NewsUCIPEM n. 660 – 30 luglio 2017

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02 ADOZIONE INTERNAZIONALE Casse vuote per le adozioni. Ma non per l’eterologa.

03 ADOZIONI INTERNAZIONALI Bolivia. Approvate le linee guida per l’adozione nazionale.

03 AFFIDO ESCLUSIVO Maggior peso alle dichiarazioni del minore.

04 AMORIS LÆTITIA “Humanae Vitae”. Gruppo di ricerca nel 50mo Enciclica di Paolo VI.

05 Paolo VI e la sessualità dei cristiani: tre obiezioni a Mons. Marengo.

08 L’accesso ai Sacramenti: da Familiaris consortio ad Amoris lætitia.

10 ASSEGNO DI MANTENIMENTO Separazione mantenuta exdisoccupata anche se può trovare lavoro

11 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Legittimo il desiderio di portare a termine il percorso di studi.

11 ASSEGNO DIVORZILE La creazione di una nuova famiglia fa venire meno il diritto.

11 La donna che ha pochi mezzi e paga il mutuo.

12 CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 29/2017, 26 luglio 2017.

14 CHIESE EVANGELICHE Il santo matrimonio.

16 CONFERENZA DELLA FAMIGLIAA settembre gli stati generali della famiglia.

17 Conferenza a settembre, scelte urgenti. Chiarezza per la famiglia.

18 CONSULTORI FAMILIARI San Miniato. Incontro: l’interazione con la Chiesa locale-

18 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEMRieti-Aiutami ad aiutarmi: una settimana insieme per fare i compiti.

18 DALLA NAVATA 17° Domenica del tempo ordinario – Anno A – 30 luglio 2017.

18 Il tesoro di Gesù Cristo e del Regno (Enzo Bianchi).

20 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARILettera al Presidente Gentiloni.

20 De Palo a Gentiloni: in Manovra 4 miliardi per il fattore famiglia.

22 Lettera al premier: «A settembre scelte vere».

23 FRANCESCO VESCOVO DI ROMASanti Gioacchino e Anna: omaggio del Papa ai nonni.

23 Papa Francesco segreto, nelle omelie a S.Marta il suo vero pensiero.

24 PATERNITÀ Se l’uomo scappa e non si assume le sue responsabilità per il figlio.

25 POLITICHE SOCIALI Esteso il congedo parentale per figli fino a 12 anni di età.

26 Procreazione Medicalmente Ass. L’esame pre-impianto non è pratica eugenetica.

26 Indagine di coppia.

27 SESSUALITÀ Sessualità e genitalità.

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Casse vuote per le adozioni. Ma non per l’eterologa

“Si comunica che sono in corso i rimborsi delle spese sostenute per le adozioni conclusesi nell’anno 2011. Si informa altresì che, successivamente al DPCM del 4 agosto 2011, non vi è stato alcun provvedimento analogo che preveda il rimborso delle spese sostenute per le adozioni concluse dopo il 31 dicembre 2011. Pertanto, attualmente non verrà dato seguito ad ogni eventuale istanza di rimborso relativa agli anni successivi al 2011”.

Suona come l’ennesima beffa ai danni delle famiglie adottive la comunicazione che in questi giorni campeggia sulla home page del sito della Commissione governativa Adozioni Internazionali (Cai). Le famiglie hanno infatti diritto a dedurre dalle imposte il 50% delle spese affrontate per l’ottenimento del bambino (viaggi, assistenza legale,…), tuttavia, malgrado i vari bilanci per il fondo adozioni prevedano tali cifre, non sono stati emanati i decreti attuativi per lo sblocco dei pagamenti. L’ultimo è stato firmato dal Berlusconi e dall’ex presidente della Cai Carlo Giovanardi il 4 agosto del 2011. Ora circa 14.000 coppie vedono così sfumare un diritto acquisito, dopo aver attraversato il mondo per dare una nuova famiglia ad un orfano.

Quello dei mancati rimborsi è solo l’ultimo tassello di una disastrosa gestione della Cai da parte dell’ex magistrato ed ex senatrice del Pd Silvia Dalla Monica, entrata in carica il 13 febbraio del 2014, ricoprendo il ruolo di presidente e vicepresidente durante tutto il governo Renzi. Da allora la Commissione è stata convocata solamente il 27 giugno di quello stesso anno; quella riunione non è stata neppure conclusa perché fu sospesa dall’ex Pm, prima di affrontare tutti gli ordini del giorno, e non è mai più stata riconvocata.

Nei tre anni successivi la gestione della Cai si è caratterizzata per una gestione monocratica che ha portato alla chiusura del dialogo con la maggior parte degli enti accreditati che curano i rapporti e le pratiche con i Paesi stranieri; alla mancata ratifica degli atti da parte della commissione; al deterioramento dei rapporti con le omologhe agenzie dei governi stranieri e al conseguente crollo delle adozioni che sono passate dalle 4130 unità nel 2010 alle 2216 nel anno 2015 (ultimo dato disponibile).

Silenzi e porte in faccia anche alle coppie che avevano intrapreso il percorso dell’adozione come conferma un’altra nota pubblicata sul sito della Cai qualche settimana fa in cui si informa che “in data 20 giugno 2017 si è rilevato che la casella di posta elettronica istituzionale commissioneadozioni.internazionali@governo.itrisultava piena con restituzione al mittente delle email in arrivo”.

“E’ emerso che tale situazione si protraeva da tempo e precisamente da agosto 2016 – si legge ancora nel comunicato -; tale casella di posta poteva essere visionata esclusivamente dalla ex Vice Presidente dott.ssa Silvia Della Monica con password riservata. Si è provveduto pertanto a svuotare la relativa casella che ora è pienamente operativa”.

Sempre a giugno il magistrato Laura Laera è subentrata alla Della Monica alla vicepresidenza della Commissione. Una atto carico di attese per le tante coppie che aspettano un cambio di passo e per le tante nuove famiglie che, malgrado tutto, sono riuscite ad avere uno figli e che ora attendono di rientrare almeno di parte delle ingenti spese sostenute. Nel frattempo il Coordinamento delle Associazione familiari Adottive e Affidatarie in rete ha lanciato una petizione per lo sblocco dei fondi che ha già raccolto oltre 6000 firme.

https://www.coordinamentocare.org

https://www.coordinamentocare.org/index.php/news/840-la-petizione-per-il-rimborso-delle-spese-adottive-raggiunge-7500-sostenitori.html

Tra gli Enti accreditati resta però il rammarico tutti quei bambini che per colpa delle disfunzioni di questi anni non stati accolti da un padre e una madre.

Il presidente dell’Ai.Bi. (Ente fra i più importanti in Italia) Marco Griffini non riesce a darsi pace e parlando alla Nuova BQ punta il dito contro l’indifferenza dei governi che si sono susseguiti in questi ultimi anni: “E’ inspiegabile il disinteresse dimostrato per le adozioni internazionali, bastava una firma per sbloccare quei fondi. E gridano giustizia anche le migliaia di lettere che giacciono ancora chiuse negli uffici della Cai, chissà quante adozioni abbiamo perso”.

Le dinamiche che hanno portato a questo stallo, assumono connotati ideologici, se si considera che dallo scorso gennaio la fecondazione eterologa è entrata nei nuovi Livelli essenziali di assistenza (LEA) varati dal Ministero della Salute. Insomma da una parte lo Stato impegna ingenti risorse, tramite il sistema sanitario nazionale, per importare ovuli e spermatozoi da Paesi stranieri da mettere poi a disposizione delle coppie al costo di un ticket sanitario, dall’altra consente lo sfascio dell’organismo che dovrebbe aiutare gli orfani di tutto il mondo ad incontrare la legittima aspirazione genitoriale di tanti coniugi aperti all’adozione. Aiutare le famiglie significa anche evitare che i genitori adottivi restino con il portafoglio vuoto.

Marco Guerra La nuova bussola quotidiana 22 luglio 2017

www.lanuovabq.it/it/articoli-casse-vuoteper-le-adozionima-non-per-l-eterologa-20538.htm

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Bolivia. Approvate le linee guida per l’adozione nazionale.

Mario Cáceres (SEDEGES) “Un passo importante che faciliterà anche la riapertura della adozione internazionale”

Il Dipartimento di La Paz, attraverso il Servizio Dipartimentale di Gestione Sociale (SEDEGES), ha approvato l’applicazione delle linee guida del SEDEGES di La Paz per l’Adozione Nazionale di bambini e adolescenti nei Centri di Accoglienza del Dipartimento di La Paz, così come si indica all’Unità di Certificazione Biopsicosociale e le Unità coinvolte di darne pieno adempimento.

Questa normativa mette in atto il Protocollo di Adozione Nazionale, emesso dal Ministero di Giustizia, con la Risoluzione N°049/2017, per quanto riguarda le procedure di adozione.

Mario Cáceres, Direttore Tecnico del SEDEGES, ha affermato che “grazie all’impulso del governatore, Félix Patzi, abbiamo compiuto un passo importante nel processo di adozione di bambini e adolescenti con l’emissione della risoluzione 139/2017, che faciliterà tutto il processo adottivo e lo renderà effettivo a livello dipartimentale, nazionale, e perché no anche a livello internazionale, secondo quanto stabilito nella Costituzione Politica dello Stato, che all’articolo 59 dispone che ogni bambino e adolescente ha diritto a vivere e a crescere nella sua famiglia d’origine o adottiva e nel caso in cui non fosse possibile, o fosse contrario al suo interesse superiore, avrà diritto a una famiglia sostitutiva. È così che si approva la presente risoluzione per la sua applicazione immediata”.

Dal canto suo, Isidro Fernández, capo dell’Unità di Certificazione Biopsicosociale del SEDEGES, a questo proposito ha dichiarato che con l’approvazione di queste linee guida sull’adozione, si riuscirà a ridurre le procedure da 6 a 4 mesi, previ processi amministrativi effettuati in centri di accoglienza di amministrazione diretta o privata. A tal fine si dovranno seguire alcune procedure considerate importanti e obbligatorie come: l’identificazione dei bambini e adolescenti da parte dei Difensori Civici dell’Infanzia e dell’Adolescenza (DNA); il pre-abbinamento amministrativo, sotto la responsabilità del SEDEGES di La Paz; la presentazione della domanda di adozione da parte dei Difensori Civici dell’Infanzia e dell’Adolescenza; l’abbinamento a carico dei giudici dell’Infanzia e dell’Adolescenza; si conclude con il monitoraggio post-adottivo da parte dell’Unità Politica Tecnica Dipartimentale a carico del SEDEGES.

La procedura sarà effettiva dal mese di agosto. D’ora in poi questo processo non dovrebbe durare più di quattro mesi. Un protocollo che si propone dunque di semplificare l’iter adottivo.

Isidro Fernández, ha detto che “dal 2014 si sono paralizzati i processi di adozione per mancanza di una normativa Legge 548 che istituisse un protocollo per l’adozione. Tuttavia – ha chiarito – che dal 22 maggio esiste la Risoluzione Ministeriale 049/2017, con la quale si dà il via a questo processo”.

“A causa della mancanza della norma dal 2014 – ha aggiunto -, anno in cui si promulgò la Legge 548, i centri di accoglienza si sono riempiti di bambini dai 0 ai 18 anni. I 38 centri di accoglienza di La Paz– sia ad amministrazione pubblica che privata – sono pieni. Accolgono dai 6.000 ai 7.000 bambini e adolescenti”

Fernández precisa infine che dal 2016 fino ad oggi solo due bambini sono stati adottati per ordine dei tribunali dell’Infanzia e dell’Adolescenza, anche se non si sa secondo quale norma. Inoltre circa 250 persone hanno frequentato i corsi per genitori adottivi e 50 di loro hanno anche fatto la prova bio-psicosociale, cioè hanno i requisiti per adottare.

A febbraio di quest’anno, Página Siete – un quotidiano locale – informava che a causa della mancanza del protocollo, circa 300 cartelle di adozione sono state archiviate nei tribunali di La Paz e El Alto, e sono casi che riguardano solo queste città, non le province.

News Ai. Bi. 27 luglio 2017

www.aibi.it/ita/bolivia-approvate-linee-guida-per-adozione-nazionale

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AFFIDO ESCLUSIVO

Maggior peso alle dichiarazioni del minore.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, sentenza n. 18734, 27 luglio 2017.

La Corte di Cassazione, ha confermato l’affido esclusivo della figlia minorenne alla madre – in luogo dell’affido condiviso – tenendo conto delle sole dichiarazioni della minore, da cui era emerso che la stessa non aveva mai frequentato il padre, essendo questi persona a lei estranea (i genitori si erano separati prima della sua nascita).

I Giudici di merito avevano ritenuto la soluzione dell’affido esclusivo alla madre, più consona all’equilibrato sviluppo psicofisico della bambina. Ma il padre aveva impugnato la decisione, evidenziando come la Corte territoriale avesse fondato il suo convincimento esclusivamente sulle dichiarazioni della minore, senza entrare nel merito delle capacità educative dei coniugi.

Secondo la Corte Suprema, tuttavia, la censura risulta inammissibile, avendo i giudici inconfutabilmente valutato – specie alla stregua delle dichiarazioni della minore ed, in via residuale, dell’effettiva assenza di rapporti padre/figlia – che l’affido condiviso potesse arrecare pregiudizio all’interesse della bambina, tenendo conto della sua età e capacità di discernimento. Tutti elementi – si legge ancora nella ritenuti assorbenti rispetto alla capacità genitoriale dei coniugi, peraltro non messa in dubbio dal regime dell’affidamento disposto, in quanto non limitativo della titolarità delle responsabilità genitoriali.

Eleonora Mattioli Edotto 28 luglio 2017

www.edotto.com/articolo/affido-esclusivo-maggior-peso-alle-dichiarazioni-del-minore?newsletter_id=597b1b89fdb94d26d804d8f0&utm_campaign=PostDelPomeriggio-28%2f07%2f2017&utm_medium=email&utm_source=newsletter&utm_content=affido-esclusivo-maggior-peso-alle-dichiarazioni-del-minore&guid=ff7eb8ce-f0e5-49b6-8a18-ff30307c7fa5

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AMORIS LÆTITIA

“Humanæ vitæ”. Gruppo di ricerca in vista 50mo Enciclica di Paolo VI.

“Una materia che tanto da vicino tocca la vita e la felicità degli uomini”, così il 25 luglio del 1968 Paolo VI scriveva nel preambolo alla Lettera enciclica Humanæ Vitæ in merito al “gravissimo dovere di trasmettere la vita umana”. Un tema che in tutti i tempi – osservava Papa Montini – “ha posto alla coscienza dei coniugi seri problemi”, specie in quegli anni percorsi da “tali mutamenti” per l’evolversi della società, “da fa sorgere nuove questioni” “che la Chiesa non può ignorare”, sottolineava Paolo VI, trascorsi appena tre anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II. Ma l’accoglienza dell’Enciclica fu attraversata da non poche polemiche e Papa Montini fu criticato da qualcuno per le aperture prospettate con l’invito ad una paternità responsabile e da altri per non avere concesso di più riguardo ai metodi contraccettivi.

Don Gilfredo Marengo, docente di antropologia teologica all’Istituto Giovanni Paolo II – alla guida di un gruppo di ricerca sull’Enciclica, in vista del 50mo anniversario – spiega le ragioni per cui che questa Lettera è stata profetica.

R – “Con questa Enciclica Paolo VI – sulla scia del Vaticano II – dichiarò senza incertezze che l’esercizio responsabile della paternità è un valore obiettivo per le famiglie cristiane; e nel medesimo tempo ha indicato i modi adeguati per vivere questo valore, tenendo conto di tutte le dimensioni dell’esperienza dell’amore umano. È importante ricordare che in quegli anni molti ancora guardavano l’esercizio della regolazione delle nascite come, potremmo dire, una ‘benevola concessione’ alle coppie, piuttosto che come un valore positivo da perseguire. Allora era ancora molto presente nella vita della Chiesa un’enfasi sulla procreazione, intesa come un fine primario del matrimonio, che ha per lungo tempo reso difficile una comprensione teologicamente equilibrata del matrimonio medesimo. Non a caso Humanæ Vitæ è proprio costruita sull’unità inscindibile: il significato unitivo e procreativo dell’atto coniugale”.

D – Il cammino che portò alla redazione di Humanæ Vitæ sappiamo fu lungo e complicato. Ma l’Enciclica merita ancora oggi di essere studiata e meglio compresa?

R – “Il tempo ha fatto giustizia di tante polemiche inutili e di tanti pregiudizi con i quali si guardò a Paolo VI, che gli causarono tra l’altro non poche sofferenze. È significativo che da allora, per dieci anni, fino alla sua morte, Paolo VI non pubblicò più nessuna Enciclica. Nel tempo è stato decisivo il contributo di San Giovanni Paolo II, che non solo ha difeso il cuore dell’insegnamento di Humanæ Vitæ ancora prima di diventare Papa; ma poi si è fatto carico di sviluppare un’ampia riflessione – penso in particolare alle catechesi sull’amore umano – che hanno mostrato tutta la ragionevolezza di quanto Humanæ Vitæ insegna, anche integrandola e dando un maggior rilievo ad alcuni temi che in Humanæ Vitæ sono appena accennati e un po’ sacrificati.

