NewsUCIPEM n. 644 – 9 aprile 2017

NewsUCIPEM n. 644 – 9 aprile 2017

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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02 ABORTO VOLONTARIO La pillola dell’aborto anche in consultorio, rivoluzione nel Lazio.

03 Mai facile l’aborto. La Ru486 non è solo una pillola.

03 Vicariato Roma: pillola abortiva nei consultori lascia donna sola.

04 ADDEBITOSi può andare via di casa se il coniuge tradisce.

05 ADOZIONIArriva la banca dati delle adozioni.

06 ADOZIONI INTERNAZIONALI Cile, 76 bambini adottati nel 2016; altri 30 aspettano una famiglia.

07 Moldova. Ai.Bi. riaccreditata fino al 31 gennaio 2018.

07 AFFIDO CONDIVISO I figli restano ai servizi se la madre ostacola i rapporti col padre.

08 ALIENAZIONE GENITORIALE Non è una “patologia” ma un comportamento illecito.

08 AMORIS LÆTITIA Intervista. Baldisseri: «Con Amoris Lætitiapiù vicini a chi soffre»

09 La recezione di A.L.: un “evento linguistico”, 365 giorni dopo.

11 ASSEGNO DI MANTENIMENTO Anche il genitore meno abbiente è obbligato per i figli.

11 CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 13/2017, 5 aprile 2017.

12 CINQUE PER MILLE Pubblicato l’elenco permanente degli iscritti

13 COGNOME Doppio cognome: quanto dobbiamo ancora aspettare?

13 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Roma 1. Via della Pigna. Seminario su La resilienza.

14 On-line le relazioni del recente XXXI Seminario.

14 XX anniversario Centro Consulenza familiare Viale della Primavera.

14 Sedi e Centri Collegati.

15 CONVIVENZAMi spetta l’assegno di mantenimento?

15 Tradimento del convivente.

16 Restituzione dei soldi per spese e acquisti.

17 DALLA NAVATA Domenica delle Palme e della Passione – Anno A – 9 aprile 2017

17 Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).

19 EDUCAZIONE INER Verona: “Corpo, Emozioni, Amore: prospettive per crescere”.

19 FAMIGLIE NUMEROSE Bonus destinato a chi ha almeno 3 figli minori.

20 GESTAZIONE PER ALTRI Lo psichiatra Castriota: «Mai più si separino gestante e bambino».

21 INFERTILITÀ In 20 anni numero di casi raddoppiati in Italia.

22 MEDIAZIONE FAMILIARE L’ascolto del minore nella mediazione familiare.

23 NULLITÀ DEL MATRIMONIO Convivenza triennale.

24 La convivenza ultra trentennale sana i vizi genetici del matrimonio.

24 OSS. per INFANZIA-ADOLESCENZA Ricostituito l’osservatorio.

25 PARLAMENTO Camera Decreto sul contrasto dell’immigrazione illegale. Concluso l’esame.

25 RICONOSCIMENTO La volontà della minore di non essere riconosciuta dal padre

26 SCIENZA & VITA Un nuovo affondo della regione Lazio sulla IVG.

28 SEPARAZIONE E DIVORZIO Arriva il coordinatore genitoriale.

27 TRIBUNALE ECCLESIASTICO Incontri di formazione sul ‘Mitis iudex’ in Vicariato

27 UCIPEM Giornata di studio a Taranto.

27 UNIONI CIVILI I.N.P.S.: Unioni civili e disciplina delle convivenze.

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ABORTO VOLONTARIO

La pillola dell’aborto anche in consultorio, rivoluzione nel Lazio

Aborto nei consultori familiari. Fuori dagli ospedali. Fuori dai reparti di interruzione volontaria di gravidanza. Accade nel Lazio, dove dalla prossima estate sarà possibile per le donne accedere all’aborto farmacologico, con la pillola Ru486, anche nei consultori familiari. Sarà una sperimentazione, durerà 18 mesi, ed è la prima volta che accade in Italia.

La novità, di fatto una vera e propria rivoluzione che punta alla de-ospedalizzazione dell’aborto chimico, fa parte del piano di riorganizzazione della Sanità nella regione Lazio. E proprio in questi giorni un gruppo di lavoro sta definendo le linee guida della sperimentazione. “L’obiettivo è quello di rendere l’accesso alla legge 194\1978 il meno gravoso possibile per le donne – spiega Vincenzo Panella, direttore generale del dipartimento Salute e Politiche Sociali della regione Lazio – in un contesto come quello del consultorio dedicato interamente alla salute femminile, a cominciare dalla contraccezione”. In ogni Asl della regione saranno individuate alcune strutture, tra quelle più strettamente connesse agli ospedali, dove alle pazienti verrà somministrata la pillola Ru486. “Nel Lazio – aggiunge Panella – l’aborto chimico può già essere effettuato in day-hospital, ma in molti paesi europei, ad esempio in Francia, è ormai una pratica ambulatoriale. Nella nostra regione ormai il 15% delle interruzioni di gravidanza avviene con la Ru486, e lo spostamento nei consultori potrebbe allentare la pressione sugli ospedali, ma anche offrire alle donne un’assistenza multidisciplinare. In un contesto – precisa Panella – dove la sicurezza è garantita, appunto, dalla stretta collaborazione tra consultorio e ospedale “. Un salto in avanti, visto che in gran parte d’Italia l’aborto chimico non è affatto considerato una pratica ambulatoriale, anzi è consentito in day-hospital soltanto in cinque regioni. E la Ru486 nei consultori è già finita nel mirino delle organizzazioni pro-life, che annunciano ricorsi al Tar e accusano il governatore Zingaretti di aver violato la legge 194\1978. Un nuovo “strappo” per i movimenti del Family Day, dopo il concorso indetto nei mesi scorsi all’ospedale San Camillo dedicato unicamente ai ginecologi non obiettori.

“All’articolo 8 – dice Olimpia Tarzia della lista Storace nel consiglio regionale – si afferma che l’aborto può essere praticato unicamente negli ospedali, o nei poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati”. In realtà, replica Anna Pompili, ginecologa, tra le ideatrici del progetto, “alcuni nostri consultori sono già dei poliambulatori, e sarà soltanto in queste strutture che si potrà fare l’aborto chimico”.

“Lavoro da molti anni nei reparti della 194 – ricorda Anna Pompili – e so quanto le donne sarebbero più serene se potessero affrontare l’interruzione di gravidanza in un luogo più appartato, dove si possa instaurare un vero rapporto con i medici”. E anche i rischi della pillola Ru486, secondo Anna Pompili sono un falso problema.

“L’obbligo di ricovero non è un fatto sanitario, è un fatto ideologico e politico, per rendere l’aborto un percorso gravoso per le donne. Come se dovessero essere punite di qualcosa. Noi non vogliamo banalizzare la scelta, ma rendere il tutto più umano. E la Ru486 è una pratica ambulatoriale, non ospedaliera”. Una volta accertata la gravidanza, entro le prime sette settimane, le donne potranno andare nei consultori, dove di fronte al personale sanitario prenderanno la pillola abortiva. Due giorni dopo dovranno tornare per ricevere il secondo farmaco, le prostaglandine, e una volta ultimato il percorso, torneranno al consultorio per essere visitate.

Certo resta aperta anche qui l’incognita dell’obiezione di coscienza. “Infatti è una sperimentazione – dice Cecilia D’Elia, consulente di Zingaretti per le politiche di genere – all’interno di un programma di rilancio globale dei consultori, che prevede ad esempio il test di gravidanza gratuito per le minorenni. All’estero ha funzionato, vedremo se anche l’Italia è pronta”.

Anna Rita Cillis e Maria Novella De Luca La Repubblica 5 aprile 2017

www.repubblica.it/salute/2017/04/05/news/la_pillola_dell_aborto_anche_in_consultorio_rivoluzione_nel_lazio-162223561/?ref=RHPPLF-BH-I0-C4-P6-S1.4-T1

 

Mai facile l’aborto. La Ru486 non è solo una pillola

L’aborto farmacologico non è l’aborto facile. Questa semplice verità la scriviamo e spieghiamo da anni sulle colonne di “Avvenire”, perché se è vero che non cambiano la natura e la gravità dell’atto abortivo a seconda del metodo usato – è sempre la soppressione di una vita umana, che lo si faccia per via chirurgica o medica – è altrettanto vero che l’idea dell’aborto poco gravoso, quello per cui basterebbe una pillola, è falsa e quindi ingannevole e pericolosa, e non solo dal punto di vista strettamente sanitario.

Dal momento in cui si assume il primo dei due farmaci abortivi – la famosa pillola Ru486 – non si può sapere se, quando e come avverrà l’espulsione dell’embrione: potrebbe accadere dopo qualche ora, il giorno successivo, oppure bisognerà assumere il secondo prodotto dopo 48 ore (le prostaglandine per espellere l’embrione), e aspettare ancora, di solito qualche ora, a volte anche qualche giorno. Servono antidolorifici, ci sono effetti collaterali che possono essere importanti, ed è necessario avere la possibilità di assistenza medica durante l’emorragia che inevitabilmente si avrà, più o meno pesante, e comunque in modo non prevedibile. Quanto alla mortalità, pur rara, è comunque di gran lunga maggiore (dieci volte, secondo la letteratura scientifica) rispetto a quella per aborto chirurgico: lo abbiamo visto, purtroppo, anche in Italia.

Pensare di trasferire questa procedura così incerta dall’ospedale al consultorio, come prospettato da qualche Regione in questi giorni, significa innanzitutto una sottovalutazione pericolosa dal punto di vista medico, dando per assodato che si tratta di un percorso semplice, che si può affrontare anche in strutture non attrezzate clinicamente, o persino a casa: l’aborto domestico, che si consuma fra il tinello e il bagno. Da sole, come fosse l’influenza. Sì, da sole, perché in questo modo il medico serve solo a dare le pillole, gli antidolorifici e il numero di telefono del pronto soccorso più vicino, e poi le donne non possono che andare a casa ad abortire, perché in consultorio non ci si può ricoverare, per definizione.

L’ospedalizzazione dell’aborto non è una punizione per chi sceglie di interrompere una gravidanza, né un «fatto politico», come irresponsabilmente è stato detto in questi giorni: è invece un’indicazione dettata da criteri di appropriatezza medica, come è evidente innanzitutto dalla stessa legge 194/1978 che l’aborto consente e regola.

Per l’aborto farmacologico in particolare il ricovero è stato previsto, qualche anno fa, da tre diversi pareri del Consiglio superiore di sanità – il più importante organo di consulenza scientifica del ministero della Salute -– che mantengono la loro validità, considerando che si stanno utilizzando sempre gli stessi prodotti abortivi, con gli stessi princìpi attivi, e che il corpo delle donne non è cambiato. Per la legge italiana abortire non è un atto medico privato, che riguarda solamente le singole donne che vi fanno ricorso, come fosse un qualsiasi intervento chirurgico, ma un problema sociale di cui tutti ci dobbiamo fare carico.

Per questo si può eseguire solamente in ospedali o poliambulatori del servizio pubblico, e non ci si può rivolgere ai privati, a prezzi di mercato, secondo la legge che lo regola e che non prevede certo i consultori per abortire, come invece qualche amministrazione sta dicendo in questi giorni, cercando di aggirare la 194 con una «sperimentazione» che sembra già decisa e di cui ci si è degnati appena di dare notizia sui giornali. Insomma, se abortire con una pillola può rappresentare nell’immaginario un aborto facile, trasferire il tutto in consultorio conferma l’idea, suggerendo tra l’altro una falsa analogia fra la pillola contraccettiva, spesso prescritta proprio in consultorio, e quella dichiaratamente abortiva, in un continuo di pillole apparentemente simili fra loro.

Ma l’aborto non sarà meno grave né gravoso per chi lo sceglie se mimetizzato in un ambiente più gradevole di un ospedale, e ‘concentrato’ in una semplice, rassicurante compressa. Anche la bugia dell’aborto facile ha le gambe corte

Assuntina Morresi Avvenire 7 aprile 2017

www.avvenire.it/opinioni/pagine/mai-facile-laborto

 

Vicariato Roma: pillola abortiva nei consultori lascia donna sola

«Profondo sconcerto e forte preoccupazione». La Diocesi di Roma reagisce così alla notizia dell’imminente sperimentazione della distribuzione della pillola abortiva Ru-486 nei consultori familiari della Regione Lazio» e alle motivazioni che si adducono per giustificarla. «Tale decisione – si legge in una nota diffusa questa mattina – «veicola il messaggio dell’aborto facile in un contesto di finta umanizzazione e rappresenta un passo ulteriore nella diffusione di una cultura della chiusura all’accoglienza della vita umana e della deresponsabilizzazione etica».

Dal Vicariato si mette l’accento sul fatto che «i consultori sono ormai quasi privi di personale e molti versano in stato di abbandono». Sono pertanto «ben lontani dall’offrire la dichiarata “assistenza multidisciplinare”» e «faticano ad assolvere al loro compito di sostegno, informazione e presa in carico della donna di fronte a una decisione sempre drammatica». Con questa scelta proposta dalla giunta Zingaretti «verranno ridotti a uffici di mera distribuzione di farmaci abortivi, acuendo nel loro personale le questioni relative all’obiezione di coscienza», prosegue la nota, evidenziando la contraddizione con uno degli obiettivi della legge 194/1978: quello della tutela sociale della maternità e della pianificazione di strategie di prevenzione che agiscano sulle cause culturali, economiche e psicologiche del ricorso all’aborto. «Strategie che proprio nei consultori dovrebbero trovare un luogo elettivo di realizzazione».

