NewsUCIPEM n. 651 – 28 maggio 2017

NewsUCIPEM n. 651 – 28 maggio 2017

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

ucipem@istitutolacasa.itwww.ucipem.com

Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le “news” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali. Sono così strutturate:

  • Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.

  • Link a siti internet per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto delle news è liberamente riproducibile citando la fonte.

Per visionare i numeri precedenti, dal n. 534 andare su:

http://ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=category&id=84&Itemid=231

In ottemperanza alla direttiva europea sulle comunicazioni on-line (direttiva 2000/31/CE), se non desiderate ricevere ulteriori news e/o se questo messaggio vi ha disturbato, inviateci una e-mail all’indirizzo: newsucipem@gmail.comcon oggetto: “richiesta di disconnessione news”.

Chi desidera connettersi invii a newsucipem@gmail.com la richiesta indicando nominativo e-comune di attività, e-mail, ed eventuale consultorio di appartenenza. [invio a 1.344 connessi]

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

01 ADOZIONI INTERNAZIONALI La Lombardia ci crede ancora.

02 Etiopia. Adozioni sospese e 21 famiglie bloccate dal 21 aprile.

03 AFFIDAMENTO Firenze. Comune Rimborsi più alti per chi accoglie un bambino.

04 AFFIDO CONDIVISO I figli possono conoscere e vivere con i nuovi partner dei genitori.

05 AMORIS LÆTITIA Lettera dell’episcopato belga.

05 ASSEGNO DIVORZILE Nuovo assegno di divorzio: Tribunale di Milano segue la Cassazione

06 Revoca anche se il nuovo compagno è fallito.

06 Gianfranco Dosi sulla sentenza in tema di assegno di divorzio.

14 CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 20/2017, 24 maggio 2017.

14 CHIESA CATTOLICA La nomina del card. Bassetti alla presidenza Cei.

16 Le ragioni del cuore. Ecco Bassetti, il dopo Bagnasco.

17 CINQUE PER MILLE 5 per mille 2017: Pubblicati gli elenchi dei promossi

18 COMM. ADOZIONI INTERNAZION. Restituire regolarità ai lavori della CAI: vada aperta una verifica.

19 Famiglie italiane tornate a credere nell’adozione internazionale.

20 CONSULTORI FAMILIARI Vercelli CFC. Incontri e laboratori

20 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Trento. Il Consultorio ha una nuova casa

20 Trieste. Incontri. Quando il quotidiano diventa emergenza.

21 DALLA NAVATA Ascensione del Signore–- Anno A – 28 maggio 2017

21 Commento di Enzo Bianchi,

23 DIVORZIO La donna conserva il cognome dell’ex dopo il divorzio?

24 FRANCESCO VESCOVO DI ROMALa teologia di papa Francesco.

25 PARLAMENTO Camera Assemblea Interrogazione sugli effetti del farmaco EllaOne

27 2° Comm. Accordi prematrimoniali

27 POLITICHE FAMILIARI Bonus asilo nido 2017: istruzioni Inps

30 RAGAZZA MADRE Quali sono i diritti di una ragazza madre

31 VIOLENZA Reato di maltrattamenti in famiglia anche se non si convive più.

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ADOZIONI INTERNAZIONALI

La Lombardia ci crede ancora

Diffusi dal Pirellone i dati relativi alle richieste di adozioni internazionali in regione nel biennio 2014-2015, tratti dal Rapporto della Commissione nazionale, che collocano la Lombardia al primo posto in Italia. Ma in due anni i minori entrati effettivamente in famiglia sono diminuiti lo stesso

Lombardia dal cuore grande: nel 2014 e nel 2015 è stata la regione in cui sono state fatte più richieste di adozioni internazionali, esattamente 762 bambini e ragazzi senza casa. Al secondo posto c’è la Toscana (469 minori), poi il Lazio (397 minori), Campania (393 minori), Veneto (378 minori). È quanto è emerso dal “Rapporto sui fascicoli dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2015”, diffuso nei giorni scorsi dalla Commissione adozioni internazionali, redatto in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti, che tiene conto anche dei dati elaborati dal Segretariato dell’Aja.

Il dato, diffuso con soddisfazione dalla Regione, riguarda le richieste di adozione; se si passa invece ad analizzare le regioni italiane che hanno fatto registrare il maggiore incremento di minori autorizzati all’ingresso, al primo posto troviamo la Campania (+ 25,9%), seguita da Sardegna (+91,4%), Toscana (+11,3%) e Friuli-Venezia Giulia (+36,7). La Lombardia figura invece agli ultimi posti tra le regioni che hanno registrato il maggiore decremento in valore assoluto di minori autorizzati a entrare: il calo maggiore è stato registrato in Sicilia (-44 minori), Lazio (-35), e appunto Lombardia (-22 minori).

Tornando alla Lombardia, i dati regionali evidenziano che la maggior parte dei bambini arriva dalla Federazione Russa: 1.060 quelli autorizzati all’ingresso nel biennio 2014-2015 pari al 24% del totale. Gli altri Paesi di provenienza sono Polonia, Repubblica Popolare Cinese, Colombia, Vietnam, Bulgaria, Brasile, Etiopia, India e Repubblica Democratica del Congo. I bambini adottati sono prevalentemente maschi, il 58,3%, con un’età media di 5,9 anni, mentre un altro 25% hanno un’età compresa fra 1 e 4 anni e soltanto il 2,9% ha meno di un anno. I genitori adottivi hanno, invece, un’età media alta e un’istruzione elevata. Ed è la Lombardia la regione con il maggior numero di coppie che hanno portato a termine l’iter adottivo (649), seguita dalla Toscana, Veneto, Lazio, Emilia-Romagna e Campania.

Gabriella Meroni Vita 24 maggio 2017

www.vita.it/it/article/2017/05/24/adozioni-internazionali-la-lombardia-ci-crede-ancora/143491

 

Etiopia. Adozioni sospese e 21 famiglie bloccate dal 21 aprile

Sospesi gli iter di adozione in corso con l’Etiopia: a riportarlo è il sito del Dipartimento di Stato Americano in una nota, pubblicata il 16 maggio 2017, con cui informa ufficialmente le famiglie americane invitandole a considerare altri Paesi, e la testata etiope CapitalEthiopia, (che in un articolo pubblicato un giorno dopo la nota del Dipartimento americano, il 17 maggio 2017) riporta le dichiarazioni del Ministero etiope delle Donne, dei Bambini e degli Adolescenti (MOWA), autorità di riferimento per le adozioni internazionali che ribadisce lo stato di sospensione.

Ecco quanto riporta il sito ufficiale del Dipartimento di Stato Americano “L’ambasciata statunitense ad Addis Abeba è stata informata che il Ministero delle Affari delle donne e dei bambini (MOWA) riprenderà l’analisi dei casi di adozione internazionale, ma l’esito sarà negativo. Questo riguarda tutti i casi di adozione internazionale, indipendentemente dal loro stadio nel processo o dalla nazionalità dei genitori adottivi. Ad oggi, il governo etiope non ha fornito alcuna comunicazione formale all’Ufficio dei diritti dell’infanzia o all’ambasciata per quanto riguarda la sospensione delle adozioni internazionali”.

Come precisa il sito americano “L’Ufficio del Primo Ministro tiene riunioni a livello governativo e a livello ministeriale con vari ministeri etiopi durante il mese di maggio. A causa di tali riunioni, i funzionari di alto livello nei ministeri interessati non hanno risposto alle richieste di incontri con i funzionari governativi degli Stati Uniti. L’Ufficio dei diritti dell’infanzia e l’ambasciata solleciteranno il governo etiope a rilasciare ulteriori informazioni dopo la conclusione di tali riunioni. Continueremo inoltre a sollecitare il governo etiope a consentire l’elaborazione continua di casi in corso prima della sospensione del 21 aprile”.

Da qui la precisazione che per quanto il Dipartimento di Stato continui a sostenere l’adozione internazionale con l’Etiopia, “Tuttavia, data l’incertezza del futuro delle adozioni, i futuri genitori adottivi dovrebbero considerare altri Paesi”.

Inoltre sempre dal sito si evince che lo scorso 8 maggio il Dipartimento di Stato ha organizzato una call conference con i genitori adottivi e gli ASP (Adoption Service Providers) con oggetto proprio l’attuale sospensione delle adozioni internazionali in Etiopia.

Sospensione confermata anche dal quotidiano Capitalethiopia secondo il quale il Ministero etiope ha indicato alle Ambasciate straniere ad Addis Abeba di non rilasciare per alcun motivo visti per i casi di minori adottati, tanto che i bambini per i quali era già in corso il processo di adozione sarebbero stati riportati negli orfanotrofi.

Solomon Asfaw, Responsabile delle Relazioni Pubbliche per il MOWA, nell’articolo pubblicato da Capitalethiopia conferma “la presenza sul Paese di circa 20 famiglie adottive provenienti da diversi Paesi e giunte in Etiopia per finalizzare il processo adottivo e portare i loro figli a casa. Famiglie bloccate dal 21 aprile scorso, quando il Ministero non ha più autorizzato il rilascio dei passaporti”.

“La maggior parte dei bambini adottati in Etiopia da coppie straniere – si legge – si dirige verso gli Stati Uniti, la Scandinavia, la Germania, l’Australia, il Canada, la Spagna o l’Italia. Alla base della decisione del Governo etiope ci sarebbero fatti recenti legati a situazioni di abuso e traffico di bambini”. A ciò si aggiunge la mancanza di informazioni sulle condizioni dei minori una volta nel Paese di adozione.

Dal 2011 le adozioni internazionali in Etiopia si sono ridotte del 90%. Prima del divieto, ogni giorno in media 50 bambini lasciavano il Paese. L’Etiopia richiede relazioni di post adozione periodiche: a tre mesi, a sei mesi e ad un anno dall’adozione e una relazione annuale fino al compimento del diciottesimo anno di età del minore. Obbligo questo che secondo il Ministero non è stato sempre rispettato.

E così, mentre si rincorrono le notizie di sospensione delle procedure delle adozioni internazionali in Etiopia e le motivazioni dell’autorità etiope, in Italia come oramai succede da tre anni, non c’è alcuna comunicazione ufficiale da parte dell’Autorità Centrale. L’ultima comunicazione ufficiale risale a più di due anni fa, 30 gennaio 2015.

L’augurio e la speranza è che la nuova vicepresidente Laura Laera affronti la questione con le dovute cautele e correttezza nei confronti tanto dei minori quanto delle famiglie coinvolte, onde evitare una “questione Congo bis”.

Fonte: capitalethiopia.com; travel.state.gov

News Ai. Bi. 24 maggio 2017

www.aibi.it/ita/adozioni-internazionali-etiopia-adozioni-sospese-e-21-famiglie-bloccate-dal-21-aprile

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

AFFIDAMENTO

Firenze. La proposta del Comune “Rimborsi più alti per chi accoglie un bambino in casa”

Affidamento familiare, cresce la domanda e Palazzo Vecchio corre ai ripari. Come? Aumentando i rimborsi a singoli e famiglie che si rendono disponibili ad accogliere temporaneamente un minore sotto il proprio tetto. Ed equiparando il trattamento tra le famiglie esterne e quelle del circolo dei parenti, attraverso il nuovo regolamento varato dalla Società della salute. Ma soprattutto progetta un rivoluzionario cambio di passo: includere nel sistema dell’affido i minori stranieri, oggi i circa 300 minori non accompagnati presenti in città. “Questo è il sogno che stiamo adesso coltivando, allargare il sistema agli stranieri. Anche se è più difficile perché sono in gran parte adolescenti”, dice l’assessore al welfare di Palazzo Vecchio Sara Funaro.

L’argomento e la proposta del Comune viene illustrata da Massimo Vanni, nell’articolo a sua firma “Firenze, rimborsi più alti per chi accoglie un bambino in casa” pubblicato oggi sul sito de La Repubblica,.it del 22 maggio 2017, che riportiamo integralmente.

Cos’è l’affido? Una sorta di adozione temporanea. Un gesto di solidarietà che famiglie, molti singoli e anche coppie gay fiorentine offrono in questo momento a 125 tra neonati e ragazzi tolti dal tribunale dei minori dalla potestà dei genitori. Per i motivi più svariati, si tratti di arresto, tossicodipendenza o condizioni economiche disperate. Un affido per due anni. O fino a quando lo stesso tribunale non riterrà la famiglia d’origine di nuovo in grado di educare e proteggere i figli. Può essere un affido full-time o anche solo «d’appoggio», secondo il nuovo regolamento, quando la famiglia esterna si mette a disposizione per alcune ore o alcuni giorni. E in cambio il sistema pubblico ti viene incontro con un aiuto per le spese.

Nel primo caso, quello del full-time, la Società della salute riconosce ora a famiglie e single 500 euro al mese (il 30% in più con un bambino disabile). Per il caso meno impegnativo, l’appoggio, solo 150 euro l’anno. Ma anche le altre tariffe sono state riviste: 17 euro al giorno per il part-time (solo alcuni giorni), 9 euro al giorno per l’impegno di alcune ore diurne.

La voce più consistente riguarda però il ‘Papi’, progetto accoglienza prima infanzia 0-3 anni: 650 euro al mese. «Certo, è solo un riconoscimento, l’affido non può diventare il business», avverte Funaro. Gli aumenti però sono stati varati per spingere più fiorentini all’affido, ora che la domanda annuale è in crescita. Almeno di una quindicina di bambini ogni anno.

L’affido costa oggi circa 500 mila euro. Ma gli aumenti sono paradossalmente un investimento per il Comune, altrimenti costretto ad ospitare i minori in centri che costano 80-90 euro al giorno. E non a caso il nuovo regolamento parifica le tariffe tra esterni e parenti. Cosa che prima non c’era: «Ma il contesto familiare non può essere sfavorito», dice Funaro.

News Ai. Bi. 22 maggio 2017

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2017/05/22/minori-senza-tutela-rimborsi-piu-alti-per-chi-li-accoglieFirenze01.html?ref=search

www.aibi.it/ita/firenze-affido-comune-rimborsi-piu-alti-per-chi-accoglie-un-bambino

 

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

AFFIDO CONDIVISO

I figli possono conoscere e vivere con i nuovi partner dei genitori se ciò fa parte ormai della loro quotidianità.

Tribunale di Milano, sentenza 18 gennaio 2017.

Il tribunale di Milano entra nel conflitto genitoriale dovuto anche alla presenza di un nuovo partner della donna. Il marito aveva richiesto l’addebito della separazione alla moglie ed inoltre chiedeva che venisse disposta dal tribunale l’inibizione della frequentazione del nuovo partner della donna ai figli, che erano però stati collocati presso la ex casa coniugale, assegnata alla stessa.

Il giudice del merito ritiene che tali domande non possano essere accolte, nella specie è controproducente ritenere opportuno che i figli non frequentino il nuovo partner della moglie, se trattandosi di relazione consolidata, può presumersi che i minori abbiano ormai metabolizzato la presenza dell’attuale convivente della mamma o del papà.

Valeria Mazzotta Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia 25 maggio 2017

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17506934/i-figli-possono-conoscere-e-vivere-con-i-nuovi-partner-dei-genitori-se-cio-fa-pa.html

 

I figli e il nuovo partner di mamma o papà

Succede frequentemente che un genitore, a distanza di poco o molto tempo dalla separazione coniugale, inizi una nuova relazione sentimentale. Come e quando va presentato il nuovo partner ai figli nati dal precedente matrimonio? Come devono essere i rapporti tra il nuovo compagno o compagna e i propri figli? E se il nuovo partner ha altri figli, come va gestita questa nuova complessità familiare? Cercheremo di trovare qualche risposta a questi importanti interrogativi in questo articolo.

Per prima cosa è bene tener presente che le cosiddette famiglie “ricostituite” dopo una separazione o un divorzio sono spesso una realtà non facile da gestire dal punto di vista delle dinamiche relazionali, che sono molto più complesse rispetto alle famiglie tradizionali. Per fare solo un esempio, necessariamente si dovrà fare i conti con persone (ex-coniuge, i nonni del bambino ecc.) non conviventi con il nuovo nucleo familiare, ma che inevitabilmente influenzano il suo clima emotivo e condizionano le sue scelte (ad esempio, per quanto riguarda vacanze, colloqui con gli insegnanti e altri aspetti pratici della vita). I problemi che si possono presentare variano enormemente in base alla situazione specifica, cioè all’età e al numero dei minori presenti, a come è stata gestita ed elaborata la separazione da adulti e più piccoli, dai rapporti attuali tra gli ex-coniugi e dal tipo di relazione che il bambino ha stabilito con entrambi i genitori.

Più avanti vedremo alcune situazioni comuni di disagio, ma partiamo dall’inizio. Quando uno dei genitori inizia una nuova relazione sentimentale, questo fatto va spiegato ai figli soltanto quando si è sicuri che sarà una relazione stabile e quindi dopo un certo periodo di frequentazione della nuova persona. Dobbiamo ricordare, infatti, che essi hanno già sofferto per via della lacerazione all’interno della loro famiglia, è quindi importante evitare di metterli di fronte a nuovi distacchi e improvvisi cambiamenti relazionali. Nell’attesa di essere certi che si tratti di una storia seria, si potrà parlare ai figli del nuovo compagno o compagna come di un amico o di un amica. In ogni caso, se è passato troppo poco tempo dalla separazione è meglio aspettare, perché la mente di bambini e ragazzi è già occupata ad elaborare la perdita della propria unità familiare. Se la nuova relazione funziona già da qualche tempo, è preferibile comunicare con chiarezza ai figli che il padre ha un’altra donna o la madre un altro uomo, adattando il linguaggio all’età dei minori. Non è invece opportuno tenere nascosta la relazione quando ormai è consolidata e palese davanti ad altre persone.

Per quanto riguarda l’inserimento del bambino o adolescente nel nuovo nucleo familiare, esso dovrebbe avvenire secondo regole chiare e condivise da parte degli ex-coniugi ed il principio basilare a cui fare riferimento è quello di una prudente gradualità. Tale principio è ormai riconosciuto dalla maggior parte dei giudici, degli avvocati, degli psicologi ed educatori come una delle fondamenta della “buona prassi” nelle separazioni familiari.