E, certamente merita ancora di essere studiata e approfondita, almeno in due direzioni: da un lato, è necessario procedere a collocarla nel contesto di tutte le cose importantissime e feconde che la Chiesa in questi 50 anni ha detto su matrimonio e famiglia; credo che mai come in questi ultimi 50 anni la Chiesa si è impegnata su questi temi. Poi, dal punto di vista della ricerca storico-teologica, sarà molto utile poter ricostruire, esaminando la documentazione conservata presso alcuni archivi della Santa Sede, l’iter compositivo dell’Enciclica, che si è sviluppato con fasi distinte dal giugno 1966 alla sua pubblicazione, il 25 luglio 1968.

Proprio in vista di questo prossimo cinquantesimo, ho avuto il permesso di iniziare queste ricerche di archivio, affiancato da alcuni autorevoli studiosi, i professori Sequeri, Maffeis e Chenaux. L’impressione iniziale è che sarà possibile mettere da parte molte letture parziali del testo. E soprattutto sarà più agevole cogliere le intenzioni e le preoccupazioni che hanno mosso Paolo VI, e che lo hanno portato con tante difficoltà ad arrivare a risolvere positivamente la questione. Va rimarcato che non fu sempre sostenuto come era doveroso in quegli anni: tutta la vicenda complicata della Pontificia Commissione, che lavorò dal 1963 al 1966, e che alla fine non riuscì a dargli quello che gli era utile per poter procedere ad elaborare l’Enciclica. Cosicché Paolo VI quasi ha dovuto re-iniziare da solo, con l’aggravante che in quegli anni c’era un’opinione pubblica ecclesiale non solo polarizzata tra favorevoli e contrari alla pillola, ma analoga contrapposizione era anche molto presente nella comunità dei teologi di allora”.

D – Venendo al pontificato attuale di Francesco, quale filo rosso lega Humanæ Vitæ all’Esortazione apostolica Amoris Lætitia?

R – “Il filo rosso è quello che, a partire da “Gaudium et Spes”, vede la Chiesa mettere al primo posto la cura del matrimonio e della famiglia, riconoscendo in queste realtà il luogo, direi, ‘principe’, ove la comunità cristiana è chiamata ad incontrare gli uomini del suo tempo, prendersi cura di tutto il loro umano ed offrire loro la novità dell’annuncio cristiano. In questo senso esiste una singolare continuità che va da Paolo VI a Francesco, passando per San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI”.

Scarica e ascolta l’intervista con don Gilfredo Marengo

Roberta Gisotti Radio vaticana 25 luglio 2017

http://it.radiovaticana.va/news/2017/07/25/humanae_vitae_gruppo_di_ricerca_in_vista_50mo_enciclica/1326958

Paolo VI e la sessualità dei cristiani: tre obiezioni a Mons. Marengo

A poco meno di un anno dai 50 anni di Humanae Vitae, la nota enciclica di Paolo VI dedicata alla “paternità e maternità” responsabile, vorrei aprire un dibattito su quel testo e sulla sua recezione. L’occasione è data non solo dall’anniversario imminente ma anche da alcune notizie recenti, secondo cui:

  • Una Commissione Vaticana è stata costituita per valutare una reinterpretazione della enciclica di Paolo VI e alla sua guida è stato posto G. Marengo.

  • Il capo dalla Commissione ha rilasciato una intervista nella quale esprime alcune valutazione rilevanti sul testo e sulla sua recezione in questi quasi 50 anni.

A questa intervista è dedicato il commento critico di Luca Badini, che è Direttore di ricerca del Wijngaards Institute for Catholic Research.

https://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=https://en.wikipedia.org/wiki/Wijngaards_Institute_for_Catholic_Research&prev=search

Con essa inizia una “serie” di post tematici, identificati da un titolo comune: Dignitatis Humanae vitae, nel quale si sintetizzano icasticamente i poli di una tensione ancora irrisolta, sostanzialmente tra il Concilio Vaticano II, la riconciliazione con la “società moderna” e le resistenze cieche su posizioni ottocentesche in materia di sessualità, di generazione e di rapporto matrimoniale, che appaiono prive di rapporto non solo con la realtà, ma anche con la tradizione cristiana.

 

Paolo VI e la sessualità dei cristiani: tre obiezioni a Mons. Marengo

Luca Badini Confalonieri

Spiace constatare come la recente intervista di Mons. Gilfredo Marengo su Paolo VI e la genesi dell’enciclica Humanae vitae (HV) contenga affermazioni inesatte, che sanno di revisionismo e “alternative facts” di sapore orwelliano.

  1. La prima affermazione, meno grave, consiste nel suggerire che Paolo VI abbia dato un impulso vigoroso all’idea che la pianificazione familiare sia un bene. Marengo dice: “È importante ricordare che in quegli anni molti ancora guardavano l’esercizio della regolazione delle nascite come, potremmo dire, una ‘benevola concessione’ alle coppie, piuttosto che come un valore positivo da perseguire.”

Vero, ma tace sulla storia completa, e cioè del fatto che Paolo VI fu fin dall’inizio tra quelli che cercarono di moderare tale sviluppo. Andiamo per ordine.

Anzitutto, fu il Vaticano II che per primo “dichiarò senza incertezze che l’esercizio responsabile della paternità è un valore obiettivo per le famiglie cristiane,” per dirla con Marengo. Nello specifico, Gaudium et Spes affermò «che gli sposi hanno la responsabilità di raggiungere una decisione mutuale riguardo alla procreazione, tenendo conto sia del proprio bene personale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli che si prevede nasceranno; valutando le condizioni sia materiali che spirituali della loro epoca e del loro stato di vita; e, infine, tenendo conto del bene della comunità familiare, della società temporale e della Chiesa stessa. Questo giudizio in ultima analisi lo devono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi.» (GS 50).

Per la prima volta nella storia della chiesa cattolica la bontà della regolazione delle nascite fu esplicitamente accettata in un documento conciliare.

Nella HV, Paolo VI non fece altro che ripetere tale conclusione. E non avrebbe potuto fare altrimenti: si trattava di un traguardo storico, raggiunto dopo aspre discussioni, e ormai ritenuto inoppugnabile.

Tuttavia, la HV ebbe come effetto quello di silurare proprio tale traguardo faticosamente raggiunto dal dibattito conciliare: essa infatti stabilì che la regolazione delle nascite poteva solo essere conseguita attraverso l’astenersi periodicamente durante i periodi fertili del ciclo mestruale (e solo per seri motivi), mentre ogni uso di contraccettivi “artificiali” a scopo di pianificazione familiare era da considerarsi sempre e ovunque “intrinsecamente malvagio”.

In altre parole: il sì conciliare alla pianificazione familiare, a lungo atteso da milioni di cattolici, durò meno di tre anni, dopodiché fu soppresso de facto dalla proibizione papale contro l’uso di tutti i metodi più efficaci a raggiungere tale scopo.

Non solo. Va anche ricordato che il traguardo faticosamente raggiunto dai padri conciliari fu raggiunto nonostante le pesanti obiezioni di Paolo VI, che infatti riuscì a far modificare – e diluire – la bozza finale dei paragrafi rilevanti della Gaudium et Spes.

Questo obiettivo da Paolo VI fu ottenuto agendo in maniera assolutamente illegale dal punto di vista delle regole ufficiali del dibattito conciliare stesso. Mancavano circa due settimane alla fine del concilio, e la sezione sul matrimonio della Gaudium et Spes, dopo lunghe discussioni, era finalmente giunta allo stadio finale. Ogni frase del testo era stata accuratamente scolpita; la commissione dottrinale, preposta al vaglio delle richieste di modifiche del testo avanzate dai padri conciliari, ne aveva integrate molte (e molte respinte!). Il testo della bozza era ormai stato approvato di comune accordo: perciò ogni ulteriore richiesta di modifica dell’ultima ora, prima del voto finale, poteva toccare solamente la forma (il modo di dire le cose) e non la sostanza.

Improvvisamente, in tale periodo febbrile a pochi giorni dalla chiusura del concilio, Paolo VI ordina a nientemeno che la Segreteria di Stato Vaticana di scrivere una lettera (senza però dire esplicitamente che venisse da lui!) alla commissione dottrinale, con delle precise richieste di modifiche molto sostanziali alla bozza finale della Gaudium et Spes. Ecco i tre cambiamenti che Paolo VI richiese (a porte chiuse, finita la discussione, e quasi ai tempi supplementari, cercando dunque con successo di evitare che venissero discussi e votati dai padri conciliari!):

  1. Riaffermare la dottrina contenuta nella Casti Connubii e nel discorso di Pio XII alle Ostetriche, e cioè che usare contraccettivi è sempre intrinsecamente malvagio in quanto innaturale, e che il metodo del ritmo può essere tollerato per gravi ragioni;

  2. Enfatizzare maggiormente l’importanza di fare figli

  3. Enfatizzare maggiormente l’importanza della castità nella vita coniugale.

Tali obiezioni furono in parte respinte dalla commissione dottrinale. Tuttavia, i membri della commissione non se la sentirono di rigettarle completamente, così da non offendere Paolo VI. Dunque cercarono di modificare il testo della bozza finale, per accomodarle quanto più possibile, cercando allo stesso tempo di non diluire quanto faticosamente raggiunto dal dibattito conciliare. Purtroppo tali modifiche portarono comunque a un certo svilimento del testo finale.

Tuttavia – c’è spesso un lato positivo anche nelle cose negative! – alcune delle risposte della commissione alle modifiche richiestegli da Paolo VI rifiutarono come sbagliate alcune affermazioni che diverranno poi assolutamente centrali nella HV, come ad esempio quella che ogni rapporto sessuale ha per natura una finalità procreativa.

In altre parole la HV contraddice esplicitamente su alcuni punti la spiegazione ufficiale della Gaudium et spes fornita dalla commissione dottrinale stessa. Questo è stato sempre taciuto in ogni documento ufficiale dopo la HV, ed è possibile che Paolo VI stesso non si accorse di tale contraddizione. Rimane il fatto che, deliberatamente o no, Paolo VI si prese la sua rivincita su quei paragrafi cruciali della Gaudium et spes 47-51.

I cambiamenti richiesti d’autorità da Paolo VI alla commissione dottrinale della Gaudium et spes, riportati sopra, dimostrano come egli stesse già giocando da reazionario su questi temi ancora prima della fine del Vaticano II. Con la HV riuscì di fatto a bloccare quanto era stato sbloccato dalla Gaudium et spes. Che mons. Gilfredo Marengo faccia passare papa Montini come eroe incompreso dimentica quanto sopra ricordato. Bisognerebbe dire piuttosto che, su questo tema, Paolo VI tentennò molto, e decise infine di fare la scelta sbagliata, e per le ragioni sbagliate.

  1. La seconda affermazione inesatta di mons. Marengo è quando egli dice che Giovanni Paolo II ha mostrato “tutta la ragionevolezza di quanto Humanae Vitae insegna”.

Davvero? Allora Mons. Marengo indichi esattamente dov’è che Giovanni Paolo II fornisce una spiegazione esauriente alle tre domande seguenti:

  1. Com’è possibile affermare allo stesso tempo le due cose: che scindere deliberatamente lo scopo procreativo da quello unitivo del sesso è sempre e comunque intrinsecamente malvagio (HV §14), e che utilizzare il metodo del ritmo a scopo contraccettivo è lecito (HV §16);

  2. Com’è possibile che rapporti sessuali con intenzione contraccettiva siano permessi solo se intrapresi utilizzando metodi “naturali”, e non quando utilizzando contraccettivi “artificiali” (HV §16);

  3. Come giustifica Giovanni Paolo II l’affermazione tanto cruciale quanto infondata della HV, secondo la quale ogni rapporto sessuale ha sempre in sé, per natura, finalità procreativa? La HV dice che tale affermazione è basata sulle “leggi del processo generativo” (HV §13, vedi anche §§11, 12 e passim). Ma tutti sanno che secondo tali leggi biologiche, negli esseri umani la stragrande maggioranza dei rapporti sessuali non ha nemmeno la capacità di procreare: e come fanno allora ad avere sempre la procreazione come finalità?

Il fatto che continua a venire sottaciuto – come se la gente non se ne fosse accorta! – è che la HV è sia contraddittoria in se stessa, che profondamente sbagliata nelle sue conclusioni.

Contraddittoria, perché da una parte essa afferma che ogni atto sessuale deve sempre avere una finalità procreativa (HV §12), cosicché “un atto coniugale, reso volutamente infecondo, [è] perciò intrinsecamente non onesto.”

Dall’altra ammette che sia moralmente legittimo usare il metodo del ritmo per fare sesso “con mutuo e certo consenso di evitare la prole per ragioni plausibili, cercando la sicurezza che essa non verrà”, cioè con intenzione contraccettiva.

La HV è anche profondamente sbagliata nel suo tentativo di far quadrare tale cerchio. La HV spiega infatti che la ragion per cui i metodi “naturali” son permessi e quelli “artificiali” no è appunto che questi ultimi vanno contro natura (HV §16). Nello specifico, essi non rispettano le “leggi [biologiche] del processo generativo” secondo le quali, a parere dell’enciclica, ogni rapporto sessuale ha una finalità’ procreativa, che la gente deve assolutamente preservare.

Il che dimostra una seria mancanza di comprensione della biologia basilare, da scuola secondaria per intenderci: nessun rapporto sessuale, preso singolarmente, ha “per natura” una capacità intrinseca e indipendente di procreare. Se la avesse, significherebbe che ogni rapporto/inseminazione risulterebbe in un concepimento. Invece, dal punto di vista biologico (il solo cui l’enciclica si appella), la capacità procreativa del rapporto sessuale è relativa, piuttosto che assoluta o indipendente, e cioè dipende dal soddisfacimento di innumerevoli altre condizioni.

Per dirla in soldoni, la stragrande maggioranza dei rapporti sessuali non ha la minima capacità procreativa, e dunque non può in alcun modo essere descritta come avente la procreazione come finalità sempre e ovunque – “a prescindere”, direbbe Totò.

Senza contare che, uscendo dal campo strettamente biologico, dire che ogni coppia in ogni rapporto sessuale deve mantenere, e non ostacolare, la “naturale” (!) finalità procreativa vuol dire fraintendere la sessualità umana, che ha molteplici altre finalità e significati oltre la trasmissione del genotipo – finalità e significati ulteriori che sono perlopiù proprio ciò che distingue la sessualità umana da quella della stragrande maggioranza degli altri animali sessuati.

  1. La terza inesattezza di mons. Marengo – forse la più grave – è stata quella di dire che Paolo VI “non fu sempre sostenuto” dalla Pontificia Commissione sul Controllo delle Nascite, che studiò la questione per conto di Giovanni XXIII prima e Paolo VI stesso dopo, dal 1963 al 1966.

Questa è una distorsione dei fatti che lascia veramente allibiti. Tale commissione segreta compì un tour de force straordinario. Inizialmente piuttosto piccola e con tendenze conservatrici, essa fu allargata enormemente da Paolo VI stesso fino a raggiungere un totale di 72 membri, esperti nelle discipline rilevanti, monsignori, vescovi e cardinali.

Nel corso di tre anni, con molteplici riunioni e discussioni (esiste un affascinante riassunto ufficiale in francese delle minute di tali discussioni stilato da padre Henri de Riedmatten OP, segretario della commissione, originariamente ad uso del papa, ora “declassificato”) infine produsse il famoso Rapporto Finale, che si espresse in favore della liceità dell’uso dei contraccettivi artificiali a scopo di pianificazione familiare.

Paolo VI non se la sentì di seguire il loro avviso. Non perché fosse convinto della bontà degli argomenti in supporto alla proibizione dei suoi predecessori: anzi, persino i quattro membri conservatori che si dissociarono dal Rapporto Finale della Commissione ammisero che non c’erano argomenti di ragion naturale a sostegno della condanna di ogni uso di contraccettivi come intrinsecamente immorale. Anzi, tale ammissione la misero esplicitamente per scritto nel memorandum privato che riuscirono a far arrivare a papa Montini, insieme al testo del rapporto finale della Commissione.

No: la ragione per cui Paolo VI decise di ignorare il parere della commissione fu probabilmente il suo essersi convinto dell’impossibilità che i suoi predecessori si fossero sbagliati su di un tema tanto importante. Non so quanto Paolo VI fosse convinto da tale ragione, e si sa che egli rifletté a lungo sulla questione. Può darsi che nemmeno lui ne fosse del tutto convinto.

Per quasi tutti gli ex-membri dell’ormai sciolta Pontificia Commissione sul Controllo delle Nascite cominciarono dunque due lunghissimi anni di attesa per sapere cosa il papa pensasse del loro rapporto finale. E la loro speranza iniziale dev’essersi smorzata sempre più quanto più tale risposta papale tardava a venire – un ritardo per loro inspiegabile.