La preoccupazione riguarda anche «i rischi sanitari e la mortalità connessi all’utilizzo della pillola abortiva, notevolmente superiori a quello dell’aborto con procedura chirurgica». La stessa legge 194/1978 prevede all’articolo 8 che l’aborto avvenga in regime di ricovero a tutela della salute della donna. Non si tratta quindi di una scelta ideologica ma di una necessità «per la sicurezza della donna». Viene definito come “ideologico” invece «spacciare come “riorganizzazione della rete sanitaria della Regione Lazio” l’introduzione della Ru-486 nei consultori, distraendo l’attenzione mediatica dalle reali priorità della sanità laziale quali l’assistenza domiciliare che non decolla, i pronto soccorso intasati, le infinite liste di attesa, la mancata presa in carico degli anziani e dei disabili».

L’aborto – afferma la nota del Vicariato – «rappresenta sempre una sconfitta per tutti, e nella solitudine delle pareti domestiche questa esperienza, che viene propagandata come facile e sicura, diventa ancor più devastante e dolorosa». Di qui la richiesta alle autorità regionali di «riconsiderare tale decisione che avrebbe come vero risultato, da una parte, apportare un ulteriore danno alla percezione del valore della vita umana come bene comune e, dall’altra, lasciare una volta di più la donna sola ad affrontare il dramma dell’aborto».

Notiziario Radio vaticana -6 aprile 2017 http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

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ADDEBITO

Si può andare via di casa se il coniuge tradisce.

Corte di Cassazione, prima Sezione, civile Sentenza n. 7469, 23 marzo 2017.

Infedeltà: non c’è addebito della separazione a carico di chi abbandona la casa coniugale se l’altro commette adulterio. Non è obbligatorio vivere sotto lo stesso tetto di chi commette adulterio: così, in caso di infedeltà, il coniuge tradito può andare via di casa senza perciò rischiare l’addebito nella successiva separazione. Questo perché la convivenza è diventata intollerabile non già a seguito dell’abbandono dell’abitazione, ma per la relazione extraconiugale. A chiarirlo è la Cassazione con una recente sentenza. La Corte non fa che ribadire un orientamento ormai costante: in presenza di due comportamenti posti da tutti e due i coniugi ed entrambi contrari alle regole del matrimonio, la separazione va addebitata a colui che, per primo, con la propria condotta, ha decretato la fine dell’unione. È questo comportamento, infatti, a rendere l’altrui violazione non già causa, ma conseguenza di una situazione ormai irrimediabilmente compromessa. Tradotto in termini concreti: si può andare via di casa se il coniuge tradisce.

Il tradimento è una violazione sufficientemente grave per far presumere che la fine della comunione materiale e spirituale tra i coniugi sia dovuta ad esso. Per cui, chi vuol addebitare la separazione all’altro coniuge andato via di casa deve anche dimostrare che il precedente tradimento era stato perdonato e che la coppia non era in crisi: insomma, deve dimostrare al giudice che l’infedeltà era stata superata e che la separazione è stata determinata unicamente dall’abbandono del tetto coniugale. In assenza di tale prova, se il tradimento è anteriore, il coniuge fedifrago subirà l’addebito.

La Cassazione chiarisce questi aspetti dando un importante suggerimento pratico per tutti quei casi in cui il marito o la moglie scopre il tradimento del coniuge: non c’è bisogno di scrivere una lettera o firmare un accordo per ufficializzare la crisi e formalizzare la propria decisione di andare via di casa. Si può sbattere la porta in faccia all’infedele e non tornare più senza alcun rischio nella successiva causa di separazione.

È legittimo l’allontanamento dalla casa coniugale legato alla scoperta della relazione del coniuge con un’altra persona, vera causa della fine del rapporto che giustifica l’abbandono del tetto.

L’allontanamento dalla casa coniugale – commenta la Cassazione nel caso di specie – non costituisce «violazione del dovere di coabitazione, essendo stato determinato dalla scoperta di una relazione intrapresa dal coniuge con un’altra persona, e individuando proprio in tale circostanza la causa dei litigi tra i coniugi e dell’irreversibile crisi del nucleo familiare, con la conseguente addebitabilità della separazione» al fedifrago.

Redazione LPT 9 aprile 2017

Sentenza www.laleggepertutti.it/157219_si-puo-andare-via-di-casa-se-il-coniuge-tradisce

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ADOZIONI

Arriva la banca dati delle adozioni, ma non ci sono più coppie che vogliono adottare

Tutti i 29 Tribunali dei Minorenni d’Italia hanno finalmente installato il sistema informatico necessario per avviare la Banca dati dei minori adottabili, prevista da una legge del 2001. Lo ha comunicato il Dipartimento per la Giustizia Minorile. Che ha anche comunicato gli ultimi dati sulle adozioni nazionali e internazionali, relativi al 2015. Rispetto al picco storico, la disponibilità delle coppie italiane ad adottare si è dimezzata

Dopo sedici anni la Banca Dati dei Minorenni adottabili e delle coppie disponibili all’adozione sta per diventare realtà. Tutti i 29 Tribunali per i Minorenni italiani hanno installato il sistema operativo necessario per il funzionamento delle Banca Dati. A prevederla è l’art. 40 della legge 149, approvata il 28 marzo 2001, anche se il processo venne avviato solo nel febbraio 2013, dopo che una sentenza del Tar del Lazio obbligò il Ministero della Giustizia a istituirla. Un anno fa, intervenendo in Commissione Giustizia, il ministro Orlando disse che il processo di informatizzazione dei Tribunali per i minorenni era «quasi concluso», con «25 dei 29 Tribunali per i minorenni» collegati. Il processo di informatizzazione «sarà completato entro il prossimo 30 settembre 2016», disse il ministro Orlando.

Nei giorni scorsi finalmente, nell’audizione presso il Dipartimento della Giustizia Minorile del Gruppo CRC, l’allora Capo Dipartimento Francesco Cascini (da metà marzo ai vertici del Dipartimento c’è Gemma Tuccillo) ha confermato appunto che il sistema operativo è stato installato in tutti i 29 Tribunali. Non significa ancora che la Banca Dati è in funzione, ma visto quanto tempo è stato necessario per arrivare fin qui è un mezzo traguardo. La Banca dati dei minori dichiarati adottabili e delle coppie aspiranti all’adozione dovrebbe permettere di incrociare le caratteristiche dei bambini adottabili e delle coppie disponibili ad adottare su tutto il territorio nazionale, realizzando così il migliore abbinamento possibile per ciascun bambino.

Cosa c’è (ci sarà) nella Banca Dati? Aggiornata con cadenza trimestrale, la banca dati contiene i seguenti dati personali: per i minori dichiarati adottabili, dati anagrafici, condizioni di salute, famiglia di origine ed eventuale esistenza di fratelli, attuale sistemazione, precedenti collocamenti, provvedimenti dell’autorità giudiziaria minorile, dati contenuti nei certificati del casellario giudiziale per i minorenni e ogni altra informazione idonea al miglior esito del procedimento. Per i coniugi aspiranti all’adozione nazionale e internazionale e persone singole disponibili all’adozione darà dati anagrafici, residenza, domicilio, recapito telefonico, stato civile, stato di famiglia, dati anagrafici, condizioni di salute, condizioni economiche, caratteristiche socio demografiche della famiglia, motivazioni, altri procedimenti di affidamento o di adozione ed il relativo esito, dati contenuti nei certificati del casellario giudiziale e ogni altra informazione idonea al miglior esito del procedimento. L’accesso alle informazioni contenute nella banca dati è riservato ai magistrati dei tribunali per i minorenni e delle procure presso i tribunali per i minorenni cui sia attribuita la trattazione dello specifico procedimento di adozione.

Nella medesima riunione con il Gruppo CRC, il Dipartimento della Giustizia Minorile ha comunicato anche i dati relativi alle adozioni per l’anno 2015: le sentenze di adozione nazionale sono state 1.057 nel 2015, più 938 affidamenti preadottivi. I minori dichiarati adottabili con genitori ignoti (quindi in prevalenza neonati per cui la madre ha scelto il parto in anonimato) sono stati 257 e 1.088 le dichiarazioni di adottabilità di minori con genitori noti, quindi tolti ai genitori che erano incapaci di prendersene cura. Quanto alle adozioni internazionali invece nel 2015 ci sono state 1.741 adozioni di minori stranieri, più 81 affidamenti preadottivi di minori stranieri. Sono invece 174 i riconoscimenti di adozioni pronunciate da paesi stranieri per italiani residenti all’estero.

Le domande di disponibilità all’adozione nazionale e internazionale pervenute nel 2015 sono state 9.007, di cui 3.668 per minori stranieri. I decreti di idoneità all’adozione di minori stranieri sono stati 2.929. Le domande di “adozione in casi particolari” secondo l’articolo 44 lettera b) ovvero domanda di adozione da parte del coniuge nel caso in cui il minore sia figlio – anche adottivo – dell’altro coniuge sono state 462 e 266 secondo l’articolo 44 lettera d), quando cioè vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo. Questi dati, un tempo pubblicati sul sito del Dipartimento stesso, sono disponibili a tutti nel sito del Centro Europeo di Studi di Nisida incardinato all’interno Dipartimento (e qui in allegato). Ed ecco quindi che è possibile, grazie alle tavole storiche, leggere alcuni trend.

www.centrostudinisida.it/Statistica/Adozione_affidamento.html

Le dichiarazioni di adottabilità di minori con genitori ignoti sono in calo: in crescita fra il 2001 e il 2007, anno del loro picco massimo (642), i minori abbandonati stanno calando ogni anno. In crescita invece le dichiarazioni di adottabilità di minori con genitori noti: nel 2001 erano 769, nel 2015 sono saliti a 1.088. La punta massima è stata nel 2014 con 1.222 dichiarazioni di adottabilità. Complessivamente in Italia i minori adottabili erano 1.096 nel 2001 e sono stati 1.345 nel 2015.

I genitori disponibili ad adottare sono molti più dei minori adottabili, come detto più volte: per 1.345 minori adottabili nel 2015 sono state presentate 9.007 domande di disponibilità all’adozione di minori italiani, le ormai note sette coppie per ciascun minore. Le disponibilità all’adozione nazionale sono però molto in calo: rispetto al 2006, anno del massimo storico, quando erano state 16.538 le coppie disponibili ad adottare un minore con l’adozione nazionale, significa un -45%. Sostanzialmente stabili invece le domande di adozione di minori italiani in casi particolari (art.44 L.184/83). Nel 2015, nel delicato compito di incrociare i bisogni dei bambini e le disponibilità delle famiglie, sono stati adottati 1.057 minori più 621 con l’articolo 44. Ovviamente le dichiarazioni di adottabilità e adozioni dell’anno non sono sovrapponibili, ma da questo dato deriva quella cifra più volte ripetuta dal ministro Orlando: 1.345 minori adottabili in un anno e 1.057 adottati significa che 300 minori circa ogni anno non trovano una famiglia disponibile ad accoglierli.

Lo stesso calo drastico della disponibilità all’adozione c’è nelle adozioni internazionali. Anche qui nulla di nuovo, ma dalle 8.274 domande di disponibilità e idoneità all’adozione di minori stranieri presentate nel 2004 si è scesi nel 2015 a 3.668: significa -55%. I decreti di idoneità all’adozione internazionale effettivamente rilasciati sono passati 6.441 del 2006 ai 2.929 del 2015, con un calo del 54%

Sara De Carli vita.it 6 aprile 2016

www.vita.it/it/article/2017/04/06/arriva-la-banca-dati-delle-adozioni-ma-non-ci-sono-piu-coppie-che-vogl/142987

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Cile, 76 bambini adottati nel 2016 e già altri 30 aspettano una famiglia

Si definisce il quadro delle adozioni dei minori cileni realizzate nell’ultimo anno. Il Sename (Servizio Nacional de Menores), l’Autorità Centrale di Santiago per la protezione dei diritti dei bambini che si occupa anche di adozioni, ha infatti diffuso i dati relativi al 2016.

I bambini cileni adottati dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016 sono stati 473. Di questi, 397 hanno trovato una nuova famiglia in patria, mentre i restanti 76 sono stati accolti da un papà e una mamma provenienti da un altro Paese.

Per quanto riguarda nello specifico le adozioni internazionali, il Sename nota come sia stata predominante l’adozione di coppie di fratelli, ben 21. A cui bisogna aggiungere le 4 fratrie composte da 3 membri ciascuna. L’età media dei minori cileni adottati da famiglie straniere nel 2016 è stata di 7 anni: il più piccolo aveva 4 anni e 5 mesi (membro di una fratria), i più grandi 10 anni e 5 mesi, mentre l’età che si è registrata più spesso tra i piccoli accolti all’estero è stata di 7/8 anni.

Con quelli del 2016, sale a 8.750 il numero di bambini cileni che hanno trovato una nuova famiglia dall’inizio del nuovo millennio. Si tratta di 7.229 minori accolti da genitori loro connazionali e di 1.521 bambini adottati da papà e mamme provenienti dall’estero. L’ultimo anno ha però fatto registrare un calo rispetto a quello precedente: il totale dei piccoli adottati è calato infatti del 7% (da 510 a 473). Nello specifico, i minori accolti in adozione nazionale sono scesi da 408 a 397 (-2,7%), mentre quelli adottati da famiglie straniere sono calati da 102 a 76 (-25,5%).

Decremento che non ha però toccato Amici dei Bambini. Le adozioni realizzate da Ai.Bi. nel Paese sudamericano hanno infatti “tenuto” negli ultimi anni: 56 i piccoli cileni che hanno trovato una famiglia in Italia con Ai.Bi. dal 2013 al 2016, con una media di 14 all’anno piuttosto costante per tutti i 4 anni.

Per quanto riguarda il nuovo anno, il Sename rivela che, a fine marzo, sta lavorando per trovare una famiglia a 30 bambini, di cui 10 minori di 6 anni, 15 tra i 6 e gli 8 anni e 5 tra i 9 e gli 11 anni. Sono 80 invece le famiglie attualmente in lista di attesa, di cui ben 33 disponibili all’accoglienza di coppie di fratelli e 72 aperte all’adozione di bambini più grandi di 6 anni.