La frequentazione della nuova persona dovrebbe avvenire molto gradualmente all’inizio in luoghi neutri (passeggiata, gita al lago, pizzeria, festa di paese, ecc.) e, solo dopo un certo periodo di tempo, nella casa del nuovo compagno o compagna o nell’abitazione condivisa. Se anche il nuovo partner ha dei figli, è bene che il bambino conosca bene dapprima il nuovo compagno o compagna e, in un secondo tempo, i suoi figli. Anche i pernottamenti presso la casa della famiglia ricostituita dovranno avvenire con gradualità, iniziando da un weekend al mese, per poi passare a due, e quindi a più giorni di seguito, fino alle vacanze insieme.

Perché è tanto importante questa gradualità nella quotidianità di bambini e adolescenti? Perché, per sentirsi sicuri e sereni, essi hanno bisogno di tempo per abituarsi a vivere nel nuovo contesto familiare che comporta necessariamente nuove regole, diverse dinamiche relazionali rispetto a quelle a cui sono abituati, un nuovo clima emotivo ed educativo. In ogni caso, quello che non dovrebbe mai mancare è la possibilità di trascorrere del tempo di qualità con il solo genitore biologico, senza la presenza di altre figure. I bambini e gli adolescenti, infatti, devono essere aiutati a costruire delle rappresentazioni mentali distinte dei diversi adulti con funzioni educative che frequentano. Per bambini e ragazzi il rapporto con la madre e il padre biologico deve rimanere un rapporto unico, privilegiato, più forte e confidenziale di ogni altro. I vari aspetti del progetto educativo e le decisioni rispetto alla loro crescita devono continuare ad essere prese dai genitori biologici, preferibilmente insieme.

Grande attenzione dovrà poi prestata a cogliere eventuali segnali di disagio nei propri figli. Spesso bambini e ragazzi sviluppano un conflitto di lealtà tra il genitore biologico e il nuovo partner del padre o della madre che l’ha, in qualche modo, sostituito. Stringere un rapporto con il nuovo partner del proprio genitore, o semplicemente accettarlo, potrebbe portare alla sensazione di aver tradito l’altro genitore e quindi a sperimentare forti sensi di colpa. Da qui possono manifestarsi segnali di ostilità latente o palese nei confronti della nuova persona, reticenze a fare esperienze insieme a lei, bisogno di nascondere all’altro genitore quello che succede quando frequenta la famiglia ricostituita, o all’opposto raccontare nei minimi dettagli cosa accade in quella famiglia, ridicolizzando o criticando. Tutto questo si può prevenire stabilendo, come si è detto, regole chiare e condivise con l’altro genitore sull’affidamento dei figli e rispettando il principio della prudente gradualità. Quando invece il disagio dei figli è conclamato, fondamentale è l’ascolto di vissuti, emozioni, sentimenti, senza giudicare e criticare, ma cercando di comprendere insieme al bambino o ragazzo quello che succede dentro di lui e poi, decidendo insieme, cosa fare.

Da parte loro, i nuovi partner dovrebbero porsi come delle figure educative, affettive, dei punti di riferimento per il bambino o l’adolescente, ma stando ben attenti a non sostituirsi ai genitori. E’ importante che non si impongano e che lascino ai ragazzi il tempo di avvicinarsi a loro, di fidarsi e di costruire un rapporto rispettoso ma senza costrizioni di alcun tipo, in base al proprio carattere e alla propria volontà. Altro punto dolente è spesso rappresentato dai rapporti con i figli del nuovo compagno o compagna. Anche se non è possibile generalizzare, frequenti sono gelosie e conflitti, alleanze con il proprio genitore biologico contro il compagno o la compagna e i suoi figli. Anche in questo caso, molto possono fare gli adulti attraverso attenzioni equamente distribuite tra tutti i ragazzi, evitando paragoni che potrebbero ferire o offendere, cercando di farsi strumentalizzare dai figli contro il proprio partner o i suoi figli, promuovendo occasioni di collaborazione, condivisione di esperienze e buoni rapporti.

In conclusione, sono molti gli aspetti da tener presente, ma la cosa più importante è mettersi nei panni dei minori, provare a comprenderli “dal di dentro” (e non “dal di fuori”), uscendo dalla nostra ottica adultocentrica a cui siamo tanto abituati. E quindi predisporre progetti, fare scelte, prendere iniziative mantenendo sempre la consapevolezza che impatteranno il benessere psicologico, la personalità in formazione e la crescita di bambini e ragazzi.

Paolo Bozzato, psicologo –psicoterapeuta – Associazione Figli Per Sempre Onlus

www.lecconotizie.com/rubriche/separarsi-informati-famiglia-minori/i-figli-e-il-nuovo-partner-di-mamma-o-papa-126881

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

AMORIS LÆTITIA

Lettera pastorale dell’episcopato belga

La lettera pastorale dell’episcopato belga resa nota il 25 maggio 2017 è fortemente incentrata sul termine “discernimento” (7 pagine in francese)

www.cathobel.be/wp-content/uploads/2017/05/2017-05-09-Amoris-laetitia-Lettre-pastorale.pdf

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ASSEGNO DIVORZILE

Nuovo “assegno di divorzio”: il Tribunale di Milano segue la Cassazione

Tribunale Milano, nona Sezione civile, ordinanza 22 maggio 2017

Il presupposto giuridico per il riconoscimento dell’assegno divorzile non è il pregresso tenore di vita matrimoniale, bensì la “non” indipendenza economica dell’ex coniuge richiedente. Per “indipendenza economica” deve intendersi la capacità per una determinare persona adulta e sana – tenuto conto del contesto sociale di inserimento – di provvedere al proprio sostentamento, inteso come capacità di avere risorse sufficienti per le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali). Un parametro (non esclusivo) di riferimento può essere rappresentato dall’ammontare degli introiti che, secondo le leggi dello Stato, consente (ove non superato) a un individuo di accedere al patrocinio a spese dello Stato (soglia che, ad oggi, è di euro 11.528,41 annui ossia circa euro 1000 mensili). Ulteriore parametro, per adattare “in concreto” il concetto di indipendenza, può anche essere il reddito medio percepito nella zona in cui il richiedente vive ed abita

Redazione IL CASO.it 24 maggio 2017

http://news.ilcaso.it/news_3101/24-05-17/Nuovo_%E2%80%9Cassegno_di_divorzio%E2%80%9D-_il_Tribunale_di_Milano_segue_la_Cassazione

news.ilcaso.it/libreriaFile/Trib%20Milano%2017%20assegno%20di%20divorzio%20nuovo%20indirizzo%20CASS%202017.pdf

 

Assegno di divorzio, revoca anche se il nuovo compagno è fallito

Corte di cassazione – sesta Sezione civile, ordinanza n. 12879, 22 maggio 2017.

Quando l’ex coniuge che percepisce un assegno di divorzio instaura una nuova convivenza stabile, perde il diritto a tale assegno anche se difficilmente il suo nuovo compagno è in grado di fornire assistenza materiale. Nel caso di specie, queste difficoltà erano state rappresentate per il fatto che il nuovo compagno è stato dichiarato fallito.

Stiamo parlando di 250 euro mensili? Quindi con una nuova convivenza per giurisprudenza consolidata l’instaurazione di una convivenza more uxorio elide ogni possibile connessione con il modello di vita precedente e fa venir meno i presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile. E se il compagno fallisce pace.

Enrico Bronzo Il sole 24 ore 22 maggio 2017

www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2017-05-22/assegno-divorzio-revoca-se-nuovo-compagno-e-fallito-213431.shtml?uuid=AE7IaBRB&refresh_ce=1

 

L’opinione dell’Avv. Gianfranco Dosi sulla sentenza in tema di assegno di divorzio

Presupposti dell’assegno divorzile e condizione femminile: perché la Cassazione non è convincente.

La prima sezione della Cassazione ha deciso, ma in modo non convincente, di abbandonare per il divorzio il riferimento al pregresso tenore di vita quale parametro finalizzato all’attribuzione dell’assegno, agganciando il diritto del coniuge richiedente al parametro dell’indipendenza economica (Cass. civ. Sez. I, 10 maggio 2017, n. 11504). Con una sentenza di poco successiva la stessa prima sezione ribadisce che il riferimento al pregresso tenore di vita continua a valere per l’assegno di separazione (Cass, civ. sez. I, 16 maggio 2017, n. 12196).

I. Il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento

1. L’assegno di separazione. L’art. 156 del codice civile prevede che il coniuge al quale la separazione non è addebitata ha “diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”. L’entità di questa somministrazione – avverte poi la stessa disposizione – “è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato”.

Si tratta dell’unica norma giuridica che disciplina gli effetti della separazione nei rapporti patrimoniali tra coniugi. Sulla base di questa disposizione – risalente alle modifiche introdotte nel codice con la riforma del 1975 – sono stati definiti nel tempo i contorni di una teoria generale delle obbligazioni di mantenimento coniugale in sede di separazione che si è mantenuta fino ad oggi sostanzialmente inalterata.

Gli elementi di questa teoria generale sono soprattutto i seguenti.

  1. Il primo e fondamentale elemento può essere considerato il fatto che la condizione giuridica dei coniugi in sede di separazione, da un punto di vista delle obbligazioni di contribuzione e sostegno economico reciproco, è sostanzialmente la stessa di quella sussistente nel corso del matrimonio, sia pure trasformata in obbligazione di somministrazione del mantenimento. La separazione, d’altro lato, non scioglie il matrimonio ma ne elimina solo i vincoli giuridici di natura personale di coabitazione, fedeltà e collaborazione. Con la conseguenza che l’obbligazione di mantenimento in sede di separazione ha sostanzialmente la stessa natura di quella che ai sensi dell’art. 143 c.c. costituisce la regole contributiva primaria del vincolo matrimoniale. L’obbligo di contribuzione, quindi, permane, trasformandosi in obbligo di somministrazione del mantenimento, sempre che si verifichino i presupposti indicati nell’art. 156 che condizionano in sede di separazione il permanere di questa obbligazione. Il divorzio, viceversa, comportando il venir meno del vincolo matrimoniale dovrebbe rendere più plausibile e quasi scontata una discontinuità tra la funzione e la natura delle obbligazioni di mantenimento reciproco matrimoniali e post matrimoniali, tanto che in materia di assegno divorzile il dibattito ha avuto modo di articolarsi nel corso dei decenni passati in contrasti e orientamenti difformi. Un dibattito altrettanto vivace, invece, non si è verificato in materia di assegno di separazione, dove è sostanzialmente visibile continuità e omogeneità tra obbligazioni contributive nel corso del matrimonio e in sede di separazione. Questi principi compaiono spesso nella giurisprudenza. (…)

  2. Il secondo elemento di una teoria generale sul mantenimento coniugale in sede di separazione è costituito dal principio (di elaborazione soprattutto giurisprudenziale) che l’assegno di mantenimento di separazione non ha altre funzioni se non quella di continuare a garantire al coniuge debole dopo la separazione lo stesso tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale. Quasi, quindi, senza nessuna discontinuità. L’art. 156 c.c. esprime questo principio attribuendo al coniuge incolpevole, appunto “il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”. Si tratta di un principio, d’altra parte, del tutto comprensibile considerato che non si può pretendere che un coniuge possa essere privato da un giorno all’altro del sostegno di chi nel corso del matrimonio aveva, fino al giorno prima, garantito il suo sostentamento.

  3. Il terzo aspetto di una teoria generale concerne la quantificazione del mantenimento. Nel nostro ordinamento giuridico non esiste alcun criterio di quantificazione; solo la vaga indicazione normativa (art. 156, secondo comma, c.c.) che “l’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alla circostanze e ai redditi dell’obbligato”.

Alla teoria generale appartiene anche il presupposto fondamentale del diritto al mantenimento coniugale – esplicitato nell’art. 156 c.c. – costituito dalla previsione dell’esclusione del mantenimento per il coniuge al quale è addebitata la separazione. Principi generali di solidarietà coniugale hanno impedito finora di risolvere in altro modo il problema dell’addebito della separazione e paradossalmente sono però anche alla base della previsione che in ogni caso anche il coniuge colpevole ha diritto a ricevere gli alimenti se si trova in stato di bisogno. Connessa a quest’ultimo tema è l’ultima caratteristica del mantenimento coniugale di separazione costituito dalla distinzione teorica tra il diritto al mantenimento e il diritto agli alimenti, ma al tempo stesso l’attribuzione ad entrambi questi diritti della stessa natura in senso ampio alimentare (Corte cost. 21 gennaio 2000, n. 17).

2. L’assegno di divorzio.

  1. L’art. 5, comma 6, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 sul divorzio, nel testo modificato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74 prevede che “con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”. Perciò il presupposto legale per l’attribuzione sia dell’assegno di separazione che di quello divorzile è oggi identico e consiste nel non avere mezzi/redditi adeguati (condizione che in sede di divorzio la legge considera equivalente al non poterseli procurare per ragioni oggettive). Vi è, perciò, secondo il legislatore, una sostanziale continuità tra vita coniugale e vita post-coniugale che poggia su legami di assistenza e di solidarietà reciproca, connessi alla formazione di una famiglia e alla vita nella famiglia per un tempo che può essere limitato nel tempo ovvero anche molto lungo e che permangono anche oltre la crisi dei rapporti interpersonali.

  2. Ad interpretare il significato dell’espressione “mezzi adeguati” utilizzata nell’art. 5, sesto comma, della legge sul divorzio (nel testo modificato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74) – in difetto di una chiara indicazione del legislatore – si era mossa la giurisprudenza subito dopo la riforma operata con tale legge. Due orientamenti si contrapposero immediatamente in questa disputa.

  1. Cass. civ. Sez. I, 17 marzo 1989, n. 1322 (Relatore Finocchiaro) aveva ritenuto che sulla base del nuovo dato normativo l’obbligo di un coniuge, di somministrare periodicamente a favore dell’altro coniuge un assegno, in tanto sorge in quanto il coniuge preteso beneficiario sia privo di mezzi adeguati oppure non possa procurarseli per ragioni oggettive. Ritiene il Collegio che con l’aggettivo “adeguato” occorre far capo alla dottrina ed alla giurisprudenza che, nell’interpretare l’espressione equivalente mancanza di “adeguati redditi propri” usata in tema di separazione dall’art. 156 c.c. hanno ritenuto che il difetto dei redditi adeguati sussiste quando il coniuge preteso beneficiario dell’assegno non abbia redditi propri che gli consentano il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello che aveva in costanza di matrimonio. Analoga interpretazione può seguirsi in relazione alla formula usata nel novellato somma sesto dell’art. 5 c.c. della legge sul divorzio, non essendovi argomenti per attribuire all’aggettivo “adeguati” una accezione diversa da quella riconosciutagli in sede di separazione personale.

  2. Una interpretazione radicalmente diversa aveva invece successivamente proposto Cass. civ. Sez. I, 2 marzo 1990, n. 1652 (Relatore Senofonte) sostenendo che nel giudizio per l’attribuzione dell’assegno di divorzio, la valutazione relativa all’adeguatezza dei mezzi economici di cui dispone il richiedente deve essere compiuta con riferimento non al tenore di vita da lui goduto durante il matrimonio, ma ad un modello di vita economicamente autonomo e dignitoso, quale, nei casi singoli, configurato dalla coscienza sociale. È, dunque, l’autonomia economica (o il suo contrario) del richiedente che, nella filosofia della riforma, assume un ruolo decisivo, nel senso che l’altro coniuge tenuto ad “aiutarlo” solo se egli non sia economicamente indipendente e nei limiti, quindi, in cui l’aiuto si renda necessario per sopperire alla carenza dei mezzi conseguente alla dissoluzione del matrimonio. Questa conclusione – chiarisce la sentenza – aderisce, da un lato, ad una ricostruzione del sistema che non lascia spazio alla improbabile sopravvivenza di uno “status” economico connesso ad un rapporto personale definitivamente estinto (ma, se fosse vero il contrario, patrimonialmente indissolubile) e soddisfa, dall’altro, quelle esigenze solidaristiche che trovano non nel suo fittizio prolungamento, ma nella sua cessazione la propria ragione giustificatrice, liberando, ad un tempo, la condizione coniugale da connotazioni marcatamente patrimonialistiche, che, dando per acquisite e fornite di ultrattività posizioni, molte volte, di “pura rendita” (come si esprime la citata relazione parlamentare), oltre a stravolgere l’essenza del matrimonio, ne possono favorire la disgregazione, deresponsabilizzando il beneficiario, e, una volta che questa si sia verificata, assolverlo dall’obbligo di attivarsi per realizzare con le proprie risorse la sua personalità e acquisire, cosi, una dignità sociale effettiva e condivisa.

  3. Chiamate a risolvere il contrasto le Sezioni Unite (Cass. civ. Sez. Unite, 29 novembre 1990, n. 11490) lo risolsero aderendo all’interpretazione della prima decisione sopra ricordata e precisando che l’assegno periodico di divorzio – come modellato dalla riforma del 1987 – ha carattere esclusivamente assistenziale, atteso che la sua concessione trova presupposto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che sia necessario uno stato di bisogno, e rilevando invece l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio. Pertanto dal 1990 è prevalso in giurisprudenza l’orientamento che – proponendo una continuità tra assegno di separazione a assegno di divorzio – rapporta il giudizio di adeguatezza dei redditi al pregresso tenore di vita della vita coniugale.

  1. Nell’ambito del sistema normativo sopra sintetizzato la giurisprudenza ha precisato nel tempo che il giudizio relativo all’accertamento richiesto dalla legge del divorzio, si articola in due fasi (due operazioni): quella del riconoscimento del diritto e quella della determinazione in concreto dell’assegno. Nella prima fase/operazione il giudice è chiamato a verificare l’esistenza del diritto in relazione all’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente raffrontati al tenore di vita esistente in costanza di matrimonio (individuando una misura tendenzialmente capace di superare quella inadeguatezza), mentre nella seconda fase/operazione deve procedere ad una più concreta determinazione quantitativa dell’assegno, attraverso una valutazione ponderata dei vari criteri previsti (condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi… valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio,…) che operano come fattori di moderazione della somma considerata in astratto e possono, se del caso, addirittura azzerarla in ipotesi estreme, quando, cioè, la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione (giurisprudenza consolidata a partire da Cass. civ. Sez. I, 13 maggio 1998, n. 4809). Naturalmente questo percorso operativo che la Cassazione richiede al giudice di compiere non è così semplice come potrebbe apparire. E verosimilmente nessun giudice segue questo percorso nel modo con cui viene esplicitato. Il giudice si pone certamente il problema del raffronto tra l’assegno e il tenore di vita pregresso, ma compie in genere un’unica operazione contabile in cui tutti gli elementi si sovrappongono in una valutazione di fatto equitativa (per non dire approssimativa). Insomma la prassi è un po’ diversa e meno scientifica di quanto la Cassazione pretenderebbe. In ogni caso è certo che il riferimento attributivo dell’assegno sia, nella testa del giudice, il pregresso tenore di vita. Ed altrettanto avviene quando sono le parti con i loro avvocati a concordare un assegno.

