ MATRIMONIALE

Il matrimonio è durato 3 anni? Niente delibazione di nullità

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 20524, 29 agosto 2017

Campobasso. La convivenza come coniugi costituisce un elemento essenziale del «matrimonio- rapporto», per cui se si protrae per più di 3 anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario integra una situazione giuridica di ordine pubblico italiano.

Studio Legale Sugamele 30 agosto 2017 Sentenza

www.divorzista.org/sentenza.php?id=14261

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STALKING

Litigiosità per i figli, può essere stalking

Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n. 39758, 31 agosto 2017.

La forte litigiosità per la gestione dei figli, può tramutarsi in un comportamento idoneo a determinare uno degli eventi previsti, ex art. 612 bis c.p., nel reato di atti persecutori, qualora generi uno stato di ansia nella vittima, costringendola a cambiare le proprie abitudini di vita, e qualora l’imputato abbia agito nella piena consapevolezza di ciò.

Così la Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un uomo alla reclusione per reati di atti persecutori e lesioni in danno della ex moglie, nonché per tentata violazione di domicilio. Tra i comportamenti meritevoli di censura, secondo gli Ermellini, le ingiustificate pretese dell’imputato a che i figli non portassero con loro gli zaini con i libri di scuola, nei giorni in cui stavano con lui; il che si tramutava in un consapevole e volontario comportamento di molestia nei confronti della ex moglie, costretta a discutere e litigare ogni volta ed a portare lei la mattina gli zaini dei figli a scuola.

Inoltre, per quanto concerne le ulteriori ipotesi di reato contestate (in particolare, lesioni), la Corte d’appello, senza alcuna illogicità, ha evidenziato come l’intenzione dell’imputato di “riprendere” la figlia, non va ad escludere la volontarietà di colpire la parte offesa, afferrata per il collo e sbattuta contro il fusto di un albero.

Eleonora Mattioli Edotto 1 settembre 2017

www.edotto.com/articolo/litigiosita-per-i-figli-puo-essere-stalking?newsletter_id=59a9400ffdb94d0fa0c3fc36&utm_campaign=PostDelPomeriggio-01%2f09%2f2017&utm_medium=email&utm_source=newsletter&utm_content=litigiosita-per-i-figli-puo-essere-stalking&guid=dd1705be-d8b3-40cb-aeb6-2897a70e4603

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