Di recente, infine, il Sename ha fornito aggiornamenti anche sul “Sistema Informatico Integral de Adoption” (Siia), il nuovo sistema integrato in grado di rendere più snelle le procedure adottive che si spera possa dare il proprio contributo a invertire la rotta del calo delle adozioni. Nel concreto, il Siia raccoglierà e connetterà i dati relativi alla ricerca e selezione delle famiglie accoglienti, al processo giuridico e amministrativo di adozione, alla ricerca delle origini e all’adeguatezza delle coppie di aspiranti genitori. Il Sistema permetterà quindi di migliorare numerose operazioni, tra cui il controllo dei documenti legali, la valutazione tecnica delle coppie, la fase di post-adozione e il monitoraggio delle procedure. Il tutto con lo scopo di ridurre i tempi tecnici, ottimizzare i processi, rafforzare la rete tra i vari settori coinvolti e limitare il più possibile l’utilizzo di materiale cartaceo, potendo operare direttamente sulla piattaforma telematica.

News Ai. Bi. 6 aprile 2017

www.aibi.it/ita/cile-473-bambini-adottati-nel-2016-76-grazie-alladozione-internazionale

 

Moldova. Ai.Bi. riaccreditata fino al 31 gennaio 2018

Dall’Europa dell’Est arriva un importante riconoscimento al positivo lavoro svolto da Amici dei Bambini al fianco dell’infanzia più fragile. Ai.Bi. è stata infatti riaccreditata a operare nel settore delle adozioni internazionali in Moldova: accreditamento valido fino al 31 gennaio 2018. Il nostro ente potrà dunque continuare ad aiutare i bambini moldavi orfani o abbandonati a trovare una nuova famiglia in Italia.

Si tratta di un risultato raggiunto grazie allo storico impegno di Ai.Bi. in Moldova, ampiamente riconosciuto dalla sezione Adozione del ministero del Lavoro, della Protezione sociale e della Famiglia, Autorità Centrale moldava per le adozioni internazionali.

Ai.Bi. ottiene dunque ancora una volta il riaccreditamento che, nel Paese ex sovietico, ha durata annuale. Amici dei Bambini potrà quindi continuare a lavorare in Moldova nell’ambito del sistema delle adozioni internazionali riformato dalla legge del 2011, modificata e integrata nel 2012 e poi entrata in vigore nella forma attuale nel 2013 – dopo 3 anni di chiusura delle procedure adottive verso i Paesi esteri – e centrata principalmente attorno a 2 aspetti.

  1. L’istituzione dell’Autorità Centrale a cui spetta il compito di esaminare il dossier delle coppie straniere. Gli abbinamenti sono poi proposti dal Consiglio Consultivo per le Adozioni, un organo composto da rappresentanti dei ministeri del Lavoro, Protezione sociale e Famiglia e della Giustizia e Società civile. Oltre agli abbinamenti, tale Consiglio esamina anche i casi di separazione delle fratrie.

  2. La nuova legge introduce un iter procedurale diverso per i bambini con bisogni speciali. Questi ultimi potranno seguire una corsia “prioritaria” e quindi essere adottati entro 6 mesi dalla definizione del loro status di adottabili. I gruppi di fratelli, inoltre, non potranno essere separati, tranne che in alcuni casi eccezionali, con l’avviso positivo da parte del Consiglio Consultivo per le Adozioni.

Le adozioni in Moldova sono aperte alle coppie sposate da almeno 3 anni, con un’età minima di 25 anni e una differenza di età rispetto al minore che si intende adottare compresa tra 18 e 48 anni. Tre i viaggi previsti per portare a termine l’iter: il primo di 30 giorni, il secondo di 3-5 giorni nel corso dei quali si svolge l’udienza di adozione, il terzo di circa 10 giorni. Otto invece le relazioni psico-sociali, corredate da foto, da inviare nel percorso di post-adozione.

Dalla riapertura delle adozioni internazionali in Moldova, Ai.Bi. ha dato una famiglia italiana a 4 bambini provenienti dal Paese ex-sovietico e, al momento, altri 5 minori abbinati a famiglie di Ai.Bi. stanno completando la procedura adottiva per approdare finalmente nella loro nuova casa italiana. La notizia del riaccreditamento si inserisce quindi in un quadro positivo che caratterizza il lavoro di Ai.Bi. nell’Est Europa negli ultimi anni. Dal 1° gennaio 2011 a fine marzo 2017, infatti, Ai.Bi. ha trovato una famiglia adottiva italiana a ben 275 minori provenienti dai 10 Paesi dell’Est Europa in cui Amici dei Bambini è accreditata a operare.

News Ai. Bi. 3 aprile 2017

www.aibi.it/ita/moldova-ai-bi-riaccreditata-fino-al-31-gennaio-2018

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AFFIDO CONDIVISO

I figli restano ai servizi sociali se la madre continua a ostacolare i rapporti col padre

Corte d’appello di Roma, Sezione Famiglia, sentenza n. 1927, 23 marzo 2017

La Corte ritiene imprescindibile per la revoca del provvedimento disposto in primo grado un mutamento significativo di condotta da parte del genitore alienante. Per tornare a dare fiducia a un genitore e revocare l’affidamento dei suoi figli ai servizi sociali è necessario verificare in concreto un cambiamento significativo della sua condotta, dimostrabile attraverso l’unico risultato della fuoriuscita dei piccoli dalla conflittualità genitoriale.

La Corte d’Appello di Roma ha così confermato l’affidamento ai servizi sociali di due bambine, disposto dal Tribunale con collocamento presso la madre e frequentazione del padre con modalità protette sino all’esito del procedimento penale su di lui pendente. A chiedere in secondo grado la riforma di tale decisione era stata la madre, che, tuttavia, è tornata a casa con un netto diniego da parte del giudice dell’impugnazione. Tale particolare ed eccezionale forma di affidamento, infatti, era stata disposta anche a causa delle gravi responsabilità della donna nella determinazione sia della condizione di disagio personale delle figlie che delle difficoltà relazionali tra queste ultime e la figura paterna.

In mancanza di un cambio di rotta significativo da parte della madre, circostanza che non permette di accordarle nuovamente una piena e incondizionata fiducia circa la sua capacità di crescere adeguatamente e per il meglio le bambine in maniera autonoma, restano non solo l’affido delle minori ai servizi sociali e le limitazioni alla responsabilità genitoriale, ma anche le prescrizioni sul percorso psicoterapeutico già intrapreso e le sanzioni di ammonimento e pecuniarie inflitte alla madre per garantire la salvaguardia del benessere psicofisico delle figlie e la conservazione e lo sviluppo della loro relazione con l’altro genitore.

Valeria Zeppilli Newsletter Studio Cataldi 3 aprile 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25663-figli-l-affido-del-minore-resta-ai-servizi-sociali-se-il-genitore-non-merita-fiducia.asp

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ALIENAZIONE GENITORIALE

L’alienazione genitoriale non è una “patologia” ma un comportamento illecito.

Il termine alienazione genitoriale – se non altro per la prevalente e più accreditata dottrina scientifica e per la migliore giurisprudenza – non integra una nozione di patologia clinicamente accertabile, bensì un insieme di comportamenti posti in essere dal genitore collocatario per emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale; condotte che non abbisognano dell’elemento psicologico del dolo essendo sufficiente la colpa o la radice anche patologia delle condotte medesime.

In caso di azione infondata posta in essere dal genitore che abbia attuato comportamenti alienanti, si impone una pronuncia di condanna ex art. 96 comma III c.p.c., registrandosi un grave abuso dello strumento processuale. In particolare, l’azione promossa dalla madre, la quale proponga ricorso contro il padre, per questioni relative ai figli, e risulti poi essere l’autrice di comportamenti alienanti, è da ritenere processualmente viziata da colpa grave e come tale meritevole di sanzione ex art. 96 comma III c.p.c.

dr Giuseppe Buffone Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 17026 – 4 aprile 2017

Testo integrale http://mobile.ilcaso.it/sentenze/ultime/17026/FamigliaMinori

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AMORIS LÆTITIA

Intervista. Baldisseri: «Con Amoris Lætitiapiù vicini a chi soffre»

Il segretario generale del Sinodo dei vescovi: un anno dopo la pubblicazione cresce l’interesse anche fuori dalla Chiesa. Ma ci vorrà ancora tempo per scandagliarne tutta l’importanza

«Un dono per i credenti, un grande aiuto per le persone che si interrogano sul significato del matrimonio, un tesoro da cui si può attingere a piene mani». Così il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi, sintetizza il valore di Amoris Lætitia nel primo anniversario della sua pubblicazione (8 aprile 2016)

Un anno dopo cos’è cambiato per le famiglie del mondo?

Credo che la lettura e l’approfondimento dell’Amoris Lætitia siano per le famiglie di oggi un forte incoraggiamento ad andare avanti con fede nella loro vita quotidiana. Il documento è inoltre un aiuto per riscoprire le risorse di amore presenti dentro di loro ed attorno a loro, spesso sopite da tante vicissitudini della vita. Si percepisce una maggiore vicinanza della Chiesa alle famiglie, soprattutto a quelle che si trovano a vivere maggiori difficoltà, proprio a partire da quando papa Francesco ha voluto porre al centro dell’attenzione pastorale della Chiesa la famiglia. La centralità dell’amore e la necessità di una preparazione più adeguata al sacramento del matrimonio sono molto apprezzate e stanno divenendo oggetto di un nuovo orientamento pastorale nelle diocesi e nelle parrocchie.

Dal suo osservatorio, come valuta l’accoglienza dell’Esortazione post-sinodale nei vari continenti?

A pubblicazione avvenuta la Segreteria generale del Sinodo dei vescovi ha chiesto alle Conferenze episcopali di tutto il mondo ed anche ai singoli vescovi di inviare informazioni sulla ricezione del documento. Si domandava pure di segnalare le iniziative intraprese per l’approfondimento e l’applicazione dei suoi contenuti. Sino ad oggi è pervenuto un buon numero di risposte che è in continuo aumento. Vorrei sottolineare il contributo della Conferenza episcopale italiana (Cei), che presenta innumerevoli iniziative di qualità promosse da tutte le componenti del panorama ecclesiale del Paese. Nelle risposte pervenute si evidenzia come in molte parti del mondo si siano organizzati incontri, seminari di studio, convegni e assemblee sull’Esortazione apostolica postsinodale. Invitato personalmente a tenere conferenze e relazioni sul Sinodo e sull’Amoris laetitia, ho partecipato ad alcune di queste iniziative, sia in Italia che all’estero, e quindi sono testimone che i vescovi sono molto attenti ed impegnati nel promuovere la ricezione del documento pontificio da parte dei presbiteri e di tutto il popolo di Dio. La pastorale in genere e quella della famiglia in particolare ne ha avuto grandi benefici, in particolare le parrocchie, i gruppi e i movimenti che si occupano della famiglia. Non meno rilevanti sono le indicazioni concrete date da diversi episcopati circa le modalità di applicazione del documento, in particolare per quanto riguarda il capitolo VI, circa le prospettive pastorali, e il capitolo VIII, concernente l’accompagnamento, il discernimento e l’integrazione delle persone che vivono in situazioni di fragilità. È rilevante che l’Amoris Lætitia ha suscitato notevole interesse dentro e fuori della Chiesa con un’accoglienza generalmente positiva. Essa costituisce un dono per i credenti, un grande aiuto per le persone che si interrogano sul significato del matrimonio nei contesti dei vari paesi.

Ci può indicare tre punti dell’Esortazione che, a suo parere, non sono stati ancora adeguatamente scandagliati?

Al di là di quanto viene riportato dai media, che puntano l’attenzione quasi esclusivamente sul capitolo VIII, in realtà, la ricchezza e l’ampiezza dei contenuti dell’Amoris Lætitia è tale che essa si presenta come un tesoro da cui si può attingere a piene mani. Certo che ci vorrà tempo per scandagliarne tutta la sua portata. Mi riferisco, per esempio, alle indicazioni che papa Francesco propone circa la spiritualità della vita familiare che possono essere ulteriormente approfondite. Spesso ci si ferma ai problemi con cui la famiglia si trova confrontata e si cerca una soluzione in chiave sociologica. Si dimentica che solo una spiritualità profonda, ancorata nella persona di Gesù e nella lettura della Parola, potrà fornire la base necessaria affinché la vita familiare si costruisca in maniera solida. Anche le proposte che il Papa suggerisce circa l’educazione dei figli costituiscono una luce non indifferente per quanti sono impegnati in questo campo. E non solo per i genitori, ma anche per tutti gli educatori. Anche in questo ambito papa Francesco parla con un linguaggio immediato, a partire dall’esperienza della vita quotidiana. Parla di situazioni concrete, comprensibili da tutti e indica strade che tutti possono seguire. Recentemente, nella visita alla città di Milano, rispondendo alla domanda di una coppia di genitori durante l’incontro tenutosi allo stadio con i cresimandi, papa Francesco ha sottolineato l’importanza dell’esempio da dare, dicendo che i bambini nelle famiglie captano tutto, gioie, tristezze, preoccupazioni. Sono intuitivi e sanno tirare conclusioni che possono incidere sulla loro crescita. E raccomanda di aver cura del loro cuore, della loro gioia, della loro speranza.

Lei che ha analizzato in profondità le richieste sintetizzate nei questionari inviati alla Segreteria del Sinodo da ogni parte del mondo, si sente di affermare che la Chiesa, con la Relazione finale e poi con Amoris Lætitia, abbia fornito risposte adeguate a quanto auspicato dalla “base”?

Sono convinto che il Sinodo sulla famiglia, svoltosi in due tappe e conclusosi con l’Esortazione apostolica postsinodale Amoris Lætitia, ha dato una risposta pastorale forte che ha toccato tutta la Chiesa, a partire dalla base, che l’auspicava ardentemente. L’applicazione richiede tempo, c’è bisogno di adeguare le pastorali esistenti ad una visione ampia e integrativa nel rispetto dei contenuti della fede e delle situazioni delle persone e delle istituzioni di oggi.