  2. La questione dell’interpretazione dell’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio è stata portata anche all’attenzione della Corte costituzionale che l’ha risolta – rifacendosi alla giurisprudenza vivente e confermando la plausibilità e la validità delle due operazioni/fasi a cui si è fatto sopra riferimento – e sostenendo, appunto, che “il parametro del tenore di vita rileva soltanto per determinare in astratto il tetto massimo della misura della prestazione assistenziale, da determinare poi in concreto, caso per caso, con gli altri criteri di diminuzione indicati nell’art. 5 della legge sul divorzio (condizione e reddito dei coniugi, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, durata del matrimonio, ragioni della decisione) sino al loro eventuale azzeramento” (Corte Cost. 11 febbraio 2015 n. 11). Era avvenuto che nel corso di un giudizio civile di divorzio, il tribunale di Firenze aveva ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, sesto comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, nell’interpretazione, secondo cui in presenza di una disparità economica tra coniugi, “l’assegno divorzile … deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio”. Ad avviso del giudice rimettente, questa interpretazione si porrebbe, infatti, in contrasto con la Costituzione in quanto l’assegno di divorzio, pur avendo una finalità meramente assistenziale, finirebbe con l’attribuire l’obbligo di garantire per tutta la vita un tenore di vita agiato in favore del coniuge ritenuto economicamente più debole. Ricondurre l’assegno divorzile al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, sarebbe non solo anacronistico ma anche irragionevole per la “contraddizione logica” ravvisabile “tra l’istituto del divorzio, che ha come scopo proprio quello della cessazione del matrimonio e dei suoi effetti, e la disciplina del divorzio che di fatto proietta oltre l’orizzonte matrimoniale il “tenore di vita” in costanza di matrimonio”. La Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione, affermando che nella giurisprudenza vivente il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non costituisce affatto l’unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull’assegno divorzile. In effetti – ricorda la Corte costituzionale – la Corte di cassazione, in sede di esegesi della normativa impugnata, ha sempre ribadito il proprio “consolidato orientamento”, secondo il quale il parametro del “tenore di vita goduto in costanza di matrimonio” rileva, bensì, per determinare “in astratto … il tetto massimo della misura dell’assegno” (in termini di tendenziale adeguatezza al fine del mantenimento del tenore di vita pregresso), ma, “in concreto”, quel parametro concorre, e va poi bilanciato, caso per caso, con tutti gli altri criteri indicati nello stesso denunciato art. 5.

II. Separazione, divorzio e condizione femminile.

Nel 2015 (ultimo dato istat disponibile) sono stati celebrati in Italia 194.377 matrimoni (di 24.000 tra coppie miste: il 12,4%). Nel 2014 ne erano stati celebrati 189.765). Nel periodo 2008-2014 i matrimoni sono diminuiti in media al ritmo di quasi 10.000 l’anno.

Gli sposi celibi hanno in media 35 anni e le spose nubili 32.

Le seconde nozze, o successive, sono 33.579. L’incidenza sul totale dei matrimoni raggiunge il 17%.

Le separazioni sono state 91.706 (+2,7% rispetto al 2014). Le separazioni in tribunale sono state 74.000 (l’80%). Le altre sono state concordate fuori dai tribunali (5.688 – e quindi il 6,2% – ex art 6 della normativa sulla negoziazione assistita; 11.980 – e quindi il 13% – ex art. 12 davanti all’ufficiale di stato civile).

La durata media del matrimonio al momento della separazione è di circa 17 anni.

Ci si separa oggi ad una età più avanzata rispetto al passato. La classe più numerosa è quella tra i 40 e i 44 anni per le mogli (18.631 separazioni, il 20,3% del totale) mentre per i mariti è quella tra i 45 e i 49 anni (18.055 pari al 19,7%). Nel 2000, invece, il maggior numero delle separazioni ricadeva sia per i mariti sia per le mogli nella classe 35-39 anni. In media al momento della separazione i mariti hanno 48 anni, le mogli 45 anni.

I divorzi nel 2015 sono stati 82.469 (+57% sul 2014: dato spiegabile con l’introduzione proprio nel 2015 della possibilità di chiedere il divorzio in tempi più ravvicinati alla separazione). L’età al momento del divorzio è più avanzata rispetto a quella della separazione (in media quindi dopo i 48 anni per gli uomini e dopo i 45 anni per donne).

Nel 40% delle separazioni è previsto un assegno per la moglie, solo per lei o anche per i figli (nel 10% delle separazioni per la solo moglie e nel 30% delle separazioni per la moglie e i figli). Nel 30% delle separazioni non è previsto alcun assegno per la moglie. In oltre il 30% delle separazioni è previsto un assegno (a titolo di contributo ordinario) solo per i figli, in genere versato dal padre. Si tratta si percentuali abbastanza stabili nel tempo, che non hanno subito negli ultimi anni variazioni di rilievo.

Nel 2015 le separazioni con figli in affidamento (condiviso o meno) sono state circa il 90%% di tutte le separazioni. La quota di separazioni in cui la casa coniugale è assegnata alla moglie è di circa il 70%. 

In conclusione la donna che, in prime nozze, si separa lo fa dopo un periodo medio di 17 anni e dopo un matrimonio che l’ha impegnata per un periodo di età tra i 32 e i 45 anni. Nel 40% dei casi (quindi ad un flusso stabile di oltre 41.000 donne ogni anno) le viene riconosciuto il diritto ad un assegno coniugale. E in una percentuale che va dal 70% al 90% ha anche figli che ha concorso a crescere in famiglia e che nella stragrande maggioranza dei casi rimangono con lei dopo la separazione.

Non esistono statistiche sull’entità degli eventuali redditi a disposizione delle 41.000 donne che ogni anno si separano e alle quali viene riconosciuto l’assegno di mantenimento. Può trattarsi di donne che non hanno alcun reddito o di donne che pur avendo mezzi economici li hanno di entità tale da non poter garantire il godimento del pregresso tenore di vita (pacificamente considerato in sede di separazione presupposto di attribuzione dell’assegno). Pertanto non è possibile stimare con sufficiente attendibilità il numero di donne che potrebbero vedersi confermato o meno in sede di divorzio l’assegno. 

Il tasso di occupazione femminile (46%: ma 56% al nord e 30% al sud) è più basso di quello dell’uomo e sussistono differenze rilevanti di salario e stipendio tra uomini e donne. Il tasso di occupazione femminile in Europa è più alto raggiungendo mediamente il 60%. Il divario diviene molto elevato, superando i 20 punti, con la Germania e l’Olanda. Nelle coppie che si separano, le donne hanno un tasso di occupazione più alto della media; segno evidente che per la donna il reddito lavorativo influenza la scelta stessa di separarsi.

Il regime di comunione legale può in qualche modo favorire il riequilibrio economico tra coniugi nel corso del matrimonio e al momento della separazione ma il regime della separazione die beni non ha alcun meccanismo di riequilibrio a favore del coniuge più debole.

III. L’ineliminabile necessaria valorizzazione del contributo dato da entrambi i coniugi alla vita matrimoniale.

Nel contesto sopra delineato della attuale condizione femminile in Italia è ineliminabile l’attribuzione all’assegno divorzile di una funzione che contenga in sé la valorizzazione del contributo dato dalla moglie alla vita matrimoniale, senza correre il rischio che tale contributo resti annullato dalla ritenuta indipendenza economica. L’indipendenza economica è un elemento che può essere preso in considerazione come elemento di moderazione ma non come presupposto attributivo dell’assegno, perché in tal modo potrebbe seriamente mortificare o vanificare il peso del contributo offerto dalla donna alla vita matrimoniale e della famiglia.

Attualmente la funzione di valorizzazione del contributo in questione è assolta dal criterio di attribuzione dell’assegno collegato al pregresso tenore di vita. Le condizioni e il tenore di vita che due coniugi hanno avuto nel matrimonio sono strettamente dipendenti dal “contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune”.

Perciò, il riferimento al pregresso tenore di vita (cioè alle pregresse condizioni di vita della famiglia) quale presupposto per l’attribuzione dell’assegno (di separazione e di divorzio) contiene in sé oggettivamente una carica compensativa che non può essere eliminata (e che, infatti, la stessa prima sezione della Cassazione dichiara di voler confermare per la separazione). La famiglia ha potuto godere di un certo tenore di vita perché entrambi lo hanno reso possibile con il loro contributo personale, professionale o casalingo. Ed anche con il loro sacrificio personale. Le opportunità di cui la famiglia si è avvantaggiata derivano anche dalla divisione del lavoro che i coniugi hanno concordato o accettato. In tanto il lavoro professionale di un coniuge ha potuto garantire un particolare assetto economico in quanto magari il lavoro dell’altro, che si è dedicato (solo o di più) alla casa e ai figli, ha reso possibile quell’assetto.

Dopo 17 anni di matrimonio (questa è la durata media del matrimonio, come si è visto, vissuto da lei nell’arco medio di età tra i 32 e i 45 anni) – quando lui ha 48 anni e lei 45 – come si può pretendere di non considerare questo fattore l’elemento determinante da cui partire per garantire che quel contributo abbia un ragionevole riconoscimento nell’assetto post-matrimoniale? Soprattutto, come si è detto, in assenza di significativi fattori di riequilibrio connessi al regime patrimoniale sia della comunione legale che della separazione dei beni.

La circostanza che vi possano essere nel corso del matrimonio (e anche dopo) situazioni di parassitismo generate dall’approfittamento da parte di un coniuge delle fortune dell’altro è situazione che può trovare ristoro in sede di quantificazione dell’assegno (“fino ad azzerarlo” come ha sempre riconosciuto la giurisprudenza) ma non per cancellare il riferimento alle condizioni di vita nel corso del matrimonio. 

Il riferimento alle pregresse condizioni di vita è, dunque, l’unico criterio capace di garantire un punto di partenza equilibrato per decidere l’assetto economico post-matrimoniale. Non ve ne possono essere altri.

E se questo criterio di riferimento vale per la separazione non può non valere anche per il divorzio. Non vi sono due momenti della crisi o due momenti diversi della condizione femminile, ma un unico momento (al quale il nostro sistema giuridico appresta la duplice sempre più ravvicinata soluzione della separazione e del divorzio.

IV. Le ragioni del dissenso rispetto all’orientamento espresso dalla prima sezione della Cassazione in materia di presupposti dell’assegno divorzio

1. La contraddizione in sé di due diversi criteri attributivi dell’assegno.

  1. L’orientamento espresso dalla prima sezione della Cassazione con le due sentenze richiamate (11504/2017 e 12196/2017) è prima di tutto contraddittorio perché fa leva su una distinzione, tipica del nostro Paese, (tra separazione e divorzio) che non può assumere alcuna ragionevole funzione distintiva (che non sia meramente formale) tra criteri di attribuzione dell’assegno di mantenimento. Separazione e divorzio sono espressioni di una medesima condizione post-matrimoniale (che in alcuni Stati sono tra loro condizioni alternative, ma che in quasi tutti confluiscono nella sola condizione divorzile). La funzione dell’assegno post-matrimoniale non può che essere la stessa. In tutti i Paesi del mondo è così.

  2. D’altro lato la distinzione tra separazione e divorzio nel nostro ordinamento si è oggettivamente sdrammatizzata (anche se non è ancora stata superata) in seguito alla legge 55/2015 che ha ravvicinato così tanto i termini minimi di tempo previsti tra la separazione e il divorzio, da rendere la distinzione tra i due istituti quasi solo formale: sei mesi dall’udienza presidenziale di separazione se c’è stata consensuale o consensualizzazione, oppure un anno. Ed è stata, paradossalmente, proprio la stessa Corte di Cassazione a chiarirlo, suggerendo una sorta di continuità sostanziale tra separazione e divorzio con due sentenze di legittimità (Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 2014, n. 7981 e Cass. civ. Sez. I, 20 agosto 2014, n. 18078) nelle quali lo stato di separazione viene praticamente omologato a quello divorzile. Si afferma in queste due sentenze che – contrariamente a quanto si era sempre prima ritenuto nell’interpretazione dell’art. 2941 n. 1 c.c. – non ha senso prevedere la sospensione della prescrizione tra coniugi successivamente alla loro separazione, posto che due coniugi separati sono di fatto in una condizione di reciproca autonomia personale simile a quella del divorzio (dal quale si è sempre fatta ricominciare a decorrere la prescrizione). Un passo, insomma, pienamente consapevole, verso una tendenziale equiparazione sostanziale tra la condizione di separazione e condizione divorzile.

In questo contesto, costruire riferimenti diversi per l’attribuzione dell’assegno di separazione e per quello divorzile è una esercitazione che finisce per essere ideologica perché sulla base del dato formale costituito dalla maggiore o minore continuità con il regime primario del matrimonio (la separazione ne sarebbe solo un indebolimento, mentre il divorzio ne romperebbe del tutto la continuità) spezza la condizione post-matrimoniale in due momenti in cui dal punto di vista della condizione femminile o non si verifica nessuna discontinuità sostanziale (e il coniuge debole rimane tale, continuando ad aver diritto all’assegno) o si creano le condizioni per un cambiamento improvviso del tutto incomprensibile in quanto nell’arco di sei mesi si potrebbe passare – sulla base di questo orientamento – dal diritto all’assegno (garantito dal riferimento al pregresso tenore di vita) al non diritto all’assegno (in ragione della ritenuta indipendenza economica dell’ex coniuge richiedente). Si pensi al dato paradossale di due coniugi che si separano dopo vent’anni di matrimonio: se il divorzio sopraggiunge dopo sei mesi dalla separazione, la moglie potrebbe aver diritto ad un assegno (necessario per garantire il pregresso tenore di vita) solo per sei mesi!

2. La distinzione tra criteri di attribuzione e criteri di quantificazione potrebbe essere superata solo eliminando il criterio di attribuzione ma non sostituendolo con quello dell’indipendenza economica.

La distinzione tra criteri di attribuzione (an) e criteri di quantificazione (quantum) dell’assegno divorzile, si fonda sul testo stesso della legge 898/1970 come riformata nel 1987 (in cui diritto è attribuito al coniuge richiedente “…quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati“) in simmetria con quanto previsto in sede di separazione (in cui il diritto è garantito al medesimo ex coniuge richiedente “…qualora egli non abbia adeguati redditi propri”) ed ha rappresentato fino ad oggi la più ragionevole soluzione che i giudici abbiano oggettivamente potuto offrire al problema di come valorizzare il contributo dato dalla donna alla vita matrimoniale.

Come si è già detto, la giurisprudenza afferma per il divorzio a tale proposito, in continuità con quanto previsto in sede di separazione, che il giudice del divorzio è chiamato a verificare dapprima l’esistenza del diritto in relazione all’inadeguatezza dei mezzi raffrontati alla condizione e al tenore di vita in costanza di matrimonio individuando un importo capace di fronteggiare quella inadeguatezza, e poi a procedere alla modulazione quantitativa di quell’importo attraverso una valutazione ponderata dei vari criteri previsti che operano come fattori di moderazione dell’importo come sopra considerato, potendo ridurlo (in presenza, per esempio, di redditi significativi) o addirittura azzerarlo in ipotesi estreme (per esempio quando la separazione era stata addebitata alla moglie).

Pertanto – e salvo quanto si è già detto in merito alla scarsa scientificità di questa operazione concreta affidata al giudice – se due coniugi con un reddito di circa 8.000 euro al mese del marito professionista e i 2.000 euro al mese della moglie insegnante di scuola media, hanno potuto garantirsi per dieci anni un tenore di vita più che accettabile (reso possibile da 10.000 euro di complessivo reddito familiare) il giudice del divorzio dovrebbe ipotizzare astrattamente una misura capace di fronteggiare la inadeguatezza dei redditi della moglie a conservare l’assetto al quale ha anche lei contributo (esattamente come il giudice fa in sede di separazione) e procedere poi ad una quantificazione più precisa dell’assetto economico divorzile tenendo presenti i criteri legali previsti nell’art, 5, comma 6, della legge sul divorzio. 

Si deve ricordare che originariamente il testo dell’art. 5 della legge sul divorzio prevedeva solo criteri di quantificazione dell’assegno lasciando al giudice il compito, in verità difficile, di valutare il quantum dell’assegno sulla base di criteri che, con l’aggiunta di quello della durata del matrimonio” sono poi diventati (con la riforma del 1987) i criteri di quantificazione, utilizzabili dopo la verifica del diritto all’attribuzione di un assegno.

Questi criteri sarebbero destinati a scomparire del tutto – e con essi ogni aspetto compensativo ad essi riferibile – ove con il nuovo orientamento il giudice decidesse che il coniuge è autosufficiente economicamente. Giudizio nel quale gli aspetti compensativi non sarebbero mai in ogni caso recuperabili.

Il riferimento al criterio dell’indipendenza economica quale criterio di attribuzione dell’assegno non è in grado di offrire, perciò, in sede divorzile la possibilità di recupero della dimensione compensativa dell’assegno divorzile. Se, infatti, nella prima fase di valutazione del diritto, il giudizio è quello di indipendenza economica di chi ha redditi di 2.000 euro mensili, non sarà possibile passare alla seconda fase di quantificazione. Il diritto viene negato e tutto finisce lì. Con la scomparsa di ogni possibile recupero di qualsiasi criterio di valutazione “delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”.

3) I diritti dell’ex coniuge obbligato

Il riferimento nella sentenza 11504/2017 al diritto (evidentemente del marito gravato dall’obbligo dell’assegno) a poter ricostituire una famiglia, non pare del tutto pertinente non potendosi certamente ipotizzare che il diritto di un coniuge a ricostituire una famiglia possa realizzarsi comprimendo i diritti della famiglia precedente.

