NewsUCIPEM n. 645 – 16 aprile 2017

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Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui è resuscitato (Luca 24, 5-6).

Buona Pasqua!

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02 ABORTO VOLONTARIO EllaOne impedisce l’annidamento del figlio in utero.

03 L’ivg. Disciplina normativa e profili giurisprudenziali.

04 Malformazione nascituro. Non consente l’aborto oltre i 90 giorni.

04 Non è concesso l’aborto per lievi malformazioni.

05 ADDEBITONo: ossessione religiosa della moglie e i tentativi di arginarla

05 ADOZIONE INTERNAZIONALEAttese, truffe e burocrazia: le coppie non vogliono più adottare.

06 Zampa: Il crollo? Le famiglie sono state abbandonate a se stesse.

09 AFFIDO CONDIVISO Anche il tribunale di Salerno dice addio al genitore collocatario.

08 AMORIS LÆTITIA Paglia: La svolta di l’Amoris laetitia? Tutta la Chiesa sia famiglia.

09 Un anno di Amoris Lætitia. Mons. Fragnelli: uscire per includere.

10 ASSEGNO DI MANTENIMENTO Come calcola il giudice l’assegno di mantenimento?

11 Devo provare che i figli sono indipendenti economicamente?

11 CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 14/2017, 12 aprile 2017.

13 CHIESA CATTOLICA Anche Gesù oggi ammetterebbe divorzio. Lo dice 1 de sua Compagnia.

15 CHIESE EVANGELICHE La regola dei due bambini è legge.

15 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Mantova. Online il numero di aprile di Etica Salute E Famiglia

15 Milano 1 – via Lattuada 14. Imparare a guardare oltre.

16 Padova. Il consultorio compie 60 anni. Spesi in ascolto delle famiglie

17 DALLA NAVATA Domenica – Anno A – 9 aprile 2017

17 Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).

19 DIRITTO DI FAMIGLIA Avvocati di famiglia – Anno IX – n. 3 – settembre-dicembre 2016

19 DIVORZIO L’ex ha diritto all’eredità?

20 FAMIGLIA Quanto dura l’effetto del nido sulle abilità dei bambini.

21 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Nonostante tutto, le famiglie riprendono a risparmiare.

21 InNova. Nuove competenze per politiche familiari innovative

21 GESTAZIONE PER ALTRI La maternità surrogata è una forma di ospitalità?

22 GRUPPI DI PAROLA U.C.S. Cuore MI. Corso Alta formazione giugno 2017 marzo 2018.

23 NATALITÀSe aver figli è un lusso c’è qualcosa che non va.

24 PATERNITÀ Alla ricerca della paternità

26 SEPARAZIONE Coppie bianche: in Italia sono il 30% e per lo più giovani.

27 SESSUOLOGIA Alcuni miti sessuali.

28 UCIPEM Giornata di studio a Taranto. Relazione d’aiuto e comunità sociale

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ABORTO VOLONTARIO

EllaOne, la pillola dei cinque giorni dopo, impedisce l’annidamento del figlio in utero

E’ dimostrato: ellaOne, la pillola dei cinque giorni dopo, impedisce l’annidamento del figlio in utero. Uno studio accuratissimo eseguito su donne fertili dimostra con chiarezza che ellaOne agisce impedendo l’annidamento del figlio nell’utero materno. Lo abbiamo sostenuto da tempo, nonostante il mondo accademico ginecologico e le più rinomate società scientifiche si ostinassero a negare ciò che appariva evidente e a sostenere che il farmaco inibisse l’ovulazione e, quindi, fosse in grado di impedire il concepimento.

Uno studio accuratissimo eseguito su donne fertili dimostra con chiarezza che ellaOne agisce impedendo l’annidamento del figlio nell’utero materno (Lira-Albarrán S et Al: “Ulipristal acetate administration at mid-cycle changes gene expression profiling of endometrial biopsies taken during the receptive period of the human menstrual cycle.” Mol Cell Endocrinol. 2017 Feb 20. [Epub ahead of print].pii: S0303-7207(17)30111-9. doi: 10.1016/j.mce.2017.02.024).

In questo studio vengono valutate 12 donne fertili trattate con ellaOne, in singola dose come solitamente avviene. Il farmaco viene somministrato nel periodo preovulatorio avanzato, uno-due giorni prima dell’ovulazione. Si tratta, come sottolineato dagli autori, di un trattamento intenzionalmente somministrato in quelli che sono i giorni più fertili del ciclo mestruale, quelli nei quali – secondo i dati unanimemente accettati di Wilcox – a seguito di rapporti sessuali non protetti si verifica il 75% dei concepimenti.

Le donne vengono studiate in due cicli consecutivi: nel primo, senza somministrazione di farmaci, viene verificato quello che accade in un normale endometrio che, grazie al Progesterone, si prepara ad accogliere l’embrione. Nel successivo si somministra ellaOne e si verifica se e come cambino le caratteristiche del tessuto endometriale.

Nel primo ciclo mestruale, quello spontaneo che precede il trattamento, ogni donna viene rigorosamente valutata in termini endocrini ed ecografici, ai fini di individuare il giorno dell’ovulazione. Inoltre, nel settimo giorno post-ovulatorio e cioè in quella che viene considerata la “finestra di impianto”, viene effettuata una biopsia dell’endometrio per valutare l’espressione genica normale di 1183 geni attivi nell’endometrio fertile.

Nel ciclo successivo ogni donna viene trattata con ellaOne e controllata con gli stessi criteri seguiti nel ciclo spontaneo precedente. Nuovamente, nel settimo giorno post-ovulatorio, viene effettuata una biopsia dell’endometrio per valutare l’espressione genica dei medesimi 1183 geni attivi nell’endometrio e valutare se la somministrazione di ellaOne abbia modificato la loro espressione.

Lo studio evidenzia con chiarezza almeno due cose:

  1. La prima è che tutte le donne trattate ovulano normalmente dopo aver assunto ellaOne nei giorni più fertili del ciclo. Ciò smentisce che il farmaco eserciti una significativa azione di inibizione dell’ovulazione, come invece è riportato nel foglio illustrativo del farmaco.

  2. La seconda è che nelle donne trattate con ellaOne l’endometrio diventa assolutamente inospitale. Tutti i geni studiati si esprimono in modo diametralmente opposto rispetto a quanto avviene in un tipico endometrio preparato all’annidamento.

L’ovulazione avviene e il concepimento può seguire, visto che si parla di rapporti sessuali non protetti nei giorni più fertili. Il figlio concepito però non può annidarsi e sopravvivere. Questo meccanismo d’azione non sembra proprio compatibile con le nostre Leggi, che tutelano la vita umana sin dal suo inizio (L. 194/78 art.1), inizio che la stessa Corte Europea di Giustizia riconosce coincidere con la fecondazione (sentenza C34/10 Oliver Brüstle contro Greenpeace del 18 ottobre 2011).

Inoltre, ed è ancora più grave, divulgare che il farmaco interferisce con l’ovulazione come è riportato sul foglietto illustrativo di ellaOne, appare gravemente e intenzionalmente lesivo del diritto delle persone a essere correttamente informate: una informazione non veritiera compromette gravemente la libertà di scelta, libertà che non può che fondarsi su di una informazione corretta. (pgc)

Bruno Mozzanega, professore aggregato di ginecologia presso l’Università di Padova

presidente S.I.P.Re – Società Italiana Procreazione Responsabile

www.sipre.eu/e-dimostrato-ellaone-la-pillola-dei-cinque-giorni-dopo-impedisce-lannidamento-del-figlio-in-utero

 

L’interruzione volontaria di gravidanza. Disciplina normativa e profili giurisprudenziali

L’Organizzazione Mondiale della Sanità si è premurata in una serie di occasioni di raccomandare ai singoli Stati aderenti alle Nazioni Unite di adottare nel loro ordinamento una legge che contenesse una disciplina organica dell’interruzione volontaria di gravidanza. La premura dell’Istituto specializzato delle Nazioni Unite risiede soprattutto nella necessità di contrastare quei fenomeni di aborto clandestino che determinano, oltre che gravissime complicazioni dal punto di vista medico, notevoli disagi e responsabilità.

Oggi in quasi tutti i Paesi è presente una disciplina legislativa in materia di interruzione volontaria di gravidanza (d’ora in avanti IVG) ed i centri medici operativi in tal senso si sono considerevolmente prodigati per sviluppare tecniche che escludano (o che comunque contengano nel minimo) le eventuali complicazioni.

La normativa. In Italia la disciplina dell’IVG è stata introdotta a seguito del varo della legge 194/1978, recante “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” ed il cui articolo 1, nel tracciare gli obiettivi fissati dal legislatore, dispone che “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”. La premessa è sicuramene idonea a perimetrare l’ambito di estensione della normativa de qua, poiché, dopo aver reiterato l’obiettivo del legislatore di promuovere una procreazione cosciente e responsabile, esclude comunque che l’aborto possa essere utilizzato come strumento per la limitazione delle nascite.

Quando è possibile ricorrere all’IVG? La prima risposta ci viene offerta dall’art. 4 della Legge 194/1978 che così recita: “Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura sociosanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia”. Quindi, almeno nei primi novanta giorni, la donna può scegliere di interrompere la propria gravidanza per le motivazioni che vengono tracciate dal riferimento normativo.

Ai sensi dell’art. 6 della prefata legge, invece, dopo i primi novanta giorni, l’IVG, può essere praticata: quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

La giurisprudenza. Approcciamo ora alla giurisprudenza più significativa che, riguardo quest’argomento, è davvero copiosa. In species, la Suprema Corte, con riguardo all’IVG, pare abbia ammesso che “L’impossibilità della scelta della madre, pur nel concorso delle condizioni di cui all’art. 6, imputabile a negligente carenza informativa da parte del medico curante, è fonte di responsabilità civile. La gestante, profana della scienza medica, si affida, di regola, ad un professionista, sul quale grave l’obbligo di rispondere in modo tecnicamente adeguato alle sue richieste; senza limitarsi a seguire le direttive della paziente, che abbia espresso, in ipotesi, l’intenzione di sottoporsi ad un esame da lei stessa prescelto, ma tecnicamente inadeguato a consentire una diagnosi affidabile sulla salute del feto”.

Tuttavia, in relazione ai diritti del nascituro, sempre la Suprema Corte, ha ammesso che “Non si può dunque parlare di un diritto a non nascere; tale, occorrendo ripetere, è l’alternativa; e non certo quella di nascere sani, una volta esclusa alcuna responsabilità, commissiva o anche omissiva, del medico nel danneggiamento del feto. Allo stesso modo in cui non sarebbe configurabile un diritto al suicidio, tutelabile contro chi cerchi di impedirlo: che anzi, non è responsabile il soccorritore che produca lesioni cagionate ad una persona nel salvarla dal pericolo di morte (stimato, per definizione, male maggiore).

Si aggiunga, per completezza argomentativa, che seppur non è punibile il tentato suicidio, costituisce, per contro, reato l’istigazione o l’aiuto al suicidio (art. 580 c.p.): a riprova ulteriore che la vita – e non la sua negazione – è sempre stata il bene supremo protetto dall’ordinamento” (Cassazione civile, Sezioni. unite, n.25767, 22 dicembre 2015).

www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=12072

Avv. Daniele Paolanti Newsletter Studio Cataldi 10 aprile 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25723-l-interruzione-volontaria-di-gravidanza.asp

 

Malformazione nascituro. Non consente l’aborto oltre i 90 giorni

Corte di Cassazione, terza Sezione civile, sentenza n. 9251, 11 aprile 2017

Malformazioni non incidenti sulla salute della gestante Aborto non consentito

Pur riconoscendosi, alla Legge n. 194/1978 art. 1, il diritto alla procreazione cosciente e responsabile – e quindi all’autodeterminazione – l’interruzione della gravidanza oltre il novantesimo giorno è ammissibile solo nelle ipotesi normativamente previste, in cui sussista cioè un concreto pericolo per la salute o per la vita della gestante. Sicché la sola esistenza di malformazioni del feto non incidenti sulla vita o sulla salute della donna, non consentono l’accesso all’aborto.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione respingendo il ricorso dei genitori di un bambino nato senza una mano, volto ad ottenere il risarcimento dei danni da parte dei medici e della struttura diagnostica, per non aver questi ultimi, in corso di ecografia morfologica (eseguita alla 21 settimana, dunque, trascorsi i 90 giorni), rilevato la malformazione del nascituro.

Niente danni per mancato aborto

In proposito, la Suprema Corte ha fatto proprie le argomentazioni dei giudici di merito, secondo cui l’interruzione della gravidanza non avrebbe potuto, comunque, essere lecitamente praticata, in quanto non sarebbe stato ravvisabile “un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. E ciò avrebbe impedito di ritenere sussistente qualunque danno derivante dal mancato esercizio di tale preteso diritto, in concreto insussistente.

In altri i giudici di merito hanno correttamente escluso che la mancanza di una mano integrasse il presupposto normativamente previsto ai fini della configurabilità del “grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”, legittimante l’eccezionale possibilità di farsi luogo, anche oltre il novantesimo giorno di gravidanza, alla relativa interruzione.

Eleonora Mattioli eDotto 12 aprile 2017

www.edotto.com/articolo/bimbo-nato-senza-mano-niente-aborto-oltre-il-novantesimo-giorno

www.quotidianogiuridico.it/documents/2017/04/13/danno-da-nascita-indesiderata-l-onere-della-prova-grava-sulla-gestante

(…) L’ordinamento nega l’accesso all’aborto se non quando è fortemente a rischio la madre. E a pregiudicare in modo grave la salute della donna sono solo le anomalie e le malformazioni “rilevanti”. Nel caso di specie, secondo i giudici supremi, la mancanza della mano sinistra non può considerarsi anomalia “rilevante” per la legge. L’handicap non è tale da poter incidere sulla vita e sulla salute della ricorrente.

Secondo il perito nominato dal tribunale, in una scala da 1 a 4 di gravità (lieve, rilevante, grave e molto grave) il danno per la mancanza di una mano può essere considerato «rilevante», ossia una gravità pari a 2 soltanto.

Redazione La legge per tutti 12 aprile 2017

www.laleggepertutti.it/157616_bambino-nato-con-lievi-malformazioni-la-madre-va-informata

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ADDEBITO

L’ossessione religiosa della moglie e i tentativi di arginarla del marito non determinano l’addebito.

Tribunale di Milano, 18 gennaio 2017

Il marito deduceva comportamenti compulsivi della moglie, frutto di ossessione religiosa, e violazione degli obblighi che discendono dal matrimonio, protrattisi per anni. Gli anomali fenomeni, definiti di possessione demoniaca, erano risultati confermati in sede istruttoria.

Tuttavia lo stesso resistente sosteneva che tali fenomeni erano stati subiti dalla moglie, la quale non ne era parte attiva, di fatto disconoscendo l’imputabilità degli stessi alla volontà della moglie.

Anche la domanda di addebito formulata dalla moglie nei confronti marito, per avere questi limitato le frequentazioni della moglie e aver contenuto gli esborsi conseguenti alle innumerevoli trasferte di preghiera, viene definita non censurabile.

Anche in questo caso i fatti sono veri perché documentati, ma vanno contestualizzati: limitare i contatti della moglie con le persone che il marito individua come responsabili della deriva ossessiva della consorte, anche perché continuamente presenti nella casa coniugale, non può essere interpretato come violenza morale, bensì come legittima reazione e tentativo di arginare le sofferenze della signora.

Osservatorio sul diritto di famiglia 13 aprile 2017

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17506825/l-ossessione-religiosa-della-moglie-e-i-tentativi-di-arginarla-del-marito-non-de.html

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Attese, truffe e burocrazia: adesso le coppie italiane non vogliono più adottare

Mai così poche famiglie disponibili: domande dimezzate dal 2006. Effetto di istituzioni lontane e lente. Tanto che sembra più facile ed economico rivolgersi all’eterologa. Ci sono voluti anni di delusioni e di disamore, di costi folli e di tempi infiniti, di bambini sognati che non arrivavano mai e di istituzioni lontane e lente. Ma il risultato oggi è la cronaca di un fallimento: le coppie italiane non vogliono più adottare. Troppo difficile diventare genitori così, pur avendo il cuore grande, bersagliati da storie negative, scoraggiati da giudici, tribunali, a volte addirittura truffati. “Oggi ci troviamo nella situazione paradossale di avere più segnalazioni di bambini abbandonati che coppie disponibili ad accoglierli”, dice Paola Crestani del Ciai, uno dei più famosi enti che si occupano di adozioni internazionali. Il crollo è totale, sia per l’Italia che per l’estero. Se nel 2004 le domande di adozione internazionale erano state 8.274, nel 2015 sono scese a 3.668, secondo i dati del Dipartimento per la giustizia minorile. Drastico anche il calo sul fronte italiano: nel 2006, anno record, gli aspiranti genitori adottivi di un bimbo italiano erano 16.538, nel 2015 sono scesi a 9mila.