È vero che nelle risposte ai questionari ci sono state anche richieste molto più “avanzate”, soprattutto per quanto riguarda l’integrazione della situazioni difficili, rispetto a quanto poi deciso?

Quanto è emerso dalle risposte ai questionari è confluito negli Instrumentum laboris rispettivi dei due Sinodi e ne è stato tenuto conto dai padri sinodali delle due Assemblee senza preclusioni. Come risulta dall’Amoris Lætitia, il Papa ne ha usufruito abbondantemente anche con lunghe citazioni.

Rispetto a Familiaris consortio, ritiene che Amoris Lætitia possa essere definita più efficacemente “evoluzione coerente” o “progressione coraggiosa”?

Penso che, coerentemente con quanto avviene nella Tradizione della Chiesa, Amoris Lætitia sia in continuità con il magistero precedente, e quindi anche con la Familiaris consortio, che viene citata 27 volte, 21 in maniera diretta più altre 6 volte all’interno di altri documenti riportati nel testo.

Luciano Moia Avvenire 4 aprile 2017

www.avvenire.it/chiesa/pagine/con-amoris-laetitia-pi-vicini-a-chi-soffre

 

La recezione di Amoris Lætitia(/13): un “evento linguistico”, 365 giorni dopo

E’ passato un anno dall’8 aprile 2016, giorno in cui AL venne presentata per la prima volta alla attenzione di tutti i suoi potenziali lettori, in una memorabile Conferenza Stampa tenuta dal Cardinale Ch. Schoenborn. Fin dalle prime frasi del suo discorso di allora emerse con grande chiarezza uno dei punti caratteristici del documento, forse la sua novità più decisiva: ossia il suo carattere di “evento linguistico”.

Riascoltiamo alcune parole di quella mattina, che sottolineano appunto questo carattere di novità: “Per me Amoris Lætitiaè perciò soprattutto, e in primo luogo, un “avvenimento linguistico”, così come lo è già stato l’Evangelii gaudium. Qualcosa è cambiato nel discorso ecclesiale. Questo cambiamento di linguaggio era già percepibile durante il cammino sinodale. Fra le due sedute sinodali dell’ottobre 2014 e dell’ottobre 2015 si può chiaramente riconoscere come il tono sia divenuto più ricco di stima, come si siano semplicemente accolte le diverse situazioni di vita, senza giudicarle o condannarle subito.

In Amoris Lætitiaquesto è divenuto il continuo tono linguistico. Dietro di ciò non c’è ovviamente solo un’opzione linguistica, bensì un profondo rispetto di fronte ad ogni uomo che non è mai, in primo luogo, un “caso problematico” in una “categoria”, ma una persona inconfondibile, con la sua storia e il suo percorso con e verso Dio.

In Evangelii gaudium Papa Francesco diceva che dovremmo toglierci le scarpe davanti al terreno sacro dell’altro (EG 36). Quest’atteggiamento fondamentale attraversa tutta l’Esortazione. Ed esso è anche il motivo più profondo per le altre due parole chiave: discernere e accompagnare. Tali parole non valgono solo per le “cosiddette situazioni irregolari” (Papa Francesco sottolinea questo “cosiddette”!), ma valgono per tutti gli uomini, per ogni matrimonio, per ogni famiglia. Tutti, infatti, sono in cammino e tutti hanno bisogno di “discernimento” e di ”accompagnamento”.

La mia grande gioia per questo documento sta nel fatto che esso coerentemente superi l’artificiosa, esteriore, netta divisione fra “regolare” e “irregolare” e ponga tutti sotto l’istanza comune del Vangelo, secondo le parole di San Paolo: “Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia!” (Rom 11, 32).

Questo continuo principio dell’”inclusione” preoccupa ovviamente alcuni. Non si parla qui in favore del relativismo? Non diventa permessivismo la tanto evocata misericordia? Non esiste più la chiarezza dei limiti che non si devono superare, delle situazioni che oggettivamente vanno definite irregolari, peccaminose?

Quest’Esortazione non favoreggia un certo lassismo, un “everything goes”? La misericordia propria di Gesù non è invece, spesso, una misericordia severa, esigente? Per chiarire ciò: Papa Francesco non lascia nessun dubbio sulle sue intenzioni e sul nostro compito:

“Come cristiani non possiamo rinunciare a proporre il matrimonio allo scopo di non contraddire la sensibilità attuale, per essere alla moda, o per sentimenti di inferiorità di fronte al degrado morale e umano. Staremmo privando il mondo dei valori che possiamo e dobbiamo offrire. Certo, non ha senso fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare qualcosa. Neppure serve pretendere di imporre norme con la forza dell’autorità. Ci è chiesto uno sforzo più responsabile e generoso, che consiste nel presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia, così che le persone siano più disposte a rispondere alla grazia che Dio offre loro” (AL 35).”

Questo carattere sorprendente – che Schoenborn correttamente chiama con il termine “avvenimento linguistico” – mette immediatamente in correlazione diretta Amoris Lætitia, e tutto il magistero di Francesco, con il Concilio Vaticano II, che un grande storico come J. O’Malley ha definito “evento linguistico”. Il cambiamento di linguaggio del magistero è iniziato più di 50 anni fa e da un anno trova una sua pietra miliare nel documento sulla “gioia dell’amore”. Cambiare linguaggio non è cosa da poco. Costituisce il passaggio necessario quando ci si accorge che la tradizione ha bisogno di traduzione. Di questo si convinse allora papa Giovanni e il Concilio Vaticano II. Di questo è convinto oggi papa Francesco. Tradurre la tradizione non è però soltanto evento linguistico. Deve farsi anche conversione della sensibilità, riforma delle procedure e aggiornamento delle istituzioni.

Le resistenze, che inevitabilmente si fanno sentire su questi piani “ulteriori”, trovano sul piano “linguistico” la loro origine. Infatti a partire dall’8 aprile dell’anno scorso abbiamo sentito alcune voci, più o meno isolate, lamentare la “confusione”, la “mancanza di chiarezza”, la “contraddittorietà” del testo di AL. Oppure abbiamo visto i tentativi, a volte goffi e a volte comici, di depurare AL di ogni novità linguistica. Qui, come è evidente, non si concepisce neppure che possa esservi un “evento linguistico” nella storia della Chiesa. Si pensa soltanto che la Chiesa sia padrona di un “linguaggio tecnico” con cui possa direttamente misurare tutto, la famiglia come il ministero, la vita come la morte, gli uomini come le donne.

Il Concilio e papa Francesco – sulle orme della grande tradizione – ci offrono un modello meno violento e meno idealizzato di magistero. Per questo sanno di dover tradurre, necessariamente e provvidenzialmente. E il primo passo è “convertire il linguaggio”. A un anno da quella prima lettura, rileggere AL è salutare e consolante. Abbiamo tra le mani un capolavoro di traduzione della tradizione. Che darà frutti belli e buoni. Dopo un anno ha iniziato a cambiare il linguaggio e a dare il gusto dell’accompagnamento, del discernimento e della integrazione. E ha già prodotto sensibilità nuove e procedure inedite. Ma sia chiaro: perché queste parole qualificanti di AL possano “entrare a regime” occorrono alla Chiesa quelle virtù che papa Francesco ha indicato in uno dei suoi più bei discorsi recenti – ossia quello al Collegio degli Scrittori della Civiltà Cattolica: inquietudine, incompletezza e immaginazione sono le nuove frontiere per una vera comprensione ecclesiale della “gioia dell’amore”. Chi non è inquieto, chi si sente completo e chi non ha bisogno di immaginazione, non capisce AL. Anzi la fraintende e resta fermo. Ma il primato della realtà e del tempo sono più forti e più gioiosi.

Andrea Grillo blog Come se non 8 aprile 2017

www.cittadellaeditrice.com/munera/la-recezione-di-amoris-laetitia-13-un-evento-linguistico-365-giorni-dopo

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Anche il genitore meno abbiente è obbligato al mantenimento dei figli.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 8633, 3 aprile 2017,

Nel caso di maggiore capacità economica di uno dei due genitori, vi è comunque l’obbligo per entrambi di contribuire al mantenimento dei figli. Per la quantificazione dell’assegno di mantenimento si deve avere riguardo all’esigenze dei figli e al tenore di vita da essi goduto durante la convivenza dei genitori.

Anche il genitore meno abbiente è obbligato al mantenimento dei figli

Nel caso di maggiore capacità economica di uno dei due genitori, vi è comunque l’obbligo per entrambi di contribuire al mantenimento dei figli. Per la quantificazione dell’assegno di mantenimento si deve avere riguardo all’esigenze dei figli e al tenore di vita da essi goduto durante la convivenza dei genitori.

Servizio newsletter Sugamele.it. 4 aprile 2017

Testo www.divorzista.org/sentenza.php?id=13502

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter n. 13/2017, 5 aprile 2017

Dall’estero: Migliorare le cure per il fine vita. Un contributo dell’Aspen Institute Health Strategy Group. Invecchiamento e cure continuative per persone non autosufficienti sono un problema globale, che interessa, con maggiore o minore urgenza, tutto il mondo – compresi i Paesi in via di sviluppo e ad alta natalità, in cui la percentuale di persone anziane sta comunque crescendo. Questa centralità strategica – anche economica – è confermata dall’attenzione dell’Aspen Institute, che nel 2016 ha istituito negli Stati Uniti un gruppo di lavoro sul tema delle cure per il fine vita. Particolarmente interessante notare che il Gruppo di lavoro è stato coordinato da due ex-ministri della Sanità, uno di parte repubblicana (Tommy G. Thompson, amministrazione Bush), l’altra dell’amministrazione Obama (Kathleen Sebelius). L’Health Strategy Group dell’Aspen Institute ha organizzato un expert meeting nel giugno 2016, con relazioni di esperti di diversa estrazione, da cui è stato realizzato un documento di sintesi (Improving Care at the End of the Life), che indica cinque priorità operative (Five Big Ideas). 1. Costruire lo sviluppo e l’aggiornamento di un piano avanzato di cure per l’intero ciclo di vita; 2. Ridefinire la copertura del Medicare (il sistema di accesso alle cure pubbliche in uso negli Stati Uniti) in modo da renderlo più adeguato ai complessi bisogni di cura delle persone con gravi patologie. 3. Sviluppare una serie di indicatori di misurazione delle cure del fine vita, utilizzabili per rendicontazione, trasparenza, miglioramento e copertura dei costi. 4. Incrementare il numero e la varietà delle professioni sanitarie capaci di rispondere ai crescenti bisogni della popolazione anziana; 5. Sostenere modelli comunitari che includano modifiche sostanziali nella progettazione e nell’erogazione delle cure per persone con gravi patologie. [Link in inglese].

Roma -Dublino: Definitive le date del nono incontro mondiale delle famiglie, che si terrà a Dublino (Irlanda) dal 21 al 26 agosto 2018. Tema: “Il vangelo della famiglia: gioia per il mondo“.

[Lettera di Papa Francesco al Card. Kevin Farrell, Prefetto del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita]. Inviata il25 marzo 2017.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2017/documents/papa-francesco_20170325_incontro-mondiale-famiglie.html

Dall’Italia: Nella coppia parità di istruzione ma non di reddito. Un intervento su www.lavoce.info.“Le donne superano ormai gli uomini per il livello di istruzione, ma i loro redditi da lavoro rimangono ancora sensibilmente inferiori a quelli dei loro partner. Un interessante commento del sito lavoce.info ai recenti dati ISTAT”.

www.lavoce.info/archives/45845/nella-coppia-parita-di-istruzione-ma-non-di-reddito

Festival biblico 2017: 18-28 maggio 2017: “in viaggio”, a Vicenza e in decine di altre città: “Felice chi ha la strada nel cuore”. Il Festival Biblico è nato così: dall’idea di uscire e incontrare. Un pomeriggio di primavera del 2002, il titolare della libreria San Paolo che affaccia sul centralissimo corso Palladio di Vicenza notò che, sebbene i passanti non mancassero, solo una piccola parte entrava nella libreria o si fermava a curiosarne la vetrina. Si domandò come mai accadesse questo e che cosa potesse fare lui per cambiare le cose. Gli venne un’illuminazione: cambiare la prospettiva. Perché non uscire dal negozio e andare incontro alla gente? sufficiente rimanere fermi ad attendere le persone e che sarebbe stato più interessante e costruttivo spostarsi, mettersi in movimento. […]sufficiente rimanere fermi ad attendere le persone e che sarebbe stato più interessante e costruttivo spostarsi, mettersi in movimento. […]

Riordino delle agevolazioni fiscali e sostegno alla famiglia. Andrà tutto bene? Sintetica tavola rotonda radiofonica, su Radio Vaticana, sulle ipotesi di modifica/riordino delle agevolazioni fiscali, in cui si teme che gli interventi sulla famiglia possano essere anche ridimensionati, oltre che riorganizzati. Tra le voci interpellate anche il Direttore Cisf (Francesco Belletti).

http://it.radiovaticana.va/news/2017/03/31/def,_in_arrivo_il_riordino_delle_agevolazioni_fiscali/1302552

Segnalazione di alcuni volumi (pochi e selezionati)

 

Romano Laura, Pozzetti Roberto, Gaia di nome. I disturbi alimentari nell’adolescenza, Il Ciliegio Edizioni, Lurago d’Erba (CO), 2016, pp. 190, € 14,00.

