NewsUCIPEM n. 647 – 30 aprile 2017

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Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le “news” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali. Sono così strutturate:

  • Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.

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I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto delle news è liberamente riproducibile citando la fonte.

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02 ABORTO Anche gli aborti hanno diritto, a richiesta, alla sepoltura.

02 ADOZIONI INTERNAZIONALI Etiopia. Sospensione delle adozioni internazionali.

02 AFFIDAMENTO CONDIVISO L’affidamento condiviso dei figli. Aggiornamento: aprile 2017

05 AFFIDATARI Obbligo di ascolto delle famiglie affidatarie da parte dei TT- MM.

07 ASSEGNO DI MANTENIMENTO Il figlio ha diritto all’università pagata dai genitori?

08 BONUS MAMMA Inps. Ecco chi può chiederlo e come.

08 CASA CONIUGALE No a chi convive con figlio maggiorenne non autosufficiente.

09 CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 16/2017, 26 aprile 2017.

11 CHIESA CATTOLICA Tutti uguali nella chiesa?

13 Papa Benedetto: luci e ombre di una successione senza morte.

14 Il Gallo. Editoriale di maggio.

14 CINQUE PER MILLE Bobba: «Vi spiego come sarà il nuovo 5 per mille»

16 COMM. ADOZIONI INTERN. Rapporto statistico biennio 2014-2015.

18 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Cosenza. Seminario di formazione per consulenti familiari.

19 Senigallia. Educazione alla fertilità, nuovo corso dell’Iner Marche

19 CONVIVENZE Alimenti: quando spetta l’assegno al convivente

19 Il convivente superstite non ha titolo per occupare l’abitazione.

20 COPPIA I residui adolescenziali nella coppia.

20 DALLA NAVATA Domenica – Anno A – 30 aprile 2017

21 Lo riconobbero allo spezzare il pane. Commento di Enzo Bianchi,

22 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI ISTAT. Aiuto l’Italia sta scomparendo!

23 Puglia. La generatività della famiglia, cuore pulsante della società.

23 FRANCESCO VESCOVO DI ROMAPapa del potere o Papa dell’unità?

23 GENITORI IN DIFFICOLTÀ Tutela e accoglienza dei bambini piccoli con genitori in difficoltà.

25 GOVERNO Ministro Costa “Ogni legge sia a misura di famiglia”

25 LEGGIMinori non accompagnati.

25 NATALITÀQuando un taglio dell’Irpef può far nascere più bambini.

26 OBIEZIONE DI COSCIENZA Legge 194 sull’aborto: l’obiezione di coscienza viola un diritto?

27 Il problema dell’obiezione di coscienza nell’applicazione della 194-

28 SEPARAZIONEDisciplina dei rapporti fra i genitori e il figlio nascituro

28 VIOLENZACongedo per donne lavoratrici vittime di violenza

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ABORTO

Una legge poco conosciuta: anche gli aborti hanno diritto, a richiesta, alla sepoltura.

Capo I – Denuncia della causa di morte e accertamento dei decessi

(Regolamento di polizia mortuaria). Articolo 7

  1. Per i nati morti, ferme restando le disposizioni dell’art. 74 del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238, sull’ordinamento dello stato civile, si seguono le disposizioni stabilite dagli articoli precedenti.

  2. Per la sepoltura dei prodotti abortivi di presunta età di gestazione dalle 20 alle 28 settimane complete e dei feti che abbiano presumibilmente compiuto 28 settimane di età intrauterina e che all’ufficiale di stato civile non siano stati dichiarati come nati morti, i permessi di trasporto e di seppellimento sono rilasciati dall’unità sanitaria locale.

  3. A richiesta dei genitori, nel cimitero possono essere raccolti con la stessa procedura anche prodotti del concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane.

  4. Nei casi previsti dai commi 2 e 3, i parenti o chi per essi sono tenuti a presentare, entro 24 ore dall’espulsione od estrazione del feto, domanda di seppellimento alla unità sanitaria locale accompagnata da certificato medico che indichi la presunta età di gestazione ed il peso del feto.

Segnalato da Spataro www.medicoeleggi.com/argomenti/11200.htm

IusSeek n. 17, 28 aprile 2017 news.iusseek.eu/visual.php?num=93686

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Etiopia. La notizia sulla sospensione delle adozioni internazionali arriva dal Dipartimento USA.

Il 21 aprile 2017, un funzionario del Ministero etiope delle Donne, dei Bambini e degli Adolescenti (MOWA) ha informato l’Ambasciata americana di Addis Abeba della sospensione, con effetto immediato, di tutti gli iter adottivi in corso.

Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti non sa ancora quanto durerà questa sospensione. Nella nota si legge che l’Ufficio dei diritti dell’uomo e l’Ambasciata statunitense di Addis Abeba si sono già mossi, chiedendo all’autorità etiope maggiori informazioni sui termini della sospensione e di poter portare a termine l’elaborazione delle pratiche adottive già in corso. Si invitano le famiglie che da anni aspettano di concludere il proprio iter adottivo a contattare l’agenzia che li ha in carico o rivolgersi direttamente al Dipartimento di Stato.

Per quanto concerne l’Italia, sono 8 gli enti autorizzati per le adozioni internazionali in Etiopia. Nel 2013 in Italia arrivarono dal Paese africano più del 10% del totale dei bimbi adottati con ben 293 autorizzazioni all’ingresso rilasciate per altrettanti minori. A partire dal 2014 le adozioni dall’Etiopia sono andate via via diminuendo ma ad oggi c’è ancora un piccolo “esercito” di aspiranti genitori in attesa di notizie e informazioni. L’ultima comunicazione ufficiale da parte della Commissione per le Adozioni Internazionali sulle adozioni internazionali in Etiopia risale, infatti, al 30 gennaio 2015, da allora il silenzio. Sul sito della Commissione nessuna traccia della sospensione.

News Ai. Bi. 26 aprile 2017

www.aibi.it/ita/adozioni-etiopia-la-notizia-sulla-sospensione-delle-adozioni-internazionali-arriva-dal-dipartimento-di-stato-americano

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AFFIDAMENTO CONDIVISO

L’affidamento condiviso dei figli

Aggiornamento: aprile 2017

Cosa è e come è disciplinata tale modalità di esercizio della responsabilità genitoriale

L’affidamento condiviso è la regola che disciplina l’affidamento dei figli a seguito della cessazione della relazione affettiva e quindi della convivenza tra i genitori. In altre parole, quando si parla di affidamento condiviso ci si riferisce alla modalità che in generale orienta l’esercizio della responsabilità genitoriale da parte di ciascun genitore.

Più nel dettaglio, l’istituto dell’affidamento condiviso è stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico con la legge n. 54, 8 febbraio 2006 al fine di dettare nuove regole per l’esercizio di quella che oggi viene definita la responsabilità genitoriale introducendo nel nostro ordinamento il cd. “principio della bigenitorialità”. www.camera.it/parlam/leggi/06054l.htm

Con l’affidamento condiviso entrambi i genitori esercitano congiuntamente la responsabilità genitoriale e debbono prendere, di comune accordo, tutte le decisioni di maggiore interesse per i figli, come quelle relative alla scuola, alla salute e alle scelte educative.

La principale novità introdotta dalla legge n. 54/2006 è il completo ribaltamento del rapporto regola/eccezione in materia di affidamento: l’affido prima definito “congiunto“, da mera opzione, peraltro scarsamente adottata in concreto, è divenuta la regola, al punto che è necessaria una specifica motivazione, da riportare nel provvedimento giurisdizionale, per stabilire l’affidamento esclusivo.

Per evidenziare ancor meglio tale radicale inversione di tendenza, il legislatore ha perfino “ribattezzato” l’istituto con l’aggettivo “condiviso”. In definitiva, mentre prima la tendenza era quella di abbandonare le altre due opzioni, quella dell’affidamento congiunto e quella dell’affidamento “alternato” (scelta, quest’ultima, ancor più scarsamente praticata per le immaginabili ripercussioni negative sia dal punto di vista psicologico che pratico), per procedere all’affidamento esclusivo l’art. 337-ter del codice civile impone oggi al giudice di valutare “prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori”, in modo da realizzare al meglio il diritto della prole a “mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi”.

Il collocamento del minore- Disporre l’affidamento condiviso, se da un lato consente di esercitare insieme la responsabilità genitoriale, dall’altro lascia aperta la questione della residenza del minore. Nella maggior parte dei casi, i figli vengono materialmente collocati presso la madre a cui, in genere, viene anche assegnata la casa familiare. Questa “preferenza” per la madre deriva dal fatto che il suo ruolo viene considerato centrale e maggiormente adatto all’educazione dei figli.

In ogni caso, a differenza di quanto accadeva in passato, oggi con l’affidamento condiviso si vuole garantire ai figli il diritto a mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori. Per questo quando il giudice decide sulla residenza dei figli, determina anche tempi e modalità per garantire la presenza dei figli presso il genitore non collocatario. Peraltro a tal proposito non si parla più come in passato di diritto di visita, che riguarda piuttosto le ipotesi di affidamento esclusivo.

Le linee guida dei tribunali. Sulla questione della residenza del minore e del suo collocamento prevalente, negli ultimi tempi alcuni tribunali stanno assumendo delle posizioni rivoluzionarie con le quali l’affidamento condiviso viene radicalizzato sino al punto da cancellare il collocamento prevalente.

A formalizzare per primo tale orientamento è stato il Tribunale di Brindisi, che nelle linee guida per la sezione famiglia diffuse a inizio 2017 ha decretato la necessità di un coinvolgimento quotidiano sia della mamma che del papà nella crescita e nell’educazione dei figli. A tal fine si è previsto, quindi, che la residenza dei minori assume una rilevanza meramente anagrafica e che gli stessi devono essere domiciliati presso entrambi i genitori, con pari possibilità di frequentarli e senza un’imposizione definita a priori dei tempi da trascorrere con ciascuno. L’addio al collocamento prevalente decretato dal Tribunale di Brindisi si riflette, peraltro, su diversi altri aspetti, tra i quali quelli inerenti l’assegnazione della casa familiare che, vista la frequentazione equilibrata dei minori con tutti e due i genitori, resta al proprietario senza alcuna possibilità di contestazione in argomento.

L’ascolto dei minori. Con espresso riferimento all’affidamento dei minori, il codice civile prevede che, prima di prendere i relativi provvedimenti, il giudice deve disporre l’audizione dei figli che abbiano compiuto dodici anni o anche di età inferiore se capaci di discernimento.

A prevederlo è l’articolo 155-sexies, introdotto dalla stessa riforma del 2006 che ha disposto la regola dell’affidamento condiviso. Tale norma, tuttavia, ha visto esteso il suo ambito di applicazione e anche la portata del ruolo dei minori con la più recente riforma della filiazione del 2012, che ha previsto l’introduzione nel codice civile di un nuovo articolo, il 315-bis, il quale prevede che i figli non devono essere semplicemente sottoposti ad audizione ma devono essere ascoltati, peraltro in tutte le questioni e le procedure che li riguardano. Di conseguenza, quando il giudice è chiamato a prendere i provvedimenti relativi all’affidamento dei minori non può esimersi dall’ascoltarli.

L’affidamento condiviso e gli assegni familiari. Quando viene disposto l’affidamento condiviso, entrambi i genitori hanno diritto a richiedere gli assegni familiari, con la conseguenza che diviene indispensabile un accordo tra gli stessi sul punto. Se questo manca, tuttavia, a prevalere è il diritto del genitore collocatario. Peraltro, al genitore collocatario può essere corrisposto l’assegno familiare anche nel caso in cui egli non sia titolare di un autonomo diritto a richiedere tale prestazione (in quanto non lavoratore né titolare di pensione): se tale ipotesi si verifica, l’assegno viene corrisposto sulla base della posizione tutelata dell’altro coniuge.

Opposizione all’affidamento condiviso e affidamento esclusivo. Secondo quanto dispone l’art. 337-quater “Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore.”

Viene per questo riconosciuta a ciascun genitore la possibilità di opporsi all’affidamento condiviso e di richiedere l’affidamento esclusivo.

Al fine di scongiurare il rischio che vengano esperite azioni giudiziarie prive di fondamento, l’art. 337-bis del codice civile prevede però che, qualora la domanda risulti manifestamente infondata, il giudice può valutare negativamente il comportamento del genitore istante, ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli.

In caso di affidamento esclusivo, il genitore affidatario esercita la responsabilità genitoriale sui figli attenendosi alle condizioni determinate dal giudice. Ma, salvo diversa disposizione, restano ad entrambi i genitori le decisioni di maggiore interesse per i figli.

Attenzione però: anche laddove sia disposto l’affidamento esclusivo in capo a un genitore, il ruolo dell’altro non viene meno ma quest’ultimo conserva comunque il diritto ed anche il dovere di vigilare sulla istruzione dei figli e sulla loro educazione. Può persino ricorrere al giudice se ritiene che siano state assunte decisioni sui figli “pregiudizievoli al loro interesse”.

Revisione delle disposizioni sull’affidamento dei figli. Più in generale va precisato che in ogni caso, qualunque sia stata la forma delle decisioni sull’affidamento dei figli, i genitori hanno sempre diritto di chiedere la revisione delle relative disposizioni nel caso in cui si modifichino le situazioni che le hanno determinate in un senso oppure in un altro.

I poteri del giudice e limiti decisionali. Dopo aver ribadito il principio dell’assoluta preminenza dell’interesse morale e materiale dei figli, la legge sull’affidamento condiviso, affida al giudice il compito di determinare “i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli”.

Il potere del giudice in argomento, quindi, risulta oggi molto forte e non è più limitato alla determinazione del solo diritto di visita ma si estende a molti altri aspetti, come, ad esempio, alla possibilità di fissare la residenza del minore. Tale potere trova tuttavia un limite importante, rappresentato dall’obbligo giudiziale di “prendere atto” degli accordi intervenuti tra i genitori. Espressione sicuramente più incisiva rispetto al precedente dettato legislativo (che imponeva al giudice di “tener conto”).

Il dovere di “prendere atto” degli accordi dei genitori, viene meno se l’organo giudicante rileva un contrasto con l’interesse dei figli.

L’espressione “prendere atto”, utilizzata dal legislatore della riforma, sembra trasformare così una facoltà del giudice in una vera e propria ratifica degli accordi già stipulati dai genitori; ratifica che potrà essere concessa solo laddove gli accordi non violino ingiustificatamente il principio di bigenitorialità, sentiti, ove possibile, i figli.

Giurisprudenza. Di seguito si riportano alcune massime recenti in materia di affidamento condiviso.

  • “L’affido alternato, tradizionalmente previsto come possibile dal diritto di famiglia italiano, è rimasta una soluzione educativa di limitate applicazioni, essendo stato ripetutamente affermato che esso assicura buoni risultati quando vi è un accordo tra i genitori e tutti i soggetti coinvolti, anche il figlio, condividono la soluzione” (Cass. n. 4060/2017).

  • “L’affidamento condiviso dei figli minori ad entrambi i genitori (che non esclude che essi siano collocati presso uno di essi con previsione di uno specifico regime di visita con l’altro) costituisce il regime ordinario di affidamento, che non è impedito dall’esistenza di una conflittualità tra i coniugi, che spesso connota i procedimenti di separazione, tranne quando tale regime sia pregiudizievole per l’interesse dei figli, alterando e ponendo in serio pericolo il loro equilibrio e sviluppo psico-fisico” (Cass. n. 27/2017).

  • “In regime di affidamento condiviso la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori e che le decisioni di maggiore interesse per i figli relative, all’istruzione, educazione, salute e alla scelta della residenza abituale devono essere assunte di comune accordo, tenendo conto della capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli; in caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice.

  • La decisione relativa al regime alimentare del figlio minore deve indubbiamente essere considerata di maggiore interesse, inerendo la salute del figlio” (Trib. Roma 19/10/2016).

  • “In tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena” (Cass. n. 6919/2016).

Link alla raccolta di articoli in materia di affidamento condiviso.

Guida legale Newsletter Giuridica – studiocataldi.it 24 aprile 2017

www.studiocataldi.it/guide_legali/affidamento_dei_figli/affidamento-condiviso.asp

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AFFIDATARI

Obbligo di ascolto delle famiglie affidatarie da parte dei Tribunali dei Minori

La legge 173 del 19 ottobre 2015 ha apportato alcune modifiche alla legge 184/83 sull’affido familiare.www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/10/29/15G00187/sg

In particolare rileviamo che è stato introdotto il diritto alla continuità degli affetti dei bambini e dei ragazzi in affidamento familiare per assicurare “la continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l’affidamento” con gli affidatari anche nei casi in cui il minore “fa ritorno nella famiglia di origine o sia dato in affidamento ad un’altra famiglia o sia adottato da altra famiglia”.

