NewsUCIPEM n. 658 – 16 luglio 2017

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02 ADOZIONI INTERNAZIONALI L’agenda Ai.Bi per il rilancio delle adozioni internazionali.

03 Adozioni, soldi finiti per 14mila famiglie

04 AFFIDO CONDIVISO Risoluzione dei conflitti genitoriali.

04 anche se la madre ha uno stile di vita moralmente discutibile.

04 Il minore resta a casa, mamma e papà si alternano.

05 AMORIS LÆTITIA Il cardinale Schönborn rigetta la critica del cardinal Müller

06 La teologia morale dopo Amoris lætitia.

07 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Per i figli minori non si riduce con il pagamento dei nonni paterni.

08 CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 27/2017, 12 luglio 2017.

10 CHIESA CATTOLICA Schönborn “La Chiesa deve incontrare le famiglie lì dove sono oggi

10 La teologia come scienza.

12 La mancanza di una teologia laica.

13 È urgente rinnovare la teologia

14 C. ADOZIONI INTERNAZIONALI Troppe strutture accreditate. Lavoriamo a ripristinare la collegialità

15Rimborsi procedure adottive

15 Rimborsi per adozioni? abbiamo stanziato risorse proprio x quello

17 CONSULTORI FAMILIARI Consultorio “La Bussola” Cerea (Vr). Convegno

17 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Alessandria. Opportunità di formazione per Consulenti familiari.

17 CONVIVENZE Guida legale sulla famiglia di fatto. I contratti di convivenza.

18 DALLA NAVATA 15° Domenica del tempo ordinario – Anno A – 16 luglio 2017.

19Il seminatore uscì a seminare. (Enzo Bianchi).

20 DIVORZIO Quanto tempo prima di risposarsi?

21 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI De Palo: “In Italia i figli sono una delle prime cause di povertà”.

21ad Avvenire. «Un Fisco per la famiglia? Il tempo ormai è maturo».

24 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA Motu Proprio “Maiorem hac dilectionem”.

24 MINORI MIGRANTI Tutore di un minore non accompagnato.

25 OMOADOZIONE Il riconoscimento del provvedimento straniero di adozione.

25 Procreazione Medicalmente Ass. Attuazione della legge sulla Pma: i dati per il 2015.

26REVERSIBILITÀ Va valutata anche la convivenza tra le due mogli.

26 SEPARAZIONE Impossibile omologa accordo tra coniugi separati in casa.

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

L’agenda Ai.Bi per il rilancio delle adozioni internazionali.

Le famiglie “Abolire lo strazio dei viaggi multipli: un trauma per il bambino che non sa se torneremo da lui”. Lo strazio dei viaggi multipli: uno strazio per quei futuri genitori che dall’ Italia partono per Paesi lontani; uno strazio per il bambino che vede arrivare e poi andare via (con il terrore di non rivederli più) quelli che si presentano a lui come la sua nuova mamma e il suo nuovo papà. Uno strazio che per affrontarlo, senza lasciarsi da questo sopraffare, richiede tanto coraggio e determinazione. Uno strazio che però non tutte le coppie si sentono in grado di affrontare e che per questo rinunciano a intraprendere l’iter dell’adozione.

Da qui la richiesta da parte delle coppie che hanno partecipato all’ Open Day di Ai.Bi, (che si è svolto in tutte le sedi italiane lo scorso 06 luglio) di inserire l’abolizione dei viaggi multipli richiesti dal Paese di provenienza del bambino, tra le priorità dell’agenda destinata al Governo per il rilancio delle adozioni internazionali. Di fatto le famiglie chiedono che la Cai (Commissione Adozioni internazionali) si faccia da portavoce fattiva presso le Autorità Centrali dei Paesi di provenienza dei bambini, per individuare un modo atto a semplificare e snellire le pratiche burocratiche in modo da non doversi recare più volte nel Paese con tutti i disagi che ne conseguono: economici, organizzativi e psicologici.

Perché ci vuole coraggio per lasciare un figlio (quel bambino che già senti, che già E’ tuo figlio) dopo averci passato insieme alcuni giorni e avere iniziato ad intessere con lui un rapporto speciale…Così come ci vuole coraggio anche per affrontare la sfida di una lunga permanenza in un Paese diverso e lontani dalle persone che amiamo…

Per non parlare del bambino che neanche il tempo di entrare in confidenza con quegli “estranei” a cui va affezionandosi che deve salutarli e li vede andare via e non può fare altro che fidarsi e cercare in tutti i modi di tenere viva la “luce” della speranza nei suoi occhi. Ma si sa che non dormirà le notti fino a quando non li rivedrà. Perché del resto fidarsi di quei due estranei quando ha già subito tanti tradimenti e abbandoni?

E così si perde tempo prezioso. E quei mesi (se non addirittura 1 anno nel caso di Haiti) di attesa tra un viaggio e l’altro sono altre cicatrici nell’anima del bambino.

Diamo un’occhiata alla situazione dei vari Paesi. Come pubblicato anche sul sito di Ai. Bi., ecco una rapida panoramica.

  • Tra tutti spicca la Russia che prevede 3 viaggi con una permanenza i primi due di circa 7/10 giorni (con un intervallo di circa 4 mesi tra l’uno e l’altro); il terzo viaggio (dopo circa un mese) prevede una permanenza di circa 20 giorni.

  • Anche Haiti mette a “dura prova”. Prevede due viaggi: il primo di circa 2-3 settimane, il secondo di 7-15 giorni ma con un intervallo di circa 1 anno tra un viaggio e l’altro. E questo non è un particolare indifferente. Un anno di attesa per un bambino è deleterio: quante paure, quanti dubbi, quanti e quali pensieri di essere stato nuovamente abbandonato. E non solo: come e quanto cambia un bambino in 1 anno? Un lunghissimo intervallo di tempo che invece potrebbe essere fruttuoso se a contatto con i genitori e magari già nella sua nuova casa e famiglia. Un lungo intervallo di tempo in cui lavorare nella costruzione di legami, di fiducia nell’altro e di integrazione nella nuova realtà. Un lungo anno che per il bambino vuol dire altri traumi da gestire. Un bagaglio ancora più pesante.

  • In Moldova sono invece previsti tre viaggi: il primo di circa 30 giorni; il secondo di 3/5 giorni per partecipare all’udienza di adozione e, infine, il terzo di circa 10 giorni.

  • In Ucraina è previsto un unico viaggio di 60 giorni oppure 2/3 viaggi di 14/21 giorni ciascuno.

  • L’ Albania prevede due/tre viaggi di circa 20 giorni l’uno.

  • Stessa cosa per la Bosnia dove sono previsti 1/2 viaggi di circa 20 giorni.

  • In Bulgaria sono previsti due viaggi entrambi di circa 10 giorni e tra l’uno e l’altro intercorrono dai 4 ai 6 mesi.

  • In Ucraina è previsto un unico viaggio di 60 giorni oppure 2/3 viaggi di 14/21 giorni ciascuno.

  • E ancora l’Honduras che prevede 2 viaggi con una permanenza, del primo, di 10/15 giorni; il secondo di 30/40 giorni.

Ma ci sono anche Paesi “virtuosi” dove in unico viaggio si completa la parte procedurale, si entra in confidenza con il bambino e con lui si fa ritorno in Italia.

  • Questo succede in Cina dove si fa un unico viaggio con una permanenza di 3 settimane. Una settimana in provincia e due settimane nella capitale.

  • E in Brasile dove è previsto un unico viaggio di circa 60 giorni. La convivenza con il minore inizia quasi sempre da subito e deve durare per legge un minimo di 30 giorni. Gli altri 30 giorni circa servono per espletare la pratica burocratica.

Quale forza muove, allora, le coppie? Per tutti vale la risposta di una mamma adottiva intervenuta all’open day di Milano: “La forza più grande è quella che troviamo negli occhi di quei bambini che stanno dall’altra parte…quei bambini che in pochi anni hanno subito tradimenti da tante persone a cui si sono affidati ma che non hanno mai perso il coraggio nell’arrivo di una famiglia vera.”

News Ai. B I. 11 Luglio 2017

www.aibi.it/ita/agenda-aibi-rilancio-adozioni-internazionali-famiglie

 

Adozioni, soldi finiti per 14mila famiglie

La Cai: nessun rimborso dal 2011 a oggi. Da sei anni la politica “dimentica” i decreti per sostenere le spese delle coppie adottive. La politica deve dire subito e in modo chiaro se e come intende sostenere l’adozione internazionale. Vuole condividere l’impegno delle famiglie? Inserisca nel bilancio un capitolo di spesa dedicato ai rimborsi per le adozioni dal 2011 a oggi. Al momento queste risorse non sono disponibili e quindi le famiglie non saranno rimborsate. A poco più di un mese dal suo insediamento ai vertici della Cai (Commissione adozioni internazionali) Laura Laera ha lanciato il suo primo, esplicito messaggio alla politica. Con un comunicato di poche righe ha spiegato quello che era noto da tempo ma che nessuno aveva ancora messo nero su bianco. Con un gravissimo ritardo di sei anni verranno rimborsate entro il 2017 le spese relative alle adozioni concluse entro il 2011.

E sarà possibile farlo perché fino a quella data esistono le cosiddette ‘istanze di rimborso’ decise dall’allora governo Berlusconi. Poi tra la politica e il mondo delle adozioni si è aperto un baratro. Né il governo Monti, né quelli di Letta, di Renzi e oggi di Gentiloni si sono preoccupati di rinnovare l’impegno con le famiglie adottive e la Cai – complice anche la gestione dissennata dell’ultimo triennio – non è oggi nelle condizioni di mantenere le promesse.

Per quanto riguarda le adozioni fino al 2011, saranno circa 1.700 le famiglie che potranno contare sui rimborsi. Mentre le adozioni concluse dal 2011 alla fine del 2016 sono circa 14mila. Tante quindi le famiglie che – se non interverranno decisioni politiche diverse – non avranno alcun contributo, al di là della deducibilità del 50% delle spese stabilite per legge. Ma su che cifra potranno contare le famiglie? L’8 giugno 2016 l’ex ministro Boschi, che era anche presidente della Cai, aveva parlato di «7 milioni e mezzo, derivanti dai riporti relativi alle annualità precedenti» e di «12 milioni e mezzo, sempre nell’ambito del Fondo per le adozioni internazionali».

Quindi circa 20 milioni che potrebbero essere disponibili per provvedere a saldare i conti fino al 2011. Secondo una prima stima per questa prima tranche potrebbe essere necessaria circa la metà del ‘tesoretto’ disponibile. E per le altre 14 mila famiglie? Laura Laera, come detto, è stata categorica: «Successivamente al DPCM del 4 agosto 2011, non vi è stato alcun provvedimento analogo che preveda il rimborso delle spese sostenute per le adozioni concluse dopo il 31 dicembre 2011. Pertanto, non verrà dato seguito ad ogni eventuale istanza di rimborso». Vuole dire che non solo non potranno essere utilizzati i circa 10 milioni restanti – per cui servirebbe un atto ufficiale del governo – ma che per coprire le spese di un numero così elevato di famiglie sarebbero necessari investimenti molto più corposi. Ma la politica sarà disponibile a investire sulle adozioni? Una situazione che – ha detto Marco Griffini, presidente Aibi – alimenta malcontento e rabbia da parte chi ha accolto, con l’adozione, un bambino abbandonato, ma che inevitabilmente allontana sempre di più da questa meravigliosa forma di accoglienza». Griffini ha anche ricordato che l’oblio decretato dalla politica nei confronti delle adozioni diventa anche diventa una discriminazione di Stato nel momento in cui c’è stato l’inserimento della fecondazione eterologa tra i nuovi Lea – Livelli essenziali di assistenza.

«Per lo Stato le coppie con problemi di fertilità – ha detto ancora il presidente di Aibi – non sono tutte uguali. Quelli che si rivolgono alla procreazione medicalmente assistita, potranno contare su un rimborso da parte dello Stato. Quelli che decideranno di accogliere un bambino abbandonato dovranno continuare a sborsare soldi di tasca propria».

Altrettanto sconcertato il commento di Paola Bassani, presidente Ciai: «Siamo profondamente rattristati per la scarsissima considerazione che ancora una volta la politica mostra nei confronti delle adozioni. E lo siamo ancora di più – ha osservato – per le tante famiglie a cui arriva un segnale di grande sfiducia. La politica non ha ancora capito che la genitorialità adottiva ha un valore sociale inestimabile perché accetta di offrire una famiglia a un bambino che non ce l’ha». Secondo la presidente Ciai è ora urgente un messaggio in controtendenza, una prova concreta da parte della politica nei confronti delle famiglie adottive.

Luciano Moia Avvenire 14 luglio 2017

www.avvenire.it/attualita/pagine/adozioni-soldi-finiti-per-14mila-famiglie

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AFFIDO CONDIVISO

Risoluzione dei conflitti genitoriali

Tribunale di Mantova, prima Sezione, sentenza 05 maggio 2017.

Nell’ambito del giudizio di separazione personale, ove non ricorrano le circostanze per disporre l’affidamento esclusivo dei figli a uno dei genitori, onde risolvere i conflitti che tra essi insorgono nei rapporti con i figli, nell’assumere i provvedimenti relativi alla prole ex art. 337 ter c.c., può disporsi il ricorso, per un periodo limitato di tempo, a una figura professionale esterna con il compito

  1. Di monitorare l’andamento dei rapporti genitori/figli, fornendo le opportune indicazioni eventualmente correttive dei comportamenti disfunzionali dei genitori e intervenendo a sostegno di essi in funzione di mediazione;

  2. Di coadiuvare i genitori nelle scelte formative dei figli, vigilando in particolare sulla osservanza del calendario delle visite previsto per il genitore non collocatario assumendo al riguardo le opportune decisioni in caso di disaccordo;

  3. Di redigere relazione informativa sull’attività svolta, da trasmettere al Giudice Tutelare.

Mauro Bernardi, Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 17652 – 11 luglio 2017

Sentenzahttp://divorzio.ilcaso.it/sentenze/ultime/17652/divorzio

 

Affido condiviso anche se la madre ha uno stile di vita moralmente discutibile

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 17137, 11 luglio 2017

Per la Cassazione, la bigenitorialità viene meno soltanto se c’è un dimostrato pregiudizio per i minori.

I figli vanno affidati ad entrambi i genitori, anche se la madre ha uno stile di vita moralmente discutibile. Così, la Cassazione, ricordando come solamente un pregiudizio certo e dimostrato per i minori può far venir meno l’affidamento condiviso.

La Corte d’appello di Catanzaro con decreto confermava il provvedimento col quale, a modifica delle condizioni della separazione consensuale di due coniugi, disponeva l’affidamento esclusivo delle figlie minori al padre. La donna proponeva ricorso per cassazione, deducendo le illegittime modalità di audizione di una delle figlie, l’erronea valutazione delle sue dichiarazioni nonché l’insussistenza dei presupposti per l’affidamento esclusivo.

Per la sesta sezione civile il ricorso della madre è fondato. La regola dell’affidamento condiviso dei figli minori ad entrambi i genitori, posta dall’art. 337 ter c.c. (applicabile ratione temporis), in funzione del diritto dei figli al mantenimento della bigenitorialità, è derogabile, a norma del successivo art. 337 quater c.c., solo, ove, ricordano gli Ermellini, la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore.

Tale disciplina, pertanto, è stata falsamente applicata dalla Corte territoriale, che ha focalizzato la sua attenzione non già, come avrebbe dovuto, “sulla sussistenza di un pregiudizio delle minori, che la norma impone dover esser specificamente esplicitato, ma direttamente sullo stile di vita della madre ritenuto ‘non consono dal punto di vista morale’ in riferimento ad imprecisate vicende relative al contesto familiare di appartenenza della stessa, e senza neppure considerare che le bambine sono collocate presso il padre”.

Per cui, il giudizio d’appello è da rifare e i giudici dovranno disporre l’affido condiviso, salvo che il padre non sia in grado di provare un effettivo pregiudizio per le figlie.