Di fatto, tale ritardo era spiegabilissimo dalla decisione di Paolo VI di stracciare il rapporto finale, e ricominciare da zero con esperti stavolta fidati. Il loro compito era quello di trovare giustificazioni adeguate in supporto ad una conclusione già raggiunta: e cioè che ogni uso di contraccettivi artificiali a scopo di pianificazione familiare fosse immorale. Tali esperti furono selezionati a messi al lavoro in gran segreto, senza ovviamente dire nulla ai membri dell’ormai sciolta Commissione Pontificia. Dopo mesi di lavori, tali esperti presentarono Paolo VI con un testo la cui sostanza poi diventò la Humanae vitae, pubblicata nel luglio del 1968. Il resto, come si dice, è storia.

Cosi andarono le cose, a grandi linee. Ed insinuare invece, come mons. Marengo ha fatto, che la Pontificia Commissione non sostenne il papa come avrebbe dovuto semplicemente non corrisponde ai fatti. Peggio: getta anche fango sul duro lavoro e lo straordinario sviluppo intellettuale della settantina di membri di tale commissione, i quali risposero con generosità alla richiesta di due papi di aiutarli a comprendere una questione spinosa.

C’è da sperare che, in vista del cinquantesimo anniversario di quell’enciclica così disastrosa, non si perda un’occasione irripetibile per riesaminare a fondo la HV e cambiare la dottrina papale corrente. Tale insegnamento papale è in aperto contrasto con la fede e la prassi della chiesa cattolica; è dunque fonte di divisione e scandalo tra gerarchia e laicato cattolico, e anche – non va dimenticato – tra i cattolici e gli altri cristiani (sia riformati che ortodossi) che hanno da tempo accettato la liceità dell’uso dei contraccettivi.

Andrea Grillo blog: Come se non 29 luglio 2017

www.cittadellaeditrice.com/munera/dignitatis-humanae-vitae-1-paolo-vi-e-la-sessualita-dei-cristiani-tre-obiezioni-a-mons-marengo-luca-badini

 

L’accesso ai Sacramenti: da Familiaris consortio ad Amoris lætitia

L’aiuto della Chiesa di cui si parla nel documento, in certi casi può anche essere l’aiuto dei Sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia (cfr nota 351). Si noterà l’effetto restrittivo dell’espressione in certi casi! Con tutto ciò, l’affermazione non la si può eludere, né aggirare piantandovi attorno una tale siepe che la renda di fatto inattuabile! Essa, al contrario, non deve stupire, perché in linea di principio trae le dovute conseguenze dal fatto che “il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave” (nota 336).

È in libreria da pochi giorni il nuovo libro di mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano e segretario del Consiglio di cardinali (C9), dedicato all’Amoris lætitia, esortazione apostolica di Papa Francesco sull’amore nella famiglia. Titolo del volume: “L’occhio e la lampada. Il discernimento inAmoris lætitia (Edizioni Dehoniane, pagine 160). Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo il primo paragrafo del capitolo 12 in cui viene trattato il tema dell’accesso ai Sacramenti dalla Familiaris consortio all’Amoris lætitia.

 

L’attenzione e la sollecitudine nei riguardi di quei battezzati che si trovano in situazione matrimoniale irregolare è espressa con chiarezza e direttamente da Giovanni Paolo II in Familiaris consortio: “La Chiesa […], istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che – già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale – hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza” (n. 84).

Il medesimo principio guida è assunto da Francesco in Amoris lætitia. Si comincerà, dunque, con l’illustrare in che maniera, per quali ragioni e a quali condizioni Familiaris consortio prevede e permette l’accesso ai Sacramenti.

Al suo n. 84 questa Esortazione apostolica comincia col ribadire “la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati”. Spiega pure che “sono essi a non poter esservi ammessi”, ravvisandone la ragione nel fatto “che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia”. A questa ragione teologica – che si richiama ad una oggettiva contraddizione fra lo stato e la condizione di vita di chi è divorziato civilmente rispostato con l’unione indissolubile di Cristo con la Chiesa – l’Esortazione ne unisce un’altra che chiama di ordine pastorale: “Se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio”.

Ciò premesso, stante il pentimento “di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo”, Familiaris consortio apre alla possibilità di una deroga anzitutto all’obbligo della separazione (se “per seri motivi quali, ad esempio, l’educazione dei figli” non possono soddisfarla) e quindi pure alla totale esclusione dai Sacramenti. La condizione è la disponibilità ad accedere ad uno stato di vita in comune non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio: in concreto, se “assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”. Pentimento, serietà dei motivi che impediscono di interrompere la convivenza e disponibilità a vivere in continenza: sono questi i tre elementi che in Familiaris consortio compongono sia la deroga all’obbligo della separazione, sia alla possibile ricezione dei Sacramenti (1).

Familiaris consortio non ritiene di potere andare oltre. Riconsiderando tutto, la ragione teologica che determina ciò è l’oggettiva contraddizione “a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia”. La via indicata è una via oggettivamente “in salita”, soprattutto se considerata in rapporto a persone che di per sé si sono sentite e si sentono chiamate al matrimonio, ma, soprattutto col sostegno della grazia, non impossibile.

Disponendosi come Familiaris consortio a non “abbandonare a se stessi coloro che – già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale – hanno cercato di passare a nuove nozze”, Amoris lætitia anch’essa la medesima situazione; non lo fa, però, ponendosi dalla parte della oggettività, bensì da quella soggettiva delle persone coinvolte e lo fa sulla base del principio da sempre affermato: perché “un peccato sia mortale si richiede che concorrano tre condizioni: ‘È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso’” (Catechismo della Chiesa cattolica n. 1857).

Da ciò derivano importanti conseguenze, come il principio enunciato dallo stesso Catechismo della Chiesa cattolica n. 1735 per cui “l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali”.

Prendendo atto di ciò Amoris lætitia afferma, come già detto: “È possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa” (n. 305).

Questo aiuto può comprendere anche quell’aiuto dei Sacramenti, di cui si legge alla nota 351: un aiuto da offrire a quelle eventuali persone battezzate che, pur essendo oggettivamente in una situazione di peccato, nel contesto di un appropriato processo di discernimento risultano portarne la responsabilità e il peso solo in parte, o anche per nulla.

L’aiuto della Chiesa di cui qui si parla, in certi casi può anche essere l’aiuto dei Sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia (cfr nota 351). Si noterà l’effetto restrittivo dell’espressione in certi casi! Con tutto ciò, l’affermazione non la si può eludere, né aggirare piantandovi attorno una tale siepe che la renda di fatto inattuabile! Essa, al contrario, non deve stupire, perché in linea di principio trae le dovute conseguenze dal fatto che “il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave” (nota 336).

Aggiungerò che nel suo argomentare l’Esortazione cita frequentemente san Tommaso d’Aquino (almeno quindici volte è citata la Somma Teologica). Per convalidare quanto sino a qui detto, aggiungerei quest’altro suo testo: “Come il male è più esteso del peccato, così il peccato è più esteso della colpa… (perciò) il bene e il male comportano la nozione di lode o di colpa solo nelle azioni volontarie, dove il male, il peccato e la colpa sono la stessa cosa (in quibus idem est malum, peccatum, et culpa)” (S. Th. I-II, q. 21, art. 2). Sulla base di simili premesse difficilmente confutabili, con piena ragione nell’Esortazione Francesco può affermare: “Non è più possibile dire che tutti coloro, che si trovano in qualche situazione cosiddetta ‘irregolare’ vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante” (n. 301).

Per essere su questo punto ancora più espliciti, dirò che Amoris lætitia non ammette affatto ai Sacramenti e, in particolare, all’Eucaristia “i divorziati risposati”. Il Papa non parla di “categorie”, ma di persone!

Per quelle, poi, cui ci si riferisce per il discernimento di cui trattiamo sono ovviamente necessarie le “premesse” di conversione che il n. 298 dell’Esortazione giunge quasi a elencare. Si parla, ad esempio, di “una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe”. Poco più avanti prosegue: “C’è anche il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di ‘coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido’”.

La dottrina esposta nell’Esortazione, insomma, è il frutto di un nuova e felice centratura della morale della legge sulla persona.

A questo, infatti, è volto il cammino di discernimento: “A comprendere – come afferma il teologo Mauro Cozzoli – le storie delle persone, le situazioni, le circostanze e le difficoltà in cui si trovano, le intenzioni e le disponibilità che dimostrano”.

Tale discernimento è ispirato al duplice criterio: del “bene possibile” e della “gradualità”. Il primo non è un bene impuro, o indegno (B. Petrà), ma guarda al bene effettivamente realizzabile da ciascuno; il secondo è il criterio che, nell’impossibilità di attuare tutto il bene comandato dalla norma, apre strade di avvicinamento progressivo.

In tale quadro s’inserisce la raccomandazione del Papa: “Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio” (n. 305).

Vuol dire che i necessari stadi intermedi, per quanto ancora segnati dal deficit e dal disordine, devono essere considerati come tappe di avvicinamento alla pienezza del bene. Citando se stesso da Evangelii gaudiumFrancesco ci domanda di tener conto “che un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà” (n. 305). Conclude Mauro Cozzoli: “Dove non arriva l’etica della legge, che giudica e condanna in nome del tutto o niente: criterio del ‘valevole indistintamente per tutti’; arriva l’etica della misericordia, che al tutto perviene attraverso il possibile: criterio del ‘valevole distintamente per ciascuno’. L’etica della misericordia dà valore e credito alla coscienza, alla sua rettitudine e responsabilità davanti a Dio. E confida nell’opera della grazia: grazia purificante dalle scorie del male e abilitante all’intelligenza e all’amore del bene. L’etica della misericordia non cambia la morale. Chiama piuttosto a una conversione etico-pastorale di vicinanza alle persone, scandita dal trittico discernere, accompagnare, integrare”.

Un’ultima cosa è necessario ribadire: tutto il processo di discernimento di cui si è parlato e che, eventualmente (e non necessariamente), conduce all’accesso ai Sacramenti si svolge nel foro interno sacramentale. Tale soluzione non è per nulla identica alla semplice “decisione di coscienza”, che riguarda esclusivamente il singolo davanti a Dio. Se così fosse, ci sarebbero i rischi sia di una privatizzazione indebita dell’accesso all’Eucaristia, sia di un dualismo fra oggettività dottrinale e soggettività morale. Importante, perciò la precisazione che quanto avviene nel “foro interno sacramentale” è un vero processo (“foro”), che si svolge nell’ambito sacramentale (sacramento della Penitenza) che vede coinvolti un fedele e un ministro autorizzato della Chiesa.

Stante, dunque, l’importanza della scelta secondo coscienza, come annotano i vescovi tedeschi nel documento (“La gioia dell’amore che viene vissuta nelle famiglie è anche la gioia della Chiesa. Introduzione ad una rinnovata pastorale delle nozze e della famiglia alla luce dell’Amoris lætitia), approvato nel gennaio 2017, “l’Amoris lætitia parte dal presupposto di un processo decisionale che sia accompagnato da una guida pastorale. Sul presupposto di un tale processo decisionale, in cui la coscienza di tutti coloro che vi prendono parte è messa in gioco sino in fondo, l’Amoris lætitia apre la possibilità di ricevere i sacramenti della riconciliazione e dell’Eucaristia”.

25 luglio 2017 Marcello Semeraro, vescovo di Albano, segretario del C9

 

  1. Familiaris consortio, né il CCC 1650 menzionano l’obbligo di accedere all’Eucaristia evitando lo scandalo; ciò si trova in documenti successivi:

Congregazione per la dottrina della fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati (1994), n. 4;

Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione circa l’ammissibilità alla santa comunione dei divorziati risposati (2000), n. 2.

Implicitamente, Benedetto XVI, Esortazione apostolica Sacramentum caritatis: “Là dove non viene riconosciuta la nullità del vincolo matrimoniale e si danno condizioni oggettive che di fatto rendono la convivenza irreversibile, la Chiesa incoraggia questi fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella; così potranno riaccostarsi alla mensa eucaristica, con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale” (n. 29).

Agenzia SIR Servizio informazione religiosa 31 luglio 2017

https://agensir.it/chiesa/2017/07/25/laccesso-ai-sacramenti-da-familiaris-consortio-ad-amoris-laetitia

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Separazione: va mantenuta la ex disoccupata anche se può trovarsi un lavoro

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, sentenza n. 17971, 20 luglio 2017.

Per la Cassazione l’attitudine al lavoro va valutata considerando ogni fattore individuale e ambientale. Nella valutazione dell’an e del quantum dell’assegno di mantenimento, assume rilievo anche l’attitudine del coniuge richiedente al lavoro. Per la Cassazione, però, la portata di tale principio va adeguatamente contenuta.

I Giudici hanno infatti precisato che l’attitudine al lavoro del potenziale beneficiario dell’assegno va calata nel concreto e assume rilievo solo quando si sostanzia in un’effettiva impossibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita.

Tale analisi, più in particolare, va fatta riferendosi a “ogni fattore individuale ed ambientale” senza limitarsi a prendere in considerazione delle “mere valutazioni astratte ed ipotetiche”.

La vicenda. Il caso oggetto riguardava la separazione di una coppia di coniugi. La Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva determinato l’assegno mensile dovuto dal marito in favore della moglie in Euro 650,00, tenendo conto che la donna era disoccupata e che non aveva più svolto attività lavorative retribuite di carattere continuativo dal 2014, con la conseguenza che in difetto di una qualunque concreta capacità di guadagno, non rilevava la sua astratta attitudine al lavoro proficuo.

In ragione di quanto visto sopra, tale posizione è stata confermata anche dalla Corte di cassazione e le censure del marito sull’an e il quantum dell’assegno di mantenimento riconosciuto alla moglie sono state dichiarate infondate.

Valeria Zeppilli Newsletter Giuridica studio Cataldi 24 luglio 2017

www.studiocataldi.it/articoli/26908-separazione-va-mantenuta-la-ex-disoccupata-anche-se-puo-trovarsi-un-lavoro.asp

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO AI FIGLI

Legittimo il desiderio di portare a termine il percorso di studi

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 18531, 26 luglio 2017.

La figlia è fuori corso all’Università ma il padre deve continuare a mantenerla. Università compresa. Legittimo il desiderio di portare a termine il percorso di studi per poter ottenere una adeguata collocazione lavorativa.

Studio Sugamele sentenzawww.divorzista.org/sentenza.php?id=14098

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ASSEGNO DIVORZILE

La creazione di una nuova famiglia, dopo il divorzio, fa venire meno il diritto all’assegno.

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 18111, 21 luglio 2017.

Secondo la Cassazione l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia rescindendo ogni connessione con il tenore e il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire meno definitivamente ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’atro coniuge.

Studio Sugamele 26 luglio 2017 Ordinanza

www.divorzista.org/sentenza.php?id=14086

 

La donna che ha pochi mezzi e paga il mutuo.

Tribunale di Roma, prima Sezione civile, sentenza n. 11723/2017.

Il Tribunale di Roma dissente dalla Cassazione, perché la donna che ha pochi mezzi e paga il mutuo ha diritto all’assegno. Per il Tribunale, se la ex moglie è gravata da oneri economici pesanti, l’assegno divorzile le spetta comunque, anche se la Corte di cassazione, con la sentenza numero 11504/2017, ha detto addio al criterio del tenore di vita come parametro per valutare l’an del diritto al contributo

La sentenza infatti ha confermato l’assegno divorzile a vantaggio di una moglie che deve pagare il mutuo della casa in cui vive, anche se l’ex marito ha una nuova famiglia e guadagna circa 1.600 euro al mese.

Solidarietà post-coniugale. Per il Tribunale capitolino, il mantenimento va solo ridotto di importo ma spetta perché la ex guadagna solo 850 euro al mese e la rata mensile di mutuo gliene porta via 500 e continuerà a farlo sino al 2030. Non importa che la donna abbia una propria professionalità ed, essendo nata nel 1970, sia in piena età lavorativa: i suoi redditi e la circostanza che la stessa sia stata costretta più volte a ricorrere all’aiuto economico dei genitori giustificano il ricorso alla solidarietà post-coniugale.

Ed è proprio tale solidarietà che, considerato anche che l’uomo ha redditi comunque maggiori di quelli che aveva al momento della separazione, possono consentire l’erogazione di un sostegno economico, contenuto, alla ex compagna di vita.