Il problema di conciliare i doveri che scaturiscono dalla solidarietà post-coniugale con quelli che derivano dalla formazione di una seconda famiglia non possono essere naturalmente ignorati, ma di per sé non richiedono necessariamente l’adozione di una prospettiva generale diversa da quella del riferimento per l’attribuzione dell’assegno divorzile al pregresso tenore di vita familiare, sebbene richiedono semplicemente l’adozione di criteri che nel caso singolo possano essere con ragionevolezza utilizzati per venire incontro a quei problemi, come è avvenuto per il tema della rilevanza della convivenza di fatto sull’assegno divorzile o come avviene per l’ex coniuge obbligato in caso di nascita di un figlio.

V. La concezione della famiglia

E’ proprio, però, sulla concezione della famiglia che l’orientamento della prima sezione della Cassazione finisce per ripercuotersi in senso negativo. La sentenza 11504/2017 considera espressamente la famiglia come una somma di persone singole. Come qualcosa che può morire e rinascere senza problemi. Come un insieme di ostacoli da superare più che un insieme di opportunità da valorizzare. Una concezione che non è accettabile.

La famiglia è, viceversa, una rete di relazioni primarie – sia che la si veda dal punto di vista dei figli che dal punto di vista dei coniugi – la cui caratteristica fondante è la solidarietà. Non è un insieme di persone singole, ma un insieme di relazioni da cui dipende l’equilibrio e il benessere presente e futuro di tutti i suoi componenti. Devono perciò essere le relazioni al centro dell’interesse del sistema giuridico verso la famiglia. La patrimonialità fa parte di queste relazioni.

La separazione e il divorzio non annullano l’importanza delle relazioni ma ne richiedono il superamento (non la distruzione). Distruggere o ignorare le relazioni familiari è distruggere o ignorare le relazioni primarie e creare le basi per lo squilibrio psicologico e per la sofferenza anche degli individui.

Una concezione della famiglia interessata all’equilibrio e al benessere delle persone dovrebbe proporre di superare i legami familiari (coniugali e generazionali) non distruggendo o ignorando le relazioni primarie ma fondando su quelle relazioni primarie le premesse per la tutela dei diritti che conseguono alla fine dal matrimonio. Il riferimento alla vita in comune e alla relazioni primarie che si sono formate nella vita in comune dovrebbe costituire l’unico riferimento plausibile per verificare il diritto all’attribuzione dell’assegno divorzile, ferma la possibilità in sede di quantificazione di trovare soluzioni compatibili con i diritti e le responsabilità post-matrimoniali.

VI. Quali prospettive per un nuovo modello unitario?

Separazione e divorzio sono aspetti giuridici della medesima crisi della vita matrimoniale che possono e devono essere trattati con un criterio identico. La Corte di cassazione trattando il tema dei presupposti di attribuzione, mentre con la sentenza 11504/2017 applica al divorzio il criterio dell’indipendenza economica, nella sentenza 12196/2017 conferma, invece, per la separazione il criterio del pregresso tenore di vita, anche se sembra farlo più per evitare una crisi di sistema che per convinzione e lasciando intendere – parlando di autoresponsabilità – che, se potesse, applicherebbe anche alla separazione il criterio dell’indipendenza economica.

Premesso che la soluzione non dovrebbe venire dalla Cassazione ma dal legislatore, ci si può interrogare su quale potrebbe essere una soluzione da applicare all’assegno post-matrimoniale (unitariamente inteso e senza quindi irragionevoli distinzioni tra assegno di separazione e assegno di divorzio).

Il meccanismo francese della prestation compensatorie è il sistema che più si presta ad essere preso come modello. Non c’è in questo meccanismo come presupposto per l’attribuzione dell’assegno l’inadeguatezza dei redditi di una parte (che inevitabilmente porta a chiedersi rispetto a cosa misurarla: se al pregresso tenore di vita o all’indipendenza del coniuge richiedente) ma il solo presupposto della “eventuale disparità di reddito” tra le parti. E’ la disparità di reddito che conta e null’altro. Se vi è disparità tra i redditi il giudice è chiamato ad una operazione di riequlibrio tenendo in considerazione i criteri oggi utilizzati come criteri di quantificazione e, soprattutto, la durata del matrimonio.

La prestation compensatorie serve a “compenser, autant qu’il est possible, la disparité que la rupture du mariage crée dans les conditions de vie respectives” ed è prevista nel codice nelle forme della corresponsione di un capitale in un’unica soluzione o trasformato in un assegno periodico per un tempo massimo di 8 anni. E’ determinata sulla base dei bisogni di chi la richiede e delle risorse dell’altro, tenuto conto della situazione al momento del divorzio di entrambi i coniugi e sulla base di criteri sostanzialmente analoghi a quelli di quantificazione previsti dalla nostra legge sul divorzio. 

Il vigente art. 270 del codice civile francese prevede che “Le divorce met fin au devoir de secours entre époux” ma che “L’un des époux peut être tenu de verser à l’autre une prestation destinée à compenser, autant qu’il est possible, la disparité que la rupture du mariage crée dans les conditions de vie respectives. Cette prestation a un caractère forfaitaire. Elle prend la forme d’un capital dont le montant est fixé par le juge” sebbene lo stesso giudice la possa per motivi equitativi escludere (“…Toutefois, le juge peut refuser d’accorder une telle prestation si l’équité le commande, soit en considération des critères prévus à l’article 271, soit lorsque le divorce est prononcé aux torts exclusifs de l’époux qui demande le bénéfice de cette prestation, au regard des circonstances particulières de la rupture”).

Secondo l’art. 271 “La prestation compensatoire est fixée selon les besoins de l’époux à qui elle est versée et les ressources de l’autre en tenant compte de la situation au moment du divorce et de l’évolution de celle-ci dans un avenir prévisible” con criteri precisi identificati dalla legge che sono sostanzialmente l’età la salute, la qualificazione professionale, i sacrifici e altro.

Sulla base di quanto dispone l’art. 274 “Le juge décide des modalités selon lesquelles s’exécutera la prestation compensatoire en capital parmi les formes suivantes:

  1. Versement d’une somme d’argent, le prononcé du divorce pouvant être subordonné à la constitution des garanties prévues à l’article 277;

  2. Attribution de biens en propriété ou d’un droit temporaire ou viager d’usage, d’habitation ou d’usufruit, le jugement opérant cession forcée en faveur du créancier. Toutefois, l’accord de l’époux débiteur est exigé pour l’attribution en propriété de biens qu’il a reçus par succession ou donation” ma, – come chiarisce l’art. 275 – “.Lorsque le débiteur n’est pas en mesure de verser le capital dans les conditions prévues par l’article 274, le juge fixe les modalités de paiement du capital, dans la limite de huit années, sous forme de versements périodiques indexés selon les règles applicables aux pensions alimentaires”.

Avv. Gianfranco Dosi osservatorio nazionale sul diritto di famiglia 27 maggio 2017

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17506929/lopinione-dellavv.-gianfranco-dosi-sulla-sentenza-n.-11504-del-2017-,-in-tema-di.html

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

 

CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter n. 20/2017, 24 maggio 2017.

Il lavoro più duro del mondo, e farlo, come mastercard, ” non ha prezzo” (ma un valore infinito). Nessun commento, ma quattro minuti di un colloquio di lavoro “speciale”, via skype, con sorpresa finale. [guarda il video].

Quanti leader europei senza figli: vorrà dire qualcosa (di preoccupante). Sono sempre più numerosi i leader europei senza figli. Sembra la metafora di un continente che invecchia senza bambini da crescere [Commento di Francesco Belletti sul sito di Famiglia Cristiana]

www.famigliacristiana.it/articolo/quanti-leader-europei-senza-figli-vorra-dire-qualcosa-di-preoccupante.aspx

Un bambino è un bambino. La protezione dei bambini migranti da violenza, abuso e sfruttamento (A child is a child: Protecting children on the move from violence, abuse and exploitation). Prezioso questo dossier dell’Unicef, che accende nuovamente i riflettori sul tema dei minori in condizioni di migrazione, accompagnati e soprattutto non accompagnati, fornendo precisi dati quantitativi e serie riflessioni sulle politiche necessarie. [link con dati e testo integrale del Report – in inglese] 

Dalle case editrici

  • La Meridiana, Viaggio nelle Età della Vita

  • Cittadella, “Per tutti i giorni della mia vita”. L’indissolubilità tra realtà e retorica

  • INER-Verona, Corpo, emozioni amore: prospettive per crescere. Indagine sugli adolescenti e preadolescenti partecipanti agli incontri di educazione all’affettività e alla sessualità

(volume non distribuito commercialmente: per info: iner.verona1986@gmail.com)

  • San Paolo, Madre? Specie a rischio

  • Canzi Elena, Omogenitorialità, filiazione e dintorni. Un’analisi critica delle ricerche, Vita e Pensiero, Milano, 2017, pp. 119, € 15,00. Il volume, n. 29 della collana “Quaderni del Centro Famiglia” dell’Università Cattolica di Milano presenta un lavoro particolarmente importante ed utile su un tema fortemente dibattuto come quello della filiazione in contesti di omogenitorialità, di grande intensità emotiva ed ideologica, e nel quale spesso e volentieri si fa genericamente riferimento alle “ricerche” per dimostrare la giustezza della propria opinione. Quanto mai opportuna, quindi, l’analisi di Elena Canzi, che espone le ricerche psicosociali più significative condotte sul tema dell’omogenitorialità dagli anni ‘90 fino ad oggi, di approccio sia quantitativo sia qualitativo, facendo emergere le problematiche metodologiche e gli interrogativi che esse pongono.

Save the date

Nord Diritti fondamentali della persona tra norma giuridica e libertà di coscienza, promosso da Centro Studi Rosario Livatino con il patrocinio dell’Ordine Avvocati di Milano, Milano, 7 giugno 2017.

Gruppo di supervisione sulle situazioni di adolescenti e loro famiglie, percorso formativo su 5 incontri per piccolo gruppo (10-15 partecipanti), proposto da FormAzione, Bergamo, maggio – novembre 2017.

Centro Dal progetto “On my own at work” alla rete “Valueable”. Progetto organizzato da Associazione Italiana Persone Down Onlus, Roma, 6 giugno 2016.

Sud Summer School on Refugee and Migrant Health (Scuola Estiva su Salute di Rifugiati e migranti – corsi tenuti in inglese per destinatari dei vari Paesi), promossa dall’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS-Europe), Siracusa, 10-14 luglio 2017.

Estero Local Responses, Global Advances. Towards Competent Early Childhood Systems, (Risposte Locali, progressi globali. Verso Sistemi Competenti per la cura della prima infanzia) ISSA Conference 2017 (International Step by Step Association), Gent (B), 4-6 ottobre 2017.

 

Testo e link integrali http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/maggio2017/3037/index.html

Archiviohttp://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

Iscrizione alle newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CHIESA CATTOLICA

La nomina del card. Bassetti alla presidenza Cei: discontinuità nella continuità

È il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, a prendere il posto del card. Angelo Bagnasco alla presidenza della Cei.

Questa la decisione di papa Francesco nel corso della 70.ma Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, svoltasi nell’Aula del Sinodo della Città del Vaticano da lunedì 22 a giovedì 25 maggio 2017.

Il nome di Bassetti era nell’aria da un po’ ed era stato lo stesso Bergoglio a suggerirne la designazione: prima, già nel 2014, creandolo cardinale (pur essendo Perugia una sede tradizionalmente non cardinalizia, l’ultimo cardinale di Perugia era stato nel 1853 Vincenzo Gioacchino Pecci, poi papa Leone XIII); in seguito, nel 2016, conferendogli l’incarico (prestigioso) di scrivere le meditazioni della Via Crucis al Colosseo. Infine, al compimento dei 75 anni, in aprile, il papa gli aveva prorogato l’incarico senza indicare alcuna scadenza del suo mandato (“donec aliter provideatur”, è la formula latina).

La procedura di designazione prevedeva una sessione di voto per ciascun posto nella terna. Alla prima votazione a raccogliere preferenze erano stati soprattutto Bassetti, il vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla e l’arcivescovo di Agrigento card. Francesco Montenegro. Brambilla e Bassetti, avendo avuto un uguale numero di preferenze, erano stati quindi portati al ballottaggio, nel quale l’arcivescovo di Perugia si era imposto con 134 voti contro gli 86 di Brambilla. Nella scelta per il secondo nome della terna aveva prevalso, come da pronostico, Brambilla, con 115 voti. Alla successiva votazione, per il terzo posto utile nella terna l’aveva invece spuntata il card. Montenegro, che aveva raccolto 126 preferenze.

Certo, a fronte della risonanza che ha avuto sui media la nomina di Bassetti, al solito salutata come un “svolta”, l’ennesima di questo pontificato, qualche riflessione critica va fatta.

Il “nuovo che avanza”? Anzitutto l’età del nuovo presidente della Cei, momento nel quale più che assumere nuovi, ulteriori incarichi si va in pensione. Se la Cei voleva dare l’idea di un “rinnovamento”, la è paradossalmente addirittura più vecchio di Bagnasco, designazione di un ultrasettantacinquenne non sembra andare incontro a questa esigenza.

Bassetti, classe 1942, che è nato nel 1943. Se invece tra i vescovi, dopo i 16 anni di presidenza di Camillo Ruini e i 10 di Bagnasco si pensava a una fase di transizione (anche in attesa di capire come evolverà il pontificato di Francesco, che di anni ne ha già 80 e che potrebbe in un futuro non lontano fare la scelta già compiuta da papa Ratzinger) allora quello di Bassetti è forse il nome giusto.

Non si può nemmeno dire che il card. Bassetti sia un homo novus, un prelato immune dalla critica del carrierismo ecclesiastico. Ha infatti un cursus honorum di tutto rispetto, seppure non di primissimo piano: vescovo di Massa Marittima-Piombino, di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, di Perugia, vicepresidente per l’Italia Centrale della Conferenza Episcopale Italiana, membro della Congregazione vaticana per i Religiosi dal 2013 e cardinale dal 2014.

A queste considerazioni va aggiunta l’implicita investitura del papa, le cui ripetute “attenzioni” nei confronti dell’arcivescovo di Perugia hanno forse indotto i vescovi ad indicarlo come primo nella terna proprio per compiacere Francesco. Una sorta di “cortocircuito”, dal momento che proprio il pontefice aveva in passato invitato più volte la Cei ad eleggersi autonomamente il proprio presidente (come avviene per pressoché tutte le Conferenze episcopali del mondo), ricevendo da parte dei vescovi italiani prima un deciso rifiuto, poi la loro disponibilità a votare, “solo” però a condizione di poter sottoporre al pontefice una terna di candidati dai quali Francesco potesse scegliere. Insomma, il papa aveva chiesto ai vescovi un atto di autonomia, ma aveva anche fatto capire quale tra di loro godeva del suo particolare favore. E i vescovi hanno designato come primo candidato proprio il favorito del papa. Quasi un copione già scritto, ma che salva le apparenze di un papa che finalmente restituisce ai vescovi italiani tutta la loro autonomia.

Un prelato conservatore. Dal punto di vista della collocazione ecclesiale Bassetti è indubbiamente un prelato conservatore. È tra i vescovi che hanno più volte celebrato (e fatto celebrare da diversi preti nella sua diocesi) la messa secondo l’antico rito dopo la liberalizzazione liturgica voluta da papa Ratzinger con il Motu Proprio Summorum Pontificum. È anche intervenuto a favore del Family Day (pur dicendosi favorevole a qualche forma di regolarizzazione delle unioni gay, purché assolutamente non assimilabili al matrimonio), leggendo alla fine di una messa celebrata il 16 gennaio 2016 l’appello del Comitato “Difendiamo i nostri figli” che aveva promosso la manifestazione poi svoltasi il successivo 30 gennaio a Roma. «Fate tesoro di questo comunicato – dice ai fedeli Bassetti in un video pubblicato dal sito cristianocattolico.it – perché il bene della famiglia ci sta veramente a tutti tanto a cuore».

Per molti osservatori Bassetti è comunque un vescovo dal forte afflato pastorale, sensibile ai temi sociali e del lavoro, che difficilmente ripercorrerà le orme di Ruini e Bagnasco nel rapporto con la politica a volte tanto stretto da risultare soffocante. Per ora ciò che è chiaro è che il pontificato di Francesco – anche (o soprattutto) per ragioni di popolarità presso l’opinione pubblica – va verso un progressivo disimpegno della Chiesa rispetto all’azione politica diretta. Ma solo il futuro saprà dire quale ruolo incarnerà la nuova presidenza, stretta tra il tradizionale approccio dei vescovi italiani alle questioni temporali e la nuova linea di Francesco.

Durante l’assemblea, i vescovi hanno anche eletto il nuovo vice presidente della Cei per il Sud Italia: è mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale.

Valerio Gigante Adista Notizie n. 21

www.adista.it/articolo/57400

 

Le ragioni del cuore. Ecco Bassetti, il dopo Bagnasco.

«Mi sento più spinto dal cuore che dalla ragione». Il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e neopresidente della Conferenza episcopale italiana, si presenta così all’indomani della sua nomina.

Ascoltiamolo. «Avverto la necessità evangelica di cogliere i segni dei tempi. Dio parla attraverso sole e tempesta, un prato fiorito e il terremoto. Basta saperli cogliere, questi segni, e poi agire. Subito dopo l’elezione mi sono definito un improvvisatore. Non che faccia le cose senza pensare. Diciamo che sono più colto dalle ragioni del cuore che da quelle dell’intelletto».

Settantacinque anni, toscano, Bassetti dice che in questa stagione della sua vita avrebbe tanto desiderato ritirarsi in una «parrocchina» di campagna, per esprimere quella spiritualità che invece non ha mai potuto coltivare appieno, perché fin da giovane gli sono stati affidati incarichi di responsabilità, con tutte le difficoltà che ne seguono.

«Pensi che mi misero alla guida del seminario minore nel 1968: Dico: nel 1968! Quando i seminari incominciavano a chiudere! E ora… il papa mi ha dato questa nuova bicicletta!».

Dunque niente pensione e niente «parrocchina». Ma come vede il crepuscolo della vita?