Marina Crisafi Newsletter Giuridica Studio Cataldi 13 luglio 2017

Ordinanza www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_26791_1.pdf

www.studiocataldi.it/articoli/26791-affido-condiviso-anche-se-la-madre-ha-uno-stile-di-vita-moralmente-discutibile.asp

 

Il minore resta a casa, mamma e papà si alternano

Tribunale di Castrovillari, Sezione civile, ordinanza 23 giugno 2017

L’affidamento condiviso temporalmente paritetico tra i genitori, che sta prendendo piede negli ultimi tempi alla luce degli orientamenti manifestati da alcuni tribunali italiani, può estrinsecarsi in diversi modi: tra di essi, quello approvato dal Tribunale di Castrovillari con decreto del 23 giugno 2017 (qui sotto allegato) che segue di poco un altro provvedimento analogo del tribunale di Santa Maria Capua Vetere

Nel caso di specie, infatti, i genitori avevano proposto una soluzione in forza della quale il minore resterebbe sempre nella casa familiare, mentre i genitori si alternerebbero nella coabitazione con il piccolo, soggiornandovi a turno e garantendo, così, una maggiore stabilità per il figlio.

Il giudice, pur prendendo atto che si tratta di un scelta non usuale nella generalità dei casi di affido, la ha comunque ratificata, ritenendola meritevole di approvazione in quanto idonea ad assicurare che il minore mantenga un rapporto equilibrato sia con la madre che con il padre, evitando che uno di essi acquisti una posizione di prevalenza rispetto all’altro. Peraltro, si tratta di una soluzione che non presenta neanche alcuna controindicazione logistica, in quanto i genitori vivono e lavorano nella medesima città in cui è situata la casa familiare, di proprietà del padre.

In virtù della coabitazione paritetica dei genitori, il Tribunale di Castrovillari ha poi ritenuto che né la madre né il padre debbano versare un contributo a favore dell’altro per le spese sostenute in regione della coabitazione del minore: stante l’equivalenza dei tempi trascorsi con il piccolo, ognuno ne affronterà gli oneri naturalmente in maniera equilibrata.

La regolazione, quindi, si limita alle spese straordinarie e sanitarie, divise espressamente tra i genitori al 50%.

Segnalazione del dr Marco Pingitore.

Valeria Zeppilli Newsletter Giuridica Studio Cataldi 10 luglio 2017

Ordinanza www.studiocataldi.it/articoli/26769-affido-condiviso-il-minore-resta-a-casa-mamma-e-papa-si-alternano.asp

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AMORIS LÆTITIA

Il cardinale Schönborn rigetta la critica del cardinal Müller

Il card. Christoph Schönbornha rigettato la critica rivolta a lui dal cardinal Müller che ha definito l’intervento dell’arcivescovo di Vienna nel dibattito sull’interpretazione di Amoris lætitia “semplicemente non convincente”.

All’inizio di questa settimana il cardinal Gerhard Ludwig Müller ha attaccato il card. Schönborn e altri difensori del documento papale sulla famiglia, compreso il cardinal Walter Kasper, dicendo che i loro sforzi di chiarire i punti più controversi di Amoris lætitia seguendo un percorso tra dogma e pratica pastorale non sono convincenti. Parlando oggi 13 luglio 2017 a Limerick, l’arcivescovo di Vienna ha reagito sorpreso alla critica del card. Müller nei suoi confronti, ribattendo: “È la mia opinione, e se altri non la condividono, riguarda loro”.

Il cardinal Müller, dimesso la scorsa settimana da papa Francesco dall’incarico di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, ha anche suggerito che il Pontefice incontri quei cardinali che hanno espresso le loro preoccupazioni relativamente a Amoris lætitia in cinque domande o “dubia”. Il card. Schönborn rimproverava i cardinali dei dubia, criticando il loro modo di sollevare le loro preoccupazioni e di sfidare la procedura. “Che dei cardinali, che dovrebbero essere i più vicini collaboratori del papa, stiano cercando di fare un atto di forza nei suo confronti e di far pressione su di lui affinché dia una risposta pubblica alla loro lettera resa pubblica è un comportamento assolutamente sconveniente”, ha dichiarato. “Se vogliono avere un’udienza con il papa, che chiedano un’udienza ma che non pubblichino di aver chiesto un’udienza”. Parlando ad un giornale tedesco, “Passauer Neue Presse”, il card. Müller ha suggerito che il papa dovrebbe incaricare lui del dialogo tra le due parti in quanto lui ne ha la competenza. Ma ha anche sottolineato di non aver intenzione di accettare di guidare un movimento di critica verso Francesco. Rispondendo a domande della stampa prima della conferenza “‘Let’s Talk Family: Let’s Be Family’ (Parliamo di famiglia, siamo famiglia) a Limerick, in Irlanda, il card. Schönborn ha detto che “rispondere ai dubia è molto semplice”. Ha detto che, secondo l’insegnamento della Chiesa, un matrimonio valido è indissolubile. “Papa Francesco non ha mai messo in discussione i principi, perché sono principi della Bibbia e del Vangelo e dell’insegnamento di Gesù. Ma dare questa risposta non è rispondere ad ogni singolo caso e situazione con cui ci troviamo ad aver a che fare nella vita quotidiana”. Ha detto che il papa aveva detto chiaramente che, nei casi concreti, dobbiamo esercitare il discernimento. “Dobbiamo esercitare la virtù della prudenza e questo significa guardare chiaramente la realtà”. Ha fatto riferimento all’esortazione di papa Giovanni Paolo II,Familiaris Consortio” su matrimonio e famiglia, dove è detto che i pastori sono tenuti a discernere le diverse situazioni. L’arcivescovo di Vienna, che sta visitando l’Irlanda con alcuni seminaristi della sua diocesi, ha criticato coloro che adottano un atteggiamento rigorista o troppo lassista su Amoris lætitia, affermando che la strada del discernimento è meno semplice e facile, ma più proficua. Rispondendo a domande sul bambino malato inguaribile Charlie Gard, il card. Schönborn ha affermato che non intendeva commentare la legge britannica, ma che ci sono due principi che devono essere tenuti presenti in questo caso. Il primo è che ogni vita umana deve essere protetta e sostenuta il più possibile. Il secondo, che è contenuto nel catechismo della Chiesa cattolica, stabilisce che nessun medico è obbligato a praticare una terapia eroica o eccessiva o straordinaria. “È una questione di giudizio prudenziale. E può essere molto difficile. Quando è eccessiva una terapia? E quando è fatta in base al sacro compito di proteggere la vita?” Alla domanda se un trattamento eccessivo possa essere supportato, il cardinale ha detto che questo deve essere deciso caso per caso. Ha anche evidenziato che lo stesso papa Giovanni Paolo II aveva detto che a un certo punto sarebbe venuto il momento di staccare le macchine che lo mantenevano in vita e di lasciarlo andare. “Ha potuto prendere questa decisione lui stesso, per lasciare che la natura facesse il suo corso”. Ha messo in guardia dalla fretta nel prendere una decisione, sottolineando che discernere quando la terapia è diventata “eroica” è un giudizio prudenziale, “e per emettere un giudizio prudenziale si deve considerare ogni elemento della decisione”.

Sarah Mac Donald www.thetablet.co.uk, 13 luglio 2017 (traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=numaut5667

 

La teologia morale dopo Amoris lætitia

Si è svolto ad Alghero dal 3 al 7 luglio 2017 il decimo seminario di studio dell’Associazione dei teologi moralisti italiani (ATISM) dal tema suggestivo ed impegnativo: La teologia morale dopo Amoris lætitia. Ogni qualvolta che termina un’esperienza stimolante scrivere a caldo delle impressioni è sempre problematico. Ci sono almeno due guadi da superare: il primo è quello di cadere nella retorica di dire tutto è stato bello; il secondo di distruggere tutto ciò che si è ascoltato.

Alcuni nodi. Per evitare, in parte, i due estremi, cercherò di sottolineare alcuni aspetti, emersi in questi giorni di riflessione, che, a mio avviso, possono stimolare ulteriori approfondimenti e dibattiti anche in questa piazza virtuale che è Moralia.

  1. Il primo aspetto, su cui bisognerà continuare a riflettere, emerge dai numeri 310-312 di dell’esortazione apostolica Amoris lætitia di papa Francesco (AL). In questi numeri il documento invita i teologi moralisti a proporre una riflessione morale capace di ripensare la teologia morale in modo che mostri e fondi la morale alla luce della misericordia. Si pone perciò con forza una domanda: cosa intendiamo per misericordia in teologia morale? È un principio applicativo, fondativo, o cosa ancora? La prospettiva con cui leggiamo la misericordia è gravida di conseguenze non solo pastorali ma anche teoriche.

  2. Un secondo aspetto che merita attenzione è comprendere il faticoso cammino del discernimento morale che si inserisce in vissuti sempre più complessi e segnati da fragilità. C’è un rischio in questo cammino: come arrivare al giudizio morale “oggettivo”? In questo cammino di discernimento come aiutare la coscienza a riconoscere il bene quale concretizzazione di libertà verso una piena responsabilità? A volte si rischia di cambiare linguaggio, mantenendo però categorie teologiche che non rispondono più alle sfide dei tempi.

  3. Un terzo aspetto che deve farci riflettere è la riflessione morale e pastorale sul come integrare le fragilità. La logica della contrapposizione tra norma e coscienza non credo che sia corretta. La strada è invece quella del dialogo. Proprio in questo campo papa Francesco ci suggerisce due prospettive fondamentali: il tempo è superiore allo spazio e la realtà è superiore all’idea.

  4. Un quarto aspetto che merita una seria articolazione morale è il concetto di bene possibile. L’imperativo morale non è un imperativo giuridico ma un invito forte e deciso a procedere nel cammino verso la pienezza. Di conseguenza è doveroso domandarsi come mettere insieme l’esigenza morale e il cammino dell’uomo condizionato da molteplici fattori a livello personale e sociale.

  5. Un ultimo aspetto, di cui la teologia morale deve farsi carico per restare fedele alle istanze di AL, è la riflessione intorno alla coscienza. Troppe volte essa viene vista come incapace di raggiungere il bene da fare. È doveroso di conseguenza chiederci: quale formazione della coscienza la Teologia Morale ha da proporre?

Una conversione alla misericordia. Al termine di questo cammino mi sembra in effetti che al centro della proposta di AL ci sia la coscienza e la sua formazione. Attraverso il discernimento la coscienza è chiamata ad individuare ciò che è meglio fare nel cammino di risposta al progetto di Dio. Per questo il discernimento personale va aiutato e sostenuto dal discernimento pastorale, in una dinamica di accompagnamento. È indispensabile perciò una conversione alla misericordia della teologia morale. Perché non basta formulare correttamente la verità ma è indispensabile “accompagnare” e favorirne il riconoscimento da parte della coscienza.

Alfonso Amarante moralia 10 luglio 2017

www.alfonsiana.org/italian/istituto/docenti/it_amarante.htm

www.ilregno.it/moralia/blog/la-teologia-morale-dopo-amoris-laetitia-alfonso-amarante

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO DEI FIGLI

L’assegno in favore dei figli minori non si riduce per effetto del pagamento dei nonni paterni

Tribunale di Taranto, seconda Sezione civile, sentenza 22 febbraio 2017.

Con la sentenza affronta un caso molto interessante in tema di assegno alimentare. Ecco uno stralcio significativo della motivazione.

Il debito a titolo di mantenimento ex art. 147 c.c. in capo all’ex coniuge separato non può ipso iure estinguersi per la parte corrispondente all’avvenuto pagamento di somme da parte di ascendenti a titolo di alimenti ex art. 433 c.c.

E’ vero che in linea di principio l’assegno di mantenimento gravante sul coniuge ex 147 c.c. comprende una quota a titolo di alimenti, nel senso che il primo ha un contenuto più ampio rispetto al secondo, dovendo garantire non solo i bisogni primari ma, pur se entro certi limiti, lo stesso tenore di vita proprio del periodo di convivenza famigliare prima della separazione.

Ragion per cui è ricorrente l’affermazione in giurisprudenza in tema di separazione giudiziale tra coniugi che la modifica della originaria domanda di pagamento dell’assegno di mantenimento in quella di assegno alimentare non implica nuova domanda ma una sua riduzione e quindi non è soggetta alle note preclusioni processuali.

E’ pure vero che in linea di principio l’intervento dell’obbligazione alimentare a carico dell’ascendente – c.d. sussidiarietà – presuppone l’impossibilità di far fronte al bisogno dell’alimentando – nel caso di specie minori – da parte dei parenti di grado anteriore, e cioè, sempre in questo caso, i loro genitori.

Muovendo da quest’ultimo rilievo la difesa istante sosteneva che il credito da mancato pagamento dell’assegno di mantenimento preteso dall’ex coniuge dovesse essere decurtato di quanto già ricevuto a titolo di alimenti ex art. 433 c.c. da parte dei propri genitori, pena un suo indebito arricchimento: ossia la parziale duplicazione del credito di mantenimento con quella alimentare che nella prima è già compresa.

L’assegno di mantenimento a carico del coniuge separato ed in favore dei figli minori non si riduce per l’avvenuto pagamento dell’assegno alimentare da parte di ascendenti quando il loro cumulo soddisfa pur sempre lo stato di bisogno degli aventi diritto. La tesi opponente non può essere accolta nel caso in esame.

Si deve infatti ricordare che il coniuge – opponente era tenuto a pagare, quale percettore di reddito derivante dalla sua attività di cameriere, nei confronti degli allora figli minori prima la somma di lire 150.000 per ciascuno con provvedimento del Presidente del Tribunale a far data dall’ottobre del 1988 e poi la somma di lire 200.000 per ciascuno, oltre lire 100.000 nei confronti della moglie, che versava pure in stato di bisogno, giusta sentenza di separazione del 11-01-1992 già citata.

I nonni in virtù della sentenza di primo grado del …-10-1989 erano invece tenuti a versare nei confronti dei due nipoti, ex art. 433 c.c., 150.000 di vecchie lire per ciascuno, con decorrenza dal novembre del 1988; con sentenza del 30-06-1993 l’importo mensile veniva aumentato a lire 200.000 mensili per ciascuno dei minori, a decorrere dal 27-08-1991.

Come appare evidente dalla limitata entità dell’assegno alimentare a carico dei nonni ed anche di quello di mantenimento a carico del padre, la madre disoccupata, anche se fosse seguito allora il pagamento dell’assegno di mantenimento posto a carico di quest’ultimo, non avrebbe cessato di certo di versare in stato di bisogno e quindi la domanda proposta ex art. 433 c.c. nei confronti dei nonni sarebbe stata suscettibile di essere accolta ugualmente nella sua totalità.

Se si leggono poi le sentenze intervenute, sia quelle avente ad oggetto l’obbligazione alimentare a carico dei nonni, sia quelle a carico del padre, ma anche quelle penali ex art. 570 c.p., viene sempre evidenziato lo stato di bisogno della madre di due minori, che solo in parte dagli obbligati poteva essere soddisfatto; peraltro dalle sentenze relative alla separazione, ma anche da quella di condanna ex art. 570 c.p., nella quale per di più la concessione del beneficio della pena sospesa veniva condizionato al pagamento dell’assegno di mantenimento, si desume come la valutazione sulla ricorrenza dell’obbligo di mantenimento in realtà fosse fondata sullo stato di bisogno degli aventi diritto e le capacità di reddito dell’obbligato, e non di certo sul mantenimento dello status famigliare esistente prima della crisi coniugale.

Non deve infatti dimenticarsi che sia la misura dell’assegno alimentare sia la misura del mantenimento si stabilisce anche in base alle capacità reddituali dell’obbligato; il che spiega anche perché possano cumularsi gli assegni per sopperire il più possibile allo stato di bisogno in cui versa l’alimentando: nel caso di specie i due figli minori.

