NewsUCIPEM n. 653 – 11 giugno 2017

NewsUCIPEM n. 653 – 11 giugno 2017

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le “news” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali. Sono così strutturate:

  • Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.

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I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto delle news è liberamente riproducibile citando la fonte.

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01 ADOZIONE Un anno in famiglia per un bambino adottato vale 16 mesi.

02 Bambini adottati, 12 mesi in famiglia ne valgono 16.

03 ADOZIONI INTERNAZIONALI L’Etiopia sospende le adozioni: coinvolte 200 famiglie italiane.

03 ANONIMATO NEL PARTO Per conoscere le proprie origini vi è un unico e insuperabile limite.

04 ASSEGNO DI MANTENIMENTO Assegno al maggiorenne: può chiederlo anche l’altro genitore.

04 ASSEGNO AL MINORE Il mantenimento del minore e il genitore prevalente

05 Reato per madre che va a vivere con un altro e non mantiene i figli.

05 ASSISTENZA Al genitore che assiste figlio disabile è riconosciuto maggior carico.

06 CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 22\2017, 7 giugno 2017.

07 CINQUE PER MILLE Ormai è deciso: chi prende “troppo poco” non avrà nulla

08 C.E. I. Bassetti: la povertà è la mia maestra di vita.

13 DALLA NAVATA Santissima Trinità–- Anno A – 11 giugno 2017

13 Una comunione d’amore. Commento di Enzo Bianchi.

14 DIRITTI I diritti della donna incinta.

15 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI FattoreFamiglia. Ora è materia di studio all’università-

16 FRANCESCO VESCOVO DI ROMAPapa: l’apporto delle donne in campo educativo è “inestimabile”

16 GENITORI SEPARATI Non impedire ai figli di frequentare i nuovi compagni dei genitori.

17 MEETING DELLE FAMIGLIE Verso Dublino. Il Vangelo della famiglia, gioia per il mondo.

18 NEGOZIAZIONE ASSISTITAAddio se gli avvocati non informano adeguatamente i coniugi.

18 ONLUS – NON PROFIT Riforma 3°settore consente alle ass.ni di trasformarsi in fondazioni?

19 Variazione del Legale Rappresentante.

19 P. M. A. Procreazione Medicalmente Assistita informata.

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ADOZIONE

Un anno in famiglia per un bambino adottato vale 16 mesi”

Studio dell’Università Cattolica di Milano. “L’adozione è un contesto di vita favorevole per lo sviluppo e il recupero dei bambini: una sfida per i genitori e per tutto il contesto sociale”. Questa la conclusione assolutamente positiva nei confronti dell’adozione internazionale a cui arriva una ricerca promossa dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano.

Uno studio fondamentale che mette in risalto come un anno in famiglia, da figlio per un bambino adottato non vale dodici mesi, ma molto di più: sedici mesi. L’obiettivo della ricerca, sotto la supervisione del prof. Jesus Palacios dell’Università di Siviglia, in collaborazione con “Il Cerchio”, Centro Adozioni dell’ASL Milano 1 e l’Ospedale San Paolo di Milano, è stata realizzata fra il 2011 e il 2014. Lo scopo monitorare il primo anno di inserimento del bambino adottivo nella nuova famiglia, con un’attenzione specifica all’andamento delle relazioni familiari e alle possibilità di recupero dei bambini rispetto agli svantaggi iniziali, rispetto allo sviluppo fisico, cognitivo e psicosociale. Qualche tempo fa sui social giravano le “foto su come la gioia dell’adozione cambia i bambini” un giochino facile, basta scegliere due foto giuste, si potrebbe pensare. Ma è la realtà.

Come riporta Sara De Carli, nell’articolo Bambini adottati, 12 mesi in famiglia ne valgono 16 pubblicato da Vita ieri 08 giugno 2017, i ricercatori hanno incontrato il bambino entro due mesi dall’inserimento in famiglia, prima a casa e poi al Centro Adozioni. Un anno dopo il nuovo incontro si svolge presso il Centro Adozioni, con l’intera famiglia: viene ripetuta la somministrazione del test cognitivo al bambino e del questionario ai genitori. Sono state coinvolte le 62 famiglie seguite dal Centro Adozioni: 10 sono casi di adozione nazionale e 52 casi di adozione internazionale (tra cui cinque fratrie), per un totale di 68 bambini e 124 genitori.

Lo studio è presentato nel primo numero della neonata newsletter del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. “Dall’analisi degli itinerari di crescita compiuti dai bambini dal punto di vista cognitivo e del controllo emotivo è emerso che essere accuditi in una famiglia ha permesso loro di crescere con un’accelerazione superiore a quella dei coetanei, tanto che si potrebbe affermare che in un anno “abbiano vissuto 16 mesi”. Nel medesimo lasso di tempo hanno guadagnato in media 7 punti di quoziente intellettivo.

“L’adozione viene quindi confermata come un contesto di vita favorevole – conclude – per lo sviluppo e il recupero dei bambini: una sfida per i genitori e per tutto il contesto sociale”.

News Ai. Bi. 9 giugno 2017

https://www.aibi.it/ita/studio-delluniversita-cattolica-di-milano-un-anno-in-famiglia-per-un-bambino-adottato-vale-16-mesi/

 

Bambini adottati, 12 mesi in famiglia ne valgono 16

«Essere accuditi in una famiglia ha permesso loro di crescere con un’accelerazione superiore a quella dei coetanei, tanto che si potrebbe affermare che in un anno “abbiano vissuto 16 mesi”»: così una ricerca sul primo anno in famiglia dei bambini adottati, svolto dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano. In un anno i bambini guadagnano in media 7 punti di quoziente intellettivo

Un anno in famiglia, da figlio? Per un bambino adottato non vale dodici mesi, ma molto di più: sedici mesi. Lo ha evidenziato una ricerca triennale promossa dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano, sotto la supervisione del prof. Jesus Palacios dell’Università di Siviglia, in collaborazione con “Il Cerchio”, Centro Adozioni dell’ASL Milano 1 e l’Ospedale San Paolo di Milano. L’obiettivo della ricerca, realizzata fra il 2011 e il 2014, era monitorare il primo anno di inserimento del bambino adottivo nella nuova famiglia, con un’attenzione specifica all’andamento delle relazioni familiari e alle possibilità di recupero dei bambini rispetto agli svantaggi iniziali, rispetto allo sviluppo fisico, cognitivo e psicosociale. Qualche tempo fa sui social giravano le “foto su come la gioia dell’adozione cambia i bambini” (qui un esempio a caso): un giochino facile, basta scegliere due foto giuste, si potrebbe pensare. Ma è la realtà.

I ricercatori hanno incontrato il bambino entro due mesi dall’inserimento in famiglia, prima a casa e poi al Centro Adozioni. Un anno dopo il nuovo incontro si svolge presso il Centro Adozioni, con l’intera famiglia: viene ripetuta la somministrazione del test cognitivo al bambino e del questionario ai genitori. Sono state coinvolte le 62 famiglie seguite dal Centro Adozioni: 10 sono casi di adozione nazionale e 52 casi di adozione internazionale (tra cui cinque fratrie), per un totale di 68 bambini e 124 genitori. Lo studio è presentato oggi nel primo numero della neonata newsletter del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. «Dall’analisi degli itinerari di crescita compiuti dai bambini dal punto di vista cognitivo e del controllo emotivo è emerso che essere accuditi in una famiglia ha permesso loro di crescere con un’accelerazione superiore a quella dei coetanei, tanto che si potrebbe affermare che in un anno “abbiano vissuto 16 mesi”. Nel medesimo lasso di tempo hanno guadagnato in media 7 punti di quoziente intellettivo», si legge. «L’adozione viene quindi confermata come un contesto di vita favorevole per lo sviluppo e il recupero dei bambini: una sfida per i genitori e per tutto il contesto sociale»

Sara De Carli Vita.it 08 giugno 2017

www.vita.it/it/article/2017/06/08/bambini-adottati-12-mesi-in-famiglia-ne-valgono-16/143686

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

L’Etiopia sospende le adozioni internazionali: coinvolte 200 famiglie italiane

Il Governo dell’Etiopia ha deciso la sospensione a tempo indeterminato delle adozioni internazionali. Lo ha comunicato agli enti autorizzati l’ambasciata italiana ad Addis Abeba: il condizionale tuttavia sarebbe ancora d’obbligo dal momento che nemmeno l’ambasciata è ancora in possesso di un documento che ufficializzi questa decisione. L’Ambasciata, insieme agli altri Paesi coinvolti, è in contatto con le autorità del Paese per avere chiarimenti rispetto alle famiglie che hanno un iter di adozione già avviato.

Negli anni scorsi l’Etiopia è stato tra i primi Paesi di provenienza dei bambini adottati nel mondo: il report che la Commissione Adozioni Internazionali ha da poco pubblicato afferma che l’Etiopia è il «terzo paese di origine al mondo» ed è passata dai 1.539 minori adottati nel 2004 «a un picco di 4.553 minori adottati nel 2009, per concludere con 1.086 minori adottati del 2014, con una contrazione rispetto al picco del 76,1%».

Per quanto riguarda l’Italia nel 2013 l’Etiopia era il secondo paese di provenienza dei minori adottati, con 293 bambini (il 10,4%): nel 2014 sono stati 103 e nel 2015 sono scesi a 97, rimanendo l’ottavo Paese d’origine dei minori entrati in Italia per adozione. Il report Cai sul biennio 2014-2015 afferma che «tra i Paesi di origine in cui si stanno presentando maggiori problematiche si colloca la Repubblica Federale Democratica di Etiopia, in cui sono sorte numerose criticità. La Commissione ha incontrato una delegazione dell’Autorità Centrale di Etiopia ed ha proposto di negoziare un accordo bilaterale per rendere più trasparenti e sicure le procedure adottive.

Questa prospettiva al momento non ha avuto seguito. Alcuni Paesi di accoglienza (come Francia, Germania, Belgio, Danimarca, Spagna, Irlanda, Svezia e la Svizzera) hanno deciso di sospendere le adozioni internazionali dall’Etiopia». Il tempo medio intercorso fra la domanda di adozione e l’autorizzazione all’ingresso del minore in Italia è stato, per le adozioni concluse in Etiopia nel 2015, pari a 3,9 anni. Complessivamente sono 3.115 i minori originari dell’Etiopia adottati da famiglie italiane fra il 2000 e il 2015. Gli enti autorizzati alle adozioni nel Paese sono sette, secondo il sito della CAI: Aiau, Ami, Enzo B, Ciai, Centro Aiuti per l’Etiopia, Cifa, ICPLF. L’Etiopia non ha ratificato la Convenzione dell’Aja.

«Ci è giunta ieri la comunicazione dell’ambasciata italiana, noi non abbiamo nessuna famiglia né abbinata né in attesa sul Paese, da due anni non candidiamo nuove famiglie per l’Etiopia proprio perché la situazione era problematica e ci ha consigliato una posizione di estrema prudenza nell’invio di nuovi dossier», conferma Paola Crestani, presidente del Ciai. In questi due anni «ci è arrivata una segnalazione di un bambino e solo per quel bambino abbiamo fatto un abbinamento. In passato ci sono stati scandali per pratiche illecite, il Paese ha cambiato la procedura nell’ottica di una maggior cautela».