I disturbi del comportamento alimentare rappresentano – nel mondo occidentale odierno – un’emergenza e, contemporaneamente, un inquietante interrogativo. Sono infatti condotte che suscitano interesse sia perché attengono al corpo (che nella società occidentale contemporanea è fatto oggetto di un’attenzione ossessiva e ossessionante), sia perché appaiono per certi versi inspiegabili, dati gli esiti talvolta drammatici della loro evoluzione. Beneficiare, nella loro interpretazione così come nel loro trattamento, di un approccio multidisciplinare. È proprio da tale considerazione che è nato questo saggio, scritto a quattro mani da una consulente educativa e da uno psicanalista, i cui capitoli teorici sono preceduti dal racconto di una immaginaria biografia di una ragazza affetta da un sintomo anoressico/bulimico. La contaminazione fra discipline diverse consente quindi di leggere in modo complementare le questioni legate all’identità di genere, alla corporeità, alle relazioni e di proporre interventi – ambulatoriali e residenziali, clinici ed educativo-riabilitativi – attenti alla complessità della persona e del suo contesto di vita. Un saggio che intende illustrare non solo le cause, ma anche i possibili rimedi a questo male di vivere.

Save the date

Nord: 7th Community, Work and Family Conference,convegno internazionale (programma e lavori in inglese) organizzato dal Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica, Milano, 25-27 maggio 2017 (con workshop pre-evento il 24 maggio 2017).

Centro: Se la coppia riscopre la forza del noi. 39° seminario “La comunicazione nella coppia”, Pro Civitate Christiana, Assisi, 28 aprile – 1 maggio 2017.

Vincolo coniugale e carattere sacramentale: una nuova corporeità (The conjugal bond and sacramental character: a new corporality), IV colloquio internazionale di Teologia sacramentaria, Istituto Giovanni Paolo II, Roma, 28 aprile 2017.

Sud: Minori Stranieri Non Accompagnati: accoglienza, problematiche, prospettive, Convegno internazionale promosso da Confederazione Nazionale delle Misericordie d’Italia, Confraternita di Misericordia di Modica, Consorzio “Opere di Misericordia” e PRATI-CARE Onlus (sono previsti ECM per assistenti sociali) – Ispica (Ragusa), 26 – 28 maggio 2017.

Estero: Personhood, Family, Society: Global challenges, Global responses.(Persona, Famiglia, Società: sfide globali, risposte globali), II Transatlantic Summit, promosso dal Political Network for Values, Bruxelles, 27-28 aprile 2017.

Testo e link integrali http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/aprile2017/1036/index.html

http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

Iscrizione alle newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

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CINQUE PER MILLE

Pubblicato l’elenco permanente degli iscritti

L’elenco, pubblicato sul sito dell’Agenzia delle Entrate, comprende gli enti che nel 2016 hanno regolarmente prodotto la domanda di iscrizione e la successiva dichiarazione sostitutiva, in presenza dei requisiti prescritti, e che quindi non devono ripresentare istanza per il 2017. Ma sono comunque soggetti annualmente a verifica in ordine alla persistenza dei requisiti per l’ammissione al contributo.

www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/Nsilib/Nsi/Home/CosaDeviFare/Richiedere/Iscrizione+elenchi+5+per+mille+2017/InfoGen_5permille2017/

Al via le iscrizioni per gli enti fuori dall’elenco permanente.

I “nuovi partecipanti” hanno tempo fino all’8 maggio, attraverso i canali telematici dell’Agenzia delle Entrate. La domanda nel 2017 deve essere presentata: dagli enti di nuova costituzione, dagli enti che non si sono iscritti per il 2016, e dagli enti non regolarmente iscritti o privi dei requisiti nel 2016.

Tutti i chiarimenti nella Circolare 31 marzo 2017 n. 5.

http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/nsilib/nsi/documentazione/provvedimenti+circolari+e+risoluzioni/circolari/indice+circolari

News Non profit online 6 aprile 2017

http://camonl.fotonica.com/viewnews.ashx?ca=29933&id=49479328

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COGNOME

Doppio cognome: quanto dobbiamo ancora aspettare?

Doppio cognome: un Tavolo tecnico per l’applicazione degli effetti immediati e l’attuazione della sentenza della Corte costituzionale n. 286, 21 dicembre 2016

www.dirittoegiustizia.it/allegati/9/0000075794/Corte_Costituzionale_sentenza_n_286_16_depositata_il_21_dicembre.html

La Rete per la Parità continua, anche attraverso le associazioni aderenti, nel suo impegno per far conoscere e rispettare gli effetti immediati e quelli rinviati a una futura legge della sentenza della Corte costituzionale 286/2016. Ieri (6 marzo 2017) l’associazione, con una lettera al Presidente del Consiglio, alla Ministra per i Rapporti con il Parlamento e alla Sottosegretaria con delega alle Pari Opportunità, ha chiesto un tavolo tecnico con la partecipazione, anche attraverso propri delegati, dei Ministri dell’interno, della Giustizia, per gli Affari esteri, del MIUR, per gli Affari regionali con delega in materia di politiche per la famiglia, per i Rapporti con il Parlamento, nonché della Sottosegretaria di recente delegata alle Pari Opportunità e della Garante per l’infanzia e l’adolescenza, che assicuri la corretta e tempestiva applicazione della sentenza in merito al diritto ora riconosciuto ai genitori che di comune accordo chiedono per il nuovo nato il doppio cognome e sulle questioni che la Corte ha rinviato al legislatore predisponga un testo normativo (preferibilmente un decreto legge) senza rinvii a successivi provvedimenti, in considerazione della “indifferibilità” dell’intervento legislativo.

“A oltre due mesi dalla data di pubblicazione della sentenza,- dichiara la presidente della Rete per la Parità Rosanna Oliva de Conciliis (il secondo cognome è quello della madre, da lei aggiunto sui social dall’otto novembre, data della decisione della Corte) continuano a comparire informazioni inesatte e soltanto pochi Comuni hanno aggiornato le procedure delle dichiarazioni di nascita per far conoscere e rendere effettivo il diritto ora riconosciuto ai genitori che di comune accordo intendono attribuire al nuovo nato entrambi i loro cognomi. Nulla risulta sul doppio cognome nel caso di genitori adottivi. Inoltre sugli aspetti che richiedono un intervento normativo è evidentemente superato il testo approvato alla Camera nel 2014, all’esame della Commissione Giustizia del Senato, che perpetua discriminazioni e stereotipi che formalmente dichiara di voler abbattere, non tutela prioritariamente il diritto del figlio all’identità, non scioglie le questioni tecniche e rinvia l’effettiva applicazione ad un successivo regolamento, da emanare entro un anno.”

“Non è questo il modo – conclude Rosanna Oliva de Conciliis, di assicurare ai genitori i diritti direttamente riconosciuti dalla sentenza e di dare seguito al monito della Corte, che dichiara indifferibile l’intervento del legislatore. L’Associazione ritiene che la parità tra i genitori e il rispetto all’identità attraverso il nome, costituzionalmente tutelati, debbano trovare immediata, puntuale e completa applicazione, non solo per rimuovere gli ostacoli che, di fatto, impediscono l’uguaglianza donna-uomo, compito attribuito alla Repubblica dal secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione, ma anche perché questi ostacoli costituiscono l’humus culturale per dolorosi fenomeni come quello della violenza contro le donne, che vanno estirpati anche mediante azioni della scuola.” www.reteperlaparita.it

Redazione Week n.13 Anno XII – 4 Aprile 2017 www.noidonne.org/blog.php?ID=07965

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Roma 1. Via della Pigna 13a. Seminario su La resilienza

La resilienza è stata definita recentemente come la capacità di fronteggiare le difficoltà, di assumere un atteggiamento ottimistico di fronte alla vita e accogliere i momenti di crisi come delle opportunità di crescita.

Tale atteggiamento, pur essendo innato, può essere bloccato o sviluppato. Il seminario si propone di lavorare su di sé per riappropriarsi della propria resilienza a livello cognitivo, con una corretta auto-osservazione e con l’analisi di come essa si è andata nascondendo o manifestando nel corso della propria vita.

Questa riscoperta porterà ad una maggiore creatività e positività di fronte agli ostacoli e alle sofferenze che la vita inevitabilmente reca con sé.

Finalità del Seminario: si rivolge a tutte le persone che desiderano avvicinarsi a questo argomento e sono disposte a compiere un lavoro su sé stesse. Oltre alle spiegazioni necessarie per approfondire l’argomento proposto, ci saranno degli esercizi di autoconoscenza in relazione alla propria resilienza.

L’esperienza è aperta a ogni tipo di persona, età e condizione.

Il Seminario prevede 6 incontri a cadenza quindicinale il giovedì, dalle 16.30 alle 19.00, nei seguenti giorni: 27 aprile, 4-11–18–25 maggio e 8 giugno 2017.

Iscrizioni entro il 21 aprile 2016 (minimo 10 iscritti)

Animerà il Seminario la dott.ssa Marzia Pileri, psicoterapeuta, consulente familiare, guida di Meditazione. Per informazioni in dettaglio ww.centrolafamiglia.org/seminario-la-resilienza

 

On-line le relazioni del recente XXXI Seminario

Si possono consultare le registrazioni video delle relazioni e le presentazioni del recente XXXI Seminario di formazione permanente “Siamo la memoria che abbiamo. Senza la memoria non esistiamo. La memoria nel qui ed ora della consulenza familiare” utilizzando i seguenti collegamenti a YouTube:

www.centrolafamiglia.org/line-le-relazioni-presentazioni-del-nostro-recente-xxxi-seminario-formazione-permanente

 

XX anniversario del Centro di Consulenza familiare di Viale della Primavera

“Provo un grande senso di gratitudine e di tenerezza verso Maria e Gigi Avanti che hanno creduto in questo servizio e hanno dedicato la loro passione e il loro tempo perché si potesse offrire un contributo qualificato e costante anche nella periferia di Roma. Sono davvero delle colonne della nostra storia, fedeli fin dalle origini, generosi e competenti. In una parola testimoni. Accanto a loro una splendida equipe di uomini e donne che hanno accettato di donare il loro tempo e una pezzetto della loro vita a servizio delle persone e della famiglia. Grazie di vero cuore. p. Alfredo Feretti, omi”

www.chttp://www.centrolafamiglia.org/xx-anniversario-del-centro-consulenza-familiare-viale-della-primavera

 

Sedi e Centri Collegati

  • Balduina: Centro di Consulenza Familiare c/o Parrocchia S. Pio X° Via Attilio Friggeri, 87

  • Centocelle: Centro di Consulenza Familiare “Viale della Primavera”, Viale della Primavera, 43

  • Flaminio: Centro per la famiglia c/o Parrocchia S. Croce al Flaminio, Via Guido Reni 2/D

  • Laurentina: Centro di Consulenza Familiare c/o Parrocchia di San Virgilio, Via Paolo di Dono s.n.c.

  • Nuovo Salario: Centro Consulenza Familiare c/o Parrocchia S.Maria della Speranza,v.Coccu Ortu 19

  • Monteverde: Centro di consulenza familiare c/o Parrocchia Regina Pacis, Via Maurizio Quadrio 21

  • Centro di consulenza familiarec/o Parrocchia S. Giulio, Via Francesco Maidalchini 17

  • San Pietro: Centro di Consulenza Familiare c/o Parrocchia di S. Gregorio VII, Via Gregorio VII, 6

  • Talenti: Centro Consulenza Familiare c/o Parrocchia S.Giovanni Crisostomo, Via E. De Marchi, 60

  • Tor Bella Monaca: Centro Consulenza familiare, c/o Centro S.Giovanni Antida, Via Archeologia 159

  • Villanuova di Guidonia: Consultorio Familiare “Familiaris Consortio”, Via Mazzini, 1.

www.centrolafamiglia.org/sedi-e-centri-collegati

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CONVIVENZA

 

Mi spetta l’assegno di mantenimento?

 

Cessata la convivenza, il convivente economicamente debole non ha diritto a essere mantenuto dall’altro: non può dunque fare causa e chiedere il pagamento di un assegno di mantenimento.

 

Con la riforma attuata con la legge Cirinnà, le coppie di fatto sono divenute oggetto di un’apposita regolamentazione che prevede due diversi scaglioni di tutela: quella prevista dalla legge (che si applica in automatico) e quella, ulteriore, che i partner possono stabilire firmando un contratto di convivenza. Il contratto di convivenza va infatti a integrare la disciplina legale, stabilendo ulteriori diritti e doveri a carico della coppia di conviventi e, di fatto, personalizzandoli alle rispettive esigenze e aspettative, come quella della previsione del pagamento di un assegno di mantenimento.

 

Sul punto rinviamo all’articolo Convivenza: cosa conviene fare? (Link)

 

www.laleggepertutti.it/148277_convivenza-cosa-conviene-fare

 

L’unica cosa che non può stabilire il contratto di convivenza è imporre l’obbligo di fedeltà: in caso di tradimento del convivente non vi sono infatti alcune conseguenze né rimedi legali. Diverso – dicevamo – è il caso degli alimenti: l’assegno di mantenimento al convivente è dovuto solo se lo prevede il contratto di convivenza.

 

La legge non stabilisce alcun obbligo di pagare l’assegno di mantenimento al convivente di fatto. Una volta venuta meno l’unione, il convivente con un reddito più basso non ha diritto a essere mantenuto dall’altro: non può neanche fare una causa per chiedere il pagamento di un assegno di mantenimento dimostrando la propria difficoltà economica. Tuttavia, i conviventi possono prevedere, nel contratto di convivenza, il pagamento di una somma di denaro (periodico o in un’unica soluzione) a tutela del soggetto economicamente più debole. Si tratta, insomma, di un mantenimento vero e proprio, equiparabile a quello previsto per le coppie sposate che scatta, però, solo se previsto di comune accordo dai partner. Dunque la differenza tra il mantenimento per le coppie sposate e quelle di conviventi è la seguente: se per le coppie sposate, in caso di mancato accordo sull’ammontare del mantenimento, è il giudice che provvede e determina l’importo da versare all’ex con il reddito più basso, per le coppie non sposate invece il tribunale non può mai intervenire in assenza di una specifica e preventiva intesa tra i due sul punto. In altre parole, o i conviventi si accordano precedentemente – nel contratto di convivenza – sulla corresponsione dell’assegno di mantenimento e sulla sua misura, oppure non possono poi correre ai ripari con un giudizio. Il giudice può condannare al versamento del mantenimento solo se previsto nel contratto di convivenza.