Del resto che sia ipotizzabile un cumulo di assegni alimentari a carico di più obbligati lo prevede espressamente l’art. 441, II co., c.c., che così recita: “Se le persone chiamate in grado anteriore alla prestazione non sono in condizioni di sopportare l’onere in tutto o in parte, l’obbligazione stessa è posta in tutto o in parte a carico delle persone chiamate in grado posteriore”.

Si tratta di disciplina di favore che trova poi il fondamento nella solidarietà famigliare di cui si fa parola anche nella Costituzione (vedi art. 2 e 30 Cost., oltre che la disciplina ex art. 433 e s.s. c.c.).

Pertanto è da ritenere inammissibile l’eccezione di parziale estinzione del debito da mantenimento ex art. 147 c.c. per l’avvenuto pagamento di assegni alimentari da parte dei nonni ex art. 433 c.c……”

Paolo M. Storani Newsletter Giuridica Studio Cataldi 13 luglio 2017

www.studiocataldi.it/articoli/26780-alimenti-l-assegno-di-mantenimento-in-favore-dei-figli-minori-non-si-riduce-per-effetto-del-pagamento-dei-nonni-paterni.asp

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter n. 27/2017, 12 luglio 2017

  • Lo sport non è tutto. Una lezione di vita da un mito della pallacanestro mondiale. Sarunas Jasikevicius, giocatore di basket lituano di livello mondiale, ora allenatore, spiega perché per un suo giocatore è più importante la nascita di un figlio che giocare una semifinale. Qui sotto il testo, tradotto in inglese: ma il filmato va visto, anche solo per vedere la faccia “perplessa” – ma determinata – dell’allenatore davanti alla domanda. Giornalista: Coach, che cosa pensa del fatto che Augusto Lima se ne è andato a metà della serie, per essere presente alla nascita di suo figlio?

Jasikevicius (coach): Cosa ne penso? Gli ho dato il permesso di andare.

G.: Ma è normale che un giocatore abbandoni la squadra durante le semifinali?

Jasikevicius: Hai figli? Quando avrai figli, giovanotto, capirai, perché è la più alta esperienza umana. […] Jasikevicius: Beh, davvero è una bella domanda: pensi che il basket sia la cosa più importante della vita?

G.: No, ma una semifinale è importante

Jasikevicius: Semifinale? Per chi è importante?

G.: Per la squadra…

Jasikevicius: Quale?

G.: Lo Zalgiris [la squadra allenata da Jasikevicius, n. d. t.]

Jasikevicius: Hai visto quanti tifosi alla partita? È importante? Quando tu vedrai il tuo primo figlio, capirai qual è la cosa più importante della vita. Vai e poi torna a parlare con me, perché non c’è nulla di più meraviglioso al mondo della nascita di un bambino. Credimi, non il titolo, nient’altro. Augusto Lima ora è spiritualmente in paradiso, e io sono davvero felice per lui www.youtube.com/watch?v=G0a-Nr_vRjM

  • Come rendere la rete più sicura per i minori. Il 3 luglio 2017 il direttore del Cisf (Francesco Belletti) ha partecipato ad un expert meeting, a Berlino, sul tema della sicurezza della rete e della società digitale per i minori (Growing up digital – How can we make the Internet safe for children and young people? Crescere da digitali. Come possiamo rendere Internet un luogo sicuro per bambini e giovani?).

L’incontro è stato promosso da AGF (una rete di associazioni familiari tedesche che opera per promuovere la famiglia in ambito sociale e politico), che ogni anno promuove un confronto internazionale su temi di rilevanza e attualità (nel 2016 ha affrontato il tema della povertà dei bambini, nel 2015 la qualità dei servizi di cura per la prima infanzia, nel 2014 la questione delle politiche europee per facilitare la gestione del tempo per le famiglie). Il seminario 2017 ha illustrato la necessità di adottare diverse strategie di azione: da norme più restrittive a livello nazionale ed europeo fino al dialogo con gli operatori economici del settore, con particolare attenzione alla media education degli adulti, sia in ambito familiare che nella scuola, considerata punto di riferimento insostituibile. Importanti anche sistemi di controllo, filtri, meccanismi di protesta dei consumatori/utenti della rete. Pur consapevoli della oggettiva impossibilità di governare/controllare integralmente un sistema così complesso e dai mutamenti così veloci e imprevedibili, quale il mondo digitale, il seminario si è concluso sottolineando che agire è comunque importante: nessuna delle azioni è da sola capace di risolvere tutti i problemi in gioco, ma ogni azione intrapresa genera comunque risultati specifici, maggiore consapevolezza, e costruisce quindi un processo virtuoso per rendere la Rete non “sicura in assoluto”, ma comunque “più sicura”. www.ag-familie.de/home/index.html?en

  • Esperto in progettazione e interventi innovativi con le famiglie e la comunità. Prima edizione. “Il corso di perfezionamento offre una formazione teorico-pratica sulle nuove skills [competenze]richieste ai professionisti dell’area socio-educativa e sanitaria (educatori, pedagogisti, psicologi, sociologi, assistenti sociali, infermieri) interessati ad arricchire le proprie conoscenze e ad affinare le proprie competenze”. Il corso, promosso dalle Facoltà di Scienze della Formazione e di Psicologia e dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica, si terrà a Milano, dal 24 novembre 2017 a settembre 2018. Scadenza per le iscrizioni: 27 ottobre 2017

tracker.mcontact.it/go2.aspx?link=873ee546-70d2-4016-8fbf-b7451d036943,128700_6257923420_694861658

  • Dalla Francia: la famiglia risorsa di accoglienza per anziani e persone con Disabilità. Cette famille (letteralmente “Questa famiglia”) è un centro di servizi a sostegno di una rete di famiglie che si rendono disponibili ad essere selezionate e formate per accogliere persone anziane o handicappate, in una forma quasi professionale. Tutte le famiglie della rete sono accreditate presso i servizi sociali dei rispettivi Consigli Dipartimentali (equivalenti grosso modo alle nostre Province), che forniscono anche l’eventuale sostegno socio-sanitario. Si tratta di una forma di accoglienza a dimensione tipicamente familiare, dove le relazioni affettive sono vissute nel quotidiano. Secondo il suo grado di Secondo il suo grado di autonomia, la persona accolta può partecipare allo svolgimento dei compiti che tradizionalmente ritmano la vita della famiglia, come ad esempio leggere racconti ai bambini, preparare i pasti, e simili. Tutto ciò permette di evitare la brusca rottura che il ricovero in casa di riposo spesso rappresenta, e di abbattere notevolmente i costi dell’assistenza. www.cettefamille.com

  • Diventare tutor volontario di un minore straniero non accompagnato. Una modalità “semplice” e concreta, al di là di ogni pregiudizio o ideologia, per accogliere e proteggere i più fragili. “L’anno scorso (2016) i minori non accompagnati arrivati in Italia furono 25.846. Le procedure di relocation per i minori non accompagnati sono praticamente inesistenti: su 7.396 migranti ricollocati, i minori sono soltanto cinque. Di moltissimi minori si perdono le tracce: i minori stranieri non accompagnati presenti in territorio italiano erano a fine dicembre 17.373. Questo significa che potrebbero servire fino a 17mila tutori volontari, persone che non si limitino a esercitare la responsabilità genitoriale sul minore al posto del sindaco (è quello che accade oggi), ma si prendano cura del minore, dei suoi desideri e bisogni, costruisca insieme a lui un percorso. (Sara De Carli. Vita.it 5 luglio 2017)

www.vita.it/it/article/2017/07/05/come-fare-per-diventare-tutore-volontario-di-un-minore-non-accompagnat/143911

  • Forum delle Associazioni Familiari della Calabria. “La Regione si interessi dei problemi veri delle famiglie che numerose stanno abbandonando la Calabria, invece che sprecare energie per elaborare una legge sull’identità di genere”. Lamezia, Comunicato Stampa – 7 luglio 2017.

http://calabria.forumfamiglie.org/2017/07/07/la-regione-si-occupi-dei-problemi-delle-famiglie

  • Dalle case editrici. Questa settimana segnaliamo un unico volume, che propone un’intrigante riflessione su modernità e difesa dell’umano – anche nella sua componente “selvatica”.

Claudio Risé, Francesco Borgonovo, Vita selvatica. Manuale di sopravvivenza alla modernità, Lindau, Torio, 2017, pp. 156, €. 14,50.

Nella forma del libro-intervista, con un bel gioco di complicità e complementarietà tra un giornalista (Francesco Borgonovo) e uno psicologo-analista junghiano (come la copertina definisce Claudio Risé). Il volume presenta una serie di riflessioni, spesso radicali, e certamente non conformiste, sulla crisi dell’umano che caratterizza la modernità e la post-modernità. Mescolando con libertà letteratura, poesia, saggi sociologici e previsioni economiche sul futuro, nel testo si incontrano tanti punti di vista sorprendenti, che escono dal conformismo imperante in tanta comunicazione di massa. Un libro da leggere anche a pezzi, lasciandosi sorprendere dalle varie intuizioni – magari per non condividerle, ma sicuri che si tratta di sfide rilevanti. Come quando Risé rilancia l’assoluta necessità, per l’uomo contemporaneo, di riscoprire il contatto diretto con la natura, il bosco, la dimensione selvatica del corpo, del mettersi alla prova, nel respirare profumi, odori, sensazioni sulla pelle… Oppure quando sottolinea il paradosso della trasparenza e dell’eccesso di illuminazione delle cose della società dei consumi e delle megalopoli, con le fredde luci al neon dei centri commerciali, che anziché aiutare a capire appiattiscono tutta la realtà. Quanto più bella è invece, ricorda l’autore, l’oscurità e la penombra di certa cultura giapponese, che nasconde e fa ri-scoprire le cose, anziché esporle alla pienezza della luce, invisibili perché troppo esposte, quasi pornograficamente… Oppure, ancora, quando ricorda l’importanza del conflitto e dello scontro per mettere alla prova l’umano, in una riscoperta della bellezza specifica del maschile e del femminile, contro ogni ideologica cancellazione della differenza… Insomma, tanti temi, tutti intriganti, sui quali fa bene alla salute discutere. Un buon libro, quindi, perché mette in movimento il pensiero (Francesco Belletti).

  • Save the date

Nord Dono e perdono nei legami d’amore, incontro promosso dal Consultorio Familiare “La Bussola”, Cerea (VR) 25 novembre 2017. Con Roberto Mancini

Centro La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale, 11.o Convegno internazionale, Centro Studi Erickson, Rimini, 3-5 novembre 2017. ………www.consultoriolabussola.it

Sud La violenza di genere: un modello di intervento per la presa in carico e il contrasto del fenomeno, percorso formativo (con crediti ECM per professioni varie), promosso da Istituto di Gestalt HCC Human Communication Center Italy – Formazione, Pubblicazioni e Centro Clinico, Palermo, 15 settembre – 15 ottobre 2017

Estero Conference on Advanced Issues in Child Custody: Evaluation, Litigation and Settlement (Conferenza 2017 sulle più recenti problematiche della custodia dei figli: valutazione, conflittualità e affidamenti), evento organizzato da AFCC (Association of Family and Conciliation Courts) e da AAML (American Academy of Matrimonial Lawyers), San Diego (California), 14-16 settembre 2017.

Iscrizione alle newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

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CHIESA CATTOLICA

Schönborn: “La Chiesa deve incontrare le famiglie lì dove sono oggi”

A Limerick, in Irlanda, è stata aperta la prima conferenza di preparazione all’incontro mondiale delle famiglie che si terrà il prossimo anno a Dublino. Il tema è: “Let’s talk family – Let’s be family” (Parliamo di famiglia, siamo famiglia).

Primo relatore è il cardinale Christoph Schönborn, organizzatore la Conferenza episcopale irlandese. La Chiesa d’Irlanda si sta preparando in maniera intensa al nono incontro mondiale delle famiglie cattoliche che avrà luogo a Dublino dal 21 al 26 agosto 2018, e gli interventi dell’arcivescovo di Vienna sono fatti in questo contesto. In un’intervista a “Irish Times”, giovedì, il card. Schönborn ha detto di essere molto contento di essere andato in Irlanda per tale conferenza. Al centro dei suoi interventi sono i contenuti dell’esortazione apostolica postsinodale che Francesco ha pubblicato nel marzo 2016, a seguito del Sinodo sulla famiglia.

“Irlanda significa famiglia, è un paese che ha avuto tradizionalmente la famiglia come suo nucleo”, ha detto l’arcivescovo di Vienna nell’intervista a “Irish Times”, “ma, come nella maggior parte delle nazioni occidentali, la famiglia in Irlanda è diventata più complessa, diversa da ciò che era prima. Le separazioni, i divorzi, le nuove nozze, le convivenze di persone omosessuali, sono tutti elementi di una nuova narrazione della famiglia in Irlanda. Ci sono molti cambiamenti, e la Chiesa, nel contesto di questi cambiamenti, deve mostrare misericordia. Deve essere disposta ad incontrare le famiglie lì dove sono oggi”.

“Alla fine, ed è sicuramente così anche in Irlanda, nonostante tutte le crisi dell’istituzione matrimoniale – come si dice in Amoris lætitia – il desiderio di sposarsi e di fondare una famiglia è però vivo nei giovani”, ha ricordato Schönborn. In merito al contenuto del documento, ha parlato di “un invito che non esclude nessuno”. In quanto il papa dice che “Nessuno può essere condannato per sempre, non è questa la logica del Vangelo, non è questa la via della Chiesa”. “Amoris lætitia”, sottolinea l’arcivescovo di Vienna, “non annuncia cambiamenti nella dottrina della Chiesa. Ma esorta a maggiore discernimento da parte della Chiesa, sensibilità e attenzione alla famiglia. Questo significa che noi pastori dobbiamo ascoltare tutti, forse finora non abbiamo ascoltato bene. Questo vale per tutte le persone, sia quelle in situazioni regolari che in situazioni cosiddette irregolari. La società è fondata sul matrimonio, e l’indebolimento della famiglia rappresenta una minaccia per le singole persone, per i valori della comunità e – come dice Amoris lætitia– per un progresso delle comunità e dei paesi che sia fondato sui valori. Promuovere la famiglia è forse la nostra grande missione oggi. La via della Chiesa è la via di Gesù, che è la via della misericordia e dell’aiuto al ristabilimento dell’Alleanza”. L’incontro mondiale delle famiglie 2018 ha questo slogan: “Il vangelo della famiglia, gioia per il mondo”.

Papa Francesco ha accettato l’invito dei vescovi irlandesi per l’agosto 2018, ma la notizia non è ancora stata ufficialmente confermata. L’incontro mondiale delle famiglie cattoliche vuole essere un forum internazionale per cristiani, associazioni di famiglie ed esperti. Tale manifestazione, che si è svolta nel 2015 a Filadelfia con la partecipazione del papa argentino, risale ad una iniziativa di papa Giovanni Paolo II.

Redazione Kathpress www.kathpress.at, 13 luglio 2017(traduzione www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=numaut9458

 

La teologia come scienza

Prosegue il dibattito con questo nuovo intervento di Don Giuseppe Villa, che ricorda i recenti sviluppi della impostazione della “scuola milanese”, che ha dato e continua a dare un grande apporto in Italia nel dibattito sul tema.

La storia della teologia. La teologia come scienza fu una questione inizialmente posta nel Medioevo, quando cioè ci si interrogò se la parola della teologia, “logia” appunto, possa essere scienza. Se ne interessò San Tommaso d’Aquino, considerandola “scienza subordinata”, per il metodo che il Doctor Angelicus aveva introdotto. All’origine ci stava la figura di Aristotele. Secondo il filosofo greco ci sono due nozioni di scienza. C’è la “teoria della scienza” che esige la risoluzione del pensiero nell’evidenza della metafisica, e inoltre la “teoria della scienza subalternata”, cioè scienza derivata da una scienza superiore. Questa scienza superiore ha in sé i principi della scienza subalternata, la quale quindi non ha in se stessa i principi propri della scienza e ciò nonostante è scienza. I principi, quindi, restano razionalmente indimostrati nella scienza subalternata, perché hanno la loro dimostrazione nella scienza superiore. Tommaso conclude che la teologia è scienza, propriamente subalternata alla scienza che ha Dio; alla scienza di Dio.