«Dalle mie finestre, quando stavo a Massa Marittima, vedevo la Corsica innevata e il tramonto, e pensavo: ecco il preludio di un nuovo giorno. Vedo il crepuscolo della mia vita così: un tramonto, che però non è la fine, è quando ci si prepara al nuovo giorno».

Come racconterebbe queste ultime giornate di assemblea della Cei?

«Ero partito confidando nella mia “giovane età” e pensavo: ora vediamo chi sarà eletto. Mi era giunta qualche voce, ma non davo retta. Invece fin dalle prime votazioni ho visto un interesse su di me. Ho provato un certo sgomento, ma l’affetto dei vescovi e del Santo Padre mi hanno incoraggiato e ho pensato: insieme potremo ancora fare qualcosa di bello».

Come ha giudicato l’intervento del papa in assemblea?

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/may/documents/papa-francesco_20170522_70assemblea-cei.html

«Doveva leggere un discorso e invece ha scelto di dialogare con noi, in grande libertà, per due ore e mezza, ascoltando tanto, con grande pazienza.

Poi, leggendo il testo scritto, vi ho trovato una chiara esposizione dell’Evangelii gaudium. Gli sta a cuore la conversione pastorale della Chiesa, un cambiamento di mentalità, di cuore. Ma naturalmente ci vogliono le mani per attuare quanto il papa insegna. Direi che il messaggio centrale è l’inclusività. La Chiesa accoglie tutti, come la rete del pescatore Pietro, specie nelle periferie, e allora ecco l’importanza della Chiesa ospedale da campo, come dice Francesco. Sessant’anni fa don Mazzolari ebbe la stessa intuizione, quando parlò della parrocchia come dell’ambulanza per chi non ce la fa: lo stesso concetto! Di qui la comunione, la collegialità, la sinodalità, che vuol dire non solo camminare insieme, ma camminare sulla stessa strada».

Come sarà il suo rapporto con la politica?

«Dialogherò con tutti, come la Chiesa postconciliare ha sempre fatto. Rispetto tutti i partiti. Ma la Cei vuole impegnarsi nel rapporto con la politica con la P maiuscola, quella che riguarda il bene comune».

Altri tema caldo: l’accoglienza dei migranti.

«Sull’accoglienza il discorso è complesso. La letteratura biblica e il magistero della Chiesa insegnano il dovere dell’accoglienza del profugo, dello straniero, della vedova. Chi è profugo va accolto, non c’è alcun dubbio. Ma naturalmente l’Italia fa parte dell’Europa e l’Europa del mondo. Siamo di fronte a problema epocale che durerà a lungo. L’impegno della Chiesa per l’accoglienza è chiaro, ma è anche impegno perché nell’accoglienza ci siano regole. È tutto riassunto bene nella campagna della Cei “Liberi di partire, liberi di restare”. C’è un diritto a emigrare ma anche un diritto a restare nella propria terra. Di fronte a quanto succede nel Mediterraneo deve essere ancora più forte la spinta a intervenire perché entrambe le libertà siano rispettate».

Parliamo di pedofilia nella Chiesa…

«La situazione è veramente preoccupante, ma la Chiesa grazie a Dio non sta partendo da zero. C’è stato il magistero di Benedetto XVI, molto chiaro, e la Congregazione per la dottrina della Fede ha emanato disposizioni molto precise. Noi vescovi siamo chiamati a lavorare in contatto con la Congregazione. Purtroppo i bambini sono sacri. La pedofilia è un delitto enorme, un crimine grande, ma la Chiesta sta facendo tutto il male è esteso anche alle famiglie e ad altri tipi di convivenza. La mia nonna diceva i bambini non si toccano, possibile per combatterlo. Poi se c’è qualche smagliatura non è colpa di nessuno. L’importante è che noi stiamo molto attenti».

Valori non negoziabili. Pericolo eutanasia: che ne pensa?

«Io penso che forse noi tutti stiamo già mancando su un punto. Non diamo a queste persone, ai malati terminali, ai malati di SLA, l’assistenza, l’amicizia, l’affetto di cui hanno bisogno. Conosco famiglie con malati terminali e di SLA. Li sostengono col sorriso. Finché la persona ha la percezione di essere un valore per gli altri è difficile che voglia morire, che arrivi a togliersi la vita. Penso poi che la legislazione dovrebbe tenere molto più conto del parere del medico che sta vicino e assiste. Lui ha una grande responsabilità e dovrebbe essere coinvolto ancor di più nella sua missione a sostegno del malato».

Sarà a Barbiana per l’omaggio del papa a don Lorenzo Milani?

«Pensi che avevo programmato di andare a Barbiana con i preti per un ritiro spirituale. Poi il papa ha annunciato la visita e allora… “ubi maior”… Ci sarò col cuore. Don Milani l’ho conosciuto bene. Nella mia formazione di fede e umanistica devo tanto alla Chiesa fiorentina per una serie di uomini che la provvidenza ha fatto nascere a Firenze e mi sono stati maestri di vita. Per esempio La Pira, che diceva: l’uomo ha bisogno del pane e della grazia. Ringrazio Dio di essere cresciuto in questo umanesimo. A proposito di questo clima, ricordo un episodio del 1966, durante l’alluvione di Firenze. Ero giovanissimo viceparroco a San Salvi e lì vicino c’è la sinagoga. Incontrai il rabbino Belgrado, uomo eccezionale per spiritualità, che mi disse: “Quando ho visto che l’acqua cresceva, mi sono posto il problema: salvare prima la Torah o i miei figli? Ho salvato prima i rotoli e Dio mi ha illuminato e ho avuto la forza per salvare anche i miei figli”. Non dimenticherò mai questa scelta di coscienza e di fede».

Parliamo di «Amoris Lætitia», documento controverso. Le piace?

«Secondo me è un vero capolavoro sull’amore cristiano e la famiglia. C’è un’indicazione di fondo che va capita. Noi non dobbiamo dire che ogni situazione irregolare è peccato mortale, perché se prendiamo il Catechismo vediamo che il peccato mortale c’è solo se ci sono numerose condizioni concomitanti. Il papa non parla di ammissione o non ammissione ai sacramenti, ma di discernimento. Chiede di verificare la reale situazione della coppia e di iniziare, se necessario, un percorso, anche penitenziale. Non è un documento opinabile. Chi fa osservazioni critiche sbaglia. Il Papa ha precisato che si tratta di magistero, come quello dei suoi predecessori».

Nel 2018 il sinodo per i giovani. Quali le linee indicate dal papa?

«Non svelo segreti se dico che il Santo Padre dà enorme importanza a questo tema. Noi guardiamo ai giovani con cuore di pastori. La nostra preoccupazione è che nessuno rubi loro la speranza. Ci sono tanti lupi rapaci che fanno di tutto per rubare la speranza dal cuore dei ragazzi. Noi invece vogliamo che i giovani siano coraggiosi, forti, altrimenti facciamo l’arca di Noè dei deboli. Non è vero che l’unione fa sempre la forza. Non la fa se siamo tutti deboli. La nostra richiesta incessante è che si attuino le condizioni per cui i giovani possano lavorare, avere una missione nella vita. Mi scandalizzavo del trentacinque per cento di disoccupazione dell’Umbria e poi alcuni confratelli di altre regioni mi hanno detto che da loro si arriva al cinquanta per cento. Quando tutti gli sbattono la porta in faccia, un ragazzo diventa apatico. È terribile. La mancanza di lavoro toglie la dignità. Purtroppo, come ha detto il cardinale Bagnasco, il nostro grido su famiglia e giovani è stato spesso trascurato».

Chiesa povera e per i poveri, dice Francesco. Che ne pensa?

«Mi sembra che nel suo magistero papa Francesco abbia fatto un passo avanti rispetto al magistero precedente. Prima i poveri erano definiti gli ultimi. Francesco ha introdotto un altro termine: scarto. Questa è una società che emargina e produce scarti. Scarto significa spazzatura. C’è da riflettere. L’ultimo, in una comunità, fa comunque parte del gruppo. Invece lo scarto non ha dignità, non è più considerato persona, è un rifiuto. Ecco perché il papa dice di stare attenti agli ingranaggi che producono questa cultura dello scarto».

Eminenza, ultima domanda. Come si definisce? Progressista o conservatore?

«Mah… io non mi sono mai posto questo problema, se progressista o conservatore. Forse, per la vita che ho fatto, sono un po’ anticonformista».

Aldo Maria Valli blog 25 maggio 2017

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CINQUE PER MILLE

5 per mille 2017: Pubblicati gli elenchi dei promossi

Sono consultabili sul sito dell’Agenzia delle Entrate: la lista degli iscritti permanenti aggiornata rispetto a quella pubblicata lo scorso 31 marzo, e l’elenco definitivo dei nuovi iscritti.

L’agenda del 5 per mille prevedeva per il 25 maggio un nuovo appuntamento, e l’Agenzia delle Entrate arriva puntuale e pubblica online gli elenchi degli ammessi al beneficio per l’esercizio finanziario 2017.

In particolare, sono consultabili in rete la lista degli iscritti permanenti aggiornata rispetto a quella pubblicata lo scorso 31 marzo, e l’elenco definitivo dei nuovi iscritti.

Complessivamente, tra permanenti e definitivi, saranno 57mila gli enti e le associazioni verso cui i contribuenti, con le dichiarazioni dei redditi del prossimo anno, potranno scegliere di dirottare una quota di Irpef.

Volontariato e associazioni sportive dilettantistiche hanno avuto tempo fino allo scorso lunedì per segnalare all’Agenzia eventuali errori riscontrati nelle liste provvisorie. Di conseguenza, gli elenchi disponibili oggi tengono conto delle segnalazioni pervenute.

Per i neo-iscritti la prossima scadenza da non perdere di vista è venerdì 30 giugno, ultimo giorno utile per la presentazione della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che attesta il possesso dei requisiti di ammissione al beneficio. Chiamati all’adempimento sono i legali rappresentanti; dovranno utilizzare il modello conforme a quello pubblicato sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate e allegare la copia del loro documento di riconoscimento. Il volontariato dovrà inviare la dichiarazione alle direzioni regionali delle Entrate, le Asd agli uffici del Coni competenti per territorio.

Da quest’anno il termine non riguarda più tutti i candidati, ma solo quelli non presenti nell’elenco permanente. Per gli appartenenti a quest’ultima lista, infatti, a condizioni invariate, sono considerate valide domande di iscrizione e dichiarazioni sostitutive presentate per il 2016.

L’ultima uscita d’emergenza chiude, invece, il 2 ottobre, termine ultimo per la regolarizzazione della domanda di iscrizione e/o per le successive integrazioni documentali.

Per rientrare in corsa, occorrerà versare, tramite F24 (codice tributo “8115”), una sanzione pari a 250 euro, mentre i requisiti di accesso al beneficio dovevano comunque essere posseduti alla data di scadenza delle domande d’iscrizione, vale a dire al 7 maggio, per gli enti di volontariato e le associazioni sportive dilettantistiche, e al 30 aprile, per gli enti della ricerca scientifica e dell’università e quelli della ricerca sanitaria.

www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/Nsilib/Nsi/Home/CosaDeviFare/Richiedere/Iscrizione%2belenchi%2b5%2bper%2bmille%2b2017/Elenchi%2b5xmille2017/Elenchi%2biscritti%2b5xmille2017/Iscritti%2bdefinitivi%2b5xmille2017

www.nonprofitonline.it/default.asp?id=466&id_n=7325&utm_campaign=Newsletter+Non+profit+on+line+26+maggio+2017&utm_medium=email&utm_source=CamoNewsletter

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Occorre restituire regolarità ai lavori della CAI: vada finalmente aperta una verifica ente per ente”

All’indomani della nomina ufficiale di Laura Laera a vice presidente della Commissione per le Adozioni Internazionali (CAI), di venerdì 19 maggio 2017, (a seguito della firma del decreto da parte del presidente del consiglio Paolo Gentiloni) l’onorevole Lia Quartapelle capogruppo del PD in Commissione esteri alla Camera dei Deputati, interviene sulla situazione drammatica in cui versa la CAI, commissione adozioni internazionali.

Argomento, adozioni internazionali e gestione Cai, su cui l’on. Quartapelle varie volte è intervenuta mettendo in evidenza il discutibile modus operandi della passata Commissione (guidata dall’ex vicepresidente Della Monica) soprattutto per quanto riguardava l’affaire Congo.

Ricordiamo fra tutte, quando il 26 gennaio 2016 l’onorevole Quartapelle presentava un’interrogazione con la quale richiedeva l’intervento immediato del ministero Affari Esteri per sbloccare una situazione diventata insostenibile, ringraziando successivamente, a crisi risolta “la Farnesina e l’ambasciata di Kinshasa per avere operato con grande professionalità e intelligenza”

Ora l’onorevole Quartapelle torna su argomento Cai e nell’augurare buon lavoro alla nuova vicepresidente Laera, coglie l’occasione per mettere i puntini sulle “i”.

“Con l’annuncio della nomina di un nuovo vicepresidente, mi auguro che la Commissione per le Adozioni Internazionali possa tornare a funzionare al più presto, dopo il periodo di vacatio dovuto alla scadenza del mandato di Silvia Della Monica. – dice – I bambini coinvolti nel processo di adozione, le famiglie, gli enti autorizzati, il sistema delle adozioni nel suo complesso hanno bisogno di una Commissione pienamente funzionante per poter rispondere alle tante questioni che attendono di essere affrontate”.

Quartapelle evidenzia che “occorre restituire regolarità ai lavori della CAI che, pur essendo un organo collegiale, è stata convocata l’ultima volta nel 2014. È necessario per assicurare la ripresa delle comunicazioni con alcuni Paesi e per pervenire a una celere pubblicazione dei dati per le adozioni del 2016”.

“Inoltre, le famiglie sono in attesa dell’erogazione dei rimborsi – aggiunge – previsti dagli stanziamenti delle leggi di bilancio 2016 e 2017”.

Ma soprattutto Quartapelle punta il dito sulla necessità e opportunità di ”fare luce sui presunti reati che, secondo alcuni organi di stampa, sarebbero stati commessi da alcuni enti autorizzati, contro i quali, tuttavia, la Commissione non ha mai attivato le procedure di verifica previste dal regolamento, creando così un clima d’incertezza e generando una situazione di sfiducia insostenibile“.

Insomma l’onorevole Quartapelle, auspica finalmente l’applicazione dell’art 15 del Dpr 108/2007 (mai fino ad ora attuato) che prevede che ogni 2 anni ogni ente venga verificato sul mantenimento dei requisiti della propria autorizzazione

Un invito alla ripresa normale e produttiva della Cai che Ai.Bi. condivide e fa proprio

News Ai. Bi. 24 maggio 2017

www.aibi.it/ita/adozioni-internazionali-quartapelle-pd-occorre-restituire-regolarita-a-cai

 

Famiglie italiane tornate a credere nell’adozione internazionale

Gratuità dell’adozione internazionale, snellimento delle procedure adottive, abolizione dei viaggi multipli nei Paesi di origine dei minori, istituzione di un “funzionario delle adozioni internazionali” presso ogni Ambasciata italiana, tolleranza zero nei confronti dei pagamenti in nero e la definizione di vacanze preadottive.

Ora grazie alla ripresa dell’attività CAI, dopo tre anni di paralisi, l’auspicio è che possano diventare realtà.

Queste sono, infatti, le speranze di migliaia di famiglie che vogliono avvicinarsi alla meravigliosa forma di accoglienza quale è l’adozione internazionale. Speranze che vengono riposte in Laura Laera, nuova vicepresidente della Cai (Commissione adozioni internazionale) la cui nomina è stata ufficializzata con il decreto firmato dal Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, lo scorso venerdì 19 maggio 2017. Il provvedimento seguirà ora l’iter per la pubblicazione nel Bollettino del ministero della Giustizia. A renderlo noto è il sito stesso della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Laura Laera succede così all’ex vice presidente Silvia Della Monica, (il cui incarico è scaduto lo scorso 14 febbraio 2017), dopo 3 anni di blocco e paralisi totale delle adozioni internazionali che da “fiore all’occhiello” che erano nel passato, hanno registrato una crisi senza precedenti.

Tre anni assurdi durante i quali è successo di tutto. Solo per fare qualche esempio: visite di delegazioni previste e poi saltate, come quella vietnamita o quella russa o tenute top secret anche agli enti autorizzati (ovvero i soggetti maggiormente interessati al buon esito di tali incontri); famiglie adottive lasciate sole per anni nell’attesa di un figlio e abbandonate a sé stesse; disservizi, ritardi e incongruenze generate dallo stallo dell’organo di controllo delle adozioni.

Ogni contatto con le famiglie è stato volutamente azzerato, le relazioni internazionali ne sono state danneggiate.

Ma venerdì 19 maggio 2017 è stata nominata Laura Laera, presidente del Tribunale dei minorenni di Firenze, e l’auspicio è che la CAI torni a funzionare.

Nel concreto, ci si augura che venga riattivata la linea verde con le famiglie; che e-mail di famiglie e di enti autorizzati non cadano più nel vuoto trovando una pronta risposta e non più quella automatica di internet di “casella di posta piena”; che ogni ente autorizzato possa tornare a sottoporre alla Autorità centrale problematiche delle proprie coppie e cercare insieme delle soluzioni; che riprendano gli incontri periodici con gli enti autorizzati; la speranza è che si torni a convocare i tavoli di lavoro tra Enti e Autorità centrale per esaminare insieme le esigenze dei vari Paesi di origine dei minori; che riprendano le missioni all’ estero per rinsaldare i rapporti con le autorità locali dei Paesi di origine e che si torni ad ospitare delegazioni delle Autorità centrali straniere per stringere accordi bilaterali.

Se i patti di stabilità lo consentiranno, è auspicabile che riprendano i progetti di Cooperazione finalizzati allo sviluppo della sussidiarietà nei Paesi di origine; si tornerà, così, a dare alle coppie adottive i rimborsi delle spese adottive (le ultime famiglie ad avere avuto il rimborso sono quelle che hanno sostenuto le spese adottive nell’anno 2011, rimborsi effettuati (parzialmente) dalla CAI.

Insomma tornerà a splendere quell’adozione internazionale che è sempre stata uno dei “fiori all’occhiello” della nostra Italia ma nella quale negli ultimi tre anni non si è creduto. A dimostrarlo il calo pari al 50% rispetto al 2011.