«Abbiamo ricevuto la comunicazione e avvisato le nostre coppie. I problemi sull’Etiopia sono noti da almeno un anno», afferma Gianfranco Arnoletti, presidente del Cifa, «abbiamo anche avanzato dei suggerimenti affinché la CAI incontrasse l’autorità etiope per cercare di gestire la fase transitoria e tutelare i bambini e le coppie con un iter di adozione già avviato, in analogia a quanto fatto in passato con la Cambogia». Cifa, spiega il presidente, ha instradato sull’Etiopia le ultime coppie «a fine 2014 o inizio 2015, facevamo 30/35 adozioni l’anno in quel Paese, nel 2016 ne abbiamo fatte tre. Avremo al massimo trenta coppie in carico, di cui quattro con il bambino abbinato da tempo. L’ambasciata ha chiesto di consegnare una “fotografia” delle coppie in attesa, con lo stato di avanzamento dell’iter, lo abbiamo già consegnato, mettendo in elenco anche le coppie solo instradate. Abbiamo provato a fare una stima, in tutto le coppie italiane che hanno un iter adottivo in Etiopia potrebbero essere 150/200». Per Arnoletti «il punto debole della procedura è il ruolo degli istituti: sono loro che assegnano i bambini, si fa un contratto fra l’ente per conto della coppia e l’istituto. Poi certo, quell’indicazione va confermata dalla sentenza, è solo una segnalazione, ma il fatto che sia lasciata alla gestione dell’istituto è un punto debole. Tolto questo, la procedura è controllata».

Sara De Carli Vita.it 08 giugno 2017

www.vita.it/it/article/2017/06/08/letiopia-sospende-le-adozioni-ma-un-documento-ufficiale-non-ce/143685

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ANONIMATO NEL PARTO

Il diritto del figlio a conoscere le proprie origini ha un unico e insuperabile limite.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 14162, 7 giugno 2017

Il diritto del figlio a conoscere le proprie origini trova il suo unico limite nella volontà della madre ogni qual volta essa esprima il diniego a svelare la sua identità.

Newsletter Sugamele.it. 11 giugno 2017 www.divorzista.org/sentenza.php?id=13794

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Assegno di mantenimento al maggiorenne: può chiederlo anche l’altro genitore

Corte di cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n.12972, 23 maggio 2017.

Il genitore, separato o divorziato, a cui il figlio sia stato affidato durante la minore età, è legittimato iure proprio ad ottenere dall’altro genitore il pagamento dell’assegno per il mantenimento del figlio, quale titolare di un diritto autonomo (e concorrente con quello del minore) a ricevere il contributo alle spese necessarie a detto mantenimento; e, pur dopo che il figlio è divenuto maggiorenne (ma non ancora autosufficiente), in assenza di un’autonoma richiesta di quest’ultimo, mantiene tale legittimazione, salvo il venir meno del rapporto di coabitazione

News Avvocato Renato D’Isa 5 giugno 2017 allegato il testo

https://renatodisa.com/2017/06/05/corte-di-cassazione-sezione-vi-civile-ordinanza-23-maggio-2017-n-12972

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO DEL MINORE

Il mantenimento del minore e il genitore prevalente

Presupposti del mantenimento del minore. Chi è il genitore affidatario prevalente. Se due genitori si separano, devono stabilirsi delle regole sull’affidamento dei minori nati dalla coppia, sulla loro residenza, sul mantenimento. Tale necessità riguarda anche le coppie non sposate.

www.laleggepertutti.it/123943_genitori-conviventi-e-mantenimento-del-minore

L’assegno di mantenimento a favore dei figli. Secondo la legge e in ossequio a quanto affermato a livello costituzionale [Art. 30 Cost.], entrambi i genitori sono obbligati a “mantenere” i propri figli, in proporzione alla proprio capacità reddituale. Nel rispetto del descritto presupposto, in caso di separazione, uno dei due genitori viene onerato del versamento di un assegno mensile a favore dell’altro coniuge, ma nell’interesse esclusivo del o dei propri figli.

La misura del predetto assegno può essere stabilita di comune accordo tra le parti (così come avviene nella separazione assistita o consensuale) oppure su provvedimento del giudice investito della controversia, nel caso di disaccordo tra i genitori.

In quest’ultima ipotesi, l’ammontare dell’onere è calcolato tenendo conto di vari fattori, quali ad esempio le esigenze del minore, il reddito dei coniugi, l’affidamento del figlio, ecc.

Se il genitore gravato dal mantenimento non ha i mezzi sufficienti per versarlo, la legge prevede che siano i nonni ad intervenire (tecnicamente definiti ascendenti).

Se, invece, il coniuge onerato del mantenimento del figlio non vuole adempiere ai suoi obblighi, il giudice può ordinare, ad esempio, che lo stipendio del medesimo sia versato in parte e direttamente all’altro genitore.

I provvedimenti giudiziali in caso di separazione: l’affidatario prevalente. Quando viene meno la comunione spirituale tra i due coniugi, purtroppo la separazione diventa quasi sempre inevitabile. Tale spiacevolissima circostanza, è accompagnato da frequenti controversie, poiché la separazione familiare comporta anche delle conseguenza da un punto di vista economico.

In quest’ottica è essenziale tutelare le esigenze dei figli, anche se maggiorenni, provvedendo e contribuendo al loro mantenimento. È altresì opportuno verificare se dalla separazione emerge un coniuge cosiddetto “più debole”, il quale dovrà essere “aiutato” dall’altro. È necessario, inoltre, stabilire la sorte dei beni facenti parte della vita familiare, quale ad esempio la casa coniugale.

Ebbene, tutte queste problematiche, unite alle altre, devono trovare una soluzione e una disciplina ordinaria, che si raggiunge o attraverso un accordo oppure per il tramite di un giudice. Purtroppo, quindi, spesso e volentieri, solo il Tribunale può risolvere le problematiche nascenti dalla separazione tra i coniugi, emettendo i provvedimenti, prima temporanei, e poi definitivi, che andranno a governare i rapporti tra marito e moglie a seguito del loro distacco spirituale, di fatto e giuridico.

Nell’ottica appena descritta, uno dei provvedimenti più importanti è sicuramente quello legato alla scelta del coniuge “prevalentemente” affidatario del o dei figli. Questi è colui a cui sarà sostanzialmente affidata la prole, presso il quale, cioè, la stessa sarà residente. Ciò non comporterà per l’altro genitore, alcun sostanziale impedimento alla frequentazione dei propri figli e tanto meno l’esclusione dalle decisioni più importanti (quelle tecnicamente definite di straordinaria amministrazione). Tuttavia, l’affidatario prevalente avrà diritto all’assegno di mantenimento per il figlio e anche all’assegnazione della casa coniugale (indipendentemente dalla titolarità dell’immobile).

Nella pratica, le descritte circostanze si realizzano a favore della madre, tipicamente individuata come genitore più debole (economicamente e socialmente). In tal senso difficilmente i giudici deviano dal convincimento secondo il quale sia preferibile non distaccare i figli dalla madre, tuttavia nulla vieta di dimostrare che per i figli sia meglio il contrario e che l’affidatario prevalente o anche esclusivo debba essere il padre. In altri termini non c’è una legge che impedisce tale conclusione. Ad esempio, è stato persino stabilito l’affido esclusivo dei minori a favore del padre, in presenza di un’instabilità affettiva a carico della madre [Cass. civ. sent. n. 26122.2013]. In questo, come in altri casi analoghi, il giudice può valutare l’affidamento al genitore escluso, come contrario all’interesse del minore [Art. 337 quater cod. civ.].

Marco Borriello La Legge per tutti 10 giugno 2017www.laleggepertutti.it/163099_il-mantenimento-del-minore-e-il-genitore-prevalente

 

Reato per la madre che va a vivere con un altro e non mantiene più i figli

Corte di cassazione – sesta sezione penale, sentenza n. 27788, 5 giugno 2017

La Cassazione ricorda che per essere esonerati dal versamento dell’assegno è necessario provare un’assoluta e incolpevole indigenza.

Se la mamma, dopo essere andata a vivere con il nuovo compagno, non versa più l’assegno ai figli stabilito in sede di divorzio dall’ex marito, rischia di essere condannata penalmente, a meno che non provi di trovarsi in uno stato di assoluta e incolpevole indigenza.

Assoluta e incolpevole indigenza. A tal proposito, con la sentenza numero, la Corte di cassazione ha chiarito che non sono sufficienti a giustificare il mancato assolvimento dell’obbligo economico stabilito dal giudice del divorzio il tenore delle buste paga, le risultanze delle dichiarazioni fiscali o la documentazione attinente lo stato di disoccupazione, essendo necessaria invece una valutazione complessiva della condizione in cui si trova l’obbligato.

Nel caso di specie, ad esempio, la madre insolvente era stata definita già dal giudice del merito come una donna ancora giovane che, però, si era rassegnata “alla penuria di offerte lavorative”.

Esenzione da responsabilità. Invece, la giurisprudenza costante, nelle diverse pronunce, ha richiesto ai fini dell’esenzione da responsabilità delle condizioni ben precise, parlando, di volta in volta, di prova:

  • Della assoluta impossibilità di contribuire al mantenimento della prole

  • Di una concreta e totale impossibilità di far fronte ai propri obblighi

  • Di una indigenza assoluta da parte dell’obbligato

  • Di uno stato di vera e propria indigenza economica.

Elementi che, insomma, non potevano dirsi sussistenti nel caso di specie, con la conseguenza che la condanna alla madre resta.

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_26378_1.pdf

Avv. Valeria Zeppilli Newsletter studio Cataldi 8 giugno 2017 sentenza

www.studiocataldi.it/articoli/26378-reato-per-la-madre-che-va-a-vivere-con-un-altro-e-non-mantiene-piu-i-figli.asp

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ASSISTENZA

Al genitore che assiste il figlio disabile va riconosciuto il maggior carico di accudimento.

Corte d’Appello di Genova, 29 maggio 2017

Figli nati fuori del matrimonio. Figlio maggiorenne portatore di handicap grave. Obblighi di assistenza, cura, mantenimento.

Il genitore convivente con il figlio disabile – nella fattispecie la madre – sopporta un maggior costo, anche in termini di risorse personali che impiega nel suo accudimento, che le impedisce di svolgere attività lavorativa, del quale occorre tener conto nella complessiva valutazione delle obbligazioni meramente economiche.

Il genitore che si disinteressa del figlio, che non ha mai provveduto ai suoi bisogni assistenziali e di cura personale e opta unicamente per l’adempimento dei suoi obblighi mediante versamento di un contributo economico, è tenuto a provvedervi in misura maggiore, tenuto conto del diverso e maggiore carico gravante sul genitore convivente.

Il contributo al mantenimento sarà versato direttamente dal datore di lavoro dell’obbligato, onde evitare ulteriore conflittualità tra le parti.

Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia 3 giugno 2017

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17506949/al-genitore-che-assiste-il-figlio-disabile-va-riconosciuto-il-maggior-carico-di-.html

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter n. 22\2017, 7 giugno 2017.

  • Contro l’abbandono dei neonati, ricordare la possibilità del parto anonimo in ospedale. Di fronte a recenti fatti di cronaca e al rinnovato dibattito anche legislativo, si propone oggi il breve spot che lanciava il progetto Madre Segreta, avviato a Milano diversi anni fa per sostenere le donne davanti ad una gravidanza che sembra essere intollerabile. Per non lasciarle mai sole, per aiutarle a compiere, nonostante ogni paura, il grande dono del dare la vita.

Quando nasce un bambino il mondo non è mai pronto” Wisława Szymborska Nobel 1996.