La proposta di Leone XIII formulata nella Aeterni Patris intendeva dare alla teologia un metodo scientifico che potesse unificare il sapere teologico e porsi in confronto con il mondo liberale. A questo proposito scrive Ghislain Lafont a seguito della “giornata di studio Attualità del tomismo”, organizzata dall’Accademia cattolica di Francia (Parigi, Collège des Bernardins, 10 settembre 2016): “vorrei proporre che, sì, san Tommaso resti uno dei dottori comuni della Chiesa – il principale se si vuole – ma non il solo. Ciò che ci spetta fare oggi non è del tomismo, ma della teologia”. A tale proposito, diversi anni fa, scriveva don Pino Colombo: «Per la teologia il riferimento [alla verità] è irrinunciabile; anche se, dopo Heidegger, non può più essere inteso nei termini formali dell’«onto-teologia» e quindi dev’essere ridefinito».

  1. Una duplice eredità. Due punti però non possono essere trascurati di quel patrimonio teologico. Anzitutto non si può fare a meno del ruolo che l’uomo ha nella questione, di un pensiero teologico cioè che voglia essere scientifico. In effetti, quando l’uomo scrive di Dio, scrive anche di sé. Tommaso ne scrisse secondo la strumentazione che aveva a disposizione, la metafisica del tempo. Noi oggi forse vediamo nella versione tramandata dalla modernità qualche limite del pensiero che “tratta dell’essere come l’ente più grande”, col rischio che, secondo diversi, la proporzione analogica non salvaguardi più la sua trascendenza. In realtà scrivere di Dio è sempre un rischio, anche quando si potesse usare strumenti più adatti. D’altra parte, il rischio opposto è ancora peggiore, quello di tacere di Dio, e quello di isolare Dio nella sua assoluta trascendenza.

  2. Il secondo punto è che proprio Dio ha limitato la propria libertà, ha ridotto la sua trascendenza, morendo sulla croce, consegnando così agli uomini una vicinanza sconvolgente e non solo e non tanto per una devozione pietistica. Gli uomini sono chiamati a stare davanti alla croce, al Crocifisso risorto per dire di sé, ossia per dire “la fede che salva” e per dire di Lui, “la fede testimoniale”.

La verità e il suo contenuto. Il riferimento alla verità qui è cruciale per “la fede che salva”: come farebbe infatti a salvare se quella fede non è vera? La fede che salva, cioè, non ha bisogno di un criterio esterno per essere vera: le appartiene come originaria ed è “l’evidenza della fede”. Il riferimento alla verità è la ragione della credibilità della “fede testimoniale”. Come farebbe ad essere una testimonianza, se non fosse credibile? La “fede testimoniale” non si giudica vera con criteri esterni, che coglierebbero solo alcuni aspetti, e non si giudica da sé: la sua verità sta nel riferimento al Signore. Tale legame gli è indispensabile.

La con-determinazione reciproca. L’orientamento in corso in questi venti anni ha chiuso in diversi ambiti universitari una lettura storicistica di Heidegger per evidenziare la questione dell’evento e la possibilità di ragionare su di esso, sui suoi sviluppi e sulle possibili verifiche delle relazioni con le altre forme del sapere. Forse è ancora presto per vedere la maturazione di un legame della teologia con la cultura civile. Occorre ancora un lavoro profondo di disinquinamento linguistico e la capacità e la volontà di distinguere i contenuti dalla forma, dalla “teoria filosofica della conoscenza” (epistemologia), non tanto come “filosofia della scienza”.

La verità e la sua forma teologica. Il lavoro in corso ha dato modo anche alla teologia di elaborare una propria teoria filosofica della conoscenza. Con ciò ha operato uno spostamento anche al suo interno, rispetto all’usuale impostazione degli approcci dominanti in precedenza.

Anzitutto la teologia ha riconosciuto che i diversi binomi (soggetto-oggetto, uomo-Dio …) devono essere ripensati sull’evento in cui si dà un intrico di “con-determinazioni”. La proposta si iscrive nell’attuale corso di Teologia filosofica che si struttura nel rapporto tra libertà del soggetto e Dio, tale per cui tra i due non viga una relazione concorrenziale, tanto meno una estraneità, ma, al contrario, una relazione nella quale la libertà e la vicenda temporale dell’esistenza umana rimandino a un principio divino che, lungi dal comportare per l’uomo l’impossibilità di decidere da sé e di sé, costituisca anzi la condizione di possibilità della libertà personale, della sua unicità e creatività.

La verità e la teologia pastorale. Sino agli anni precedenti al Vaticano II la teologia pastorale aveva poco spazio nell’insegnamento, ma soprattutto subiva il difetto di un legame deduttivo tra la dogmatica e la pastorale, nel senso che la pastorale era il campo applicativo delle verità della dogmatica. L’aggiustamento di questo difetto ha comportato un ripensamento epistemologico del “fare” e della verità dei soggetti coinvolti nel fare. I luoghi e le occasioni in primo piano di questo “fare” è la liturgia e la celebrazione dei Sacramenti. La Sacrosanctum concilium è il primo documento conciliare, ma, come dimostra l’altro argomento del blog di A. Grillo, continua a stare alla ribalta del dibattito, e soprattutto nel “fare” delle comunità cristiane. L’esposizione continua di questo “fare” segnala che la verità delle comunità sta lì, nel loro celebrare e vivere i Sacramenti, come appunto teologia in atto.

La verità del teologo. All’inizio della “Scolastica” la verità della teologia era un tutt’uno con la verità del teologo. Era una verità non esterna, era invece una “loghia” interna alla “Teo” ed era sintesi interiore del teologo, “loghia” orante. Loghia e sintesi dunque che la teologia trascurerà nei secoli successivi, soprattutto nel periodo della modernità. Anselmo è il primo e il teologo più insistente a praticare tale verità della teologia, non però in qualunque modo. Egli aveva individuato il punto fermo della “Agape Divina”, gratuità perfetta, ma anche Amore che sollecita amore e crea legami. In questa circolarità la “giustizia” ha il ruolo di consentire la possibilità di una beatitudine umana analoga all’Agape Divina. Quello stato di grazia o beatitudine è il risultato di un esercizio continuo della libertà di amare gratuitamente, di ravvedersi e lasciarsi raggiungere dalla misericordia del Signore. Qui la preghiera fa la verità di una teologia.

La valorizzazione oggi di questa unità fa apparire la fede nella sua bellezza, esattamente là dove cerca di mostrare che la bellezza è il modo di mostrarsi della fede e della testimonianza. Mentre il mistero di Cristo, articolandosi nell’unità della con-determinazione tra il Signore e l’uomo, senza una loro divaricazione o assimilazione, fa dell’unità l’articolazione di un’estetica inedita al pensiero occidentale. Si tratta allora non dell’ingenua allusione alla bellezza immanente al divino, ma prima e più ancora della sensibilità di Dio per la bellezza della sua creatura e perciò del principio etico dell’amabilità e dell’abitabilità della vita.

Don Giuseppe Villa, Pubblicato il 13 luglio 2017 nel blog: Come se non di Andrea Grillo

www.cittadellaeditrice.com/munera/cultura-civile-e-teologia-6-la-teologia-come-scienza-g-villa

 

La mancanza di una teologia laica

Anche il Prof. Pierluigi Consorti, che insegna Diritto canonico all’Università di Pisa, interviene nel dibattito sul ruolo della teologia nella università italiana.

Traggo il testo dal suo blog: https://people.unipi.it/pierluigi_consorti/la-mancanza-di-una-teologia-laica

Qualche giorno fa Andrea Grillo ha pubblicato un post nel suo blog a commento del recente libro di G. Enrico Rusconi sulla teologia narrativa di papa Francesco.

www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858128749

Rusconi, che è un intellettuale di alta classe, certamente non è un teologo: tanto che denuncia onestamente la propria “incompetenza teologica”. Va quindi a suo merito il coraggio di entrare in un campo che non ha coltivato e ancor più la capacità di accompagnare il lettore in argomentazioni suggestive. Tuttavia non sempre teologicamente fondate. L’assenza di una cultura teologica di buon livello è un annoso problema che assilla l’accademia italiana, e più in generale la cultura religiosa del nostro Paese, e Rusconi esprime bene lo spessore di questa mancanza.

www.cittadellaeditrice.com/munera/g-e-rusconi-giudica-papa-francesco-ma-il-peccato-originale-puo-dimenticare-una-grazia-piu-originale-su-la-teologia-narrativa-di-papa-francesco-laterza-2017

newsUCIPEM n. 655, 25.6.2017, pag.12

Non è certamente il caso di personalizzare, vorrei quindi mettere da parte Rusconi per affrontare in termini propositivi un nodo emerso dalla lettura del suo ultimo libro, ossia la mancanza di cultura teologica nell’Università italiana. E’ appena il caso di ricordare che le Università degli studi sono nate come istituzioni ecclesiastiche basate principalmente sullo studio della teologia, con una inequivocabile propensione per la filosofia e il diritto, originariamente intese come discipline ancillari. Cattedre e facoltà di teologia sono sempre state presenti nelle Università storiche e in moltissimi Stati del mondo occidentale la teologia è una disciplina universitaria a pieno titolo. In Italia invece la tradizione teologica universitaria statale si è interrotta nel 1873, come conseguenza diretta dello scontro fra il Re e il papa (non più re). Gli insegnamenti teologici non erano forse particolarmente floridi, ma la soppressione delle Facoltà di teologia causò una ferita accademica che ancora non sembra essersi rimarginata. Non si può peraltro dimenticare che la chiusura degli insegnamenti teologici – se non consentì, almeno – favorì l’avvio di quelli filosofici. Per questa via in Italia specialmente la filosofia e la teologia, ma anche la teologia e il diritto, hanno cominciato a seguire strade molto diverse per non incontrarsi più, salvo accidenti del caso.

Pertanto oggi sembra del tutto normale che la cultura teologica non abiti più nelle Università pubbliche. Eccezion fatta per qualche spazio residuo recuperato in materie affini, da quelle più tradizionalmente vicine – come quelle filosofiche (con insegnamenti anche di “Filosofia della religione”) e giuridiche (l’insegnamento di “Diritto canonico” o “Diritto e religione” è presente negli studi giuridici e talvolta politici) – a quelle figlie di un rinnovato interesse per le scienze sociali, come quelle sociologiche (anche nella dimensione di una vera e propria “Sociologia delle religioni”), antropologiche o pedagogiche; che però in genere fanno tranquillamente a meno di una sufficiente cultura teologica. Come accade ad esempio nelle discipline storiche (“Storie delle religioni” o “Storia del Cristianesimo”) che – salvo forse eccezioni locali – utilizzano basi e metodi affatto storico e storiografici, senza avvertire l’esigenza di conoscenze teologiche.

L’assenza della teologia non è insomma avvertita come una mancanza. Anzi, negli ambienti accademici è molto diffusa l’idea che “la teologia non è una scienza”, per cui i teologi sono “affabulatori del nulla” (Cardia, 2001), oppure filosofi costretti a piegarsi alle esigenze di una verità confessionalmente orientata. Si tratta di un evidente pregiudizio figlio di una sottocultura areligiosa che vuole ascrivere l’universo spirituale all’area dell’irrazionalità, come tale necessariamente priva di metodo scientifico. Che tuttavia si basa su argomentazioni talvolta fondate, specialmente se si fa riferimento alla teologia insegnata nell’Ottocento.

Senza approfondire questi aspetti, occorre segnalare un dato di fatto inequivocabile: da 150 anni gli studi teologici in Italia sono chiusi nell’ambito di istituzioni confessionali, specialmente cattoliche, non sempre all’altezza della qualità della formazione universitaria e certamente in larga parte inclini alla necessità di salvaguardare conoscenze piuttosto catechistiche che non critiche, più ripetizione di fatti noti che non laboratori di ricerca. Si tratta sovente peraltro di scuole riservate ad una platea prevalentemente formata da ecclesiastici e apertamente indirizzata alla formazione intraecclesiale (quest’ultimo fenomeno ha toccato anche la Facoltà valdese, che pure è espressione di una scienza teologica più libera di quella comune alle scuole cattoliche). Anche le grandi Università romane, da quelle più antiche a quelle di più recente costituzione, sono rimaste frequentemente espressione di una necessità piuttosto didattica che non finalizzata alla ricerca. Comunque manifestazione di un mondo parallelo rispetto a quello delle Università pubbliche italiane, che restano affatto separate dalle istituzioni universitarie confessionali.

Tuttavia negli anni più recenti la teologia anche cattolica ha mostrato una capacità di crescita scientifica senza eguali. La teologia si è allontanata dalla ripetitività di schemi precostituiti ed ha avuto il coraggio di proporre piste di ricerca che hanno rinnovato con audacia la sua tradizionale ermeneutica. In particolare, teologi laici e teologhe (laiche e non laiche) hanno da un lato introdotto temi di ricerca nuovi e da un altro lato innovato il modo di vedere anche i temi di ricerca tradizionali. Necessità pastorali e un rinnovato attaccamento alla Parola di Dio hanno offerto nuovi punti di vista alla teologia cattolica; sensibilità ecumeniche e prassi dialogiche hanno aiutato ad utilizzare strumenti e metodi in grado di dissodare campi vecchi e nuovi. La teologia contemporanea non si presenta più come una scienza ripetitiva di formule morali o pastorali, ma come un luogo di riflessione scientifica e plurale sulla dimensione della relazioni umane sotto lo sguardo di Dio.

I Quaderni di diritto e politica ecclesiastica nel 2001 dettero vita ad un dibattito sulla possibilità di introdurre nuovamente la scienza teologica nelle Università italiane. La lettura degli interventi pubblicati in quel fascicolo rende ragione del percorso sviluppato negli ultimi quindici anni. Leggendo quelle pagine si avvertono gli echi di una questione allora forse posta ancora in modo prematuro. Con toni talvolta apologetici e tutto sommato acerbi, che meritano di essere oggi ripresi con uno slancio più adulto.

La questione religiosa contemporanea presenta contorni molto diversi dal passato. Questo impone una conoscenza approfondita delle religioni e delle loro teologie che l’Italia non può più permettersi di confinare solo in luoghi confessionalmente orientati. L’analfabetismo religioso produce danni sociali inimmaginabili, che non possono essere contrastati con una formazione religiosa minimale e minimalista. Abbiamo bisogno di sviluppare una scienza teologica viva e plurale. Per crescere le teologie hanno bisogno di spazi laici; e questi ultimi hanno bisogno della teologia.

Non vorrei essere frainteso, non credo che le Università italiane debbano cedere alla teologia; avverto crescere dal basso un bisogno sociale di ricerca e conoscenza teologica plurale che impone alle Università italiane di aprirsi laicamente alle scienze teologiche. Mi sembra che i tempi siano maturi per proseguire una riflessione possibilmente corale. Se mi è concessa una battuta: per evitare che altri Colleghi laici debbano in futuro scrivere un libro sulla teologia, senza averne però conoscenze sufficienti.

Pierluigi Consorti, Pubblicato il 15 luglio 2017 nel blog: Come se non di Andrea Grillo

www.cittadellaeditrice.com/munera/cultura-civile-e-teologia-7-la-mancanza-di-una-teologia-laica-p-consorti

 

È urgente rinnovare la teologia

La teologia, che regge il pensiero della Chiesa e ci dice per quale strada devono andare le decisioni della Chiesa, è più importante del papa, dei cardinali, dei vescovi, dei chierici, dei teologi, dei fedeli, delle leggi, dei riti, dei costumi, di tutto il resto che c’è nella Chiesa. La teologia, in fin dei conti, dice a tutti noi quello che Dio vuole e quello che Dio ordina. In maniera tale che il papa (qualsiasi) dice e ordina quello che la teologia gli dice. Per questo è così importante la teologia.