Le motivazioni di questa disaffezione sono sicuramente diverse se si parla di procedimenti nazionali o internazionali. Ma di certo i denominatori comuni sono due: gli anni dell’attesa e l’incertezza di arrivare a destinazione. Tanto che oggi sembra assai più semplice, economico (e sicuro) avere un figlio con una fecondazione eterologa, piuttosto che remare tra le infinite difficoltà dell’adozione.

Se parliamo però di bambini italiani la sproporzione, oggi come ieri, è data dai numeri reali. I ragazzi adottabili ogni anno sono circa 1.300, oltre mille hanno trovato una famiglia nel 2015, anche se alcune centinaia sono rimaste negli istituti. Comunque pochissimi rispetto alle domande. “Quelli che restano – spiega Sandra Zampa, presidente della commissione bicamerale Infanzia – sono i più grandi, i più difficili, giovani che magari da troppi anni vivono in comunità, spesso anche per la lentezza dei tribunali nel dichiararli adottabili”.

Diverso invece il caso dei bambini che arrivano dall’estero. “Scontiamo l’assoluta paralisi della Cai, la Commissione adozioni internazionali, che in questi anni non si è mai riunita, non ha stretto accordi con i Paesi esteri, ha paralizzato l’intero sistema. Le famiglie – aggiunge Zampa – a volte anche vittime di truffe, sono state abbandonate a se stesse. Se a questo aggiungiamo i costi, la crisi economica che ancora assedia il Paese, è evidente che il calo delle domande diventerà ancora più netto”.

Nelle prossime settimane dovrebbe cambiare il vertice della Commissione, che sarà affidata probabilmente a Laura Laera, presidente del tribunale per i minori di Firenze. Paola Crestani del Ciai allarga però il discorso. “Noi non possiamo nascondere alle coppie che le adozioni sono diventate più difficili, i bambini che arrivano sono più grandi, spesso con problemi di salute. Se ci fossero però dei sostegni economici, dei sostegni post adottivi reali, le coppie si sentirebbero molto più accompagnate. E se in questi anni ci sono stati enti che si sono comportati male, allora bisogna denunciarli, isolarli, senza colpevolizzare chi invece ha sempre agito con coscienza. Ci sono migliaia di bambini abbandonati nel mondo che attendono una famiglia, e coppie che desiderano diventare genitori. Non possiamo sprecare tutto questo

Maria Novella De Luca La Repubblica 08 aprile 2017

www.repubblica.it/cronaca/2017/04/08/news/attese_truffe_e_burocrazia_adesso_le_coppie_italiane_non_vogliono_piu_adottare-162463475

 

Zampa (Pd) “Il crollo? Le famiglie sono state abbandonate a se stesse”

“Scontiamo l’assoluta paralisi della Cai, la Commissione adozioni internazionali, che in questi anni non si è mai riunita, non ha stretto accordi con i Paesi esteri, ha paralizzato l’intero sistema”. Ad andare giù duro senza usare mezzi termini è Sandra Zampa, (Vicepresidente Assemblea nazionale Pd e vicepresidente Commissione Bicamerale Infanzia e adolescenza) che commenta così il crollo delle adozioni internazionali nell’articolo pubblicato da La Repubblica sabato 08 aprile, a firma di Maria Novella De Luca.

“Le famiglie – aggiunge Zampa – a volte anche vittime di truffe, sono state abbandonate a se stesse. Se a questo aggiungiamo i costi, la crisi economica che ancora assedia il Paese, è evidente che il calo delle domande diventerà ancora più netto“.

A certificare il declino dell’accoglienza adottiva i dati del Ministero della Giustizia relativi al 2015 che testimoniano un crollo su tutta la linea – adozioni realizzate, decreti di idoneità rilasciati, domande di disponibilità presentate -, che riguarda principalmente la realtà delle adozioni internazionali. Quelle portate a termine nel 2015 sono state 1.741, il 16,4% in meno rispetto al 2014, quando furono 2.082. Ma il crollo è ancora più evidente se si confronta il dato del 2015 con quello del 2009, quando le adozioni concluse arrivarono a quota 3.387, quasi il doppio rispetto al 2015.

Anche i numeri relativi ai decreti di idoneità rilasciati sono tutt’altro che positivi. Nel 2015 i Tribunali per i Minorenni italiani ne hanno emessi 2.929, il 10% in meno rispetto ai 3.254 dell’anno precedente. E anche in questo caso, il già sensibile calo registrato in un anno si fa drammatico se si prende in considerazione il decennio antecedente. I 6.243 decreti emessi nel 2005 si sono più che dimezzati in 10 anni: -53,1%.

Nelle prossime settimane dovrebbe cambiare il vertice della Commissione, che sarà affidata probabilmente a Laura Laera, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Firenze. E la speranza è che con la sua nomina, finalmente le adozioni internazionali tornino ad essere una delle priorità del Governo per il bene delle famiglie in attesa di adottare e dei bambini abbandonati negli istituti.

La speranza è che dopo 3 anni di abusi, ritorni la legalità e la trasparenza anche in questa istituzione dello Stato. Insomma che si possa e voglia (soprattutto) ripartire con il piede giusto.

News Ai. Bi. 10 aprile 2017

www.aibi.it/ita/adozioni-internazionali-zampa-pd-il-crollo-scontiamo-lassoluta-paralisi-della-cai-le-famiglie-sono-state-abbandonate-a-se-stesse

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AFFIDO CONDIVISO

Anche il tribunale di Salerno dice addio al genitore collocatario.

Che a seguito delle linee-guida varate a Brindisi fosse Salerno la prima sede di tribunale a seguirne le tracce poteva essere facilmente previsto, ove si rammenti che fu a suo tempo la culla dell’affidamento condiviso, grazie alla presenza in Corte di Appello del dr Bruno Defilippis, che fece parte del ristrettissimo gruppo – tre soli membri – che all’inizio degli anni duemila supportò tecnicamente l’on. Maurizio Paniz, relatore della proposta di legge 66 della XIV Legislatura. A Defilippis, giova rammentare, si devono in particolare brillanti intuizioni e accostamenti giuridici come l’avere affermato che “il mantenimento diretto dei figli sta all’affidamento condiviso come il mantenimento mediante assegno sta all’affidamento esclusivo”, a sostegno di un pilastro fondamentale del nuovo istituto. E sempre a Salerno si adoperò con impegno a favore della riforma Gian Ettore Gassani, oggi presidente dell’AMI.

E oggi a Salerno si manifestano nuovi orientamenti strettamente aderenti allo spirito della riforma del 2006, per iniziativa del Coordinatore della Prima Sezione Civile del Tribunale, dr Giorgio Jachia, espressi in una pregevole recentissima nota, pubblicata su Ilcaso.it. www.ilcaso.it/articoli/fmi.php?id_cont=944.php

Il ragionamento ivi sviluppato, dunque, non può che trovare consenso, già dal titolo stesso “Dalla residenza privilegiata alla partecipazione dei genitori alla quotidianità dei figli”. E la prima a saltare, difatti, è la sistematica collocazione prevalente presso uno dei genitori, in diretta e frontale antitesi rispetto alla volontà del legislatore. Ad essa si contrappone non il 50% del tempo fiscalmente e rigidamente ripartito tra i genitori, ma pari opportunità per il figlio di rapportarsi con ciascuno dei genitori in funzione dei suoi momentanei bisogni, in un equilibrio dinamico che non gli impedisce di trascorrere in un certo periodo più tempo con la madre che con il padre, ma ciò che conta è che avrebbe potuto avvenire il contrario, se serviva, così come magari accadrà in un successivo periodo, non essendo avvenuta alcuna rigida “investitura”, non essendo stata creata dal nulla alcuna nuova figura giuridica.

Con il che si dà risposta anche a quanti, capovolgendo la realtà, avevano voluto vedere nelle linee guida di Brindisi una sola soluzione per tutte le situazioni.

Vedi NewsUCIPEM n. 641 – 19 marzo 2017, pag.6

Regole per l’affido condiviso di figli di coppie separate.

Vero il contrario: flessibilità e adattamento ai singoli casi, all’interno del saggio e doveroso rispetto per i principi della riforma e, soprattutto, per i non disponibili diritti del minore. Dunque anche regimi sbilanciati, ma occasionalmente e motivamente, finché durano determinate circostanze: più tempo presso la madre che allatta, meno tempo presso quella assistente di volo, ma senza inventare contra legem un genitore che sarà permanentemente “il collocatario” – la madre nel primo caso, il padre nel secondo – se non altro perché i figli crescono e si svezzano e le occupazioni si possono anche perdere o cambiare. Un’applicazione, dunque, che considera anche l’esclusione di un genitore dall’affidamento (considerando la persona e le sue eventuali mancanze, non l’istituto dell’affidamento condiviso), ma non per l’elevata conflittualità reciproca, la distanza tra le abitazioni o la tenera età dei figli – come avveniva per l’affidamento congiunto – ma solo per gravi carenze del genitore da escludere, e quindi per la sua unilaterale aggressività o per la sua “assenza” affettiva, concreta e volontaria, dalla vita dei figli. Assenza, pertanto, che non può essere certamente imposta al genitore dallo stesso sistema legale, che quale unico compito gli assegni quello di dare del denaro al collocatario; come acutamente osserva la nota di Salerno.

Allo stesso modo, la “residenza abituale” a null’altro può servire che ad individuare il giudice competente in caso di fughe con i figli o simili, guardando al luogo del precedente, già avvenuto, radicamento dei figli e non all’abitazione presso la quale vengono anagraficamente segnati come residenti i figli il giorno della separazione dei genitori. Meno che mai potrà servire per attribuire al genitore che ivi abiti una qualsiasi sorta di prevalenza.

Detto questo, la nota affronta anche il problema dell’assegnazione della casa familiare, sempre sottintendendo “ove ci si trovi nel caso in cui questa debba essere assegnata al di fuori dei criteri ordinari”. Traducendo, è evidente che si dovranno distinguere due tipi di fattispecie: quelle in cui i tempi di permanenza dei figli presso ciascuno dei genitori siano mediamente equivalenti, anche se in equilibrio dinamico (soluzione tipica per un affidamento condiviso), nelle quali l’affidamento è ininfluente rispetto alle regole ordinarie; e quelle in cui situazioni particolari, anche se non rare, conducono ad una frequentazione sbilanciata nei tempi: classica quella in cui un genitore per impegni di lavoro è poco presente. E’ in casi del genere che indubbiamente conviene assegnare la casa familiare al genitore con il quale i figli trascorreranno più tempo, in nome della “stabilità logistica”. Quindi, dice giustamente la nota, prima si guarda la situazione specifica e dopo si assegna la casa. Non viceversa.

Infine, non si può fare a meno di osservare quanto felicemente sia affrontato il problema del mantenimento dei figli, dando alla forma diretta la dovuta preminenza (art. 337 ter comma IV) e sottolineando la sua praticabilità anche in situazioni di reddito diverso dei genitori, ovvero “attribuendo per intero i capitoli di spesa più pesanti al genitore più abbiente”. Non resta che augurarsi che l’esempio di Brindisi e Salerno sia rapidamente seguito da molti altri tribunali, realizzando quella riforma a suo tempo fortemente voluta e che ancora attende di essere compiutamente e coerentemente applicata.

Leggi anche: link Affido condiviso: addio al collocamento prevalente

www.studiocataldi.it/articoli/25378-affido-condiviso-addio-al-collocamento-prevalente.asp

Marino Maglietta Newsletter Studio Cataldi 10 aprile 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25770-affido-condiviso-anche-il-tribunale-di-salerno-dice-addio-al-genitore-collocatario.asp

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AMORIS LÆTITIA

Paglia: La svolta di l’Amoris laetitia? Tutta la Chiesa sia famiglia

L’arcivescovo: l’amore di un uomo e di una donna non è fatto privato ma storia stessa del mondo. «Papa Francesco non benedice le ferite, le guarda in faccia, ma per guarirle»

La novità autentica di L’Amoris laetitia non è la richiesta di rafforzare la pastorale familiare, ma la volontà di trasferire lo stile familiare a tutta la pastorale della Chiesa. Così l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita e gran cancelliere dell’Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, sintetizza il significato dell’Esortazione postsinodale a un anno dalla pubblicazione.

Purtroppo in questi primi 12 mesi il dibattito concentrato quasi esclusivamente sul capitolo ottavo. Anzi, su una nota, l’ormai famosissima n. 351. Che opinione si è fatto di questo “accanimento”?

Forse proprio l’“accanimento” ha portato difficoltà nel comprendere il testo. C’è poi da dire che la stragrande maggioranza del popolo di Dio ha accolto il testo con entusiasmo. E sappiamo tutti che la ricezione dei fedeli (è il sensus fidei fidelium) è un pilastro della tradizione della Chiesa. Certo, si può capire la concentrazione sulla famosa nota per i problemi pastorali che può suscitare. Ma bloccarsi su questo impedisce di cogliere il valore di un testo che il Papa ha arricchito ma che è stato il frutto di un lungo cammino sinodale. Se non si coglie il valore del testo è difficile capire non solo la nota ma anche l’intero capitolo VIII. Il Papa – e il Sinodo – non hanno dato nuove disposizioni giuridiche. Hanno voluto ridare ai pastori la loro responsabilità di pastori. Certo debbono esercitarla dentro un contesto comunitario. Quindi, niente “fai da te”. Ma, appunto, discernere, accompagnare e integrare.

Così altri aspetti dell’Esortazione sono rimasti in ombra. Se dovessimo “ricominciare da capo”, quale parte di Amoris laetitia dovremmo mettere in luce con maggiore evidenza?

Vorrei sottolineare due aspetti decisivi.

  1. Il primo riguarda il cambio di passo e di stile che il testo esige dalle comunità ecclesiali. La Chiesa deve essere essa stessa una famiglia. Quanto c’è da fare in questo senso! Solo una Chiesa che è essa stessa famiglia saprà comprendere le famiglie, accompagnarle, curarle e guarirle. Una Chiesa che è madre non giudica per condannare. E non vuole perdere nessuno dei suoi figli. Papa Francesco non benedice le ferite, le guarda in faccia, ma per guarirle. Chiede a tutti di usare la medicina della misericordia, non il bastone della condanna, come diceva Giovanni XXIII. E raccomanda la gradualità e la pazienza proprie di Dio. In sintesi il Papa chiede non tanto di rafforzare la pastorale familiare quanto di imprimere a tutta la pastorale della Chiesa uno stile familiare.

  2. Il secondo aspetto che caratterizza l’impianto del testo è la visione strategica con cui il Papa guarda la famiglia. Non la considera come una vicenda che riguarda alcuni individui e i loro desideri di amore (ovviamente legittimi), bensì come una vicenda che riguarda la storia stessa del mondo. La famiglia, in certo modo, è la madre di tutti i rapporti. L’alleanza tra l’uomo e la donna non è un fatto privato. È pubblico. Anzi, ha un valore storico, come ci ricorda il libro della Genesi: Dio affida all’alleanza dell’uomo e della donna la cura del creato e la responsabilità delle generazioni. Quando vanno bene le cose tra l’uomo e la donna, va bene anche la società. La famiglia è la risorsa più importante delle nostre società.

È dunque d’accordo con chi ritiene che le chiavi di lettura dell’Esortazione sono soprattutto la misericordia e la storia, la seconda intesa soprattutto come necessità di inserire la propria storia di vita in un dinamismo spirituale?

Certamente. Potremmo dire che l’anno giubilare della misericordia è stata la chiave d’oro per leggere Amoris laetitia. E la chiave storica è a questo legata. Le famiglie così come sono vanno avvicinate accompagnate a vivere l’ideale evangelico. All’Accademia per la vita, per fare un esempio, vorremmo sottolineare la dimensione dell’accompagnamento alla vita, non alla vita in astratto, ma alle persone nelle diverse età della loro vita, inizio, infanzia, adolescenza e così oltre sino al termine dell’esistenza terrena. La famiglia è il luogo privilegiato ove le età della vita sono chiamate a convivere e ad accompagnarsi.

Corretto pensare che l’originalità di Amoris laetitia è concentrata soprattutto sui capitoli IV e V sui quali papa Francesco non cessa di richiamare l’attenzione?