Prevede anche che gli affidatari, se in possesso dei requisiti per l’adozione di cui all’art. 6 della legge 184/1983, possano chiedere di adottare i minori qualora dichiarati adottabili durante il periodo dell’affidamento.

Inoltre il legislatore ha inteso valorizzare il ruolo degli affidatari in tutti i procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato, prevedendo l’obbligo del loro ascolto da parte del giudice (pena la nullità del procedimento) e la possibilità di presentare memorie. [Art. 2, comma 1]. Questa ultima importante novità, è stata, e lo è ancora, oggetto di confronto e di dibattito nel mondo giuridico e tra gli operatori pubblici e privati che si occupano di affidamento familiare.

Come Tavolo Nazionale delle Associazioni/Reti familiari per l’affido vi scriviamo questa “lettera aperta” per parteciparvi quanto finora è emerso da questo confronto. Queste note rappresentano una “prima riflessione” sul tema dell’ascolto e fa seguito al documento più ampio di commento alla legge 173/2015, già realizzato l’anno scorso in collaborazione con il Coordinamento nazionale servizi affidi.

Partendo da una nostra lettura della legge abbiamo provato a mettere in fila alcune questioni relative ad aspetti concreti in cui si formalizza la convocazione ed il successivo colloquio con il giudice, in quanto le prime applicazioni delle norme da parte dei tribunali per i minorenni, hanno evidenziato modalità di svolgimento delle audizioni diversificate. [Art. 1 comma 5]

Il fine di questa lettera è di fornire agli affidatari un quadro di sintesi delle novità introdotte e degli strumenti che gli sono stati riconosciuti per contribuire al perseguimento del miglior interesse del minore accolto

La convocazione degli affidatari da parte del giudice. Innanzitutto la legge afferma che il giudice deve convocare gli affidatari, per ascoltarli, prima di decidere sul futuro dei minori da loro accolti. Prima dell’approvazione della legge 173/2015 l’ascolto degli affidatari era “previsto, ma non sempre attuato, oppure veniva realizzato tramite i servizi sociali che riportavano al Giudice il pensiero degli affidatari. Ora la mancata convocazione o l’ascolto indiretto degli affidatari rendono nullo il procedimento.

L’esperienza ha dimostrato gli effetti positivi di tali audizioni rivelatesi molto utili ai fini della valutazione dell’effettiva situazione del minore e delle decisioni conseguenti da parte dei giudici.

  1. Occorre innanzitutto evidenziare che la norma non indica quale sia l’oggetto dell’audizione degli affidatari. Il contenuto di tali audizioni, dipende altresì dal tipo di procedimento in cui lo stesso è effettuato (procedimenti in materia di responsabilità genitoriale, di affidamento, adottabilità). L’attuale prevalente orientamento, sulla base delle riflessioni finora espresse da più soggetti, propende per ritenere che la legge non riconosca agli affidatari il ruolo di “parte processuale”. Lo sono il Pubblico Ministero, i genitori ed il minore legalmente rappresentato dal tutore e/o dal curatore. Il non essere parte processuale comporta il non poter fare ricorso, da parte degli affidatari, avverso ai provvedimenti della Magistratura.

  2. Una seconda novità della legge è la possibilità da parte degli affidatari di presentare al giudice memorie sull’andamento dell’affidamento, con le quali rappresentare ogni circostanza utile a documentare la situazione del minore e i legami affettivi da lui sviluppati nel corso dell’affidamento. Essi possono quindi interloquire direttamente con la magistratura come titolari di un diritto, e non di meri fruitori di una concessione discrezionale da parte del singolo magistrato.

La finalità dell’ascolto. La finalità dell’ascolto degli affidatari è quella di fornire all’Autorità Giudiziaria una conoscenza complessiva del minore. In tal modo le decisioni dell’Autorità Giudiziaria potranno fondarsi su di una base di conoscenza più ampia con riferimento, in particolare, alla situazione del minore presso gli affidatari.

A titolo esplicativo segnaliamo quindi l’esigenza di fornire:

  • Informazioni riguardanti la sua vita quotidiana: le sue relazioni con i componenti la famiglia affidataria anche allargata, con la rete amicale, con gli insegnanti ed i compagni di scuola, le attività ricreative/sportive da lui praticate;

  • Notizie sui rapporti con la famiglia d’origine, la frequenza degli incontri, il comportamento ed il vissuto del minore al riguardo, riportando, per quanto possibile, fatti e non solo impressioni.

Comunicare esperienze, fatti e vissuti, è utile al giudice per comprendere in modo approfondito la situazione, permettendogli una valutazione che tenga conto di tutti i diversi fattori in gioco.

Può anche accadere che il giudice richieda agli affidatari la loro disponibilità a continuare l’accoglienza del minore loro affidato o a proporsi quale famiglia adottiva, qualora il minore venisse dichiarato adottabile

È importante che la famiglia sia preparata a rispondere, esprimendo liberamente le proprie disponibilità o indisponibilità e motivazioni, sia al proseguimento dell’affido, anche di lunga durata, o ad una eventuale disponibilità all’adozione, senza timore di subire condizionamenti.

Desideriamo ancora ricordare che quanto espresso dagli affidatari in merito al proseguimento dell’affido o all’eventuale adozione, nel corso dell’audizione, non dovrebbe in alcun modo inficiare i rapporti degli affidatari con il bambino, o con la sua famiglia di origine.

Chi deve essere ascoltato. L’equiparazione tra affidatari e collocatari costituisce il riconoscimento normativo del fatto che, sia la famiglia affidataria che quella in cui i servizi sociali “collocano” i minori, devono essere ascoltate obbligatoriamente dal giudice essendo irrilevante che il decreto di affido emesso dal Tribunale non contenga il nome degli affidatari ma disponga l’affido all’ente territoriale con “collocamento” presso una famiglia affidataria individuata dai servizi sociali.

Da chi devono essere ascoltati. L’audizione degli affidatari può essere effettuata sia da parte di un giudice togato che di un giudice onorario.

È possibile che il giudice ritenga che all’audizione debba partecipare il difensore della famiglia di origine, al fine di attuare un contradditorio pieno con i destinatari dei provvedimenti limitanti la responsabilità genitoriale. In tali casi, si auspica, che l’audizione venga svolta ponendo grande attenzione alle esigenze di riservatezza della famiglia affidataria.

Nelle specifiche situazioni in cui è necessario continuare a tenere riservata l’identità degli affidatari, potrebbe essere proposto un loro “ascolto protetto”, al fine di evitare contatti tra adulti, ma salvaguardando allo stesso tempo il diritto alla difesa della famiglia di origine, attraverso un contradditorio preventivo, e cioè consentendo alla difesa di proporre al giudice domande da porre agli affidatari.

Si fa presente che nel procedimento, i minori sono rappresentati dal curatore e/o dal tutore che ne tutela il superiore interesse.

La deposizione degli affidatari. Al termine del colloquio è bene che la deposizione sia sottoscritta dagli affidatari stessi.

Quando una famiglia è accompagnata dal rappresentante di una Associazione da lei indicata, è possibile che il Giudice chieda anche ad esso di sottoscrivere le dichiarazioni.

Cosa sono le memorie che si possono presentare. Gli affidatari possono presentare in qualsiasi momento delle memorie, cioè una comunicazione scritta (meglio se con deposito presso la cancelleria del Tribunale per i minorenni o con raccomandata con ricevuta di ritorno) al giudice competente sul minore, quando nel corso dell’affidamento si verificano fatti gravi che a parere degli affidatari stessi devono essere portati urgentemente a conoscenza del magistrato, oltre che del Servizio.

È utile evidenziare che le dichiarazione rese dagli affidatari e le memorie presentate, costituiscono parte degli atti del procedimento e quindi che saranno visionate dalle altre parti (curatore e/o tutore del minore, legale dei genitori d’origine, pubblico ministero).

Per le particolari situazioni protette in cui l’identità degli affidatari non deve essere divulgata, è possibile concordare con i servizi sociali e l’Autorità Giudiziaria modalità di audizione degli affidatari e di presentazioni delle memorie che garantiscano l’anonimato degli stessi; ad esempio il tutore in alcune realtà sottoscrive una dichiarazione in cui afferma di essere a conoscenza dell’identità degli affidatari.

La partecipazione delle Associazioni alle audizioni. La legge 184/1983 e successive modifiche stabilisce che “il servizio sociale, nell’ambito delle proprie competenze, su disposizione del giudice ovvero secondo le necessità del caso, svolge opera di sostegno educativo e psicologico, agevola i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro nella stessa del minore secondo le modalità più idonee, avvalendosi anche delle competenze professionali delle altre strutture del territorio e dell’opera delle associazioni familiari eventualmente indicate dagli affidatari”.

Anche se non espressamente previsto dalla legge 173/2015, si ritiene, che proprio in questa fase delicata, la famiglia che lo desidera, possa chiedere di essere assistita dal rappresentante dell’associazione, nell’audizione presso l’autorità giudiziaria. Non essendoci però una norma che lo imponga, e possibile che alcuni giudici manifestino il loro dissenso a questa presenza durante l’audizione.

Carissimi, come già scritto, queste indicazioni sono dei suggerimenti. È possibile che nelle vostre convocazioni vi siate già imbattuti in altri problemi, o questo potrà avvenire ancora. Vi invitiamo a segnalarceli così come se incontrate buone prassi attuate da qualche Giudice. L’ascolto degli affidatari è una parte del percorso dell’affido, che è un progetto molto più ampio. Ma è una opportunità che la legge oggi vi da, che va nella direzione di riconoscere sempre più il ruolo insostituibile delle famiglie affidatarie come risposta ai bisogni dei bambini e dei ragazzi in difficoltà per offrir loro un’accoglienza familiare.

 

Le associazioni/reti del Tavolo nazionale affido

AIBI (Associazione Amici dei Bambini), ANFAA (Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie), Ass. COMETA, Ass. COMUNITÀ PAPA GIOVANNI XXIII, Ass. FAMIGLIE PER L’ACCOGLIENZA, BATYA (Associazione per l’Accoglienza, l’Affidamento e l’Adozione), Ass. Naz. FAMIGLIE NUMEROSE, CAM (Centro Ausiliario per i problemi minorili), CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza), Coord. AFFIDO ROMA (Coordinamento degli Organismi del Privato Sociale iscritti all’albo per l’affido del Comune di Roma), Coordinamento CARE, COREMI – FVG (Coordinamento Regionale Tutela Minori del Friuli Venezia Giulia), PROGETTO FAMIGLIA (Federazione di enti no-profit per i minori e la famiglia), UBI MINOR (Coordinamento Toscano per la tutela dei diritti dei bambini e dei ragazzi).

www.tavolonazionaleaffido.it/index.php/il-tavolo/

www.tavolonazionaleaffido.it/files/Gennaio%202016%20-%20Nota%20del%20CNSA%20e%20del%20Tavolo%20Nazionale%20Affido%20sulla%20Legge%20173.2015.pdf

News Ai. Bi. 28 aprile 2017 www.aibi.it/ita/affido-obbligo-di-ascolto-delle-famiglie-affidatarie

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Il figlio ha diritto all’università pagata dai genitori?

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 10207, 26 aprile 2017.

Il figlio che non si accontenta della laurea triennale e vuol continuare gli studi all’università va mantenuto nei limiti delle possibilità dei genitori. Il figlio ha diritto a farsi pagare l’università dai genitori per completare il percorso di studi sempre a condizione che mamma e papà se lo possano permettere e il giovane non percepisca altri redditi. Allo stesso modo, se i genitori sono separati e il giudice ha fissato, a carico di uno dei due, un assegno di mantenimento in favore del figlio, tale assegno non può essere ridotto o revocato solo perché il giovane, non autosufficiente dal punto di vista economico, non vuole accontentarsi della laurea triennale. Il diritto a ottenere un mantenimento per gli studi universitari viene meno solo se il ragazzo percepisce un reddito. Quindi il padre che voglia interrompere il pagamento o, quanto meno, ottenere una riduzione, deve dimostrare l’indipendenza economica del figlio o il fatto che questi abbia rifiutato ingiustificatamente delle offerte di lavoro. È quanto chiarito dalla Cassazione

Nella sentenza in commento la Suprema Corte ribadisce un principio stabile in giurisprudenza: al figlio maggiorenne che non ancora acquisito l’indipendenza economica e che vuole perseguire un percorso formativo va garantito il diritto allo studio, non solo alla scuola dell’obbligo o alle superiori, ma anche all’università, il tutto però compatibilmente con le condizioni economiche dei suoi genitori. Secondo i giudici è legittima la scelta di non accontentarsi della semplice laurea triennale.

Il figlio ha diritto all’università pagata dai genitori solo a tre condizioni:

  1. Che i genitori (o solo quello tenuto al versamento dell’assegno di mantenimento) se lo possano permettere;

  2. Che il figlio non abbia un proprio reddito o non abbia rifiutato concrete opportunità lavorative (non basta aver rifiutato un primo lavoro occasionale);

  3. Che il figlio ha legittimamente scelto di «proseguire il proprio percorso di studi» nell’ottica di «un utile inserimento nel mondo lavorativo conforme alle proprie aspirazioni professionali».

Sulla scorta di queste argomentazioni la corte suprema ha rigettato il ricorso del padre di una ragazza, maggiorenne ma non ancora indipendente economicamente, che chiedeva la riduzione dell’assegno da corrisponderle, quantificato dal giudice in 850 euro mensili.

L’obbligo di versare il mantenimento ai figli maggiorenni cessa solo nel momento in cui il genitore – tenuto a tale pagamento in forza della sentenza adottata dal giudice all’esito del giudizio di separazione o divorzio – dimostri che percepiscono un reddito. Tale prova deve essere fornita dal genitore stesso.

Resta fermo comunque – ribadiscono i giudici – che l’obbligo di mantenimento non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori.

Redazione LPT 26 aprile 2017 ordinanza

www.laleggepertutti.it/159252_il-figlio-ha-diritto-alluniversita-pagata-dai-genitori

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BONUS MAMMA

Inps. Ecco chi può chiederlo e come

Dal 4 maggio 2017 si può inoltrare la domanda all’Inps: 800 euro per ogni figlio nato o adottato o affidato. A partire dal 7° mese di gravidanza

Il bonus da 800 euro per la nascita o l’adozione di un minore può finalmente essere richiesto. Previsto dalla manovra finanziaria per il 2017, il contributo una tantum era rimasto al palo perché non era stata ancora predisposta la procedura telematica per inoltrare le domande. L’attesa è finita: l’Inps ha comunicato che da giovedì 4 maggio l’istituto sarà pronto ad acquisire le domande. Ecco di cosa si tratta, chi ne può fare richiesta e come.

Un premio per la nascita o l’adozione di un minore. Il “Bonus mamma domani” è un beneficio economico corrisposto alle future madri al compimento del settimo mese di gravidanza (inizio dell’8° mese), oppure alla nascita o adozione o affido di un minore per gli eventi che si sono verificati dal 1° gennaio 2017. Il premio è concesso una sola volta e in un’unica soluzione per ogni figlio nato o adottato/affidato. Dunque in caso i figli fossero due, spettano 1.600 euro.

Chi può chiedere il bonus mamma. Non sono previsti limiti di reddito. Per avere diritto al bonus di 800 euro le gestanti/madri devono avere la cittadinanza italiana o comunitaria. Le cittadine non comunitarie con lo status di rifugiate politiche e protezione sussidiaria sono equiparate alle cittadine italiane, dunque ne hanno diritto. Possono fare richiesta anche le cittadine non comunitarie in possesso del permesso di soggiorno Ue di lungo periodo, oppure di una delle carte di soggiorno per familiari di cittadini Ue previste dal D.L. 30/2007.

Come inoltrare la domanda. La domanda va presentata telematicamente all’Inps, e sono tre le possibilità:

  1. Via Internet, utilizzando i servizi telematici del portale www.inps.it accessibili tramite Pin

  2. Telefonando al Contact Center al numero 803164 (gratuito da telefono fisso), oppure al numero 06164164 per le chiamate da cellulare (tariffazione a carico dell’utente).

  3. Tramite i Patronati, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

Come certificare lo stato di gravidanza. Per la certificazione dello stato di gravidanza si può scegliere una delle seguenti opzioni:

  1. Presentare allo sportello il certificato originale o di copia autentica, oppure spedizione dello stesso a mezzo raccomandata.

  2. Indicare il numero di protocollo telematico del certificato rilasciato dal medico SSN o convenzionato ASL.

  3. Indicare l’avvenuta trasmissione del certificato all’Inps per una domanda relativa ad altra prestazione connessa alla medesima gravidanza.

  4. Per le sole madri non lavoratrici: indicare il numero identificativo a 15 cifre di una prescrizione medica emessa da un medico del SSN o convenzionato, con indicazione del codice esenzione compreso tra M31 e M42 incluso.

Se invece la domanda è stata presentata a parto già avvenuto, la madre dovrà autocertificare nella domanda il codice fiscale del bambino.