Il problema sta, come credo, nel fatto che ad un gran numero di cristiani non interessa la teologia. E quindi non sanno molto di teologia. Questo è comprensibile. Perché la teologia, che solitamente si insegna (dove questo si insegna), utilizza una serie di parole, concetti e criteri, che sono stati inventati dai greci dell’Antichità, ma in questi tempi la maggior parte della gente non sa neanche quello che vuole dire questo vocabolario, né a che cosa serve. Il centro, l’asse, il fondamento della teologia cristiana dovrebbe essere non il pensiero dei sapienti greci dell’Antichità. Ed ancor meno i miti religiosi precedenti al giudaismo, che nella Bibbia leggiamo come “Parola di Dio”. La teologia cristiana dovrebbe avere come centro, asse e fondamento quello che è l’origine ed il principio determinante del cristianesimo: quell’umile artigiano galileo che è stato di Nazareth: il suo modo di vivere, quello che ha fatto, quello che ha detto, quello che sono stati i suoi interessi e le sue preoccupazioni, quello Gesù che ha visto nella gente che ha conosciuto ed il “ricordo pericoloso” che quell’uomo così speciale ci ha lasciato.

Questo “ricordo pericoloso” di Gesù è stato scritto nel Vangelo, che si riassume e si raccoglie in quattro collezioni di racconti, i quattro vangeli, cioè la “teologia narrativa”, sommario decisivo di ogni possibile teologia che voglia definirsi “cristiana”. Il centro della teologia cristiana non può stare fuori del Vangelo. E non può essere teologia cristiana se non comporta un “ricordo pericoloso”. Ebbene, leggendo e rileggendo la teologia narrativa che ci presenta il Vangelo, in quest’insieme di racconti quello che subito si nota è che le tre grandi preoccupazioni, che hanno occupato e monopolizzato la vita di Gesù, sono state:

  1. La salute degli esseri umani (racconti di guarigioni, espresse nel “genere letterario” dei miracoli);

  2. L’alimentazione condivisa (i pranzi dei quali si parla tanto nei vangeli);

  3. Le relazioni umane (sermoni e parabole).

La fede, la relazione con il Padre, i sentimenti personali più profondi …, tutto nella vita di Gesù gira intorno a queste tre preoccupazioni. E queste preoccupazioni sono state così forti che Gesù le ha anteposte alle norme che imponevano i maestri della legge, alle osservanze dei farisei, all’autorità dei sommi sacerdoti. Fino al punto che questo gli è costato la vita. Gesù ha fatto tutto questo perché affermava con certezza che chi vedeva lui, vedeva Dio (Gv 14,7-9). Ossia, si è identificato con Dio. L’aspetto centrale nella vita di Gesù non è stato la religione. È stato umanizzare questo mondo così disumanizzato. Non ci dovrebbe preoccupare tanto il dialogo tra le religioni. Ci dovrebbe preoccupare quello che preoccupa tutti gli esseri umani: la salute, il cibo condiviso, le migliori relazioni umane. I tre pilastri di ogni possibile religione. Questo è stato il centro della vita di Gesù: umanizzare questa vita. In questo sta il cammino della speranza che ci porta a Dio.

José Maria Castillo teologo, “Religión Digital” (www.religiondigital.com), 6 luglio 2017

Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli

www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=numaut6383

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Troppe strutture accreditate. Stiamo lavorando per ripristinare la collegialità”

Prima del lavoro di prospettiva, c’è l’urgenza di metter mano a quello di ripristino della commissione. La Cai, la Commissione per le adozioni internazionali, ha infatti bisogno di un profondo intervento di ristrutturazione, dopo la gestione dell’ultimo triennio contraddistinta da un immobilismo accompagnato da profonde polemiche.

«Negli ultimi tre anni – commenta la vicepresidente Laura Laera, insediatasi il 15 giugno 2017 (il presidente della Cai è per legge il premier Gentiloni che non intende per ora delegare l’incarico) – l’attività della Cai non è stata sufficientemente valorizzata. La Commissione non ha funzionato in modo collegiale: da dicembre 2013 si è riunita solo una volta. Stiamo lavorando per ripristinare la collegialità e per questo stiamo procedendo alla verifica delle nomine per arrivare al più presto a una prima convocazione».

Le parole della vicepresidente fanno eco a quelle pronunciate mercoledì scorso alla Camera dalla ministra per i Rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro. Rispondendo all’interrogazione del leghista Marco Rondini, che chiedeva ragione del malfunzionamento della Cai durante la precedente gestione di Silvia Della Monica, Finocchiaro ha sottolineato che si sta procedendo «con scrupolo» alla verifica di eventuali irregolarità, in modo da poter ripristinare il corretto andamento della Cai e «potenziarne l’attività».

Dopo aver riattivato i contatti con il mondo esterno – a iniziare dalla casella mail della Commissione, da agosto scorso bloccata perché intasata dai messaggi che si erano nel frattempo accumulati – uno dei primi problemi da affrontare è quello del personale. La dotazione organica della Cai è di 22 persone. Ora sono presenti 12 funzionari, più una dirigente assegnata ad interim di recente. «Ci stiamo attivando – sottolinea Laera – per aumentare il personale e confido che nel giro di qualche settimana arriveranno i rinforzi».

Occorrerà, poi, fare i conti con il numero degli Enti accreditati: «Su questo tema bisognerà fare una riflessione. Sono troppi, come ci dice anche l’Europa – commenta la vicepresidente della Cai – soprattutto in un momento in cui diminuiscono le domande di adozione». Sul versante sia nazionale sia internazionale le richieste delle coppie adottive sono, infatti, in calo.

«Dipende da un fattore demografico e anche di precarietà sociale: meno coppie che si sposano e minori possibilità economiche per mettersi nella prospettiva di accogliere un bambino. Sul calo delle adozioni internazionali – aggiunge Laera – pesano anche altri elementi, a cominciare dalla perdita di fiducia nell’istituto dell’adozione a causa dei comportamenti di alcuni enti, della chiusura di determinati Paesi da cui i bambini provengono e anche dell’opacità sull’operato di taluni di essi. La gestione della Cai, inoltre, non ha contribuito a migliorare la situazione».

In tutto questo, la minacciata soppressione dei tribunali per i minori per sostituirli con sezioni specializzate nei tribunali ordinari – intervento contenuto nel disegno di legge sul processo civile al vaglio del Senato – sarebbe un ulteriore problema: «Si tratterebbe di un ritorno al passato, quando il sistema non funzionava», afferma Laera, che fino a poco tempo fa ha diretto il tribunale dei minori di Firenze.

Antonello Cherchi il sole240re 10 luglio 2017

www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2017-07-10/troppe-strutture-accreditate-063537.shtml?uuid=AEHWwnuB&refresh_ce=1

Rimborsi procedure adottive

Si comunica che sono in corso i rimborsi delle spese sostenute per le adozioni conclusesi nell’anno 2011 che saranno integralmente liquidati entro la fine del corrente anno 2017, nel rispetto dei criteri fissati dal DPCM del 4 agosto 2011.

Si informa altresì che, successivamente al DPCM del 4 agosto 2011, non vi è stato alcun provvedimento analogo che preveda il rimborso delle spese sostenute per le adozioni concluse dopo il 31 dicembre 2011. Pertanto, attualmente non verrà dato seguito ad ogni eventuale istanza di rimborso relativa agli anni successivi al 2011.

Comunicato stampa CAI 12 luglio 2017

www.commissioneadozioni.it/it/notizie/2017/rimborsi-procedure-adottive.aspx

 

Rimborsi per adozioni? «Siamo sorpresi, noi abbiamo stanziato risorse pensando proprio a quello»

Per Laura Laera «è una questione politica. Ad oggi non c’è un provvedimento che preveda il rimborso delle spese sostenute per le adozioni. Se ci sarà pagheremo. Fra l’altro si possono anche prevedere misure diverse da questa». L’onorevole Edoardo Patriarca: «In ogni legge di stabilità abbiamo cercato di mettere risorse, con l’intenzione che quei soldi andassero anche a sostenere i rimborsi delle spese adottive, oltre che per sostenere la CAI. Lavoreremo per trovare una soluzione»

Mercoledì la Commissione Adozioni Internazionali ha pubblicato un comunicato di poche righe, con due notizie: quella buona è che entro la fine del 2017 verranno liquidati integralmente i rimborsi per le adozioni concluse nel 2011, rimborsi che ancora erano in stand by. Quella cattiva è che per le famiglie che hanno adottato successivamente – dal 1 gennaio 2012 in poi – al momento non esiste alcun provvedimento che preveda rimborsi per le spese adottive. Queste famiglie pertanto allo stato attuale delle cose non riceveranno rimborsi delle spese sostenute e quindi in sostanza è inutile che presentino domanda di rimborso alla CAI, come invece sta accadendo, perché a quelle istanze non potrà essere dato seguito.

Tecnicamente il DPCM Giovanardi, dell’agosto 2011, prevede il rimborso delle spese adottive per chi ha adottato negli anni 2010 e 2011. Dopo di quello, nessun altro provvedimento stanzia esplicitamente risorse per i rimborsi delle spese sostenute per adozione e se non c’è una previsione esplicita, è impossibile “dirottarvi” risorse. Quindi non è una questione di “dove sono finiti i soldi” ma di pezzi che mancano nell’indicare esattamente per cosa devono essere utilizzati i soldi stanziati (oltre al fatto che di risorse ne servirebbero di più).

Laura Laera, vicepresidente della CAI, al telefono ribadisce quanto ha scritto nel comunicato: «Stiamo esaurendo i rimborsi relativi al DPCM Giovanardi. Dopo quel DPCM, per gli anni successivi al 2011, non c’è un provvedimento analogo che preveda il rimborso delle spese sostenute per le adozioni. Se ci sarà pagheremo. È una questione politica, fra l’altro si possono anche prevedere misure diverse da questa. Semplicemente con quel comunicato volevamo far sapere che entro l’anno pagheremo i rimborsi per il 2011, che mi sembra importante, e in secondo luogo dire alle famiglie che è inutile che in questo momento inoltrino domande per gli anni successivi, se e quando ci sarà da fare domanda ne daremo notizia. Attendiamo provvedimenti». E il Fondo per la Adozioni? L’errore è stato non esplicitare lì la voce rimborsi? «Non c’è un provvedimento che dice come impiegarle, ma in ogni caso non sarebbero abbastanza, non ci sono le risorse per fare la stessa cosa per tutti gli anni successivi al 2011».

Dopo il DPCM Giovanardi non c’è un provvedimento analogo che preveda il rimborso delle spese sostenute per le adozioni. Se ci sarà pagheremo. È una questione politica, fra l’altro si possono anche prevedere misure diverse da questa.

Come funzionano i rimborsi. Un passo indietro, per i non addetti ai lavori. Le coppie che adottano un bambino con l’adozione internazionale, oggi possono contare su una deduzione del 50% delle spese sostenute, dichiarate e certificate dall’ente. Il 50% rimanente veniva – appunto fino al 2011 – rimborsato in percentuali diverse a seconda del reddito della famiglia. I rimborsi quindi non si basano su una misura strutturale, ma hanno bisogno di essere rifinanziati di anno in anno. Cosa che non accade dall’agosto 2011. «Abbiamo sempre detto alle coppie che dopo il 2012 non esisteva alcun provvedimento, il comunicato della CAI tecnicamente porta elementi di realtà, ma d’altra parte è vero anche che sono state fatte delle promesse e che c’era la speranza che una parte dei fondi stanziati nel fondo adozioni potessero essere usati anche per i rimborsi», commenta Paola Crestani, presidente del CIAI. «La delusione è grande perché ci si rende conto ancora una volta che alla politica le adozioni non interessano.

Resta il fatto che non si sostengono le famiglie. Le adozioni internazionali non sono solo una forma di genitorialità, sono il garantire a un bambino il diritto di vivere in una famiglia, il valore più importante è questo e non viene valorizzato».

Sono 10mila i bambini adottati fra il 2012 e il 2015, più altri circa 2mila entrati nel 2016 (mancano ancora i dati ufficiali): «Numeri non da poco, che non solo alimentano malcontento e rabbia di chi ha accolto con l’adozione un bambino abbandonato» dice Marco Griffini, presidente di AiBi-Amici dei Bambini, ma soprattutto una scelta politica che «inevitabilmente allontana sempre di più da questa meravigliosa forma di accoglienza. Coppie e famiglie non avendo più la certezza di un rimborso avranno molte più titubanze e difficoltà oggettive ed economiche nell’intraprendere l’iter adottivo. Urge un intervento del Governo, una conferenza Nazionale sull’adozione internazionale perché non si può lasciar morire così l’accoglienza dei minori abbandonati».

Dal 2011 al 2015 non sono mancati i tentativi di ricordare alla politica questo tema, per chiedere un DPCM analogo a quello di Giovanardi o per far inserire in legge di stabilità risorse specifiche per la voce rimborsi: «come CEA ci siamo molto impegnati sin dall’autunno 2011 perché le famiglie avessero delle certezze, anche piccole ma certe, rispetto a questo tema, anche proponendo meccanismi differenti dai rimborsi, legati alla detraibilità e deducibilità», spiega Cristina Nespoli, portavoce del CEA, ricordando la campagna #adozionebenecomune che aveva coinvolto parlamentari di tutti gli schieramenti. «Oggi non siamo sorpresi, il problema era noto, altrimenti non ci saremmo impegnati tanto. Il fatto è che tutti questi emendamenti sono sempre stati bocciati, anno dopo anno».

Da due anni esiste però un fondo per le Adozioni Internazionali, istituito con la legge di Stabilità 2016: per la prima volta le adozioni hanno un fondo dedicato, prima dal punto di vista delle risorse afferivano al Dipartimento per le Politiche per la Famiglia (hanno continuato ad esserlo quindi anche dopo che il Ministero della Famiglia è sparito). Il fondo è istituito «allo scopo di sostenere le politiche in materia di adozioni internazionali e di assicurare il funzionamento della Commissione Adozioni Internazionali» e ha avuto uno stanziamento di 15 milioni di euro per l’anno 2016, aumentati di 5 milioni per l’anno 2017.

Lo stanziamento dei 5 milioni aggiuntivi, arrivato grazie a un emendamento a prima firma di Lia Quartapelle, è peraltro esplicitamente motivato dal «fine di assicurare il sostegno alle famiglie che hanno concluso le procedure di adozione internazionale». Anche il DPCM Giovanardi prevede che il rimborso delle spese adottive «viene erogato nei limiti delle disponibilità esistenti sul capitolo 538, denominato Fondo per il sostegno delle adozioni internazionali, del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei Ministri»: sembrerebbe quindi che anche una parte del nuovo Fondo per la Adozioni Internazionali potrebbe essere destinata ai rimborsi, se arrivasse un apposito DPCM. Manca solo «un pezzettino».

Noi siamo stupiti: in ogni legge di stabilità abbiamo cercato di mettere delle risorse per le adozioni internazionali, con l’intenzione che quei soldi andassero anche a sostenere i rimborsi delle spese adottive, oltre che ovviamente per sostenere la CAI.

Sara De Carli Vita.it 14 luglio 2017

www.vita.it/it/article/2017/07/14/rimborsi-per-adozioni-siamo-sorpresi-noi-abbiamo-stanziato-risorse-pen/144024

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CONSULTORI FAMILIARI

Consultorio “La Bussola” Cerea (VR). Convegno:

25 novembre 2017- Dono e perdono nei legami d’amore.

Interviene Roberto Mancini – Università di Macerata. www.manciniroberto.it

www.cfc-italia.it/cfc/images/dono_e_perdono.jpg

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Alessandria. Consulenti familiari: una nuova opportunità di formazione

Ad Alessandria un corso di formazione promosso dal consultorio Ucipem per nuovi operatori da affiancare ai volontari già attivi. Il consultorio in collaborazione con il Csva, propone anche per quest’autunno un corso di formazione funzionale a formare nuovi operatori che svolgano la preziosa attività di consulenti familiari. La consulenza familiare, attività svolta dal Consultorio alessandrino, è un intervento socio-educativo finalizzato ad aiutare l’individuo, la coppia o la famiglia ad attivare le risorse interne per risolvere le problematiche momentanee presenti nella propria vita.