Valeria Zeppilli Newsletter Giuridica studio Cataldi 24 luglio 2017

www.studiocataldi.it/articoli/26860-divorzio-l-ex-va-mantenuta-in-nome-della-solidarieta-post-coniugale.asp

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter n. 29/2017, 26 luglio 2017

  • L’Italia secondo l’ISTAT, il volto familiare della povertà. “Nel 2016, sotto la soglia minima di decente sopravvivenza si sono trovati 1.619.000 nuclei familiari residenti, per più di 4.742.000 persone. Il nostro è un Paese in cui la nascita di un figlio spinge i genitori al limite dell’indigenza. Un problema economico-sociale diventato intollerabile”

Commento di Francesco Belletti su Famiglia cristiana

www.famigliacristiana.it/articolo/l-italia-secondo-l-istat-il-volto-familiare-della-poverta-.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_26_07_2017

  • Corso di specializzazione quadriennale in psicoterapia integrata. Sono aperte le iscrizioni ad un nuovo corso di specializzazione post-laurea, di durata quadriennale, con un monte ore annuale di 500 ore (tra docenza, tirocinio e formazione on line).

www.scuolapsicoterapiaintegrata.it

La Scuola di Psicoterapia Integrata intende offrire agli specializzandi un percorso formativo focalizzato sulla pratica clinica nelle quattro aree elettive dell’incontro psicoterapeutico (individuale, di coppia, di famiglia e di gruppo) attraverso l’uso di strumenti e tecniche di lavoro di provata efficacia. Le competenze acquisite nelle quattro aree permetteranno agli specializzandi di predisporre progetti terapeutici coerenti con i bisogni di cura dei clienti e con i contesti in cui essi operano (privato, privato sociale, servizi socio-sanitari, ospedali)”.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf2917_allegato4.pdf

  • Un rapporto sulla protezione dei bambini rom in tre paesi europei. Empowerment e sostegno per l’inclusione delle persone Rom. Rapporto di sintesi dagli studi di caso a Ghent/Gand, Belfast e Roma. Raccomandazioni politiche progetto realizzato da ISSA – International Step by Step Association. Il progetto è dedicato alla condizione generale della popolazione Rom, ma il rapporto di sintesi affronta soprattutto la tutela dei bambini, e le differenze di situazione sociale e normativa in tre Paesi dell’Unione Europea molto diversi tra loro: Belgio, Irlanda del Nord e Italia.

www.issa.nl/sites/default/files/Syntesis%20and%20Policy%20Recommendations_web.pdf?utm_source=email&utm_campaign=eNB_June&utm_medium=email

  • Il lavoro delle casalinghe. Dati ISTAT. È uscito il 10 luglio 2017 uno studio dell’Istat contenente moltissimi dati interessanti riguardanti la presenza delle casalinghe ed il loro profilo socio demografico. A testimoniare l’importanza del tema, sia in chiave familiare che per l’intera società, è sufficiente questo passaggio: «Nel 2014 sono state effettuate in Italia da parte di donne e uomini 71 miliardi e 353 milioni di ore di lavoro non retribuito per attività domestiche, cura di bambini, adulti e anziani della famiglia, volontariato, aiuti informali e spostamenti legati allo svolgimento di tali attività. Per comprendere l’importanza economica di questo dato, è possibile prendere a riferimento l’ammontare complessivo delle ore di lavoro retribuito svolte in Italia nello stesso anno: secondo le stime elaborate all’interno dei Conti economici nazionali si tratta di 41 miliardi e 794 milioni di ore. L’ammontare complessivo di ore di lavoro non retribuito è dunque pari a 1,7 volte di quello del lavoro retribuito. Le donne hanno effettuato 50 miliardi e 694 milioni di ore di lavoro non retribuito (il 71% del totale): un valore superiore al numero di ore di lavoro retribuito prodotto dal complesso della popolazione. Le casalinghe, con 20 miliardi e 349 milioni di ore, sono i soggetti che contribuiscono maggiormente a questa forma di produzione, che, pur non essendo retribuita, è fondamentale per il benessere del Paese».

www.istat.it/it/files/2017/07/Le-casalinghe-in-Italia-2016.pdf?title=Casalinghe+in+Italia+-+10%2Flug%2F2017+-+Testo+integrale+e+nota+metodologica.pdf

  • Invito al seminario internazionale, 21-22 settembre 2017, Milano -Come valutare l’impatto delle politiche familiari. Il 21 e 22 settembre 2017 il CISF e il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano presenteranno, in collaborazione con il Family Impact Institute della Purdue University (USA) un innovativo modello di valutazione dell’impatto familiare delle politiche a livello nazionale e locale, già ampiamente sperimentato negli Stati Uniti.

www.purdue.edu/hhs/hdfs/fii

A presentarlo sarà la prof.ssa Karen Bogenschneider, che si confronterà con ricercatori, amministratori locali, esperti dell’associazionismo familiare.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf2817_Seminario-FAMILY-IMPACT-21-22-set-17.pdf

Per info e iscrizioni inviare una mail a cisf@stpauls.it. Accesso gratuito (iscrizione obbligatoria per posti limitati). Informazioni anche telefonando al: 02.48072710.

L’evento viene realizzato in collaborazione con il Consiglio Regionale della Regione Lombardia e con la Provincia Autonoma di Trento. Nella mattina di sabato 23 settembre 2017 a Trento è previsto un ulteriore seminario con la prof.a Karen Bogenschneider.

  • Dalle case editrici. Questa settimana segnaliamo un unico volume, di particolare interesse sia per l’originale punto di vista dell’Autore, sia perché consente di proseguire nell’approfondimento delle diverse implicazioni della Amoris lætitia.

Carlo Rocchetta, Una Chiesa della tenerezza. Le coordinate teologiche dell’Amoris lætitia. EDB, Bologna 2017, pp. 277, € 25.

La famiglia delineata nell’esortazione Amoris lætitia si presenta come una comunità d’amore che diviene sorgente vitale della costituzione della Chiesa. Anche per questo, secondo papa Francesco non è sufficiente ri-organizzare la pastorale familiare, ma è necessario rendere familiare tutta la Chiesa. Sotto questo profilo, la famiglia si rivela dunque come un luogo teologico. Anche se l’orientamento del documento post-sinodale è ampiamente pastorale, ciò non significa quindi che manchino le coordinate teologiche di fondo. Piuttosto, esse sono implicite in ogni capitolo, sia pure in forma diffusa e non sistematica. Ecco l’importanza di questo contributo di Carlo Rocchetta – socio fondatore della Società italiana per la ricerca teologica e dell’International Academy for Marital Spirituality di Bruxelles, docente all’Istituto Teologico di Assisi – che si propone appunto di metterle in evidenza, sviluppando la teologia della famiglia sottesa nel testo.

«Non è infatti possibile elaborare oggi un’adeguata pastorale della famiglia senza un’adeguata teologia della famiglia», scrive Rocchetta. «Recuperare le coordinate teologiche dell’esortazione risponde a quest’istanza e intende mostrare come la pastorale familiare proposta da Papa Francesco abbia dei precisi fondamenti teologici, oltre a essere fondamentale per la Chiesa». Infatti, con Amoris lætitia si torna – come nel modello della domus ecclesiae del periodo apostolico – a partire dalla famiglia per rileggere l’identità stessa della Chiesa: non sono più solo le famiglie a qualificarsi come Chiesa, ma la Chiesa a qualificarsi come famiglia e a mettersi alla sua scuola. Commenta in conclusione Rocchetta: «una vera rivoluzione copernicana!»

  • Save the date.

Nord Verità, segreti e bugie in famiglia, X convegno promosso dal Centro studi psicanalisi del rapporto di coppia Cremeno (LC)/Milano e dall’Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici (sezione Lombardia), Barzio (LC), 29 luglio 2017.

www.coppiacentrostudi.com/wp-content/uploads/2017/07/ConvegnoFamigliaBarzo2017.pdf

Centro Intelligenza d’amore. Una nuova epistemologia morale oltre la dialettica tra norma e caso, XVII Colloquio di Teologia Morale, Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, Roma, 17-18 novembre 2017.

www.istitutogp2.it/public/Intelligenza%20amore-Depliant%20(2017.06.07)%20DEFINITIVO.pdf

Sud Raccontare le povertà, XXVI Seminario di aggiornamento “Mons. Alfio Inserra” per operatori delle testate Fisc e aperto a tutti i giornalisti, promosso dalla Delegazione FISC della Sicilia, in collaborazione con il periodico della Diocesi di Nicosia “…in Dialogo” e l’UCSI Sicilia, Nicosia (Enna), 21-24 Settembre 2017.

www.fisc.it/fisc/allegati/3281/programma_Seminario_Alfio_Inserra_Nicosia_2017.pdf

Estero Setting Sail from a Safe Port: Giving our children confidence to move forward with safe and permanent relationships (Salpare da un porto sicuro: dare ai nostri bambini la fiducia per andare verso relazioni sicure e stabili), Conferenza internazionale organizzata da IFCO (International Foster Care Organisation), La Valletta (Malta), 1-4 novembre 2017.

http://2017conference.ifco.info/en

Iscrizione alle newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

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CHIESE EVANGELICHE

Il santo matrimonio

Forti emozioni, che si scaricano con violenza – come i temporali d’estate, che scoppiano poco prima delle ferie. Il 30 giugno 2017 il parlamento a Berlino delibera a favore del “matrimonio per tutti”, e i protestanti non sono affatto così cerebrali e speculativi come pregiudizialmente li si considera. Pubblicamente si può appena percepire un “Sì, ma…”. Protestanti di primo piano si sono mostrati emotivi, hanno dichiarato nelle reti sociali e altrove di accogliere con favore la decisione politica, hanno addirittura mostrato bibbie con copertina arcobaleno.

Taluni si sono comportati come se lo Stato, dopo lunga esitazione e molte considerazioni nella commissione giuridica del parlamento avesse finalmente seguito una indicazione divina. Altri invece sono caduti nella zona cupa della scala delle emozioni e si sono infuriati, ritenendo che la peccaminosa Babilonia stesse festeggiando l’allegra resurrezione. Per questi ultimi comincia l’era della scelleratezza. Poi se ne sono tutti andati in ferie.

Però i protestanti, tanto quelli del “sì, ma…” che quelli del “no, ma…”, si sono portati dietro il loro malessere. Ciò che irrita le cristiane e i cristiani nelle loro parrocchie non è solo la velocità con cui le Chiese evangeliche hanno cambiato negli ultimi anni il loro atteggiamento sulle questioni matrimoniali. È il confronto con il fatto che qualcosa come la normatività del normale non debba più esserci. Chi esprime prudenti riserve contro la ridefinizione fondamentale del concetto di matrimonio, ha un problema. Sì, la “normalità” è il problema, un orientamento radicalmente sbagliato. Con triviali resti di letture cultural-teoretiche viene loro assicurato che la normalità è solo una forma di pregiudizio ritoccato, che i cristiani devono alla fine ammettere.

Chi pone domande più forti, passa per omofobo o almeno per arretrato, in ogni caso come appartenente al gruppo marginale di coloro che impediscono lo sviluppo sociale e vogliono mantenere la Chiesa in una meschina ristrettezza. Molti, che ora quasi si vergognano a porre domande, non hanno né problemi con omosessuali né con coppie di persone dello stesso sesso nella cerchia degli amici, in famiglia o nella chiesa. Per loro si tratta piuttosto di ciò che assolutamente si ritiene che la Chiesa debba avere: un pensiero teologico autonomo. Per loro è importante maggiore chiarezza nel poter distinguere tra una concezione del matrimonio da parte dello Stato e una concezione del matrimonio cristiano. Affermano che il modo di intendere il matrimonio non è a disposizione del legislatore statale e che l’agenda non cambia con comunicati stampa di ecclesiastici di primo piano. Sentono la mancanza dell’indipendenza interiore della loro Chiesa in questioni di prassi rituale, ma soprattutto nella riflessione teologica su tale prassi.

Negli ultimi anni molto si è discusso su sessualità e concezioni di famiglia. La riflessione è però rimasta, in fondo, alla “minima teologica”, una specie di etica della responsabilità per relazioni sociali. Una riflessione teologica sul matrimonio come forma di vita buona quasi non esiste, su podi e in pubblicazioni viene invece continuamente citata la parte di una frase di Lutero in cui il matrimonio era definito “cosa mondana”, come se in questo modo si risolvesse l’argomentazione. Nella prospettiva evangelica, il matrimonio non è un sacramento. Che per il riformatore il matrimonio fosse però uno “stato [matrimoniale] santo”, viene volentieri celato. Proprio da qui dovrebbe cominciare la riflessione pubblica evangelica sul matrimonio, cioè se deve continuare ad essere considerato una forma di vita sublime. L’entusiasmo per il “matrimonio per tutti” viene sempre sottolineato con l’indicazione che questa decisione rafforza il matrimonio come forma di vita.

Ma che cosa rende il matrimonio una “faccenda santa”? La teologia della riforma ha dato qui indicazioni pertinenti che si dovrebbero seguire. Innanzitutto: è il come le coppie vivono insieme, non il fatto che vivono insieme, a rendere la loro convivenza un matrimonio davanti a Dio e quindi un “santo matrimonio”.

Questo punto del concetto di matrimonio evangelico merita maggiore attenzione. Qui si tratta di qualcosa di diverso di diritti rivendicabili, di benedizioni di nozze davanti all’altare o di un certificato di matrimonio. Il matrimonio cristiano è una specie di arte spirituale di stile di vita. Quest’arte non pensa a modellare con un costante esame di coscienza la convivenza in maniera il più possibile moralmente irreprensibile o a vivere il proprio matrimonio in maniera perfetta in una specie di perfezionismo della relazione. Si tratta piuttosto di una prospettiva vitalizzante sulla convivenza.

Tale prospettiva non si accontenta di una visione narcisistica sui propri bisogni, esigenze, interessi e sui diritti nei confronti del partner e della convivenza. Non è tanto di diritti ed esigenze che si tratta qui. Ma piuttosto di rispetto, di attenzione, di stupore per come si possa giungere a qualcosa come una così profonda fiducia reciproca. Si tratta di un concetto diverso di stile di vita sovrano, una “conduzione di vita” che merita questo nome perché la vita viene fondamentalmente condotta insieme al partner, ai figli, a Dio. Dal punto di vista cristiano, la vita matrimoniale non sboccia solo per il semplice fatto di condividere tavola e letto –. Come ha un tempo ingiunto Martin Lutero, in nessun momento della vita essa vive semplicemente del riconoscimento di avere un partner, vive nel fatto di trovare quotidianamente il proprio partner, nell’incessante lavoro sulla fiducia, nell’attenzione alla cura reciproca, alla riconciliazione, per citare solo alcuni dei criteri che devono essere tenuti insieme per un concetto di matrimonio adeguato ai tempi e anche cristiano.

Tra questi criteri rientra una concezione del matrimonio come convivenza monogamica. Bisogna dimostrare in che cosa consista l’alto dono del concentrarsi su un unico partner. In che senso questo concentrarsi è un dono, una benedizione? Che cosa significa riconoscere nel partner una persona che mi sta di fronte e verso cui posso andare anche se io nella mia vita sono in debito verso altri, verso me stesso o anche verso il partner? Sicuramente la discussione interna al protestantesimo sulla prospettiva creazionistica del matrimonio non è risolta per il fatto che il parlamento ha preso una decisione.

Un matrimonio è un matrimonio perché potenzialmente è strutturato, concepito, sulla cura dei figli? Ma, senza diventare frivoli, come si può dire questo di fronte a coppie il cui desiderio del figlio rimane tragicamente insoddisfatto? E che cosa significa questo – al di là delle riflessioni sulla legge naturale, di fronte al diritto di adozione e al fatto biologico che finora solo la cellula uovo tratta dal corpo di una madre e fecondata da una cellula seminale maschile può portare alla nascita di un figlio? Come rientra qui la questione della distinzione tra vari tipi di convivenze e il rischio di una discriminazione? Come si può sensibilizzare fortemente sul fatto che una disposizione di legge generale non necessariamente fa sì che le persone siano all’altezza della situazione? Non è raro che delle riforme introdotte per legge si rivelino vittorie di Pirro. Quali conseguenze hanno le visioni e le esigenze di adozione delle coppie sul fatto che il bene dei genitori deve essere orientato al bene dei figli e mai il contrario? Sono pensabili costellazioni di vita in cui debbano essere discriminate le esigenze degli adulti per evitare che delle biografie dei figli diventino biografie di discriminazione? La Chiesa evangelica ha un orientamento sufficientemente serio nel suo accompagnamento pastorale e nella sua prassi matrimoniale su questi temi controversi?

Alla fine, non bisogna aver paura delle provocazioni. Nella concezione della Riforma, una convivenza ha il sigillo di un matrimonio cristiano solo se entrambi i partner possono giungere alla certezza: questo piace a Dio! Chi osa oggi chiedere questo? Quale forza illuminante sta in questa domanda riferita alla vita matrimoniale? E come è possibile che questa domanda venga posta con la necessaria sensibilità date le vicissitudini che si presentano anche nella vita di un matrimonio? Ci sarebbe molto di guadagnato se frasi che iniziano con le parole “Secondo la concezione cristiana, il matrimonio può solo…” scomparissero dal relativo studio di chiarificazione. Per rispetto davanti a Dio e delle persone che su questa questione la pensano o sentono diversamente. Basta già la parca indicazione che una Chiesa evangelica, tenuta al rispetto delle Sacre Scritture, deve tener conto del fatto che Gesù di Nazareth ha parlato pochissimo del matrimonio e solo occasionalmente del divorzio, ma allora con veemenza. Gesù non ha introdotto il matrimonio come istituzione. E neppure ha istituito un rito per il matrimonio. Stiamo anche attenti ad un troppo allegro riferimento al matrimonio come alleanza, come legame tra due persone, un motivo apparentemente gravido di tolleranza. Il motivo dell’alleanza sembra infatti, in un primo momento, moderno e non così desideroso di fertilità. E sembra aprire il matrimonio cristianamente inteso anche a persone che non vogliono mettere al mondo figli o che non nutrono alcun desiderio di avere figli, proprio perché si arriva a concepire il matrimonio appunto solo come un legame tra due persone.