In effetti, essi formano la parte centrale della Esortazione Apostolica. E mettono in luce le due dimensioni dell’amore familiare: il legame d’amore tra un uomo e una donna e la fecondità generatrice che ne consegue. Nel capitolo IV il Papa, per parlare di questo amore, non commenta il Cantico dei Cantici, bensì l’inno alla carità di san Paolo (1Corinzi 13). L’amore di cui il Papa parla va ben oltre l’ideale romantico. È un amore pieno di concretezza e dialettica, di bellezza e sacrificio, di vulnerabilità e tenacia (tutto sopporta, tutto spera, tutto crede, tutto perdona, non cede mai…). Il testo allontana ogni concezione individualista dell’amore per aprirlo agli altri. In sintesi: l’amore non è solo “voler-bene”, è anche un “far-bene”.

Tra gli appelli che il Papa rivolge e che sono stati pressoché ignorati, c’è sicuramente la sollecitazione a non cadere «nella trappola di esaurirci in lamenti autodifensivi invece di suscitare una creatività missionaria». Non è una tendenza in cui, soprattutto sui temi della vita, cadiamo troppo spesso?

Assolutamente sì! È decisivo non cadere nel lamento. Piuttosto dobbiamo ricomprendere il senso della preparazione al matrimonio, che non può avvenire al di fuori della comunità cristiana. Così pure è indispensabile accompagnare le giovani coppie dopo il matrimonio. E anche qui riemerge l’indispensabile presenza della comunità cristiana anche del luogo ove si va ad abitare. Mi pare comunque che dovremmo preoccuparci molto di più del fatto che i giovani tendono a preferire la convivenza piuttosto che il matrimonio. E noi responsabili della pastorale dovremmo chiederci se il messaggio cristiano che offriamo sul matrimonio e la famiglia sia o non sia attrattivo. Sono questioni che dovrebbero interrogare ben più sia le comunità cristiane che le nostre società.

Questione gender. Nella sua nuova responsabilità di presidente dell’Accademia per la vita sta affrontando questo tema?

Certo. Siamo consapevoli che la cultura contemporanea ha creato nuovi spazi, nuove libertà e profondità per l’arricchimento della comprensione della differenza tra uomo e donna. Ma ha anche introdotto molti dubbi e molto scetticismo al riguardo. Stiamo preparando uno studio su questo, anche perché c’è molta superficialità. Mi chiedo, ad esempio, se alcuni esiti ideologici della teoria del gender non siano anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione di fronte alla ricchezza che la differenza rappresenta per la società. La semplificazione, che è ben più semplice del confronto con la differenza, rischia di farci fare un passo indietro. Infatti, la rimozione della differenza sessuale è il problema, non la soluzione. Certo non dobbiamo disertare questo tema. Ma è la gestione della differenza – non la sua abolizione – che favorisce una società più libera e più giusta.

Luciano Moia Avvenire 11 aprile 2017

www.avvenire.it/chiesa/pagine/la-svolta-di-amoris-laetitia-tutta-la-chiesa-sia-famiglia

 

Un anno di Amoris Lætitia. Mons. Fragnelli: uscire per includere

L’8 aprile dello scorso anno veniva pubblicata l’Amoris Lætitia, l‘Esortazione apostolica scritta da Papa Francesco a conclusione del percorso sinodale dedicato alla pastorale familiare. Per una riflessione sulla ricezione di questo documento pastorale, a distanza di dodici mesi, ascoltiamo mons. Pietro Fragnelli, vescovo di Trapani e presidente della Commissione della Conferenza episcopale italiana per la famiglia.

R. – Il Papa, a conclusione del Sinodo, ci ha messo in mano un documento che ci invita a riscoprire tutta la ricchezza del messaggio cristiano sulla famiglia, una ricchezza che permane nonostante tutte le difficoltà e che mobilita o invita tutte le dimensioni pastorali della Chiesa italiana ad aprire la loro attenzione, a guardare con occhi nuovi questa realtà, a non fermarsi sugli aspetti negativi ma a cercare di proporre in modo positivo un’attenzione nuova, più organizzata, più meditata, più inclusiva.

D. – Appunto: accogliere, accompagnare, discernere, integrare, verbi-chiave del testo. Quale cambio di passo chiedono alla comunità ecclesiale?

R. – Sicuramente il cambio di passo per quanto riguarda anzitutto l’uscita, l’andare incontro a queste nuove situazioni. Il Papa vuole raggiungere tutti, il suo messaggio non privilegia alcun destinatario. Quindi c’è un invito a uscire. Ma per poter realmente “leggere” le nuove situazioni è necessario che la comunità cristiana si mobiliti in uno sforzo nuovo di formazione, di coinvolgimento dei laici con competenze specifiche, di rilancio della sensibilità e della spiritualità familiare, attinta alle sorgenti della Scrittura e della ricca tradizione ecclesiale. E’ un messaggio di speranza di cui dovremmo diventare sempre più capaci di essere portatori, perché gli uomini e le donne del nostro tempo attendono il rinnovato annuncio del mistero dell’amore cristiano che si celebra nella famiglia e si coniuga poi nelle diverse situazioni storiche e sociali di ogni famiglia.

D. – Ci sono secondo lei degli aspetti del testo rimasti oscurati dal dibattito sull’accesso alla Comunione dei divorziati risposati?

R. – Senza voler sottovalutare quello che l’opinione pubblica ha enfatizzato in questo periodo, credo che dobbiamo guardare ai tempi lunghi della ricezione. Un testo così denso come l’Amoris laetitia ha bisogno di essere accolto nella sua integralità, nella sua pienezza e quelle tematiche, relative soprattutto alla prassi sacramentale che sembrano avere attirato l’attenzione maggiore, sicuramente andranno contestualizzate in una visione globale. La prassi sacramentale è affrontata dalla l’Amoris laetitia, ma non nel senso di una banalizzazione, quanto, al contrario, di una esigente attenzione a tutto quello che oggi si fa per evitare schematismi che sembrano privilegiare alcuni ed escludere altri. Nell’approfondimento teologico e pastorale, sicuramente l’Amoris laetitia si rivelerà sempre di più come la mappa, la bussola di cui avevamo bisogno per andare incontro all’umanità di oggi.

D. – Infine, mons. Fragnelli, come vivere in famiglia questa Pasqua 2017, alla luce dello spirito dell’Amoris laetitia?

R. – L’Amoris laetitia è un invito proprio alla bellezza e alla freschezza del quotidiano, pur nelle difficoltà a volte di natura economica o relazionale. Il Papa ci esorta a una qualità delle relazioni che è sempre collegata anche alla ricchezza del perdono reciproco che nasce dalla certezza che il Signore scommette su ognuno di noi: ognuno di noi è prezioso, non esclude nessuno e anche chi ha sbagliato porta una ricchezza all’interno della vita della famiglia. E perciò Pasqua è sempre un mistero di riconciliazione, di misericordia, di un volto che si rialza e che torna all’abbraccio con i fratelli e le sorelle, con i componenti della realtà familiare; non solo: ma fa sì che ogni famiglia diventi anche ministero di riconciliazione, servizio alla riconciliazione nel territorio. E questa è sicuramente luce di Pasqua che si diffonde anche attraverso la famiglia, la famiglia in Italia e nel mondo.

Fabio Colagrande Notiziario Radio vaticana -13 aprile 2017 p://it.radiovaticana.va/radiogiornale

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Come calcola il giudice l’assegno di mantenimento?

Come calcola il giudice l’importo dell’assegno di mantenimento del coniuge debole, con un marito a reddito zero sostentato dal padre e in presenza di un figlio dei coniugi?

Il codice civile [Art. 438 cod. civ.] stabilisce che gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento. Essi devono essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli. Non devono, tuttavia, superare quanto necessario alla vita dell’alimentando, avuto però riguardo della sua posizione sociale.

In caso di separazione, con riferimento ai provvedimenti economici relativi ai figli, la legge stabilisce che ciascuno dei genitori (salvo diversi accordi tra di loro) è tenuto a provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito. Il giudice stabilisce, quando necessario, la corresponsione di un assegno periodico che va determinato considerando:

  • Le esigenze attuali del figlio,

  • Il tenore di vita goduto dal figlio durante la convivenza con entrambi i genitori,

  • I tempi di permanenza presso ciascun genitore,

  • Le risorse economiche di entrambi i genitori,

  • La valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore [Art. 337 ter cod. civ.].

Qualora sia possibile addivenire ad un accordo, le parti decidono, in base ai criteri suesposti, l’importo dell’assegno da versare mensilmente. Al contrario, qualora non vi sia accordo, si procederà per una determinazione giudiziale. Il giudice investito della vicenda dovrà pertanto valutare tutti gli elementi attinenti al tenore di vita, alle condizioni patrimoniali e al reddito effettivo. La visione delle dichiarazioni dei redditi presentate negli ultimi anni costituisce una sorta di raffronto rispetto a quanto comunicato dalle parti in quanto il giudice non procede ad un indagine ma, se la situazione è chiara e palese, solamente ad una verifica. Se, invece, la situazione economica risulta poco chiara, e non vi è rispondenza tra quanto certificato dalla dichiarazione dei redditi e il tenore di vita adottato, ad esempio il separando si dichiara nullatenente e poi è proprietario di beni di lusso come autovetture o barche, il giudice può disporre un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto in contestazione, anche se intestati a persone diverse.

Il giudice, nel calcolo dell’assegno di mantenimento utilizza ampi margini di discrezionalità in quanto ogni situazione ha una storia a sé e non è possibile fare un discorso troppo generalizzato. Ai fini del calcolo alcuni tribunali, in ossequio anche alla giurisprudenza maggioritaria, hanno stilato dei parametri o delle tabelle di calcolo.

Detto questo, venendo al caso specifico, è possibile affermare che:

  • Al fine della determinazione dell’assegno di mantenimento il giudice valuta le entrate, i beni, i redditi delle parti, prendendo visione delle disponibilità economiche di ciascuno, anche quindi dei conti correnti bancari, in genere dell’ultimo triennio. L’attenzione del giudice è però volta principalmente alla verifica della dichiarazione dei redditi, che riassume la posizione del contribuente;

  • Ai fini del calcolo non rilevano somme, doni in denaro o altre elargizioni da parte di persone estranee alla coppia, come ad esempio i genitori, in quanto non sono annoverabili come reddito ma a semplici contributi sporadici.

Qualora il lettore voglia fare un calcolo approssimativo dell’assegno di mantenimento, in modo da avere un’idea generica dell’importo, può accedere ai diversi siti internet che propongono, gratuitamente, tale servizio.

Articolo tratto da una consulenza dell’avv. Rossella Blaiotta

Redazione La legge per tutti 16 aprile 2017

www.laleggepertutti.it/156152_come-calcola-il-giudice-lassegno-di-mantenimento

 

Mantenimento: devo provare che i figli sono indipendenti economicamente?

Sono divorziato. Sono stato riconosciuto invalido e impossibilitato a continuare a lavorare; ho presentato istanza al Tribunale per modificare la sentenza che riconosce il mantenimento alle mie figlie. Nessun risultato. Che fare?

Con riferimento al quesito posto, è utile evidenziare preliminarmente che l’obbligo del genitore di corrispondere l’assegno mensile di mantenimento, per il figlio maggiorenne, sussiste sino al raggiungimento dell’indipendenza economica. Il genitore che vuole contestare la sussistenza del proprio obbligo di contribuire al mantenimento della prole maggiorenne ha l’onere della prova in merito alle circostanze che escludono tale dovere.

Nel caso del lettore, pertanto, non ci troviamo di fronte ad una situazione anomala in quanto la richiesta, da parte del tribunale giudicante, di provare, con apposita documentazione, la presenza di una stabilità economica e lavorativa delle sue figlie, è frutto di una prassi consolidata. Anche la giurisprudenza, con diverse pronunce, è di tale avviso: ad esempio, la Corte di Cassazione [sent. n. 11828 del 21.05.2009] ha statuito che il semplice raggiungimento della maggiore età non viene ad esonerare il genitore dall’obbligo di contribuire al suo mantenimento, fino a quando il genitore stesso non fornisca la prova che il figlio è divenuto autosufficiente, ovvero che il mancato svolgimento di attività lavorativa sia a quest’ultimo imputabile. La stesse Cassazione [sent. n. 2289 del 2001] ha affermato, inoltre, che: l’obbligo di mantenimento non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma persiste finché il genitore o i genitori interessati dimostrino che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero è stato da loro posto nelle condizioni per essere autosufficiente. Tale principio, rapportato alla tematica relativa alla ripartizione dell’onere della prova, comporta che il conseguimento dell’indipendenza economica si configura quale fatto estintivo di un’obbligazione prevista dalla legge, onde spetta al genitore che deduca la cessazione del diritto del figlio ad essere mantenuto dimostrare che questi è divenuto autosufficiente, ovvero che il mancato svolgimento di un’attività lavorativa dipenda da un suo atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato di un lavoro compatibile con le sue attitudini, non già all’altro genitore (o al figlio) dimostrare il persistere dello stato di insufficienza economica.

Detto questo, poiché la legge colloca questo onere della prova in capo al genitore, considerando anche la situazione personale e le difficoltà oggettive del lettore di reperire idonea documentazione, in particolare per quanto riguarda la situazione di una delle figlie, residente in Australia, egli dovrebbe provare a chiedere direttamente alle sue figlie.

Articolo tratto da una consulenza dell’avv. Rossella Blaiotta

Redazione La legge per tutti 16 aprile 2017

www.laleggepertutti.it/155913_mantenimento-devo-provare-che-i-figli-sono-indipendenti-economicamente

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter n. 14/2017, 12 aprile 2017.

Per un figlio. Una storia tutta italiana, dal punto di vista speciale di chi è arrivato in Italia da molto lontano. Stavolta un video che è un invito al cinema, per l’opera prima di Suranga Deshapriya Katugampala, regista italo-cingalese [Link al trailer www.youtube.com/watch?v=TUKFqntO7Wo],

meno di due minuti per incuriosirsi e scegliere di andare al cinema. Con le parole del regista: “Questo non è un film sull’immigrazione, ma un film sull’Italia”. Per un figlio è uscito lo scorso 30 marzo nelle sale italiane.

Notizie – dall’Italia e dall’estero.

Ethics & Trust in Finance Global Prize (Etica e Fiducia nella Finanza Globale”: Premio 2017). L’8 marzo 2017 è stata presentata a Bruxelles la Sesta edizione del Premio Internazionale su etica e finanza, promosso dall’Observatoire de la Finance di Ginevra. Il Premio, iniziato nel 2006, è indirizzato a giovani operatori della finanza di tutto il mondo (non oltre i 35 anni), che devono presentare saggi o contributi sul ruolo che l’etica e la fiducia svolgono – o dovrebbero svolgere – all’interno del mondo della finanza in senso lato. I testi devono essere consegnati entro il 31 luglio 2017. [Per info vai al sito: www.ethicsinfinance.org].

In occasione dell’annuncio del Premio si è svolta una tavola rotonda, cui hanno partecipato Pervenche Berez, europarlamentare e membro della Commissione affari economici e monetari del Parlamento Europeo, Robin Jarvis, economista della Brunel University di Londra, membro della Giuria del Premio, Josina Kamerling, del CFA Institute, di Bruxelles, membro della Giuria, Ross Murdoch, Financial Conduct Authority di Londra, vincitore del Premio nell’edizione 2015, e Stéphane Bernard, Direttore operativo della Euroclear Bank di Bruxelles. [link – in inglese – www.youtube.com/watch?v=VSfBrdCmJ0g]

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Curare con l’educazione. Un convegno a Milano, mille persone per dire “L’infanzia non è una malattia” Mille persone al teatro Carcano e 400 in streaming per il convegno “Curare con l’educazione. Come evitare l’eccesso di medicalizzazione nella crescita emotiva e cognitiva”, convegno nazionale promosso e organizzato da CCP (Centro Psico-Pedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti).

www.cppp.it/curare_con_leducazione.html

CISF informa.