Allegati: 6 contenuti

cittametropolitana.mi.it/export/sites/default/affari_sociali/che_area_ti_interessa/Minori/madre_segreta/index.html

  • Giornata mondiale dei genitori. «Ringrazio Dio per i genitori che cercano di vivere nell’amore e vanno avanti anche se cadono tante volte lungo il cammino», così l’1 giugno 2017 Papa Francesco in un tweet dedicato alla Giornata mondiale dei genitori, che si celebra il primo giugno di ogni anno. La ricorrenza è stata proclamata dalle Nazioni Unite nel 2012 come segno di apprezzamento per l’impegno disinteressato per i bambini profuso dai padri e dalle madri di tutto il mondo. Per un commento sulle parole del Papa e le sfide che vivono oggi i genitori, Radio Vaticana ha intervistato Pietro Boffi, ricercatore del CISF e membro dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia.

http://it.radiovaticana.va/news/2017/06/01/tweet_del_papa_sui_genitori_vanno_avanti_anche_se_cadono_/1316216

  • Prevenire i divorzi. Sperimentazioni incoraggianti dagli stati uniti. Il Cisf ha partecipato alla 54.a Conferenza annuale dell’Afcc (Association of Family and Conciliation Courts), che raccoglie a livello statunitense (ma anche con referenti di altri Paesi) gli operatori del diritto di famiglia e dei servizi di mediazione e consulenza familiare, dal titolo Trasformare il caleidoscopio dei conflitti familiari in un prisma di armonia (dal 31 maggio al 3 giugno 2017, a Boston). Il punto più innovativo emerso dalle giornate, forse, viene da un gruppo di lavoro, dove un relatore “laico”, descrivendo un progetto di accompagnamento alle coppie in collaborazione con alcuni tribunali prima che arrivino davanti al giudice, ha sostenuto che la priorità” non è rendere difficili i divorzi, ma rendere più bello il matrimonio”

www.famigliacristiana.it/articolo/prevenire-i-divorzi-si-puo.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_07_06_2017

  • Malattie senza nome: un “cigno” per aiutare le famiglie. Dall’Europa, una notizia importante per le famiglie – che sono più numerose di quanto spesso si creda – con bimbi con malattie genetiche non conosciute, e quindi privi di diagnosi. È nata una Federazione europea, denominata SWAN (“cigno”, in inglese), acronimo di Syndromes Without A Name, che raggruppa Associazioni britanniche, spagnole, francesi, olandesi e italiane, con l’obiettivo di sostenere le famiglie, raccogliere informazioni, condividere esperienze e buone pratiche.

www.anffas.net/Page.asp/id=264/N201=1/N101=6072/N2L001=Varie

  • Adolescenti e disagio emotivo. Un’indagine, svolta dalla Società Italiana di Pediatria (SIP) su un campione di oltre 10.000 adolescenti, ha rilevato l’esistenza un disagio emotivo molto diffuso già tra i giovanissimi, accanto a una distanza dalle figure adulte di riferimento. «I risultati dell’indagine confermano che l’adolescenza è un’età difficile, la novità è che le difficoltà emotive e comportamentali emergono sempre più precocemente. Come pediatri stiamo infatti osservando un’insorgenza sempre più precoce di alcuni problemi tipici dell’adolescenza», ha affermato il Presidente della SIP Alberto Villani. Sintesi dei principali risultati preliminari

www.sip.it/in-evidenza/adolescenti-80-ha-sperimentato-disagio-emotivo

  • Le parrocchie e i social network: dalla cronaca un caso da studiare. Il parroco di San Michele Arcangelo e Santa Rita a Milano Corvetto, don Andrea Bellò, si è rivolto, tramite Facebook, all’anonimo autore di una scritta pro aborto e offensiva comparsa sul muro della sua parrocchia. Subito un boom di contatti, e un bel modo di testimoniare sulla Rete. Commento di Guido Mocellin.

www.avvenire.it/rubriche/pagine/le-parrocchie-e-i-social-network-dalla-cronaca-un-caso-da-studiare

  • Dalle case editrici

Un’idea assolutamente originale, quella di approfondire, dal punto di vista teologico- morale, alcuni temi dell’Esortazione apostolica di papa Francesco “attraverso i grandi pittori”. Consapevole che non si comunica soltanto con le parole ma anche con le immagini, Giuseppe Pani, docente di teologia morale a Sassari, si serve di alcune suggestive opere d’arte – sia antica che contemporanea – per esprimere quanto pensa nella mente e sente nel cuore. I dipinti e gli affreschi che accompagnano la lettura del libro (molto ben riprodotti malgrado le dimensioni contenute del volume) non sostituiscono la parola ma la approfondiscono, la amplificano, suscitando nuove emozioni, suggestioni e comprensioni. L’autore si serve di questa inedita modalità espressiva per annunciare il “Vangelo della famiglia”, la buona e lieta novella della vita coniugale e familiare, vero oggetto dell’intervento di papa Francesco. Come il papa, anch’egli considera la famiglia un’opera d’arte capace di suscitare emozioni, sentimenti, di trasmettere valori umani e cristiani; l’esperienza capace di insegnare a vivere e ad amare, di aiutare a compiere scelte responsabili di vita, di rendere la vita delle persone bella e significativa. In definitiva, un volume che è un invito a percorrere il proprio itinerario di vita coniugale e familiare come la “via della bellezza”.

  • Save the date

Nord Adolescenti “immersi” nel web: che dire? La parola all’assistente sociale, incontro del ciclo “Conversazioni in compagnia-La persona in azione”, promosso da METE noprofit (richiesta in corso per crediti ECM per assistenti sociali), Milano, 13 giugno 2017.

Volo libero. Seminario di politiche giovanili, lancio del nuovo bando STRIKE!, Provincia Autonoma di Trento, Trento, 9 giugno 2017.

Centro Dopo di noi. Legge 22 giugno 2016, n. 112/2016 e Decreto 23 novembre 2016, giornata formativa gratuita all’interno dell’offerta formativa 2016-2018 della Scuola del Sociale della Città metropolitana di Roma, Roma, 7 luglio 2017.

Sud Disagio familiare: problema o opportunità? deontologia e vissuto dell’operatore sociale, metodo delle family group conference,incontri di formazione (con crediti ECM per assistenti sociali) promossi da Progetto Famiglia Onlus, Taranto, 13 giugno 2017, Benevento, 22 giugno 2017, Salerno, 29 giugno 2017.

Estero Rediscovering Empathy. Values, Relationships and Practice in a Changing World, (Riscoprire l’empatia. Valori, relazioni e interventi concreti in un mondo che cambia), Ottava Conferenza Biennale promossa dall’UNESCO Child and Family Research Centre, Galway (IRL); 8-9 giugno 2017.

Preventing Abortion in Europe, Legal Framework and Social Policies (Prevenire l’aborto in Europa. Inquadramento giuridico e politiche sociali), Seminario di altra specializzazione organizzato dallo European Centre for Law and Justice e dalla Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece), Bruxelles, 22 giugno 2017.

https://eclj.org/abortion/eu/european-seminar-preventing-abortion-in-europe-legal-framework–public-policies?lng=en

Testo e link integrali http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/maggio2017/3037/index.html

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CINQUE PER MILLE

5 per mille, ormai è deciso: chi prende “troppo poco” non avrà nulla

L’intenzione del governo di inserire uno sbarramento verso il basso è stata confermata dal sottosegretario Luigi Bobba ieri al Convegno “10 anni di 5 per mille” organizzato da Vita a Bologna. «Se per chiedere il contributo si spende di più di quanto si incassa, si arriva al non-senso». Per avere la certezza occorre attendere un Dpcm

«Ricevere il 5 per mille è cosa buona, ma deve valerne la pena»: così al Convegno “10 anni di 5 per mille” promosso da Vita ieri a Bologna, il sottosegretario Luigi Bobba ha chiarito un passaggio concettuale del prossimo decreto sul 5‰ che il governo ha scritto e presentato in Consiglio dei Ministri, e che attualmente si trova al vaglio delle Commissioni parlamentari. Si va dunque verso l’inserimento di uno “sbarramento verso il basso” per le piccole organizzazioni che ricevono poche decine di firme: sotto una certa soglia di contributo, è parso di capire, non si avrà nulla. «Che senso ha attivare la procedura, magari farsi pubblicità, e ricevere 5 o 10 euro?», si è chiesto Bobba. «Se le spese amministrative e lo sforzo organizzativo è ben superiore al vantaggio, non ne vale proprio la pena».

Parole chiare, che attendono una conferma scritta, che potrebbe arrivare anche attraverso lo strumento di un Dpcm da emanare successivamente al 3 luglio data della definitiva chiusura dell’iter della Riforma del terzo settore. E sempre a un futuro Dpcm si affida anche un’altra spinosa questione: quella dello “sbarramento verso l’alto”, una misura cioè che “impedisca” alle grandi organizzazioni di portarsi a casa quantità illimitate di euro a scapito delle altre che possono contare su una platea più contenuta di sostenitori; quanto così ricavato sarebbe poi ridistribuito agli enti “poveri”. Che, tra l’altro, sono la maggioranza assoluta: ricordiamo infatti che nel 2015 – ultima annualità pubblicata – il 92% degli enti ha raccolto meno di 500 firme, e il 4,5% addirittura zero, mentre le associazioni con oltre 5000 sostenitori erano solo 174 su oltre 39mila. «Questo sarebbe un provvedimento di una iniquità assoluta», ha però ribattuto Niccolò Contucci, direttore generale di Airc, la prima organizzazione per consensi con oltre 65 milioni di euro raccolti. Vedremo come andrà a finire.

Gabriella Meroni Vita.it 6 giugno 2017

www.vita.it/it/article/2017/06/06/5-per-mille-ormai-e-deciso-chi-prende-troppo-poco-non-avra-nulla/143635

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Bassetti: una Chiesa che impari dai poveri

Il testo integrale del colloquio con il presidente della Cei. Non servono politici «baciapile» ma «dialogo rinnovato e responsabilità condivise». «Immorale» speculare sul lavoro

Sulle pagine di sabato 4 giugno e domenica 5 ha scritto a penna: “Visita pastorale all’unità pastorale della Santa Famiglia”. Nell’agenda del cardinale Gualtiero Bassetti non compare la parola “Roma”. «Ma ci sarà, ci sarà…», sorride l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve che da dodici giorni è il nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana. Sopra la scrivania, accanto a fogli di appunti e fascicoli, ha una copia di Avvenire. Dalle finestre dello studio, al primo piano del palazzo arcivescovile di Perugia, si vede piazza 4 novembre, cuore del capoluogo umbro. Con l’auto, guidata da solo, è arrivato da pochi minuti.

«Grazie al cielo non mi chiamano “presidente”. Già è stato difficile abituarsi a sentirsi dire “eminenza”», scherza con quell’ironia tutta fiorentina, terra in cui affondano le sue radici. Lo stile è quello di un padre, verrebbe da dire. «Meglio di un nonno, visto che ho 75 anni», ribatte il cardinale. Papa Francesco lo ha scelto come presidente della Cei lo scorso 24 maggio 2017 sulla base della terna votata dai vescovi italiani, dopo averlo prorogato “senza scadenza” alla guida della “sua” Chiesa locale. E fra una tappa e l’altra del viaggio che sta compiendo fra le comunità della diocesi dialoga con il quotidiano dei cattolici italiani. Parla di «responsabilità condivise nella Cei» e deplora ogni «tentazione di potere» ecclesiale; cita don Milani, don Mazzolari, don Barsotti ma anche don Diana e don Puglisi per affermare che «fra Chiesa e mafie non sono ammessi “inchini”»; torna a ricordare lo storico sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, per evidenziare che il Paese vive una «crisi profonda della politica » perché non si affronta «la nuova questione sociale» e per ribadire che non servono politici «baciapile»; considera il lavoro l’«emergenza della nostra Italia » e definisce «immorale» ogni forma di sfruttamento; esalta il «talento» dei giovani e chiede che sia aiutata dalle istituzioni «la famiglia fondata sul matrimonio»; invoca un’«accoglienza » più ampia per profughi e migranti ma nel rispetto delle regole.