Comunque, il motivo dell’alleanza solleva domande supplementari difficili sul piano dell’emancipazione. Infatti nello stringere bibliche alleanze, era Dio ad avere la parola. E questo, per una convivenza basata su pari diritti, non è esattamente la corretta analogia: e a prescindere poi dal fatto che l’alleanza biblica già nell’Antico Testamento si accompagnava regolarmente all’annuncio un considerevole moltiplicarsi. L’alleanza di Dio con Abramo, ad esempio, non era un accordo a due tra Dio e un patriarca biblico. Ad Abramo fu promessa una discendenza numerosa come le stelle del cielo. La riflessione teologica che dobbiamo fare, alla fine, non deve dare solo risposte. Deve porre anche domande che restano aperte e che perciò, dal punto di vista del pensiero evangelico, devono conseguentemente rimanere questioni di coscienza.

Tra queste domande aperte, alcune dovranno anche essere trattate con la necessaria serietà in prospettiva ecumenica. Non è passato molto tempo da quando, nel marzo 2017 ad Hildesheim, è stato festosamente assicurato che la Chiesa evangelica e la Chiesa cattolica in Germania avrebbero fatto di tutto per avere posizioni comuni su questioni etiche. Bisogna tener presente questa promessa. Perché alla richiesta di un ecumenismo più profondo dovrebbero seguire sulle questioni etiche anche dei fatti. Allora ci saranno buone probabilità che, invece di temporali estivi, si possa giungere, magari non immediatamente, ad un teologico cielo sereno in terra. In ogni caso, a condizioni di migliore visibilità, sui temi del matrimonio.

Petra Bahr, sovrintendente regionale per la diocesi di Hannover

Stefan Schaede, dirige la Evangelische Akademie di Loccum.

www.zeit.de” 28 luglio 2017, traduzione www.finesettimana.org30 luglio 2017

www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=numaut8805

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CONFERENZA NAZIONALE DELLA FAMIGLIA

A settembre gli stati generali della famiglia

Associazionismo a Roma per il più importante appuntamento politico dedicato ai temi familiari.

De Palo, presidente Forum: da parte nostra massima disponibilità per un contributo originale e fattivo

È tempo di una politica innovativa e strutturale per la famiglia

Più forte la famiglia, più forte il Paese. Non è solo uno slogan ma una verità sociologica, la frase scelta per sintetizzare l’idea che sta dietro alla terza Conferenza nazionale sulla famiglia di cui si parla sul numero del mensile “Noi famiglia & vita” in edicola domenica con Avvenire. L’appuntamento si terrà a Roma, il 28 e 29 settembre 2017 e, secondo la volontà del governo, non sarà solo una passerella di buone intenzioni oppure un’occasione offerta ai rappresentanti delle varie forze politiche per accreditarsi in vista delle prossime elezioni. Lo prova l’impegno nella preparazione – che non si dovrà fermare nonostante le dimissioni del ministro Costa – il coinvolgimento di tutto l’associazionismo familiare che dovrà portare nel dibattito la voce autentica delle famiglie, la volontà di discutere di temi concreti e di non trasformare l’incontro in un ring di lotta ideologica.

Il Forum delle associazioni familiari stato coinvolto fin dall’inizio nella scelta dei temi e nella messa a punto del programma, accanto all’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia, che è l’organismo di supporto tecnico-scientifico per l’elaborazione delle politiche nazionali per la famiglia, investito del compito le redigere le linee generali del “Piano Nazionale per la Famiglia” di cui appunto si discuterà nell’ambito della Conferenza.

C’è da aspettarsi qualcosa di concreto? Le due precedenti conferenze nazionali (Firenze 2007 e Milano 2010) hanno prodotto documenti per migliaia e migliaia di pagine e quasi nessun risultato. Non c’è il rischio che anche questa volta finisca così?

Il governo ha voluto questa Conferenza nazionale – risponde Gigi De Palo, presidente del Forum – per avere indicazioni precise in vista della legge di stabilità. Quindi, almeno nelle intenzioni, non dovrebbe essere solo un esercizio accademico. Da parte nostra abbiamo offerta la massima disponibilità per l’individuazione dei temi e per un contributo originale di idee. Il fatto che tutto l’associazionismo familiare sia stato coinvolto direttamente dal ministro Costa è un altro fatto che lascia ben sperare.

Nei vari argomenti sul tappeto, la fiscalità formato famiglia avrà uno spazio rilevante. C’è davvero la possibilità di arrivare finalmente a una svolta?

Stiamo facendo passare l’idea che il tema fiscale non sia solo una lotta per qualche elemosina in più. Per noi è decisivo passare da una visione assistenziale a una impostata sulla sussidiarietà. Pian piano anche i politici più attenti, e meno orientati ideologicamente, si stanno convincendo di questa necessità.

Per le famiglie quali sono le conseguenze di queste due visioni?

L’assistenzialismo, anche quello meglio intenzionato, ritiene che offrire più servizi, più asili, più “cose” sia un bene per la famiglia. Ma con questa logica lo Stato si sostituisce alla famiglia, decide al suo posto. Nell’impostazione sussidiaria alla famiglia viene lasciato lo spazio di decidere e di organizzarsi nelle forme associative che ritiene più opportune. Si tratta uno sguardo antropologico diverso. Certo, lo Stato, attraverso una fiscalità favorevole o con altri interventi, deve comunque fornire le risorse necessarie.

Quindi il Fattore famiglia non è più un’ipotesi del tutto preclusa?

No, ci arriveremo, magari con un nome diverso e con qualche aggiustatura tecnica. Cerchiamo di ottenere qualche segnale già in questa legge di stabilità. Poi prepariamo la svolta per la prossima legislatura

Fisco a parte, di quali argomenti si parlerà alla prossima Conferenza nazionale?

Le commissioni che stanno lavorano sui temi sono sei. Due quelle che si occupano di fiscalità, appunto per la complessità dei temi in gioco. Una è coordinato da Marco Allena dell’Università Cattolica. L’altra da Mauro Maré dell’Università della Tuscia. C’è poi una commissione chiamata “Famiglia risorsa” coordinata dal magistrato Simonetta Matone in cui confluiranno vari argomenti, dalla scuola all’educazione. La terza commissione, che coordino io, si occupa di demografia. La quarta metterà a fuoco i temi del welfare locale e della sussidiarietà (il coordinatore è il sociologo Riccardo Prandini dell’Università di Bologna). E l’ultima su “Giustizia e famiglia” sarà coordinata da Gianni Ballarani, giurista della Lateranense.

Luciano Moia Noi famiglia&vita. 30 luglio 2017

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/noi-famiglia-e-vita-30-luglio-2017

 

Conferenza a settembre, scelte urgenti.Chiarezza per la famiglia

Tra una crisi cronica, l’accoglienza diseguale e spesso disarmonica ai migranti via mare, e un’altra ciclica e contingente, la siccità che stavolta ha messo a rischio persino le forniture idriche alla Capitale, c’è il rischio che a finire in secondo piano sia un’emergenza vera, più nascosta eppure serissima: la condizione della famiglia in Italia.

Dopo le dimissioni del ministro Enrico Costa – evidentemente più interessato ad alchimie di partito e al suo personale destino che al cruciale servizio affidatogli con il dicastero – e l’assunzione dell’interim da parte del premier Paolo Gentiloni, infatti, è stato messo in forse lo svolgimento della Conferenza nazionale sulla famiglia, in programma dal 28 settembre a Roma. Un appuntamento non solo atteso, a ben sette anni dal precedente confronto di Milano 2010 e da tempo preparato con il coinvolgimento e l’impegno dell’associazionismo, ma quanto mai necessario per restituire la centralità dovuta al tema, imprimere finalmente una svolta alle politiche familiari consolidando e sviluppando le scelte compiute o almeno abbozzate negli ultimi mesi, impostare un piano d’intervento a tappe progressive, concreto e condiviso.

Per comprendere la necessità di agire con urgenza è sufficiente ricordare tre dati, tra loro interconnessi:

  1. Il costante calo delle nascite che determina uno squilibrio demografico ed economico nel nostro Paese senza precedenti;

  2. Il crollo del numero di adozioni e le crescenti difficoltà per le coppie ad accedere a questo istituto;

  3. Il preoccupante aumento della povertà in particolare tra i minori e i nuclei con più componenti.

A indicare come da elementi di forza e di sicurezza le condizioni di ‘figlio’ (soprattutto se non unico) e di ‘famiglia’ stiano paradossalmente e pericolosamente diventando fattori di debolezza, fragilità e svantaggio. Non c’è da stupirsi: è il portato di decenni nei quali la famiglia è stata ‘sfruttata’ per le sue capacità educative e di cura, per la sua funzione di naturale ammortizzatore sociale, ma mai valorizzata e (quasi) mai presa a misura delle politiche e degli interventi sociali attuati. Salvo rare eccezioni (a livello locale più che nazionale), infatti, si è continuato anche in anni recenti a mirare gli interventi sociali e fiscali sul singolo, spesso segmentando per categorie professionali (il dipendente, il pensionato…), senza mai guardare al contesto nel quale la persona vive.

O peggio – sempre per un pericoloso paradosso – la famiglia per lo Stato esiste, i legami matrimoniali vengono riconosciuti e i redditi sommati, solo quando si tratta di porre un limite all’accesso a misure di welfare o ai servizi pubblici. Perfino quando sono state impegnate poste di bilancio rilevanti – ad esempio i 10 miliardi di euro l’anno del bonus da 80 euro – a contare sono stati sempre e solo i redditi personali. E pazienza se ciò ha finito per determinare iniquità, ad esempio tra famiglie con lo stesso reddito complessivo ma percettori diversi o con differenti carichi familiari.

Sul tappeto ci sono poi molti altri aspetti che riguardano la famiglia: dalla riforma dei tribunali dei minori alla disciplina di adozioni e affido, dalla scuola alle strategie di integrazione dei nuclei familiari di origine straniera, fino alle politiche locali relative ai servizi e al tema più generale di come un diverso approccio sussidiario possa rendere le famiglie realmente protagoniste delle scelte, attrici di autotutela e motore di sviluppo. Anche per questo l’occasione della Conferenza nazionale e il lavoro preparatorio già svolto non devono andare persi né sprecati. Confermare l’appuntamento da parte del governo sarebbe un segno di sensibilità, di concreta attenzione, di rispetto. Più ancora se questo atto venisse accompagnato da una scelta chiara e decisa riguardo la responsabilità della guida della Conferenza stessa.

Se il presidente del Consiglio decidesse di assumere in prima persona, ed efficacemente, la titolarità del dicastero della Famiglia (e degli Affari Regionali), con ciò riconoscendo la priorità assoluta della questione e la sua centralità nell’azione di governo, il messaggio inviato risulterebbe chiaro e forte, l’assunzione di responsabilità senza ombre. Ma se questo non potesse darsi, sarebbe necessario nominare al più presto un nuovo ministro che si impegni, tenendo conto in modo non solo formale delle conclusioni della Conferenza stessa, a impostare un’azione politica precisa e decisa, e già a partire dalla legge di bilancio per il 2018.

Se anziché al peso (teorico) degli schieramenti politici si presta attenzione alle pregresse esperienze di governo sul territorio e alla valorizzazione, secondo Costituzione, della famiglia, si possono individuare infatti profili di candidati ‘votati alla causa’ e più che preparati allo scopo. Ma occorre far capire adesso, prima della pausa estiva e prima dell’ultimo sprint verso il voto politico generale, quale strada si intende prendere: l'”emergenza famiglia” non può più attendere di essere affrontata. Le famiglie italiane guardano e giudicano.

Francesco Riccardi Avvenire 29 luglio 2017

www.avvenire.it/opinioni/pagine/chiarezza-per-la-famiglia

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CONSULTORI FAMILIARI

San Miniato. Incontro L’interazione dei Consultori familiari di ispirazione cristiana con la Chiesa locale

Consultorio Familiare Diocesano “Alberto Giani” Montopoli in Val d’Arno (PI)

Il consultorio al servizio della famiglia- L’interazione con la Chiesa locale

7 ottobre 2017 San Romano Montopoli in Val d’Arno (PI) – Convento Francescano

  • La rete dei Consultori familiari di ispirazione cristiana, una risorsa a disposizione della Chiesa locale. Sandro Spagli, presidente della Federazione Toscana dei Consultori di ispirazione cristiana.

  • Il Motu Proprio di Papa Francesco Mitis Iudex Dominus Iesus e le procedure per il riconoscimento della nullità matrimoniale: possibili forme di collaborazione tra Tribunali ecclesiastici e Consultori familiari di ispirazione cristiana.

Mons. Andrea Migliavacca, Vescovo di San Miniato, docente di Diritto canonico presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale.

  • Dibattito per la ricerca di possibili interazioni

  • Il ruolo dei consultori familiari nello sviluppo del Welfare: funzione socio-sanitaria ed educativa.

Don Edoardo Algeri, psicologo, presidente della Confederazione Nazionale dei Consultori di ispirazione cristiana.

  • Domande e conclusioni

L’incontro si propone di approfondire e valorizzare il ruolo dei Consultori familiari di ispirazione cristiana e le loro interazioni con la Chiesa locale, in particolare dopo le ultime modifiche introdotte dal Papa al procedimento canonico di riconoscimento della nullità matrimoniale. L’incontro è rivolto ai responsabili e agli operatori dei Consultori familiari, ai membri dei tribunali ecclesiastici e degli uffici di pastorale familiare.

http://consultorio.diocesisanminiato.it/wp/my-calendar/?mc_id=125

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Rieti-Aiutami ad aiutarmi:una settimana insieme per fare i compiti delle vacanze!

Il Consultorio Familiare Sabino e l’Associazione Italiana Dislessia sezione di Rieti promuovono uno spazio gratuito dedicato allo svolgimento dei compiti delle vacanze per ragazzi delle scuole elementari e medie, supportati da personale con specifica formazione sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e sui Bisogni Educativi Speciali (BES)

Il progetto si svolgerà da lunedì 28 agosto a venerdì 2 settembre 2017, dalle 17.00 alle 19.00, presso il Consultorio Familiare Sabino – Piazza San Rufo n.22, Rieti.

Il servizio è gestito da figure professionali con formazione in ambito scolastico e psico-educativo e con specifiche competenze in DSA e difficoltà scolastiche.

www.consultoriosabino.org

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DALLA NAVATA

17° Domenica del tempo ordinario – Anno A – 30 luglio 2017

1 Re 03, 09 Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male.

Salmo 119, 57 La mia parte è il Signore: ho deciso di osservare le tue parole.

Romani 08, 28 Fratelli, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno.

Matteo 13.52. Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.

 

Il tesoro di Gesù Cristo e del Regno Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose

Il vangelo di questa domenica ci presenta le ultime parabole raccolte da Matteo nel capitolo tredicesimo, detto appunto “discorso parabolico”. Come nelle precedenti parabole, Gesù non fa ricorso a idee astratte ma consegna delle immagini, affinché gli ascoltatori accolgano facilmente la parola, la conservino nel cuore e, ricordandola, la attualizzino nel loro quotidiano. Queste immagini mirano ancora una volta a far comprendere la dinamica del regno dei cieli, il modo in cui Dio può regnare ed effettivamente regna in quanti sono capaci di ritornare a lui, di convertirsi e di aderire alla buona notizia portata da Gesù Cristo.

Delle tre parabole odierne le prime due sono inseparabili, mentre la terza, a livello tematico, sembra una ripresa della parabola del buon grano e della zizzania (cf. Mt 13,24-30.36-43). Gesù dice innanzitutto: “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo”. C’è un tesoro nascosto, dunque a lungo ignorato e sotterrato in un campo, certamente per proteggerlo da eventuali rapine: se però è stato nascosto, è per essere ritrovato al tempo opportuno. Il contadino che lavora quel campo, arandolo, si imbatte nel tesoro. Allora lo dissotterra e, colto da grande stupore, agisce come un uomo accorto: subito nasconde nuovamente il tesoro, poi mette in vendita tutto ciò che possiede, valutato molto poco rispetto al tesoro scoperto. Con il denaro ricavato può dunque comprare quel campo, così da diventare proprietario anche di quel tesoro preziosissimo.

La parabola è semplice, comprensibilissima, perché “l’altra cosa” significata dal tesoro è proprio il regno dei cieli, l’unica realtà che giustifica la vendita di tutto ciò che si ha per poter prendere parte ad esso, come Gesù afferma più avanti, rivolto a un giovane ricco: “Va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo. Poi vieni, seguimi!” (Mt 19,21). Allo stesso modo, qui Gesù rivela all’ascoltatore di allora, così come a noi oggi, che il regno di Dio è il tesoro che non ha prezzo e proprio per questo al fine di acquisirlo occorre spogliarsi di tutti gli averi, le ricchezze, le proprietà. Se infatti queste sono una presenza nella vita dell’essere umano e regnano su di lui, impediscono proprio a Dio di regnare (cf. Mt 6,24: “Non potete servire Dio e Mammona, l’idolo della ricchezza!”).