Caregiver” familiari, una parola inglese per un fenomeno tutto italiano. “Nel nostro Paese per la cura degli anziani la famiglia è in prima linea attraverso la dedizione dei figli adulti. A livello legislativo si sta pensando a interventi di tutela, anche previdenziali, per circa un milione di famiglie e di caregiver familiari. Ma “[…] se ne renderanno conto, i nostri parlamentari? E ci sarà un solo partito che proverà a vincere le elezioni chiedendo di approvare questa normativa e di sostenere le famiglie?”. Francesco Belletti in Famiglia cristiana

www.famigliacristiana.it/articolo/aumentano-i-caregiver-familiari-un-espressione-inglese-per-un-fenomeno-italiano.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_12_04_2017

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Appunti dall’anno scorso.Uomo-donna. Il caso serio dell’amore”. Un commento/intervista del Direttore Cisf (Francesco Belletti, aprile 2016) al tuttora attualissimo volume del Card. Angelo Scola. “La vera sfida della differenza è l’io attraverso il tu, una delle espressioni care al Cardinale. Ci vuole l’altro per diventare se stessi. Questo era uno dei limiti del primo femminismo: pensare che il femminile si definisce da solo. Eppure anche all’interno del movimento femminista qualcuno ha immaginato che si dovesse riscoprire l’identità femminile nella reciprocità col maschile. Quindi un femminismo relazionale, non solo rivendicativo”.

www.chiesadimilano.it/news/chiesa-diocesi/belletti-la-felicit%C3%A0-si-scopre-br-nella-reciprocit%C3%A0-del-dono-1.125908

Dalle case editrici

  • Edizioni Ares, Terapia dell’amore ferito in “Amoris laetitia”

  • Edizioni Studium, La “grammatica” dell’umano oltre il gender. L’identità differente del maschile e del femminile

  • Il Mulino, Mindfulness e disturbi alimentari. Valutazione ed intervento nel ciclo di vita secondo la prospettiva della regolazione emotiva

  • Edizioni San Paolo, Giuseppe siamo noi

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Bruno Simone, La reciprocità uomo-donna. Aspetti affettivi ed etici, Tau Editrice, Todi (PG), 2017, pp. 131, € 13,00.

La reciprocità dei legami che secondo la Bibbia vengono ad esistere tra il primo uomo e la prima donna è una caratteristica fondamentale del progetto di Dio sull’umanità. Un progetto che oggi in realtà sembra essersi offuscato, per una serie di tendenze culturali che l’autore identifica nell’esasperazione dell’uguaglianza tra i sessi, nell’individualismo sfrenato, nella liquidità dei legami. La differenza uomo-donna è quindi ancora un valore? Questo libro si pone al cuore di questa domanda cruciale e – a partire dal dato biblico e dall’analisi del contesto sociale contemporaneo – offre luci per abbozzare una risposta fondata su un duplice livello: etico e psicologico. Ne risulta una proposta volta a manifestare la bellezza della mutua appartenenza dell’uomo e della donna, attraverso l’analisi dei fattori storici e sociali che possono aver condotto all’odierno scenario della vita di coppia (cap. 1); l’approfondimento delle caratteristiche specifiche della reciprocità uomo-donna, sia attraverso il modello relazionale-simbolico (cap. 2) che secondo la teoria dell’attaccamento di coppia (cap. 3). Le ricadute etiche di questa analisi sono infine contenute nella breve ma puntuale conclusione.

 

Save the date

Nord La famiglia in Italia dal divorzio al gender, presentazione del volume di Marco Invernizzi e Giancarlo Cerrelli, promossa da Rosetum – Centro Francescano Culturale e Artistico e da Alleanza Cattolica, Milano, 27 aprile 2017.

Corso Estivo di Diploma in Pastorale Familiare, Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia in collaborazione con la CEI – Ufficio Nazionale per la Pastorale della Famiglia, La Thuile (Val d’Aosta), 10-22 luglio 2017.

www.istitutogp2.it/dblog/articolo.asp?articolo=63

Centro In mezzo alla gente. Presentazione degli Atti del VI Festival della Dottrina Sociale della Chiesa (24-27 novembre 2016), promosso da Laboratori della Dottrina Sociale, Roma, 18 aprile 2017.

Sud Conflitto e violenza nella relazione di coppia. Individuare e riconoscere i segnali di rischio, corso di formazione, organizzato da IGEA Centro Promozione Salute, Napoli, 27-28 maggio 2017.

Estero Family Changes and Housing Transitions in the Life Course, International Research and Policy Symposium, PartnerLife, ESRC (Economic and Social Research Council), University of St. Andrews, St Andrews (GB)18-19 maggio 2017.

Testo e link integrali http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/aprile2017/1037/index.html

Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

Iscrizione alle newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

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CHIESA CATTOLICA

Anche Gesù oggi ammetterebbe il divorzio. Lo dice uno della sua Compagnia.

Le istruzioni dettate due mesi fa dal generale della Compagna di Gesù, padre Arturo Sosa Abascal, su “che cosa ha detto veramente Gesù” a proposito di matrimonio e divorzio non sono cadute nel vuoto.

Anzi, tra i gesuiti per primi c’è chi le applica in pieno. Per concludere che “una volta che un matrimonio è morto” anche Gesù consentirebbe oggi il divorzio. Il gesuita che ha tirato questa conclusione dalle premesse poste dal suo preposito generale non è uno sconosciuto. È padre Thomas Reese, già direttore del settimanale dei gesuiti di New York “America”, firma di spicco del “National Catholic Reporter”.

L’ha fatto in questa nota pubblicata sul NCR il 6 aprile 2017: “What God has joined together”. Prima però di esporre la sua argomentazione, è utile rileggere ciò che disse padre Sosa nell’intervista al blog Rossoporpora dello scorso 18 febbraio2017, tanto esplosiva quanto ben meditata, pubblicata solo dopo che era stata rivista da lui parola per parola.

 

Vedi NewsUCIPEM n. 638 – 26 febbraio 2017, pag.8

Matrimonio e divorzio. Il generale dei gesuiti: “Anche Gesù va reinterpretato”

 

Per sapere “che cosa ha detto veramente Gesù” – affermò in quell’intervista il generale dei gesuiti – bisogna tenere presente che “a quel tempo nessuno aveva un registratore per inciderne le parole. Quello che si sa è che le parole di Gesù vanno contestualizzate, sono espresse con un linguaggio, in un ambiente preciso, sono indirizzate a qualcuno di definito”. Quindi – proseguì –, per capire che cosa intendeva Gesù con il suo detto: “Non divida l’uomo ciò che Dio ha congiunto”, non basta fermarsi alla lettera, ma bisogna “mettere a discernimento”, come fa papa Francesco, senza irrigidirsi su ciò che nella Chiesa è diventato dottrina, “perché la dottrina non sostituisce il discernimento”.

Ebbene, padre Reese comincia col citare le parole di Gesù sul matrimonio e il divorzio: “Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi… Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio” (Mt 19, 6.9).

Per “i critici di papa Francesco” – dice – queste parole sono “chiare e definitive e chiudono la discussione”. Subito dopo scrive che però “ci sono almeno tre ragioni per cui queste parole di Gesù non provano che papa Francesco sbagli ad aprire alla possibilità che alcuni divorziati e risposati ricevano la comunione”.

  1. La prima ragione è che “ Gesù ha detto un mucchio di cose che noi non osserviamo alla lettera e senza eccezioni”. E fa numerosi esempi, del tipo di non giurare mai né sul cielo né sulla terra. Per poi chiedersi: “E allora perché insistiamo nel far applicare le parole di Gesù sul divorzio senza alcuna eccezione, quando invece svicoliamo da ogni parte su molti altri suoi detti?”.

  2. La seconda ragione è che “Gesù non stabilisce nessuna punizione per il divorzio e le seconde nozze. Non dice che tali persone saranno mandate all’inferno. Non dice che devono essere escluse dalla comunità cristiana. Non dice nemmeno che non possono fare la comunione. Né dice che non possono essere perdonate”. Mentre invece “stabilisce delle punizioni per altri peccati”, in particolare per chi non dà da mangiare all’affamato, non dà da bere all’assetato, eccetera. Segno che questi peccati per lui sono molto più gravi del divorzio, nonostante la Chiesa pensi il contrario. E in ogni caso anche la minaccia dell’inferno non è detto che “vada presa alla lettera”.

  3. La terza ragione è “il contesto storico” delle parole di Gesù. “Dove Gesù viveva e insegnava, il divorzio valeva solo per gli uomini”, tant’è vero che nel Vangelo di Matteo egli parla solo di ripudio della moglie da parte del marito. E se lo proibisce è per non esporre più la donna all’ostracismo che puniva tutte le ripudiate.

“È solo dal XIX secolo – prosegue padre Reese – che le divorziate hanno cominciato a ricevere qualche protezione dalle leggi civili. Quindi per gran parte della storia umana il divorzio è stato un’ingiustizia devastante per le donne. E Gesù l’ha giustamente condannato, dal momento che praticamente tutti i divorzi erano fatti da uomini pieni di potere contro donne prive di potere”.

Tra parentesi, padre Reese fa notare che “Marco, il cui Vangelo era in uso a Roma, trasformò in sessualmente neutrale l’insegnamento di Gesù”, facendogli pronunciare anche una condanna del ripudio del marito da parte della moglie e delle seconde nozze di questa. E l’evangelista fece così “perché a Roma le mogli delle classi agiate potevano divorziare dai loro mariti”.

Basterebbe questa notazione a far saltare tutto il suo ragionamento. Ma padre Reese la lascia cadere e arriva a questa perentoria conclusione: “Oggi viviamo in un mondo differente. Come possiamo essere così certi che Gesù risponderebbe nello stesso modo al divorzio oggi? È vero, molti divorzi comportano peccato, fallimento morale e grande dolore. È vero, in gran parte dei divorzi alle donne tocca la sorte peggiore. Il divorzio non è qualcosa che possiamo scrollarci di dosso, ma una volta che è avvenuto e che un matrimonio è morto, ci può essere una possibilità per una guarigione e una nuova vita? Papa Francesco pensa di sì. E così anch’io”.

Altro che comunione ai divorziati risposati. Padre Reese va ancora più in là. In nome di Gesù liberalizza il divorzio e lo fa liberalizzare anche dal papa. Il quale, in effetti, l’unica volta in cui in una sua omelia, a Santa Marta lo scorso 24 febbraio 2017, ha commentato le parole di Gesù su matrimonio e divorzio non le ha prese per niente alla lettera, ma è addirittura arrivato a dire che “ Gesù non risponde se [il ripudio] sia lecito o non sia lecito”.

Se è questo il “discernimento” che il preposito generale dei gesuiti ha detto che bisogna esercitare sulle parole attribuite a Gesù dai Vangeli, va quindi notato che non solo padre Reese ma anche il gesuita salito al soglio di Pietro vi si sono attenuti. Con le conclusioni che si vedono. A nulla, evidentemente, sono valse le numerose critiche (l’ultima da parte del cardinale Raymond L. Burke) all’intervista di padre Sosa, compreso l’argomentato “Promemoria” consegnato al papa e al prefetto della congregazione per la dottrina della fede di cui ha dato conto il 29 marzo 2017 Settimo Cielo.

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/03/29/promemoria-sull%e2%80%99intervista-del-generale-dei-gesuiti-circa-l%e2%80%99inattendibilita-dei-vangeli

A queste critiche padre Sosa ha replicato il 9 aprile 2017 in tv, a TgCom24, ribadendo “in toto” le sue tesi: “Nessuno ha la memoria scritta o registrata delle parole che ha detto Gesù. Le comunità cristiane hanno scritto i Vangeli per tramandare le sue parole, ma tanto tempo dopo e per comunità di riferimento diverse. Inoltre le parole di Gesù vanno intese nel suo contesto e la Chiesa, intesa in senso ampio, interpreta. La dottrina esce un po’ da questa interpretazione che la Chiesa fa. Quando si interpreta, è per capire meglio cosa ha detto Gesù direttamente. Se capiamo meglio cosa ha detto Gesù, allora capiamo meglio come noi dobbiamo comportarci per essere come lui”.

Ma se, come dice padre Sosa, è la Chiesa “intesa in senso ampio” che “interpreta” le parole di Gesù, bastano davvero un paio di gesuiti – con un papa loro confratello – a rovesciare ciò che hanno detto in due millenni i Padri della Chiesa, i papi, i concili e, prima di loro, i Vangeli sull’indissolubilità del matrimonio?

Sandro Magister Settimo Cielo 13 aprile 2017

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/04/13/anche-gesu-oggi-ammetterebbe-il-divorzio-lo-dice-uno-della-sua-compagnia

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CHIESE EVANGELICHE

La regola dei due bambini è legge

Quattro chiese britanniche condannano la decisione del governo May di garantire sgravi fiscali solo per i primi due figli a carico. La «regola dei due bambini» è diventata legge. Dallo scorso 6 aprile 2017 le famiglie britanniche riceveranno sgravi fiscali solo per i primi due figli, mentre non sarà riconosciuto alcun beneficio per il terzo e i successivi. Una misura pensata nel 2015 dall’allora governo Cameron – e confermata dall’attuale gabinetto May – nella cornice di pesanti tagli alla spesa sociale, ma anche intesa a scoraggiare la formazione di famiglie numerose tra gli starti più poveri della popolazione.

«La ‘regola dei due bambini’ è una pugnalata alla rete di sicurezza sociale del nostro Paese», ha dichiarato Rachel Lampard, vice presidente della Conferenza metodista britannica, rendendo chiaro che il provvedimento vede non solo l’opposizione ma la dura condanna di molte voci cristiane. «Il governo ha creato una voragine nella quale rischiano di cadere centinaia di migliaia di bambini già in condizioni di vulnerabilità. Le conseguenze di questa legge segneranno questi bambini per tutta la vita».

Dello stesso tenore le dichiarazioni dei rappresentanti della Chiesa di Scozia, dell’Unione battista di Gran Bretagna e della Chiesa riformata unita (Urc) che, insieme alla Chiesa metodista, hanno dato vita al Gruppo di lavoro congiunto sulle questioni pubbliche (Jpit) attraverso cui parlano ad una sola voce.

Ciò che rende la legge maggiormente inaccettabile agli esponenti ecclesiastici – oltre ai numeri che, per l’effetto retroattivo del provvedimento (varrà non solo per i nuovi nati ma anche per le famiglie già costituite), vedono circa 2 milioni di bambini coinvolti di qui al 2020 – è il fatto che le stesse fonti governative indicano che il provvedimento non inciderà sulla diminuzione della natalità nelle famiglie più povere.

«Dovremmo essere inorriditi dal fatto che il governo deliberatamente ignori le necessità dei minori più poveri», fa notare Grace Pengelly, segretaria della Commissione chiesa e società dell’Urc. Inoltre, è pensiero comune delle quattro chiese cristiane che il Parlamento di Westminster debba mantenere fede al principio base del welfare britannico, secondo cui le famiglie più povere devono ricevere abbastanza per far fronte alle proprie necessità di base. Proprio su questo principio le quattro chiese già citate, insieme alla Chiesa episcopale scozzese e ai Quaccheri, hanno pubblicato un rapporto sulla povertà nelle famiglie della Gran Bretagna.

Luca Baratto Riforma.it 12 aprile 2017

www.riforma.it/it/articolo/2017/04/12/la-regola-dei-due-bambini-e-legge

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Mantova- On line il numero di aprile 2017 di Etica Salute E Famiglia

www.consultorioucipemmantova.it/consultorio/index.php

 

Milano 1 – via Lattuada 14 Imparare a guardare oltre.

La Casa (ora news) n.1 aprile 2017. Rivista fondata da don Paolo Liggeri nel 1941

Editoriale Alice Calori

Ritornerò da voi Dagli scritti di don Paolo Liggeri

La faticosa ricerca di un figlio Luisa Solero

Le stagioni della vita Beppe Sivelli

Un nome, un volto Elena D’Eredità

Seminare con il cuore Jolanda Cavassini

Educare alla felicità Mary Rapaccioli

Il ruolo dei nonni Simona Avondo

Per una maternità sicura Assunta Ossi

Progetti di cooperazione Associazione Hogar Onlus

Appuntamenti: corsi e gruppi

Estratto dall’editoriale

È questo il clima nel quale si sviluppa la domanda al Consultorio familiare e ai servizi per la famiglia dell’Istituto La Casa. Sono coppie alla ricerca di dare un senso più profondo al loro vivere insieme. Sono adulti incapaci di assumere la responsabilità del vivere in una società che chiede anche il loro contributo per realizzare il bene comune. Sono genitori che si rendono quasi improvvisamente conto che non basta mettere al mondo figli, occorre un paziente e costante lavoro per aiutarli a crescere, occorrono anche norme e ruoli perché i figli sappiano uscire dalle incertezze e dalle opposizioni dell’adolescenza e costruirsi un’identità solida. Ci si rende conto a volte che anche i genitori non sono stati educati a questo e sono smarriti nel riconoscere che sono loro, papà e mamma, la più grande risorsa per i figli che pur crescono in un altro contesto, quello di un’era digitale. La domanda di questi genitori non è però sempre angosciata; talvolta denota il bisogno di confronto, di condivisione con altri genitori per trovare, in un cammino accompagnato, una giusta presenza educativa. Ci sono anche le domande dei figli, anche quando non hanno voce, hanno solo rabbia o lacrime perché privati dell’amore tra i loro genitori e della sicurezza che a loro ne deriva. Ci sono anche le domande della scuola e delle insegnanti che si confrontano, ogni giorno, con le “difficoltà di apprendimento e di attenzione” che hanno spesso radici nell’incapacità di relazione in famiglia o in relazioni distorte che affondano nel vuoto. Nella scuola si incontrano le differenze, si cresce insieme, minori non accompagnati scesi dal “barcone della speranza”, bambini e ragazzi di famiglie immigrate ricongiunte e nativi, figli di questo nostro tempo disorientante. Ci rendiamo conto che la sfida educativa non si vince da soli, all’interno della famiglia o nel chiuso di un registro in una scuola. La si vive insieme, genitori e figli, genitori e insegnanti, servizi, famiglie e scuola, ognuno secondo la propria competenza e il proprio ruolo. Papa Francesco nello Stadio di San Siro, al mare di ragazzi che l’hanno attorniato, ha ricordato la saggezza dei nonni, il loro apporto nella custodia del filo generazionale. Anche il Consultorio ha il suo spazio, sempre più ampio, e richiede risorse professionali in sinergia con famiglia, scuola e centri di aggregazione. Noi della Casa sentiamo ogni giorno di più che il nostro spazio non può essere disatteso. Per questo contiamo sul vostro sostegno anche economico, perché questo servizio possa continuare e ogni bambino possa crescere sano e felice. A tutti i nostri amici e ai nostri collaboratori, auguriamo un Pasqua colma di speranza.