Le cittadine extracomunitarie in possesso del permesso di soggiorno valido ai fini dell’assegno di natalità devono certificare il possesso di tale titolo inserendone gli estremi nella domanda telematica

Massimo Calvi Avvenire 28 aprile 2017

www.avvenire.it/attualita/pagine/bonus-mamma-al-via-ecco-chi-puo-chiederlo-e-come

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CASA CONIUGALE

La «dimora coniugale» non spetta a chi convive con figlio maggiorenne non autosufficiente.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 6550, 14 marzo 2017

Nel giudizio di divorzio negata l’assegnazione della casa coniugale formulata dalla ex moglie sull’assunto che ci viveva con il figlio maggiorenne ma non ancora autosufficiente. I giudici di merito, tuttavia, avevano eccepito come la signora avesse intrapreso una convivenza con altro uomo che per la Cassazione non è risultato elemento fondamentale. Sentenza

https://renatodisa.com/2017/04/25/corte-di-cassazione-sezione-i-civile-sentenza-14-marzo-2017-n-6550

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter n. 16/2017, 26 aprile 2017.

Questa settimana una canzone, una poesia, un omaggio alla donna, con la musica di Lucio Battisti, perché immagini, suoni e voci fanno capire molto meglio delle parole scritte, e riescono a toccare anche il cuore, non solo la testa.

Anche per te. Canzone del 1971, addirittura lato B de “La canzone del sole” quindi brano musicale apparentemente “secondario”, ai tempi in cui si vendevano dischi di vinile a 45 giri (con una sola canzone per lato). Ma testo e musica, insieme, offrono qui un momento di poesia pura, per tre profili di donne che restano nel cuore. www.youtube.com/watch?v=2bcjGfp7stQ

Attualità – Dibattito

Passa alla camera una cattiva legge sul biotestamento. Ora la parola al Senato. All’interno dell’ampio e a volte infuocato dibattito sulla Legge sul testamento biologico, merita di essere ripresa la nota congiunta firmata dai deputati Paola Binetti e Rocco Buttiglione (Udc), Raffaele Calabrò (Ap), Benedetto Fucci (Cor), Gianluca Gigli (Des-Cd), Cosimo Latronico (Cor), Domenico Menorello (Civici e Innovatori), Alessandro Pagano (Lega Nord), Antonio Palmieri (Fi), Eugenia Roccella (Idea) e Francesco Paolo Sisto (Fi). Un piccolo gruppo, di diversi orientamenti politico-partitici, ma tutti accomunati da un forte allarme: “Noi ci siamo opposti con tutte le nostre forze perché con esso vuole fare entrare nel nostro ordinamento giuridico l’eutanasia e vi entra nel modo più barbaro: la morte per fame e per sete. La battaglia però non é finita. Essa continua al Senato […] Noi vorremmo invece che al morente fosse sempre offerta una compagnia ed un sostegno per vivere con pienezza fino alla fine naturale dell’esistenza. […] Quello che adesso si vuole legittimare è l’abbandono terapeutico ed il rifiuto di offrire il sostegno minimo della solidarietà umana”.

www.adnkronos.com/fatti/politica/2017/04/20/biotestamento-oggi-voto-finale-alla-camera_zeBumIDjTxKo37uAD9TpjO.html

Notizie – dall’Italia e dall’estero

Unione Europea. Premio per città accessibili (Access City Award 2017). Promosso da Commissione Europea e dall’European Disability Forum, da diversi anni premia le città europee che dimostrano di aver adottato misure per favorire la mobilità e l’accesso ai servizi per le persone con problemi di disabilità.

http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=1141

Nel 2017 il premio è andato alla città di Chester (Gran Bretagna), con 329.000 abitanti

http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=738&langId=en&pubId=7986&furtherPubs=yes

Menzione speciale anche per la città di Alessandria, nel nostro Paese, con una originale motivazione, legata alla capacità di promuovere iniziative a favore delle persone disabili ed anziane, anche a fronte di scarsità di risorse economiche della pubblica amministrazione, attraverso una forte valorizzazione e messa in rete delle realtà della società civile già presenti sul territorio. Nel 2015 L’European Access City Award era andato a Milano (in collegamento con il grande sforzo fatto, anche in tema di accessibilità, in occasione dell’EXPO). E’ in via di predisposizione il bando 2018, cui ogni città europea può candidarsi. Vedi anche, tra i vari testimonial, l’invito alla candidatura – e quindi a promuovere iniziative “barrier free”, nella breve videointervista della nostra Bebe Vio (con un ottimo inglese…).

http://ec.europa.eu/avservices/video/player.cfm?sitelang=en&ref=I125233

Famiglia nel mondo. La Dichiarazione di Cape Town su famiglia, matrimonio e differenza sessuale. A dicembre 2016 una rete internazionale di associazioni (IOF, International Organization for the Family) ha promosso la sottoscrizione di un documento che riafferma la centralità della famiglia per l’organizzazione sociale, e il suo radicarsi nel patto matrimoniale tra uomo e donna. (“We affirm the dignity of marriage as the conjugal bond of man and woman (…) every community finds its foundation where every human being deserves to begin: in marriage. Here a man and a woman commit to join their whole lives as one family”).

www.opus-ups.com/p/cape-town-declaration

Italia. Un concorso per cortometraggi sull’età anziana. L’associazione 50&Più, che mette in rete gli associati di Confcommercio anche dopo l’attività professionale, attraverso il suo Centro Studi promuove la prima edizione del concorso di cortometraggi Corti di Lunga Vita. Il concorso intende incoraggiare e promuovere la realizzazione di audiovisivi riguardanti l’anzianità, sviluppando ogni anno un aspetto specifico. Per il 2017 il tema del concorso è: incontri e riconoscimenti. La partecipazione al concorso è aperta a tutti, il bando non prevede infatti vincoli relativi a nazionalità, età o professione. Le opere proposte dovranno essere inedite e contenere espliciti riferimenti all’invecchiamento o alle persone anziane. La scadenza per la partecipazione al concorso è fissata per venerdì 13 ottobre 2017.

www.centrostudi.50epiu.it/Portals/0/EasyDNNNewsDocuments/22514/Corti%20di%20lunga%20vita%20-%20Bando%20-%20Scheda%20di%20iscrizione%20-%20Liberatoria.pdf

CISF informa. Crisi della politica e bene comune. Una riflessione sul valore aggiunto sociale della famiglia. Il Direttore del Cisf (F. Belletti) venerdì 21 aprile 2017 è intervenuto a Novafeltria (Rimini) alla seconda serata dei “Percorsi di Dottrina Sociale della Chiesa”, promosso dall’Istituto Interdiocesano di Scienze Religiose Mario Marvelli (diocesi di Rimini e San Marino-Montefeltro), con una relazione su “Politiche familiari: sussidiarietà alla prova. Tra responsabilità delle famiglie verso il bene comune e urgenza di interventi concreti” [traccia dell’intervento]

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf1617_allegato1.pdf

Prossimo incontro il 9 giugno 2017, a Domagnano (RSM), su “Economia ed etica. Come superare le logiche dell’esclusione e dell’iniquità” (interverrà Alessandra Smerilli, docente di economia presso l’Università LUMSA di Roma e Segretario del Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani). Per approfondire vedi anche il testo di F. Belletti “La famiglia costruisce la società. Un valore ‘aggiunto’ per tutti

www.edizionisanpaolo.it/varie_1/famiglia_1/progetto-famiglia/libro/la-famiglia-costruisce-la-societa_75551.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_26_04_2017

Dalle case editrici

  • Bonfirraro Editore, La tutela oltre la frontiera. Bambini bilingue senza voce. Bambini binazionali senza diritti

  • Add editore, Il gioco della bottiglia. Alcol e adolescenti, quello che non sappiamo

  • Effatà Editrice, L’alfabeto della famiglia. 26 schede per migliorare la relazione tra mamma, papà e figli

  • Ediesse, Praticare la differenza. Donne, psichiatria e potere

  • Pontificium Institutum Joannes Paulus II, The family as teacher of peace

De Filippis Bruno, È caduto il muro tra Chiesa e divorziati? Pacini Editore, Ospedaletto (PI), 2016, pp. 196, € 18,00. Il credente che, dopo aver divorziato, si risposi, si trova improvvisamente al di là di un muro. Da una parte ci sono loro, i “cristiani normali” e dall’altra lui, il “divorziato”. Si tratta di un muro inizialmente poco visibile e dai contorni apparentemente sfumati, ma in realtà invalicabile, che assume, nell’esperienza del soggetto coinvolto, progressivo significato. Talora egli se ne accorge all’improvviso, ad esempio quando suo figlio deve fare la prima comunione, talaltra lo comprende quando gli dicono per cosa egli è dentro lo Chiesa e per cosa fuori – e la seconda lista è molto più lunga della prima. Tanti muri sono caduti, ed è per questo che l’autore di questo saggio, insieme ad un numero sempre crescente di credenti divorziati, si chiede quando cadrà anche questo. Il credente divorziato spesso infatti vorrebbe capire la situazione reale, uscire dall’ambiguità di tante risposte date e non date, di tante sibilline esitazioni, di ragionamenti non immediatamente trasparenti, di rinvio a tempi che, secondo la tradizione della Chiesa, possono essere ben superiori a quelli di una singola esistenza. A questa problematica il libro – scritto col rigore del fine giurista – offre interessanti risposte, anche se è stato completato nell’intervallo tra i due Sinodi sulla famiglia, quindi prima della pubblicazione di Amoris laetitia. Da un lato narra e commenta i documenti precedenti, al fine di far comprendere quale è il reale stato dei fatti e quali sono i punti di partenza. Dall’altro ripercorre con rigore i passaggi che hanno condotto al momento presente, vale a dire a un momento in cui un cambiamento è diventato possibile, perché finalmente all’amore tra un uomo e una donna viene dato un significato profondo, che a volte può essere più forte delle regole, specie se queste poggiano su presupposti labili, che hanno fatto il loro tempo. (Pietro Boffi)

Save the date

Nord Procreazione ed educazione. Quale gradualità pastorale? (AL VII), incontro all’interno del percorso di formazione degli operatori 2017 “Accompagnare al sacramento del matrimonio alla luce di Amoris Lætitia, promosso dall’Ufficio Famiglia diocesano, Alba (CN), 19 maggio 2017.

http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/pls/cci_dioc_new/bd_edit_app_dioc_css.edit_appuntamento?p_id=971910&p_pagina=5567&rifi=&rifp=&vis=4

Percorso formativo per l’affidamento familiare, promosso dal Centro per l’affido e la solidarietà familiare Padova Ovest, primo incontro il 27 aprile 2017, per cinque giovedì, dalle 18.45 alle 20,30, fino al 24 maggio 2017, Selvazzano Dentro (PD). www.opus-ups.com/p/cape-town-declaration

Centro Caregiver familiare: riconoscimento di ruolo, diritti, azioni. A che punto siamo? Conferenza stampa promossa da Carer, Roma (Camera dei Deputati), 27 aprile 2017.

www.caregiverfamiliare.it/wp-content/uploads/Conferenza-Stampa_2017_Montecitorio.pdf

, in preparazione e lancio della Settima edizione del Caregiver Day, Mi prendo cura di te. Essere caregiver: dare e ricevere sostegno in una comunità che si prende cura, che si svolgerà in diverse città dell’Emilia Romagna dal 3 al 27 maggio 2017

www.caregiverday.it/wp-content/uploads/Invito_caregiver_day_2017.pdf

Un paese che non azzarda, incontro pubblico sul gioco d’azzardo con presentazione della petizione “A che gioco giochiamo?”, promosso dal Centro sociale Poggio Torriana in collaborazione con diverse associazioni del territorio, Poggio Torriana (Rimini), 4 maggio 2017.

www.caregiverday.it/wp-content/uploads/Invito_caregiver_day_2017.pdf

Sud La lunga festa della famiglia. La generatività della famiglia, cuore pulsante della società, evento promosso dal Forum delle associazioni familiari Puglia, vedi l’intenso programma, in diverse città, dall’8 al 31 maggio 2017 (conferenza stampa il 4 maggio 2017, a Bari). www.festadellafamigliapuglia.it

Estero Quinto Congresso Europeo di Scienze della Famiglia (European Congress of Family Science), promosso da State Institute for Family Research at the University of Bamberg (ifb), Austrian Institute for Family Studies at the University of Vienna (ÖIF), Federal Institute for Population Research (BiB), Vienna, 9-11 novembre 2017.

www.familyscience.eu/en/programme/?S=ohne%3FS%3Dohne%3F%3FS%3Dohne%3FS%3Dohne%3FS%3Dohne%3FS%3Dohne%3FS%3Dkontrast%3FS%3Dkontrast%3F%3FS%3Dohne%3FS%3Dkontrast

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CHIESA CATTOLICA

Tutti uguali nella chiesa?

Era inevitabile che anche le comunità cristiane dovessero misurarsi con il problema dell’uguaglianza, in una società che, assai prima che il termine apparisse sulle bandiere della rivoluzione americana e di quella inglese, aveva proclamato, e in non piccola misura applicato, questo principio, a partire da una serie di noti passi evangelici e dalla lapidaria affermazione della Lettera ai Galati (3, 19) “Non c’è giudeo né greco, non c’è schiavo né libero, non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”: passo nel quale vengono emblematicamente indicate, e superate, le tre grandi “disuguaglianze” di allora, e purtroppo sotto molti aspetti ancora di oggi, quelle legate all’appartenenza etnica, al ruolo sociale, alla differenza sessuale.

La dialettica uguaglianza-disuguaglianza. A partire da questa affermazione, e nel corso della sua lunga storia, la Chiesa ha gradatamente approfondito – pur non senza interruzioni di percorso e contraddizioni interne – la categoria di uguaglianza, sino a pervenire, con il Concilio Vaticano II, alla limpida affermazione, in una serie di suoi documenti, di questo principio.

Come sempre nella storia avviene, ed è avvenuto, non sempre, e soprattutto non subito, i principii entrano a vele spiegate nella prassi: così la storia del Cristianesimo è caratterizzata da ricorrenti aspirazioni all’uguaglianza e da altrettanto persistenti tentativi di ritorno alla disuguaglianza (in verità mai teoricamente affermata, ma di fatto sostenuta e per certi aspetti anche legittimata).

Molte delle “eresie”, che in tutte le epoche hanno attraversato la vita della Chiesa, hanno fatto riferimento all’uguaglianza, ora per ampliare la sfera della sua attuazione, ora per restringerla, attraverso quella costante dialettica fra autorità e libertà che caratterizza, da sempre, la storia degli esseri umani.

Il problema si ripropone – e con particolare acutezza dopo la Riforma – anche nelle comunità di cristiani che si sono succedute in questi 500 anni. A lungo è apparso che fossero fra loro incompatibili la scelta ora dell’autorità ora della suprema “libertà del Cristiano” tanto cara a Lutero (ma anche a Tommaso Moro e ad Erasmo da Rotterdam).

Guardiamo a tre questioni pratiche. Non stupisce, dunque, che questo tema sia rientrato prepotentemente all’ordine del giorno in occasione della riflessione collettiva in atto, in tutte le Chiese, in relazione al ricordo dei Cinquecento anni della riforma protestante. È del resto questo uno dei più accidentati terreni di scontro dei secoli passati e, in parte, anche di oggi. Riflettere sullo “stato della questione” nei rispettivi campi del Protestantesimo nelle sue varie forme e del Cattolicesimo (esso pure articolato e pluralista assai più di quanto potrebbe apparire ad un osservatore superficiale) è in questa sede impossibile. Ci si soffermerà pertanto su questioni relativamente di non altissimo profilo ma che sul piano pratico hanno una non piccola rilevanza.

Prescindendo dalla complessa, e qui non affrontabile, questione dei Ministeri ordinati, e incentrando l’attenzione soprattutto sulle problematiche della laicità, si vorrebbero svolgere qui alcune essenziali riflessioni su tre specifici temi che possono essere letti anche come “esemplari” in ordine alla dialettica uguaglianza-differenza, e cioè – con specifico riferimento alle problematiche del laicato – la questione dei ministeri laicali, quella della predicazione dei laici quella della teologia dei laici: ambiti, tutti, nei quali la dialettica eguaglianza-differenza appare di tutta evidenza, con indirette ripercussioni anche sul piano del dialogo ecumenico.

Laici che evangelizzano. Restando ben fermo che tutti i battezzati sono chiamati alla propria santificazione e all’annuncio del Regno di Dio, nella Chiesa cattolica di ieri e sostanzialmente ancora di oggi l’annuncio del Vangelo è stato di fatto affidato soprattutto a figure “specializzate” Non si è mai negata la radicale uguaglianza fra tutti i battezzati – fortemente sottolineata, come ben noto, dal Vaticano II – ma di fatto si sono distinti i cristiani “docenti” e i cristiani “discenti”.