Ma per far sì che tutto questo diventi realtà, occorre che le famiglie italiane tornino a credere nell’ adozione internazionale, superando quel clima di sospetto, di sfiducia e di odio che è stato creato ad arte in questi 3 anni con l’unico risultato di allontanare le coppie da questa meravigliosa forma di accoglienza a danno dei milioni di bambini in stato di abbandono in attesa ancora di una famiglia e di poter tornare ad essere figlio.

Sono veramente tanti, infatti, i bambini orfani nel mondo: secondo l’ultimo rapporto Unicef (del 2016) nel 2014 questi ammontano a 140 milioni. Se a questo aggiungiamo i dati (purtroppo non conosciuti) dei bambini abbandonati, che vivono negli istituti e nelle strade, raggiungiamo cifre impressionanti.

Se le famiglie torneranno a credere, ma in questo devono essere aiutate, e se verrà ristabilito fra tutte le parti in gioco (enti autorizzati, associazioni familiari ed operatori) un clima di collaborazione fattiva e costruttiva si potranno porre anche obiettivi importanti, come per l’appunto la gratuità della adozione internazionale, lo snellimento delle procedure adottive, l’abolizione dei viaggi multipli nei Paesi di origine dei minori (3/ 4 viaggi a seconda del Paese con un intervallo di tempo tra l’uno e l’altro anche di 12/14 mesi), l’istituzione di un “funzionario delle adozione internazionale” presso ogni Ambasciata italiana e la tolleranza zero nei confronti dei pagamenti in nero.

E ancora per dare un’ultima possibilità ai bambini grandi in stato di abbandono, non sarà più rinviabile la definizione, come richiesto insistentemente da molti Paesi (Cina, Colombia, Russia) delle vacanze preadottive.

E tante altre migliorie che saranno illustrate punto per punto da Ai.Bi. Amici dei Bambini nel nuovo Manifesto per il rilancio della adozione internazionale.

Insomma rilanciare, e alla grande, l’adozione internazionale in Italia si può, ma abbiamo bisogno di una cosa fondamentale: della vostra fede e fiducia.

News Ai. Bi. 22 maggio 2017

www.aibi.it/ita/famiglie-tornate-a-credere-adozione-nuova-cai-no-viaggi-multipli

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CONSULTORI FAMILIARI

Vercelli CFC Incontri e laboratori

  • Principesse si nasce… e non si diventa. Laboratorio artistico sulla femminilità per ragazze preadolescenti con Francesca Vay, psicoterapeuta e Daniela Alberti, illustratrice e insegnante.

Martedì 13 giugno 2017, ore 15.30 – 18.30.

  • Gruppo di aiuto per la rielaborazione del lutto per la perdita del coniuge. Per confrontarsi sulla vedovanza, riscoprendo significato e speranza per il futuro.

Un tempo e un luogo per incontrarsi, condividere esperienze, riflettere, ridare senso alla vita, cercare risposte umane e spirituali, vivere momenti conviviali.

Il primo martedì di ogni mese dalle 15 alle 16,30.

www.consultoriovercelli.it

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Trento. Il Consultorio ha una nuova casa

Dal 6 marzo il Consultorio Ucipem Trento si è trasferito nella nuova sede di via Borsieri 13 a Trento.

Spazi più ampi e più accoglienti per offrire alle persone, alle coppie e alle famiglie che si rivolgono a noi un servizio sempre migliore.

Gli orari e i recapiti sono rimasti gli stessi:

News 24 maggio 2017

www.ucipem-tn.it/2017/05/24/il-consultorio-familiare-ucipem-ha-una-nuova-casa

 

Trieste. Incontri. Normalità familiare. Quando il quotidiano diventa emergenza.

 

www.consultonlus.it/wp-content/uploads/2017/05/iniz2.jpg

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

DALLA NAVATA

Ascensione del Signore–- Anno A – 28 maggio 2017

Atti 01, 01. Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi, fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.

Salmo 47, 06. Ascende Dio tra le acclamazioni.

Efesini 01, 20. Egli la manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli.

Matteo 28, 17. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.

 

Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”

Commento di Enzo Bianchi, priore emerito della comunità in Bose (BI)

Purtroppo in Italia festeggiamo l’Ascensione del Signore Gesù Cristo non il quarantesimo giorno dopo la resurrezione (cf. At 1,3) – come previsto dal calendario della chiesa romana – ma la domenica successiva, la settima domenica di Pasqua, quella che precede la domenica della Pentecoste, cinquantesimo giorno postpasquale. La solennità dell’Ascensione è comunque sempre memoria di una cristofania pasquale, di una manifestazione del Cristo risorto, glorificato dal Padre nella potenza dello Spirito santo. L’ascensione o assunzione di Gesù al cielo, il suo esodo da questo mondo al Padre (cf. Gv 13,1), è narrata come uno staccarsi di Gesù dai suoi, un essere portato verso il cielo. Troviamo questo racconto nella conclusione del vangelo secondo Luca (cf. Lc 24,50-51) e all’inizio degli Atti degli apostoli (cf. At 1,6-11), mentre in Matteo, Marco (a parte la chiusura canonica, posteriore; cf. Mc 16,19-20) e Giovanni si narrano apparizioni del Risorto ma non si parla esplicitamente di una partenza, di un lasciare la terra per il cielo.

Nel vangelo secondo Matteo viene testimoniata un’unica e sola apparizione del Risorto in Galilea, su una montagna, come ultimo e definitivo saluto testamentario ai discepoli. Se Matteo aveva aperto il suo vangelo con le parole “libro della genesi di Gesù Cristo … l’Emmanuele, il Dio-con-noi” (Mt 1,1.23), ora lo chiude con un’allusione all’ultimo versetto delle Scritture ebraiche che egli conosceva, là dove si legge: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha consegnato tutti i regni della terra” (2Cr 26,23); e qui il Risorto, colui che è il Dio-con-noi per sempre, dice: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”. Così il vangelo porta a pieno compimento tutta la storia della salvezza.

Ma leggiamo il testo di Matteo con attenzione e umiltà. La sera della sua passione, durante la cena pasquale, dopo aver spezzato il pane e aver reso grazie sul calice, mentre con i suoi usciva verso il monte degli Ulivi Gesù aveva predetto lo scandalo di tutti e il rinnegamento di Pietro, dando però loro l’appuntamento dopo la sua resurrezione in Galilea (cf. Mt 26,30-35). Poi era venuta l’ora dell’arresto e della fuga di tutti i discepoli, la notte della passione, il giorno della morte e della sepoltura. Ma Matteo racconta che all’alba del giorno dopo il sabato Maria Maddalena e l’altra Maria trovarono la tomba vuota e ascoltarono da un messaggero l’annuncio della resurrezione di Gesù. E mentre andavano a portare ai discepoli questo vangelo, incontrarono il Risorto, il quale rinnovò loro l’invito, da rivolgere agli stessi discepoli, ad andare in Galilea, dove lui li precedeva e dove l’avrebbero veduto (cf. Mt 28,1-10).

Ed ecco che i discepoli, undici e non più dodici, a causa del tradimento di Giuda, “vanno in Galilea sul monte che Gesù aveva loro indicato”. Non sono chiamati apostoli, inviati, ma discepoli, perché devono ancora essere iniziati dal loro grande rabbi Gesù, e sono nuovamente in Galilea, la terra in cui sono stati chiamati e sono rimasti per anni alla sua sequela. Per Matteo la Galilea non è tanto la terra dell’infanzia di Gesù, da cui ha preso l’appellativo di “galileo”, quanto piuttosto la terra voluta da Dio come luogo dell’evangelizzazione, la “Galilea delle genti, dei pagani” (cf. Mt 4,12-16; Is 8,23-9,1), terra ritenuta impura, da cui “non poteva uscire nulla di buono” (cf. Gv 1,46), terra di mescolanza di popoli, lontana dal centro della fede e del culto, la città santa di Gerusalemme. La Galilea, dunque, come terra per eccellenza di evangelizzazione e di missione: qui sono richiamati i discepoli, quasi a ricominciare quella sequela conclusasi con l’abbandono di Gesù.

Il luogo dell’appuntamento è la montagna, sito teologico per Matteo, là dove Dio a più riprese si rivelato e ha voluto essere incontrato, là dove Gesù aveva pronunciato il lungo discorso contenente anche le beatitudini (cf. Mt 5,1-7,29), là dove Pietro, Giacomo e Giovanni avevano contemplato la sua trasfigurazione (cf. Mt 17,1-8). Al vedere Gesù gli undici discepoli, che l’avevano visto l’ultima volta catturato dai suoi nemici, non possono fare altro che prostrarsi in adorazione. Cos’è accaduto? Matteo non ci ha parlato della reazione dei discepoli all’annuncio delle donne né di altri segni dati da Gesù; ma ora, di fronte a questa cristofania, essi lo adorano, senza dire nulla. Alcuni tra loro giungono alla fede nella resurrezione, ma altri nutrono ancora dei dubbi, perché esitano a riconoscerlo: la fede non è mai visione ma è una continua vittoria sui dubbi, vittoria che si ottiene solo adorando e soprattutto amando. Nei vangeli non c’è traccia di esaltazione irrazionale davanti a Gesù risorto, ma vi è un faticoso riconoscimento che si realizza solo in una relazione amorosa, carica di fiducia e di abbandono al Signore.

Così Gesù si avvicina agli undici, non li rimprovera per la fuga (cf. Mt 26,56), non li fa arrossire per la loro poca fede (cf. Mt 14,31), ma si rivela nella gloria ricevuta dal Padre, che lo ha richiamato da morte: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”, parole che ci scuotono e che possiamo accogliere solo nella fede. Chi è costui? Sono parole che può dire solo il Kýrios, il Signore del cielo e della terra. Gesù possiede un’exousía, un potere: non se l’è dato da solo e neppure lo ha voluto, perché lo ha rifiutato quando gli è stato offerto dal tentatore, il diavolo (cf. Mt 4,8-10), ma l’ha ricevuto da Dio, il Padre. Infatti è lui “il Figlio dell’uomo giunto presso Dio, che gli diede potere, gloria e regno … un potere eterno, che non tramonta mai, un regno che non sarà mai distrutto” (cf. Dn 7,13-14). Nell’Antico Testamento Dio solo è il Signore del cielo e della terra, Signore del mondo visibile e di quello invisibile, Re del cosmo intero, e nella gloria Gesù ci rivela che questo potere divino è condiviso da lui. Così Matteo, anche senza descriverci un’ascensione di Gesù in termini visivi, ottici, ci rivela dove dobbiamo cercare e trovare il Risorto: in Dio, uguale a Dio nella sua signoria, “nel seno del Padre” (Gv 1,18) direbbe il quarto vangelo. La chiesa adora e confessa Gesù come colui che siede alla destra del Padre, colui che intercede per noi presso di lui. Queste e simili formulazioni risultano sovente incapaci di svelarci il mistero, ma ciò che è decisivo non è un nostro esercizio immaginativo per leggere l’ascensione, quanto piuttosto il fare sì che il Signore Gesù regni davvero in noi, sia il centro della nostra storia, sia colui che crediamo e attendiamo come unico Salvatore.

E siccome Dio ha rivestito Gesù di una tale autorità, egli può dire: “Dunque (oûn) andando fate discepole tutte le genti”, dove l’accento non cade sul verbo “andare” (non sta scritto: “Andate”), su una missione di conquista, di occupazione di terre e spazi, ma sull’apertura a tutte le genti, a tutte le culture, a tutti gli uomini e le donne che fanno parte dell’umanità. È venuta l’ora dell’annuncio alle genti: Gesù era venuto innanzitutto per il popolo di Israele, cui era stato promesso come Messia e Salvatore, e a questa missione conferitagli dal Padre aveva obbedito; ma dopo la sua morte e resurrezione il vangelo deve raggiungere tutte le genti della terra. Cadono tutti i muri: quello tra Israele e i pagani, quelli tra le genti, tutti i muri edificati nella storia. Ormai tutti gli esseri umani sono destinatari del Vangelo, che va proposto non imposto, che va offerto come testimonianza, non propagandato a parole, che va vissuto per essere eventualmente annunciato.

Infatti, non si può insegnare e trasmettere il Vangelo senza viverlo e senza viverne! Ecco il compito dei discepoli, che in quell’ora in Galilea sono veramente piccola comunità, “piccolo gregge” (Lc 12,32): un compito che non guarda alla pochezza di chi lo svolge ma alla promessa di chi ha chiesto di viverlo e annunciarlo.

Qui viene nuovamente delineato da Gesù chi è il discepolo: è uno reso tale grazie all’ascolto di Gesù, stando con lui; è uno che è immerso nella vita della comunione divina, tra Padre, Figlio e Spirito santo; è uno che, vivendo di questa vita donata, accoglie l’insegnamento degli inviati, degli apostoli, della chiesa, per vivere ciò che Gesù ha chiesto, per vivere il Vangelo. La promessa di Gesù in cui mettere fede e speranza è: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Ecco la nuova e definitiva alleanza con la quale Dio si è legato al suo popolo: “Io sarò il vostro Dio, io sarò il Dio-con-voi”. Questa l’ultima parola del vangelo, questa la nostra fede: il Signore Gesù Cristo è con noi sempre. Nell’inviarlo nel mondo, il Padre aveva rivelato attraverso il suo messaggero: “Sarà chiamato Emmanuele, Dio-con-noi” (Mt 1,23; Is 7,14); ora Gesù assume pienamente e definitivamente questo nome ricevuto dal Padre per l’eternità. Dio aveva detto a Mosè: “Io sarò con te” (Es 3,12), e Gesù Cristo lo dice a ciascuno di noi, battezzato nel suo nome, cristiano che porta il suo nome e tenta di vivere, di osservare il suo Vangelo.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11448-io-sono-con-voi-tutti-i-giorni-fino-alla-fine-del-mondo

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

DIVORZIO

La donna conserva il cognome dell’ex dopo il divorzio?

Una breve guida per chiarire se e a quali condizioni la donna possa conservare il cognome dell’ex marito una volta pronunciato il divorzio. Alla domanda si risponde affermando che è possibile per la donna conservare il cognome dell’ex marito ma solo se sussiste ed è dimostrato un interesse della donna stessa, o dei figli, che sia meritevole di tutela. Dunque la donna conserva il cognome dell’ex dopo il divorzio, ma a determinate condizioni che sarà il giudice (quello chiamato a pronunciare il divorzio) a valutare.

In particolare la legge [Art. 5, legge n. 898 del 1970] stabilisce che:

  • Di regola, con la sentenza che pronuncia il divorzio (cioè, tecnicamente, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio) la donna perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio;

  • La donna, per ottenere alle condizioni stabilite di poter conservare il cognome di quello che sarà il suo ex marito, deve fare apposita richiesta al giudice del divorzio;

  • La donna dovrà dimostrare che la richiesta di mantenere il cognome dell’ex marito sia sorretta da un interesse suo o dei figli che la legge riconosca essere un interesse meritevole di tutela;

  • Se il giudice del divorzio acconsentirà alla richiesta (concedendo alla donna, con la sentenza che pronuncia il divorzio, di conservare il cognome dell’ex marito accanto al proprio) la decisione potrà in futuro essere modificata con successiva sentenza, per motivi di particolare gravità, su istanza di una delle parti.

La legge quindi, se vi sia un interesse meritevole di tutela suo o dei figli, consente alla donna di conservare il cognome dell’ex dopo il divorzio. Ci si chiede, dunque, quale possa essere in concreto l’interesse meritevole di tutela che, una volta che sia accertato dal giudice, consentirà alla donna di potere, anche dopo il divorzio, continuare ad usare il cognome del suo ex marito.

A questo riguardo la giurisprudenza [Cassazione, ordinanza n. 21706/2015] ha chiarito che per poter concedere alla donna di conservare il cognome dell’ex marito non è sufficiente (e non costituisce, quindi, un interesse meritevole di tutela) il desiderio di conservare un cognome famoso e noto per mantenere la notorietà e le agevolazioni in ambienti di rango elevato ed anche se l’uso di quel cognome si dovesse caratterizzare come un elemento di riconoscimento in società della donna e come un elemento della sua stessa identità (per il prolungato uso nel corso degli anni).

La stessa giurisprudenza ha ulteriormente chiarito che quando una donna richieda di conservare il cognome dell’ex marito, oltre a valutare se sussiste un interesse meritevole di tutela per la donna o i figli, si dovrà anche escludere che per l’ex marito la conservazione del cognome da parte dell’ex moglie possa costituire un ostacolo per la possibile costituzione di un nuovo nucleo familiare.

In conclusione, nulla impedisce agli ex coniugi di accordarsi sull’uso del cognome dell’ex marito da parte della donna anche in sede di modificazioni delle condizioni di divorzio già fissate nella sentenza che lo pronunciò.

Angelo Forte La legge per tutti 26 maggio 2017

www.laleggepertutti.it/162388_la-donna-conserva-il-cognome-dellex-dopo-il-divorzio

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

La teologia di papa Francesco

Mi è capitato solo una settimana fa. Una donna, che ha già compiuto 92 anni, mi ha detto una delle cose che più mi hanno colpito nella mia vita. Mi ha detto semplicemente questo: “Quello che più significativamente distingue papa Francesco da tutti i papi precedenti è la sensibilità che ha di essere in sintonia con gli ultimi di questo mondo”.

Quest’affermazione mi ha fatto molto pensare. Perché vuol dire che quello che di più significativo ha ogni persona, non è quello che sa, quello che dice o quello che ha, ma la qualità della sua sensibilità. Una qualità che si misura tramite la persona con la quale è in sintonia. È evidente che essere in sintonia con i sapienti ed i potenti, con i ricchi e con coloro che comandano, con le persone famose e importanti, tutto questo è normale, e tutti o quasi tutti condividiamo questo atteggiamento. Ma avere una sensibilità che è in sintonia con le persone con le quali nessuno è in sintonia, questo sì che è stupefacente, infrequente, anormale e veramente straordinario.