D’altronde, già nel discorso della montagna Gesù aveva avvertito con chiarezza: “Non accumulate tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là è anche il tuo cuore” (Mt 6,19-21). Chi vuole seguire Gesù e prendere parte al Regno veniente, deve spogliarsi di tutto ciò che ha, di ciò che nella vita umana è assicurazione e garanzia. Questo lo si può fare se si comprende il mistero del regno dei cieli affidato proprio ai discepoli (cf. Mt 13,11) e se si resta consapevoli di portare questo tesoro in vasi di creta, mostrando così che esso viene da Dio e non da noi stessi (cf. 2Cor 4,7).

Qualcosa di analogo accade anche a un mercante, che nell’esercizio del suo mestiere un giorno scopre una perla di grandissimo valore. Da mercante qual è, si esercita anche alla ricerca di perle preziose, ma pure lui è sorpreso e stupito quando trova questa perla unica. Come fare per possederla? Vende tutti i suoi averi e la compra, perché ai suoi occhi essa ha un valore inestimabile: vale la pena vendere tutto, sacrificare tutto per questa realtà scoperta e valutata come incomparabile. Entrambe le parabole hanno come veri protagonisti gli oggetti, il tesoro e la perla, che si impadroniscono dei due uomini, li afferrano e causano le loro azioni. Nello stesso tempo, per l’appunto, entrambe mettono l’accento sulle azioni, cioè sulla risposta umana di fronte al dono incommensurabile del regno dei cieli.

Sì, siamo di fronte al radicalismo evangelico di Gesù, che ci chiede di spogliarci per accogliere il Regno. E si faccia attenzione: non si tratta di spogliarsi solo all’inizio della sequela, una volta per tutte, ma di rinnovare ogni giorno questa rinuncia, in situazioni diverse e in diverse tappe della vita. Durante il cammino della vita, infatti, anche se all’inizio ci siamo spogliati di ciò che avevamo, riceviamo ancora tante cose e ne acquistiamo di altre. Quella dell’avere, la libido possidendi, è una minaccia che sempre si oppone alla signoria del regno di Dio sulla nostra vita. Per questo con molta sapienza un padre del deserto, abba Pambo, ammoniva: “Dobbiamo esercitarci a spogliarci di ciò che abbiamo fino alla morte, quando ci sarà chiesto di dire ‘amen’ allo spogliarci della nostra stessa vita”.

Questa esigenza radicale ci fa paura, forse oggi più che mai, immersi come siamo nella società del benessere; ma se comprendiamo il dono del Regno, la gioia della buona notizia che è il Vangelo, allora diventa possibile viverla, proprio in virtù della grazia che ci attira e ci fa compiere ciò che non vorremmo e non saremmo capaci di realizzare con le sole nostre forze. Allora potremo dire, insieme all’Apostolo Paolo: “A causa di Cristo … ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui” (Fil 3,7-9). E tutto questo – non va dimenticato – può essere compiuto solo animati dalla gioia, quella di cui Gesù ci parla esplicitamente a proposito del contadino. Chi segue Gesù, dunque, non dice: “Ho lasciato”, ma: “Ho trovato un tesoro”; e non umilia nessuno, non si sente migliore degli altri, ma è semplicemente nella gioia per aver trovato il tesoro. In ultima analisi, infatti, la misura dell’essere discepolo di Gesù è l’appartenenza a lui, non il distacco dalle cose (che se mai ne è una conseguenza): una vera sequela si fa spinti dalla gioia!

La terza parabola narra di “una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così”, spiega Gesù, “sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti”. C’è un tempo per pescare e un tempo per valutare le diverse qualità di pesci finiti nella rete. Vi sono pesci buoni e pesci cattivi, come nella comunità cristiana, composta di uomini e donne “pescati” attraverso l’annuncio del Vangelo (cf. Mt 4,19) e riuniti in una comunità che non può essere soltanto di puri e giusti. Ma verrà il giorno del giudizio, e allora vi sarà il discernimento: sarà l’ora della separazione tra quelli che parteciperanno in pienezza al Regno e quelli che, avendo scelto la morte, la gusteranno…

Questa immagine ci spaventa e non vorremmo trovarla tra le parole di Gesù: facciamo fatica a pensarla come Vangelo, come buona notizia. Ma mediante quest’ultima parabola Gesù vuole darci un avvertimento: egli non destina nessuno alla morte eterna, ma mette in guardia, perché sa che il giudizio dovrà esserci. Sarà nella misericordia ma ci sarà, come confessiamo nel Credo: “Il Signore Gesù Cristo … verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo Regno non avrà fine”. D’altronde, rifiutare il dono del Regno non può equivalere ad accoglierlo: è dono, è grazia, è amore!

A conclusione del lungo discorso, Matteo registra un dialogo tra Gesù e i suoi discepoli: Avete compreso tutte queste cose? Gli risposero: “Sì”. Ed egli disse loro: “Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”.

Chi comprende queste parabole di Gesù è come uno scriba che, diventato discepolo di Gesù, possiede un grande tesoro: il tesoro della sapienza (cf. Sap 8,17-18; Pr 2,1-6), tesoro inestimabile e inesauribile (cf. Sap 7,14). Se un discepolo è consapevole di questo tesoro, per dono di Dio può estrarre da esso cose nuove e cose antiche, perché riconosce in ogni parola dell’Antico e del Nuovo Testamento “Gesù Cristo, Sapienza di Dio” (1Cor 1,24). “In Cristo”, infatti, “sono nascosti tutti i tesori della sapienza di Dio” (Col 2,3). Si tratta semplicemente di ribadire questo, di esserne convinti, di non stancarsi di attingere a questo tesoro giorno dopo giorno. È infatti al tesoro di Gesù Cristo, al tesoro che è Gesù Cristo, che ci riconduce ogni nostra ricerca: più passa il tempo, più ci rendiamo conto che è sempre a lui che ritorniamo per confrontare i nostri piccoli passi nell’acquisizione della sapienza. È lui la sua parola, il suo sentire, il suo vivere in noi che potenzia ogni nostro cammino. È lui che sempre di nuovo dice al nostro cuore: “Va’ al largo (cf. Lc 5,4), non stancarti di cercare (cf. Mt 7,7), apri i tuoi orizzonti, perché io sono sempre con te (cf. Mt 28,20)!”.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11640-il-tesoro-di-gesu-cristo-e-del-regno

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Lettera al Presidente Gentiloni

A seguito delle dimissioni del ministro della Famiglia, Costa, che mettono a rischio la convocazione della Conferenza della famiglia del prossimo settembre, il presidente del Forum, De Palo, ha inviato una lettera al premier Gentiloni, per chiedere che non sia vanificato il lavoro fin qui fatto e che lasciava presagire, finalmente, un impegno a favore della famiglia.

Presidente, sono stati – e sono tuttora – anni difficili per le famiglie italiane. L’inverno demografico era prevedibile ieri, è un dato di fatto oggi. Si poteva immaginare una terapia. E invece nulla, col risultato che oggi mettere al mondo un figlio in Italia – i recenti dati Istat parlano chiaro – è una delle prime cause di povertà.

Siamo riusciti a intravedere un desiderio di cambiamento quando si è concretizzato l’appuntamento con la Conferenza Nazionale della Famiglia, all’organizzazione della quale, insieme a gran parte della società civile che partecipa all’Osservatorio, stiamo lavorando da oltre un anno.

Ora le dimissioni del ministro Costa mettono a rischio il grande lavoro fatto sinora. Per questo le chiediamo non solo di confermare la convocazione prevista per il 28 e 29 settembre a Roma, ma di viverla come la grande occasione per rilanciare i temi della famiglia nel nostro Paese. Questo è il momento, non possiamo più aspettare.

Senza un Ministro della famiglia è importante che il Primo Ministro viva da protagonista questo importante evento, anche in vista dell’ultima Legge di stabilità nella quale – è stato più volte promesso – ci auspichiamo di trovare un impegno serio per una riforma fiscale che metta al centro la famiglia.

Resto ovviamente a disposizione per qualunque chiarimento o approfondimento.

 

La lettera è stata lanciata anche da Avvenire. Pubblichiamo la presentazione e il sostegno ricevuto da Garante per l’infanzia, Cisl e Terzo settore. Parlano anche i politici: Lepri (Pd), Brunetta (FI), Blundo (M5S)

www.forumfamiglie.org/2017/07/22/3711

 

De Palo a Gentiloni: in Manovra 4 miliardi per il fattore famiglia

Il Forum delle associazioni familiari ha lanciato la sfida in vista della Conferenza programmatica di fine settembre. Dopo le dimissioni del ministro Enrico Costa il presidente Gigi De Palo si è rivolto direttamente al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, che ha assunto la delega della Famiglia. Una lettera nella quale si chiede che in quella occasione si proceda con scelte vere, strutturali, durature. L’appuntamento non deve quindi trasformarsi in una sorta di campagna elettorale sui figli.

La reazione è stata immediata e forte. Dai sindacati al Terzo settore si è registrato un forte consenso e la richiesta che finalmente la famiglia venga considerata centrale nella politica nazionale.

«La famiglia rappresenta la prima agenzia educativa, un pilastro come comunità educante e un faro nei confronti dei figli» dice Filomena Albano, magistrato e presidente dell’Autorità garante per l’Infanzia e l’adolescenza. E, come interventore, dall’agosto scorso, dell’Osservatorio sulla Famiglia, dopo un lavoro «lungo e proficuo», segnala la necessità di non far cadere l’appuntamento del 28 e 29 settembre della Conferenza nazionale sulla Famiglia perché la famiglia con figli è ormai un soggetto sociale a rischio. «In effetti -dice – i dati Istat evidenziano che le famiglie con almeno tre figli minori sono in condizioni di povertà assoluta nella misura del 18%. Un dato che indica con chiarezza come il numero dei figli abbia una netta incidenza sul rischio povertà. Ma al di là di questo, emerge una fragilità di carattere generale: il sistema di assistenza sociale sul territorio è assolutamente carente».

“Dopo 6 anni di assenza è stato rimesso in piedi un tavolo, ed è un anno che si sta lavorando insieme, proficuamente fra organizzazioni sindacali, imprenditoriali, Regioni, Comuni, associazioni. Se ora si rinvia tutto per il venir meno dell’interlocutore nell’esecutivo è come buttare all’aria tutto il lavoro fatto. Sarebbe una mancanza grave verso le famiglie”, spiega Giovanna Ventura, della segreteria confederale della Cisl. E osserva: “È emerso che mancano misure strutturali e non emergenziali. Non si può intervenire solo sul versante della povertà, come a curare il male quando si è già manifestato. Più di tutto mancano i livelli essenziali di assistenza che sono stati individuati per la sanità, ma non per il sociale. Per cui l’assistenza è garantita a macchia di leopardo.”

Per Claudia Fiaschi, portavoce del Forum del Terzo settore “c’è, per il nostro Paese, il problema di invertire le rotte demografiche e di un insufficiente ricambio generazionale. E c’è l’esigenza di affrontare seriamente il tema delle povertà. Queste sono le priorità”. E sul tema del fisco “bisogna superare le una tantum provando a incidere in maniera strutturale, anche con qualche misura di carattere sperimentale sulla fiscalità.

I partiti e la famiglia. «Condivido le preoccupazioni relative alla famiglia – commenta Stefano Lepri, vice capogruppo del Pd in Senato – e spero che Gentiloni, assunto l’interim, partecipi in prima persona all’appuntamento di settembre. Da 60 anni brilliamo per mancanza di strategie a favore della famiglia, non c’è più tempo da perdere». “E sono d’accordo col Forum delle famiglie di agire in fretta. Certo i tempi sono stretti, il dibattito politico in vista della legge di Bilancio avviene entro la metà di settembre ed è già in corso. Ma temo, considerando anche la dialettica parlamentare, che sia tardi per inserire nuove proposte nella legge di Bilancio. Concordo con il Forum sul fatto che le priorità sono i figli, ma non solo: ad esempio è fondamentale avviare un piano nazionale per qualcosa che all’estero esiste da tempo, ovvero i Centri per le famiglie, luoghi in cui possano apprendere l’arte di buoni genitori, trovare consigli e sostegno rispetto alle difficoltà della vita familiare, mettere in comune le esperienze e quindi le soluzioni. In Francia ogni Comune ha il suo, in Italia Trento è molto avanti. Inoltre è necessario mettere a sistema quello che già c’è: assegni familiari, detrazioni per figli a carico, assegni per bebè, asili e baby sitter, misure per il terzo e quarto figlio. E semplificarne l’accesso: le famiglie non sanno più districarsi. Renzi sostiene che l’assegno unico per i figli a carico sarà uno dei temi forti della prossima legislatura. Noi ci battiamo comunque perché in questo ultimo scorcio di legislatura avvenga il primo passo, cioè almeno l’approvazione della legge delega in parlamento. Ma non dipende solo da noi.

“Siamo pronti a lavorare, sin dalla prossima legge di bilancio, con chi – volontariato, Forum delle famiglie, associazioni di base – pone in maniera pragmatica e non ideologica il tema dell’aiuto alle famiglie”, assicura Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera. Che pone il tema delle risorse (il Forum chiede 4 miliardi per la famiglia nella legge di Bilancio ndr): “Nella proposta di Forza Italia i miliardi in gioco sono ben di più di 4. Essa si occupa in realtà di povertà, mentre una proposta specifica per la famiglia dovrebbe partire dal livello fiscale, stabilendo un rapporto differenziato in ragione del numero dei figli. La proposta di s’intitola ‘Nessuno resti indietro’. È la proposta liberale portata avanti da Berlusconi sin dal 1994, che dal nostro punto di vista è migliore di quella di sinistra. Basata su: meno tasse, più crescita, più lavoro e più risorse per aiutare chi resta indietro. L’economia cresce riducendo la pressione fiscale, e solo se si produce ricchezza la si può distribuire meglio, altrimenti fai solo debiti che scarichi sulle generazioni future”.

Enza Blundo, senatrice del Movimento 5 Stelle, vicepresidente della Commissione parlamentare per l’Infanzia e l’adolescenza. Madre di cinque figli è da sempre molto attenta alle politiche familiari. «L’alto tasso di povertà minorile e l’aumento della disoccupazione – spiega – impongono maggior attenzione alle politiche di sostegno ai redditi familiari». In quanto all’appello del Forum per destinare 4 miliardi nella prossima manovra alle famiglie afferma: “Sicuramente gli interventi a favore delle famiglie sono un buon investimento per uno Stato democratico. Ciò che abbiamo vissuto con la crisi e vediamo accadere ancora è dovuto proprio a una scarsa tutela delle nostre famiglie e a una ristrettezza dei fondi destinati al sociale. Serve un vero supporto a chi ogni giorno si prende la responsabilità dei minori. Ora però bisogna stare attenti a come vengono smistati i fondi: vediamo che alcune realtà che ne beneficiano non sono del tutto corrette e adeguate a garantire questa vera tutela e, in quei casi, dare risorse può essere un rischio, oltre che una perdita. Garantire finanziamenti e fondi al sociale, alle famiglie e a strutture controllate, però, credo che sia un ottima politica sociale e un ottimo investimento. Si generano risparmi sulla sanità e altre spese da affrontare che si verificano quando le condizioni si aggravano e si manifestano”.

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/nuovo-impegno-politiche-familiari

 

Lettera al premier: «A settembre scelte vere».

La data c’è, 28-29 settembre 2017. Anche la località, Roma. E i tavoli di lavoro sono stati preparati con cura, con uno sguardo a 360 gradi: demografia, fisco, temi giuridici, politiche territoriali. A 7 anni dall’ultimo appuntamento a Milano, torna nell’agenda del Paese la Conferenza programmatica sulla famiglia. Un’occasione da non sciupare, da non minimizzare o addirittura rinviare usando magari come pretesto le recenti dimissioni del ministro Enrico Costa. Anche perché l’interim l’ha assunto Paolo Gentiloni in persona

Ed è a lui, al premier, che il presidente del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo, ha scritto una lettera perché l’appuntamento «non solo venga confermato, ma sia vissuta come una grande occasione di rilancio». Questo, scrive De Palo, «è il momento delle famiglie, non possiamo più aspettare». Senza un ministro titolare, «il presidente del Consiglio viva da protagonista questo evento anche in vista della legge di stabilità nella quale, come più volte promesso, ci auspichiamo di trovare un impegno serio per una riforma fiscale che metta al centro le famiglie».

I rischi che intravede il Forum sono chiari: le dimissioni di Costa, il clima da fine legislatura, le dure battaglie politiche intorno alla prossima manovra. Un mix di elementi che potrebbe portare nuovamente a ‘sacrificare’ la famiglia in legge di stabilità a favore di altri misure.

Con la beffa che, in contemporanea, i leader in campagna elettorale si sfiderebbero a colpi di annunci e promesse fatte a mamme, papà e giovani coppie. «I figli non possono essere solo un tema da campagna elettorale», è l’allarme di De Palo per dire che la famiglia ha bisogno di risorse ora, subito, non domani. «L’inverno demografico – scrive il presidente del Forum a Gentiloni – era prevedibile ieri, è un dato di fatto oggi. Si poteva immaginare una terapia, e invece nulla. Con il risultato che oggi mettere al mondo un bambino in Italia è una delle prime cause di povertà».