Questa separatezza è stata in gran parte superata nei documenti conciliari, ma non ancora nella prassi: di fatto le responsabilità relative all’annunzio della Parola e, in generale, all’evangelizzazione sono nella Chiesa cattolica affidate in modo determinante ai ministri ordinati (Vescovi, presbiteri e, in assai minore misura, diaconi).

Resta, fortunatamente, una diffusa presenza e una vivace testimonianza dei cristiani (dei semplici “battezzati”), che consente il permanere nella storia della Chiesa; ma è una presenza che troppo spesso appare collaterale e silenziosa. Il principio della radicale eguaglianza dei fedeli attende di essere attuato e sperimentato nell’ambito della evangelizzazione.

Laici che predicano. Il Concilio Vaticano II ha inteso “ridare la parola” ai laici, ma questa parola – che può e deve circolare liberamente nel mondo – ha un’eco del tutto secondaria nella predicazione, a partire da quella norma del vigente Codice di diritto canonico che riserva ai presbiteri e ai diaconi (nonché, ovviamente, ai vescovi) (can. 764) e consente ai laici – con una norma quasi mai realmente applicata – soltanto di predicare in una chiesa o in un oratorio “se in determinate circostanze lo richieda la necessità o in casi particolari l’utilità lo consigli” (can. 766).

Anche quando il celebrante sia di fatto impedito di parlare o il presbitero sia uno straniero non nel pieno possesso della lingua, o l’anziano presbitero non sia più in grado di predicare (eventi, questi, oggi tutt’altro che rari, data la forte elevazione dell’età media dei presbiteri e il “silenzio” di fatto imposto ai diaconi), anche in questo caso i laici – qui senza differenze fra uomini e donne – devono tacere.

Laici che fanno teologia. Il Concilio Vaticano II ha rivolto un forte appello ai laici perché entrino a vele spiegate negli studi teologici (cf. Gaudium et Spes, n. 62) ma ancora rari sono in Italia, anche se in promettente sviluppo, i laici teologi (donne e uomini), ma la presenza dei laici in questi ambiti – di per sé non preclusi ai comuni cristiani, come l’esperienza di altri Paesi attesta – è ancora in Italia marginale, pur se appaiono interessanti segnali di ritorno ad una prassi, quella della Chiesa antica, che non conosceva le attuali barriere.

Non vi sono dubbi, d’altra parte, sul fatto che una teologia arricchita, al maschile e al femminile, di giovani e fresche presenze laicali risulterebbe più vicina alle esigenze ed alle attese del popolo di Dio, evitando quell’eccesso di specializzazione che ha talvolta ridotto la teologia a orto chiuso di pochi iniziati.

Una Chiesa tutta ministeriale. Quelli dianzi indicati sono soltanto tre ambiti (importanti ma indubbiamente limitati) nei quali si potrebbe sperimentare il superamento di antiche separatezze – e, di fatto, di antiche disuguaglianze – fra laici ordinati e laici non ordinati. È ben vero che l’orizzonte all’interno del quale declinare, anche nella Chiesa, il principio di eguaglianza è assai più vasto.

Qui non si intendeva di certo esaurire un tema così, ampio e complesso ma soltanto offrire alcuni esempi di strade da percorrere in vista della realizzazione dell’ideale conciliare di una Chiesa di battezzati tutta ministeriale tutta posta al servizio dell’evangelizzazione: ciascuno con i suoi doni e i suoi peculiari carismi.

Il superamento delle diseguaglianze all’interno della Chiesa è stato, a partire dalle fondamentali pagine di Lumen gentium, uno dei principali intenti del Concilio; né si può negare che nei cinquant’anni che ci separano dal Vaticano II importanti e significativi passi siano stati percorsi. Altri potranno essere compiuti, augurabilmente, in un prossimo futuro, senza indulgere alla tentazione – cui in passato non pochi riformatori hanno ceduto – di una “Chiesa egualitaria” disegnata a partire da grezzi e disinformati “ritorni alle origini”.

La Chiesa, da sempre, è luogo di esercizio, nello stesso tempo, di autorità e di libertà: né l’una potrà mai essere sacrificata sull’altare dell’altra.

Giorgio Campanini, Sociologo e storico; esperto di pastorale familiare.

Giorgio Campanini Rete dei Viandanti 26 aprile 2017 www.viandanti.org/?p=15409

 

Papa Benedetto: luci e ombre di una successione senza morte

Da 4 anni a Roma, accanto al Vescovo e papa Francesco, abbiamo un vescovo emerito, che ha appena compiuto 90 anni. Per la nomenclatura episcopale questo non è nulla di straordinario. Ma per l’istituzione e l’immaginario papale, così come sono venuti strutturandosi soprattutto negli ultimi secoli, questa è una cosa quasi inconcepibile. Che ci sia, accanto al papa “regnante”, un papa “emerito”, rappresenta una implicita rilettura dell’autorità papale e un ripensamento della sua funzione ecclesiale.

Bisogna riconoscere apertamente che questa decisione di papa Benedetto ha portato la Chiesa cattolica ad una obiettiva accelerazione. Dopo tanto freno, una accelerata improvvisa e provvidenziale. Nello stesso tempo il permanere, accanto a Francesco, della figura del “papa emerito”, che veste ancora di bianco, che rimane “autorecluso in preghiera” nel recinto di San Pietro in Vaticano, ha offerto qualche ragione a formulazioni confuse, a teorie distorte, a pasticci istituzionali e personali. Anche al di là delle intenzioni.

Dunque la scelta di Benedetto è stata lungimirante e insieme traumatica. Ha introdotto una condizione provvisoria che può essere letta come parallelismo tra papi, come integrazione tra prospettive, come articolazione tra ministeri… e la fantasia non manca né fuori, né dentro il Vaticano.

È proprio il prolungarsi di questa condizione che deve far riflettere, mostrando i limiti intrinseci della soluzione adottata. Una certa “personalizzazione” dell’emeritato dovrà essere in futuro esclusa. Niente veste bianca, niente prossimità di sede con il papa, nessuna comunicazione pubblica dovrebbero diventare condizioni formali per il possibile ripetersi di una tale esperienza.

Solo a queste condizioni il successore sarebbe effettivamente libero di procedere “oltre” senza il condizionamento di una “prossimità” troppo ingombrante.

Il fatto che su alcune decisioni e su alcune nomine il papa emerito abbia ancora esercitato una autorità – fosse anche solo un diritto di veto – determina una alterazione del sistema che a lungo andare diventa troppo difficile da gestire. Stilizzazione monastica claustrale e conservazione di ambiti di autorità non si lasciano affatto armonizzare su tempi lunghi.

Un esempio significativo di questa ambiguità sta nella pubblicazione, in occasione dei 90 anni del vescovo emerito, di un “inedito” – risalente a due anni fa – in cui viene presentato un discorso sulla liturgia letteralmente “traumatizzato” dalla riforma liturgica e nel quale si confonde la liturgia con una sua lettura apologetica e antimodernistica, che ha al centro l’affermazione del primato dell’agire di Dio sull’agire dell’uomo. Questa idealizzazione della liturgia fraintende le ragioni della Riforma liturgica e ne distorce profondamente il senso. Dà voce ad una “voglia di contraddizione” che lo stesso Ratzinger, nelle sue “ultime conversazioni”, ha confessato come sua inclinazione di antica data.

Tutto questo segnala un problema e una opportunità: per il papato, così come si è sviluppato negli ultimi secoli, la possibilità di una “dimissione dal ministero” diversa dalla morte del ministro è davvero una grande novità, un gesto coraggioso e una attestazione di grande realismo. Forse però nelle cose umane non si arriva mai immediatamente alla pienezza di un gesto. Proprio per questo la sua “incompiutezza” segnala anche il suo limite. Una dimissione dal ministero petrino, diversa dalla morte, deve avere caratteri di “morte” molto più accentuati. Il silenzio nella preghiera deve essere totale e deve coinvolgere anche i collaboratori. I segni esteriori, come la veste bianca, devono tramontare. La lontananza dalla autorità deve essere piena e radicale, non solo sul piano formale, ma direi anche su quello “geografico”. La rinuncia all’esercizio del ministero ridimensiona l’autorità del papa: inevitabilmente anche quella del successore. Ma solo entro limiti certi.

Andrea Grillo Adista Notizie n. 16, 29 aprile 2017

www.adista.it/articolo/57240

 

Il Gallo. Editoriale di maggio

È trascorso da qualche settimana il quarto anniversario dell’elezione a vescovo di Roma – vescovo, quindi, prima che pontefice – di Jorge Mario Bergoglio e allo stupore per l’inatteso annuncio di quel 13 marzo, per la scelta del nome e per il primo saluto in quel tramonto romano di tardo inverno sono seguiti quattro anni di stupore evangelico. Diciamo con franchezza che una ventata innovatrice non ce la saremmo aspettata da un papa.

Dopo quattro anni Francesco è riconosciuto anche dai laici fra le persone più apprezzate e influenti, «il dono più prezioso che la Chiesa cattolica romana ci abbia offerto in questa società alla deriva, senza uno scopo e senza fiducia» (Zygmunt Bauman), ma al di là degli entusiasmi, delle piazze piene, degli Angelus planetari, perfino delle frequentazioni nella rete, resta l’impressione che nella sua chiesa lo spirito tridentino sia ancora ampiamente dominante. Ma le trasformazioni lente sono più durevoli e l’essenziale è non tornare indietro, neppure quando sarà l’ora della successione.

Non siamo i chierichetti di Francesco e non abbiamo mai ritenuto indiscutibile l’assenso al papa, chiunque sia. Ma apprezziamo e sosteniamo la maggiore libertà di espressione nella chiesa, la circolazione di misericordia, l’impegno sociale come attenzione alla persona e all’ambiente, stretti però fra chi ritiene che manchi a Francesco il coraggio del radicalismo e della revisione dottrinale e gli rimprovera una incoerenza con i suoi stessi annunci e chi, spesso con linguaggio rancoroso e informazioni non corrette, considera la libertà apertura al relativismo, la misericordia tolleranza o forse invito alla trasgressione, l’impegno sociale materia politica estranea al kerigma della proclamazione della verità di fede.

Ci pare di averlo detto e scritto lungo i decenni della nostra storia, ma forse anche noi più nelle dissertazioni che nella prassi quotidiana, nelle scelte professionali e politiche: il cristianesimo non può essere ridotto a dottrina, morale e culto: è libertà, solidarietà, gioia in una inarrestabile ricerca che non può essere esente da errori. È impegno con le persone, è accoglienza e perdono, fiducia e consapevolezza dei limiti, è pagare per un ferito, porgere un bicchiere d’acqua, abbracciare chi si è comportato male con noi. C’è chi condivide e si ripropone questi gesti, riuscendo solo qualche volta a viverli e chi continua a pensare che siano più importanti dottrina e culto, principi non negoziabili e sacri paramenti e che la partecipazione alla cena del Signore sia riservata a chi si sente senza colpa.

Francesco interpella su questi problemi: a noi la ricerca di pensieri e comportamenti coerenti. Senza perdere di vista che la ricerca su queste questioni non può limitarsi a consensi e dissensi formulati sui nostri parametri, sulla ragione politica, sulle prassi consolidate nei secoli: occorre avere sempre come riferimento lo spirito dell’evangelo. Quello, considerato con cuore limpido, il termine di paragone con cui confrontare il nostro punto di vista come l’insegnamento del vescovo e anche del papa.

Associazione culturale “Il gallo” www.ilgallo46.it/editoriale-di-maggio

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CINQUE PER MILLE

Bobba: «Vi spiego come sarà il nuovo 5 per mille»

Nei giorni scorsi sono stati resi noti i dati relativi al 2015 che hanno fatto segnare un calo dei sottoscrittori e degli importi. «La legge delega sul Terzo settore ci impone di razionalizzare e rivedere le fondamenta dell’istituto. Diversi i nodi da sciogliere: il primo è quello della concentrazione dei fondi a favore di pochi enti». Dialogo con il sottosegretario al Welfare

Come sottosegretario al Welfare con delega al Terzo settore prima sotto il governo Renzi, ora sotto quello Gentiloni, Luigi Bobba dallo scorso 6 giugno 2016, giorno in cui è stata approvata la delega sul Terzo settore (legge n.106, 6 giugno 2016), è impegnato in prima linea nella scrittura dei decreti delegati che dovranno dare corpo alla riforma. www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/06/18/16G00118/sg

Il primo, quello sul servizio civile è stato licenziato in via definitiva il 10 febbraio 2017. L’ultimo invece sarà proprio quello che riscriverà i connotati del 5 per mille. I lavori sono in corso, ma l’ex numero uno delle Acli in questa intervista anticipa a Vita quali saranno le innovazioni più significative.

Partiamo dall’inizio. Perché il 5 per mille va riformato?

Un primo cambiamento importante è già avvenuto. Nella legge di Bilancio 2015 per la prima volta è stato fissato un finanziamento strutturale alla legge. Il che ha consentito di uscire da una condizione sperimentale per cui di anno in anno la legge veniva rifinanziata senza però né una verifica, né un monitoraggio appropriati. Questo passaggio ha “invocato” la delega contenuta nella legge 106\2016 che in sostanza individua quattro punti su cui lavorare.

Vediamoli

  1. Il primo è la razionalizzazione dei criteri di accreditamento dei soggetti beneficiari.

  2. Il secondo è la revisione dei requisiti per accedere al beneficio.

  3. Terzo: una semplifica- zione delle procedure per il calcolo del contributo. E in parte questa delega è già stata assolta con il decreto del Presidente del Consiglio del luglio2016 scorso che ha introdotto il principio in base al quale i soggetti beneficiari non devono presentare ogni anno la documentazione richiesta per l’accesso alla misura.

  4. La quarta delega infine riguarda gli obblighi di trasparenza dell’utilizzo delle risorse.

Torniamo per un attimo però ai limiti che riscontra nel 5 per mille così com’è oggi.

Il primo nodo è quello della forte concentrazione verso l’alto: un numero limitato di soggetti raccoglie infatti una fetta molto larga delle risorse. Ai primi 720 enti, quelli sopra i 50mila euro l’anno, viene corrisposto un importo complessivo pari a circa 310 milioni. Se si prende poi chi sta sopra il milione di euro l’anno, ci sono 40 soggetti che totalizzano circa 200 milioni su 485 milioni (quelli assegnati in base alla dichiarazione dei redditi del 2014). La fotografia risulta ancora più nitida se consideriamo i soggetti che ricevono da 100mila euro in su, che sono poco più di 300. Questo risulta se miriamo al vertice della piramide. Si nota però un fenomeno singolare anche se guardiamo verso il basso. Ci sono oltre 2mila enti (su più di 53mila soggetti iscritti) che non ottengono alcun contributo (in ragione del fatto che non hanno alcuna sottoscrizione) più altri 3mila che sono sotto i 100 euro per i quali il costo della procedura è quindi superiore al beneficio: difficile comprendere perché circa 5mila soggetti (il 10% del totale) si sono iscritti, ma non usufruiscono dell’istituto.

Questo mi fa dire che il criterio al beneficio forse va reso più sostanziale.

La linea che stiamo mettendo a punto è quella di far sì che l’accesso avvenga esclusivamente attraverso il Registro unico del Terzo settore. Oggi invece abbiamo una procedura di natura meramente formale in base alla quale l’Agenzia delle Entrate, verificando il fatto che sei un’organizzazione di volontariato, un’associazione di promozione sociale, una onlus e così via, automaticamente ti inserisce nell’elenco senza che siano presi in considerazione criteri sostanziali. Il fatto che per tanti anni questa sia stata una misura sperimentale ha finora sospeso ogni attività di verifica. Così oggi è verosimile che nell’elenco ci siano enti non più operativi, ma noi non ne abbiamo alcuna contezza. Un riscontro plastico ce lo dà il censimento dell’Istat che aveva inviato il format a 476mila soggetti, per poi censirne solo 301mila.

Cosa significa in concreto “criteri sostanziali”?

Vuol dire che andremo a valutare le finalità, le attività effettivamente svolte e l’impatto sui beneficiari. D’altra parte l’articolo 4 della legge delega del Terzo settore stabilisce che l’accesso ai benefici e ai sostegni al non profit è necessariamente vincolato all’iscrizione al registro.

Quali saranno invece le innovazioni legate alla rendicontazione?

Su questo punto è già intervenuto il DPCM del luglio2016 scorso a cui accennavo in precedenza. Quel testo già delinea un modello di rendicontazione delle attività. Io credo che, oltre agli aspetti formali e burocratici, che sono comunque importanti, dobbiamo trovare il modo per promuovere una rendicontazione pubblica, accessibile e trasparente. Penso a un sito ad hoc gestito dal ministero. Un luogo dove si debbano inserire informazioni contabili, ma anche il racconto dell’effettivo utilizzo di quelle risorse, in modo che il portale diventi anche un volano per promuovere il 5 per mille. Così facendo potremo anche coprire, almeno in parte, il quarto punto della delega: quello di garantire l’efficacia degli interventi.