 

In particolare, il contratto di convivenza può prevedere – ma non è obbligatorio che lo faccia – il pagamento di una somma di denaro a titolo di mantenimento dell’altro convivente privo di reddito adeguato. Il contratto può stabilirne l’ammontare, le modalità di pagamento (ad es. in un’unica soluzione o a rate), la durata (ad es. per un periodo pari a quello di durata della convivenza) e le modalità di effettuazione (ad es. assegno circolare o bonifico bancario);

 

Il contratto di convivenza può anche disporre la sorte della casa in cui svolgeva la vita di coppia (anche se il proprietario è uno solo o se la casa è in locazione). È possibile prevedere un periodo di tempo durante il quale l’ex convivente può continuare ad abitare nella casa comune, fino a che non abbia trovato un nuovo alloggio.

 

Diverso è il caso del mantenimento dei figli, per i quali invece permane l’obbligo di provvedere alla relativa crescita e istruzione, in base alle rispettive capacità economiche. In caso di disaccordo tra i conviventi può intervenire il giudice fissando l’assegno di mantenimento per i figli (da versare all’ex coniuge finché questi sono minorenni e non ne chiedono il pagamento nelle proprie mani).

 

La legge inoltre non prevede neanche la possibilità di chiedere un risarcimento del danno a causa della cessazione della convivenza neanche se questa avviene per volontà unilaterale di uno dei due partner, senza preavviso o con modalità brusche (si pensi al caso del tradimento). La giurisprudenza ha infatti precisato come la cessazione di un rapporto di convivenza, non accompagnato da violenze, non genera mai un illecito verso l’altro convivente, essendo la convivenza, per sua natura, un rapporto libero, che può venir meno in qualsiasi momento.

 

Redazione LPT 9 aprile 2017

 

www.laleggepertutti.it/157312_convivenza-mi-spetta-lassegno-di-mantenimento

 

 

 

Tradimento del convivente

 

Il convivente infedele non subisce sanzioni o conseguenze in caso di tradimento: ciò vale anche nel caso in cui sia stato firmato un contratto di convivenza. La legge Cirinnà ha disciplinato – dopo numerosi anni di lacuna normativa – le convivenze, ossia i rapporti tra persone non sposate che, tuttavia, formano una famiglia di fatto basata sulla stabile coabitazione e sulla reciproca assistenza morale e materiale. I conviventi godono di una serie di diritti riconosciuti loro dalla legge a seguito della progressiva equiparazione alle coppie sposate attuata nelle aule giudiziarie. Tutto ciò che non è espressamente disciplinato dalla legge può essere, peraltro, integrato dai conviventi firmando un contratto di convivenza, accordo che può disciplinare una serie di aspetti relativi all’unione e al caso di cessazione dell’unione (come l’assegno di mantenimento).

 

Ma, tra questi aspetti, resta completamente escluso il capitolo fedeltà: in altri termini nel caso di tradimento del convivente non vi sono né tutele previste dalla legge, né altre forme di garanzia che i partner possono legittimamente inserire nel contratto di convivenza. Sicché si può dire che la vera differenza tra la coppia sposata e quella non sposata sta proprio in questa: se nella prima il tradimento è considerato un illecito, nella seconda non lo è.

 

Già prima della legge Cirinnà, la prassi notarile escludeva che un contratto tra conviventi potesse implicare la limitazione della libertà del singolo convivente di avere un rapporto con una persona diversa rispetto al partner abituale. Oggi questa circostanza è stata avvalorata dalla riforma che nulla ha disposto per il caso di tradimento del convivente. Pertanto, in assenza di disposizioni normative, non è possibile collegare alcuna conseguenza all’infedeltà. Né si ritiene lecito il contratto di convivenza qualora vada a regolare i diritti o rapporti personali, in quanto ciò limiterebbe la libertà del singolo convivente.

 

In particolare il contratto di convivenza non può contenere: un obbligo reciproco di fedeltà; allo stesso modo non può imporre un risarcimento del danno a carico del convivente infedele, né può subordinare il diritto a ricevere una prestazione patrimoniale al rispetto della fedeltà.

 

Detto in termini più pratici, nonostante il fatto che la legge non prevede l’obbligo di fedeltà tra conviventi, tale obbligo non può neanche essere previsto spontaneamente dai conviventi stessi firmando un accordo. Accordo che, pertanto, sarebbe nullo. Insomma, il tradimento del convivente resta impunito o impunibile. Non è peraltro dovuto alcun risarcimento del danno o un assegno di mantenimento se la convivenza cessa per tradimento.

 

Il convivente può liberamente tradire il partner senza che da ciò possano derivare per lui conseguenze civili, penali o ammnistrative. Fra l’altro il recesso dal contratto di convivenza può anche essere unilaterale. In deroga alla disciplina relativa a tutti gli altri contratti previsti dal diritto civile – in base alla quale ci si può sciogliere da un accordo solo se c’è la volontà di entrambi i firmatari o in caso di inadempimento di uno dei due, ma mai unilateralmente – nel caso di contratto di convivenza, il recesso deciso da uno solo dei due partner è sempre lecito anche senza un preavviso. Uno dei conviventi può decidere di porre fine al contratto di convivenza dichiarando di volere recedere unilateralmente dal “patto”. La decisione può essere presa in ogni momento, senza necessità di rispettare alcuna formalità.

 

Se i conviventi hanno dei figli, la cessazione produce effetti simili a quelli derivanti dalla separazione o dal divorzio. Il riferimento è al diritto agli alimenti per i bambini che dovranno essere mantenuti da entrambi i genitori nei limiti delle rispettive possibilità economiche. In caso di disaccordo ci si reca dal giudice che fisserà la misura dell’assegno di mantenimento a carico di uno dei due (colui che non vi coabita quotidianamente).

 

Redazione LPT 9 aprile 2017

 

http://www.laleggepertutti.it/157310_tradimento-del-convivente

 

 

 

Convivenza: restituzione dei soldi per spese e acquisti

 

Se non c’è stata una donazione espressa, si può chiedere la restituzione dei soldi spesi solo quando questi hanno comportato un rilevante sacrificio economico. Immaginiamo che, in occasione dell’inizio di una convivenza stabile e duratura sotto lo stesso tetto, una coppia di partner decida di affrontare determinate spese per la casa, per l’arredo e la mobilia, per l’auto e per tutte le altre necessità di vita quotidiana comune. Anche il convivente non proprietario dell’appartamento paga una parte dei costi per la ristrutturazione e per le suppellettili. Spinti dall’entusiasmo e dal reciproco amore, i partner non fanno un conteggio analitico degli esborsi sostenuti da ciascuno dei due né firmano una scrittura privata per la restituzione dei soldi per spese e acquisti in caso di cessazione della convivenza. Cosa prevede la legge in questi casi? È possibile chiedere il rimborso dei soldi spesi in occasione della convivenza? In che termini è possibile avere un risarcimento? La risposta, in questi casi, viene fornita dalla giurisprudenza che ha ormai equiparato totalmente la posizione dei conviventi a quella delle coppie sposate (tranne che per l’obbligo di fedeltà, che non vale per i primi). Vediamo dunque cosa potrebbe succedere in un caso come quello esemplificato qui sopra se, al termine della convivenza, uno dei due dovesse agire per ottenere un rimborso dei soldi anticipati per i bisogni comuni.

 

Secondo la Cassazione [sent. n. 1277/2014, n. 3713/2003, n. 11330/2009], in caso di convivenza, non è possibile ottenere la restituzione dei soldi per spese e acquisti. Questo perché la convivenza di fatto è considerata – al pari della famiglia fondata sul matrimonio – una formazione sociale da cui derivano doveri morali e sociali. Tali doveri influiscono anche sui rapporti di natura patrimoniale. Il convivente pertanto non può chiedere il rimborso di spese e acquisti effettuati nel corso o in relazione alla convivenza. Così non è dovuta la restituzione dei soldi investiti nella casa comune, per l’acquisto o la ristrutturazione. Né si può mettere in discussione la proprietà dell’immobile inizialmente nella titolarità di uno solo dei due conviventi, che rimane quindi solo di quest’ultimo.

 

Cessata la convivenza, i beni mobili e gli arredi possono essere divisi – se comprati con soldi di entrambi (ad esempio una vendita a rate) – solo nella misura in cui non siano facilmente asportabili (così ad esempio non è per la cucina o per quei mobili incorporati come il condizionatore). Se invece acquistati con i soldi di uno solo dei due a quest’ultimo spetta la restituzione [Cassazione sent. n. 28718/2013].

 

Tuttavia se un convivente effettua un sacrificio economico sproporzionato, senza con ciò voler fare una donazione e senza ricevere altrettanto in cambio, può esercitare l’azione di arricchimento senza causa per ottenere un congruo indennizzo e riequilibrare il rilevante ed ingiustificato spostamento patrimoniale [Cass. Sent. n. 18632/2015, n. 25554/2011]. Egli deve agire entro massimo 10 anni dal momento dell’acquisto (e non dalla cessazione della convivenza), scaduti i quali il diritto alla restituzione delle spese e degli acquisti fatti per la convivenza si prescrive. È ad esempio il caso in cui partecipi a ingenti investimenti immobiliari dell’altro convivente, o paghi una parte del prezzo di acquisto della casa (per ottenere la restituzione dei soldi, però, è necessario che la somma investita superi i limiti di proporzionalità e adeguatezza comparati alle condizioni sociali e patrimoniali dei conviventi).

 

Invece se i soldi o gli acquisti sono frutto di una donazione, questa non può essere revocata. Se si tratta però di donazione di soldi o di oggetti di importo non modico, la donazione può essere annullata se non è stata effettuata davanti al notaio. Infatti solo la donazione di valore modesto può avvenire con la semplice consegna del bene o della somma; in tutti gli altri casi è necessario l’atto pubblico (rogito notarile).

 

Redazione LPT 9 aprile 2017

 

www.laleggepertutti.it/157314_convivenza-restituzione-dei-soldi-per-spese-e-acquist

CONVIVENZA

Mi spetta l’assegno di mantenimento?

Cessata la convivenza, il convivente economicamente debole non ha diritto a essere mantenuto dall’altro: non può dunque fare causa e chiedere il pagamento di un assegno di mantenimento.

Con la riforma attuata con la legge Cirinnà, le coppie di fatto sono divenute oggetto di un’apposita regolamentazione che prevede due diversi scaglioni di tutela: quella prevista dalla legge (che si applica in automatico) e quella, ulteriore, che i partner possono stabilire firmando un contratto di convivenza. Il contratto di convivenza va infatti a integrare la disciplina legale, stabilendo ulteriori diritti e doveri a carico della coppia di conviventi e, di fatto, personalizzandoli alle rispettive esigenze e aspettative, come quella della previsione del pagamento di un assegno di mantenimento.

Sul punto rinviamo all’articolo Convivenza: cosa conviene fare? (Link)

www.laleggepertutti.it/148277_convivenza-cosa-conviene-fare

L’unica cosa che non può stabilire il contratto di convivenza è imporre l’obbligo di fedeltà: in caso di tradimento del convivente non vi sono infatti alcune conseguenze né rimedi legali. Diverso – dicevamo – è il caso degli alimenti: l’assegno di mantenimento al convivente è dovuto solo se lo prevede il contratto di convivenza.

La legge non stabilisce alcun obbligo di pagare l’assegno di mantenimento al convivente di fatto. Una volta venuta meno l’unione, il convivente con un reddito più basso non ha diritto a essere mantenuto dall’altro: non può neanche fare una causa per chiedere il pagamento di un assegno di mantenimento dimostrando la propria difficoltà economica. Tuttavia, i conviventi possono prevedere, nel contratto di convivenza, il pagamento di una somma di denaro (periodico o in un’unica soluzione) a tutela del soggetto economicamente più debole. Si tratta, insomma, di un mantenimento vero e proprio, equiparabile a quello previsto per le coppie sposate che scatta, però, solo se previsto di comune accordo dai partner. Dunque la differenza tra il mantenimento per le coppie sposate e quelle di conviventi è la seguente: se per le coppie sposate, in caso di mancato accordo sull’ammontare del mantenimento, è il giudice che provvede e determina l’importo da versare all’ex con il reddito più basso, per le coppie non sposate invece il tribunale non può mai intervenire in assenza di una specifica e preventiva intesa tra i due sul punto. In altre parole, o i conviventi si accordano precedentemente – nel contratto di convivenza – sulla corresponsione dell’assegno di mantenimento e sulla sua misura, oppure non possono poi correre ai ripari con un giudizio. Il giudice può condannare al versamento del mantenimento solo se previsto nel contratto di convivenza.

In particolare, il contratto di convivenza può prevedere – ma non è obbligatorio che lo faccia – il pagamento di una somma di denaro a titolo di mantenimento dell’altro convivente privo di reddito adeguato. Il contratto può stabilirne l’ammontare, le modalità di pagamento (ad es. in un’unica soluzione o a rate), la durata (ad es. per un periodo pari a quello di durata della convivenza) e le modalità di effettuazione (ad es. assegno circolare o bonifico bancario);

Il contratto di convivenza può anche disporre la sorte della casa in cui svolgeva la vita di coppia (anche se il proprietario è uno solo o se la casa è in locazione). È possibile prevedere un periodo di tempo durante il quale l’ex convivente può continuare ad abitare nella casa comune, fino a che non abbia trovato un nuovo alloggio.