Negli anni è cresciuta la richiesta di questa specifica consulenza e, alla luce di ciò, il Consultorio ha scelto di attivare un corso funzionale a formare nuovi operatori che possano affiancare i volontari già attivi presso l’associazione nel proprio importantissimo ruolo di consulenti a favore delle persone e delle famiglie in difficoltà. Ecco perché, alle persone che, a seguito di un colloquio conoscitivo e motivazionale, si renderanno disponibili ad attivare, successivamente, un rapporto di collaborazione volontaria con l’associazione sarà garantito l’accesso al corso e concessa una significativa riduzione del costo di iscrizione previsto.

Quello proposto è un percorso formativo permette ai partecipanti di acquisire una qualificazione professionale oggi sempre più richiesta in diversi ambiti di attività. Le lezioni si svolgeranno nei giorni di sabato e domenica, a partire da ottobre. Il corso, in particolare, si rivolge a professionisti che già operano in campo sociale o educativo (insegnati, educatori, sociologi, Oss, infermieri, ostetriche, psicopedagogisti) ma anche a giovani diplomati, operatori e professionisti che desiderano lavorare in ambito ambulatoriale e a chiunque voglia intraprendere un percorso personale di conoscenza di sé.

Per la realizzazione dell’iniziativa, infatti, il Consultorio Familiare si avvale della collaborazione del CISPeF quale ente specializzato, finalizzato alla formazione, in particolare dei consulenti familiari, con metodologia e docenti propri opportunamente formati nell’ambito della consulenza familiare.

www.consultorioal.it/formazione/

http://novionline.alessandrianews.it/societa/consulenti-familiari-nuova-opportunita-formazione-19464.html

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CONVIVENZE

Guida legale sulla famiglia di fatto. I contratti di convivenza

Che cos’è la famiglia di fatto. Il concetto di “famiglia” ha subito negli anni importanti cambiamenti. Se all’epoca dell’assemblea costituente per famiglia, dal punto di vista giuridico, si intendeva essenzialmente un’unione stabile di due persone di sesso opposto finalizzata alla filiazione, negli ultimi anni (in particolare, nell’ultimo ventennio) tale concetto ha subito importanti trasformazioni dettate dal dinamismo etico e culturale che caratterizza la società attuale.

Non ogni convivenza more uxorio, cioè non ogni condizione di due soggetti che condividono esperienze comuni senza che sia stato contratto matrimonio, può generare sul piano giuridico una famiglia di fatto. Occorre infatti l’elemento, di fatto appunto, del “convivere come famiglia”: non basta il singolo evento episodico, ma occorre che vi sia una vera e propria comunione d’intenti tra conviventi (caratterizzata da stabilità, solidità del vincolo e non occasionalità), un convivere “come se” si fosse marito e moglie.

Le prime pronunce. In tal senso una delle prime pronunce della Corte di Cassazione (in particolare, la sentenza n. 6381 dell’8 giugno 1993) ha ammesso l’esistenza di un centro di imputazione di interessi diverso ed autonomo rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio, affermando che: “tale convivenza, ancorché non disciplinata dalla legge, non contrasta né con norme imperative, non esistendo norme di tale natura che la vietino, né con l’ordine pubblico, che comprende i principi fondamentali informatori dell’ordinamento giuridico, né con il buon costume, inteso (…) come complesso dei principi etici costituenti la morale sociale di un determinato momento storico”.

Requisiti della famiglia di fatto. Per potersi parlare di famiglia di fatto è necessaria, più nel dettaglio, la sussistenza di quattro importanti requisiti: la convivenza qualificata, il riconoscimento nella società della coppia come famiglia, la stabilità della relazione affettiva che lega i conviventi e la mancanza di un atto di matrimonio.

Rilevanza nell’ordinamento della famiglia di fatto. Per quanto riguarda i figli, a seguito dell’emanazione del decreto legislativo numero 154/2013 il nostro ordinamento non fa più alcuna distinzione tra figli legittimi e figli naturali, con la conseguenza che la loro posizione nell’ordinamento non è in alcun modo condizionata dall’essere parte di una famiglia di fatto.

Per la coppia di fatto, invece, le cose cambiano, in quanto (come vedremo meglio più avanti) il nostro ordinamento non equipara i rapporti interni ed esterni della stessa a quelli di due soggetti uniti in matrimonio.

La rilevanza giuridica della sola convivenza qualificata tra due persone, di conseguenza, è data da norme di legge speciali, quali, ad esempio, quelle che permettono l’accesso alla procreazione medicalmente assistita o quelle che legittimano il convivente a domandare la nomina dell’amministratore di sostegno per il suo partner. Altri casi in cui la convivenza assume rilevanza giuridica sono rappresentati dal diritto del convivente di astenersi dal testimoniare in un processo penale a carico del suo partner e dalla possibilità di subentrare nel contratto di locazione del compagno deceduto.

Ma le ipotesi sono molte altre ancora. I rapporti all’interno della famiglia di fatto. I rapporti all’interno della famiglia di fatto non subiscono alcuna differenza rispetto a quelli in essere nelle famiglie “tradizionali” solo per quanto riguarda le relazioni tra genitori e figli, con l’obbligo per entrambi i genitori conviventi di esercitare la normale responsabilità genitoriale e di mantenere, istruire ed educare la prole.

In capo ai partner, invece, non esistono i diritti e i doveri reciproci che il nostro ordinamento pone in capo ai coniugi. Tuttavia, deve considerarsi che le erogazioni di denaro compiute in favore del compagno sono tendenzialmente ricondotte dal nostro ordinamento a ipotesi di adempimento di obbligazioni naturali, ovverosia connesse a doveri morali o sociali reciproci, con la rilevante conseguenza che, a meno che non vi sia sproporzione tra l’elargizione e l’esigenza da soddisfare, manchi la spontaneità o vi sia incapacità del disponente, le somme elargite non devono essere restituite.

Lo scioglimento della famiglia di fatto. Se la coppia parte di una famiglia di fatto decide di cessare la propria convivenza per disaccordo, tra gli ex compagni non restano né obblighi né diritti reciproci. I beni di ciascuno tornano in capo esclusivamente a chi li ha comprati e lo stesso vale per la casa di abitazione.

I contratti di convivenza. Va a questo punto precisato che, con la legge numero 76/2016, sono stati formalizzati nel nostro ordinamento i cd. contratti di convivenza. Si tratta, in particolare, di accordi mediante i quali alla coppia di fatto è data la possibilità di regolare la convivenza, i rapporti patrimoniali e alcuni specifici aspetti dei rapporti personali, oltre che gli aspetti economici dell’eventuale cessazione della convivenza. Per poter stipulare un contratto di convivenza, è necessario che le parti siano legate da un vincolo affettivo e convivano more uxorio.

Morte del partner. Quando, infine, muore un membro della coppia appartenente a una famiglia di fatto, lo stesso non ha dei diritti successori riconosciuti automaticamente dal nostro ordinamento (come, invece, avviene per il coniuge) e potrà beneficiare di parte dell’eredità del defunto solo se questi lo abbia nominato erede per testamento.

Approfondimenti in materia di famiglia di fatto. Va ai link

  • La famiglia di fatto: posizione giuridica e aspetti patrimoniali

  • Radici normative della famiglia di fatto

  • I rapporti tra i conviventi

  • Il dovere di mantenimento nella famiglia di fatto

  • Il dovere di mantenimento ed affidamento dei figli nella famiglia di fatto

  • Famiglia di fatto e assegno divorzile. Quando la nuova convivenza fa perdere il diritto al mantenimento

Newsletter Giuridica Studio Cataldi 10 luglio 2017

www.studiocataldi.it/guide_legali/famiglia-di-fatto

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DALLA NAVATA

15° Domenica del tempo ordinario – Anno A – 16 luglio 2017

Isaia 55, 11 …così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata.

Salmo 65, 10 Così prepari la terra: ne irrìghi i solchi, ne spiani le zolle, la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli.

Romani 08, 18 Ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi.

Matteo 13.10. «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato.

 

“Il seminatore uscì a seminare. Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).

L’ordo liturgico ci fa ascoltare per tre domeniche alcune parabole raccolte in Matteo 13, il terzo lungo discorso di Gesù in questo vangelo, detto appunto “discorso parabolico”. Il tempo dell’ascolto entusiasta di Gesù da parte delle folle sembra esaurito e ormai si è palesata l’ostilità dei capi religiosi giudaici, che sono giunti alla decisione di “farlo fuori” (cf. Mt 12,14).

Sì, è accaduto così e accade così anche oggi nei confronti di chi predica e annuncia veramente il Vangelo. E noi possiamo essere non solo perplessi, ma a volte sgomenti: ogni domenica nella nostra terra d’Italia più di dieci milioni di uomini e donne che credono, o dicono di credere, in Gesù Cristo si radunano nelle chiese per ascoltare la parola di Dio e diventare eucaristicamente un solo corpo in Cristo. Eppure constatiamo che a questa partecipazione alla liturgia non consegue un mutamento: non accade qualcosa che manifesti il regno di Dio veniente. Perché succede questo? La parola di Dio è inefficace? Chi la predica, predica in realtà parole sue? E chi ascolta, ascolta veramente e accoglie la parola di Dio? E chi l’accoglie, è poi conseguente, fino a realizzarla nella propria vita?

Quando Matteo scrive questa pagina che presenta Gesù sulla barca intento ad annunciare le parabole, interrogativi simili risuonano anche nella sua comunità cristiana. I cristiani, infatti, sanno che la parola di Dio è dabar, è evento che si realizza; sanno che, uscita da Dio, produce sempre il suo effetto (cf. Is 55,10-11): e allora perché tanta Parola predicata, a fronte di un risultato così scarso? Ma le parabole di Gesù, racconti che vogliono rivelare un senso nascosto, ci possono illuminare. Gesù fa ricorso alla realtà, al mondo contadino di Galilea, a ciò che ha visto, contemplato e pensato, perché si dava del tempo per osservare e trovare ispirazione per le sue parole, che raggiungevano non gli intellettuali, ma gente semplice, disposta ad ascoltare. Avendo visto più volte il lavoro dei contadini, così Gesù inizia a raccontare, con parole molto note, che per questo vanno ascoltate con ancor più attenzione:

Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti!

In questa parabola stupisce la quantità di seme gettato dal seminatore, e chi non sa che in Palestina prima si seminava e poi si arava per seppellire il seme, potrebbe pensare a un contadino sbadato. Invece il seme è abbondante perché abbondante è la parola di Dio, che deve essere seminata, gettata come un seme, senza parsimonia. Ma il predicatore che la annuncia sa che ci sono innanzitutto ascoltatori i quali la sentono risuonare ma in verità non l’ascoltano. Superficiali, senza grande interesse né passione per la Parola, la sentono ma non le fanno spazio nel loro cuore, e così essa è subito sottratta, portata via. Ci sono poi ascoltatori che hanno un cuore capace di accogliere la Parola, possono addirittura entusiasmarsi per essa, ma non hanno vita interiore, il loro cuore non è profondo, non offre condizioni per farla crescere, e allora quella predicazione appare sterile: qualcosa germoglia per un po’ ma, non nutrito, subito si secca e muore. Altri ascoltatori avrebbero tutte le possibilità di essere fecondi; accolgono la Parola, la custodiscono, sentono che ferisce il loro cuore, ma hanno nel cuore altre presenze potenti, dominanti: la ricchezza, il successo e il potere. Questi sono gli idoli che sempre si affacciano, con volti nuovi e diversi, nel cuore del credente. Queste presenze non lasciano posto alla presenza della Parola, che viene contrastata e dunque muore per mancanza di spazio. Ma c’è anche qualcuno che accoglie la Parola, la pensa, la interpreta, la medita, la prega e la realizza nella propria vita. Certo, il risultato di una semina così abbondante può sembrare deludente: tanto seme, tanto lavoro, piccolo il risultato… Ma la piccolezza non va temuta: ciò che conta è che il frutto venga generato!

Questi racconti in parabole non erano comuni tra i rabbini del tempo di Gesù, e anche per questo i discepoli gli chiedono conto del suo stile particolare nell’annunciare il Regno che viene. Gesù risponde loro con parole che ci stupiscono, ci intrigano e ci chiedono grande responsabilità: “A voi è stata consegnata la conoscenza dei misteri del regno dei cieli”. Nel passo parallelo di Marco, a cui Matteo si ispira, queste parole di Gesù sono ancora più forti: “A voi è stato consegnato il mistero del regno di Dio” (Mc 4,11). Sì, proprio ai poveri discepoli è stato affidato e consegnato, da Dio (passivo divino), ciò che riguarda il suo regno. Per dono di Dio essi hanno accesso a una conoscenza che li rende capaci di vedere il velo alzato sul mistero, su ciò che era stato nascosto per essere svelato. Non è un privilegio per i discepoli, ma una grande responsabilità: a loro è stata data la conoscenza di come Dio agisce nella storia di salvezza!

Ecco però, subito dopo, l’annuncio di una contrapposizione: vi sono invece altri che vedendo non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono, restando chiusi nella loro autosufficienza, nella loro autoreferenzialità religiosa. E si badi bene ai semitismi di queste parole di Gesù, ispirate al profeta Isaia (cf. Is 6,9-10): esse non vogliono indicare arbitrio da parte di Dio, il quale consegnerebbe il Regno ad alcuni e lo negherebbe ad altri. Si deve invece comprendere che chi è destinatario della parola predicata da Dio e non l’ascolta, ma la lascia cadere, non resta nella situazione di partenza. La “parola di Dio”, sempre “viva ed efficace” (Eb 4,12), quando è accolta, salva, guarisce e vivifica; al contrario, quando è rifiutata, causa la malattia della sclerocardia, della durezza del cuore, che diventa sempre più insensibile alla Parola, sempre più incapace di sentirsi toccato e ferito da essa. È così, ma non per volontà di Dio, bensì per il rifiuto da parte dell’essere umano: gli viene offerta la vita, ma non la accoglie, e di conseguenza va verso la morte…

Sovente il popolo di Israele, ma anche il popolo dei discepoli di Gesù, ha un cuore indurito, ha orecchi chiusi, ha occhi accecati, e così non solo non comprende ma neppure discerne la parola del Signore e non fa nessun tentativo di conversione, di ritorno a Dio, il quale sempre ci attende per guarire i nostri orecchi e i nostri occhi. Basterebbe riconoscere e affermare: “Siamo ciechi, siamo sordi, parlaci Signore!”. Eppure quella dei giorni terreni di Gesù era “un’ora favorevole” (2Cor 6,2), l’ora della visita di Dio (cf. Lc 19,44), l’ora della misericordia del Signore (cf. Lc 4,19). Perciò Gesù dice ai discepoli che lo circondano: “Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti dell’antica alleanza hanno desiderato di essere presenti nei giorni del Messia, hanno sognato di vederlo in azione e di ascoltare le sue parole, ma a loro non è stato possibile. Voi invece, voi che ho chiamato e che mi avete seguito, avete potuto vedere con i vostri occhi e ascoltare con i vostri orecchi”. Addirittura il discepolo amato potrà aggiungere, con audacia: “Avete potuto palpare con le vostre mani la Parola della vita” (cf. 1Gv 1,1). Non un’idea, non un’ideologia, non una dottrina, non un’etica, ma un uomo, Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio, venuto da Dio! “Voi lo avete incontrato e ne avete fatto esperienza con i vostri sensi. Sì, beati voi!”.

Dunque, a noi che ogni domenica ascoltiamo la Parola e accogliamo la sua semina nel nostro cuore, non resta che vigilare e stare attenti: la Parola viene a noi e noi dobbiamo anzitutto interiorizzarla, custodirla, meditarla e lasciarci da lei ispirare; dobbiamo perseverare in questo ascolto e in questa custodia nel nostro cuore; dobbiamo infine predisporci alla lotta spirituale per custodirla, farle spazio, difenderla da quelle presenze che ce la vorrebbero rubare. In breve, basta avere fede in essa: la Parola, “il Vangelo è potenza di Dio” (Rm 1,16).