Puntare sulla trasparenza e l’impatto però di per sé non è uno scudo rispetto alla concentrazione delle risorse. Come proverete a sciogliere questo nodo?

Stiamo pensando di riprendere una proposta che aveva già fatto l’Agenzia per il Terzo settore presieduta da Stefano Zamagni in cui si prevedeva che la parte relativa al non optato (che oggi viene ripartito in modo proporzionale rispetto alle scelte espresse e vale circa il 10/15% del totale) venisse destinata agli enti che stanno sotto una de- terminata soglia.

Avete pensato anche di chiudere i rubinetti a chi invece si trova al di sotto di un certo limite?

Oggi la norma prevede che non vengano ripartiti fondi a chi raccoglie meno di 12 euro. Una strada potrebbe essere quella di alzare la soglia, magari in una prospettiva pluriennale. Per esempio: accedi ai fondi solo se raggiungi almeno cento euro in tre annualità.

Si aspetta che la platea del nuovo 5 per mille sia ridotta rispetto a quella attuale?

Non è detto. Immagino che ci siano uscite, ma anche nuove entrate, soprattutto se la riforma incentiverà l’utilizzo di questo strumento. In ogni caso certamente dovremo alzare il grado di osservazione in modo da avere politiche di gestione e in- dirizzo più efficaci.

È allo studio un’esclusione dagli elenchi delle cooperative sociali, come dicono alcuni rumors?

Affronterei la questione con un’ottica di ordine generale. Quello che va cercato è un equilibrio fra le varie forme di facilitazione fiscale. L’ipotesi è quella di differenziarle a seconda della tipologia di soggetto. Ripeto è un ragionamento d’insieme che non necessariamente porterà all’esito che evoca la sua domanda. Potrebbe, ma non è detto. Io dico questo: è chiaro che un’organizzazione che si basa esclusivamente o prevalentemente sull’impegno volontario, e che quindi non genera in se stessa lavoro o ricchezza, dovrà poter contare su una corsia preferenziale rispetto alle risorse ti tipo donativo ed erogativo. Il 5 per mille fa obiettivamente parte di questa specie e può costituire uno degli elementi principali a sostegno di questa tipologia di organizzazioni. L’idea quindi che il 5 per mille premi soprattutto l’impegno volontario variamente organizzato credo che possa essere un principio da cui partire. Ma questa è solo una faccia della medaglia.

L’altra qual è?

Se andiamo ad introdurre un regime fiscale favorevole per gli investimenti di capitale per le nuove imprese sociali, è evidente che questa facilitazione non ha nessun significato per un’organizzazione di volontariato. Per le quali sarebbe uno strumento inutile e disconnesso dalla loro natura. Noi dobbiamo far sì che tutti i supporti fiscali siano il più possibile conformi alla finalità dei diversi enti del Terzo settore.

Cosa risponde invece alla richiesta di molte delle organizzazioni aderenti al 5 per mille e in particolare dei responsabili delle raccolte fondi di avere accesso ai nominativi dei “loro firmatari”? Porte chiuse o c’è qualche spiraglio?

Ci stiamo ragionando. Ma ci sono molte obiezioni. Per esempio: all’interno di organizzazioni di piccole dimensioni questa norma si trasformerebbe in una sorta di controllo ex post perché sarebbe facilmente identificabile chi non versa. Oppure pensiamo al fatto che fra i destinatari ci sono anche le università. E magari il 5 per mille potrebbe fare gola ai professori di quel determinato ateneo…Ecco non voglio per forza pensar male, ma effettivamente ci sono una serie di obiezioni che forse mi fanno pendere per il no, anche se comprendo le ragioni della sollecitazione. Penso che sia preferibile mantenere la totale “non identificabilità” del contribuente in modo non solo da evi- tare delle potenziali derive, ma anche da preservare la natura originaria del 5 per mille che presuppone un’effettiva libertà da parte di chi lo sottoscrive.

Pensate anche a un tetto rispetto alle spese di pubblicità?

Stiamo valutando se sia utile, sensato e possibile procedere in questa direzione. Già oggi c’è già un vincolo: non si possono utilizzare risorse raccolte direttamente con il 5 per mille per fare promozione. Per questo scopo possono essere utilizzate solo fondi che arrivino all’organizzazione attraverso altri canali. Il blocco totale della pubblicità favorirebbe i soggetti più piccoli e meno organizzati, ma d’altra parte sarebbe in divieto difficilmente controllabile. Il rischio che rimanga una norma solo sulla carta c’è.

Chi fa parte della task force che sta mettendo a punto il testo del decreto?

C’è un gruppo di lavoro abbastanza ristretto a cui partecipano insieme a noi rappresentati dell’Agenzia delle entrate e del Dipartimento delle Finanze: si tratta di profili tecnici. Molto però dipenderà a monte da quello che scriveremo nel Codice del Terzo settore, penso alla questione dell’accesso ai benefici. Il Registro infatti sarà disciplinato dal Codice.

Questo significa che il decreto sul codice verrà prima di quello sul 5 per mille?

È verosimile: la regolamentazione del 5 per mille sarà l’ultimo provvedimento relativo alla legge delega di riforma del Terzo settore

Stefano Arduini vita it 21 aprile 2017

www.vita.it/it/article/2017/04/21/bobba-vi-spiego-come-sara-il-nuovo-5-per-mille/143111

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Rapporto statistico biennio 2014-2015.

Dopo 10 mesi di vuoto il sito web della CAI pubblica una notizia, in data 28 aprile 2017.

E’ stato pubblicato il Rapporto della Commissione sui fascicoli dal 01/01/2014 al 31/12/2015.

Estratto pag. 4

Sulla base dei dati elaborati dalla Commissione, con l’assistenza tecnica dell’Istituto degli Innocenti, e di quelli elaborati dal Segretariato de L’ Aja, l’Italia nel 2014 (2.206 minori adottati) e nel 2015 (2.216 minori adottati) si conferma come primo paese di accoglienza in Europa per numero di minori adottati e secondo paese al mondo dopo gli Stati Uniti (6641 minori adottati nel 2014 e 5648 minori adottati nel 2015).

Nella rosa dei primi 10 Paesi di accoglienza seguono nell’ordine e con un notevole divario Spagna (824 minori adottati nel 2014 e 799 minori adottati nel 2015), Francia (1.069 minori adottati nel 2014 e 815 minori adottati nel 2015), Canada (905 minori adottati nel 2014 e 895 minori adottati nel 2015), Svezia (345 minori adottati nel 2014 e 333 minori adottati nel 2015), Olanda (354 minori adottati nel 2014 e 304 minori adottati nel 2015), Germania (227minori adottati nel 2014 e 200 minori adottati nel 2015) e Danimarca (124 minori adottati nel 2014 e 97 minori adottati nel 2015) e Svizzera ( 226 mnori adottati nel 2014 e 197 minori adottati nel 2015).

A partire dall’anno 2004, si è verificata, quindi, su scala internazionale una progressiva riduzione dei numeri delle adozioni, tendenza comune a tutti i Paesi di accoglienza, che quantitativamente ha prodotto un calo delle adozioni nel mondo del 73,5% nell’arco di dieci anni. In dettaglio, si è passati dai 45.383 minori adottati nel 2004 ai 12.001 minori adottati nel 2015. (…) 34,9% per l’Italia.

L’ultimo decennio è stato caratterizzato a livello mondiale da una costante regressione del numero delle adozioni internazionali conseguente soprattutto a trasformazioni interne nei Paesi di origine, influenzate da fattori politici, economici, e sociali. In queste trasformazioni rientrano, fortunatamente anche l’adesione e ratifica della Convenzione de L’Aja del 1998, le modifiche legislative dei Paesi di origine tese a rendere più sicure e trasparenti le adozioni, il miglioramento di politiche interne a favore dell’infanzia e di incentivazione di misure di protezione dei minori a carattere nazionale.

Anche le dinamiche dei Paesi di accoglienza sono cambiate, con una minore propensione alle adozioni internazionali che dipende da vari fattori, cui non è certamente estraneo il contesto economico. Il rapporto, nella sua edizione biennale 2014 – 2015, rappresenta rigorosamente le dinamiche, in costante mutamento, relative alle adozioni internazionali. (…)

Una lettura che pone l’attenzione solo sul dato numerico rischia di falsare l’analisi del fenomeno, poiché sposta l’attenzione dalla qualità alla quantità delle adozioni. E questo non risponde a quanto la Convenzione de L’Aja, ratificata dall’Italia con la legge 31 dicembre 1998 n. 476, chiede espressamente agli Stati aderenti. L’adozione internazionale è, difatti, una misura di tutela in funzione dell’interesse superiore del bambino e il pur apprezzabile desiderio degli adulti, di offrire accoglienza familiare ad un minore, può essere soddisfatto solo se il bambino non può trovare nel suo paese di origine una dimensione umana, di cui è parte essenziale il diritto a vivere nel proprio Paese, espresso dal principio di sussidiarietà.

La Commissione si adopera per assicurarsi che in tutti i Paesi di origine in cui opera per le adozioni internazionali attraverso gli enti autorizzati, le normative e le procedure di adozione siano rispettose dei principi espressi dalla Convenzione del L’Aja in materia di adozione internazionale e che, quindi, rispondano agli standard di garanzia e trasparenza necessari ad assicurare la tutela del superiore interesse dei minori.

I Paesi di origine hanno ciascuno procedure e modalità operative spesso profondamente diverse e ciò comporta per la Commissione una delicata, complessa e continua attività di confronto, controllo e verifica per assicurare l’effettivo rispetto dei diritti dei minori adottata e del principio di sussidiarietà. (…)

Gli enti autorizzati sono, in questo, essenziali protagonisti nel promuovere, attuare e agevolare il buon funzionamento delle adozioni internazionali nella stretta osservanza delle norme e nell’interesse dei minori; e sono garanti delle informazioni sulle condizioni di adottabilità di un minore e di ogni altra informazione che forniscono alle famiglie e alla Commissione. Gli enti autorizzati, che espongono l’onorabilità e l’affidabilità del Governo italiano, devono operare per assicurare che nessun bambino possa essere trattato come “una merce” e portato via con l’inganno o con la forza del danaro alla sua famiglia e dal suo Paese di origine, in spregio ai suoi diritti fondamentali. (…)

Le conseguenze delle violazioni nelle procedure di adozione sono disastrose per un bambino e determinano anche la perdita del diritto all’ identità, che comprende implicitamente il diritto a conoscere la verità sulla propria origine; l’articolo 30 della Convenzione de L’Aja richiede agli Stati contraenti di conservare le informazioni relative alle origini del bambino e di autorizzare l’accesso a tali informazioni nella misura in cui ciò è consentito dalla legge dello Stato. Nella ricerca e nell’affermazione di un percorso adottivo caratterizzato dalla legalità e dalla trasparenza l’attività della Commissione è stata accompagnata e sostenuta da tanti enti autorizzati e da tantissime famiglie. (…)

La Commissione propone un rapporto che si compone di una parte testuale contenente un notevole supporto grafico e cartografico al fine di consentire una lettura completa delle principali tendenze dell’adozione internazionale nel panorama mondiale e in Italia, di una parte più analitica che esamina le tematiche connesse all’adozione internazionale attraverso dati riguardanti ambiti territoriali regionali e serie storiche. Con una prospettiva di approfondimento continuo delle tematiche connesse all’adozione internazionale viene ulteriormente sviluppata l’analisi relativa ai bambini adottati con bisogni speciali e/o particolari. Il rigore di monitoraggio dei dati consente poi, di fornire un quadro completo della provenienza e della residenza finale dei bambini adottati. E’ inoltre confermata e aggiornata la parte dedicata al percorso delle coppie, con un’analisi del cammino svolto dai genitori adottivi e nello stesso tempo viene descritto il percorso svolto dai bambini adottati. (…)

La Vice Presidente Consigliere Silvia Della Monica

Introduzione pag. 3

1. Dati internazionali: Italia primo paese in Europa e secondo paese al mondo (dopo gli USA) per numero di minori adottati nel 2014 e nel 2015. pag. 6

2 I minori nell’adozione internazionale per i quali è stata rilasciata l’autorizzazione all’ingresso. pag. 25

3. I genitori adottivi interessati dai provvedimenti di autorizzazione all’ingresso rilasciati dalla CAI. pag. 40

4. Gli enti autorizzati. pag. 51

5. I tempi del percorso adottivo pag. 54

6. I decreti di idoneità e il loro effettivo utilizzo. pag. 63

Appendice.

Tavole statistiche. pag. 69

1.I dati internazionali. pag. 69

2. Le coppie che hanno ottenuto l’autorizzazione all’ingresso di minori stranieri a scopo adottivo. pag. 70

3. I Bambini autorizzati all’ingresso pag. 80

4. Gli enti autorizzati pag. 90

5. I decreti di idoneità pag. 108

Fonti statistiche pag. 118

www.commissioneadozioni.it/media/153043/report_statistico_2014-2015.pdf

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Cosenza Consultorio “La Famiglia” Seminario di formazione per consulenti familiari.

Essere genitori efficaci di bambini “nativi digitali” -“Crescere nella nuova era digitale: il ruolo dei genitori” (La consulenza a genitori di bambini “nativi digitali”).

Tutti i genitori dedicano diverso tempo a insegnare ai bambini che per attraversare la strada è necessario controllare a destra e a sinistra, anche più volte, per essere certi che non arrivino auto. Tutti i genitori spiegano, ripetendolo fino allo sfinimento, che non si apre la porta a sconosciuti. Trasmettono loro la buona educazione, raccomandano di dire per favore e grazie, di comportarsi bene a tavola e – più in generale – a scuola e nel mondo. Perché dovremmo lasciarli soli nel web? Qual è il ruolo dei genitori nell’educazione alle nuove tecnologie. Chi sono i nativi digitali e perché rischiano la dipendenza da internet. È necessario aiutare bambini e ragazzi a diventare pensatori digitali, e per far questo si deve educarli a non disporre indiscriminatamente di tutte le tecnologie ma aiutarli a scegliere i contenuti degli strumenti multimediali.

Per orientarsi nel mondo delle nuove tecnologie, occorre conoscere innanzi tutto “le nuove tribù digitali”, ovvero:

  • Generazione touch (0-3 anni): Non usano il mouse ma solo tasti e schermi sensibili, come nei giochi della prima infanzia;

  • Generazione nativi digitali (3-12): non hanno vissuto l’era analogica;

  • I millenari (13-18): nati a cavallo tra le due “ere”, conoscitori della tecnologia, sempre interconnessi ma cresciuti ancora davanti alla TV;

  • I migranti digitali (19-25): legati alla parola scritta, all’insegnamento frontale, hanno scoperto più tardi l’interattività digitale.

Alcuni rischi di una esposizione massiccia in età evolutiva agli schermi sono:

  • La sottrazione sensoriale ed esperienziale che deriva dalla permanenza davanti allo schermo, colpisce prevalentemente i bambini piccoli.

  • Addiction, ovvero la dipendenza da video. Le immagini virtuali vanno ad interagire con aree cerebrali deputate al piacere e alla gratificazione; il rischio è non poterne più fare a meno. Le dipendenze da video sottraggono risorse creative alle nuove generazioni e segnano drammaticamente il tempo diurno e notturno passato davanti agli schermi.

  • Confusione fra mondo reale e virtuali. Questa situazione si verifica principalmente nell’ambito dei videogiochi violenti, attività che istiga i bambini alla violenza in quanto la sdrammatizzano. È stato dimostrato che una visione ripetuta e continuativa di scene di violenza sotto gli 8 anni crea una maggiore propensione ad atti aggressivi e a vedere gli altri come oggetti, non come persone. Come accompagnare i nostri figli nell’utilizzo delle nuove tecnologie. Un utilizzo massiccio di internet sembra essere associato a un declino delle relazioni in famiglia, a un restringimento delle relazioni sociali, a un aumento della depressione e della solitudine. Possiamo notare che la fruizione di internet crea, ma allo stesso tempo rileva l’isolamento. Il 65% di ragazzi, infatti, inizia a navigare in solitudine. Essi considerano i genitori inadeguati

Quali competenze per i volontari: Come consulenti, genitori ed educatori è importante non dimenticarsi del proprio ruolo educativo e non arrendersi alla propria “ignoranza tecnologica”. Ci rivolgiamo ai genitori in quanto i ragazzi vanno educati fin da piccoli a fruire delle nuove tecnologie insieme agli adulti, dando dei limiti temporali e alternando compiti evolutivamente più stimolanti. È stato studiato infatti che l’esposizione a videogiochi ripetitivi, a video passivi e a compiti troppo semplici non permettono al bambino di sviluppare adeguatamente il proprio potenziale intellettivo e creativo. Il consulente coniugale e familiare (chiamato anche consulente della coppia e della famiglia) è un professionista dell’area socio-assistenziale-educativa, a cui coppie, singoli individui e famiglie in difficoltà possono rivolgersi per ritrovare dialogo e comprensione reciproca. Al consulente è necessaria la formazione permanente per prendere consapevolezza delle problematiche che può affrontare personalmente e nel setting.

http://percorsiformativi.csvcosenza.it/index.php/corsi-di-formazione/aderisci-e-collabora?cont=lists&ccname=proposte&act=view&gcb=16

 

Senigallia. Educazione alla fertilità, nuovo corso base dell’Iner Marche

Consultorio a Serra de’ Conti. L’associazione Iner – Marche (Istituto per l’educazione alla sessualità ed alla fertilità), in collaborazione con il Consultorio Familiare Ucipem organizza un nuovo corso base per la conoscenza del ciclo della fertilità femminile e del metodo sintotermico Roetzer, che si terrà nei giorni 28 aprile, 5, 12 e 19 maggio, alle ore 21,15 nella sede del Consultorio Ucipem a Serra De’ Conti

Verranno approfondite le basi biologiche della fertilità, il metodo sintotermico del dott. Roetzer, dagli aspetti applicativi alle ricadute sulla vita di coppia, e tematiche come la relazione tra sessualità e procreazione responsabile.