Eminenza, che cosa ha pensato quando i vescovi italiani l’hanno indicata per primo al Papa e poi Francesco l’ha nominata presidente della Cei?

Una sensazione di incredulità mista a una profonda commozione e a un grande senso di responsabilità. Ho pensato ai miei genitori, alla piccola frazione del Comune di Marradi sull’Appennino tosco-romagnolo che ho lasciato quando avevo 14 anni per entrare in Seminario a Firenze, alla mia vocazione, a tutti i preti che ho ordinato e che sono un po’ come i miei figli spirituali. Veramente il Signore ci guida come un pastore e ci dà la forza per affrontare tutte le situazioni, anche quelle che non avresti mai pensato di vivere nella vita.

Ha scritto al Papa di essere un «contadino». Ha vissuto la povertà. Che cosa le hanno insegnato queste radici?

La povertà è la mia maestra di vita. Nascere povero in una realtà di campagna è un dono straordinario. L’alternanza delle stagioni non è altro che lo svolgersi di una liturgia divina. Direi che ho iniziato il Seminario nelle campagne di Marradi: accanto ai vecchi, agli orfani della guerra, ai poveri, immerso in un paesaggio straordinario che è rimasto sostanzialmente immutato. Tutto questo ti fa capire tre cose: che la vita non è un gioco ma è un’esperienza serissima; che c’è una relazione fortissima e misteriosa tra gli uomini, il creato e il divino; e che l’uomo per quanto si affanni in ogni epoca a costruire la sua personale torre di Babele non arriverà mai al cielo perché Dio è l’unico autentico signore della storia.

Si sente un «maledetto toscano»?

La definizione è di un pratese, Curzio Malaparte, ma io sono tosco-romagnolo d’origine e fiorentino d’adozione… Battute a parte, mi sento un «benedetto toscano» perché se guardo alla Chiesa che mi ha formato, quella di Firenze, vi trovo una straordinaria testimonianza di santità che mi fa pensare a questa terra come benedetta da Dio. Una storia di santità che è storia di popolo, come è anche quella di tutta la Chiesa italiana. Una storia di umanesimo cristiano che non soltanto ha reso profetica la comunità ecclesiale ma si è riversata come un’imponente cascata sull’intera società rendendola migliore. Lo stesso dovrebbe avvenire oggi.

Papa Francesco renderà omaggio a due sacerdoti “umili” e “battaglieri” che hanno illuminato la Chiesa italiana nell’ultimo secolo e che le sono particolarmente cari: don Lorenzo Milani e don Primo Mazzolari. Quale la loro lezione?

Se dovessi sintetizzare con una sola frase, direi che la lezione che lasciano in eredità è un’autentica e totale vocazione ad andare verso gli ultimi. E questo nonostante le incomprensioni e le persecuzioni. Don Mazzolari e don Milani vedevano oltre, sapevano cogliere i segni dei tempi. E sono rimasti sempre fedeli alla Chiesa al di là delle delusioni e delle amarezze. Questo è di grande insegnamento per ciascuno di noi e anche di singolare attualità. Soprattutto per quelle persone che sono in crisi di fede o che si sentono in difficoltà con la Chiesa istituzionale. Aggiungo che entrambi sono personalità complesse, non sovrapponibili e soprattutto non etichettabili dentro schemi preconfezionati che oggi hanno largo seguito ma che a mio avviso non riescono a cogliere la profondità del loro messaggio.

Durante il Convegno ecclesiale nazionale di Firenze nel 2015 papa Francesco ha chiesto alla Chiesa italiana di essere «inquieta». Come si può spendere questa inquietudine?

Il discorso del Papa è stato stupendo e andrà senza dubbio approfondito. Francesco in quel passaggio fa un duplice invito: esorta la Chiesa ad essere inquieta e ad essere vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. L’inquietudine è l’esatto contrario della tranquillità. È il contrario di chi si sente appagato e al sicuro nei propri schemi e nelle proprie strutture, mentali e burocratiche. È un richiamo evangelico fortissimo. Bisognerà percorrere nuove strade che ci portino verso gli ultimi e non certo verso le strutture di potere. La tentazione del potere colpisce ogni uomo e non deve scandalizzarci. È una delle tentazioni che Gesù affronta nel deserto. Ed è uno dei combattimenti più importanti che devono affrontare sia i consacrati, sia i laici. Il desiderio di detenere il potere o di sfruttare la Chiesa per un tornaconto personale è uno dei cancri che va estirpato. C’è un grande insegnamento che ho ricevuto nella mia vita da sacerdote: la Chiesa si serve e non ci si serve di essa.

Nella sua prima conferenza stampa ha parlato di una Cei «collegiale». In che cosa si tradurrà tutto ciò?

Sono convintissimo che la Chiesa italiana sia ancora una Chiesa di popolo, radicata nel Paese e che i vescovi conoscano molto bene la gente, il clero e i vari territori. È necessario che i vescovi possano esprimersi con franchezza e soprattutto che all’interno della Cei si respiri in un clima di ascolto. Come rettore e visitatore di Seminari e come vescovo ho ben presente l’importanza dell’ascolto delle persone. Di certo la Chiesa italiana ha bisogno di un dialogo rinnovato, di responsabilità condivise e di una profonda unità di intenti tra Nord e Sud, tra centro e periferia, tra parrocchie, associazioni e movimenti.

Quale il ruolo delle Conferenze episcopali regionali? E come prosegue la revisione della geografia delle diocesi?

Le Conferenze regionali sono le antenne sul territorio, da valorizzare e da coinvolgere in maniera sempre più vigorosa. Il percorso di revisione geografica ed eventuale riduzione delle diocesi sta continuando. Certo, serve tenere conto della storia ecclesiale e della specificità dell’Italia. Non possiamo correre il rischio di perdere riferimenti preziosi, bagagli d’identità, presidi di fede necessari per la nostra gente.

Un terzo dell’episcopato italiano è già stato rinnovato sotto il pontificato di Francesco. Quali sono le priorità di un vescovo oggi?

Le priorità non cambiano, sono quelle di sempre: essere sposo della Chiesa, padre e pastore del gregge. Ma con maggiore vicinanza al popolo. Direi che la logica del servizio è quella che più deve caratterizzare il vescovo. Servire la Chiesa, servire il popolo di Dio senza pretendere nulla per se stesso se non la ricerca costante della santità. Essere un pastore con “l’odore delle pecore” non è un ritornello da ripetere, ma un insegnamento da mettere in pratica.

Come rettore del Seminario di Firenze ha accompagnato al presbiterato più di cento preti e per dieci anni è stato visitatore dei Seminari d’Italia. Quanto è faticoso il ministero sacerdotale?

Prima di tutto direi che è bello essere prete. La fatica fa parte del ministero. Anche essere padre e madre è faticoso. Ma questo non toglie la gioia dell’unione e dell’essere genitori. C’è un’immagine stupenda di don Divo Barsotti che mi porto nel cuore: «Nei monumenti colui che deve essere ricordato e ammirato sta in cima al piedistallo, qui invece il sacerdote sta sotto il piedistallo e ne porta il peso. Tale peso il sacerdote lo innalza a Dio con la sua preghiera». Essere prete è dunque faticoso ma è una gioia unica.

La Cei guarda ai giovani anche in vista del Sinodo dei vescovi a loro dedicato nel 2018. Eppure nella Penisola l’universo giovanile è segnato da lavoro precario, solitudine virtuale, deficit di speranza. Come tornare a far sognare i ragazzi?

I giovani sono «come le rondini», diceva La Pira, «sentono la stagione: quando viene la primavera essi si muovono ordinatamente, sospinti da un invincibile istinto vitale che indica loro la rotta e i porti». I giovani non hanno bisogno di qualcuno che imponga loro che cosa sognare perché sono in grado di farlo da soli. Hanno molto più talento di noi vecchi e molta più capacità di pensare e immaginare un mondo nuovo. Hanno però necessità da parte degli adulti di due cose: che essi siano, come diceva Paolo VI, testimoni e maestri. Devono saper entrare in relazione con le generazioni adulte perché possano attingere alla fonte della sapienza e della saggezza. Hanno bisogno di vivere in un mondo che riesca a coniugare libertà e responsabilità senza credere alle facili illusioni del “tutto è permesso” e del “che male c’è se lo fanno tutti”. Il mondo attuale ha generato falsi miti che non aiutano la gioventù. L’Amoris lætitia in due passaggi parla di «bambini orfani di genitori vivi» e di «giovani disorientati e senza regole». Il Sinodo dovrà aprire una profonda riflessione su tutto questo. E come Chiesa siamo tenuti ad ascoltarli, a dare loro spazio, a renderli protagonisti.

Soffermiamoci sulla famiglia. In Italia i matrimoni calano; le convivenze crescono; anche le crisi familiari sono frequenti. Come annunciare il Vangelo della famiglia? E quanto le politiche a favore della famiglia possono aiutare a sostenere questo «tesoro prezioso»?

Sulla famiglia abbiamo un magistero estremamente ricco e una straordinaria esperienza come quella del recente Sinodo dei vescovi in due fasi. Le politiche sulla famiglia sono importantissime ma c’è una questione cruciale che bisogna ricordare con fermezza: la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, aperta ai figli, si colloca al centro della società. E mai come oggi occorre annunciare al mondo la vocazione e la straordinaria bellezza della famiglia. Annunciare oggi il Vangelo della famiglia con gioia e carità, senza imporre dei pesi sulle spalle, è basilare. Detto ciò, ci sono tre sfide decisive per la famiglia.

Quali, eminenza?

  1. La prima sfida è di tipo esistenziale e risiede nelle difficoltà di formare e di essere una famiglia. Molte persone hanno dubbi che sia possibile dare amore “per sempre”. D’altra parte, le donne e gli uomini di oggi sono cresciuti in una società dove tutto viene consumato in modalità “usa e getta”.

  2. La seconda sfida è di tipo sociale e consiste nel riuscire a rendere su misura per la famiglia la nostra società sempre più complessa e logorante. Penso a che cosa significa per una famiglia vivere in una metropoli o in una sua periferia, alla mancanza di lavoro, ai costi degli asili, alle distanze, all’inquinamento, alla rottura delle vecchie reti di protezione dei nonni, alle difficoltà della donne a coniugare maternità e lavoro.

  3. La terza sfida si riferisce alla difesa dell’umano. Una sfida culturale e spirituale di grandissima portata che si deve basare sulla valorizzazione dei principi antropologici della persona umana così come sono stati definiti dalla tradizione dell’umanesimo cristiano e che oggi bisogna affrontare nelle scuole, nei luoghi di dibattito pubblico e persino in politica.

Lei richiama spesso Giorgio La Pira, cattolico a servizio del bene comune. Nell’Italia contemporanea i cattolici più impegnati si tengono lontani dall’impegno politico e il vocabolo “cattolico” è ridotto un’etichetta. Che cosa significa per i laici cattolici l’invito di Francesco a «immischiarsi» nella cosa pubblica?