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11613-il-seminatore-usci-a-seminare

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DIVORZIO

Quanto tempo prima di risposarsi?

Necessario il passaggio in giudicato e l’annotazione della sentenza. Per la donna vige il c.d. “lutto vedovile”. Per convolare a nuove nozze è necessario che sia intervenuto il divorzio quanto al precedente rapporto. L’iter per giungere allo scioglimento del precedente matrimonio, tuttavia, consta di tempi variabili in relazione alla procedura scelta dagli ex coniugi.

Per proporre domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio è necessaria la preventiva e ininterrotta separazione tra le parti: la legge richiede che siano trascorsi almeno 12 mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale, mentre sono richiesti solo 6 mesi nel caso di separazione consensuale.

Tale termine vale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile.

La sentenza di divorzio deve passare in giudicato. Ottenuta la sentenza di divorzio non è possibile risposarsi immediatamente: occorre che il provvedimento passi in giudicato, in quanto la legge stessa (Legge n. 898/1970, art, 4 co. 12) ammette l’appello immediato. Nello specifico, il termine per appellare è di 30 giorni laddove la sentenza sia stata notificata oppure, in caso contrario, è di 6 mesi decorrenti dalla pubblicazione della sentenza, ossia dopo che il provvedimento è stato depositato presso la cancelleria del Tribunale che l’ha emessa.

Le parti possono tuttavia manifestare il proprio interesse al passaggio in giudicato immediato tornando in Tribunale e apponendo la firma per acquiescenza e rinuncia all’impugnazione. Dalla firma oppure dopo che sono trascorsi i termini per impugnare, la sentenza passa in giudicato acquistando natura definitiva.

Quando la sentenza di divorzio sia passata in giudicato, dovrà essere trasmessa in copia autentica, a cura del cancelliere del Tribunale o della Corte che l’ha emessa, all’ufficiale dello stato civile del comune in cui il matrimonio fu trascritto, per le annotazioni e le ulteriori incombenze. Infatti, precisa ancora la legge, lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio hanno efficacia, a tutti gli effetti civili, dal giorno dell’annotazione della sentenza. Da quel momento il divorziato riacquista lo stato di libero e può convolare a nuove nozze.

Lutto vedovile e divieto temporaneo di nuove nozze. L’art. 89 del codice civile prevede un impedimento per la donna a contrarre nuove nozze, almeno finché non siano decorsi trecento giorni dallo scioglimento, dall’annullamento o dalla cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio.

Sono esclusi dal divieto i casi in cui è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale. Stessa situazione anche laddove il matrimonio non sia stato consumato o sia stato dichiarato nullo per impotenza, anche soltanto a generare, di uno dei coniugi.

Il c.d. “lutto vedovile”, infatti, fu inserito nel codice civile al fine di evitare la c.d. commixtio (o turbatio) sanguinis, ossia ogni possibile dubbio sulla paternità di un figlio nato nel periodo compreso nei menzionati 300 giorni.

La norma soggiunge, infatti, che il Tribunale può autorizzare il matrimonio quando è inequivocabilmente escluso lo stato di gravidanza o se dalla sentenza passata in giudicato risulta che il marito non ha convissuto con la moglie nei trecento giorni precedenti lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Il divieto, infine, cessa dal giorno in cui la gravidanza è terminata.

Il mancato rispetto del divieto è sanzionato dal codice civile: l’art. 140 c.c. (Inosservanza del divieto di contrarre nuove nozze) afferma che la donna che contrae matrimonio contro il divieto dell’articolo 89, l’ufficiale che lo celebra e l’altro coniuge sono puniti con la sanzione amministrativa da euro 20 a euro 82.

Lucia Izzo Newsletter Giuridica Studio Cataldi 10 luglio 2017

www.studiocataldi.it/articoli/26701-divorzio-quanto-tempo-prima-di-risposarsi.asp

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

De Palo (Forum Famiglie) “In Italia i figli sono una delle prime cause di povertà”

“È inutile chiedersi perché in Italia nascono sempre meno bambini… ce lo spiega oggi l’Istat: fare un figlio significa diventare poveri”. Lo dice Gigi De Palo, presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari commentando i dati sulla povertà presentati dall’Istat.

“In Francia, appena superato il confine – continua –, avere 3 o più figli è una ricchezza per l’intero Paese e chi lo fa viene sostenuto e valorizzato. Da noi succede il contrario”.

Per De Palo “dobbiamo domandarci seriamente: i figli sono un bene comune? In Italia sembra di no. Per questo il Forum chiede alla politica scelte coraggiose introducendo una fiscalità che tenga conto dei componenti familiari”.

A settembre ci sarà la Conferenza sulla Famiglia e subito dopo l’ultima legge di stabilità di questo governo “non perdiamo un’altra occasione per essere ancorati al futuro. Trasformiamo i propositi in concretezza: in un Paese a nascita zero si dovrebbero incentivare le nascite, non mettere le famiglie nella condizione di impoverirsi per la nascita di un figlio”.

News Ai. Bi. 13 luglio 2017

www.aibi.it/ita/de-palo-forum-famiglie-in-italia-i-figli-sono-una-delle-prime-cause-di-poverta

 

Forum ad Avvenire. «Un Fisco per la famiglia? Il tempo ormai è maturo»

Il Forum sulle politiche familiari si è svolto presso la redazione romana di «Avvenire». A colloquio con diversi giornalisti del quotidiano c’erano il ministro per gli Affari regionali e con delega alla Famiglia Enrico Costa, di Alternativa popolare, l’ex consigliere di Renzi a Palazzo Chigi e ora membro della segreteria Pd Tommaso Nannicini, la deputata di Forza Italia e membro del Consiglio d’Europa Elena Centemero, e il portavoce del Forum delle Famiglie, Gigi De Palo. Era stato invitato anche un rappresentante per conto del M5S, ma non è intervenuto.

Una questione di giustizia e di equità fiscale. Ma anche di sopravvivenza per un Paese in piena crisi di denatalità. Il tema delle politiche familiari non è più un intruso nel dibattito pubblico, specie da quando la lunga crisi economica, tra le tante rinunce, ha comportato pure un ulteriore ‘taglio’ del numero dei neonati. Del resto era difficile che accadesse il contrario in un Paese nel quale i giovani non trovano lavoro e se lo trovano è precario, dove escono dalla famiglia di origine sempre più tardi e quando lo fanno magari è per andare all’estero.

Eppure, al di là di una consapevolezza più diffusa, le risposte concrete della politica a questa vera e propria emergenza sono state finora timide, parziali, provvisorie. Troppo poco, a fronte dei numeri da vertigine sfornati negli ultimi anni dall’Istat, per segnare una svolta e indicare al Paese una priorità. Una insufficienza sulla quale «Avvenire» ha chiamato a ragionare il mondo politico e associativo. Quali sono le proposte sul tappeto a sostegno della famiglia? Cosa può essere fatto subito e quali sono i programmi per la prossima legislatura? Si potrà finalmente arrivare a una riforma fiscale che tenga conto dei carichi familiari?

De Palo: «Siamo preoccupati perché da tanti anni non si fa nulla per la famiglia. C’è sempre una priorità o un’emergenza che finisce per mettere in secondo piano questo tema. E siamo preoccupati perché si è aggravata la crisi demografica e perché oggi la seconda causa della caduta in povertà in Italia, dopo la perdita del lavoro da parte del capofamiglia, è la nascita di un figlio. Da anni insistiamo sul fatto che questo problema va affrontato partendo dall’introduzione di una fiscalità più equa, perché oggi il fisco non è a misura di famiglia, ma al contrario la penalizza».

Centemero: «Non si può parlare di una politica familiare con un approccio settoriale, solo fiscale, ci vuole un intervento trasversale. Penso soprattutto ai servizi che mancano, penso al fatto che le donne hanno un ruolo e una responsabilità fondamentale nelle famiglie ma sono anche nel mercato del lavoro. Oggi viviamo in una condizione per cui entrambi gli stipendi sono necessari, anche quello della mamma. Questi sono aspetti centrali, non di secondo piano. Noi dobbiamo pensare a tutto ciò che va a supporto dei nuclei, a cominciare dagli asili, in un sistema di servizi che non può essere solo pubblico e deve avere natura sussidiaria. La crisi della natalità non è legata solo al tema delle tasse».

De Palo: «Ben vengano i servizi, ma oggi le famiglie non hanno la fiducia dello Stato, sembrano abbandonate a se stesse. Io non farei un figlio solo per ho l’asilo nido ma perché c’è una mentalità favorevole, perché il figlio viene considerato un bene comune, non un interesse privato. Lavorare su due fronti ci può stare ma noi pensiamo che l’aspetto fiscale dia una segnale molto più forte di fiducia».

Costa: «Sono d’accordo sul fatto che le politiche per la famiglia attengono a tutti i settori e che quelle a sostegno della natalità sono significative ma non risolutive. Non si è fatto nulla? Io mi sento di contestare questa affermazione perché c’è un piano progressivo che abbiamo avviato lo scorso anno nella legge di bilancio con una scelta significativa: abbiamo messo 600 milioni di euro su alcuni obiettivi che ritenevamo importanti, come punti di un piano pluriennale. Certo non sono passaggi risolutivi e devono rientrare in uno sforzo più ampio che ci è richiesto dal problema demografico italiano del quale siamo ben consapevoli: rispetto al 2008 abbiamo centomila bambini in meno l’anno, 100mila culle vuote, e l’età media della mamma alla nascita del primogenito è salita da meno di 25 anni del 1975 ai 31 anni di oggi. Da noi è mancata la stabilità e la coerenza delle misure, tutto era sperimentale, a tempo. Il bonus bebè è stato introdotto dal governo Berlusconi poi riproposto per tre anni ma ora scade. Noi abbiamo introdotto il bonus mamme e in due mesi sono state presentate 209 mila domande di sussidio, segno che il percorso di accesso funziona. Ora parte il bonus asilo nido, in Italia solo il 22-23% dei bambini lo frequenta, e dal 17 luglio l’Inps raccoglierà le domande per ottenere i mille euro l’anno. Sono due misure entrambe strutturali. Poi c’è il voucher baby-sitter avviato in fase sperimentale e che noi abbiamo rifinanziato, raddoppiando i fondi. Qualcosa quindi abbiamo fatto, certo, ora serve un salto di qualità per arrivare al riconoscimento della famiglia dal punto di vista fiscale».

Avvenire: «Benissimo i bonus. Ma c’è un problema di visione generale: possiamo puntare a un fisco che ragiona in termini di famiglia o questo argine non riusciremo a superarlo?»

Costa: «È un passaggio essenziale e la volontà politica di compierlo c’è. Può essere declinato in vari modi e anche con un percorso graduale. L’importante è che si arrivi al riconoscimento di un trattamento specifico dei carichi familiari dal punto di vista fiscale. È un principio di equità che deve essere affermato».

Nannicini «Io penso che il tempo sia più che maturo, non solo perché c’è la volontà politica ma perché c’è stato un salto di qualità nel dibattito pubblico. Questo passaggio si inserisce in un cronoprogramma di interventi, parlo per la mia parte politica, in cui la riduzione del carico fiscale su tutte le basi imponibili ha seguito il percorso previsto: prima i redditi medio- bassi con gli 80 euro quindi il taglio strutturale dell’Irap e dell’Ires, la decontribuzione del costo del lavoro. Poi, come è sempre stato detto dal Pd, una vera riforma dell’Irpef che deve inglobare non solo una riduzione del carico fiscale ma anche una graduazione in base ai carichi familiari. La riduzione delle aliquote dovrà essere asimmetrica».

Avvenire: «C’è sempre un però che impedisce di arrivare al dunque.»

Nannicini: «Ho fatto un elenco di quattro cose, tre sono state fatte e ora ci possiamo occupare della quarta. Capisco la preoccupazione e sono d’accordo sul fatto che serve un segnale anche per aggredire il problema demografico che è politicamente poco sexy perché riguarda un futuro non immediato. Ma il Pd è un partito che vuole prendersi cura del futuro ed è determinato ad aggredire questo problema. Un problema da affrontare non solo con il fisco ma anche con i servizi e attraverso politiche indirette per favorire l’emancipazione dei giovani dalla famiglia di origine, deduzioni fiscali sugli affitti, contratti di lavoro che portino alla stabilizzazione. Servono misure per favorire l’occupazione femminile e fare in modo che non ci sia una contraddizione tra l’avere un figlio e cercare un lavoro e anche una maggiore flessibilità degli orari dei servizi pubblici in modo da non imporre costi impropri alle famiglie. Tutti strumenti da pensare assieme, una strategia integrata. Io apprezzo il contributo del Forum delle famiglie e in particolare l’invito alla concretezza, a dare subito un segnale forte alle famiglie con la leva fiscale, e quello alla strutturalità delle misure, superando la frammentazione ed evitando la tentazione di ogni governo a mettere la sua bandierina. Serve un messaggio forte, chiaro e semplice, ricordando che insieme alla natalità va incoraggiata l’occupazione femminile».

Avvenire: «Negli ultimi anni anche in Francia gli strumenti fiscali hanno funzionato peggio di prima perché nascevano i bambini ma non c’erano più le famiglie: il 70% dei neonati è fuori dal matrimonio. Gli interventi non devono essere destinati solo al sostegno fiscale ci deve essere un ‘favor familiae‘, un clima che si respira. Come in Trentino. Il governo cerchi almeno di favorire le reti locali che hanno dato buona prova».

Costa: «Concordo sul fatto che dobbiamo lavorare per tutelare la famiglia in tutti gli ambiti, anche quello educativo, a esempio la legge sulla legalizzazione della cannabis mi pare un messaggio sbagliato. Oggi le famiglie sono sottoposte a un bombardamento come soggetti consumatori, sono viste come un pollo da spennare. Sul gioco d’azzardo ad esempio c’è una spesa enorme favorita dalla capillarizzazione dei punti gioco sul territorio, un meccanismo che coinvolge soprattutto i soggetti più vulnerabili».

Avvenire: «Da qui a fine legislatura ci può essere un primo segnale?»

Nannicini: «La prima cosa è capire le priorità delle legge di bilancio e vedere se la riforma fiscale può essere messa in programma per l’autunno o per la prossima legislatura. Intanto si può cominciare con un riordino delle misure esistenti. Mentre per favorire le convergenze bipartisan su scelte strutturali che restino al di là delle alternanze di governo si può lavorare a un documento serio, come un Libro bianco, da lasciare alla prossima legislatura, che contenga anche la simulazione dei costi dei provvedimenti fiscali, passaggio che permetterebbe di dare più concretezza al dibattito».

Avvenire: «Ma gli ultimi governi hanno dato un segnale diverso e opposto come l’operazione 80 euro che è costata 10 miliardi e non va in direzione delle famiglia perché premia i singoli contribuenti indipendentemente dai carichi. Il Fattore famiglia ha senso se mette in gioco risorse consistenti, altrimenti serve a poco».

Nannicini: Gli 80 euro erano uno strumento con altri obiettivi, la riduzione dei carichi esistenti sui ceti medio-bassi, e che interveniva all’interno di un sistema che resta basato sul reddito individuale. Ora abbiamo un altro obiettivo, quello di dare sostegno alle famiglie con figli e numerose. Bisogna dare certezza sulle misure per cui non bisogna mettere in discussione gli 80 euro. Ma dico che oggi il traguardo è realistico perché le tappe precedenti sono state raggiunte nonostante le risorse da trovare fossero consistenti: 10 miliardi per le imprese, 10 per gli 80 euro, 5 per l’Imu. Ora dobbiamo mobilitare altri 10 miliardi per l’Irpef ed è uno sforzo fattibile. Serve una misura universale, strutturale e semplice che deve favorire la scelta lavorative di entrambi i coniugi. Bisogna aiutare le famiglie numerose e aiutare ancora di più quelle in cui entrambi i genitori lavorano. La riforma dell’Irpef è una priorità del Pd, e se tocchiamo la leva fiscale lo facciamo per fare questo».