Il corso sarà tenuto dagli insegnanti diplomati del metodo naturale Sintotermico Röetzer dell’Iner Marche e da una dott.ssa in ostetricia del Consultorio Asur Area Vasta 2.

L’iniziativa è promossa con il patrocinio dell’Asur Marche Av 2 e la collaborazione del CSV Marche.

Vivere Senigallia Centro Servizi Volontariato 26 aprile 2017

www.viveresenigallia.it/2017/04/27/serra-de-conti-educazione-alla-fertilit-nuovo-corso-base-delliner-marche/636451

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CONVIVENZE

Alimenti: quando spetta l’assegno al convivente

Tribunale di Milano, nona Sezione civile, 23 gennaio 2017

E’ del Tribunale di Milano la prima pronuncia che applica materialmente la legge Cirinnà sul diritto agli alimenti dell’ex convivente more uxorio.

La legge 76/2016 all’art. 1, co. 65 riconosce espressamente un vero e proprio diritto del convivente more uxorio a vedersi riconosciuta una somma a titolo di assegno alimentare.

Le condizioni per il riconoscimento del diritto agli alimenti al convivente. Statuisce il tribunale di Milano che il diritto agli alimenti spetta all’ex convivente soltanto in presenza di due condizioni: il rapporto di coppia deve essersi interrotto solo dopo l’entrata in vigore della legge (5 giugno 2016), e l’ex convivente richiedente deve trovarsi in una condizione di difficoltà economica ovvero in un vero e proprio stato di bisogno tale per cui non è in grado di provvedere al proprio mantenimento in modo del tutto autonomo.

Attenzione però perché la legge fa riferimento ad un vero e proprio stato di bisogno (art. 1, co. 65 L. n. 76/2016 “In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente e gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.”) E’ bene precisare, dunque, che l’assegno non sarà in automatico addossato all’ex convivente “economicamente più stabile”.

Nel caso di specie, il tribunale ha rigettato la richiesta della ricorrente per non aver adempiuto all’onere gravante sull’alimentando. La donna infatti non ha né allegato né indicato la data storica di riferimento, elemento costitutivo della domanda.

In ogni caso, tale pronuncia apre certamente nuovi scenari per tutte le coppie di fatto che decideranno di lasciarsi, e l’applicazione della legge Cirinnà certamente fornirà diversi spunti di riflessione.

Avv. Alessandra Di Marco News StudioCataldi.it 27 Aprile 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25927-alimenti-quando-spetta-l-assegno-al-convivente.asp

Pronuncia www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_25927_1.pdf

La pronuncia statuisce anche al termine: Invita le parti ad intraprendere, sin da ora, un percorso di mediazione familiare

 

Il convivente superstite non ha titolo per occupare l’abitazione.

Corte Cassazione, terza Sezione civile, sentenza n. 10377, 27 aprile 2017.

Alla morte del convivente proprietario della casa, la compagna chiede il riconoscimento del suo diritto a conservare il godimento dell’abitazione nei confronti degli eredi. Sostiene la ricorrente che l’evoluzione sociale, in uno con quella giurisprudenziale e legislativa, abbia condotto al riconoscimento al convivente, non titolare di diritti reali o relativi sull’immobile destinato ad abitazione della coppia, della titolarità di una relazione con il bene qualificata come detenzione autonoma, tale da legittimare il godimento del bene anche dopo il decesso del convivente.

Invero la convivenza “more uxorio“, quale formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio familiare, può al più assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata e consentire di esperire l’azione di spoglio contro una estromissione violenta o clandestina dell’unità abitativa, compiuta da terzi e finanche dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario.

Tale tutela sussiste solo in quanto e finché duri il titolo dal quale proviene, vale a dire la convivenza more uxorio. Venendo a cessare quest’ultima, anche per morte del convivente, si estingue anche il diritto avente ad oggetto la detenzione qualificata sull’immobile.

Una protrazione della relazione di fatto tra il bene ed il convivente (già detentore qualificato) superstite, potrà ritenersi legittima soltanto in base:

  1. Alla eventuale istituzione del convivente superstite come coerede o legatario dell’immobile in virtù di disposizione testamentaria;

  2. Alla costituzione di un nuovo e diverso titolo di detenzione da parte degli eredi del convivente proprietario.

La rilevanza sociale della convivenza non può incidere sui legittimi diritti spettanti ai terzi sull’immobile, salvo espressa previsione legislativa (vedi legge unioni civili e convivenze, non applicabile ratione temporis al caso di specie)

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17506869/il-convivente-superstite-non-ha-titolo-per-occupare-l-abitazione.-cassazione-27-.html

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COPPIA

I residui adolescenziali nella coppia.

All’interno del ciclo di conferenze 2016-17 “Il limite“, avrà luogo la Conferenza del 4 maggio 2017: “Peter Pan e Wendy. I residui adolescenziali nella coppia”. Relatore Giulio Fontò, psicologo psicoterapeuta.

Gli addetti ai lavori per “sindrome di Peter Pan” comunemente intendono la presenza di una certa immaturità, una evidente difficoltà e resistenza a gettare il ponte fra il desiderio e la realtà, fra l’egocentrismo e la responsabilità dell'”essere con”: in definitiva, abbiamo a che fare con la problematicità del “crescere”.

Riprendendo il titolo dell’ultimo libro sulla coppia di Giulio Fontò, potremmo dire che si rimanda e si impedisce il passaggio “dall’illusione al disincanto”. Il “disincanto” si declina sempre con l’illusione che è indispensabile per capire il moto perpetuo che governa le nostre esistenze e le nostre relazioni.

Nella relazione di coppia si deve percorrere periodicamente il passaggio dall’illusione (cioè dalla proiezione narcisistica che facciamo sull’altro), al disincanto (cioè al riconoscimento della meravigliosità inquietante della diversità dell’altro) e una volta raggiunto il disincanto cadremo nuovamente nell’illusione per riprendere faticosamente, a volte dolorosamente, la strada del restituire a noi stessi e all’altro la propria identità.

“Nessuno s’innamora per scelta, ma per caso. Nessuno resta innamorato per caso, ma con l’impegno. E nessuno rinuncia all’amore per caso, è una scelta” (S.A. Smith)

Giovedì 4 maggio 2017, ore 21, P.zza San Fedele, 4 – Milano- Sala Ricci. Ingresso libero

Centro giovani coppie san Fedele 26 aprile 2017 www.centrogiovanicoppiesanfedele.it

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DALLA NAVATA

3° Domenica di Pasqua –- Anno A – 30 aprile 2017

Atti 02, 32. Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni.

Salmo16, 09. Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro.

1Pietro01, 21. e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio.

Luca 24, 33. Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme [11 km di notte], dove trovarono riuniti gli undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!»

 

Lo riconobbero allo spezzare il pane. Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).

Il racconto dell’incontro tra Gesù risorto e i due discepoli in cammino verso Emmaus è stato sapientemente collocato da Luca nell’ultimo capitolo del suo vangelo, che vuole significare una conclusione e nello stesso tempo un’apertura della narrazione che proseguirà negli Atti degli apostoli. Siamo di fronte a una sintesi di tutto il vangelo, perché questo testo riassume non solo l’intera vicenda di Gesù di Nazaret, ma anche l’intera storia di salvezza che Gesù stesso traccia “spiegando tutte le Scritture” (cf. Lc 24,27). Proprio la seconda parte dell’opera lucana, gli Atti, sarà un’interpretazione, una spiegazione di tutte le Scritture dell’Antico Testamento compiutesi in Gesù e, nel contempo, la narrazione degli eventi avvenuti nel ricordo delle sue parole.

Con il riconoscimento di Gesù “veramente risorto” da parte degli Undici, ossia di quanti lo avevano seguito – come dice Pietro – “per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto tra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo” (At 1,21-22), si chiude l’epoca della testimonianza oculare: coloro che sono stati “testimoni oculari” (Lc 1,2) devono diventare “servi della Parola” (ibid.) e dunque “inviati”, “apostoli” (cf. Lc 24,49) per “annunciare a tutte le genti la conversione e la remissione dei peccati” (cf. Lc 24,47). In quest’ultimo capitolo Luca, narrando eventi racchiusi in un solo giorno, il giorno della resurrezione del Signore, ci rivela che si tratta di un giorno senza fine, un giorno unico, il “giorno uno” (Gen 1,5) della nuova creazione, il “giorno uno che solo il Signore conosce” (Zc 14,7). Ma è anche il giorno “nostro”, il nostro tempo, l’oggi nel quale camminiamo sulle strade del mondo, mentre il Risorto cammina con noi, fino a quando lo riconosceremo definitivamente alla tavola del Regno eterno.

Quanto alla struttura di questo capitolo, esso è evidentemente composto da tre racconti:

  1. Le donne al sepolcro (vv. 1-12);

  2. I discepoli di Emmaus (vv. 13-35);

  3. Gli Undici a Gerusalemme (vv. 36-53).

Innanzitutto le donne recatesi al sepolcro il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, trovano la pietra rotolata via dall’ingresso della tomba e, entrate, non trovano il corpo cadavere di Gesù. Mentre sono nell’aporia (cf. Lc 24,4), due uomini si presentano a loro in vesti sfolgoranti e dicono alle donne impaurite e con il volto chinato a terra: “Perché cercate il Vivente tra i morti? Non è qui, è risorto. Ricordatevi di come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: ‘È necessario che il Figlio dell’uomo sia consegnato nelle mani di uomini peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno’” (Lc 24,5-7). Essi chiedono il ricordo delle parole di Gesù, e le donne effettivamente si ricordano e dunque credono. Subito, ritornate dal sepolcro, annunciano la buona notizia agli Undici e agli altri. Ma “quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento”, un’allucinazione, una sciocchezza, “e non credevano a esse. Pietro tuttavia, alzatosi, corse al sepolcro e, chinatosi, vide solo le bende. E tornò indietro, pieno di stupore per l’accaduto” (Lc 24,11-12). Al centro di questa prima parte vi è l’annuncio della resurrezione, fondato sulle parole di Gesù: ricordando le sue parole si giunge alla fede pasquale.

Segue il nostro racconto, a cui dedicheremo uno spazio adeguato. Mi limito per ora a evidenziare il tratto fondamentale, che lo rende parallelo agli altri due brani, in una sapiente costruzione narrativa e teologica. I due discepoli in cammino non riconoscono Gesù risorto, ma vedono solo un viandante il quale annuncia loro che, secondo le parole di Mosè e dei Profeti, il Cristo doveva patire e morire per entrare nella sua gloria: egli chiede la fede nelle parole dei Profeti, nelle Scritture (cf. Lc 24,25).

L’ultima parte ci testimonia che Gesù in persona appare in mezzo agli Undici radunati nella camera alta, a Gerusalemme (cf. Lc 22,12; At 1,13). Il Risorto è là, in mezzo a loro, li saluta donando loro la pace, ma essi, “sconvolti e impauriti, credevano di vedere uno spirito” (Lc 24,37). Gesù allora si fa riconoscere nei segni della passione impressi per sempre nella sua carne, chiede ai discepoli di guardarlo e di toccarlo, ma gli Undici restano increduli, tra gioia e stordimento. Gesù dunque annuncia anche a loro – come già aveva fatto nei suoi giorni terreni – la necessità del compimento nella sua vita di quanto era scritto nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi. “Allora aprì loro la mente, perché comprendessero le Scritture” (Lc 24,45), e con questa operazione terapeutica (cf. Lc 24,31-32) dona loro l’intelligenza delle Scritture, li rende credenti, abilitandoli a essere “testimoni” (mártyres: Lc 24,48). Affinché tutto ciò si realizzi pienamente, Gesù dichiara che presto invierà loro “la promessa del Padre” (Lc 24,49), lo Spirito santo (cf. At 2,1-12), poi li conduce a Betania e, benedicendoli, ascende al cielo. Ora finalmente i discepoli, ritornati a Gerusalemme pieni di gioia, possono innalzare a Dio una lode senza fine.

Ecco il riassunto dell’ultimo capitolo del vangelo secondo Luca, nel quale è rivelato a ogni lettore, a ciascuno di noi, il cammino della fede del discepolo. Occorre ascoltare e comprendere le Scritture dell’Antico Testamento, occorre ricordare le parole di Gesù raccolte nel Nuovo Testamento, e allora sarà possibile credere alla sua resurrezione.

Ma veniamo al brano liturgico, centro del nostro capitolo e sintesi dossologica dell’intero vangelo. Quando Gesù fu catturato, i discepoli fuggirono tutti per la paura, lo scoramento, e qualcuno tra di loro fu anche tentato di abbandonare la comunità. Ecco, infatti, che due di loro partono da Gerusalemme, lasciano gli altri e vanno verso il villaggio di Emmaus, dove quasi sicuramente vi era la loro casa. Sono delusi, pieni di tristezza – sentimento che traspare anche sui loro volti –, ma conversano, dialogano, scambiano parole, riandando agli eventi di cui erano stati testimoni: cattura, condanna e crocifissione di Gesù. Tutto sembra loro un fallimento e grande è la frustrazione delle loro speranze riposte in Gesù: l’avevano seguito credendo in lui, ascoltandolo, ma la sua morte è stata veramente la fine per lui, per la sua comunità, per l’attesa di ogni discepolo. Era un profeta, aveva una parola performativa, compiva azioni significative, ma i capi dei sacerdoti lo hanno consegnato ai romani ed egli è stato crocifisso. Sono passati ormai tre giorni, dunque Gesù è morto per sempre, e la loro vita sembra non avere più senso, direzione, fondamento. È la condizione in cui spesso veniamo a trovarci anche noi, e per questo l’anonimato di uno dei due discepoli ci aiuta a collocarci all’interno del racconto.

Ma su quel cammino ecco apparire un altro viandante che si accosta ai due e pone loro delle domande. Non si avvicina con un messaggio da proclamare, ma con il desiderio di ascoltare quel dialogo, di comprendere cosa i due hanno nel cuore, di accompagnarli. Innanzitutto chiede loro: “Che cosa sono questi discorsi che fate camminando, pensosi?”. In risposta, Gesù– di cui per il momento solo il lettore conosce l’identità – ascolta un racconto pieno di affetto per il loro rabbi: ascolta quello che è successo, ascolta ciò che dicono su di lui, ascolta le loro speranze deluse, e solo alla fine li interroga con molta delicatezza sulla loro fede, sul loro affidamento alle Scritture. Perché non sono capaci di credere ai profeti? Perché non sono capaci di leggere le Scritture?

Allora Gesù, come tante volte aveva fatto con i suoi discepoli, rilegge la Torah di Mosè e i profeti, e attraverso le Scritture fa comprendere ai due la necessitas della sua morte. Attenzione, non il destino ma la necessitas illumina la morte di Gesù: in un mondo ingiusto, il giusto viene rifiutato, osteggiato e tolto di mezzo, perché “è insopportabile al solo vederlo” (Sap 2,14); e se il giusto, il Servo del Signore, resta fedele a Dio e alla sua volontà, rifiutando le tentazioni del potere, della ricchezza e del successo, allora è condotto alla morte rigettato da tutti. Quegli eventi che a una lettura umana significano solo fallimento e vuoto, possono anche essere compresi diversamente, se Dio lo concede, con i suoi doni. Ma proprio perché quei discepoli non credono alle Scritture, non possono neppure riconoscere Gesù nel viandante che cammina con loro.