Diverso è il caso del mantenimento dei figli, per i quali invece permane l’obbligo di provvedere alla relativa crescita e istruzione, in base alle rispettive capacità economiche. In caso di disaccordo tra i conviventi può intervenire il giudice fissando l’assegno di mantenimento per i figli (da versare all’ex coniuge finché questi sono minorenni e non ne chiedono il pagamento nelle proprie mani).

La legge inoltre non prevede neanche la possibilità di chiedere un risarcimento del danno a causa della cessazione della convivenza neanche se questa avviene per volontà unilaterale di uno dei due partner, senza preavviso o con modalità brusche (si pensi al caso del tradimento). La giurisprudenza ha infatti precisato come la cessazione di un rapporto di convivenza, non accompagnato da violenze, non genera mai un illecito verso l’altro convivente, essendo la convivenza, per sua natura, un rapporto libero, che può venir meno in qualsiasi momento.

Redazione LPT 9 aprile 2017

www.laleggepertutti.it/157312_convivenza-mi-spetta-lassegno-di-mantenimento

 

Tradimento del convivente

Il convivente infedele non subisce sanzioni o conseguenze in caso di tradimento: ciò vale anche nel caso in cui sia stato firmato un contratto di convivenza. La legge Cirinnà ha disciplinato – dopo numerosi anni di lacuna normativa – le convivenze, ossia i rapporti tra persone non sposate che, tuttavia, formano una famiglia di fatto basata sulla stabile coabitazione e sulla reciproca assistenza morale e materiale. I conviventi godono di una serie di diritti riconosciuti loro dalla legge a seguito della progressiva equiparazione alle coppie sposate attuata nelle aule giudiziarie. Tutto ciò che non è espressamente disciplinato dalla legge può essere, peraltro, integrato dai conviventi firmando un contratto di convivenza, accordo che può disciplinare una serie di aspetti relativi all’unione e al caso di cessazione dell’unione (come l’assegno di mantenimento).

Ma, tra questi aspetti, resta completamente escluso il capitolo fedeltà: in altri termini nel caso di tradimento del convivente non vi sono né tutele previste dalla legge, né altre forme di garanzia che i partner possono legittimamente inserire nel contratto di convivenza. Sicché si può dire che la vera differenza tra la coppia sposata e quella non sposata sta proprio in questa: se nella prima il tradimento è considerato un illecito, nella seconda non lo è.

Già prima della legge Cirinnà, la prassi notarile escludeva che un contratto tra conviventi potesse implicare la limitazione della libertà del singolo convivente di avere un rapporto con una persona diversa rispetto al partner abituale. Oggi questa circostanza è stata avvalorata dalla riforma che nulla ha disposto per il caso di tradimento del convivente. Pertanto, in assenza di disposizioni normative, non è possibile collegare alcuna conseguenza all’infedeltà. Né si ritiene lecito il contratto di convivenza qualora vada a regolare i diritti o rapporti personali, in quanto ciò limiterebbe la libertà del singolo convivente.

In particolare il contratto di convivenza non può contenere: un obbligo reciproco di fedeltà; allo stesso modo non può imporre un risarcimento del danno a carico del convivente infedele, né può subordinare il diritto a ricevere una prestazione patrimoniale al rispetto della fedeltà.

Detto in termini più pratici, nonostante il fatto che la legge non prevede l’obbligo di fedeltà tra conviventi, tale obbligo non può neanche essere previsto spontaneamente dai conviventi stessi firmando un accordo. Accordo che, pertanto, sarebbe nullo. Insomma, il tradimento del convivente resta impunito o impunibile. Non è peraltro dovuto alcun risarcimento del danno o un assegno di mantenimento se la convivenza cessa per tradimento.

Il convivente può liberamente tradire il partner senza che da ciò possano derivare per lui conseguenze civili, penali o ammnistrative. Fra l’altro il recesso dal contratto di convivenza può anche essere unilaterale. In deroga alla disciplina relativa a tutti gli altri contratti previsti dal diritto civile – in base alla quale ci si può sciogliere da un accordo solo se c’è la volontà di entrambi i firmatari o in caso di inadempimento di uno dei due, ma mai unilateralmente – nel caso di contratto di convivenza, il recesso deciso da uno solo dei due partner è sempre lecito anche senza un preavviso. Uno dei conviventi può decidere di porre fine al contratto di convivenza dichiarando di volere recedere unilateralmente dal “patto”. La decisione può essere presa in ogni momento, senza necessità di rispettare alcuna formalità.

Se i conviventi hanno dei figli, la cessazione produce effetti simili a quelli derivanti dalla separazione o dal divorzio. Il riferimento è al diritto agli alimenti per i bambini che dovranno essere mantenuti da entrambi i genitori nei limiti delle rispettive possibilità economiche. In caso di disaccordo ci si reca dal giudice che fisserà la misura dell’assegno di mantenimento a carico di uno dei due (colui che non vi coabita quotidianamente).

Redazione LPT 9 aprile 2017

http://www.laleggepertutti.it/157310_tradimento-del-convivente

 

Convivenza: restituzione dei soldi per spese e acquisti

Se non c’è stata una donazione espressa, si può chiedere la restituzione dei soldi spesi solo quando questi hanno comportato un rilevante sacrificio economico. Immaginiamo che, in occasione dell’inizio di una convivenza stabile e duratura sotto lo stesso tetto, una coppia di partner decida di affrontare determinate spese per la casa, per l’arredo e la mobilia, per l’auto e per tutte le altre necessità di vita quotidiana comune. Anche il convivente non proprietario dell’appartamento paga una parte dei costi per la ristrutturazione e per le suppellettili. Spinti dall’entusiasmo e dal reciproco amore, i partner non fanno un conteggio analitico degli esborsi sostenuti da ciascuno dei due né firmano una scrittura privata per la restituzione dei soldi per spese e acquisti in caso di cessazione della convivenza. Cosa prevede la legge in questi casi? È possibile chiedere il rimborso dei soldi spesi in occasione della convivenza? In che termini è possibile avere un risarcimento? La risposta, in questi casi, viene fornita dalla giurisprudenza che ha ormai equiparato totalmente la posizione dei conviventi a quella delle coppie sposate (tranne che per l’obbligo di fedeltà, che non vale per i primi). Vediamo dunque cosa potrebbe succedere in un caso come quello esemplificato qui sopra se, al termine della convivenza, uno dei due dovesse agire per ottenere un rimborso dei soldi anticipati per i bisogni comuni.

Secondo la Cassazione [sent. n. 1277/2014, n. 3713/2003, n. 11330/2009], in caso di convivenza, non è possibile ottenere la restituzione dei soldi per spese e acquisti. Questo perché la convivenza di fatto è considerata – al pari della famiglia fondata sul matrimonio – una formazione sociale da cui derivano doveri morali e sociali. Tali doveri influiscono anche sui rapporti di natura patrimoniale. Il convivente pertanto non può chiedere il rimborso di spese e acquisti effettuati nel corso o in relazione alla convivenza. Così non è dovuta la restituzione dei soldi investiti nella casa comune, per l’acquisto o la ristrutturazione. Né si può mettere in discussione la proprietà dell’immobile inizialmente nella titolarità di uno solo dei due conviventi, che rimane quindi solo di quest’ultimo.

Cessata la convivenza, i beni mobili e gli arredi possono essere divisi – se comprati con soldi di entrambi (ad esempio una vendita a rate) – solo nella misura in cui non siano facilmente asportabili (così ad esempio non è per la cucina o per quei mobili incorporati come il condizionatore). Se invece acquistati con i soldi di uno solo dei due a quest’ultimo spetta la restituzione [Cassazione sent. n. 28718/2013].

Tuttavia se un convivente effettua un sacrificio economico sproporzionato, senza con ciò voler fare una donazione e senza ricevere altrettanto in cambio, può esercitare l’azione di arricchimento senza causa per ottenere un congruo indennizzo e riequilibrare il rilevante ed ingiustificato spostamento patrimoniale [Cass. Sent. n. 18632/2015, n. 25554/2011]. Egli deve agire entro massimo 10 anni dal momento dell’acquisto (e non dalla cessazione della convivenza), scaduti i quali il diritto alla restituzione delle spese e degli acquisti fatti per la convivenza si prescrive. È ad esempio il caso in cui partecipi a ingenti investimenti immobiliari dell’altro convivente, o paghi una parte del prezzo di acquisto della casa (per ottenere la restituzione dei soldi, però, è necessario che la somma investita superi i limiti di proporzionalità e adeguatezza comparati alle condizioni sociali e patrimoniali dei conviventi).

Invece se i soldi o gli acquisti sono frutto di una donazione, questa non può essere revocata. Se si tratta però di donazione di soldi o di oggetti di importo non modico, la donazione può essere annullata se non è stata effettuata davanti al notaio. Infatti solo la donazione di valore modesto può avvenire con la semplice consegna del bene o della somma; in tutti gli altri casi è necessario l’atto pubblico (rogito notarile).

Redazione LPT 9 aprile 2017

www.laleggepertutti.it/157314_convivenza-restituzione-dei-soldi-per-spese-e-acquist

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DALLA NAVATA

Domenica delle Palme e della Passione del Signore- Anno A – 9 aprile 2017

Isaia 50, 04. Il Signore mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato.

Salmo22, 23. Annuncerò il tuo nome ai fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea.

Filippesi02, 09. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome.

Matteo 26, 19. I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.

 

Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).

La passione del Messia Gesù

La prima lettura contiene la profezia riguardo al “servo del Signore”, letterariamente il terzo dei quattro “canti del servo” nel libro di Isaia (cf. Is 42,1-7; 49,1-7; 50,4-9; 52,13-53,12). È il servo stesso che parla della sua missione: da servo che ascolta ogni mattina a servo che annuncia la parola del Signore. E ciò a caro prezzo, fino a dover subire, senza difendersi, i flagelli, gli insulti, la tortura e la persecuzione, ma sempre conservando la fiducia del Signore Dio, che è fedele e che gli sta accanto anche nell’ora della passione.

Nel canto dell’incarnazione del Figlio di Dio, Gesù Cristo, Paolo legge questo movimento: colui che era Dio si svuotò delle prerogative divine fino ad assumere la condizione dello schiavo, fino a vivere una passione con l’esito dell’umiliazione, della morte ignominiosa sulla croce. Ma Dio risponde all’abbassamento di suo Figlio, fattosi servo, con l’esaltazione, donandogli il nome di Kýrios, Signore. Ciò che la passione secondo i vangeli narra in un lungo racconto, l’Apostolo lo riassume in poche espressioni che sintetizzano il movimento della nostra salvezza nell’abbassamento/innalzamento del Figlio di Dio Gesù Cristo.

Mt 26,14-27,66

La liturgia di questa domenica della Passione del Signore, detta anche delle Palme, prevede la lettura del racconto della passione secondo Matteo. L’evangelista non ci consegna innanzitutto una “cronaca”, ma ci fornisce l’interpretazione, scaturita dalla fede della chiesa, di quei fatti che hanno costituito la fine della vita di Gesù il Cristo. Il vangelo è scritto da chi confessa la resurrezione di Gesù e dunque legge gli eventi antecedenti nella luce di quell’evento che spiega, dà senso, illumina la passione e la morte. Per questo Matteo insiste sul “compimento delle Scritture”, ritmando il racconto con questo adagio: “come sta scritto…”, “ciò è avvenuto perché si compissero le Scritture…”. Leggendo la passione secondo Matteo assistiamo, come folla convocata, al processo di Gesù, nel quale si affrontano la volontà di Dio e quella degli uomini, in un dramma che è pasquale non solo per la sua collocazione temporale, ma anche per la sua dinamica.

Possiamo distinguere il racconto in tre grandi parti:

  1. Il preludio (Mt 26,1-46);

  2. Il processo religioso (Mt 26,47-75);

  3. Il processo politico, la morte e la sepoltura (Mt 27,1-66).

Nel preludio, dopo il complotto (cf. Mt 26,1-5), leggiamo come apertura l’unzione di Gesù da parte di una donna anonima a Betania (casa del povero), vera introduzione alla passione (cf. Mt 26,6-13). Versando sul capo di Gesù olio profumato, la donna profetizza quell’unzione regale e sacerdotale che Gesù riceverà sulla croce. Ella “discerne” Gesù come “il Povero”, colui che va alla morte nella solitudine, nell’abbandono e senza difesa; Gesù approva il suo gesto, che non è spreco, ma vero dono fatto al Povero. Non comprendere questo, significa – come farà Giuda (cf. Mt 26,14-16) – vendere Gesù a prezzo di denaro, perché si stima il valore del denaro più importante dell’attenzione da dedicare a Gesù stesso. Per questo, come Gesù afferma con solennità: “Amen, io vi dico: dovunque sarà annunciato questo Vangelo, nel mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche ciò che ella ha fatto” (Mt 26,13), il suo gesto d’amore.

Segue il racconto della cena (cf. Mt 26,17-35), che secondo l’evangelista è una cena pasquale, e proprio in essa la denuncia del peccato del traditore: uno dei Dodici consegna Gesù, gli altri fuggiranno tutti e Pietro, la roccia, tremando come un fuscello dirà di non conoscere Gesù. Questa è la comunità di Gesù, alla quale egli dona il suo corpo e il suo sangue, la sua stessa vita. Sì, i convitati di quella cena sono dei peccatori, degli infedeli, un’assemblea che noi giudichiamo indegna di ricevere in dono la vita stessa del Signore. Ma quel dono è per la remissione dei peccati, il calice è sangue dell’alleanza versato per la remissione dei peccati, a cominciare da quelli dei Dodici.