A me sembra che oggi in tutto il mondo occidentale, non solo in Italia, siamo di fronte a una crisi profonda della politica e un po’ ovunque nascono dei movimenti che sbrigativamente definiamo populisti o antisistema. Dobbiamo domandarci: perché c’è questa crisi della politica? Perché si ha la sensazione che la politica sia sempre più autoreferenziale e distaccata dai problemi veri della gente? Voglio rispondere in modo molto semplice: secondo me, perché oggi ci troviamo di fronte a una “nuova questione sociale” a cui finora nessuno è stato in grado di fornire una risposta autentica. Se cito spesso il pensiero e l’azione di La Pira è perché sono convinto della necessità che si debba tornare a una politica che sia al servizio del bene comune. La “nuova questione sociale”, di cui dicevo, tiene assieme i fenomeni migratori con la politica ambientale, le questioni bioetiche con le scelte economiche e scaturisce da due fattori di fondo: la crisi dell’umano e un nuovo potere tecnico, come aveva intuito Romano Guardini. Perciò la Laudato si’ rappresenta oggi una prima risposta magisteriale che deve però ancora essere declinata nella vita pratica.

Quindi la Laudato si’ potrebbe essere una sorta di Rerum novarumdei tempi odierni?

Potrebbe essere qualcosa di simile e di nuovo al tempo stesso. Ai tempi di Leone XIII c’era il problema, attuale per allora, delle fabbriche e degli operai. Con la Rerum novarumscaturì un fiume di idee, pratiche ed esperienze politiche. Giorgio La Pira, quando iniziò a fare politica, aveva alle spalle una grande tradizione culturale a cui si aggiunse il suo sguardo profetico e il suo spirito evangelico: da qui nasce il bisogno di rispondere alle “attese della povera gente”. Questo è quanto attende i cattolici in politica nel prossimo futuro: comprendere appieno il mondo di oggi. Un mondo sempre più tecnico e anche sempre più individualista; avere uno sguardo profetico e uno spirito evangelico; rispondere per primo alle attese della povera gente. La sfida è enorme: bisogna guardare al futuro con coraggio e senza paura.

Ha sempre insistito sulla formazione politico-sociale. Va rimessa in moto la macchina?

C’è chi accusa la Chiesa di aver voluto cattolici impegnati nella politica e nel sociale “eterodiretti”, ossia mossi dai vescovi. Non desideriamo laici che facciano la coda davanti ai palazzi vescovili o, come ha detto il Papa, che siano “baciapile” o più clericali del clero. C’è bisogno di cattolici responsabili che siano ponte fra la Chiesa e la società. Ma perché ciò si realizzi occorrono coscienze ben formate. Dovremmo ripartire dallo spirito che animò l’allora Giovanni Battista Montini, poi Paolo VI, il quale si spese per formare schiere di giovani “adulti nella fede” in grado di dedicarsi allo sviluppo del Paese. Una scuola di sana laicità che fa bene a tutti. Poi ho un sogno che mi auguro non sia una chimera: sogno cattolici impegnati nelle istituzioni che ascoltino la gente, che trovino lo spazio per pregare, che pratichino la giustizia, che diano voce agli ultimi.

La crisi economica in Italia si fa ancora sentire molto. La fame di lavoro è drammatica. E, come ha denunciato il Papa, delocalizzazioni e contratti capestro sono strumenti di sfruttamento e scarto di tanti lavoratori. Che cosa può dire la Chiesa?

Da anni incontro giovani senza lavoro che noi continuiamo a chiamare giovani ma che ormai sono adulti e che non trovano la forza e la speranza di formare una famiglia proprio perché non hanno un lavoro. Oppure incontro padri e madri che non hanno più un’occupazione; operai di 50 anni licenziati; parenti di persone che si sono tolte la vita per essere rimaste senza occupazione. Incontro anche imprenditori che con sforzi indicibili mantengono in piedi le loro aziende e non tagliano il personale. Il lavoro è la vera priorità per il Paese, come ricorda la Costituzione. Anzi è l’emergenza della nostra Italia. Quello che ha ribadito Francesco a Genova è di fondamentale importanza: la mancanza di lavoro è più drammatica della mancanza di un reddito. Dal lavoro passa la dignità della persona. Non si possono chiudere aziende quando non ci sono segnali di difficoltà ma solo per ragioni speculative; non si possono trasferire stabilimenti all’estero solo per massimizzare i profitti impiegando manodopera sottopagata. Una società a misura d’uomo si giudica dall’attenzione che riserva al lavoro degno, equamente retribuito, accessibile a tutti. Eppure giovani e meno giovani mi raccontano di situazioni di autentico sfruttamento in cui vengono comminati stipendi da fame in un regime di flessibilità che si traduce in precariato permanente; in cui si impone il lavoro nero; in cui si nega il meritato riposo. Tutto ciò è immorale. Ricordo che la Chiesa italiana è scesa in campo su questo versante come testimonia la lunga e proficua esperienza del “Progetto Policoro” e metterà il tema del lavoro al centro della Settimana sociale dei cattolici italiani in programma a ottobre a Cagliari.

Nella Penisola la povertà cresce. Alle porte della Caritas bussano in molti, troppi. Lei ha aperto il palazzo vescovile di Perugia agli emarginati. Il mondo cattolico ha promosso l’Alleanza contro la povertà e la proposta di un reddito di inclusione sociale. Che cosa è urgente fare?

Quando in una notte dello scorso inverno un gruppo di senzatetto ha chiesto aiuto prima al mio segretario e poi a me, ho spalancato le porte dell’episcopio e li ho accolti. Avevo ben presente quello che successe più di un secolo e mezzo fa al mio predecessore, il vescovo Gioacchino Pecci, poi papa Leone XIII, quando venne a conoscenza che un anziano, soprannominato “Uccellino”, era morto di freddo per le vie di Perugia. Da quel momento fece sorgere la realtà diocesana di Fontenuovo che ancora è residenza protetta per anziani. Di fronte a sacche di povertà oggi sempre più ampie e preoccupanti, la Chiesa italiana fa come san Francesco quando incontra “il cavaliere nobile ma povero”: si toglie il mantello per darlo a chi è nel bisogno. Lo dimostrano i fondi di solidarietà che da Nord a Sud sono stati voluti nelle diocesi, compreso quello della Cei; le straordinarie attività delle Caritas sparse sul territorio; la generosità delle parrocchie che hanno donato spazi a non chi non ha un alloggio; l’impegno insostituibile del nostro associazionismo. I poveri non fanno notizia e qualcuno sostiene che non pesino alle urne. Nei poveri, però, noi vediamo le piaghe di Cristo. Tuttavia non possiamo limitarci all’assistenza, alla cura, alla vicinanza. C’è urgenza di un nuovo stile di vita e soprattutto di un’attenzione autentica, anche da parte della politica, ai problemi della povertà.

Il Mediterraneo è ormai un “mare di morte” come testimoniano le continue tragedie dell’immigrazione forzata e irregolare. Eppure contro lo straniero c’è chi cavalca solo l’onda della paura. Diocesi e parrocchie hanno aperto le porte ai profughi. Come alimentare la buona cultura dell’accoglienza?

Sono veri e propri crocifissi della storia coloro che si imbarcano sulle carrette del mare diretti verso l’Europa. Spesso riescono ad approdarci, talvolta muoiono in quei mari diventati cimiteri delle loro speranze e del loro desiderio di pace, riscatto, dignità. Purtroppo anche nella nostra Italia solidale emerge un’indole del rifiuto favorita dalla crisi e amplificata dalla demagogia. L’equazione migrante-criminale, proposta anche dai media, non è solo una falsità ma anche un pregiudizio radicato nell’egoismo. È necessario superare l’indifferenza e anteporre ai timori un generoso atteggiamento di accoglienza. La Chiesa italiana sta dando l’esempio anche ricevendo critiche cui, però, non bada. Inoltre tante famiglie e associazioni sono diventate “abbraccio caloroso” per chi fugge dalle guerre e dalla miseria. Di fronte agli sforzi italiani, l’Europa dovrebbe fare molto di più. Basta muri, fili spinati, decisioni di stampo nazionalistico. Se l’Europa vuole essere casa comune, deve partire proprio da un rinnovato e differente impegno nel campo dell’accoglienza. Accoglienza che significa anche rispetto da parte di chi arriva di regole e tradizioni. Il che non vuol dire cancellazione delle differenze ma arricchimento reciproco senza imposizioni o stravolgimenti. Certo, i fenomeni migratori si affrontano andando alle radici, ossia intervenendo sulle cause che li provocano. In quest’ottica vorrei evidenziare la campagna Cei “Liberi di partire, liberi di restare” che prevede una progettazione a partire dalle realtà locali nei Paesi d’origine, in quelli di transito e in Italia.

Sembra agli occhi di una parte dell’opinione pubblica che i migranti siano più pericolosi della criminalità organizzata, delle mafie. Venticinque anni fa venivano uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quanto la Chiesa può essere “pulpito” di legalità?

La Chiesa ha molti preti uccisi in odio alla fede per essersi opposti alla violenza. Uno è don Giuseppe Diana sulla cui tomba ho avuto occasione di pregare. E una delle figure che ho conosciuto personalmente e che va elevato a modello è don Pino Puglisi, “martire” di mafia. Come dimostrano le loro uccisioni, la criminalità organizzata è una realtà drammatica ma non invincibile. Chi vive nelle organizzazioni criminali è fuori dalla comunione ecclesiale anche se si ammanta di religiosità. Fra Chiesa e mafie non può esserci alcuna connivenza, alcun contatto, alcun “inchino”. L’azione corale di vescovi e sacerdoti del Mezzogiorno, le prese di posizione ufficiali anche delle regioni ecclesiastiche, il grande sforzo di alcuni gruppi laicali aprono nuove vie che, insieme alla denuncia, contemplano l’educazione e soprattutto la testimonianza. Ricordo, quando ero vescovo di Massa Marittima-Piombino, l’incontro con alcuni boss della mafia nel supercarcere dell’isola di Pianosa. Avevano sguardi magnetici, capacità di pensiero, attitudine nel trascinare le persone. Se quei talenti fossero stati messi a servizio del bene invece che del male, chissà che uomini sarebbero stati. Hanno scelto l’odio, la morte, la sopraffazione, le tenebre. Mi preme, poi, dire “grazie” alle forze dell’ordine e alla magistratura per il loro indispensabile lavoro che è stato pagato anche con il sangue: oltre a Falcone e Borsellino, vorrei ricordare il giudice “ragazzino” Rosario Livatino di cui è in corso il processo di beatificazione.

Ha raccontato che in una scuola un bambino musulmano le ha tirato la talare per chiederle di portare il suo saluto al Papa. Come favorire nel nostro Paese il dialogo fra le fedi?

Ho ancora ben presente gli occhi di quel piccolo. Mi voleva parlare a ogni costo e, quando mi ha raggiunto, mi ha detto che in televisione vedeva sempre il Papa e che i suoi genitori glielo descrivevano come un saggio da ascoltare. Parte da gesti come questo il dialogo fra le fedi. Durante il suo recente viaggio in Egitto, papa Francesco ha ribadito che le religioni sono chiamate a camminare insieme nella convinzione che l’avvenire dipende anche dall’incontro tra i credi e le culture. Evitiamo i preconcetti, ma al tempo stesso diciamo “no” a qualsiasi deviazione che eleva la religione a spada o ne fa strumento di vessazione. L’incontro fra cattolici e islamici, ad esempio, è già realtà nelle scuole italiane, nelle fabbriche, persino nelle nostre case. Favoriamo la conoscenza reciproca e l’educazione alla cultura dell’incontro. Accanto al dialogo interreligioso va incentivato il cammino ecumenico. Sono sempre di più le chiese che come diocesi abbiamo messo a disposizione degli ortodossi; e si allargano i momenti di scambio con le comunità protestanti che quest’anno celebrano i 500 anni della Riforma di Lutero.