Giunti a casa, il misterioso viandante sembra voler proseguire da solo, ma i due, che stando accanto a Gesù hanno imparato da lui almeno l’attenzione per gli altri, si mostrano ospitali. Per questo insistono: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno ormai è al tramonto”. E così il viandante rimane con loro, entra nella loro casa. Quando sono a tavola, dopo le parole, egli compie dei gesti sul pane, soprattutto lo spezza per darlo loro. A questo gesto, il più eloquente compiuto da Gesù nell’ultima cena (cf. Lc 22,19), segno di un’intera vita offerta e donata per amore, “si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”: ma subito il viandante, il forestiero, il pellegrino scompare dalla loro vista. Presenza elusiva ma sufficiente per i due discepoli, i quali riconoscono che alla sua parola il cuore ardeva nel loro petto e che con la sua vita eterna egli poteva farsi presente e spezzare il pane.

In questo mirabile racconto si parla di camminare insieme, di ricordare e pensare, di rispondere a chi chiede conto e quindi di celebrare la presenza vivente di Gesù, il Risorto per sempre. Ma ciò può avvenire in pienezza solo nella comunità cristiana, nella chiesa: per questo i due “fanno ritorno a Gerusalemme, dove trovano riuniti gli Undici e gli altri”, che li precedono e annunciano loro la resurrezione. È ciò che avviene anche a noi ogni domenica, giorno pasquale; è ciò che avviene anche oggi, nella comunità radunata dal Signore: la Parola contenuta nelle Scritture, l’Eucaristia e la comunità sono i segni privilegiati della presenza del Risorto, il quale non si stanca di donarsi a noi, “stolti e lenti di cuore”, ma da lui amati, perdonati, riuniti nella sua comunione.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11390-lo-riconobbero-allo-spezzare-il-pane

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

ISTAT. Aiuto l’Italia sta scomparendo!

«Ma solo a noi il fatto che l’Italia sta scomparendo a causa di un drammatico inverno demografico?» dice il presidente del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo. «Con cadenza quasi quotidiana l’Istat lancia i suoi allarmi che però servono solo per qualche titolo ad effetto e poi vengono regolarmente dimenticati.

Che senso ha il lavoro dell’Istat se i dati elaborati non diventano azione politica? «Nei prossimi anni gli italiani scenderanno a 58,6 milioni nel 2045 e a 53,7 milioni nel 2065. Tra quasi cinquant’anni l’Italia avrà almeno 7 milioni di abitanti in meno. «Nel 2065 la vita media arriverà 86,1 anni (per gli uomini) e 90,2 anni (per le donne), ma questo non basterà a compensare i decessi e la diminuzione delle nascite. «Che la vita si allunghi è senz’altro una notizia positiva ma incrociata alla progressiva mancanza di forze giovani rischierà di portare alla destabilizzazione sociale e previdenziale. «L’unica possibilità per invertire questa tendenza è il varo di una seria politica familiare accompagnata dal rilancio dell’immagine e del ruolo della famiglia.

Per questo il 14 maggio, in occasione della XXIII Giornata internazionale della famiglia» annuncia il presidente del Forum «chiederemo a tutta la politica, nessuno escluso, di mettersi intorno ad un tavolo per provare a risolvere questo problema. Lo faremo in modo fantasioso e propositivo mostrando al mondo la tristezza e il silenzio di migliaia di passeggini vuoti»

Comunicato stampa 26 aprile 2017

forumfamiglie.org/2017/04/26/istat-aiuto-litalia-sta-scomparendo

 

Puglia. La generatività della famiglia, cuore pulsante della società

Il Forum di Puglia, assieme alla diocesi di Bari ed a tantissime associazioni, propone la “Lunga Festa della Famiglia”, che si terrà in alcuni Comuni della Città Metropolitana di Bari dal 8 al 31 maggio pp. vv. Il 4 maggio 2017, nell’aula del Consiglio regionale di Puglia, conferenza stampa di presentazione e lancio della Manifestazione, alla presenza dell’assessore regionale al Welfare. La Festa ha ricevuto il patrocinio della Presidenza del Consiglio regionale pugliese e dei Comuni di Bari, di Capurso e di Putignano

Le novità di quest’anno sono tante. Innanzitutto il numero di eventi: rispetto allo scorso anno, abbiamo dovuto trasformare la “Settimana” versione 2016 in una “Lunga Festa”, proprio per il numero delle associazioni e delle realtà, interne ed esterne al Forum, che hanno voluto coinvolgersi, contribuendo alla Festa mediante l’organizzazione di specifici eventi, da soli o per lo più insieme ad altre associazioni; e credo che già solo questo sia già un grandissimo passo avanti.

Tema della Festa è “La generatività della famiglia, cuore pulsante della società”. Intendiamo cioè mettere in primo piano ed affrontare il tema della drammatica crisi demografica in cui tutta Italia, e la Puglia in particolare, (terz’ultima regione italiana per tasso di fecondità), con gravi conseguenze sul piano della sostenibilità di welfare, assistenza, previdenza e sul sistema scolastico e della pubblica istruzione. Certamente la maggior parte dei giovani italiani, intervistati nell’ambito di studi appositi, dichiara esplicitamente il proprio desiderio di famiglia e di figli, che si vorrebbe siano almeno due; per cui la crisi demografica può considerarsi ampiamente motivata dalla mancanza di lavoro per i giovani e per le donne in particolare; occorre però sottolineare anche una diffusa mancanza di speranza che non di rado è dietro a scelte, sia pur minoritarie, di consapevole, voluta infertilità.

www.forumfamiglie.org/2017/04/27/puglia-la-lunga-festa-della-famiglia

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Papa del potere o Papa dell’unità?

La visita, che papa Francesco ha appena fatto in Egitto, ha evidenziato ancora di più (se possibile) che l’attuale vescovo di Roma ha un’idea del papato che non coincide esattamente con l’idea dominante che hanno mantenuto – per secoli ed a tutti i costi – i papi precedenti, a partire da Gregorio VII (s. XI) fino a Benedetto XVI (s. XXI).

Quando dico questo, non mi riferisco semplicemente alle abitudini, alla semplicità ed alla vicinanza alla gente o alla spontaneità di Jorge Mario Bergoglio. Tutto questo, senza dubbio, ha la sua importanza. Ma in questo caso sto parlando di qualche cosa di molto più serio e profondo. Una questione che si riassume nella domanda che ho messo come titolo di questa riflessione: il progetto decisivo di questo pontificato è rafforzare il «potere» di Roma o favorire l’«unione» dei cristiani?

Certo, ci sarà chi pensa e dice che i papi precedenti hanno affermato e rafforzato il potere del vescovo di Roma proprio per conservare uniti i cristiani con più efficacia. Ma in realtà i papi hanno ottenuto e conservato quest’unione di tutti i credenti in Cristo? Mi riferisco, come è logico, all’unione di tutti i cristiani tra di loro. E di tutti, così uniti, con il vescovo di Roma. Sappiamo abbondantemente che per disgrazia, brandendo titoli e poteri, ostentazioni, minacce ed anatemi, quello che di fatto si è ottenuto è stato una serie interminabile di fratture, scontri e divisioni, che hanno fatto a pezzi il desiderio supremo di Gesù, il Signore: “Che tutti siano uno” (Gv 17).

Per questo, posso affermare con certezza che ho sentito un’enorme gioia per le notizie che ci sono arrivate della visita di papa Francesco a Il Cairo. Per stare con i cristiani copti di Egitto, per abbracciare il patriarca Tawadros II, per pregare con quei nostri fratelli. E si sa che Francesco ha fatto queste cose ed ha avuto il comportamento che ci hanno spiegato i mezzi di comunicazione, ben sapendo che la fede dei copti in Gesù Cristo non è esattamente come la nostra.

I copti sono “monofisiti”, cioè non credono che Gesù sia stato un uomo di condizione umana. O per lo meno, muovono serie obiezioni alla “natura umana” di Cristo. Una dottrina “troppo spirituale”, che fu condannata dal concilio di Calcedonia nel secolo V. Inoltre, come è noto, le loro leggi e la loro liturgia non coincidono con la dottrina e la prassi di Roma.

Francesco ha visto che la soluzione a queste divisioni non sta nelle condanne. Francesco ha fatto solo un tentativo di recuperare quello che così diligentemente ha difeso, alla fine del sec. VI ed agli inizi del VII, uno dei papi più grandi che abbia avuto la Chiesa, san Gregorio Magno. L’idea di questo grande papa è stata chiara e perentoria: ha rifiutato il titolo di “Papa Universale”. Si conservano più di 60 documenti, nei quali Gregorio Magno afferma che il titolo “universale” è falso e intollerabile. Ed arriva a qualificarlo come un titolo “criminale”, “sacrilego”, “blasfemo”, “stupido”, “temerario”. Così ha dimostrato, con tutta la documentazione necessaria ed esatta, il professore Manuel Sotomayor, in un eccellente studio, pubblicato nella “Miscellanea Historiae Pontificiae” (vol. 50, 1983, 57-77). A questo punto si può affermare con fermezza: noi saremo “più papisti del papa”? In ogni caso, quello che io vedo ogni giorno più chiaro è che Francesco ha optato più per il Vangelo che per le inflessibilità di un potere che somiglia più a quello dei Sommi Sacerdoti che alla privazione di poteri e cariche che Gesù ha assunto e vissuto. Per questo io sto dalla parte di Francesco.

José María Castillo “Religión Digital” – 29 aprile 2017 www.religiondigital.com

Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201704/170429castillo.pdf

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GENITORI IN DIFFICOLTÀ

Tutela e accoglienza dei bambini piccoli con genitori in difficoltà

Convegno Nazionale di Studi – 19 maggio 2017 – Pompei

L’ambito della tutela e dell’accoglienza dei bambini piccoli con genitori in difficoltà rappresenta uno dei fronti del sistema di protezione minorile e familiare caratterizzato da maggiore complessità. Approcci emergenziali, debolezza dei servizi, frammentazione delle competenze e degli interventi rischiano di inficiare quel lavoro di valutazione che, attraverso l’analisi dei fattori di rischio e di protezione, deve portare ad assumere scelte adeguate in ordine agli interventi da mettere in campo.

Quando allontanare un bambino dalla sua famiglia? Quando orientarsi verso l’accoglienza insieme alla madre? Quando scegliere per la sua permanenza a casa, attivando supporti domiciliari? E, nel caso si decida per l’accoglienza, quando orientarsi verso la comunità familiare e quando verso l’affidamento familiare? E con quale progettualità, tempi e sostegni? Come lavorare con i genitori al fine di rafforzarne le competenze e permettere il rientro dei bambini a casa o prevenendone l’allontanamento? E come valorizzare e attivare le risorse presenti nella famiglia allargata e nel vicinato?

Questi ed altri sono i quesiti che gli operatori sociali e psicopedagogici sono spesso chiamati ad affrontare. Il Convegno 2017 intende proseguire senza indugi nel lavoro di approfondimento e confronto già avviato negli anni scorsi, intrecciando analisi delle prassi operative, riflessione deontologica e spunti metodologici.

In particolare il Convegno 2017 concentra l’attenzione su quattro focus tematici, intenzionalmente circoscritti, affrontati con una modalità laboratoriale finalizzata a favorire il confronto attivo tra i partecipanti.

I quattro focus sono:

  1. Le family group conference, modalità innovativa introdotta in Italia dalla ricercatrice Francesca Maci che mira ad operare nel campo della protezione minorile lavorando all’attivazione delle risorse delle famiglie, favorendone l’assunzione di responsabilità nella ideazione e attuazione dei progetti di intervento. In cosa consistono e come avviarne la sperimentazione?

  2. La metodologia della “valutazione iniziale” degli allontanamenti dei bambini piccoli, al fine di innalzare la qualità delle prassi operative poste in essere dai servizi nel processo che porta alla decisione di attivare o meno l’accoglienza di un bambino. Come costruire in modo partecipato procedure e strumenti di analisi, ponderazione e valutazione?

  3. L’affido “ponte” dei bambini piccoli, per approfondire, a partire dall’esperienza Torinese, l’impianto teorico e operativo di una forma di accoglienza familiare rivolta a quei bambini per i quali l’intervento dei servizi abbisogna di tempo per effettuare l’analisi della situazione e definire il progetto. Quali le evidenze e i punti di forza? Quali sono le “condizioni minime” per attivarne la sperimentazione sul territorio?

  4. La banca dati funzionale delle Case Famiglia con famiglia residente, per confrontarsi sulle modalità di avvio sperimentale di una anagrafe ragionata delle comunità residenziali family based cioè caratterizzate dalla presenza di un nucleo familiare residente. Quali modalità operative? Quali criticità? Come avviare la sperimentazione?

Sul forum www.affidofamiliare.it saranno attivati alcuni laboratori online per avviare un confronto preliminare sui temi affrontati dal Convegno. Operatori ed esperti, anche non iscritti al Convegno, sono invitati ad intervenire con proprie considerazioni e proposte. I contenuti sviluppati nei laboratori online confluiranno in un documento base che farà da cornice ai lavori del Convegno.

Il Convegno è rivolto agli operatori sociali e psicopedagogici di enti pubblici e no-profit. La partecipazione è aperta anche a studenti universitari e neolaureati.

Comitato scientifico. Marco Giordano, Carolina Rossi, Carmela Memoli, Giulia Palombo, Clelia Capo, Luisa Ruotolo

Info ed iscrizioni: dr Angela Pandolfi, 346.684.48.18, convegno2017@progettofamiglia.org

L’iscrizione al Convegno è obbligatoria e va effettuata entro il 15 maggio.

Programma www.progettofamiglia.org/convegno2017

http://preview.mailerlite.com/w4z2p4/614068847460222039/s9v2/

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GOVERNO

Ministro Costa “Ogni legge sia a misura di famiglia”

Il Ministro Enrico Costa, titolare del dicastero Affari regionali, con delega alla famiglia, sull’esortazione apostolica post-sinodale Amoris Lætitiadi Papa Francesco.

«Ciascuno di noi, di fronte al richiamo del Papa, che nella sua esortazione apostolica post-sinodale Amoris Lætitiainvita a “insistere sui diritti della famiglia, e non solo sui diritti individuali”, è chiamato a fare la propria parte. Come Governo, dobbiamo impegnarci perché ogni norma dell’ordinamento sia concepita a misura di famiglia».

«Ciò – aggiunge Costa – comporta un profondo cambio di prospettiva, ma anche di metodo, in una legislazione come la nostra, in cui l’attenzione è posta più sul singolo che sulla famiglia nel suo insieme. Il bene superiore delle famiglie deve diventare il faro, il riferimento centrale di ogni percorso normativo. In quest’ottica, il legislatore deve valutare sempre l’impatto, economico e sociale, dei provvedimenti sui nuclei familiari. Non solo: le norme per le famiglie, pur presenti nel nostro ordinamento ma ancora troppo frammentarie, devono costituire sempre più una rete organica di misure. Le famiglie potranno avere così anche una maggiore consapevolezza dei propri diritti e un migliore accesso ad essi. Questo – io credo – significa davvero proteggere le famiglie e restituire loro la dignità che meritano».

Gazzetta Informa News del 26 aprile 2017

www.ilquotidianodellapa.it_contents/news/2016/aprile/1460149269905.html

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LEGGI

Minori non accompagnati.

E’ stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge n. 47 del 7 aprile 2017 contenente disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati. (GU Serie Generale n.93 del 21-4-2017)

Entrata in vigore del provvedimento: 06 maggio 2017

http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/04/21/17G00062/sg

News Ucipem n. 643 2 aprile 2017, pag. 18

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NATALITÀ

Quando un taglio dell’Irpef può far nascere più bambini

Ridurre la tassazione sul secondo percettore di reddito potrebbe rivelarsi una buona idea per contrastare la bassa natalità in Italia. Perché molto spesso si tratta di donne e una misura simile favorirebbe la loro partecipazione al mercato del lavoro.

Perché sostenere il secondo percettore di reddito. Il Programma nazionale di riforma presentato l’11 aprile 2017 dal governo accenna all’adozione di misure per il sostegno all’occupazione femminile e per il secondo percettore di reddito (pagine 79 e 80).

www.dt.tesoro.it/modules/documenti_it/analisi_progammazione/documenti_programmatici/def_2017/Sez.3_-_Programma_Nazionale_di_Riforma_2017.pdf

Un intervento di questo tipo sarebbe una buona misura pro-natalità, data la relazione positiva tra partecipazione femminile al mercato del lavoro e tassi di fecondità.

Nell’81% delle famiglie bi-reddito italiane, il secondo percettore è una donna. Un eventuale intervento sull’Irpef a favore del secondo percettore è dunque un modo di ridurre la tassazione sul reddito da lavoro delle donne, incoraggiando così la loro partecipazione al mercato. Per tradurlo in pratica, si potrebbero estendere le categorie di spesa per la cura dei bambini detraibili dall’Irpef, aggiungendo alle voci oggi previste (asili nido e istruzione) quelle per baby-sitter, centri estivi o altro, e nello stesso tempo aumentare l’aliquota di detrazione se entrambi i coniugi lavorano, riducendo così quella effettiva pagata dai nuclei bi-reddito.