Alice Calori

Padova. Il consultorio di Padova compie 60 anni. Tutti spesi in ascolto delle famiglie

I sessant’anni del Consultorio familiare di Padova. Fondato nel 1957, ha assunto la sua attuale veste nel 1969 rimanendo sempre fedele ai valori di fondo: lavoro di équipe e uno stile di vera laicità, che aiuti le persone a condividere i problemi e trovare, assieme, le possibili soluzioni.

A rileggere i nomi in calce all’atto vergato nello studio del notaio Todeschini il 23 aprile 1969, pare di veder sfilare un pezzo prestigioso – forse la miglior parte – di quel mondo cattolico, preti e laici insieme, che ha innervato la cultura padovana nella seconda metà del Novecento Don Alfredo Magarotto, don Alfredo Battisti, don Cesare Zaggia, don Giuseppe Trentin, don Ermanno Tura, don Luigi Mazzucato, don Giovanni Nervo. E ancora Tullio Maddalosso, Enrico Rubaltelli, Giorgio De Sandre, Bruna Carazzolo, Ivone Cacciavillani e tanti altri a comporre quattro fitte pagine dattiloscritte.

Con loro, a sancire la nascita del Consultorio matrimoniale di Padova, c’è anche Paolo Benciolini che poco tempo dopo, nel 1972, ne sarebbe divenuto il direttore. Una carica esercitata con passione per 45 anni, prima di lasciare il testimone con l’inizio del 2017 a Luisa Solero.

La lezione di don Paolo Liggeri. Ma la storia di quello che può vantarsi di essere uno dei primi consultori italiani viene da ancor più lontano, da quella stagione dell’immediato dopoguerra in cui don Paolo Liggeri intuisce a Milano che la ricostruzione della società dopo le macerie della guerra e di un’ideologia che aveva imprigionato l’Italia per vent’anni, non poteva che darsi “a partire dalla famiglia”. Alla sua iniziativa si rifaranno poi Verona nel 1953, Padova nel ‘57 e tanti altri centri riuniti a partire dal 1968 nell’Ucipem.

Allora gli obiettivi erano quelli di preparare le nuove generazioni al matrimonio, affrontare i problemi di sterilità, gestire le separazioni in un’Italia che non conosceva il divorzio.

Oggi – in un quadro sociale e normativo radicalmente cambiato – la vita di un consultorio è del tutto diversa. Ma le motivazioni e il radicamento ideale, a ben guardare, non differiscono poi molto da quelli che sulla fine degli anni Sessanta portarono alla sua nascita. Li si potrebbe forse riassumere in due grandi principi: il lavoro di équipe e uno stile di autentica laicità.

«Essere consultorio – sottolinea Luisa Solero – per noi ha sempre significato lavorare insieme tra professionisti di diversa estrazione. Medici, psicologi, avvocati, assistenti sociali, consulenti… insieme si fa formazione, insieme si costruisce una metodologia comune di intervento che vuole sempre mettere la persona al centro. Perché non esiste una risposta giusta o sbagliata “a prescindere”, quando si mettono le mani nei drammi di una famiglia. Esiste “la risposta” giusta per “quella” persona, ed è una risposta che deve sempre nascere come frutto di un percorso interiore. Qui si fonda anche la nostra laicità: che è uno sguardo di rispetto profondo per la persona, è sforzo di condivisione, ascolto dei suoi problemi. Senza rimanere prigionieri di cavilli legalistici o di modelli che appartengono al passato, ma con l’attenzione a guardare alla realtà di oggi per accompagnare le coppie nel loro cammino».

Da quando nel 1975 sono nati i consultori pubblici, la domanda si ripete periodicamente: ma hanno ancora senso delle strutture private?

Vale la pena continuare in un impegno sotto ogni punto di vista gravoso, o non sarebbe meglio lasciar fare alle regioni? Una risposta non scontata nemmeno in Veneto, dove pure – a differenza di quanto non avvenga in altre regioni – la legge prevede la coesistenza di strutture pubbliche e private. Ma le ragioni per proseguire, seppur sotto traccia, non sono difficili da individuare. E la principale sta forse nella differenza di approccio: più attenta all’ambito sanitario nei consultori pubblici, più impegnata sul fronte psicologico-relazionale in strutture come quella di Padova.

«Una volta coppia era sinonimo di famiglia – riflette Enzo Valpione, medico, tra gli animatori del consultorio – mentre oggi dobbiamo confrontarci con una varietà di situazioni sempre più ampia. Ma la maggiore libertà non riduce, e forse perfino accresce l’esigenza di un aiuto. C’è chi deve fare i conti con gli strascichi di una prima unione, chi con la presenza di figli, chi con le profonde ferite che spesso lascia il ricorso alle tecniche di procreazione assistita. Ci sono i mille dubbi di fronte all’eventuale annullamento canonico di un matrimonio. E le stesse coppie omosessuali non sono certo al riparo da tensioni o conflitti. Spesso già poter narrare i propri drammi ci “libera” dal loro peso. Sempre, comunque, quel che avvertiamo è il bisogno delle persone di incontrare qualcuno che aiuti ad allargare gli orizzonti, che faccia intravvedere possibili soluzioni. E questa è la frontiera, delicata e rischiosa, su cui da sempre noi ci spendiamo».

Stare sulla frontiera, evitare di arroccarsi, costringe a mettere in conto anche qualche frizione. Come avvenne con la curia al tempo del divorzio, come rischia di avvenire oggi sia nei confronti del mondo scientifico, sia di un approccio che della laicità rivendica il nome ma dimentica il senso, sia infine di un risorgente integralismo che fatica a lasciare spazi tra il bianco e il nero. Quando invece la vita, specie quella delle famiglie, è quasi sempre un insieme cangiante di sfumature.

«Penso alla procreazione medicalmente assistita – spiega Paolo Benciolini – e a quando come Comitato etico domandavamo: ma perché solo “medicalmente” assistita? Davvero la medicina e il legislatore non si rendono conto che ci sono tante altre dimensioni dentro di noi che in passaggi così delicati hanno bisogno di essere accompagnate? Penso alle donne che abortiscono… quante tornano dopo da noi per cercare assieme il senso di quel che hanno vissuto! Penso anche a chi emette condanne e taglia giudizi con l’accetta, magari perché dall’insicurezza psicologica nei confronti delle novità è meglio uscire rifugiandosi in modelli protettivi e deresponsabilizzanti. In questi sessant’anni il nostro consultorio ha cercato di essere spazio di accoglienza e di narrazione. Uno spazio amico, in cui cercare assieme di scoprire cosa davvero ci sta facendo soffrire. E per questa via, speriamo, riuscire anche a riformulare in maniera diversa la propria vita».

Guglielmo Frezza La difesa del popolo 17 aprile 2017

www.difesapopolo.it/Famiglia/Il-consultorio-di-Padova-compie-60-anni.-Tutti-spesi-in-ascolto-delle-famiglie

http://www.consultorioucipem.padova.it

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DALLA NAVATA

Domenica di Pasqua – Resurrezione del Signore- Anno A – 16 aprile 2017

Atti 10, 41. Noi abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua resurrezione dai morti.

Salmo118, 22. La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo.

Colossesi03, 04. Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.

Matteo 28, 01. Il quel giorno dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba.

 

Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).

In questo giorno, il primo dopo il sabato, inizio di una nuova settimana, in verità inizia un nuovo tempo, il tempo della vittoria dell’amore sulla morte, un tempo che durerà fino alla fine del mondo (cf. Mt 28,20). È il tempo in cui Gesù, il Signore vivente, “viene” per incontrare gli uomini e le donne che cercano di dare un senso alla loro vita; è il tempo in cui i discepoli e le discepole di Gesù, senza averlo visto, convinti che egli è vivente, cercano di seguirlo e di conformare la loro vita quotidiana alla sua vita umanissima (cf. 1Pt 1,8-9). Questo giorno che segna una svolta nella storia è la Pasqua del Signore, il Giorno del Signore!

Che cosa è accaduto nella storia, all’alba di quel 9 aprile dell’anno 30 della nostra era, il terzo giorno dopo la crocifissione e la morte di Gesù? Tutti i vangeli ci danno una testimonianza concorde: la tomba nella quale Gesù era stato sepolto viene trovata vuota. Ma seguiamo il racconto di Matteo, come ci chiede la liturgia della grande e santissima veglia pasquale. Passato il sabato, all’albeggiare del primo giorno della settimana, le donne discepole che erano state testimoni della morte di Gesù in croce (cf. Mt 27,55-56) e avevano accompagnato il suo seppellimento da parte di Giuseppe di Arimatea (cf. Mt 27,61) vengono alla tomba di Gesù. Perché? Matteo dice che lo fanno per “contemplare” (verbo theoréo) il sepolcro, mentre Marco e Luca per ungerlo (cf. Mc 16,1; Lc 24,1). Il loro affetto fedele le spinge a tornare dove Gesù è stato deposto, al suo corpo, perché queste donne continuano a essere attratte dal loro maestro e profeta, seguito a caro prezzo fino alla fine. Sono Maria di Magdala e l’altra Maria, venute a Gerusalemme dalla Galilea con Gesù.

In quell’inizio del giorno sono assenti i discepoli, quelli che avevano lasciato tutto per seguire il rabbi Gesù (cf. Mt 4,18-22) ma poi durante la sua passione lo avevano abbandonato per fuggire, tutti, nessuno escluso (cf. Mt 26,56). Anche questa assenza mette in risalto la presenza delle discepole, che nel loro legame perseverante con Gesù diventano le prime testimoni della sua resurrezione. Non appena queste donne si avvicinano al sepolcro, ecco accadere l’indicibile: avviene una rivelazione da parte di Dio e viene dato alle donne un annuncio che solo Dio poteva dare, annuncio che si impone.

La terra stessa sembra partecipare alla rivelazione, sussultando come in un terremoto, e un messaggero del Signore discende dal cielo, inviato da Dio, con il volto lampeggiante di luce e le vesti risplendenti. Abbiamo qui le immagini veterotestamentarie che tentano di raffigurare il mistero non raccontabile a parole e, insieme, abbiamo la descrizione del timore che sempre coglie chi è avvicinato da Dio. Questo messaggero – solo Matteo narra tale particolare – scende dal cielo e fa rotolare la grande pietra che chiudeva il sepolcro, sigillata dalle guardie poste a presidio dalle autorità religiose (cf. Mt 27,62-66); poi fa di questa pietra un trono, sedendosi gloriosamente sopra di essa. La pietra che chiudeva la tomba, segno della morte implacabile e invitta, viene rimossa dal messaggero, il quale sedendosi su di essa proclama che la morte vinta, che non è più l’ultima realtà. Egli si impone anche sulle guardie, che “sono scosse e rimangono come morte”.

Il messaggero può dunque rivolgersi alle donne, dicendo loro: “Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, osservate il luogo dove giaceva”. Il messaggero innanzitutto le rinfranca e attesta di conoscere la loro ricerca: cercavano Gesù! Cercavano colui che avevano visto crocifisso tre giorni prima, colui che era morto in croce e sepolto nella tomba da loro visitata. Ma la tomba è vuota, è questo è un segno per passare dall’aporia alla fede. Nel sepolcro vuoto non c’è una prova della resurrezione: si sarebbe infatti potuto dire che i discepoli erano venuti a rubare il corpo (cf. Mt 27,64), che Gesù non era morto ma fuggito; si sarebbero potute addurre altre spiegazioni… Ma ciò che è decisivo è che all’annuncio: “Non è qui. È risorto”, il messaggero aggiunga: “come aveva detto”, mettendo in evidenza che c’erano delle parole dette da Gesù, che andavano ricordate e credute.

Le donne iniziano così il faticoso cammino del ricordare, del rivivere le parole di Gesù come affidabili, sorgente di fede, di convinzione. In loro nasce la fede: ricordando le parole di Gesù (dicono Marco e Matteo), ricordando anche le Scritture dell’Antico Testamento, vera profezia (dice Luca), interpretando tutto ciò alla luce della tomba vuota, esse aderiscono alla rivelazione: “Gesù, il crocifisso, è risorto!”. E non appena le donne giungono a interpretare l’evento accaduto nella storia, l’evento della tomba vuota, subito sentono in loro la spinta, il desiderio, la forza di annunciare l’evento. Devono andare dai discepoli impauriti e chiusi nella loro abitazione a Gerusalemme, per annunciare loro la buona notizia pasquale della resurrezione di Gesù. E in Galilea avverrà l’incontro: dove c’era stata la chiamata, l’incontro e l’intimità, il coinvolgimento con la vita di Gesù là occorreva ritornare, con un cammino che non è geografico ma esistenziale. È un riandare all’inizio per ricominciare e dunque trascendere l’ora del rinnegamento, dell’abbandono del Signore, della propria caduta.

Le donne allora corrono, abbandonano in fretta il sepolcro, che per loro non ha più alcun significato e, convinte che Gesù è risorto, vanno a portare il Vangelo ai suoi discepoli. Sì, le donne sono state le prime destinatarie dell’annuncio pasquale, sono state inviate a quelli che si dicevano inviati (apóstoloi) del Signore: questo dato appare ancora oggi non pienamente accettabile dalla cultura ecclesiastica. Ma in verità questo non è un particolare da poco, e noi oggi dobbiamo metterne in risalto la peculiarità: le donne discepole, e non i discepoli, sono i soggetti della prima testimonianza, della prima evangelizzazione pasquale. È un fatto che resta innegabile, che non può essere tralasciato o ricordato solo superficialmente, ma deve interrogarci oggi ed essere fonte di domande per la cultura cristiana dominante nelle chiese, in tutte le chiese. Quel mattino di Pasqua, quell’inizio della salvezza, ha come protagoniste le donne discepole: i discepoli restano al chiuso, i sacerdoti e gli scribi restano convinti che Gesù è morto e corrompono le guardie perché attestino il falso, e la gente vive la solita indifferenza che la induce a non porsi domande.

Matteo ci dice che non solo le discepole hanno annunciato la fede pasquale ai discepoli, ma che hanno anche potuto vedere una manifestazione di Gesù risorto. Egli viene loro incontro, quasi a ringraziarle per la missione svolta presso i discepoli, e le saluta dicendo: “Rallegratevi!” (chaírete). Allora si avvicinano a Gesù e gli stringono i piedi, cioè cadono a terra e prostrate gli abbracciano i piedi, constatando che è vivente, esprimendogli il loro affetto fedele, rallegrandosi perché la sua morte non è stata un fallimento, ma un passaggio (questo significa il termine “pasqua”) a vita nuova, la vita eterna di Dio. Gesù, in risposta, dà loro il comando già consegnato dal messaggero: “Non abbiate paura; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno”.

Questo comando di andare in Galilea significa per le discepole e i discepoli: “Ricostituite la comunità, dopo la dispersione avvenuta a Gerusalemme. Riprendete il cammino della fede insieme e in quella terra di frontiera tra Israele e i territori delle genti iniziate ad annunciare la buona notizia della resurrezione, perché questo è il fondamento del Vangelo”. Su questo evento della resurrezione i discepoli, gli evangelisti e poi tutti i cristiani torneranno a raccontare, a interpretare, celebrando così la loro fede fino a oggi. Cristo è risorto: questa la nostra speranza, il nostro debito verso l’umanità tutta!