L’obiettivo del Forum, quindi, non è solo che la famiglia scali posizioni nell’agenda dei partiti. Ma che già nella manovra che governo e Parlamento si apprestano a varare si individui il fisco sui nuclei con figli come leva di giustizia e di crescita per tutto il Paese. E la Conferenza programmatica sarebbe la cornice ideale dove costruire un consenso vasto e trasversale tra le parti politiche.

La proposta del Forum è nota: il ‘fattore famiglia’, ovvero l’individuazione di una no tax area mobile legata agli indici di povertà Istat. Una soglia flessibile che tiene conto non solo del reddito disponibile ma anche dei carichi familiari. Per essere chiari: a parità di salario, la no tax area di un lavoratore con moglie e figli a carico è più estesa rispetto a ciò che spetta ad una persona che vive da sola. E più bambini ci sono in casa, più cresce la soglia oltre la quale si inizia a pagare l’Irpef, in base a dei coefficienti e a delle scale di equivalenza. Una riforma dell’Irpef che non tocca le aliquote e che, contemporaneamente, dà una risposta definitiva agli incapienti adeguando il loro reddito alla soglia di povertà Istat – e, soprattutto, incoraggia a mettere al mondo bambini. Fatto non irrilevante, incoraggia anche l’occupazione femminile, poiché la no tax area della moglie lavoratrice resta più vantaggiosa. La misura è sistemica e con il suo costo strutturale, 14 miliardi, coprirebbe tutte le famiglie italiane. Ma da anni ormai il Forum, facendo esercizio di responsabilità, ne chiede un’introduzione a tappe, nell’arco di un quinquennio. Con un primo step da 3-4 miliardi, ad esempio, si inizierebbe a dare un primo sollievo alle famiglie numerose, quelle con più di 3 figli, e si comincerebbe a dare un minimo assegno di dignità agli incapienti (e qui ci potrebbe essere un lavoro di integrazione con quanto si sta facendo circa il reddito d’inclusione). Nel giro di cinque anni, arrivando al finanziamento pieno, chi vive in povertà assoluta assesterebbe le proprie entrate sugli indici Istat e tutte le famiglie potrebbero vedere nei fatti che lo Stato premia e non punisce la scelta di sfidare l’inverno demografico. Il punto, spiegano De Palo e il Forum è che bisognava iniziare ‘ieri’: è quindi incomprensibile rinviare a un ‘domani’ che in politica rischia talvolta di diventare ‘mai’.

Marco Iasevoli Avvenire 22 luglio 2017

www.avvenire.it/attualita/pagine/il-forum-a-gentiloni-in-manovra-4-miliardi-per-il-fattore-famiglia

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Santi Gioacchino e Anna: omaggio del Papa ai nonni.

“Quanto sono importanti i nonni nella vita della famiglia per comunicare il patrimonio di umanità e di fede essenziale per ogni società!”. Questo il tweet lanciato da papa Francesco oggi, mercoledì 26 luglio, memoria dei Santi Gioacchino e Anna, genitori di Maria e nonni di Gesù, sul suo account Twitter @Pontifex_it.

Sin dalla sua elezione al soglio petrino nel marzo 2013, il Pontefice italo-argentino richiama regolarmente l’attenzione sul ruolo dei nonni nella famiglia e nella società. “Come è importante l’incontro e il dialogo tra le generazioni, soprattutto all’interno della famiglia”, disse venerdì 26 luglio 2013 a Rio de Janeiro. “Questo rapporto, questo dialogo tra le generazioni è un tesoro da conservare e alimentare!”, così aggiunse, invitando poi i giovani partecipanti alla GMG di Rio a salutare i nonni. “Loro, i giovani, salutano i propri nonni con tanto affetto e li ringraziano per la testimonianza di saggezza che ci offrono continuamente.”

Due anni dopo, durante l’Angelus di domenica 26 luglio 2015, il Pontefice ringraziò i nonni con le seguenti parole: “Vorrei salutare tutte le nonne e tutti i nonni, ringraziandoli per la loro preziosa presenza nelle famiglie e per le nuove generazioni. Per tutti i nonni vivi, ma anche per quelli che ci guardano dal Cielo, facciamo un saluto e un bell’applauso”.

Durante l’Udienza generale di mercoledì 11 marzo 2015, Jorge Bergoglio dedicò la sua intera catechesi sulla famiglia ai nonni. “La preghiera degli anziani e dei nonni è un dono per la Chiesa, è una ricchezza!”, così dichiarò. “Una grande iniezione di saggezza anche per l’intera società umana: soprattutto per quella che è troppo indaffarata, troppo presa, troppo distratta”, aggiunse.

“Com’è bello l’incoraggiamento che l’anziano riesce a trasmettere al giovane in cerca del senso della fede e della vita! E’ veramente la missione dei nonni, la vocazione degli anziani. Le parole dei nonni hanno qualcosa di speciale, per i giovani. E loro lo sanno”, così ricordò.

Pdm Zenit 26 luglio 2017

https://it.zenit.org/articles/santi-gioacchino-e-anna-omaggio-del-papa-ai-nonni

 

Papa Francesco segreto, nelle omelie a Santa Marta il suo vero pensiero.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2017.index.html

C’è un aspetto nascosto dell’impegno di papa Francesco, perché si svolge lontano dalle telecamere e dai giornalisti. Dunque non è “visibile” all’opinione pubblica. E’ uno spazio che Jorge Mario Bergoglio si è riservato per evitare che la sua attività di leader della Chiesa cattolica e di capo di Stato soffochi la sua dimensione di parroco. Si tratta delle messe mattutine, che celebra nella residenza Santa Marta dinanzi ad una trentina di persone, fedeli di parrocchie romane o pellegrini venuti dall’estero. “Nascosto” non vuol dire segreto, perché le messe sono documentate. Ma rispetto alla cronaca quotidiana, basata sulle immagini, questo aspetto di Francesco rimane quasi nell’ombra. E invece le sue omelie da parroco, meno altisonanti di quelle pronunciate davanti alle folle, sono estremamente interessanti per capire il nucleo del pensiero di Francesco e la visione che lo accompagna nel suo sforzo di riforma della Chiesa. I critici del pontefice tendono a dipingerlo come “poco teologo”, mentre in realtà le sue parole volutamente semplici e comprensibili ad un uditorio vasto sono sorrette da un pensiero complesso. Un pensiero orientato a cogliere le sfide, che il grande mutamento dovuto alla secolarizzazione pone alla vecchia “Chiesa del catechismo” e della tradizione fossilizzata.

Questa Chiesa è diventata in larga parte estranea alle giovani generazioni, che silenziosamente – senza contestazioni – si pongono fuori campo, e il Papa, per usare un’immagine, è come un seminatore che lancia semi di riflessione. Gianpiero Gamaleri, https://it.wikipedia.org/wiki/Gianpiero_Gamaleri

sociologo e docente di Scienze della comunicazione in università laiche ed ecclesiastiche (tra l’altro è membro del Cda del Centro Televisivo Vaticano), segue da tempo il Bergoglio delle celebrazioni mattutine e ad esse ha dedicato un attento monitoraggio, ricco di commenti, raccolto in un volume intitolato “Santa Marta Omelie”Libreria Editrice Vaticana www.libreriadelsanto.it/libri/9788820980825/santa-marta-omelie.html

Papa Francesco – sottolinea – è sensibilissimo agli eventi”. E in questa capacità di tenere insieme l’attenzione ai fatti del mondo contemporanea, gli episodi del Vangelo e l’afflato religioso sta certamente il segreto della comunicatività dell’attuale papa. Si prenda solo la predica di una mattinata di marzo del 2016. “Tre giorni fa è morto uno, qui, sulla strada, un senzatetto: è morto di freddo. In piena Roma, una città con tutte le possibilità per aiutare. Perché, Signore? Neppure una carezza… Ma io mi affido, perché Tu non deludi. Signore non ti capisco. Questa è una bella preghiera. Ma senza capire mi affido nelle tue mani”.

C’è tutto. L’esortazione a non chiudere gli occhi dinanzi alle tragedie quotidiane, la “teologia della non comprensione del silenzio di Dio”, l’affidamento in Cristo che viene dalla fede. La Chiesa a cui pensa Francesco, anzi come dice lui il “Regno di Dio”, non si affida alla “religione dello spettacolo… sempre (alla ricerca di) cose nuove, rivelazioni, messaggi… Fuochi d’artificio che illuminano per un momento”. (Per chi vuole capire è un’archiviazione delle multirivelazioni di Medjugorie). Il Regno di Dio non è una “struttura ben fatta, tutto in ordine, organigrammi ben fatti… ”. E’ qualcosa che si costruisce nella quotidianità, il prodotto di un cammino, una crescita. La rigidità non serve e nemmeno il “fissismo” (Bergoglio inventa spesso parole). Credere nello Spirito Santo significa “andare avanti”, mentre i Dottori della Legge “incantano” con le ideologie. E’ evidente che un simile approccio risulti destabilizzante per i fautori di una dottrina concepita come legge e ordine e di una Chiesa militarmente organizzata. Emergono in queste omelie – in parte preparate, in parte sviluppate a braccio – molte esperienze dirette di Bergoglio. Come lo squarcio sulla “fila di mamme nelle carceri di Buenos Aires… donne (che) soffrivano non solo la vergogna di essere lì, ma anche le più brutte umiliazioni nelle perquisizioni che venivano fatte loro prima di entrare…”.

Molti altri impulsi si colgono in queste prediche. La ripulsa per la corruzione, la valorizzazione del dubbio (anche Giovanni il Battista, ricorda Francesco, ha dubitato), l’esigenza che il perdono sia totale e dunque comporti che gli altri dimentichino il peccato commesso, l’importanza che la fede cristiana sia caratterizzata da “gioia” e “stupore”, mai da routine. La denuncia definitiva che il terrorismo, che si ammanta di religione, è “satanico”. Il giorno della morte di padre Jacques Hamel, sgozzato in Francia da adepti dell’Isis, Francesco esclama da leader religioso (e geopolitico): “Quanto piacerebbe che tutte le confessioni religiose dicessero ‘Uccidere in nome di Dio è satanico!’. Gli input, che vengono dalle omelie di Santa Marta, vanno in tutte le direzioni.

Gamaleri rileva che il messaggio di Francesco ha un richiamo universale. Di certo i sondaggi confermano che il papa argentino parla al di là di frontiere confessionali e filosofiche.

Marco Politi il fatto quotidiano 27 luglio 2017

www.ilfattoquotidiano.it/2017/07/27/papa-francesco-segreto-nelle-omelie-a-santa-marta-il-suo-vero-pensiero/3758279

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PATERNITÀ

Che fare se l’uomo scappa e non si assume le sue responsabilità per il figlio

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 18626, 27 luglio 2017.

Nessuno può essere costretto a sottoporsi ad analisi e a trattamenti medici. Ma la legge può collegare, all’eventuale rifiuto, delle conseguenze e delle sanzioni. È quanto succede in tema di accertamento della paternità: l’uomo non può rifiutarsi di eseguire l’esame del DNA; l’eventuale diniego immotivato è un’ammissione di responsabilità. In altri termini, se l’asserito papà non vuol prestare il consenso per il test, il giudice può desumere da tale comportamento un elemento di prova per accertare la paternità. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza. Ma l’esame del DNA toglie ogni dubbio in merito al rapporto di filiazione? È quello che cercheremo di scoprire in questo articolo.

L’uomo non può scappare davanti alle sue responsabilità: rischia una causa anche a distanza di numerosi anni. Quando si concepisce un figlio a seguito di un rapporto occasionale o da una relazione “di fatto” (ossia non confluita in un matrimonio) l’uomo è tenuto ad assumersi le sue responsabilità: è cioè obbligato a riconoscere il figlio. Con il riconoscimento, per lui scatta il dovere di assistenza morale e materiale: deve cioè partecipare alla vita del figlio nonché contribuire alle spese per il suo mantenimento fino a quando questi (anche se dopo i 18 anni) diventa completamente autonomo economicamente. Il padre non può scappare e disinteressarsi del minore. Se lo fa, può essere citato in causa dalla donna (anche se questa, in un primo momento, lo ha esonerato da ogni obbligo) e soprattutto dai figli a cui è stato negato il mantenimento economico e il calore affettivo del genitore.

A chiedere il riconoscimento può essere la madre che ha il potere di agire in tribunale contro l’ex partner e chiedere, ai fini della prova, il test del DNA. L’accertamento ematico serve per ricostruire l’effettiva paternità e accertare, quindi, a prescindere dalla ammissione dell’uomo, il rapporto di filiazione. Ma l’esame del DNA toglie ogni dubbio sulla paternità? La risposta è affermativa: secondo la giurisprudenza è tanto vero che dal prelievo del sangue si può comprendere se l’uomo è il vero papà del bambino che, se questi rifiuta senza motivo di sottoporsi all’esame, tale diniego è già un’ammissione di responsabilità.

Secondo la sentenza della Cassazione, il rifiuto ingiustificato dell’uomo di sottoporsi al test del DNA, in presenza di una situazione di incertezza, sul piano probatorio, circa la sussistenza o meno del rapporto di filiazione biologica, deve essere valutato dal giudice come elemento di prova e decisiva fonte di convincimento. In altre parole, il tribunale può limitarsi a riconoscere il rapporto di paternità proprio perché l’interessato non ha dato il consenso al prelievo ematico.

La consulenza tecnica sul DNA è decisiva secondo la Cassazione. Grazie al progresso scientifico, la Ctu genetica oggi è uno strumento dotato di elevato grado di attendibilità e pertanto la suprema Corte ne ribadisce il carattere decisivo tanto da rendere comportamento processuale dotato di pregnante rilevanza l’ingiustificato rifiuto della parte a sottoporvisi.

Editoriale La legge per tutti luglio 2017 sentenza

www.laleggepertutti.it/169963_paternita-lesame-del-dna-toglie-ogni-dubbio

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POLITICHE SOCIALI

Esteso il congedo parentale per figli fino a 12 anni di età

Sale di 4 anni l’età dei minori per i quali è possibile assentarsi dal lavoro. In totale 10 mesi se si alternano padre e madre o se c’è un solo genitore.

Ampliati i periodi entro i quali è possibile per i lavoratori chiedere (in via puramente facoltativa, è una loro libera scelta) i congedi parentali dopo la fine del congedo obbligatorio di maternità. Lo dispone il Decreto Legislativo 80/2015 in attuazione del jobs act.

www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/06/24/15G00094/sg

Modifiche sulle quali è bene intendersi perché notiamo che si sta creando un grosso equivoco su due aspetti fondamentali:

1) per quanto tempo si può lasciare il lavoro,

2) per quanto tempo si può avere l’assegno Inps.

Situazione attuale: anche stavolta il legislatore ha costruito un sistema molto articolato, a prima vista di non facile comprensione.

  1. Il tempo entro il quale si possono chiedere i congedi è prolungato di quattro anni. Non più fino agli otto anni del bambino ma fino ai 12 anni.

  2. Attenzione, però, non sono modificate le assenze massime esercitabili entro i 12 anni. Segnatamente esse sono di:

a) 6 mesi se il congedo viene preso solo dalla madre;

b) 7 mesi se viene preso solo dal padre;

c) 10 mesi nel complesso se il congedo è alternativamente preso da entrambi i genitori;

d) 11 mesi sommati tra i due genitori, se il padre prende per sé come minimo tre mesi,

e) 10 mesi se il genitore è solo, nel senso che l’altro non esiste, oppure è deceduto.

Abbinata a questo modifica c’è anche l’altra legata al pagamento della indennità Inps che ora può essere riconosciuto fino al sesto anno di bambino e non più fino al terzo. 

Indennizzo. La legge crea tre diverse situazioni:

  1. Assegni a tutti;

b) assegni ulteriori solo a chi ha redditi sotto un certo importo;

c) niente assegni. Vediamo più in dettaglio la materia.

A – L’indennità è pari al 30% della retribuzione dell’interessato ed è riconosciuta – attenzione anche qui – solo per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi. Risultato? Si raddoppia il periodo entro cui si può chiedere l’assegno Inps, ma il pagamento non supera mai il semestre.

B -Se il lavoratore che chiede il congedo ha però un reddito individuale inferiore a 2,5 volte la pensione minima Inps (quest’anno il limite è di 16.311,42euro lordi) sono indennizzati al 30% i periodi:

a) ulteriori rispetto ai termine dei sei mesi,

b) oppure i periodi tra i 6 e gli 8 anni del bambino.

C -Restano senza indennizzo i periodi di congedo chiesti e fruiti nell’arco temporale dagli 8 ai 12 anni del figlio, qualunque siano i redditi.

I congedi danno diritto ai contributi figurativi gratuiti per la pensione, sempreché siano presi entro il 12° anno del bambino (o dall’ingresso in famiglia nel caso di adozioni e affidamenti). E possono essere riscattati a pagamento i periodi relativi a congedi temporalmente fuori da un rapporto di lavoro per un massimo di cinque anni, a condizione che al momento della richiesta l’interessato abbia almeno cinque anni di contributi versati per effettivo lavoro.