Per comprendere la profondità di questa riflessione così semplice che ho appena fatto, è necessario considerare che non sono la stessa cosa un “segno” ed un “simbolo”. Il “segno” comunica “conoscenze”. È quello che facciamo mediante i segni fonetici (per esempio, le parole) o con i segni visivi (per esempio, i segnali stradali …). Il “simbolo” trasmette “esperienze” (affetto, odio, paura, indifferenza, pace, ansia…). Per questo lo “sguardo” viene prima dell’ “occhio”. Uno sguardo ci rende felici o ci rattrista la vita. Poi, probabilmente, vorrò sapere come ha gli occhi la persona che con l’espressività del suo sguardo mi ha trasmesso felicità o dolore.

Cosa c’è dietro quest’esperienza? Qualcosa di molto profondo, di cui tante volte non siamo coscienti. È la sensibilità. Quello a cui siamo sensibili. O al contrario, completamente insensibili. Ma fatto sta che la sensibilità che abbiamo è quello che ci configura e ci definisce nella vita. Ed è quello che determina quello che facciamo o quello che smettiamo di fare. Per questo, perché noi esseri umani siamo così e ci comportiamo così, proprio per questo si capisce che nei quattro vangeli, quando si spiega l’incontro e la relazione dei discepoli (e della gente) con Gesù, si dà più importanza alla “sequela” di Gesù che alla “fede” in Gesù.

Basti sapere che, nei vangeli sinottici, della fede (pístis) si parla 36 volte, mentre la sequela (akolouthéin) di Gesù è citata 57 volte. E nel vangelo di Giovanni, che tanto insiste sulla fede (40 volte), la prima e l’ultima cosa che sono spiegate è la sequela di Gesù, così come l’hanno vissuta i discepoli (Gv 1, 37. 38. 40. 43; 21, 19. 20. 22).

Tuttavia, nella Chiesa si è lavorato duro per costruire, mantenere ed applicare alla vita dei fedeli una solida teologia della fede. Per questo nel Vaticano esiste una Sacra Congregazione della Dottrina della Fede, che ha un potere decisivo nell’organizzazione e nella gestione del governo ecclesiastico.

Tuttavia, dopo più di venti secoli, nella Chiesa non abbiamo ancora una solida teologia della sequela di Gesù. E – cosa che è più strana – la teologia dogmatica ha tolto di mezzo la “sequela”. E l’ha spostata nella spiritualità. Si promuovono così la pietà e la devozione ed al contempo si promuovono anche le vocazioni presbiterali e religiose. La preferenza di vescovi e teologi per la teologia della fede è comprensibile. “Accettare la fede” comporta inevitabilmente “accettare la sottomissione” della mente, della coscienza, della volontà a quello che dice e decide la Gerarchia. Essere un buon credente è farsi sottomesso e rinunciare a una mentalità veramente critica. Questo va bene al clero, che in questo mondo conserva la sua sacra potestas.

E va bene ai fedeli sottomessi, che in questo modo tranquillizzano la loro coscienza. Con la certezza che Dio li perdona sempre, qualunque sia il peccato che possano commettere. Si comprende, quindi, il fatto che la teologia della fede sia la preferita da coloro che esercitano la sacra potestas. Ed anche da coloro che, tramite la loro ortodossia di credenti, si vedono con la “coscienza tranquilla” e le “mani pulite”. Mentre, al contrario, si comprende anche il fatto che la teologia della sequela di Gesù sia stata spostata ai margini della Dogmatica. Per rimanere collocata nel campo della Spiritualità. Così i fervorosi, i devoti, i chiamati a grandi eroismi di generosità entrano nei seminari o vanno in un noviziato per “identificarsi con Gesù”. Questo sicuramente è quello che si diceva una volta. Non metto in dubbio minimamente l’importanza fondamentale della fede, come l’ha sempre spiegata la Chiesa. Il problema – a mio modo di vedere – sta nel fatto che, se accettare la fede è accettare la sottomissione, allo stesso modo accettare la sequela di Gesù è impegnarsi con la libertà di qualsiasi sottomissione che non sia altro che “vivere come Gesù ci insegna nel suo Vangelo”.

Ebbene, qui entra in gioco la sensibilità. Il dizionario della RAE (“Real Academia Española”) dice che “sensibilità” è la “propensione dell’essere umano a lasciarsi coinvolgere dai sentimenti di compassione, umanità e tenerezza”. Fa teatro papa Francesco quando abbraccia e bacia i bambini, gli ammalati, gli anziani ed i poveri? È un commediante quando lo vediamo felice nell’essere vicino agli ultimi di questo mondo?

Non vi è dubbio: la teologia di papa Francesco nasce da una sensibilità che, quando si lega con gli ultimi, è la sensibilità della libertà e della precarietà che ha vissuto quel povero galileo di Nazareth, che è nato dove nascono gli animali (una mangiatoia) ed è morto dove finiscono i delinquenti (una croce).

La teologia di Francesco è, prima di tutto, la teologia della sequela di Gesù. Una teologia alla quale non siamo abituati. Per questo sconcerta alcuni, indigna altri ed a tutti noi pone domande alle quali non sappiamo rispondere. Domande che liquidiamo dicendo tranquillamente (ed a volte indignati) che questo papa “non sa di Teologia” e non è il papa di cui ha bisogno la Chiesa. Non sarà forse che la nostra Teologia è più disorientata di quello che possiamo immaginare?

José María Castillo in Religión Digital (www.religiondigital.com) 26 maggio 2017

Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201705/170528castillo.pdf

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

PARLAMENTO

Camera dei Deputati. Assemblea. Interrogazioni a risposta immediata

24 maggio 2017 Iniziative per assicurare una corretta informazione sugli effetti del farmaco EllaOne, al fine di tutelare il diritto della donna a una procreazione cosciente e responsabile – 3-03046

Gian Luigi Gigli e Mario Sberna Mario Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:

  • Nell’interpellanza urgente n. 2-00800 si evidenziava che il meccanismo di azione di EllaOne è prevalentemente anti-annidamento, incompatibile con la normativa in materia che finalizza la procreazione responsabile alla tutela della donna e del concepito;

www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0364&tipo=documenti_seduta&pag=allegato_a#si.2-00800

  • Il Consiglio superiore di sanità, richiesto dal Ministro interrogato di verificare se si possa escludere per EllaOne un effetto anti-annidamento, rispose che questo non si poteva escludere;

  • L’Agenzia italiana del farmaco ha deliberato tuttavia che EllaOne sia disponibile in farmacia senza prescrizione medica per le maggiorenni e che il foglietto informativo riporti che il farmaco inibisce l’ovulazione;

  • Uno studio recentissimo ha definitivamente provato che EllaOne consente l’ovulazione e il concepimento, ma impedisce l’annidamento del figlio nell’utero materno;

  • Ogni donna è stata studiata in due cicli consecutivi: nel primo, senza farmaci, è stata valutata in termini endocrini ed ecografici per individuare il giorno dell’ovulazione. Inoltre, nel settimo giorno post-ovulatorio, nella cosiddetta «finestra di impianto», è stata effettuata una biopsia dell’endometrio per valutare l’espressione genica normale di 1.183 geni attivi nell’endometrio che, grazie al progesterone, diventa ospitale;

  • Nel ciclo successivo ogni donna è stata trattata con EllaOne, anti-progestinico, e controllata con gli stessi criteri. Il farmaco è stato somministrato intenzionalmente nei giorni più fertili del ciclo, i pre-ovulatori, nei quali si verifica la maggior parte dei concepimenti. Nuovamente, nel settimo giorno post-ovulatorio, è stata effettuata una biopsia dell’endometrio per valutare l’espressione dei medesimi 1.183 geni endometriali, valutando se EllaOne ne avesse modificato l’espressione;

  • Dopo aver assunto EllaOne nei giorni più fertili del ciclo, ogni donna ha continuato ad ovulare normalmente, smentendo che il farmaco inibisca l’ovulazione, come invece riportato nell’informativa dell’Agenzia italiana del farmaco;

  • EllaOne rende, invece, l’endometrio inospitale. Tutti i geni, infatti, si esprimono in modo opposto rispetto a quanto osservato nell’endometrio fertile;

  • In sintesi, l’ovulazione avviene, il concepimento può seguire, ma il figlio non può annidarsi e sopravvivere. Questo è incompatibile con la normativa vigente;

  • La Società italiana procreazione responsabile (Sire) ha informato l’Agenzia italiana del farmaco di questi dati il 21 marzo 2017, ma senza esito;

  • Appare agli interroganti una grave scelta divulgare l’informazione errata che EllaOne sia anti-ovulatorio, mentre invece inibisce la sopravvivenza del figlio concepito –:

Quali tempestive iniziative intenda adottare nei confronti dell’Agenzia italiana del farmaco per tutelare il diritto della donna ad una corretta informazione sugli effetti dei medicinali, fondamentale per garantire una procreazione cosciente e responsabile e per effettuare scelte anche a tutela della sua salute. (3-03046)

www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0803&tipo=documenti_seduta&pag=allegato_a#

Presidente. L’onorevole Sberna ha facoltà di illustrare l’interrogazione

Mario Sberna. Grazie, signor Presidente. Signora Ministra, già nell’interpellanza urgente n. 2-00800 evidenziavamo come il meccanismo di azione di EllaOne, sia prevalentemente antiannidamento. L’AIFA tuttavia continua a dire che il farmaco possa essere disponibile in farmacia senza prescrizione medica per le maggiorenni e che il foglietto informativo riporti che il farmaco inibisce l’ovulazione, cosa che non è vera. Uno studio recentissimo tra l’altro ha dimostrato ampiamente che l’ovulazione avviene, il concepimento dunque può seguire, ma il figlio non può annidarsi e sopravvivere e questo appunto è incompatibile con la normativa vigente. L’AIFA sta raccontando una menzogna sui suoi fogliettini, perciò le chiediamo quali tempestive iniziative intenda adottare sull’AIFA per tutelare il diritto della donna a una corretta informazione sugli effetti dei medicinali, fondamentale per garantire una procreazione cosciente e responsabile e per effettuare scelte anche a tutela della loro salute.

Presidente. La Ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, ha facoltà di rispondere, per tre minuti.

Beatrice Lorenzin, Ministra della Salute. Presidente, rispondo all’interrogazione ricordando che, come Ministro della salute, ho sempre sottolineato l’importanza di una procreazione cosciente e responsabile, quindi della necessità di assicurare ad ogni donna il miglior livello di consapevolezza in merito a scelte così intime ed importanti per la vita propria e dei propri figli. Tra i contraccettivi d’emergenza si colloca il farmaco EllaOne, che agisce da modulatore del recettore del progesterone, impedendo le gravidanze principalmente mediante la prevenzione o il ritardo dell’ovulazione.

Il Consiglio superiore di sanità, nel 2011, aveva evidenziato che la prescrizione del farmaco dovesse essere subordinata alla presentazione di un test di gravidanza con esito negativo, in modo da escludere la presenza di una gravidanza in atto, e quindi evitare ogni possibile danno per il feto. Successivamente, precisamente nel 2015, la Commissione europea ha modificato il regime di fornitura di EllaOne: da medicinale soggetto a prescrizione medica a medicinale non soggetto a prescrizione medica, con contestuale eliminazione della gravidanza dalla lista delle controindicazioni nell’uso del medicinale. Tale decisione non è stata peraltro assunta all’unanimità, e l’Italia è stata uno dei Paesi che ha espresso il proprio parere contrario, in considerazione della mancanza di sufficienti dati scientifici circa l’assenza di eventuali effetti dannosi per il feto. Sia per questo motivo sia alla luce delle osservazioni del Consiglio superiore di sanità, l’AIFA ha distinto le modalità di dispensazione del farmaco in relazione all’età delle donne, prevedendo che per quelle di età inferiore ai diciotto anni il medicinale debba essere comunque soggetto a prescrizione medica, peraltro da rinnovare volta per volta.

Riferisco ancora che l’AIFA, al fine di garantire la tutela della salute della donna e di prevenire possibili forme di abuso del farmaco, ha diffuso, in data 11 febbraio 2017, una nota informativa per sensibilizzare gli operatori sanitari a segnalare, attraverso un apposito registro, eventuale inizio di una gravidanza che sia comunque insorta dopo l’uso del contraccettivo EllaOne. Concludo evidenziando che è mia intenzione chiedere all’AIFA di proseguire in un attento monitoraggio della letteratura scientifica per questa particolare tipologia di contraccettivi, perché possano essere costantemente aggiornate le informazioni al pubblico e perché possa essere garantito l’uso corretto e sicuro dei contraccettivi di emergenza da parte delle donne.

Presidente. L’onorevole Gigli ha facoltà di replicare, per due minuti.

Gian Luigi Gigli. Signora Ministro, ci consenta di dire ancora una volta che siamo profondamente insoddisfatti. Siamo profondamente soddisfatti perché lei continua a parlare, fin dal suo incipit, di contraccezione di emergenza: questo farmaco non è un contraccettivo! Lo dicono gli studi che hanno portato alla registrazione, lo dice lo studio, recentissimo, pubblicato il 17 marzo 2017, che abbiamo appena citato, il quale dimostra, con evidenza di dati, che in nessun caso è stata bloccata l’ovulazione, in tutti i casi è stato invece bloccato l’annidamento, perché viene alterata la parete dell’endometrio. Viene impedito l’annidamento!

Capisco che questo è un argomento sensibile, perché tocca l’ideologia del diritto all’aborto, perché tocca gli interessi miliardari delle multinazionali (lei stessa ha citato i dati esponenziali di crescita della vendita di questo farmaco, perché rende falsamente sicura la sessualità delle adolescenti e quant’altro), ma detto tutto questo, e non mettendolo nemmeno in discussione, vogliamo almeno dare un’informazione corretta alle donne?

E informazione corretta significa dire: guardate che questo farmaco agisce come antiovulatorio, sappiatelo. Agisce come antiannidamento, se volete farlo come lo fate con la spirale, per quanto riguarda un metodo molto più antico, continuate a farlo, ma almeno sappiate che state usando un metodo che è un microabortivo, non ha niente a che fare con la contraccezione.

La invito a darsi un’occhiata – ci sono fior di dati – sul sito della Sipre, signora Ministro. Allora, se l’AIFA deve dire bugie, abbiamo tutto il diritto di continuare a chiamare questo bugiardino. Un giorno o l’altro bisognerà portare in giudizio l’Agenzia italiana per il farmaco, non vedo che cos’altro si possa fare per arrivare a dire una parola definitiva su questo tema. Questa è mala-informazione scientifica, fatta sulla pelle delle donne, che vengono disinformate.

www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0803&tipo=stenografico#sed0803.stenografico.tit00040.sub00070

 

2° Commissione Giustizia.Accordi prematrimoniali

C. 2669 Morani. Modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di accordi prematrimoniali.

24 maggio 2017 Deliberazione dell’Indagine conoscitiva in merito all’esame della proposta di legge-

Donatella Ferranti, presidente, sulla base di quanto convenuto (…) propone lo svolgimento di un’indagine conoscitiva (…). Comunica che, nel corso dell’indagine conoscitiva, la Commissione procederà alle audizioni di rappresentanti della magistratura, dell’avvocatura e del notariato nonché di professori universitari esperti della materia. La Commissione approva la proposta.

Svolge una relazione sui temi oggetto dell’audizione Antonio Rosa, coordinatore dell’Organismo congressuale forense e Luigi Sini, presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Viterbo. (pag. 74)

http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/bollettini/pdf/2017/05/24/leg.17.bol0823.data20170524.com02.pdf

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

POLITICHE FAMILIARI

Bonus asilo nido 2017: istruzioni Inps

Come ottenere il bonus per pagare la retta dell’asilo nido o il contributo per bambini affetti da patologie croniche che non consentono la frequentazione dell’asilo.

Bonus di 1000 euro per il pagamento di rette di asili nido pubblici e privati, nonché per l’introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione in favore dei bambini al di sotto dei tre anni, affetti da gravi patologie croniche.

Il bonus nido è corrisposto direttamente dall’Inps che, su domanda del genitore, provvede al pagamento dell’importo fino ad un massimo 1.000 euro. In sede di presentazione dell’istanza sarà necessario specificare l’evento per il quale si richiede il beneficio e precisamente:

  • Pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido pubblici e privati autorizzati (d’ora in poi denominato “Contributo asilo nido”);

  • Introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione a favore dei bambini affetti da gravi patologie croniche (d’ora in poi denominato “Contributo per introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione”).

L’erogazione del bonus avverrà con cadenza mensile direttamente al beneficiario fino a concorrenza dell’importo massimo mensile. Per ogni retta mensile pagata e documentata il genitore avrà diritto ad un contributo mensile di importo massimo di euro 90,91 (1.000 euro:11 mensilità). Il contributo mensile erogato dall’Istituto non potrà comunque eccedere la spesa sostenuta per il pagamento della singola retta. Pertanto nel caso in cui la retta mensile sia inferiore a 90,91 euro il richiedente avrà diritto ad un contributo pari alla spesa sostenuta (ad esempio: una retta mensile di 80 euro darà diritto ad un contributo mensile di 80 euro).

Il premio asilo nido non è cumulabile con le detrazioni fiscali frequenza asili nido. L’INPS comunicherà pertanto tempestivamente all’Agenzia delle Entrate l’avvenuta erogazione.

Forme di supporto presso la propria abitazione. Al fine di favorire l’introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione, in favore dei bambini al di sotto dei tre anni, impossibilitati a frequentare gli asili nido in quanto affetti da gravi patologie croniche, è previsto un contributo per un importo massimo di 1000 euro annui. Il premio verrà erogato dall’Inps a seguito di presentazione da parte del genitore richiedente di un’attestazione rilasciata dal pediatra di libera scelta, che dichiari per l’intero anno di riferimento, “l’impossibilità del bambino a frequentare gli asili nido in ragione di una grave patologia cronica”. Nell’ambito di tale fattispecie l’Istituto erogherà il bonus in un’unica soluzione, direttamente al genitore richiedente fino ad un massimo di 1000 euro.