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11375-la-pasqua-del-signore

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DIRITTO DI FAMIGLIA

Avvocati di famiglia – Anno IX – n. 3 – settembre-dicembre 2016

Dossier “La famiglia: dieci anni di riforme (2006-2016)”

  • Per una riforma condivisa dalle associazioni specialistiche familiariste dell’ordinamento del giudice unico per la persona, le relazioni familiari e i minorenni. Claudio Cecchella

  • Lo scioglimento “volontario” dell’unione civile. Giancarlo Savi

  • Verso un diritto internazionale privato europeo della famiglia: i nuovi Regolamenti dell’Unione Europa sui regimi patrimoniali internazionali. Mara Biaggio

  • Alcune riflessioni relative all’accettazione di eredità nella procedura di amministrazione di sostegno. Chiara Ventimiglia

  • Il diritto antidiscriminatorio nel diritto di famiglia: una trasposizione di matrice europeista. Olga Mascolo

  • Le relazioni al Forum dell’Osservatorio “la famiglia: dieci anni di riforme (2006-2016)”

  • Brevi note sui rapporti personali e patrimoniali nell’unione civile. Mauro Paladini

  • Unioni civili tra persone dello stesso sesso: snodi principali e criticità della L. 76/2016. Geremia Casaburi

  • Convivenze, unioni civili, adozioni. Emanuele Bilotti

  • La surrogazione di maternità. Andrea Renda

  • (…)

  • Le ultimissime della giurisprudenza. Persone, minori e famiglia. Cesare Fossati

  • (…)

  • Corte Europea sui diritti dell’Uomo. Valeria Mazzotta

  • La giurisprudenza annotata (…)

  • Il riconoscimento dello status filiationis di un minore che risulta all’estero figlio di due donne Michela Labriola

  • Minori e organizzazioni mafiose. L’educazione alla legalità come risorsa. Valeria Cianciolo

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17506811/avvocati-di-famiglia-n.-3-2016-on-line-il-nuovo-numero.html

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DIVORZIO

L’ex ha diritto all’eredità?

Lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio comporta la perdita dei diritti successori. A differenza di quanto avviene in caso di separazione (per la quale valgono regole parzialmente diverse, influenzate anche dall’eventuale sussistenza dell’addebito), il divorzio elimina qualsiasi diritto successorio dell’ex, che non è più erede per legge del defunto. In tal caso, resta salva solo la diversa volontà contraria espressa in testamento e non lesiva dei diritti dei legittimari.

Un simile assunto non è in nessun modo condizionato, né in positivo né in negativo, dall’eventuale addebito. Tuttavia, se le condizioni economiche dell’ex coniuge del defunto sono particolarmente disagiate, questi può rivolgersi al tribunale per veder riconosciuto in suo favore un assegno periodico alimentare, di natura assistenziale, da porre a carico dell’eredità. La concessione di tale assegno è però subordinata non solo all’effettivo stato di bisogno, da intendersi come mancanza delle risorse economiche necessarie per soddisfare esigenze essenziali o primarie, ma anche alla sussistenza di un ulteriore presupposto: la titolarità di un assegno divorzile a carico del defunto quando era ancora in vita. Tale circostanza deve essere tenuta distinta da quella in cui gli obblighi patrimoniali del defunto nei confronti dell’ex erano stati da questo soddisfatti, quando era in vita, mediante un versamento fatto una tantum: in tal caso il superstite che versi in stato di bisogno non è in possesso dei requisiti richiesti affinché il giudice riconosca il suo diritto a un assegno alimentare a carico dell’eredità. Lo stesso dicasi se all’ex è attribuita una parte dell’assegno di reversibilità.

Vedi anche:La guida legale sul divorzio www.studiocataldi.it/guide_legali/divorzio

Newsletter Studio Cataldi 10 aprile 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25771-divorzio-l-ex-ha-diritto-all-eredita.asp

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FAMIGLIA

Quanto dura l’effetto del nido sulle abilità dei bambini.

Se più mamme lavorano, più bambini vanno all’asilo nido. Con quali effetti sul loro sviluppo? Migliorano le abilità cognitive di chi proviene da situazioni di svantaggio. Ma durano di più le ripercussioni positive sulle capacità non cognitive.

Abilità cognitive e non cognitive. L’aumento della frequenza di asilo nido e scuola d’infanzia ha da anni stimolato l’attenzione di scienziati sociali e politici sugli effetti di diverse modalità di accudimento dei bambini, alternative alle cure materne. Se all’inizio il focus è stato sullo sviluppo cognitivo dei bambini e sui risultati scolastici durante la scuola elementare, in un nostro lavoro ci interroghiamo sull’esistenza di ripercussioni su diversi aspetti persistenti fino all’età adulta.

In generale, valutazioni empiriche dei programmi di cura dei bambini dimostrano come abbiano avuto effetti positivi e significativi sulle abilità cognitive – come quoziente intellettivo, abilità linguistiche e motorie, risultati nei test scolastici – soprattutto per quelli che vivevano in condizioni di svantaggio, mentre hanno avuto poco o nessun effetto su quelli provenienti da contesti più ricchi.

I primi programmi di investimento nella prima infanzia diretti specificatamente a bambini di famiglie svantaggiate furono introdotti negli Stati Uniti negli anni Settanta e hanno avuto effetti positivi nel breve periodo, ma ne hanno avuti di importanti anche di lungo periodo. Uno dei più noti è il Carolina Abecedarian Project. Caratteristiche peculiari del progetto erano il fatto di rivolgersi a bambini molto piccoli (a partire dai 4-5 mesi), provenienti da famiglie svantaggiate, e la sua intensità: 8 ore al giorno, cinque giorni alla settimana. La valutazione dimostra che rispetto a coloro che non avevano preso parte al programma, i bambini che vi avevano partecipato hanno una probabilità più alta di terminare la scuola secondaria, una probabilità più bassa di ripetere l’anno scolastico e una maggior probabilità di frequentare l’università a 21 anni.

In alcuni casi, però, l’impatto positivo sulle abilità cognitive si attenua nel lungo periodo, talvolta fino a scomparire, instillando dubbi sull’utilità di investimenti cospicui in questo settore. Per esempio, una recente ricerca che ha valutato un programma in Tennessee ha trovato risultati positivi della frequenza della scuola dell’infanzia a 4 anni su esiti scolastici a 5 anni. Tuttavia, gli effetti scompaiono a 6 anni e a 8 anni i bambini che hanno frequentato il programma hanno risultati scolastici addirittura peggiori del gruppo di controllo.

Tempi, modi e qualità. Come è possibile riconciliare questi risultati apparentemente contrastanti? Possibili spiegazioni riguardano l’età dei bambini al momento dell’intervento, la sua intensità e durata, la qualità dell’esperienza e la mediazione delle abilità non cognitive. In primo luogo, gli investimenti cruciali per lo sviluppo cognitivo avvengono nella fase in cui le menti sono più malleabili, cioè da zero a tre anni. In secondo luogo, la durata e l’intensità del programma sono fondamentali, sia per le ore erogate che per il periodo di tempo lungo cui si svolge: mentre i primi programmi erano estremamente intensi e di lunga durata, i più recenti sono di più breve durata e con orari più limitati.

Anche la qualità dell’asilo nido sembra essere un elemento determinante per l’impatto sullo sviluppo dei bambini in sostituzione alla cura familiare (prevalentemente della mamma o dei nonni). Per quanto riguarda l’Europa, dove prevalgono nidi pubblici di qualità elevata e omogenea, la valutazione di una riforma introdotta in Spagna mostra che la scuola dell’infanzia per bambini di tre anni ha un effetto positivo sui risultati scolastici fino all’età di 15 anni. In Danimarca la frequenza dell’asilo nido all’età di due anni ha un effetto positivo sia sui rendimenti scolastici sia su abilità non comportamentali fino all’età di 16 anni.

Infine, un’ipotesi è che l’azione positiva dell’asilo nido perduri nel tempo proprio grazie al suo effetto sugli aspetti non cognitivi. Un ricco filone di ricerca che unisce letteratura economica, sociologica e psicologica, ha mostrato come proprio le abilità non cognitive (come auto-controllo, autostima, motivazione) abbiano ricadute positive sui risultati scolastici e nel mercato del lavoro, oltre che su altri aspetti della vita, come salute e rischio di attività criminale. Questo ha portato a teorizzare la presenza di un effetto “mediatore” delle abilità non cognitive. Un risultato che indica l’importanza di ulteriori ricerche future

Daniela Del Boca, Enrica Maria Martino e Daniela Piazzalunga Lavoce. 11 aprile 2017

www.lavoce.info/archives/46197/lasilo-nido-bene-allo-sviluppo-dei-bambini-quanto

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Nonostante tutto, le famiglie riprendono a risparmiare.

Nel 2016, nonostante la politica non abbia fatto nulla per metterle nelle condizioni di farlo, la spesa delle famiglie per i consumi è aumentata ma in misura inferiore rispetto alla crescita del reddito disponibile anche se solo dello 0,2%. Ce ne dà conto l’Istat nell’indagine sui conti economici nazionali resa nota oggi.

«Questo significa che le famiglie hanno ripreso a risparmiare nonostante la pressione fiscale non tenga conto dei carichi familiari» commenta Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari. «Ed è un dato certamente positivo. Ma questo dato è ancora più positivo per l’intero Paese perché vuol dire che ci saranno maggiori disponibilità economiche per il sistema produttivo nazionale innescando così un circolo virtuoso.

«Ci auguriamo che queste risorse vadano effettivamente al sistema produttivo e non vengano dirottate a rendite finanziarie che al Paese non portano nulla». «Ma va anche detto che se il segnale è positivo non c’è da festeggiare perché parliamo dello 0,2%. Semmai può essere il segnale per rilanciare l’idea di una seria politica fiscale a trazione familiare che il Paese aspetta da decenni».

Comunicato stampa 11 aprile 2017

www.facebook.com/photo.php?fbid=1482793348459917

 

InNova. Nuove competenze per politiche familiari innovative

Pubblicato il fascicolo che presenta i punti salienti della formazione offerta dal progetto “InNova. Nuove competenze per politiche familiari innovative” (iniziativa realizzata con il contributo del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, L. 383/2000, lettera d), annualità 2014)

6 aprile 2017

www.forumfamiglie.org/2017/04/06/innova-verso-politiche-familiari-innovative/

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GESTAZIONE PER ALTRI

La maternità surrogata è una forma di ospitalità?

Il numero di aprile 2017 di Aggiornamenti Sociali, mensile dei gesuiti italiani, ospita un articolo di Susy Zanardo, professore associato di Filosofia all’Università Europea di Roma, sul tema della maternità surrogata. Non si può donare l’utero senza donare anche il bambino. Ma un bambino non si può donare, perché non è oggetto di nessuna transazione, neanche di quella del dono”.

“La gestazione per altri (GPA), chiamata anche maternità surrogata o utero in affitto – si chiede l’autrice in apertura -, è una forma di ospitalità? Con questo interrogativo ci riferiamo al dibattito sulla pratica di procreazione medicalmente assistita in cui una donna mette al mondo un figlio con l’esplicita intenzione di portare a termine la gravidanza per altri”.

Dopo avere chiarito i termini della questione, in particolare la differenza tra GPA commerciale, nella quale ha luogo una transazione di denaro, e GPA gratuita o solidale, che prevede un accordo fra due donne, l’una sterile e l’altra feconda, perché la feconda metta al mondo un figlio per la sterile, la Zanardo ricorda che il mondo femminista ha quasi unanimemente condannato la prima pratica, mentre la seconda riceve una più generale approvazione, anche se si riconosce che non è particolarmente diffusa. “Noi riteniamo – afferma invece l’Autrice – che per nessuna di esse si possa parlare di dono e ospitalità”.

Infatti, “la trasformazione della maternità avviene in entrambe le forme di GPA. (…) La GPA solidale non è molto dissimile dalla prima. La sua ragion d’essere è il desiderio di un figlio a tutti i costi; la sua condizione è l’interruzione della relazione genitoriale e materna. (…) Qui c’è un desiderio di genitorialità (maternità) che trova la possibilità della sua realizzazione passando attraverso il corpo dell’altra donna, corpo che posso seguire nella sua evoluzione e tenere sotto il mio sguardo mentre tesse la carne per la creatura piccola. Un’adozione prét-à-porter, insomma, che posso programmare e che verrebbe a colmare i vuoti lasciati dall’istituto dell’adozione. Forse sarebbe rude, ma non improprio, riferirsi alla surrogazione come a “un’adozione a chilometri zero””.

La filosofa, riflette poi sulle implicazioni del materiale genetico che viene utilizzato per la generazione: “Si tende a preferire il materiale genetico dei genitori in intenzione. Per due ragioni, almeno: rafforzare il senso di maternità/paternità, contribuendo al processo di gestazione (il bambino ha i miei cromosomi) e allentare la relazione materna nella gestante che, almeno sulla carta, porta il figlio di un’altra. Non il proprio. In questo modo è aiutata a fare un lutto precoce rispetto alle fantasie, i sogni, l’investimento affettivo sulla creatura, che va pensata fin dall’inizio come figlia d’altri. Sempre più si lascia intendere che è l’ovocita a stabilire chi è la madre, mentre l’opera di tessitura della carne della persona piccola è fatta scivolare sullo sfondo. Sempre più il legame carnale viene oscurato da quello prodotto dal materiale biologico”.

Un punto chiave, secondo l’articolo di Aggiornamenti Sociali, è la doppia interruzione con cui viene spezzata l’unicità della relazione materna, da una parte, e l’unicità della relazione fra il padre e la madre della creatura, dall’altra. “La GPA passa precisamente per la progettazione dell’interruzione dell’unicità della relazione materna e di quella genitoriale. L’interruzione ne è la sua condizione di possibilità. Non c’è altro modo di diventare madre (o padre) che spezzando un legame genitoriale. In questo modo se ne coglie la differenza specifica dall’adozione: se l’adozione interviene a riparare una mancanza che è avvenuta, la GPA provoca l’interruzione”.

E con riferimento all’interruzione della relazione materna, la Zanardo ricorda che “essere madre è “un essere per altri” che, pur fra mille paure, angosce, fatiche, pesantezze, comincia da quando sai di quella creatura e termina quando chiudi gli occhi per andartene da questo mondo e quella creatura rimane ancora il primo pensiero. Anche quando le cose vanno male. Anche e ancor di più se quella relazione non ha funzionato. Con la GPA, l’esperienza dell’essere madre viene scorporata, dissociata: la madre gestazionale entra col corpo ma non con l’affettività o col progetto del “per sempre””.

L’articolo prosegue con una riflessione sull’applicabilità del concetto stesso di dono di un figlio, un aspetto che, nell’immaginario collettivo, rende più comprensibile e accettabile la GPA solidale: “Se la tecnica ce lo permette – si chiede provocatoriamente l’Autrice -, perché dovremmo cedere su questo desiderio? La fobia del nuovo? Un uso proibizionistico del diritto? Gli oscurantismi religiosi? (…) Cedere a un’altra il proprio figlio. Cos’altro chiederebbe un disinteresse maggiore? Ma, ci chiediamo, non è anche una forma di onnipotenza e una messa a disposizione del proprio figlio? Perché quel figlio lo consegni a un’altra, non perché non puoi fare altrimenti, perché le vicende della vita che nessuno controlla non rendono più possibile continuare quella relazione, perché farlo adottare talvolta è la prova d’amore suprema; al contrario, progetti in partenza la cessione di quella relazione. Cioè accetti quella relazione perché essa si interromperà. Almeno si interromperà nell’esclusività del rapporto di madre. L’interruzione della relazione è la condizione della relazione”.

Susy Zanardo conclude provando a mettersi dalla parte del bambino: rispondendo, tra gli altri, alla scrittrice Michela Murgia, secondo la quale “un bambino nato con una GPA è esattamente uguale agli altri”, si chiede: “Che cosa accade quando viene sottratta a una creatura, oltre alla propria origine, l’idea stessa di indisponibile? Non stiamo dicendo ai nostri figli che nulla è indisponibile, a partire dal loro stesso essere, il quale è a disposizione di altri che lo confezionano per ragioni altruistiche, commerciali o predatorie? Ma se il loro essere non è indisponibile, dove fonderanno la propria libertà e verso dove si lancerà il loro desiderio, se non lontano da quegli adulti e da quella civiltà che li ha resi disponibili?”.