Innovazioni importanti anche nel ramo dei congedi parentali presi per un figlio con disabilità in situazione di gravità. Anche in questa ipotesi è possibile prenderli entro il 12° anno del figlio. Tutto ciò vale anche per i casi di adozione, nazionale e internazionale, e di affidamento. La possibilità di chiedere il congedo entro il 12° anno del figlio non modifica la norma per la quale non può superare tre anni il diritto alla indennità economica pari al 30% della retribuzione.

Bruno Benelli Il Mattino 24 luglio 2017

www.ilmattino.it/economia/esteso_congedo_parentale_figli_fino_12_anni_di_eta-2579985.html

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PROCREAZIONE ARTIFICIALE

L’esame pre-impianto non è pratica eugenetica.

Tribunale di Milano, ordinanza 13 luglio 2017

In caso di diagnosi pre impianto per la valutazione dell’esistenza di patologie delle quali, nel caso di specie, l’uomo, sa di essere portatore sano, viene in considerazione la L. 194 del 1978 in quanto parametro di valutazione per determinare i casi di ammissione alla diagnosi preimpianto di coppie fertili. Tale pratica però non deve essere considerata come ricorso a criteri eugenetici per selezionale l’embrione migliore ma solo come una applicazione della corretta e sostanziale esigenza del diritto alla salute garantito dall’art 32 della Costituzione.

Sostiene infatti il Tribunale di Milano il seguente principio: La coppia non sta chiedendo di scegliere fra tanti embrioni il migliore, o di chi essere genitore. E non sta chiedendo di selezionare un embrione in base al codice genetico che è, per definizione, un procedimento eugenetico, … e con tutte le conseguenze rispetto a un quadro legislativo come quello italiano dove non sono previsti interventi eugenetici, esplicitamente vietati dall’articolo 13, comma 3, lettera b), della legge n. 40 del 2004”.

Invero, nel caso di specie, la richiesta di diagnosi pre impianto è “volta esclusivamente a selezionare preventivamente gli embrioni privi di quella specifica e grave patologia geneticamente trasmissibile di cui è portatore uno dei genitori, e non quindi alla selezione di un embrione “sano” o dotato di particolari caratteristiche biotipiche per il perseguimento di “illegittimi fini eugenetici”, come ricordato dalla citata sentenza 162/2014.”

Osservatore nazionale sul diritto di famiglia 26 luglio 2017

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17507037/procreazione-medicalmente-assistita.-l-esame-pre-impianto-non-e-pratica-eugeneti.html

Indagine di coppia

La diagnosi genetica preimpianto, che consente di utilizzare nella fecondazione assistita solo gli embrioni che non presentano mutazioni, nel nostro Paese ha avuto una storia travagliata. E non ancora del tutto risolta

Il tribunale di Milano ha imposto alla Clinica Mangiagalli di eseguire la PGD (la diagnosi genetica preimpianto) per una coppia fertile, ma in cui l’uomo è portatore di una malattia genetica, l’esostosi, che può provocare tumori alle ossa. Il rischio di trasmettere questa patologia ai figli è del 50%, motivo per cui i due aspiranti genitori avevano deciso di ricorrere alla fecondazione assistita. L’ospedale aveva però risposto di non possedere la tecnologia necessaria e la coppia aveva tentato in Grecia. Poi, ecco la loro decisione di fare causa alla Mangiagalli, per vedere riconosciuto il diritto di eseguire la tecnica in Italia e con il sistema sanitario pubblico.

Che cos’è la PGD? E che cosa si può chiedere, realisticamente, a quest’esame? È una delle tecniche della procreazione assistita a cui oggi, in Italia, possono accedere sia le coppie infertili sia quelle fertili portatrici di malattie trasmissibili, e quindi a rischio di avere figli malati. Una volta fecondati in vitro gli ovuli, si prelevano da una a dieci cellule per analizzarne il Dna e verificare la presenza di specifiche mutazioni: il test, infatti, si effettua per diagnosticare una patologia alla volta e bisogna sapere bene cosa cercare. In questo modo è possibile trasferire nell’utero solo gli embrioni che non presentano quella mutazione di cui i partner, uno o entrambi, sono portatori. «In Italia, le patologie per cui più spesso si esegue la PGD sono l’anemia mediterranea, la fibrosi cistica e l’emofilia.

Ma la tecnica si può applicare a qualsiasi mutazione che causa una malattia genetica, come la Corea di Huntington», spiega Alessandra Vucetich, specialista in procreazione assistita e membro dell’Associazione Cecos Italia (Centri conservazione ovociti e spermatozoi umani). «Servono, però, centri specializzati e multidisciplinari, con un laboratorio di genetica in grado di fare uno studio approfondito su entrambi i genitori», sottolinea Vucetich. L’affidabilità del test è alta, arriva al 97-98%, ma esiste comunque un margine di errore; per cui non si esclude la possibilità di fare anche diagnosi prenatale, per esempio mediante l’analisi dei villi coriali, la cui affidabilità è del 99%.

La PGD ha del resto, nel nostro Paese, una storia assai travagliata. Fino a poco tempo fa le tecniche di procreazione medicalmente assistita – e di conseguenza la diagnosi genetica preimpianto – erano riservate alle coppie infertili o completamente sterili. Così stabiliva la discussa legge 40 del 2004, già finita 38 volte in tribunale e 4 davanti alla Corte di Cassazione. Proprio la Corte Suprema ha eliminato questo divieto nel 2015, consentendo l’accesso anche alle coppie fertili portatrici di una malattia genetica. I giudici non hanno fornito un elenco delle patologie per cui è possibile ricorrere alla PGD, riconoscendo che questo spetta alla medicina. Sono gli specialisti, insieme alla coppia, a valutare caso per caso quale sia il percorso più adatto. Quando il difetto genetico causerebbe aborti spontanei o porterebbe ad aborti terapeutici, la coppia può richiedere di accedere alla PGD proprio come avviene per le coppie infertili.

Detto così, è semplice. Dunque la legge sarebbe totalmente dalla parte della coppia milanese. Per la precisione, lo sarebbe da un paio d’anni. E allora perché ha fatto così tanto scalpore la vicenda della Clinica Mangiagalli? Risponde l’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni, che in 12 anni ha contribuito a fare letteralmente a brandelli la legge 40/2004 sulla procreazione assistita: «Sulla base della sentenza della Cassazione il tribunale di Milano ha imposto alla Mangiagalli di garantire l’accesso alla tecnica per la coppia (eventualmente stipulando convenzioni con una struttura esterna), e di farsi carico delle spese. Non assicurarla attraverso il sistema sanitario, infatti, significa fare discriminazione nell’accesso alle cure».

Ma qui si arriva al nocciolo del problema. «Nelle linee guida sulla Legge 40 non si fa ancora cenno alla sentenza n. 96 del 2015. E i LEA (i Livelli essenziali di assistenza: e cioè le prestazioni e i servizi che il servizio sanitario nazionale deve fornire a tutti i cittadini, ndr) aggiornati nel marzo del 2017, pur includendo adesso la fecondazione assistita, non contemplano ancora né i test genetici, né la diagnosi preimpianto. La questione è dunque politica, non medica. E i centri di fertilità pubblici hanno le mani legate. Questo nonostante la Corte abbia anche chiarito che selezionare gli embrioni tramite la PGD non è eugenetica: parliamo di bambini che altrimenti non nascerebbero», sottolinea Gallo.

Anche gli specialisti condividono questa posizione. «Dal punto di vista tecnico, non ci sono giustificazioni per rifiutare il servizio a una coppia», spiega Faustina Lalatta, responsabile di genetica medica alla Clinica Mangiagalli di Milano. «La PGD è legale e in Italia abbiamo le competenze per farla. Ciò che manca sono in parte delle risorse e una regolamentazione chiara. Giustamente, le persone che vedono rifiutata la richiesta da parte degli istituti pubblici cominciano ad arrabbiarsi. Ma solo tre istituti pubblici accreditati sono in grado di eseguire la PGD e unicamente per alcune malattie, quindi si riesce a soddisfare solo una minima percentuale delle richieste». Riflette ancora Lalatta: «Le cause legali hanno fondamento, ma dovrebbero servire a comprendere i bisogni delle famiglie a rischio e ad attivare la classe dirigente, che non deve rimanere in silenzio. La PGD può realmente attenuare la disperazione delle coppie che magari hanno già un figlio malato e che vorrebbero essere di nuovo genitori, usufruendo di tutte le possibilità che la scienza moderna offre».

Il PGS? Attenzione, è un altro esame. Viene confuso con la PGD, oggi tanto dibattuta, ma è tutt’altra faccenda. Parliamo dello screening genetico preimpianto (PGS) o diagnosi genetica preimpianto delle aneuploidie (PGD-A). «In questo caso la metodica riguarda le coppie infertili e non portatrici di malattie genetiche», spiega il professor Paolo Emanuele Levi-Setti, direttore del Fertility Center dell’Ospedale Humanitas di Rozzano. «La tecnica non serve a individuare una mutazione specifica, ma a verificare che non vi siano anomalie nelle 23 coppie di cromosomi. Sono anomalie casuali, la cui frequenza dipende dall’età della donna, e sono la causa più frequente di mancato impianto, aborto spontaneo e patologie prenatali che portano alla richiesta di un’interruzione terapeutica della gravidanza. La metodica, che richiede di eseguire una biopsia delle cellule che daranno origine alla placenta, è complessa e in continua evoluzione, e il dibattito scientifico è acceso. Studi hanno riportato casi in cui embrioni affetti da anomalie e trasferiti in utero hanno dato bambini sani, mettendo in dubbio l’affidabilità di alcune metodiche. Per la nostra esperienza, solo in casi selezionati ha senso ricorrere a questa tecnica: quando la donna ha oltre 40 anni, ha avuto ripetuti fallimenti di impianto, aborti spontanei ripetuti o precedenti gravidanze con anomalie cromosomiche, oppure se produce un numero elevato di ovociti. Allora il PGS può ridurre le probabilità di un esito sfavorevole, sollevando la paziente da un enorme peso psicologico».

Tiziana Moriconi, Mara Magistroni D Repubblica 11 luglio 2017

http://d.repubblica.it/lifestyle/2017/07/11/news/fecondazione_assistita_diagnosi_genetica_preimpianto_salute_coppia_figli-3598234

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SESSUALITÀ

Sessualità e genitalità

A proposito di “bisogno e istinto sessuale” vi sono termini, come sesso, sessualità, genitalità, coito, atto genitale, i quali nell’uso quotidiano sono spesso utilizzati come sinonimi, come se indicassero lo stesso contenuto, mentre di per sé fanno riferimento ad aspetti differenti. Così nascono degli equivoci che complicano la chiarezza del contenuto comunicato e anche il contesto della comunicazione. Da un po’ di tempo, per esempio, riferendosi alla sessualità, anche nell’ambito scientifico, per maggiore chiarezza, alla parola sessualità si aggiunge l’aggettivo umana, per distinguerla da quella animale.

Il capirsi è una questione fondamentale, non solo sulla terminologia, il che è già molto, bensì sul contenuto sottostante di tale terminologia, il che completa la comprensione.

Prendiamo i termini sessualità e genitalità, che, benché facciano riferimento ad un’unica realtà, la persona umana, non si equivalgono. Il termine genitalità indica ciò che si riferisce agli organi genitali e alle loro funzioni; cioè, è quel fenomeno fisiologico, che, preso allo stato puro, ha come obiettivo il soddisfare l’istinto della perpetuazione della specie. E’ una delle dimensioni che costituiscono la struttura sessuale della persona, quella biofisica.

Solo nella dimensione genitale l’uomo si assomiglia agli animali, sente una forte spinta all’accoppiamento, al cui soddisfacimento sono connessi il piacere orgasmico e la possibilità di perpetuare la specie. La genitalità, che, come tale, si limiti alla scarica fisiologica, è cieca e chiusa in se stessa.

La genitalità si colloca nell’ambito dell’istinto, che, nel caso dell’uomo, è un istinto connotato da caratteristiche prettamente umane e, come tale, si differenzia da quello degli animali. Così la genitalità è parte integrante della sessualità umana, ma non può essere identificata con essa; anche nel linguaggio il termine non è sostitutivo della sessualità. Per inciso, va ricordato che il processo di maturazione della sessualità infantile, in cui predomina la genitalità, è orientato all’acquisizione di una sessualità adulta, nella quale la genitalità è ricondotta e orientata a favorire una relazione matura con sé e con gli altri.

L’istinto sessuale –L’istinto di per sé è una propensione naturale, geneticamente determinata, antecedente ad ogni esperienza e indipendente dall’attività razionale, che spinge gli esseri viventi a compiere atti utili alla conservazione dell’esistenza individuale e della specie. E’ considerato uno dei fattori d’ogni comportamento.

Nel discorso scientifico contemporaneo la parola istinto tende a scomparire, a vantaggio di voci meno enigmatiche, come pulsione e comportamento pulsionale. Il problema, però, del suo contenuto, di che cosa è l’stinto in sé non è eliminabile, quando si tratta dell’uomo, in cui istinto e coscienza sembrano contrapposti, come fossero elementi antitetici.

Nell’animale si può parlare di istinto sessuale come di una propensione, geneticamente determinata e codificata, su cui non è possibile intervenire con la volontà. Non è così per l’uomo.

Non si può dimenticare che l’istinto sessuale umano è proprio dell’essere uomo, vale a dire è una realtà fisica, genetica, permeata di razionalità, di capacità di scelta, di dover essere, d’eticità, che sono le connotazioni specifiche, fondamentali, di ogni persona. Cioè, quello umano è un istinto sessuale, che assume valore dalla dimensione trascendente e valoriale della persona, in cui radica il senso e significato complessivo della vita dell’uomo e della sua stessa sessualità.

In sé l’istinto umano, nel suo aspetto genitale, è parte integrante e non scissa della sessualità. L’uomo, però, con la sua capacità di scelta e di assunzione o meno di responsabilità, ha la possibilità di scindere la genitalità dalla sessualità, di sottostare all’istintualità, cioè di vivere la genitalità come dimensione separata, puramente biologica, soggetta alla pulsione animale.

Nella relazione tra uomo e donna il rapporto coitale (sessuale) può essere attuato senza partecipazione relazionale, cioè senza una unione affettiva; può prescindere dall’unione delle persone. Così diviene solo una funzione, un prodotto genitale puro e semplice. Gli esempi di genitalità possono essere vari: l’unione con una prostituta per una scarica istintuale; nella coppia sposata, il ridurre il rapporto ad un rituale per scaricare l’eccitazione dell’uomo; lo stesso coito veloce, spersonalizzato.

Vale la pena ricordare, in quest’ambito, una differenza tra uomo e donna nella percezione della pulsione genitale; differenza che, se non accettata, spesso crea malessere, malintesi, allontanamenti, silenzi. Non è né merito né demerito di nessuno dei due: è una realtà che l’uomo sia più carnale, più istintivo, senta con passionalità l’esigenza di rapporti coitali. La donna sente la carne, ma meno l’istintività genitale all’unione, bensì ad una passionalità affettiva in cui si può accompagnare la genitalità.

La capacità comunicativa e il dialogo sessuale possono facilitare l’incontro, in cui la sessualità assume la genitalità non come forma conflittuale, ma come energia che unisce e fa bene alla vita affettiva e spirituale della coppia.

Integrazione della genitalità – Sotto l’aspetto psicologico, la genitalità ha bisogno di essere collocata nell’ambito di tutta la personalità, per essere compresa e vissuta nella sua pienezza. Presa isolatamente l’esperienza sessuale fisica segue la legge psicologica dell’adattamento e dell’abitudine. La costante ripetizione di questa esperienza, come mero atto genitale, struttura un’abitudine, che le fa perdere ben presto molta della soddisfazione ad essa inizialmente collegata. Ciò, di norma, produce l’effetto della ricerca ossessiva della frequenza dell’attività coitale, come scarica di piacere fisico e contemporaneamente di esperienze sempre più eccitanti e sofisticate. Tali forme, suffragate dalla diffusione dei mass media, che vogliono svelare i segreti e le raffinatezze della sessualità in nome della felicità, sono pure condannate psicologicamente all’abitudine e a perdere il loro fascino. Ciò comporta di conseguenza un’ulteriore insaziabile ricerca di nuove espressioni genitali ed un arresto ad uno stadio fisiologico e narcisistico della sessualità.

Lo stesso lavoro clinico testimonia che, in diversi casi, una spasmodica ricerca di soddisfazione a livello genitale è in conflitto con il concetto, che la persona ha di sé e del proprio dover essere. Ne consegue una disgiunzione interiore che crea conflitti tra i vari aspetti dello psichismo.

Il ridimensionamento di una sessualità, vissuta a livello biologico, comporta un lavoro di rieducazione di sé, del significato del proprio corpo, del valore intrinseco della stessa relazione sessuale. Implica la scoperta che la genitalità va inserita nel complesso delle motivazioni umane e agganciata al servizio della persona e della sua crescita. In questa prospettiva rieducativa il soggetto si propone un percorso verso la maturità psicosessuale.

Gilberto Gobbi Silvana De Mari Community 14 luglio 2017

http://silvanademaricommunity.it/sessualita-e-genitalita

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