Lei ha 75 anni. Ha parlato di sé come un “vecchio che ha sogni”. Elogia spesso le «famiglie eroiche» che curano anziani e malati non autosufficienti. Eppure nella nostra società l’anziano sembra un peso. Perché?

Perché prevale la logica dello scarto. Un anziano è apparentemente inutile. È solo un costo per la sua salute cagionevole e per l’assistenza. È vero, invece, esattamente il contrario. Gli anziani sono prima di tutto delle persone ricche. Ricche non di denari, ma di sapienza, esperienza, saggezza. Una ricchezza enorme, di grandissimo valore. Una ricchezza che soprattutto non si può comprare con nessun denaro. La sapienza e la saggezza dell’anziano si vive! Non si acquista al mercato e non la si apprende sui banchi di scuola.

Il cardinale Angelo Bagnasco, concludendo il suo decennio alla guida della Cei, ha invitato il suo successore a «essere se stesso». Come sarà se stesso Gualtiero Bassetti?

Penso che il cardinale Bagnasco abbia dato il consiglio più bello al suo successore: non mettere una maschera. Questo è il primo punto della mia agenda: essere me stesso. Anche perché ritengo di essere un pessimo attore. Cercherò di essere fedele alla mia povera storia e a quello che sono sempre stato: un sacerdote. Un prete fiorentino che si appresta all’impegno della presidenza Cei consapevole dei propri limiti ma anche con tanta gioia e responsabilità. Per tutto il resto ci penserà il buon Dio.

Giacomo Gambassi e Mimmo Muolo Avvenire 4 giugno 2017

www.avvenire.it/chiesa/pagine/intervista-presidente-cei-bassetti

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DALLA NAVATA

Santissima Trinità–- Anno A – 11 giugno 2017

Esodo 34, 06 Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «il Signore, il Signore, con tutti voi. Divinità misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore i fedeltà».

Daniele 03, 52 Benedetto il tuo nome glorioso e santo.

2Corinzi 13, 13 La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi.

Giovanni 03.17 Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.

 

Una comunione d’amore. Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).

È la domenica in cui confessiamo la TriUnità di Dio. In verità la TriUnità di Dio è confessata dalla chiesa sempre, in ogni liturgia, ma recentemente si è sentito il bisogno di istituire una festa teologico-dogmatica, che non è conosciuta né dall’antichità cristiana né, tuttora, dalla tradizione cristiana orientale. È comunque l’occasione di una lode, di un ringraziamento, di un’adorazione del mistero del nostro Dio, comunione d’amore tra Padre, Figlio e Spirito santo.

Qualcuno può essere stupito che il testo evangelico scelto dalla chiesa per questa festa parli in modo manifesto solo del Padre e del Figlio, mentre sembra fare silenzio sullo Spirito santo. In realtà lo Spirito è presente come “amore di Dio” e come “compagno inseparabile del Figlio” (Basilio di Cesarea), perché là dove sta scritto che “Dio ha tanto amato il mondo”, il cristiano comprende che Dio ha amato il mondo con il suo amore che è lo Spirito santo del Padre e del Figlio. È stato lungo il cammino della rivelazione, e dunque dell’adesione a essa da parte dei credenti, riguardo alla TriUnità di Dio. Lo riconosce con finezza Gregorio di Nazianzo: “L’Antico Testamento proclamava in modo chiaro il Padre, in modo più oscuro il Figlio; il Nuovo Testamento ha manifestato il Figlio e ha fatto intravedere la divinità dello Spirito; ora lo Spirito … ci accorda una comprensione più chiara di se stesso … Così attraverso ascensioni, avanzamenti, progressi di gloria in gloria, la luce della TriUnità brillerà con ancora più chiarezza” (Discorsi teologici 31,26).

La TriUnità di Dio non è una formula cristallizzata e non occorre nominare sempre le tre persone per evocarla: Padre, Figlio e Spirito santo sono termini che indicano una vita di amore plurale, comunitario, sono una comunione che noi tentiamo di esprimere con le nostre povere parole, sempre incapaci di dire il mistero, di esprimere la rivelazione del nostro Dio. Non è un caso che spesso, per dire qualche nostra parola sulla TriUnità di Dio, dopo secoli ricorriamo ancora all’intuizione di Agostino che vede nel Padre l’Amante, nel Figlio l’Amato e nello Spirito l’Amore che intercorre tra i due. E San Bernardo di Clairvaux, dal canto suo, leggeva la TriUnità di Dio come un bacio “circolare” ed eterno: “Il Padre dà il bacio, il Figlio lo riceve e il bacio stesso è lo Spirito santo, colui che è tra il Padre e il Figlio, la pace inalterabile, l’amore indiviso, l’unità indissolubile” (Sermoni sul Cantico dei cantici 8,2).

Ma soffermiamoci sul brano evangelico. Siamo nel contesto del colloquio notturno tra Gesù e Nicodemo (cf. Gv 3,1-21), un “maestro di Israele” (Gv 3,10) che rappresenta la sapienza giudaica in dialogo con Gesù. È questo un dialogo faticoso per Nicodemo, che ha fede in Gesù ma fatica ad accogliere la novità della rivelazione portata da questo rabbi “venuto da Dio”. Gesù risponde alle domande del suo interlocutore, ma l’ultima risposta, quella più lunga, sembra contenuta all’interno di una meditazione dell’autore del quarto vangelo. Dunque, nei versetti che oggi la chiesa ci offre è Gesù a parlare oppure si tratta di una meditazione dell’evangelista? In ogni caso sono parole di Gesù non certo riportate tali e quali, ma meditate, comprese e ridette nel tessuto di una comunità cristiana che ha cercato di crederle e di viverle.

Così si apre il brano: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui … abbia la vita eterna”. Subito prima sta scritto: “Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14-15). Queste due affermazioni sono parallele e si spiegano a vicenda. Affinché ogni essere umano possa credere, aderire al Figlio dell’uomo e mettere la propria fiducia in lui, occorre che conosca l’amore di Dio per tutta l’umanità, per questo mondo. Tale amore di Dio ha avuto la sua epifania in un atto preciso, databile, localizzabile nella storia e sulla terra: il 7 aprile dell’anno 30 della nostra era un uomo, Gesù di Nazaret, nato da Maria ma Figlio di Dio, è stato innalzato sulla croce, dove è morto “avendo amato fino alla fine” (cf. Gv 13,1), e in quell’evento tutti hanno potuto vedere che Dio ha talmente amato il mondo da consegnargli il suo unico Figlio, da lui “inviato nel mondo”. In quell’ora della croce, “l’ora di Gesù”, più che mai è stata manifestata la gloria di Gesù come gloria di colui che ha amato fino alla fine, narrando (exeghésato: Gv 1,18) l’amore di Dio attraverso l’offerta della sua vita a tutti, senza discriminazioni. Quella è stata l’ora dell’innalzamento del Figlio dell’uomo, al quale tutti gli umani, di tutti i secoli e di tutte le generazioni, guardano come al “trafitto per amore” (cf. Zc 12,10; Gv 19,37; Ap 1,7).

Ecco il dono dei doni di Dio: dono gratuito, dono di se stesso, dono irrevocabile e senza pentimento; dono mai da meritare, ma da accogliere con fede; dono fatto solo per un amore folle di Dio, il quale ha voluto diventare uomo, carne fragile e mortale (cf. Gv 1,14), per essere in mezzo a noi, con noi, e così condividere la nostra vita, la nostra lotta, la nostra sete di vita eterna. Ecco ciò che è accaduto con la venuta nella carne del Figlio di Dio e con la discesa dello Spirito che sempre è il compagno inseparabile del Figlio; ecco il mistero dell’amore di Dio vissuto in comunione, comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Quel mondo (kósmos) che a volte nel quarto vangelo è letto sotto il segno del male, del dominio di Satana, “il principe di questo mondo” (Gv 12,31; 16,11; cf. 14,30), qui è letto come umanità, come universo che Dio vide “cosa buona” (Gen 1,4.10.12.18.21.25) e “molto buona” (Gen 1,31), che egli ha amato fino alla follia, fino al dono di se stesso, dono che gli ha richiesto spogliazione, povertà, umiliazione. Essere salvati significa passare dalla morte alla vita definitiva, e questo è possibile per chi accetta il dono aderendo a Gesù Cristo, colui che dà lo Spirito della vita. Questo dono folle di Dio al mondo non ha come scopo il giudizio del mondo ma la sua salvezza: Dio vuole che l’umanità conosca la vita per sempre, la vita piena, che soltanto lui può darle.

Ma di fronte al dono resta la libertà umana. Il dono è fatto senza condizioni, dunque può essere accolto o rifiutato. Chi lo accoglie sfugge al giudizio e vive la vita per sempre, ma chi non lo accoglie si giudica da se stesso. Non è Dio che giudica o condanna, ma ciascuno, accogliendo o rifiutando l’amore, entra nella vita oppure si allontana dalla sorgente della vita, percorrendo una strada mortifera. Certamente troviamo qui espressioni di Gesù molto dure, radicali, ma esse vanno decodificate e spiegate. Se Gesù dice che “chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”, non lo dice manifestando una condanna per le moltitudini di uomini e donne che non hanno potuto incontrarlo nella storia, perché appartenenti ad altri tempi o ad altre culture. Costoro, se avranno vissuto la loro esistenza in conformità all’esistenza umana di Gesù, contraddistinta dall’amore dei fratelli e delle sorelle, è come se avessero partecipato, pur con tutti i limiti umani, alla vita umana di Gesù; e così, senza conoscerlo, senza professare il suo Nome nella fede cristiana, conosceranno la vita eterna in lui e con lui. Ma chi ha avuto una vita gravemente difforme dalla vita umana di Gesù, e anzi in contraddizione con essa, non conoscendo l’amore, costui è già giudicato e condannato: non c’è per lui vita eterna.

La festa della TriUnità di Dio dovrebbe non tanto indurci a speculazioni su questo mistero ineffabile quanto piuttosto a fare esperienza della TriUnità stessa nella chiesa, la quale ne è immagine, in quanto nata nel cuore del Padre, fondata sul Figlio e radunata dallo Spirito santo. La chiesa è il luogo in cui, per quanto possibile a noi umani, ci è dato di fare esperienza del cuore di Dio e della sua comunione plurale.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11490-una-comunione-d-amore

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DIRITTI

I diritti della donna incinta

La donna incinta ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, a permessi retribuiti e a una serie di altre agevolazioni. Nella mente di una donna che scopre di essere incinta sorgono spesso una serie di interrogativi: potrò mantenere il mio posto di lavoro? Di quali permessi potrò godere? Dopo quanto tempo dal parto dovrò tornare a lavorare?

Che diritti ha la donna incinta lavoratrice? Il codice civile [Art. 2110 cod. civ.] stabilisce, innanzitutto, che durante la gravidanza, se le norme di legge o quelle corporative non stabiliscono forme di previdenza o di assistenza, è dovuta in ogni caso alla lavoratrice subordinata la retribuzione o un’indennità sostitutiva per il periodo di assenza.

La donna incinta lavoratrice ha il diritto di conservare il posto di lavoro, e al datore di lavoro è fatto stretto divieto di licenziarla dall’inizio della gestazione a un anno dal parto. Qualora il licenziamento le venga comunque intimato, la donna ha l’obbligo di comunicare il suo stato di gravidanza, e il licenziamento è nullo.