“L’ospitalità – conclude allora l’articolo, riprendendo la domanda iniziale – chiede di amare il figlio di un’altra, quando quest’altra è perduta. Quando è perduta, però, e non quando contribuisco a eclissarla. Meglio sarebbe, laddove possibile, ospitarla col proprio bambino – come nei casi di affido di una famiglia da parte di un’altra famiglia – così da proteggere i legami familiari e in particolare la relazione materna, la cui frammentazione non è una fra le tante, ma rischia di far deperire il nostro livello di civiltà”.

Testo in pdf www.aggiornamentisociali.it/articoli/la-maternita-surrogata-e-una-forma-di-ospitalita

www.aggiornamentisociali.it/articoli/si-puo-donare-un-figlio-maternita-surrogata-e-gestazione-solidale

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GRUPPI DI PAROLA

Università Cattolica Sacro Cuore Milano – Corso di Alta formazione – giugno 2017 – marzo 2018

Il declino della nuzialità, la crescita dell’instabilità coniugale e la dissoluzione matrimoniale assumono dimensioni sempre più importanti in Italia e sono entrati a far parte degli eventi della vita quotidiana di molte famiglie. A fronte di questo scenario drammatico, emerge chiaramente un forte bisogno dei figli di poter condividere con altri, ciò che vivono e ciò che pensano della vicenda del divorzio dei propri genitori, alla ricerca di strategie per vivere questi cambiamenti familiari complessi. Si fa qui riferimento ad un percorso di gruppo per bambini tra i 6 e i 12 anni, o per adolescenti tra i 13 e i 17 anni, alla presenza di un professionista appositamente preparato – che insieme ai genitori – si prende cura della continuità dei legami familiari.

Come noto le prime esperienze in questo ambito sono state condotte da Francine Cyr e Lorraine Filion in Canada, da Marie Simon in Francia, e dal 2005 questa forma d’intervento è stata introdotta in Italia dall’Equipe del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia e del Servizio di Psicologia clinica per la coppia e la famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

I dati forniti dalle ricerche nazionali e internazionali, nonché dall’Osservatorio sui Gruppi di Parola confermano l’efficacia di questo percorso per aiutare i figli delle famiglie che attraversano transizioni critiche e ne documentano la valenza preventiva per il benessere delle nuove generazioni (Marzotto, 2010, 2015).

Sono ammesse massimo 25 persone in possesso di un titolo di mediatore familiare, o una comprovata esperienza nel campo della conflittualità familiare (allegare CV).

Staff responsabile Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

  • Maria Teresa Maiocchi, professore associato di Psicologia clinica, UCSC Milano, Direttore di Icles, Costanza Marzotto, psicologa e mediatrice familiare didatta, docente di Metodi e tecniche di mediazione familiare, UCSC Milano, dell’Osservatorio sui GdP, Servizio di Psicologia clinica per la coppia e la famiglia,

  • Paola Farinacci, mediatrice familiare didatta e conduttrice di GdP, Servizio di Psicologia clinica per la coppia e la famiglia, UCSC Milano

  • Marta Bonadonna, psicoterapeuta e mediatrice familiare, conduttrice di GdP, Servizio di Psicologia clinica per la coppia e la famiglia, UCSC Milano

  • Lorraine Filion, mediatrice familiare, fondatrice e già presidente de l’AIFI, conduttrice di gruppi per figli di genitori separati, Centre pour la Jeunesse de Montréal, Canada

Obiettivi la partecipazione al percorso formativo è finalizzata a:

  • Conoscere le dimensioni psico-sociali delle transizioni familiari critiche con particolare attenzione alla separazione e al divorzio all’interno del paradigma “relazionale-simbolico” (Cigoli e Scabini, 2000, 2012);

  • Riflettere sulle dinamiche dei gruppi tra pari;

  • Approfondire i bisogni dei figli delle famiglie divise tra i 6 e 12 anni, oppure tra i 13 e 17 anni;

  • Apprendere la metodologia e le tecniche specifiche per la promozione e la conduzione del Gruppo di Parola;

  • Discutere la propria esperienza pratica;

  • Contribuire alla ricerca sperimentale in atto condotta dall’Osservatorio sui Gruppi di Parola del Servizio di Psicologia clinica per la coppia e la famiglia dell’UCSC Milano.

INFO. UCSC Milano – Formazione Permanente – Via Carducci, 30 – 20123 Milano – Tel. 02 7234 5701 – Fax 02 7234 5706 – E-mail formazione.permanente-mi@unicatt.it

Per partecipare è necessario iscriversi on line entro il 15 maggio 2017 collegandosi al link:

http://apps.unicatt.it/formazione_permanente/milano_scheda_corso.asp?id=11041

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NATALITÀ

Se aver figli è un lusso c’è qualcosa che non va

Caro Avvenire, ieri sono tornata da Grenoble, dove per un anno vive mio figlio con la famiglia: si è trasferito per lavoro. Sono nonna di due splendidi nipotini e quindi li ho portati nei diversi parchi della città. Che cura, che attenzione, che spazi dedicati e protetti. Qui si percepisce che i bambini sono la cosa più preziosa per tutti. Non voglio fare analisi, in questi giorni se ne sono fatte tante sul tasso di natalità in Italia. Ma, partendo dalle amministrazioni comunali in su, occorre che si scelga dove spendere le poche risorse. Purtroppo si preferisce sempre di più creare spazi per i cani che aree dedicate per i bambini. Mi domando: i francesi amano di più i bambini? O noi non riconosciamo più ciò che è evidente? Sicuramente stiamo perdendo qualcosa.

Maria Cristina Varenna, Giussano

Gentile signora Maria Cristina, come lei certo sa la Francia è in testa nelle classifiche della natalità europee con circa 2 figli per donna, contro l’1,37 italiano, che ci pone fra i Paesi meno prolifici dell’Unione. Questo primato francese deriva anche dal fatto che a Parigi destinano ben il 3,5% del Pil in aiuti alla natalità e alle famiglie. Un sistema di sussidi, permessi di maternità, incentivazioni al part time fanno sì che le giovani coppie “si fidino” a osare un figlio, o anche due e più. Lei però nota di un fatto ulteriore: in Francia, dice, l’attenzione attorno ai bambini indica che sono, in quel Paese, la cosa più preziosa. Io non so se i francesi amino i bambini più di noi, ma in Francia, dopo che fra gli anni ‘70 e ‘80 del secolo scorso si verificò un forte calo demografico, furono presi robusti provvedimenti economici pro natalità, quelli appunto in vigore ora.

Perché in Italia questo non è accaduto? Perché almeno fino a dieci anni fa da noi chi parlava di incentivare la natalità veniva guardato male: restava ancora la antica memoria del “donare figli alla Patria” del fascismo, e la cosa non piaceva. Inoltre, almeno la mia generazione è cresciuta in un comandamento non esplicitamente detto, che diceva: il mondo è già sovrappopolato, non è giusto fare tanti figli. E per me e le mie coetanee, poi, l’imperativo era lavorare e essere autonome, non certo fare tanti bambini. I risultati sono quelli che vediamo.

Oggi in Italia avere un figlio è un atto di coraggio, e un investimento oneroso. Soprattutto se i genitori hanno un lavoro precario, altro fattore che per la natalità è rovinoso. Se sai d’avere lavoro per un anno, dove trovi il coraggio di fare un bambino, che dovrai crescere per almeno vent’anni? Un giorno, anni fa, che camminavo per Milano con i nostri tre bambini, una giovane donna mi apostrofò: «Che belli, signora… Beata lei, che se li può permettere!». In fondo, pensai, aveva ragione. I figli come un lusso. Il che è – o quasi – vero, e però denuncia una svista drammatica sulla famiglia e sulle politiche sociali. Mi chiedo come sarà possibile recuperare il tempo perduto. Ci vorrebbe un sussulto collettivo, una presa in carico comune di responsabilità, un desiderio di continuare nei figli la nostra storia. Intanto, è vero ciò che dice lei: ci sono quasi più aree per cani, almeno a Milano, che parchi giochi.

È molto più facile prendere un cane che avere un figlio. Inoltre il cane non parla, non diventa un adolescente incomprensibile, e ti vuole bene comunque e per sempre. Così che girando per un parco milanese può accadere di sentire una signora gridare, agitata: “Tommaso! Tommaso dove sei! Subito qui!” e tu ti giri, e non vedi alcun figlio nei dintorni. Ma ecco che arriva di corsa, scodinzolante, un labrador, cui è stato dato un nome da bambino.

Marina Corradi Avvenire 12 aprile 2017

www.avvenire.it/opinioni/pagine/se-aver-figli-un-lusso-c-qualcosa-che-non-va-serve-un-sussulto-comune-d-da63f0bc350f4b43a1712421c62a34c7

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PATERNITÀ

Alla ricerca della paternità.

Scavando il senso dell’essere padre, l’Autrice offre un’analisi della relazionalità intra ed extrafamiliare che costruisce e costituisce l’essenza della paternità

Nel codice civile, prima della riforma del diritto di famiglia del 1975, vi erano varie disposizioni che contornavano la figura paterna, dall’essere il “capo della famiglia” (art. 144 cod. civ.) al prendere provvedimenti in caso di cattiva condotta del figlio (art. 319 cod. civ.). Dopo la riforma della legge 151/1975 e altri interventi legislativi, il cambiamento della figura femminile e altre trasformazioni sociali, il ruolo del padre sembra aver perso contenuto e contorni.

Il gesuita Thomas Casey indaga: “L’immagine tradizionale della paternità è stata spesso troppo stretta e restrittiva. Ma la soluzione sta forse in un padre incerto, o distante e periferico? […] Tra questi due poli esiste un equilibrio: è il modello della paternità basata sull’autorevolezza anziché sull’autoritarismo, sul servizio piuttosto che sul servilismo, sulla leadership senza boria, sulla disciplina senza repressione. Il giusto equilibrio è difficile da trovare. Una madre sensibile può aiutare un padre a percorrere la sana via di mezzo tra gli estremi: la sua compassione naturale interverrà a fermare un padre che diventa troppo severo, e d’altra parte lei non esiterà a invocare il padre come una figura autorevole per il figlio”. La paternità è una continua ricerca dell’equilibrio e in tal senso cerca – non senza contraddizioni – di contribuire anche la legislazione, tra cui le varie modifiche legislative sui congedi parentali.

T. Casey rileva: “Le madri e la maternità godono di un’immagine positiva nell’opinione pubblica, ed è giusto. I padri, invece, oltre a essere sotto i riflettori in quanto padri, sono oggetto di nuove domande; soprattutto, ci si aspetta da loro che assumano un ruolo più attivo e coinvolto nella vita dei loro figli. Gli uomini di oggi sono disposti a sporcarsi le mani cambiando pannolini e facendo i lavori di casa, ma parte del loro nuovo ruolo li mette davanti a una inadeguatezza: come fare ad aiutare i loro figli a svilupparsi emozionalmente? Come aiutarli a trovarsi a proprio agio nel mondo maschile?”. Nell’art. 30 comma 4 della Costituzione si parla di “ricerca della paternità”, mentre nell’art. 31 comma 1 della Costituzione si parla di “speciale adeguata protezione” della maternità: la paternità è punto d’inizio e anche di ritorno del circolo della vita al cui interno s’inscrive la maternità. La paternità trova la sua dimensione nella misura in cui la trova la maternità e insieme costituiscono la genitorialità.

Nella delineazione e nel percorso della paternità è determinante il ruolo delle donne, in qualità di madri, mogli, compagne e accompagnatrici di vita, come scrive lo scrittore statunitense James Oppenheim: “Noi combattiamo anche per gli uomini / Perché anche loro sono figli di donne, / E noi per loro madri ancora”. Maternità è anche ricordarsi che gli uomini che si hanno accanto sono figli di madri, è far vivere la maternità agli uomini che l’hanno consentita, è generare, salvaguardare e valorizzare la paternità. Una madre non deve essere chioccia escludendo il padre. Una madre è tale anche grazie al padre, per cui occorre vivere e condividere maternità e paternità nella reciproca e comune genitorialità, seppure nelle e colle differenze. Ci sono donne che, subito dopo il concepimento o dopo il parto, cambiano drasticamente dimenticando di vivere la relazione di coppia col proprio partner e rendendo la paternità una mera donazione del seme.

“Avere un padre significa rendersi conto che non siamo stati noi a dare inizio alla nostra vita – ricorda lo studioso Casey –. Noi non siamo all’inizio di tutto. Siamo connessi a qualcuno che è venuto prima di noi. In questo senso avere un padre vuol dire essere «religiosi», nel senso etimologico della parola. Il verbo latino religare, infatti, ha la connotazione di «legare, vincolare». Abbiamo un legame, un vincolo; siamo collegati a qualcuno che ci precede, siamo in relazione con qualcuno che è al di là e prima di noi stessi. Tutti hanno bisogno di un padre. Avere un padre dà un senso più solido di chi siamo, da dove veniamo. Senza un padre, ci si sente deboli e fragili, non si è mai certi. Ci si sente diseredati e rinnegati, defraudati e deprivati”. La locuzione “ricerca della paternità” (art. 30 comma 4 Cost.) è rivolta anche alle mamme (o future mamme) affinché comprendano l’importanza della paternità.

Casey aggiunge: “I figli non vogliono un padre che neghi loro la libertà e non permetta loro di vivere la propria vita. […] Oggi l’autorità dei padri deve provenire soprattutto dalle persone che sono; deve irradiare verso l’esterno dal loro carattere. Particolarmente importante è il rapporto che esiste tra i padri e coloro dei quali si mettono al servizio. Se le persone si fidano di una figura paterna e ne vedono la purezza, l’integrità e la convinzione di un uomo che vive ciò che insegna, gli accorderanno autorità”. La paternità è autorità, è applicazione del filosofico principio di autorità (caratterizzato da asimmetria verticale e reciprocità) e in questo gioca un ruolo rilevante e imprescindibile la maternità.

Ancora Casey: “Ogni padre si trova davanti a una tentazione a doppio taglio: o interpretare la paternità come un assoluto che lo rende del tutto autoritario, o dissolvere la paternità a tal punto che il suo rapporto con i figli diventa blando e insipido, senza alcun vincolo di autorità”. Perché un padre sia padre occorre che la madre sia madre e che lo aiuti a diventare ed essere padre nella quotidianità. Questa è un’interpretazione evolutiva di due locuzioni significative usate nella Costituzione: “ricerca della paternità” (art. 30 comma 4 Cost.) e “essenziale funzione familiare” della madre (art. 37 comma 1 Cost.).

Sin dalla mitologia e, poi, dalla psicoanalisi si è messo in evidenza la particolarità e la difficoltà della figura paterna. Nelle parole di Casey: “La scomparsa dei padri è una delle più grandi crisi che la cultura mondiale stia affrontando. Se manca un sano rapporto con i padri, i neonati e i bambini piccoli diventano radicalmente insicuri. Sono i padri che danno il coraggio ai figli: la prontezza ad assumersi rischi, la disponibilità a essere intellettualmente curiosi, la forza per diventare sempre più indipendenti. Se vogliamo un futuro migliore per i nostri figli, dobbiamo investire nei padri”. L’espressione costituzionale “ricerca della paternità” (art. 30 comma 4 Cost.) è sempre più attuale: è bene che il figlio conosca e riconosca il padre, come tale, affinché sappia, poi, conoscere e riconoscere altre figure e ruoli nell’ambiente extrafamiliare.