De Palo «Sono preoccupato perché percepisco un’unità di intenti anche seria e argomentata ma non abbiamo compreso che il tempo è finito. È angosciante pensare di attendere 3-4 anni solo per un primo passo. Insisto: è possibile pensare a una misura nella legge prossima di bilancio con una non belligeranza delle opposizioni? È ipotizzabile che nel programma elettorale dei partiti ci sia come priorità del primo anno di legislatura la modifica strutturale della fiscalità per la famiglia?»

Costa: «Io sono favorevole a intraprendere subito il percorso per valorizzare il rapporto tra numero di figli e prelievo fiscale. Ma dobbiamo discuterne collegialmente tenendo conto delle risorse a disposizione. Intanto si può pensare a forme meno ambiziose di un processo organico per socchiudere la porta e dare un segnale. Ad esempio potrebbe messo in campo un rafforzamento delle detrazioni fiscali per il secondo o per il terzo figlio. Non è ancora il fattore famiglia ma un passo in quella direzione. Un lavoro di preparazione è svolto anche dai gruppi di lavoro insediati in vista della Conferenza nazionale sulla famiglia, che si terrà a settembre».

Centemero: «Ci sono misure nelle ultime leggi di bilancio che gridano vendetta, come i 290 milioni del bonus cultura buttati via o quelli per le 400 borse di studio per i più eccellenti. Sono risorse che si possono dirottare subito a favore della famiglia. Oltre a questo intervenire in questo spazio di legislatura è molto complicato, ma se il governo farà qualcosa di buono non ci opporremo. Comunque se si tiene alto il tema nel dibattito pubblico si determinano le condizione politiche perché nella prossima legislatura chiunque governi faccia queste cose. Io però non sono abituata a promettere cose così alla buona. Per ogni intervento ci vogliono i soldi e se decido di metterli sul fattore famiglia non posso dimenticare il resto: serve un macchina con due pedali, il fisco e i servizi».

Nicola Pini Avvenire 9 luglio 2017

www.avvenire.it/attualita/pagine/un-fisco-per-la-famiglia-il-tempo-ormai-maturo

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Motu Proprio “Maiorem hac dilectionem”.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu-proprio_20170711_maiorem-hac-dilectionem.html

E’ stata pubblicata oggi la Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio Maiorem hac dilectionem con cui Papa Francesco stabilisce che “l’offerta della vita è una nuova fattispecie dell’iter di beatificazione e canonizzazione, distinta dalle fattispecie sul martirio e sull’eroicità delle virtù”.

Mons. Enrico Dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense, ha presieduto, il 2 giugno 2016, il Congresso peculiare della Congregazione delle Cause dei Santi sulla “offerta della vita”.

R. – Il messaggio centrale è questo: l’offerta della vita diventa una nuova, cioè una terza fattispecie – finora inedita – dell’iter di beatificazione e canonizzazione e si distingue dalle altre due fattispecie tradizionali, che sono il martirio e l’eroicità delle virtù. Il problema che subito ci si pone è questo: in che cosa consiste questa offerta della vita affinché sia valida ed efficace per la beatificazione di un Servo di Dio…

D. – Quali sono, appunto, i criteri?

R. – I criteri che il Papa indica sono cinque. Il primo e il secondo mi sembrano i più rilevanti. Deve trattarsi di un’offerta libera e volontaria della vita e di eroica accettazione propter caritatem – bisogna sottolineare questo – per la carità, per l’amore di Dio e del prossimo, di una morte certa e a breve termine e deve esserci un nesso – questo è il secondo criterio – tra l’offerta della vita e la morte prematura.

D. – Nel caso dell’offerta della vita è richiesto comunque il miracolo sia per la beatificazione che per la canonizzazione?

R. – Esattamente. La necessità del miracolo sia per la beatificazione e poi per la canonizzazione e, naturalmente, il miracolo deve essere avvenuto dopo la morte del Servo di Dio e per sua intercessione dimostrata.

D. – Ci può fare qualche esempio di circostanze in cui potrebbe avvenire questa offerta della vita?

R. – Questa scelta del Santo Padre è dovuta al fatto che alcune volte ci si è trovati in difficoltà durante lo svolgimento del processo canonico, cioè magari si è partiti con il processo sul martirio e poi si è dovuti passare al processo sull’eroicità delle virtù, che sono molto diverse tra di loro, perché in realtà non si capiva bene se si trattasse di una fattispecie o dell’altra, cioè se dell’eroicità della vita e delle virtù o del martirio. Ad esempio, tanto per fare dei casi che tutti conoscono: i casi del Servo di Dio, Salvo D’Acquisto, oppure il caso di Massimiliano Kolbe che fu beatificato per l’eroicità della vita e delle virtù e fu poi canonizzato per martiro. È evidente che c’era, come dire, qualche difficoltà nel procedere. Ora questa terza via consente di risolvere molti casi ambigui, perché qui non c’è bisogno, per esempio, che ci sia un persecutore, non c’è bisogno che ci sia l’odium fidei, soprattutto non c’è bisogno che ci sia l’effusio sanguinis, come sarebbe previsto invece per il martirio. Basta invece dimostrare – e questo è l’essenziale – questo nesso profondo tra un’offerta della propria vita e una morte prematura e accettata per amore di Dio e dei fratelli. Questo, per esempio, si potrebbe sostenere in alcuni casi di morte volontariamente accettata andando in soccorso di appestati, cioè mettendo a rischio la propria vita per il bene del prossimo.

Debora Donnini radio vaticana 11 luglio 2017

http://it.radiovaticana.va/news/2017/07/11/motu_proprio_del_papa_sullofferta_della_vita/1324376

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MINORI MIGRANTI

Tutore di un minore non accompagnato

Toscana, Sardegna, Abruzzo, Molise: sono le regioni che non hanno un Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza. Qui l’Autorità Garante nazionale ha stipulato direttamente protocolli d’intesa con i tribunali dei minori e emanato il bando che selezionerà gli aspiranti tutori: domande entro il 30 settembre 2017. Salgono così a 8 le regioni in cui è già possibile presentare domanda

Chi risiede in queste regioni e desidera candidarsi a diventare tutore di un minore non accompagnato può fare domanda direttamente all’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza entro il 30 settembre 2017. Queste regioni infatti non hanno un garante regionale e di conseguenza è la stessa Autorità nazionale ad aver stipulato protocolli d’intesa con i tribunali dei minori e emanato il bando (nel link il bando).

Per la Valle d’Aosta, anch’essa senza garante regionale, a seguito di una delega sottoscritta dall’Autorità garante, le attività connesse alla creazione dell’albo di tutore volontario vengono espletate dal Garante della regione Piemonte.

I privati cittadini in possesso dei requisiti di legge (vedi l’articolo 1 nel link dell’avviso pubblico) disponibili ad esercitare la rappresentanza legale di ogni minore arrivato in Italia senza adulti di riferimento e ad aver cura dei suoi interessi, ascoltare i suoi bisogni, coltivare le sue potenzialità e garantire la sua salute, senza la presa in carico domiciliare ed economica. Un titolo di studio e/o particolari capacità personali e professionali conseguite attraverso formazioni specifiche utili allo svolgimento della funzione di tutore volontario di minore straniero non accompagnato, la conoscenza di lingue straniere, comprovata da relativi certificati, l’esperienza concreta di assistenza ed accompagnamento dei minori stranieri non accompagnati all’interno di associazioni di volontariato o culturali o agenzie educative o ambiti professionali qualificati saranno considerati come particolarmente validi, al fine del supporto della candidatura.

(…) Gli aspiranti tutori volontari seguiranno un corso di formazione di 24/30 ore e verranno inseriti nell’albo che verrà istituito presso il tribunale per i minorenni competente della regione di residenza. Da questo albo il giudice selezionerà un tutore volontario per ogni minore o, nel caso di fratelli, il tutore sarà lo stesso per tutti i fratelli.

Nelle regioni che hanno un garante regionale, l’avviso di selezione verrà pubblicato dai garanti regionali. Lazio, Campania, Liguria e Provincia Autonoma di Bolzano hanno già pubblicato gli avvisi.

www.vita.it/it/article/2017/07/05/come-fare-per-diventare-tutore-volontario-di-un-minore-non-accompagnat/143911

Tutti i siti e i contatti dei diversi Garanti regionali sono nel link.

www.garanteinfanzia.org/rete-garanti

www.vita.it/it/article/2017/07/12/nuovi-bandi-per-tutori-volontari-di-minori-non-accompagnati/144002

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OMOADOZIONE

Il riconoscimento del provvedimento straniero di adozione da parte di coppia omoaffettiva

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 14987, 16 giugno 2017.

Nel giudizio di riconoscimento nello Stato italiano di un provvedimento giudiziale straniero di adozione di minore di età da parte di una coppia omogenitoriale, è necessario integrare il contraddittorio nei confronti dell’altro partner indicato come genitore nel titolo giudiziale in contestazione, la cui peculiarità consiste proprio nel fatto che la genitorialità adottiva viene riconosciuta congiuntamente e contestualmente a due partner di una coppia omoaffettiva.

La domanda di riconoscimento del titolo di filiazione formato all’estero, infatti, si fonda su un atto che ha un contenuto inscindibile e che produce l’effetto di costituire uno status bigenitoriale e non monogenitoriale in capo al minore di età e, di conseguenza, non può invocarsi un riconoscimento parziale degli effetti dell’atto in Italia, senza che l’altro genitore sia stato messo in grado d’interloquire nel giudizio in oggetto.

avv. Renato D’Isa 14 luglio 2017

https://renatodisa.com/2017/07/14/corte-di-cassazione-sezione-i-civile-sentenza-16-giugno-2017-n-14987/

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PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA

Attuazione della legge sulla Pma: i dati per il 2015

La Relazione annuale sullo stato di attuazione della Legge 40/2004 in materia di Procreazione medicalmente assistita (Pma), trasmessa al Parlamento lo scorso 30 giugno 2017, mostra che il quadro relativo al 2015 offre poche variazioni rispetto alla situazione dell’anno precedente. La novità del documento è però che per la prima volta vengono presentati, in maniera più dettagliata, anche i dati riguardanti i cicli effettuati con donazione di gameti che quest’anno sono stati 2.800 rappresentando il 2,9% di tutte le tecniche di Pma eseguite.

Dai dati, raccolti dal Registro nazionale Pma dell’Iss, emerge che considerando entrambe le tecniche di fecondazione, sia di I livello (inseminazione semplice) sia di II e III livello (fecondazione in vitro), dal 2014 al 2015 aumentano:

  • Le coppie trattate, che passano da 70.826 a 74.292 (aumento del 4,9%)

  • I cicli effettuati che da 90.957 diventano 95.110 (incremento del 4,6%)

  • I bambini nati vivi, che salgono da 12.720 a 12.836 (aumento dello 0,9%).

In calo le gravidanze gemellari e quelle trigemine mentre rimane costante l’età media delle donne che si rivolgono alle tecniche di Pma a fresco senza donazione di gameti: 36,7 anni.

Migliora l’efficienza delle tecniche di crioconservazione e pertanto attualmente diventa necessario, perché più aderente alla realtà dell’applicazione delle tecniche di Pma, descrivere l’efficienza con la “percentuale cumulativa di gravidanza su ciclo iniziato” che meglio fornisce la probabilità di ottenere una gravidanza per una donna che si sottopone a un ciclo di Pma, avendo anche l’opportunità di effettuare dei cicli di crioconservazione di ovociti e/o embrioni. Questo indicatore è in costante aumento e ha raggiunto il 24,8% nel 2015.

I dati disponibili sul primo anno e mezzo di applicazione della fecondazione con donazione di gameti ci dicono che la maggior parte dei gameti utilizzati nei trattamenti sono importati dall’estero: in particolare il 94,4% di ovociti ed il 75,9% di liquido seminale.

Per approfondire consultare “Relazione annuale sullo stato di attuazione della Legge 40/2004 in materia di Procreazione Medicalmente Assistita (Pma)

www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=2617

Giulia Scaravelli – Registro nazionale Procreazione medicalmente assistita, Iss 13 luglio 2017

www.epicentro.iss.it/focus/pma/relazione2017.asp?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=13luglio2017

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REVERSIBILITÀ

Va valutata anche la convivenza tra le due mogli

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, sentenza n. 16602, 5 luglio 2017

Per la Cassazione la convivenza prematrimoniale è fattore rilevante insieme all’entità dell’assegno riconosciuto alla ex e alla durata dei matrimoni. Tra i fattori rilevanti ai fini della determinazione della quota di reversibilità tra le due mogli del defunto (la ex e l’attuale convivente) emerge non solo la durata dei due matrimoni, ma anche l’entità dell’assegno riconosciuto alla ex coniuge, le condizioni economiche dei due e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali.

La vicenda. È questo quanto messo in rilievo dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza che ha rigettato il ricorso proposto da una delle due mogli di un uomo contro la seconda coniugata. Il giudice di merito aveva deciso che la pensione di reversibilità dello scomparso dovesse essere corrisposta in parti uguali.

Nonostante l’impugnativa di una delle due, la Corte territoriale ha precisato che il meccanismo divisionale non è uno strumento di perequazione economica fra le posizioni degli eventi diritto, ma è preordinato alla continuazione della funzione di sostegno economico assolta a favore dell’ex coniuge e del coniuge convivente durante la vita del dante causa, rispettivamente con il pagamento dell’assegno di divorzio e con la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniugi conviventi.

Reversibilità: rilevante anche la durata delle convivenze prematrimoniali. Pertanto, la ripartizione del trattamento economico andrebbe effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi quale l’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, le condizioni economiche dei due e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali.

Nulla di fatto per il ricorso per Cassazione dove la ex moglie contesta l’omessa considerazione della diversa durata dei due matrimoni contratti dal defunto con le parti in causa, in quanto si tratta di un dato già valorizzato dalla Corte di merito e non censurabile in sede di legittimità.

Ancora la parte lamenta che se l’ammontare della quota di spettanza dell’altra risultare superiore alla somma percepita quale assegno di divorzio il risultato apparirebbe iniquo, ma per i giudici di legittimità questa considerazione non è in grado di inficiare la motivazione della sentenza impugnata che risulta conforme all’indirizzo della Cassazione espresso in diversi precedenti (sent. 16093/2012, 6019/2014 e 21598/2014)

Lucia Izzo Newsletter Giuridica Studio Cataldi 10 luglio 2017 Sentenza

www.studiocataldi.it/articoli/26756-reversibilita-va-valutata-anche-la-convivenza-tra-le-due-mogli.asp

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SEPARAZIONE

Impossibilità di omologa dell’accordo tra coniugi “separati in casa”

Fermo restando che sul piano personale le parti hanno facoltà di comportarsi e autodeterminarsi come meglio credono, la loro volontà non può però piegare gli istituti giuridici sino a dare riconoscimento e tutela a situazioni le quali non solo non sono previste dall’ordinamento ma si pongono altresì in contrasto con i principi che ispirano la normativa in materia familiare.

L’ordinamento non può dare riconoscimento, con le relative conseguenze di legge, a soluzioni “ibride” che contemplino il venir meno tra i coniugi di gran parte dei doveri derivanti dal matrimonio, pur nella persistenza della coabitazione, la quale ex art. 143 cc costituisce anch’essa uno di questi doveri e rappresenta la “cornice” in cui si inseriscono i vari aspetti e modi di essere della vita coniugale; è vero che in costanza di matrimonio tale dovere può essere derogato, per accordo tra i coniugi, nel superiore interesse della famiglia, per ragioni di lavoro, studio ecc.. sì da non escludere la comunione di vita interpersonale, ma ciò non autorizza ad affermare la validità di un accordo (con le conseguenze di legge della separazione) volto a preservare e legittimare la mera coabitazione una volta che sia cessata la comunione materiale e spirituale tra le parti.

Redazione IL CASO.it [Doc. 3394] 11 luglio 2017 Testo allegato

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