Nel caso in cui vengano rassegnate, le dimissioni devono essere approvate dalla Direzione Provinciale del Lavoro competente, e alla donna incinta spetta comunque l’indennità sostitutiva del preavviso.

I permessi retribuiti. Le lavoratrici gestanti hanno diritto a permessi retribuiti per l’effettuazione di esami prenatali, accertamenti clinici ovvero visite mediche specialistiche, nel caso in cui questi devono essere eseguiti durante l’orario di lavoro. Al fine di poterne fruire, è necessario presentare apposita istanza al datore di lavoro (con moduli che si possono trovare, normalmente, presso l’ufficio del personale), e poi tutta la documentazione giustificativa attestante la data e l’orario di effettuazione degli esami [Art. 14 D. Lgs. n. 151/2001]. Il permesso richiesto ha una durata necessaria a coprire il tempo che serve alla gestante per recarsi nello studio medico (o ovunque si svolga la visita), effettuare il controllo o l’esame e poi rientrare al lavoro. Se però l’orario della visita, compreso il tempo necessario per recarsi dal lavoro alla struttura sanitaria e viceversa, coincide con le uniche ore di lavoro della lavoratrice in quella determinata giornata (che, per esempio, è assunta part-time), il permesso si configurerà come assenza per l’intera giornata lavorativa.

È importante ricordare che questi permessi sono retribuiti al cento per cento, e che quindi lo stipendio resterà immutato.

Il congedo di maternità. Le lavoratrici dipendenti del settore pubblico e privato hanno l’obbligo di astenersi dall’attività per un periodo complessivo di cinque mesi: due mesi prima e tre mesi dopo il parto (ma si può scegliere di usufruire del congedo di maternità un mese prima della data presunta del parto e quattro mesi dopo). È data, inoltre, alla gestante la possibilità di anticipare il periodo di astensione prima del parto, purché sia determinato da motivi di salute, comprovati da certificato medico [Art. 16 e ss. D. Lgs. 151/2001].

Una volta trascorso il periodo di astensione obbligatoria, alla madre spetta un congedo facoltativo di 6 mesi, e analoga concessione è prevista per il padre (il periodo massimo di congedo usufruibile da entrambi, però, è di 11 mesi).

Per avere diritto al congedo di maternità è necessario presentare all’ente previdenziale apposita domanda, che può essere richiesta al datore di lavoro oppure all’Inps o alla propria cassa previdenziale (anche sul sito internet, alla voce Modulistica). Alla domanda va allegato il certificato medico di gravidanza rilasciato da un medico del servizio sanitario nazionale o dell’azienda ospedaliera prima del compimento del 7° mese di gravidanza, da cui risulti anche la data presunta del parto. In questo periodo, le lavoratrici dipendenti percepiscono l’ottanta per cento dello stipendio.

Anche le lavoratrici autonome, le lavoratrici iscritte alla Gestione separata dell’Inps e, in alcuni casi, le mamme che hanno interrotto o sospeso l’attività lavorativa hanno diritto al congedo parentale di cinque mesi.

Le lavoratrici iscritte alla Gestione separata dell’Inps, assicurate esclusivamente all’Inps per la maternità, hanno inoltre diritto all’indennità a condizione che abbiano versato almeno tre mensilità di contribuzione nei dodici mesi precedenti l’inizio del periodo di maternità. L’indennità mensile è sempre pari all’ottanta per cento della retribuzione mensile.

Le lavoratrici hanno diritto all’indennità di maternità, ma non sono obbligate ad astenersi (potrebbero pure andare a lavoro…il giorno dopo il parto!).

La tutela della sicurezza e della salute. Tra i diritti delle donne incinte vi è quello di non essere adibite a lavori particolarmente usuranti, che comportino sollevamento di pesi o esposizione a particolari agenti. In questo caso, le gestanti devono eventualmente essere adibite a mansioni inferiori, conservando la relativa retribuzione. Se la futura mamma non può essere spostata, è possibile anticipare l’astensione obbligatoria: la richiesta deve però essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro. È vietato anche adibire le future mamme al lavoro dalle ore ventiquattro alle sei del mattino, dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Per tutto questo periodo, il datore di lavoro è tenuto ad assegnare solo turni diurni alla lavoratrice (per non andare contro i normali ritmi umani basati su veglia diurna e riposo notturno) [Art. 7 e ss. D. Lgs. n. 151/2001].

Serenella Zanfini La legge per tutti 7 giugno 2017

www.laleggepertutti.it/163973_i-diritti-della-donna-incinta

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

FattoreFamiglia. Ora è materia di studio all’università

Un gruppo di ricercatori dell’università di Verona hanno costituito l’Economics Living Lab, un’equipe di studio sul FattoreFamiglia a cominciare dalle applicazioni che sono già operative in diversi Comuni italiani. I loro studi sono resi disponibili su una pagine accessibile a tutti:

www.facebook.com/search/top/?q=econlivla

Tweet 9 giugno 2017

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Papa: l’apporto delle donne in campo educativo è “inestimabile”

Udienza ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso.

“Le donne possono inserirsi a pieno titolo anche negli scambi a livello di esperienza religiosa, nonché in quelli a livello teologico”. Lo ha sottolineato papa Francesco nel suo discorso rivolto venerdì 9 giugno 2017 ai partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, che si è svolta dal 7 al 9 giugno in Vaticano sotto il titolo “Ruolo della donna nell’educazione alla fraternità universale”.

Il tema della plenaria — ha osservato il Pontefice — “è di primaria importanza per il cammino dell’umanità verso la fraternità e la pace, un cammino che non è affatto scontato e lineare, ma segnato da difficoltà e ostacoli.”

  1. Nel suo discorso, Francesco ha sviluppato tre aspetti, iniziando con “Valorizzare il ruolo della donna”. “C’è bisogno di un maggiore riconoscimento della capacità della donna di educare alla fraternità universale”, ha esortato papa Francesco, il quale ha osservato che “quando le donne hanno la possibilità di trasmettere in pienezza i loro doni all’intera comunità, la stessa modalità con cui la società si comprende e si organizza ne risulta positivamente trasformata”. “È dunque un benefico processo quello della crescente presenza delle donne nella vita sociale, economica e politica a livello locale, nazionale e internazionale, nonché in quella ecclesiale”, ha aggiunto.

  2. Il secondo aspetto è “Educare alla fraternità”. “La figura femminile è stata sempre al centro dell’educazione familiare, non esclusivamente in quanto madre”, ha rammentato il Papa, il quale ha definito l’apporto delle donne in campo educativo “inestimabile”. “Le donne, legate intimamente al mistero della vita, possono fare molto per promuovere lo spirito di fraternità, con la loro cura per la preservazione della vita e con la loro convinzione che l’amore è la sola forza che può rendere il mondo abitabile per tutti”, ha proseguito.

  3. Il terzo ed ultimo aspetto è quello del “Dialogare”. “Le donne sono impegnate, spesso più degli uomini, a livello di ‘dialogo della vita’ nell’ambito interreligioso, e così contribuiscono a una migliore comprensione delle sfide caratteristiche di una realtà multiculturale”, ha continuato Francesco, che ha ricordato che proprio con “la sua capacità di ascoltare, di accogliere e di aprirsi generosamente agli altri” può dare un importante apporto al dialogo interreligioso.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/june/documents/papa-francesco_20170609_pontconsiglio-dialogo-interreligioso.html

Paul De MaeyerZenit 9 giugno 2017

https://it.zenit.org/articles/papa-lapporto-delle-donne-in-campo-educativo-e-inestimabile

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GENITORI SEPARATI

Separazione: non si può impedire ai figli di frequentare i nuovi compagni dei genitori

Tribunale di Milano, nona Sezione civile, sentenza 18 gennaio 2017

Per il Tribunale di Milano deve ritenersi che in presenza di relazioni consolidate i minori abbiano metabolizzato la presenza del nuovo partner della madre o del padre.

Non può essere accolta la domanda del genitore al Tribunale volta a inibire i rapporti tra i figli e il nuovo partner dell’ex se la relazione con il nuovo compagno sia ormai consolidata e debba desumersi che, per il tempo trascorso, i minori abbiano metabolizzato la sua presenza nella vita della madre o del padre.

Lo ha stabilito il Tribunale di Milano pronunciandosi sulla separazione di una coppia i cui rapporti risultano particolarmente conflittuali.

Confermata la separazione, il giudice respinge la domanda di addebito della separazione alla ex moglie formulata dal marito per carenza di adeguata prova della condotta della ex in contrasto con i doveri discendenti dal matrimonio prima della crisi irreversibile del rapporto coniugale. L’uomo, infatti, non riesce a dimostrare il momento in cui la relazione extraconiugale della donna avrebbe avuto inizio né su quanto l’avrebbe scoperta, ossia che l’adulterio fosse la causa e non l’effetto della crisi coniugale.

Inoltre, sulla possibilità di chiedere la prova del tradimento a testimoni, il Tribunale precisa che il teste, nel riportare i fatti, può soltanto riferirsi a quelli storici dai quali può desumersi la sussistenza di una relazione adulterina a partire da una certa data.

Quanto, invece, all’affidamento dei minori, il Tribunale decide per l’affidamento condiviso con principale collocazione presso il padre e ampia frequentazione materna. Ciò in quanto, pur in presenza di accentuate fragilità e della riscontrata incapacità dei coniugi di tutelare i figli dal conflitto coniugale, entrambi avevano mostrato positive competenze genitoriali e non erano emerse condotte degli stessi pregiudizievoli per i minori.

Il rapporto tra i figli e il nuovo compagno. Il giudice meneghino si sofferma sul rapporto tra i minori e il nuovo compagno della madre. Il padre, infatti, chiede che vengano vietati i contatti tra i figli e la nuova figura familiare. Tuttavia, per il Tribunale non sussiste motivo per inibire i rapporti con il “patrigno”: la sua presenza nella vita della donna, infatti, si è consolidata al punto che i due avevano avuto un bambino al quale i tre fratelli erano molto legati. Il rapporto stabile lascia dunque presumere che i tre minori abbiano metabolizzato la presenza del compagno della madre: lo stesso Tribunale, nella precedenza sentenza del 23 marzo 2013 aveva affermato che, senza pregiudizio per il minore e adottando le opportune cautele, il genitore separato ha diritto a coinvolgere il proprio figlio nella sua nuova relazione sentimentale, trattandosi di una formazione sociale a rilevanza costituzionale.

A seguito dell’entrata in vigore della Legge Cirinnà, il principio è stato ulteriormente consolidato, ma è necessario che la tendenza del genitore a coinvolgere il partner nella vita dei bambini non crei in loro eccessivo disagio.

Lucia Izzo Newsletter studio Cataldi 8 giugno 2017 sentenza

www.studiocataldi.it/articoli/26364-separazione-non-si-puo-impedire-ai-figli-di-frequentare-i-nuovi-compagni-dei-genitori.asp

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MEETING MONDIALE DELLE FAMIGLIE

Verso Dublino. Il Vangelo della famiglia, gioia per il mondo

A giugno 2017 si è tenuto nella capitale irlandese un convegno in vista del meeting mondiale 2018. 110 rappresentanti di 50 Paesi per mettere a punto temi e momenti organizzativi.

Il IX Incontro mondiale delle famiglie si svolgerà dal 21 al 26 agosto 2018 a Dublino, in Irlanda, e sarà l’occasione per approfondire i contenuti dell’Esortazione apostolica Amoris lætitia. Lo spiega Papa Francesco in una Lettera presentata in Sala Stampa vaticana dal cardinale Kevin Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita e da monsignor Diarmuid Martin, arcivescovo di Dublino.