Casey descrive altri aspetti: “Le donne hanno la possibilità di prepararsi alla maternità attraverso la gravidanza. Mentre sentono il proprio corpo cambiare e crescere nel corso di nove mesi, ricevono un acuto promemoria visibile di ciò che sta per accadere e, una volta che il bambino è nato, sono fisicamente attrezzate per allattarlo. Gli uomini non scorgono davanti a sé un ruolo già così chiaramente pianificato: una volta che la moglie resta incinta, il suo ruolo fisico nella nascita del nuovo bambino sembra concluso. Essere un padre in attesa significa accettare in modo passivo ciò che sta accadendo, guardare da una distanza che contribuisce a tenerlo poco coinvolto e finanche estraneo. Quanti padri in attesa vengono invitati a corsi preparto? Quanti ricevono almeno spiegazioni dal ginecologo della moglie? Quanti ricevono il congedo di paternità? È fin troppo facile, per i padri, sentire il messaggio subliminale che sono soltanto genitori di seconda classe, mentre il centro della scena appartiene alle madri”8. Il ruolo del padre è iscritto in quello dello spermatozoo: prontezza, giusta distanza, capacità di trasformarsi, contributo della madre, autonomia del nuovo essere. E a questo il padre deve educare il figlio. Il codice paterno è importante quanto quello materno. Lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni scrive, a tale proposito: “Spesso gli adolescenti riservano al genitore del sesso opposto un trattamento tanto più ruvido e distanziante quanto più sentono l’esigenza di sciogliersi da un abbraccio che li terrebbe bloccati nell’infanzia, impedendo loro di esprimere la loro voglia di crescere. Al papà rimane il compito, non sempre facile, di costruire una relazione in cui vengono evitati gli atteggiamenti affettuosi verso la sua “piccola” a vantaggio di un riconoscimento di quelle doti da grande che la ragazza sta mettendo in campo. Ad esempio la maturità, l’autonomia, l’intraprendenza che dimostra. Una presa di distanza può essere utile per entrambi”. Nell’art. 1 della legge 29 luglio 1975 n. 405 “Istituzione dei consultori familiari” si legge “maternità e paternità responsabile”, un connubio che deve essere tale soprattutto nel periodo adolescenziale dei figli in cui bisogna dare risposte ai loro quesiti ed esigenze esistenziali. In particolare il padre riveste un ruolo fondamentale nella formazione della personalità e della sessualità delle figlie.

Una bambina e un uomo, prima abbracciati, poi l’una sulle gambe dell’altro, guancia a guancia, capelli nei capelli: magari fosse veramente così la vita di figli e padri e tra figli e padri e in particolare con le figlie. A differenza della maternità che è viscerale, corporea, la paternità è una relazione che va costruita a livello epidermico, con contatto, vicinanza, presenza, sensibilità. È una relazione che va ri-conosciuta e ri-cercata: anche questo è il senso dell’espressione “ricerca della paternità” (art. 30 comma 4 Cost.).

“Un bambino viene avvicinato all’arte dal padre, di domenica in domenica, di scoperta in scoperta, anche di fatica in fatica. Tanto tempo dopo, quell’emozione ritorna insieme a nuove domande: perché arte e vita oggi quasi mai vanno assieme? Ed anche arte e rito? E arte e festa?”: tanto “paternità” quanto “maternità” contengono tra le loro lettere la parola “arte”, perché insieme dovrebbero trasmettere e avviare all’arte del vivere e poi all’arte e alla cultura in generale (come si evince pure dalla Carta dei diritti dei bambini all’arte e alla cultura, Bologna 2011).

Ogni paternità dovrebbe essere: lasciare tracce dei colori dell’amore e dileguare le negatività rinnovando e rinsaldando i valori della vita. Come un papà che preleva sua figlia da scuola abitualmente in tenuta da lavoro, vecchi indumenti con gocce di colori per pitturazioni edili e sbiancati dalla calce.

Quella paternità non tutelata adeguatamente dalla legislazione e anche dall’interpretazione e applicazione delle leggi ma che, per i figli, è una vitale relazione.

T. Casey La forza della famiglia, da La Civiltà Cattolica, n. 3987-3988 del 13-27 agosto 2016, pp. 272-273

J. Oppenheim nella poesia “Il pane e le rose”, 1911

dr Margherita Marzario Newsletter Studio Cataldi 10 aprile 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25689-alla-ricerca-della-paternita.asp

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SEPARAZIONE

Coppie bianche: in Italia sono il 30% e per lo più giovani.

I dati del presidente dell’Ami Gian Ettore Gassani su un fenomeno che conduce al 20% delle separazioni. Coppie che smettono di far sesso. Matrimoni bianchi, relazioni all’interno delle quali non c’è la presenza di alcuna forma di erotismo, presentate come un fenomeno in costante aumento nel nostro Paese. Secondo l’Ami (Associazione matrimonialisti italiani), sarebbero circa il 30% della popolazione. Questo fenomeno, inoltre, rappresenterebbe la fine di una storia d’amore in circa il 20% delle separazioni. Al presidente dell’Ami, l’avvocato Gian Ettore Gassani abbiamo chiesto come nascono queste situazioni e, soprattutto, quali possono essere le conseguenze giuridiche.

«Si parla del 30% di coppie che non ha una vita sessuale o che ha una vita sessuale assolutamente non appagante, con rapporti molto rari, situazione che va a minare le fondamenta del matrimonio o comunque della coppia di fatto» spiega Gassani. Incontrovertibile il ruolo fondamentale della sessualità nella stabilità di una coppia. «Purtroppo sono queste le situazioni per le quali (sovente) si tradisce o si arriva in tribunale. Ma la cosa più incredibile è che la mancanza di interesse alla sessualità non dipende dalle donne ma sono soprattutto gli uomini». In parole povere «non sono le donne ma gli uomini ad avere il mal di testa, contravvenendo agli stereotipi del maschio italiano: non siamo più il Paese dei latin lover».

L’altro dato sconfortante prosegue Gassani «è che un trend significativo affetto dalla problematica riguarda le coppie dai 30 ai 40 anni, cioè non parliamo di gente anziana ma di persone giovani pronte a girarsi dall’altra parte del letto e dormire…». Dunque «ci sono moltissime procedure in Italia che hanno come oggetto la totale (o quasi totale) mancanza di rapporti oppure di casi di gente che vive la sessualità come un dovere, come se dovesse svolgere un compitino, un obbligo coniugale. La sessualità non può essere vissuta come un dovere e se così è non ha senso soprattutto considerate le forme di impotenza derivanti da sostanze stupefacenti dall’uso di alcol o problemi di carattere psicologico che sovente non sono riconosciti dagli uomini. Se la donna ha una vaginite, facciamo un esempio, va dal ginecologo. Ma l’uomo impotente, per ignoranza e per orgoglio, ha remore ad andare dal sessuologo o dall’andrologo. Per cui nonostante il richiamo del partner a farsi visitare, dagli atti processuali emerge che, benché invitati questi uomini non hanno fatto nulla per risolvere un problema».

A questo punto si giustifica l’eventuale intervento del giudice perché, afferma Gassani «la mancanza di sessualità porta all’impossibilità di avere bambini, per cui non è solo la questione sessuale legata al piacere fisico, ma quando si tratta di procreare la cosa si fa ancora più seria. Neanche i nuovi farmaci (viagra) risolvono i problemi perché spesso questi uomini non vogliono neanche assumerli». Un dato quello delle coppie bianche che spiegherebbe l’aumento esponenziale delle infedeltà, soprattutto da parte delle donne che tradiscono anche più degli uomini. «Non è un tradimento nato da un capriccio – chiosa il presidente Ami – ma dall’insoddisfazione sessuale durata per anni. Tutto questo deve essere considerato dagli psicologi che vengono coinvolti nelle procedure, dai giudici anche ai fini di una attribuzione di responsabilità. La legge, da una parte, prevede che non si possa parlare di un vero obbligo coniugare (la cosiddetta “copula”), tuttavia è un diritto costituzionalmente garantito quello alla salute ed è ormai provato che una sessualità normale è importante per questo. La mancata sessualità può produrre danni fisiologici. Se il giudice ravvisa una totale indifferenza da parte di uno dei due coniugi verso le richieste sessuali dell’altro può scattare l’addebito».

Quale sarà la ratio in questi casi? «Se non si hanno rapporti col partner non si può recriminare sul fatto che il partner abbia un altro o un’altra. È il soggetto stesso che crea i presupposti per l’infedeltà quindi per la disgregazione familiare. Un conto è tradire un buon marito o una buona moglie, a quel punto c’è una responsabilità, un altro conto è tradire un coniuge che non ha manifestato alcun tipo d’interesse. Serve come indizio nel caso di infedeltà. Se dimostro, ad esempio, che il marito era indifferente e la moglie sarà beccata con un altro di sicuro il giudice non condannerà la moglie se essa dimostra che la coppia non aveva vita sessuale. Non è soltanto una curiosità antropologica – chiude Gassani – ma ci sono innumerevoli risvolti finendo in tribunale o davanti alla Sacra Rota».

Gabriella Lax Newsletter Studio Cataldi 10 aprile 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25760-coppie-bianche-in-italia-sono-il-30-e-per-lo-piu-giovani.asp

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SESSUOLOGIA

Alcuni miti sessuali.

Sulla sessualità, e in particolare sulla funzione sessuale, vi è una serie di convinzioni, che si tramandano da una generazione all’altra, quali “verità” generali, che condizionano gli atteggiamenti e l’immaginario erotico delle persone, e quindi la stessa relazione della coppia. Sono convinzioni che vengono da molto lontano: le loro origini si perdono nelle nebbie del passato, assumendo valore, quasi una collezione mitologica d’affermazioni e convinzioni sul sesso. Tutto ciò, malgrado la rivoluzione sessuale.

  1. L’uomo ha sempre voglia ed è sempre disposto a fare l’amore. E’ il mito per antonomasia, quello legato alla permanente disponibilità dell’uomo a fare sesso. L’affermazione, di per sé, presenta una mezza verità: la disponibilità frequente ed accentuata è constatabile nell’uomo, purché non vi siano delle disfunzioni di vario tipo (organiche o psicologiche); tuttavia non sempre l’uomo è nelle condizioni per rispondere agli stimoli erotici (esterni o interni) che lo sollecitano. In più, nell’affermazione vi è un’identificazione tra “sesso” e “amore”. Vi sono parecchi uomini che distinguono i due aspetti, per cui, pur essendoci la voglia, “fanno l’amore” solo con la persona con cui hanno un profondo legame affettivo, rifiutando, per convinzione, di fare con altre solo del sesso. Di norma, questi uomini anche nella relazione con il coniuge o con la persona “affettiva” non attuano “l’assalto alla diligenza”, ma sanno contemperare i loro desideri con quelli del partner e con le convinzioni valoriali.

  2. Sessualità uguale a rapporto sessuale. E’ una convinzione molto diffusa, ma ritengo che, dopo quanto è stato scritto nelle pagine precedenti, di esser riuscito a demitizzare e far cogliere come la sessualità permei la vita e che non necessariamente la sessualità coincide con il coito. Il rapporto sessuale è una delle espressioni privilegiate con cui le persone esprimono la loro intimità e la loro unione. Per le diverse espressioni nella vita sessuale, rimando alle pagine precedenti sulla genitalità, l’istinto, il corpo sessuato, e sulla comunicazione tonico-emozionale.

  3. Il rapporto deve sempre avvenire solo dietro proposta dell’uomo. Questo presupposto ha radici lontane nel tempo, quando l’uomo prendeva l’iniziativa e la donna doveva sottostare. Non poteva osare di chiedere perché culturalmente alla donna non era permesso: vi era la convinzione che la donna che per prima faceva approcci sessuali era un’immorale e una poco di buono. I tempi sono cambiati e i desideri sono facilmente esprimibili da entrambi. Eventualmente può succedere che l’uomo confonda la richiesta d’affettuosità della donna con l’atto sessuale, per questo spesso la donna si astiene anche da tale richiesta, per evitare di dover sottostare alle pressioni eventuali del coniuge. Non tutti i contatti fisici devono concludersi con il rapporto sessuale. Ora vi sono uomini che si lamentano di dover essere sempre i primi a prendere l’iniziativa: anche all’uomo piace essere oggetto di desiderio e d’attenzione sessuale. Una serena complicità permette a ciascuno di prendere l’iniziativa.

  4. Se due persone si amano sapranno certamente come godere assieme anche sessualmente. Come l’amore non s’impara dai libri, ma è una realtà sentita, vissuta e agita, così, ritengo, che se veramente due persone di amano arriveranno anche a godere della dimensione fisica dell’amore. Potranno anche esserci delle difficoltà, che saranno appianate e risolte dalla disponibilità che scaturisce dall’amore.

  5. Il sesso è veramente soddisfacente solo, quando i partner hanno un orgasmo contemporaneamente. E’ un mito da sfatare, ma che si sta radicando nelle nuove generazioni, dopo la sbornia della rivoluzione sessuale e l’invasione di tanti istruzioni per l’uso. Il vissuto sessuale può essere profondamente soddisfacente in multiple situazioni, in cui vi sia coinvolgimento affettivo anche senza la contemporaneità dell’orgasmo o anche in assenza di esso. La contemporaneità si realizza alcune volte (3 o 4 volte su 10 rapporti?), o in casi rari, senza che questo debba comportare frustrazione, connessa all’ansia di prestazione (essere capace di far venire il partner). E’ un complesso proprio del maschio, che sta contagiando la donna, che resta male se nel rapporto non ha avuto l’orgasmo come pensato da lei. Tra l’altro, più il pensiero della donna si concentra sul volere l’orgasmo a tutti i costi, meno si rilassa, meno si abbandona, meno si coinvolge nell’amplesso e meno ottiene ciò che vuole. Vi sono donne che vivono profondamente l’amplesso, che hanno l’orgasmo o prima o dopo il partner o anche no, ma che alla fine si sentono profondamente soddisfatte per aver condiviso con il proprio uomo se stesse. Alla fine dell’atto dicono con soddisfazione: “E’ stato bello!”. Vi è stata la donazione reciproca.

  6. Il partner in una relazione sessuale sa istintivamente cosa vuole o pensa l’altro partner. La ritengo un’affermazione ardita e piena di supponenza, salvo che non vi sia stata un’intensa vita sessuale assieme e l’aver raggiunto un’intimità psicologica, in cui il disvelamento dei propri vissuti e desideri sessuali siano stati veramente profondi. Altrimenti, ritenere di capire che cosa vuole e pensa il partner fa parte del pensiero onnipotente infantile. Invece, attenzione, ascolto, disponibilità e apertura sono aspetti della relazione, che permettono alla coppia di vivere l’intimità affettiva con delicata attenzione.

  7. Se un uomo perde la sua erezione, significa che non trova attraente il suo partner. Non vi è alcun automatismo tra la perdita dell’erezione e la non attrazione nei confronti del partner. Va anche ricordato che sembra non esserci uomo che almeno una volta nella sua vita non abbia fatto cilecca nel rapporto sessuale. Le cause della perdita d’erezione possono essere varie: da disfunzioni fisiologiche a stanchezza, tensione psicologia, ansia, ecc. Nella relazione della coppia, di fronte alla perdita dell’erezione, i vissuti dei due sono diversi: l’uomo può provare vergogna, impotenza, confusione, la donna senso di deprivazione, di trascuratezza, ma anche di comprensione della situazione. Proprio la comprensione reciproca, il parlarne senza farne drammi, in non cadere nell’attesa di un’ottima prestazione nei successivi rapporti e l’eventuale farsi aiutare da un esperto permette alla coppia di superare le difficoltà e di recuperare una buona intesa sessuale.

  8. Un uomo non può dire di “no” al sesso, una donna non può dire di “no” al sesso. Questa affermazione appartiene ad una concezione di un istinto sessuale umano dipendente solo dalla fisicità. Nelle pagine precedenti è stato chiarito che l’istinto sessuale umano è intriso di razionalità, e come tale non è soggetto ad una forza istintuale cieca. L’uomo e la donna, pertanto, possono dire di “no” al sesso, ma non possono rifiutarsi di esseri sessuati.

Gilberto Gobbi, news SDM Community 11 aprile 2017

http://silvanademaricommunity.it/alcuni-miti-sessuali

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI

Giornata di studio a Taranto.Relazione d’aiuto e comunità sociale

50° Anniversario della Associazione di Volontariato “Il Focolare” di Taranto.

Sabato 29 aprile ore 16-22 – Hotel Mercure Delfino, viale Virgilio 66

  • Relazione: “Consultorio e territorio

Domenica 30 aprile ore 9-18

  • Giornata di studio: l’equipe cuore pulsante del consultorio familiare ucipem

  • Lunedì 1 maggio ore 8 Centro “San Francesco De Geronimo” Grottaglie.

Relazione: “Consulenza e spiritualità ignaziana”

Iscrizioni: dovranno essere effettuate preferibilmente collegandosi al link: http://goo.gl/i6Tjwo

oppure inviando apposita scheda cartacea debitamente compilata e con allegata copia di pagamento alla Segreteria dell’UCIPEM o per posta (via Serviliano Lattuada 14, 20135 – Milano) o per e-mail (ucipem@istitutolacasa.it). www.ucipem.com/it

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Le comunichiamo che i suoi dati personali sono trattati per le finalità connesse alle attività di comunicazione di newsUCIPEM. I trattamenti sono effettuati manualmente e/o attraverso strumenti automatizzati. Il titolare dei trattamenti è Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali Onlus – 20135 Milano-via S. Lattuada, 14. Il responsabile dei trattamenti è il dr Giancarlo Marcone, via Favero 3-10015-Ivrea.newsucipem@gmail.com

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