In questo modo si renderebbe la scelta delle madri di continuare a lavorare dopo la nascita dei figli un’opzione concreta e fattibile, mettendo le coppie in condizione di decidere di avere un secondo, se non un terzo figlio. Solo l’occupazione di entrambi i coniugi assicura, infatti, le risorse necessarie a crescere più bambini. Un intervento di questo tipo non ha vizi di incostituzionalità, che sono invece presenti nei casi della tassazione differenziata per genere o della tassazione familiare, implicita nel quoziente familiare. E la proposta era già emersa il 10-12 marzo 2017 scorso al Lingotto, nel gruppo di lavoro “Nuova economia e fisco amico”.

http://lingotto.matteorenzi.it/wp-content/uploads/2017/03/relazioni-tavoli-8.pdf

Misure diverse per due obiettivi diversi. Le implicazioni negative per la collettività di un basso tasso di natalità sono note a tutti, ma la relazione tra natalità e tassazione è meno immediata e merita una riflessione. O meglio, il disegno delle politiche a sostengo della natalità richiede una corretta rappresentazione della relazione che esiste non solo tra tassazione del reddito e occupazione femminile, ma soprattutto tra quest’ultima e la fecondità.

Infatti, una delle maggiori trasformazioni avvenute nell’ultimo quarantennio nella società occidentale è l’inversione della relazione tra occupazione femminile e numero medio di figli per donna. Nel 1980 la relazione era negativa: il numero medio di figli per donna era più alto nei paesi dove si registravano bassi tassi di occupazione femminile. Negli anni Duemila la relazione è diventata invece positiva, ossia il numero medio di figli per donna è più alto laddove i tassi di partecipazione femminile al mercato del lavoro sono più alti.

Gli ultimi dati Oecd (2014) mostrano che in Europa esiste un nutrito gruppo di paesi con tasso di occupazione delle madri tra il 72 e l’83%, nei quali si registrano tassi di fecondità tra l’1,7 e il 2: Svezia, Danimarca, Norvegia, Olanda, Belgio, Finlandia, Francia. All’estremo opposto si trovano paesi (ad esempio Polonia, Italia, Grecia, Spagna, Malta, Cipro e Ungheria) con tassi di occupazione femminile delle madri tra il 50 e il 70%, associati a tassi di fecondità tra l’1,3 e l’1,4.

Nel nostro paese, la stessa fotografia si ottiene se si guardano i dati per regione su partecipazione femminile al mercato del lavoro e fecondità: le regioni del Sud registrano i valori più bassi di ambedue gli indicatori (Sardegna, Basilicata, Calabria e Puglia, per esempio), mentre in alcune tra quelle del Centro-Nord (Veneto, Lombardia, Valle d’Aosta, Emilia-Romagna) entrambi gli indicatori sono al di sopra della media del paese.

Stabilire un nesso causale tra occupazione femminile e tassi di fecondità è più complesso, ma le analisi comparate tra paesi avanzati mostrano che la relazione tra fecondità e sviluppo è diventata positiva negli stati con più alto indice di sviluppo umano e che hanno adottato politiche a favore della parità di genere. In questi paesi si registrano alti livelli di istruzione delle donne, una partecipazione femminile al mercato del lavoro di livello analogo a quella maschile e una più egualitaria divisione del lavoro di cura e di casa fra i coniugi.

In effetti, la misura a favore delle coppie bi-reddito è solo una delle tante che sarebbero necessarie se si fosse davvero persuasi che la bassa natalità italiana è un’emergenza. Quello che qui si vuole sottolineare è l’importanza di disegnare politiche con obiettivi precisi e fondate su una corretta conoscenza dei fenomeni sociali sottostanti. Nelle politiche di supporto alla famiglia è necessario distinguere due obiettivi, ugualmente importanti, ma da tener distinti. Da un lato, c’è il contrasto della povertà, e in particolare di quella minorile, dall’altro c’è il sostengo alle donne che lavorano dopo la nascita dei figli. Si tratta di due obiettivi per i quali vanno adottate politiche diverse, ma per la ripresa della natalità in Italia è più importante il secondo rispetto al primo.

Chiara Rapallini La voce 21 aprile 2017

www.lavoce.info/archives/46349/un-taglio-dellirpef-puo-far-nascere-piu-bambini

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OBIEZIONE DI COSCIENZA

Legge 194 sull’aborto: l’obiezione di coscienza viola un diritto?

Il servizio di interruzione volontaria di gravidanza (Ivg), secondo l’art. 9 della Legge 194/1978, deve essere presente in tutti gli enti ospedalieri. Ma la realtà nel nostro Paese, come è noto, è completamente diversa. In Italia, infatti, oltre il 40% degli ospedali contravviene a questa norma, e il numero dei medici che rifiutano di praticare l’aborto è cresciuto del 12% in dieci anni. Secondo i dati di aprile 2016 del Ministero della salute, soprattutto nel Centro-sud i ginecologi sono quasi tutti obiettori di coscienza: nel Molise il 93,3%, il 92,9% in Trentino Alto Adige, il 90,2% in Basilicata, l’87,6% in Sicilia, l’86,1% in Puglia, l’81,8% in Campania, l’80,7% nel Lazio e in Abruzzo. Su 94 ospedali dotati di reparto di ostetricia e ginecologia, soltanto 62, poi, effettuano interruzioni volontarie di gravidanza: il 65,5% del totale. E va un po’ meglio, ma non troppo, con gli anestesisti: tra di loro, gli obiettori ammontano “solo” al 49,3%, con picchi del 79,2% in Sicilia, 77,2% in Calabria, 76,7% in Molise e 71,6% nel Lazio.

Molto variegata la situazione al di fuori dei confini italiani, a seconda della legislazione vigente nei diversi Paesi: in alcuni (otto) l’aborto non è consentito per legge, in altri è consentito in casi limite o non è prevista l’obiezione di coscienza, in altri ancora questa esiste, ma i medici che vi fanno ricorso sono una minoranza. In ogni caso, laddove l’obiezione sia contemplata, è sempre accompagnata da un annoso e fondamentale dibattito tra movimenti religiosi e antiabortisti da una parte, e coloro che ritengono doveroso che uno Stato laico garantisca i diritti a prescindere dalle convinzioni morali individuali.

In tale contesto, e sulla scia di fatti di cronaca che hanno messo il dito nella piaga, la Regione Lazio ha varato, lo scorso febbraio, l’assunzione per concorso di due medici non obiettori di coscienza da destinare al reparto IVG dell’Ospedale San Camillo di Roma. «Dobbiamo affrontare il grande tema dell’attuazione vera della 194 nei modi tradizionali anche sperimentando forme molto innovative di tutela di una legge dello Stato che altrimenti verrebbe disattesa», ha spiegato il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, insistendo sulla necessità di «garantire alle donne un diritto sancito dalla legge» e facendo infuriare la Cei che, nella persona di don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute, sottolinea: «Non si rispetta un diritto di natura costituzionale quale è l’obiezione di coscienza» (la Repubblica, 22/2/2017).

Voce fuori dal coro cattolico, a intervenire sulla questione a sostegno dell’iniziativa della Regione è stata la Comunità cristiana di base di San Paolo, che il 3 aprile 2017 scorso ha diffuso un comunicato in proposito. Lo pubblichiamo integralmente di seguito.

Ludovica Eugenio Adista Documenti n° 16, 29 aprile 2017

 

Il problema dell’obiezione di coscienza nell’applicazione della legge 194

La Comunità cristiana di base di San Paolo, già a suo tempo impegnata – in dissenso dalla posizione ufficiale della gerarchia cattolica – per il mantenimento di una legge che, evitando alle donne di ricorrere all’aborto clandestino, consentisse loro di rivolgersi in sicurezza alle strutture pubbliche, è rimasta favorevolmente colpita dall’iniziativa della Regione circa l’assunzione per concorso di due medici non obiettori di coscienza da destinare al reparto IVG dell’Ospedale San Camillo di Roma. Tale iniziativa ha avuto, oltre ad un positivo risultato concreto, una valenza fortemente simbolica. Si auspica che anche altre Regioni seguano l’esempio del Lazio. Sappiamo però che questa soluzione non può dirsi definitiva in quanto i medici, terminati i sei mesi di prova e in qualsiasi momento lo ritengano opportuno, possono sempre avvalersi dell’obiezione di coscienza.

Ricordiamo che la legge n. 194 del 1978 si basa su due principi contrapposti: il diritto (?!? possibilità) delle donne di interrompere una gravidanza non voluta e il diritto dei medici ginecologi di non effettuare l’intervento abortivo per motivi di coscienza. Garantiti questi diritti, la legge ha però come fine ultimo quello di sconfiggere la pratica dell’aborto attraverso la diffusione sempre più estesa dei metodi anticoncezionali. In questo, a causa dei tagli alla Sanità pubblica ma non solo, i Consultori familiari sono stati via via depauperati delle figure indispensabili al loro funzionamento e dei fondi per poter effettuare capillari campagne informative, a cominciare dalle scuole.

In questi 39 anni il numero dei medici obiettori è andato sempre crescendo, col risultato di costringere le donne a penose peregrinazioni, anche in città o regioni diverse dalle proprie, e spesso anche a dover tornare all’aborto clandestino.

Sulla strada di possibili contrasti all’obiezione da parte dei ginecologi che in molti casi è dettata da motivi di comodo, è la proposta di Noi siamo Chiesa che, basandosi sullo stesso principio dell’obiezione di coscienza al servizio militare (affermatosi quando tale servizio era obbligatorio), propone che essa sia consentita solo a quei ginecologi che, in cambio del servizio non prestato presso i reparti IVG, accettino «di fornire una prestazione periodica, gratuita e non formale a favore della collettività, preferibilmente in campo socio-assistenziale oppure socio-sanitario» (v. Adista n. 10 dell’11.3.2017). Infatti, mentre i medici non obiettori sono di fatto costretti ad effettuare, tra le varie possibilità offerte dalla loro specializzazione, solo ripetitive funzioni abortive, in una situazione aggravata dalla cronica scarsità di personale, i medici obiettori non risentono di tutto questo, anzi – in molti casi – vengono promossi alla qualifica di primari e/o dirigenti sanitari.

Altra possibilità sarebbe quella di introdurre una norma secondo la quale non potrebbero assurgere a funzioni di primari gli obiettori di coscienza in quanto sprovvisti delle competenze ed esperienze in materia di IVG, mai praticate. Essi sarebbero infatti inadatti a svolgere il ruolo di indirizzo, coordinamento, studio e ricerca propri della funzione di primario.

Riteniamo inoltre che dovrebbe essere proprio la coscienza ad impedire, a chi adduce ragioni etiche, di accettare la promozione a primario configurandosi, in particolare secondo la morale cattolica, una cooperatio in malum.

Ci chiediamo anche se la mancata conoscenza del funzionamento e delle necessità dei reparti di IVG non sia all’origine della insufficienza di personale, della mancata sostituzione di strumenti e apparecchi tecnici quando diventano obsoleti o non più funzionanti, come è facile verificare in molte realtà ospedaliere in cui le donne, anche per una semplice ecografia, sono costrette ad andare in altri reparti.

Occorrerebbe comunque, sia per questa proposta che per quella di Noi siamo Chiesa, la massima vigilanza al fine di evitare inaspettate e inaccettabili modifiche della legge n. 194. Detto quanto sopra, considerato anche che la realizzazione dei diritti delle donne e di quelli dei medici obiettori possono essere garantiti soltanto in un servizio che funzioni al cento per cento, noi riteniamo tuttavia che si debba puntare sulla contraccezione anche perché in campo clinico-farmacologico sono intervenute importanti innovazioni, tra le quali la pillola “del giorno dopo” e quella “dei cinque giorni dopo” che di fatto impediscono l’annidamento dell’ovulo fecondato nell’utero. Purtroppo, sebbene tali pillole debbano essere fornite dalle farmacie alle donne maggiorenni senza necessità di ricetta, a volte i farmacisti ricorrono all’obiezione di coscienza, non prevista dalla legge, per non fornirle.

In definitiva si tratta di stanziare adeguati fondi per i consultori familiari e per campagne capillari di informazione e sensibilizzazione nelle scuole e attraverso i social, seguendone poi il processo e controllando costantemente affinché si raggiunga l’obiettivo sperato.

Comunità cristiana di base di San Paolo Adista Documenti n. 16, 29 aprile 2017

www.adista.it/articolo/57256

{I dati non concordano con quelli del Ministero della sanità, che non sono stati contraddetti da alcuna Regione. I medici pro life possono operare proficuamente nei consultori familiari pubblici, applicando totalmente la legge (art. 5), senza decadere dall’obiezione di coscienza secondo la normativa ribadita dai TAR, redigendo il documento che attesta l’avvenuta richiesta della donna o il certificato che riscontra l’urgenza clinica e sopprime soltanto il soprassedere per 7 giorni. Ovviamente non prescriveranno l’ivg chimica. Ndr}

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SEPARAZIONE

Disciplina dei rapporti fra i genitori e il figlio nascituro

Tribunale di Mantova in composizione collegiale, Decreto 4 aprile 2017

Può essere omologato l’accordo raggiunto fra i coniugi in sede di separazione consensuale concernente anche la disciplina dei rapporti fra di loro e il figlio nascituro.

http://news.ilcaso.it/libreriaFile/Separazione%20consensuale%20massima.pdf

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VIOLENZA

Congedo per donne lavoratrici vittime di violenza

Le donne lavoratici che hanno subito violenza di genere hanno diritto ad uno speciale congedo dal lavoro. La legge [Art. 24 del D. L. 80, 15 giugno 2015; Circolare INPS n. 65 del 16.04.2016] prevede uno speciale congedo per le donne lavoratrici vittime di violenza. In sostanza, le donne lavoratrici vittime di violenza possono chiedere al proprio datore di lavoro questo speciale congedo che consente di assentarsi dal lavoro per un dato periodo senza perdere la retribuzione, e di dedicarsi al recupero fisico e mentale [Art. 1 Dichiarazione Onu sull’eliminazione della violenza sulle donne]. Il congedo richiede dunque un episodio di violenza di genere: è definita violenza di genere, legittimante la richiesta di congedo dal lavoro, ogni atto di violenza motivato in base al genere sessuale che causi alla donna un danno fisico o mentale o una sofferenza fisica o mentale.

Requisiti per il congedo per donne lavoratrici vittime di violenza. Il congedo per donne lavoratrici vittime di violenza è riconosciuto alle donne lavoratrici del settore privato e del settore pubblico. È necessario, per fruire del congedo, che la donna lavoratrice vittima di violenza sia inserita in un percorso per donne vittime di violenza di genere come da certificato dei servizi sociali comunali o dai centri di violenza o da una casa rifugio.

È necessaria la sussistenza di contratto di lavoro subordinato, anche con orario part time ed anche a tempo determinato.

Non possono beneficiare del congedo per le vittime di violenza di genere le donne lavoratrici in ambito domestico.

Quali sono i diritti nascenti dal congedo per donne lavoratrici vittime di violenza. Il congedo per donne vittime di violenza di genere che lavorano nel settore privato hanno diritto a:

  • Tre mesi di congedo, ovvero a 90 giornate di lavoro: è possibile godere del congedo per le vittime di violenza di genere anche frazionando questo periodo in giorni od ore;

  • Percepire, durante il periodo di congedo per violenza di genere, una indennità mensile pari alla somma delle voci fisse che compongono la retribuzione: l’indennità è versata dal datore di lavoro il quale, nella denuncia contributiva, detrae questi importi dall’ammontare dei contributi previdenziali dovuti.

I tre mesi di congedo possono essere goduti entro un arco di tre anni.

Le donne vittime di violenza di genere lavoratrici nel settore pubblico hanno diritto a fruire del periodo di congedo alle condizioni dettate dall’Amministrazione cui appartengono.

Come richiedere il congedo per donne lavoratrici vittime di violenza. La lavoratrice deve comunicare al datore di lavoro l’intenzione di fruire del congedo per le vittime di violenza di genere con un preavviso di almeno sette giorni. La lavoratrice vittima di violenza dovrà allegare alla comunicazione al datore anche i certificati che attestano l’inserimento in un percorso di recupero.

Operata la comunicazione, la lavoratrice deve poi presentare domanda all’Inps in forma cartacea utilizzando i moduli presenti sul sito dell’ente previdenziale.

L. 80, 15 giugno 2015 www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/06/24/15G00094/sg

Circolare INPS n. 65\2016

www.inps.it/bussola/VisualizzaDOC.aspx?sVirtualURL=/circolari/Circolare%20numero%2065%20del%2015-04-2016.htm&iIDDalPortale=

Alessandro Galati La legge per tutti 29 aprile 2017

www.laleggepertutti.it/158544_congedo-per-donne-lavoratrici-vittime-di-violenza

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