Nel suo intervento il cardinale Farrell ha notato come «la preparazione di questo grande evento sia importante in tutte le singole diocesi e nelle parrocchie, tanto quanto la celebrazione finale in Irlanda». È in questo modo, infatti, che «l’evento può incidere davvero nella vita familiare, ecclesiale, culturale e sociale, mostrando visibilmente l’intensa comunione di tutto il popolo di Dio e di tutte le famiglie cristiane intorno al Papa». Il porporato statunitense ha poi evidenziato come Papa Francesco nella Lettera rinnovi il suo «sogno» di «una Chiesa in uscita, non auto-referenziale, una Chiesa che non passi distante dalle ferite dell’uomo, una Chiesa misericordiosa che annunci il cuore della rivelazione di Dio Amore, che è la misericordia».

Lo stesso punto è stato enfatizzato anche dall’arcivescovo Martin, che ha osservato come «persone provenienti dai contesti più diversi sono affascinate da papa Francesco». Infatti «anche coloro che non appartengono alla Chiesa apprezzano il suo desiderio di stimolare un vero rinnovamento della Chiesa e Gli augurano di avere successo nella sua aspirazione». Per l’arcivescovo di Dublino l’Incontro del 2018 «non intende essere solo un evento di passaggio, una celebrazione fugace degli ideali vita della famiglia». Anche perché la Chiesa «deve essere un luogo in cui le persone il cui matrimonio si trova in difficoltà o addirittura in fallimento non si sentano giudicate con durezza, ma possano fare esperienza del forte abbraccio del Signore che li può risollevare, per ricominciare a realizzare i propri sogni, anche se solo in maniera imperfetta». Martin ha informato anche che la celebrazione di Dublino nell’agosto 2018 sarà preceduta da un’ampia catechesi sul significato dell’amore coniugale e familiare e sul ruolo della famiglia nella società. Questo, ha spiegato, «sarà un momento di rinnovamento per la Chiesa in Irlanda con una estesa partecipazione dei fedeli laici».

Rispondendo alle domande dei cronisti Martin ha riferito che il Papa gli ha espresso il «desiderio» di essere personalmente presente all’Incontro del prossimo anno. «Si deve parlare – ha poi osservato l’arcivescovo di Dublino – alle famiglie sotto attacco, non possiamo avere un approccio ideologico, ma chiederci: ‘Come affrontare le sfide?’; ‘Come la famiglia può vivere in questa società?’». «Soprattutto in alcune aree povere, – ha aggiunto – c’è l’orgoglio di avere dei figli, di essere famiglia, questo succede in Irlanda ma non solo, anche a Roma, e la Chiesa deve tenerne conto».

«La prima cosa – ha quindi sottolineato Martin – non è tanto il catechismo, ma l’amore per i figli, e questo lo dice Gesù». «Dobbiamo sempre accompagnare e comprendere, siamo Chiesa. – ha chiosato il cardinale Farrell –. Molte famiglie non vanno in chiesa, si sono allontanate, e la preparazione dell’Incontro dovrà tener conto anche di questo». Il porporato statunitense ha inoltre sottolineato che nella capitale irlandese «affronteremo la vita della famiglia così come è» e l’attenzione sarà principalmente rivolta ad approfondire «cosa pensiamo in quanto cristiani della vita matrimoniale e familiare in un momento in cui le famiglie sono sotto attacco», una cosa che «abbiamo mancato di fare» in passato.

lettera di Papa Francesco per l’incontro di Dublino

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2017/documents/papa-francesco_20170325_incontro-mondiale-famiglie.html

Gianni Cardinale Forum Associazioni Familiari 8 giugno 2017

www.forumfamiglie.org/2017/06/08/il-vangelo-della-famiglia-gioia-per-il-mondo

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NEGOZIAZIONE ASSISTITA

Separazione: addio negoziazione assistita se gli avvocati non informano adeguatamente i coniugi

Tribunale di Torino, settima Sezione civile, decreto 29 maggio 2017

L’articolo 6, comma 3, del decreto legge numero 132/2014 impone agli avvocati, in fase di stipula di una negoziazione assistita per la separazione personale dei coniugi, di informare ciascuno di essi dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati sia con la madre che con il padre.

Niente nulla osta. Con il decreto il Tribunale di Torino ha a tal proposito precisato che, se tale informazione è omessa, è corretta la scelta del Pubblico Ministero di negare l’autorizzazione all’accordo e di trasmettere gli atti al Presidente del Tribunale.

E il Presidente del Tribunale di Torino, nel caso di specie, ha ritenuto che proprio l’omessa informativa abbia influito negativamente sugli accordi, che si presentavano come non sufficientemente adeguati a garantire che i figli minori mantenessero una continuità nella relazione con il genitore non collocatario.

Di conseguenza, conformandosi alla posizione del PM, il Presidente non ha autorizzato l’accordo, ritenendo che il mancato avviso in ordine all’importanza per i minori di trascorrere tempi adeguati con ciascun genitore, pur non essendo una circostanza tale da determinare la nullità della negoziazione, nella pratica ha fatto sì che i genitori predisponessero un calendario visite in contrasto con gli interessi di loro figlio e con il principio della bigenitorialità.

Avv. Valeria Zeppilli Newsletter studio Cataldi 8 giugno 2017 ordinanza

www.studiocataldi.it/articoli/26391-separazione-addio-negoziazione-assistita-se-gli-avvocati-non-informano-adeguatamente-i-coniugi.asp

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ONLUS – NON PROFIT

E’ vero che la riforma del terzo settore consente alle associazioni di trasformarsi in fondazioni?

Un dato molto positivo della riforma è in effetti dato dal fatto che, anche se il Governo non ha proceduto alla revisione del titolo II del libro primo del codice civile, è stata finalmente espressamente prevista la possibilità per le associazioni, come da noi più volte auspicato, di trasformarsi in fondazione.

Le disposizioni transitorie e finali del Codice del Terzo settore, all’articolo 97, prevedono l’inserimento nel codice civile dell’articolo 42 bis relativo alle operazioni straordinarie degli enti di cui al titolo II sopra citato (associazioni, riconosciute e non riconosciute, e fondazioni): se non è espressamente escluso dall’atto costitutivo o dallo statuto, tali enti possono operare reciproche trasformazioni, fusioni o scissioni.

Ricordiamo che lo “Schema di decreto legislativo recante Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lett. b), della legge 6 giugno 2016, n. 106” dovrà essere esaminato dalle competenti commissioni parlamentari e dalla Conferenza Stato-Regioni, per approdare di nuovo in Consiglio dei Ministri per il via libero definitivo, previsto per il mese di luglio.

Non profit on line 9 giugno 2017

www.nonprofitonline.it/default.asp?id=508&id_n=7346&utm_campaign=Newsletter+Non+profit+on+line+9+giugno+2017&utm_medium=email&utm_source=CamoNewsletter

 

 

Variazione del Legale Rappresentante.

Si ricorda alle associazioni che la variazione del proprio Legale Rappresentante deve essere comunicata agli enti interessati, in particolare: all’Agenzia delle Entrate, presentando l’apposita modulistica (mod. AA5/6) di variazione del Presidente e il verbale di nomina dello stesso; alla Regione, qualora l’associazione sia iscritta al Registro Regionale del Volontariato, inviando la documentazione entro 60 giorni dal verificarsi dell’evento; al Centro Servizi, presentando il verbale di nomina e il modulo aggiornato di accreditamento al Centro. –

www.csvastialessandria.it/2017/6/9/variazione-legale-rappresentante-di-un-associazione-di-volontariato

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PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA

Procreazione informata

Procreazione medicalmente assistita (Pma) solo se gli interessati sono venuti a conoscenza di alcuni elementi essenziali sulla procedura. Come ad esempio effetti indesiderati, possibilità di ricorrere all’adozione, costi economici dell’operazione, consapevolezza che il nascituro da fecondazione eterologa da adulto non potrà conoscere molte informazioni importanti per il proprio stato di salute.

Non solo. La volontà di accedere al trattamento di procreazione medicalmente assistita è espressa con apposita dichiarazione, sottoscritta e datata, in duplice esemplare, dai richiedenti, congiuntamente al medico responsabile della struttura autorizzata. Una delle copie è consegnata ai richiedenti e una trattenuta agli atti della struttura, che provvede alla sua custodia nel tempo.

Ciò si può leggere nel decreto del Ministero della Giustizia 28 dicembre 2016, n. 265, “Regolamento recante norme in materia di manifestazione della volontà di accedere alle tecniche di procreazio­ne medicalmente assistita, in attuazione dell’articolo 6, comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, pubblicato sulla G. U. n. 40 del 27 febbraio 2017 e in vigore dal 4 marzo 2017. In allegato al regolamento uno schema con gli elementi minimi che devono essere riportati nel modello di dichiarazione di consenso informato.

www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/02/17/17G00024/sg

Il provvedimento individua anche gli elementi minimi di conoscenza necessari alla formazione del consenso in­formato in caso di richiesta di accesso alla procreazio­ne medicalmente assistita. Tra questi: la possibilità di ricorrere ad affidamento e adozione, come alternativa; i problemi bioetici conseguenti all’applicazione delle tecniche; le diverse tecniche impiegabili, incluse le tecniche di Pma di tipo eterologo e la possibilità per uno dei componenti della coppia di donare gameti; gli effetti indesiderati o collaterali relativi ai trattamenti; i rischi per la madre e per il nascituro, la possibilità che il nato da Pma di tipo etero­logo, una volta adulto, possa essere oggetto di anamnesi medica inappropriata; la volontarietà e gratuità della donazione di gameti, nonché la non rivelabilità dell’iden­tità del o dei riceventi al donatore o alla sua famiglia e viceversa; la possibilità di revoca del consenso da parte dei richiedenti fino al momento della fecondazione dell’ovulo; la possibilità, da parte del medico responsa­bile della struttura, di non procedere alla procreazione medicalmente assistita esclusivamente per motivi di ordine medico-sanitario, motivata in forma scritta; i costi economici totali derivanti dalla procedura adottata. Il provvedimento, che tra l’altro pone rime­dio ai “buchi” creati nella normativa da una serie di sentenze della Consulta susseguitesi negli ultimi anni, dispone che le strutture autorizzate alla fecondazione debbano fornire ai richiedenti, in maniera chiara ed esaustiva, nel corso di uno o più colloqui, gli elementi informativi visti sopra preliminarmente alla sottoscrizione del consenso informato ed al conseguente avvio del trattamento di procreazione medicalmente assistita.

Le strutture private autorizzate sono per parte loro tenute a fornire con chiarezza ai richiedenti i costi economici totali derivanti dalle diverse proce­dure, preliminarmente alla sottoscrizione del consenso informato ed ai conseguente avvio del trattamento di procreazione medicalmente assistita.

News ANAI (Associazione Nazionale Avvocati Italiani) 6 giugno 2017

www.associazionenazionaleavvocatiitaliani.it/?p=85297

 

Legge 19 febbraio 2004, n. 40 www.camera.it/parlam/leggi/04040l.htm

Art. 3. (Modifica alla legge 29 luglio 1975, n. 405).

1. Al primo comma dell’articolo 1 della legge 29 luglio 1975, n. 405, sono aggiunte, in fine, le seguenti lettere:

“d-bis) l’informazione e l’assistenza riguardo ai problemi della sterilità e della infertilità umana, nonché alle tecniche di procreazione medicalmente assistita;

d-ter) l’informazione sulle procedure per l’adozione e l’affidamento familiare”.

2. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

http://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/dettaglioAtto?aggiornamenti=&attoCompleto=si&id=25554&page=&anno=null

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