Requisiti per l’accesso al bonus nido 2017.La domanda di assegno può essere presentata dal genitore di un minore nato o adottato a decorrere dal 1° gennaio 2016, che sia in possesso dei seguenti requisiti:

  • Cittadinanza italiana, oppure di uno Stato dell’Unione Europea oppure, in caso di cittadino di Stato extracomunitario, permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo ovvero una delle carte di soggiorno per familiari extracomunitari di cittadini dell’Unione Europea. Ai cittadini italiani sono equiparati i cittadini stranieri aventi lo status di rifugiato politico o lo status di protezione sussidiaria. I cittadini extracomunitari in possesso del permesso di soggiorno considerato valido ai fini del bonus autocertificano il possesso di tale titolo inserendone gli estremi nella domanda telematica (numero identificativo attestazione; autorità che lo ha rilasciata; data di rilascio; termine di validità). Le verifiche dei titoli di soggiorno sono effettuate dall’INPS mediante accesso alle banche dati rese disponibili dal Ministero degli Interni e da altre Amministrazioni. All’esito di tali verifiche, la sede Inps territorialmente competente potrà richiedere l’esibizione del titolo di soggiorno qualora ciò si renda necessario per esigenze istruttorie;

  • Residenza in Italia;

  • Relativamente al Contributo asilo nido, il richiedente è il genitore che sostiene l’onere del pagamento della retta;

  • Relativamente al solo Contributo per forme di supporto presso la propria abitazione, il richiedente deve coabitare con il figlio ed avere dimora abituale nello stesso Comune.

Tutti i requisiti devono essere posseduti alla data di presentazione della domanda. Si precisa che nell’istanza vengono autocertificati gli altri requisiti che danno titolo alla concessione del premio salvo che il beneficiario non sia tenuto a comprovare gli stessi sulla base di specifica documentazione.

In caso di adozione/o affidamento preadottivo, se il richiedente non allega alla domanda il provvedimento giudiziario (sentenza definitiva di adozione o provvedimento di affidamento ex art. 22 L. 184/1983), è necessario che nella domanda stessa siano riportati gli elementi che consentano all’Inps il reperimento presso l’Amministrazione che lo detiene (sezione del Tribunale, data di deposito in cancelleria ed relativo numero).

In caso di adozioni o affidamenti preadottivi verrà presa in considerazione la data più favorevole tra il provvedimento di adozione e la data di ingresso in famiglia del minore, purché successivo al 1° gennaio 2016.

Nel caso in cui sia prevista la presenza di un legale rappresentante (es. se il genitore avente diritto è minorenne o incapace di agire) il Pin del richiedente viene fisicamente rilasciato al legale rappresentante, che effettuerà l’accesso al sistema con i dati identificativi del richiedente e procederà alla presentazione della domanda con i dati dello stesso.

I requisiti devono essere, comunque, posseduti dal genitore minorenne o incapace.

Domanda bonus nido 2017 e documentazione. A partire dal 17 luglio 2017 sarà messa in esercizio la procedura di acquisizione delle domande che dovranno essere trasmesse all’Istituto esclusivamente in via telematica secondo le modalità di seguito indicate. La domanda potrà pertanto essere presentata dal 17 luglio 2017 al 31 dicembre 2017 esclusivamente in via telematica mediante una delle seguenti modalità:

  • Web – Servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino tramite PIN dispositivo attraverso il portale dell’Istituto. Parimenti, il cittadino potrà utilizzare, per l’autenticazione, il Sistema Pubblico di Identità Digitale (Spid) o la Carta Nazionale dei Servizi (Cns);

  • Contact Center Integrato – numero verde 803.164 (numero gratuito da rete fissa) o numero 06 164.164 (numero da rete mobile con tariffazione a carico dell’utenza chiamante);

  • Enti di Patronato attraverso i servizi offerti dagli stessi.

Nella domanda il richiedente dovrà indicare a quale dei due benefici intende accedere.

Qualora il richiedente intenda fruire del beneficio per più figli sarà necessario presentare una domanda per ciascuno di essi.

Nel caso in cui il richiedente intenda accedere al bonus previsto per far fronte al pagamento delle rette di asili nido dovrà indicare le mensilità per le quali intende ottenere il beneficio relative ai periodi di frequenza scolastica compresi tra gennaio e dicembre 2017. Potranno verificarsi, al riguardo, due fattispecie:

  1. Frequenza scolastica del minore nel periodo gennaio–luglio 2017 (anno scolastico 2016/2017). In tale ipotesi il genitore richiedente dovrà indicare gli estremi della documentazione attestante l’avvenuto pagamento delle rette per la fruizione dell’asilo nido pubblico o privato autorizzato prescelto, che dovrà essere allegata in un momento successivo a quello di presentazione della domanda. Al fine di ottenere l’importo massimo del premio, pari a 1000 euro, il richiedente dovrà altresì dichiarare che il minore è già iscritto per l’anno scolastico 2017/18, ovvero compilare la dichiarazione che il minore sarà iscritto anche per l’anno 2017/18. Le ricevute corrispondenti ai pagamenti delle rette relative ai mesi settembre–dicembre 2017 dovranno essere allegate entro la fine di ciascun mese di riferimento e comunque non oltre il 31 dicembre 2017.Nel caso in cui il richiedente non dichiari che il minore sarà iscritto al nido anche per l’anno scolastico 2017-2018 sarà liquidato l’importo massimo mensile spettante in base alle sole ricevute già presentate. Per l’anno 2017, trattandosi di norma di prima applicazione, il primo pagamento comprenderà l’importo delle mensilità sino a quel momento maturate. A partire dal mese successivo a quello di rilascio della procedura il pagamento avrà cadenza mensile.

  2. Minore iscritto per la prima volta all’asilo nido a decorrere dal mese di settembre 2017 (anno scolastico 2017/2018). In tale ipotesi la presentazione della domanda sarà possibile solo nel caso in cui sia fornita prova dell’avvenuta iscrizione e del pagamento almeno di una retta di frequenza. Le ricevute corrispondenti ai pagamenti delle rette relative ai mesi successivi dovranno essere allegate entro la fine del mese di riferimento e comunque non oltre il 31 dicembre 2017.

In entrambe le fattispecie evidenziate, la prova dell’avvenuto pagamento potrà essere fornita tramite ricevuta o quietanza di pagamento, fattura quietanzata, bollettino bancario o postale, e per i nidi aziendali tramite attestazione del datore di lavoro o dell’asilo nido dell’avvenuto pagamento della retta o trattenuta in busta paga.

È opportuno evidenziare infine che la documentazione dovrà indicare:

  • La denominazione e la Partita Iva dell’asilo nido;

  • Il CF del minore;

  • Il mese di riferimento,

  • Gli estremi del pagamento;

  • Il nominativo del genitore che sostiene l’onere della retta.

Domande per supporto presso la propria abitazione. Per quanto concerne le forme di supporto presso la propria abitazione in favore dei bambini al di sotto dei tre anni, impossibilitati a frequentare gli asili nido in quanto affetti da gravi patologie croniche il richiedente, dovrà allegare, all’atto della domanda, “l’attestazione rilasciata dal pediatra di libera scelta sulla base di idonea documentazione”.

Il concetto di “patologia”, generico, a differenza di quello di malattia, più restrittivo, definisce qualsiasi alterazione dello stato di salute stabilizzata o in evoluzione. Il requisito della cronicità attiene alla prevedibile durata nel tempo dell’alterazione dello stato di salute.

Si considera, dunque, cronica qualsiasi alterazione dello stato di salute di durata non prevedibile, ma certamente non breve e comunque tale da sussistere fino al termine dell’anno di riferimento.

Si evidenzia, inoltre, che l’impossibilità di frequentare l’asilo nido deve dipendere solo dal fattore salute, non essendo ammesse concause riconducibili ad aspetti organizzativi dell’asilo nido eventualmente prescelto dal genitore richiedente.

L’attestazione rilasciata dal pediatra di libera scelta deve:

  • Contenere i dati anagrafici del minore (data di nascita, città, indirizzo e n. civico di residenza dello stesso);

  • Attestare la impossibilità di frequentare l’asilo nido per l’intero anno solare di riferimento, in ragione di una grave patologia cronica.

Trattandosi di mera attestazione, non contenente elementi eccedenti le finalità del trattamento dei dati sensibili, la stessa deve pervenire agli uffici amministrativi unitamente alla domanda di beneficio.

Ove riscontrate difformità rispetto al dettato normativo, le attestazioni dovranno essere trasmesse ai Centri Medico Legali per le valutazioni di merito.

Decadenza dal bonus nido. Il richiedente deve confermare ad ogni mensilità che i requisiti sono invariati rispetto a quanto dichiarato nella domanda. L’erogazione dell’assegno è interrotta in caso di perdita di uno dei requisiti di legge o di provvedimento negativo del giudice che determina il venir meno dell’affidamento preadottivo.

L’Inps interrompe l’erogazione dell’assegno a partire dal mese successivo all’effettiva conoscenza di uno dei seguenti eventi che determinano decadenza (ad esempio: perdita della cittadinanza, decesso del genitore richiedente, decadenza dall’esercizio della responsabilità genitoriale, affidamento esclusivo del minore al genitore che non ha presentato la domanda; affidamento del minore a terzi).

Pagamento del bonus nido. Alla corresponsione del bonus provvede l’Inps nelle modalità indicate dal richiedente nella domanda (bonifico domiciliato, accredito su conto corrente bancario o postale, libretto postale o carta prepagata con Iban).

Il mezzo di pagamento prescelto deve essere intestato al richiedente. In caso di avente diritto minorenne o incapace di agire, la domanda è presentata dal legale rappresentante in nome e per conto dell’avente diritto; il mezzo di pagamento prescelto dev’essere comunque intestato a quest’ultimo (minorenne o incapace di agire). L’utente che opta per l’accredito su un conto con Iban è tenuto a presentare, anche il mod. SR163 (“Richiesta di pagamento delle prestazioni a sostegno del reddito”), salvo che tale modello non sia stato già presentato all’Inps in occasione di altre domande di prestazione. Il modello SR163 è necessario per verificare la corrispondenza tra l’Iban indicato nella domanda di assegno e la titolarità del conto a cui l’iban stesso si riferisce e, pertanto, è funzionale alla corretta erogazione del premio in favore del richiedente. A tale fine quindi nel modello SR163 andrà riportato, oltre che il codice fiscale del richiedente, la modalità di pagamento scelta, i dati di riferimento dell’Agenzia o Filiale dell’Istituto di credito (Banca/Posta) che effettua il pagamento, nonché il codice Iban, riferito al rapporto finanziario del richiedente la prestazione, con data, timbro e firma del funzionario del competente Ufficio postale o della Banca.

Maria Monteleone Legge per tutti 23 maggio 2017

Inps, circolare n. 88 del 22 maggio 2017.

www.inps.it/bussola/VisualizzaDoc.aspx?sVirtualURL=%2fCircolari%2fCircolare%20numero%2088%20del%2022-05-2017.htm

https://www.laleggepertutti.it/162315_bonus-asilo-nido-2017-istruzioni-inps

[

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

RAGAZZA MADRE

Quali sono i diritti di una ragazza madre

La ragazza madre ha diritto ai sussidi statali e comunali; nello stesso tempo può imporre al padre del bambino di pagarle il mantenimento del figlio.

Sebbene la maternità resti uno dei momenti più dolci e intensi nella vita di una donna, c’è chi è costretta ad attraversare questa fase tra numerose difficoltà spesso collegate all’assenza di un compagno al proprio fianco. Così le preoccupazioni per il futuro proprio e del bambino – preoccupazioni spesso di natura economica – tolgono la magia all’attesa del lieto evento. È tutt’oggi un problema sociale quello delle ragazze madri cui la legge cerca di far fronte da un lato imponendo determinati obblighi per il padre; dall’altro stabilendo dei sussidi a carico dello Stato come il cosiddetto bonus bebè, l’assegno statale a carico dell’Inps in favore delle donne con reddito ridotto o disoccupate. Ma procediamo con ordine e vediamo quali sono i diritti di una ragazza madre.

Rapporti con il padre del bambino. Quest’ultimo ha il dovere di riconoscere il figlio. Non può sottrarsi a tale obbligo neanche se ha ricevuto il consenso della madre. L’uomo che non riconosce il figlio nato da un rapporto di fatto può essere citato in causa dalla madre del bambino o dal figlio stesso divenuto maggiorenne, con la cosiddetta «azione di riconoscimento della paternità per la quale non ci sono termini.

La prova della paternità non può essere costituita dal semplice fatto che l’uomo e la donna si frequentavano, né dall’esistenza di rapporti sessuali tra questi. Pertanto, di solito, si procede all’esame del Dna. Ma se il padre rifiuta di sottoporsi al prelievo del sangue il suo comportamento viene considerato una sorta di ammissione di responsabilità e tanto basta al giudice per dichiarare la sua paternità.

www.laleggepertutti.it/161561_come-fare-se-lui-non-vuole-riconoscere-il-bambino

Sempre riguardo ai diritti della ragazza madre nei confronti del padre vi sono quelli al mantenimento, non suo ma del figlio. La donna può cioè esigere che l’uomo le dia i soldi per provvedere a far crescere il bambino. L’obbligo di mantenimento ricade su entrambi in genitori, ma in proporzione alle rispettive capacità economiche. Il fatto che l’uomo sia senza reddito, disoccupato o con stipendio basso non lo giustifica dal trovare una occupazione che gli consenta di versare il mantenimento al figlio. Diversamente risponde del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare. Peraltro sul tema è di recente intervenuta la Cassazione stabilendo che la responsabilità penale per il genitore che non mantiene il figlio scatta anche se il minore non si trova in condizioni di estremo bisogno.

www.laleggepertutti.it/161561_come-fare-se-lui-non-vuole-riconoscere-il-bambino

Se il padre non vuol provvedere al mantenimento del figlio, la ragazza madre può agire nei suoi confronti in due modi: con una denuncia ai carabinieri e con un ricorso al giudice civile affinché quantifichi l’importo da versare in favore del figlio. Lo può fare con il gratuito patrocinio se il suo reddito annuo non supera 11.369,24 euro. Nel caso in cui, anche all’esito della condanna, il padre non voglia provvedere al mantenimento, contro di lui potrà essere promosso il pignoramento.

Al di là dei rapporti con il padre, lo Stato riconosce alcuni diritti alla ragazza madre in ambito di assistenza sociale. Il primo è l’assegno di maternità (anche detto bonus bebè). Attualmente, chi ha un Isee non superiore a 7mila euro ha diritto a 320 euro al mese per il primo figlio ed a 400 euro al mese per il secondo; invece chi ha l’Isee superiore a 7mila euro ma inferiore a 25mila euro ha diritto a 160 euro mensili. Il bonus può essere erogato solo se il bambino non ha più di 5 anni. La domanda va inoltrata all’Inps anche in via telematica o con il contact center.

Alcuni Comuni riconoscono un assegno speciale per le ragazze madri da chiedersi entro 6 mesi dalla nascita del bambino purché non si superino i limiti di reddito fissati dal Comune stesso. A tal fine sarà necessario informarsi presso l’ufficio comunale di propria residenza.

Tra i diritti della ragazza madre vi è quello al parto anonimo. In pratica la madre può lasciare il neonato in ospedale nel più totale anonimato e con la certezza che sarà al sicuro finché troverà una famiglia. Il nome della madre – se questa è la sua volontà – rimarrà sempre segreto e sul certificato di nascita del bambino (la cui dichiarazione sarà fatta dal medico o dall’ostetrica) verrà scritto: “nato da donna che non consente di essere nominata”. Tuttavia, nel momento in cui la madre muore, il figlio avrà libero accesso agli atti e potrà ottenere di sapere l’identità della propria madre nonostante il diritto al parto in anonimato.

Quando la ragazza madre manifesta la propria volontà di partorire in anonimato e non riconoscere il bambino, la Direzione Sanitaria apre la procedura di adottabilità del bambino; viene quindi fatta una immediata segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni, ma alcuna conseguenza – né di carattere civile, amministrativo o penale – consegue per la mamma.

Raffaella Mari La legge per tutti 23 maggio 2017

https://www.laleggepertutti.it/162272_quali-sono-i-diritti-di-una-ragazza-madre

www.modellocurriculum.com/ragazza-madre-agevolazioni-e-sussidi.html

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

VIOLENZA

Si configura il reato di maltrattamenti in famiglia anche se non si convive più.

Corte di cassazione – sesta Sezione penale, sentenza n. 25498, 22 maggio 2017

Interpretazione estensiva della nozione di famiglia viene intesa dalla suprema Corte nel caso di specie. Secondo tale impostazione il reato di maltrattamento in famiglia si configura anche all’interno di una coppia di fatto con figli, anche se le vessazioni sono avvenute quando i due non vivevano più sotto lo stesso tetto. Anche in assenza di coabitazione infatti, permangono, anche nelle unioni more uxorio che abbiano dato vita a dei bambini, gli stessi vincoli e obblighi di reciproca assistenza tra i componenti del nucleo familiare esistenti tra i coniugi. Precisa la Corte che sussiste “una nozione estesa di famiglia comprensiva di forme alternative a quella derivante dal matrimonio, ma destinate ad assumere identica dignità e tutela”

Maltrattamenti in famiglia configurabili anche all’interno della coppia di fatto.

Quando non c’è vincolo matrimoniale il dovere e il diritto di reciproca assistenza, nonostante la fine della coabitazione, sono richiamati da una serie di indicatori chiave, che rivelano esattamente quale fosse il peso del rapporto tra i conviventi. La presenza di un figlio è uno di questi indicatori, poiché rappresenta il risultato di un progetto di vita fondato sulla reciproca solidarietà e assistenza, l’akmè di un rapporto tra due persone”.

Essa è infatti sintomatica dell’importanza e della stabilità della relazione e come tale portatrice, nei confronti di un soggetto debole e rispetto agli ex conviventi, di obblighi – quelli riconosciuti a tutti i figli legittimi e naturali dall’ex articolo 315 del Codice civile – destinati a protrarsi anche dopo la cessazione della convivenza”. estratti della sentenza

Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia 26 maggio 2017

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17506935/si-configura-il-reato-di-maltrattamenti-in-famiglia-anche-se-non-si-convive-piu..html

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

Le comunichiamo che i suoi dati personali sono trattati per le finalità connesse alle attività di comunicazione di newsUCIPEM. I trattamenti sono effettuati manualmente e/o attraverso strumenti automatizzati. Il titolare dei trattamenti è Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali Onlus – 20135 Milano-via S. Lattuada, 14. Il responsabile dei maggio 2017trattamenti è il dr Giancarlo Marcone, via Favero 3-10015-Ivrea.newsucipem@gmail.com

Condividi, se ti va!