Dopo la cena, Gesù discende con la sua comunità al Getsemani, al di là del torrente Cedron, nella valle sotto il tempio, dove in un’intensa preghiera assume fino in fondo quegli eventi che ormai stavano precipitando (cf. Mt 26,36-46). Egli sarebbe potuto fuggire, rinnegando ciò che aveva fatto e detto; avrebbe potuto assumere lo stile di chi combatte anche con la violenza, facendo resistenza: sceglie invece di vivere fino alla fine facendo il bene, accogliendo su di sé il male piuttosto che farlo. Questa è la volontà di Dio per tutti, per ogni essere umano! Dunque Gesù è pronto, fa degli eventi che sopraggiungono un atto nella sua libertà e a causa del suo amore. C’è stata una lotta, possiamo dire che Gesù ha subito nuovamente la tentazione (cf. Mt 4,1-11), ma ancora una volta, come sempre, ha rimesso il suo destino nelle mani del Padre.

Segue la cattura nella tenebra, su indicazione di Giuda, attraverso un bacio, e la ferma confessione da parte di Gesù che quanto sta accadendo è conforme a ciò che le Scritture avevano annunciato: ora più che mai egli compie la vocazione ricevuta (cf. Mt 26,47-56). Poi Gesù viene condotto dal sommo sacerdote Caifa per il processo religioso (cf. Mt 26,57-68): là si erano riuniti alcuni scribi e alcuni anziani del popolo, convocati frettolosamente nella notte da Caifa. Con questo processo si vuole condannare Gesù, individuando nelle sue azioni e nelle sue parole contraddizioni alla Legge, bestemmie contro Dio, tradimento della comunità di Israele. Testimoni prezzolati intervengono per riferire parole di Gesù contro il tempio, la dimora di Dio.

Anche se Matteo non ci fornisce un resoconto preciso, un verbale, capiamo che la causa di quel processo sta tutta nell’identità di Gesù in rapporto a Dio. Così il sommo sacerdote gli chiede di confessare se è lui il Cristo, il Messia, il Figlio di Dio. E Gesù risponde rinviando Caifa alle sue parole e alla sua coscienza (“Tu l’hai detto”: Mt 26,64), ma svelando anche che, proprio in quella morte ormai prossima, ci sarebbe stato lo svelamento del Figlio dell’uomo seduto come Giudice alla destra di Dio nella gloria. Parole che indignano e spaventano Caifa, portandolo anche a strappare le sue vesti, segno che il sommo sacerdozio che giudica Gesù è ormai finito, svuotato.

In parallelo al processo religioso di Gesù da parte del sommo sacerdote, vi è l’interrogatorio di Pietro da parte di alcune serve, di persone anonime e senza potere. Pietro rinnega, non riconosce Gesù come Messia sofferente e non riesce neppure a riconoscerlo colui del quale era stato discepolo (cf. Mt 26,69-75). E Giuda? Avendo preferito il denaro a Gesù, non riesce a dare senso alla propria vita e decide quindi di suicidarsi (cf. Mt 27,3-10).

Il processo religioso poteva emettere condanne, ma non infliggere a Gesù una pena. Per questo egli è rinviato all’autorità politica romana, a Ponzio Pilato, in quegli anni governatore della Giudea (cf. Mt 27,1-3.11-26). Per Pilato Gesù è un caso interessante solo se rappresenta una minaccia al potere politico di Cesare. Per questo gli chiede: “Sei tu il Re dei giudei?” (Mt 27,11). Ovvero: “Sei tu un concorrente al potere imperiale? Riconosci il potere politico di Roma o lo vuoi per te?”. Ancora una volta, però, Gesù non risponde con un “sì” o con un “no”, ma rimanda Pilato alle sue parole: “Tu lo dici, tu fai questa affermazione, io non l’ho mai fatta!” (ibid.). Pilato comprende allora che Gesù non è un pericolo, ma fa appello alle accuse che le autorità religiose giudaiche muovevano contro di lui. Gesù però non risponde, tace (cf. Mt 26,14), con un silenzio che, se fosse ascoltato, griderebbe la verità con più forza di qualsiasi parola.

Pilato tenta poi uno scambio tra Gesù e un prigioniero famoso, un sedizioso, Barabba, ma la gente, sobillata dai capi religiosi, preferisce la morte di Gesù, e giunge a gridare: “Sia crocifisso!” (Mt 27,22). Qui il potere totalitario mostra il suo volto: vedendo che il tumulto cresce, avendo compreso che Gesù non conta nulla e non è difeso da nessuno, Pilato preferisce acconsentire alla volontà della massa, alla maggioranza in preda alla vertigine della rabbia, del rancore e della violenza (cf. Mt 27,20-26). Ma prima dell’esecuzione della condanna, la violenza trova la possibilità di sfogarsi contro un giusto inerme, fino al disprezzo e alla tortura. Gesù è incoronato Re dei giudei, secondo l’accusa presentata, e viene celebrato in una parodia: è rivestito di un mantello scarlatto, incoronato di spine e gli viene data una canna come scettro, icona che i cristiani mai dimenticheranno. “Fino a quel punto” hanno trattato Gesù, il Figlio dell’uomo, l’uomo vittima dell’ingiustizia e del sopruso… Il processo politico si chiude con la consegna di Gesù ai soldati da parte di Pilato, affinché eseguano la crocifissione fuori della città, nel luogo detto Golgota (cf. Mt 27,27-37).

Gesù è crocifisso tra due delinquenti (cf. Mt 27,38), annoverato anche nella morte tra i peccatori, i malfattori, e la parodia continua con un cartello che lo disprezza: “Costui è Gesù, il Re dei giudei” (Mt 27,37), un Messia fallito, condannato dall’autorità religiosa come bestemmiatore e da quella politica come malfattore, posto su una croce, il supplizio ignominioso riservato agli schiavi e ai maledetti da Dio e dagli uomini (cf. Dt 21,23; Gal 3,13). Sulla croce Gesù continua ad ascoltare oltraggi, nonché l’ultima eco delle tentazioni vissute all’inizio e poi sempre nella sua missione (cf. Mt 27,39-44). Scendere dalla croce manifestando la sua onnipotenza divina? Salvare se stesso come ha salvato tanti altri? Avere fede in Dio solo se lo libera da quella fine? No, Gesù resta fedele alla sua missione fino alla fine, per questo pone al Padre un’ultima domanda: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46; Sal 22,2). Non è una contestazione, ma una preghiera, una richiesta di luce nella tenebra, una confessione: “O Dio, ti resto fedele anche in ciò che vivo come abbandono, tuo silenzio, lontananza da te!”. Nessuno tra i presenti può comprendere, ma solo un centurione pagano, sotto la croce, vedendo quella morte arriva a confessare: “Davvero costui era Figlio di Dio!” (Mt 27,54).

Così, mentre scende la sera e il corpo di Gesù viene deposto in un sepolcro da discepoli e discepole (cf. Mt 27,57-61), in un pagano è generata la fede in Gesù: in quella morte così atroce, il centurione vede che Gesù ha speranza, che resta fedele a Dio, che vive quella fine come dono, come amore per tutti gli uomini. Quella morte comincia ormai a manifestarsi come resurrezione, come vita, finché il terzo giorno si manifesterà in pienezza il grande mistero della Pasqua di Gesù (cf. Mt 28,1-10).

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11346-la-passione-del-messia-gesu

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EDUCAZIONE

INER Verona: “Corpo, Emozioni, Amore: prospettive per crescere”.

INER Istituto per l’Educazione alla Sessualità e alla Fertilità presenta un’indagine sugli adolescenti e pre-adolescenti partecipanti agli incontri di educazione all’affettività e alla sessualità.

Verona, 20 aprile 2017, ore 2017 (17,30-20) Palazzo della Gran Guardia.

  • Introduzione. Giancarla Stevanella, presidente – Roberto Zoppi, giornalista.

  • Presentazione della ricerca. dr Pietro Boffi, ricercatore del CISF;

dr Valentina Pasqualetto, psicologa, consulente sessuologica, INER

  • Intervengono prof. Stefano Quaglia, MIUR Ufficio regionale Veneto;

prof. Mariano Diotto, direttore Dipartimento comunicazione IUSVE;

dr Rita Bressan, psicologa e psicoterapeuta, docente universitaria IUSVE;

dr Gigi De Palo, giornalista, presidente Forum Associazioni Familiari.

 

INER è un’associazione che opera a livello nazionale attraverso i propri centri confederati presenti in varie regioni italiane. L’INER Italia è fiduciaria e rappresentante per l’Italia dell’Institut für Natürliche Empfänisregelung dr. Rötzer e V. – Austria di qui l’affiliazione denominata “Istituto per l’Educazione alla Sessualità e alla Fertilità INER-Italia”.

www.ineritalia.org/images/documents/locandina-granguardia-2017.jpg

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FAMIGLIE NUMEROSE

Bonus destinato a chi ha almeno 3 figli minori: in arrivo 1.800 euro per i nuclei in difficoltà

Non solo le neo-mamme. La legge di Bilancio 2017 ha avuto un occhio di riguardo anche per le famiglie numerose che possono contare su un assegno di circa 1.800 euro l’anno destinato a tutti i nuclei con almeno 3 figli minorenni. Il bonus è concesso dal Comune di residenza e pagato dall’Inps, ed è una delle agevolazioni previste dallo Stato a sostegno del reddito famigliare.

A poter usufruire della misura entrata in vigore il 1° gennaio 2017 scorso sono tutti i nuclei famigliari composti da cittadini italiani o comunitari residenti nel nostro Paese, in cui siano presenti almeno 3 figli sotto i 18 anni. Il provvedimento riguarda ovviamente non solo i figli biologici, ma anche quelli adottati o in affido preadottivo. Non fanno eccezione le famiglie in cui si trovi un solo genitore, purché i figli minorenni siano sempre almeno 3. Due i limiti. Il reddito Isee (Indicatore della situazione economica equivalente) della famiglia non deve superare gli 8.555,99 euro e sia i genitori che i figli devono far parte della stessa famiglia anagrafica. Non possono contare sul bonus, pertanto, i genitori i cui figli si trovano temporaneamente in affido presso altre famiglie o in strutture di collocamento temporaneo, come case famiglia o comunità educative.

L’importo dell’assegno sarà rivalutato ogni anno in base alla variazione dell’indice Istat. Per il 2017 ammonta, nella misura intera, a 141,30 euro mensili, per un totale annuo massimo di 1.836,90 euro.

Il bonus potrà essere concesso a partire dal 1° gennaio dell’anno in cui si verificano i requisiti richiesti oppure dal primo giorno del mese in cui sono presenti 3 figli minori nel nucleo famigliare interessato. Sarà possibile usufruire dell’assegno fino al 31 dicembre dell’anno in cui si verifica il requisito del valore Isee o fino all’ultimo giorno del mese in cui in famiglia sono presenti 3 figli minori.

Per poter usufruire della misura prevista dalla legge di Bilancio è necessario presentare un’apposita domanda entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello per cui si richiede il bonus. Pertanto, chi desiderasse ricevere l’assegno per il 2017 potrà richiederlo entro il 31 gennaio 2018. Per farlo dovrà presentare il modulo specifico per la richiesta, una copia dell’Isee e un documento di identità. Pur essendo erogato dall’Inps, a valutare la richiesta delle famiglie e a decidere quindi se concedere o meno il bonus sarà il Comune di residenza: pertanto le modalità di presentazione delle domande possono variare da città a città.

L’erogazione dell’assegno avviene in due rate semestrali con l’importo relativo ognuna ai 6 mesi precedenti, sulla base dei dati forniti dal Comune. L’ammontare del bonus non costituisce reddito ai fini fiscali e previdenziali e può essere cumulato con altre forme di sostegno alle famiglie erogate dall’Inps o dagli Enti locali. Tra esse ricordiamo per esempio il bonus bebè a favore di tutti i nuclei che mettono al mondo o adottano un bambino e hanno un Isee inferiore a 25mila euro e il bonus “mamma domani”, una tantum destinata a tutte le neomamme, senza limiti di reddito.

Fonte: Adn Kronos News Ai. Bi. 4 aprile 2017

www.aibi.it/ita/tempi-e-modi-per-chiedere-il-bonus-destinato-a-chi-ha-almeno-3-figli-minori

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GESTAZIONE PER ALTRI

Utero in affitto. Lo psichiatra Castriota: «Mai più si separino gestante e bambino»

La maternità surrogata spezza l’unità profonda, documentata dalla scienza, di bimbo e mamma. Parla lo psichiatra Fabio Castriota.

La gravidanza non è solo un passaggio in un contenitore intercambiabile», ma è il tempo in cui nasce «una storia complessa», addirittura si imposta «il successivo sviluppo psichico» sia della madre che del feto, il quale «memorizza tutto e può anche inviare messaggi». Ecco perché la maternità surrogata è «una situazione traumatica per due esseri umani». Mentre il dibattito sull’utero in affitto ferve a livello politico e culturale, la scienza si riprende la parola e si attiene ai fatti. Fabio Castriota, psichiatra, vice presidente della Società Italiana di Psicoanalisi, è già intervenuto in tal senso al recente forum a Montecitorio, dal quale l’ampio fronte del no è uscito con un forte appello all’Onu per la messa al bando della tratta di neonati.

Nessuno si sognerebbe di vendere un bambino di qualche mese. Invece la maternità surrogata pretende di ordinare una vita umana e ritirare il prodotto, togliendolo alla madre al momento della nascita. Ma quando nasce davvero un bambino?

Se è con la nascita che entra nel mondo, la sua comunicazione con la madre e, tramite lei, con la realtà esterna è già attiva nella gravidanza. Giorni fa un noto quotidiano, facendo riferimento agli studi più attuali di neonatologia, titolava: “È nella culla che si formano le competenze”. Invece è molto prima. Sulla relazione madre-bambino, a partire dagli anni ’60 e ancor più dagli anni ’70 e ’80, si è passati dalla visione di un utero contenitore di una vita in evoluzione a una visione molto più ricca e dinamica nel rapporto di scambio. Tutto ciò che la madre vive viene percepito dal feto, che possiede una grande sensibilità, unita a un elevato livello di competenze psicofisiologiche e neuropsicologiche inimmaginabili in passato. Già Freud aveva intuito che «c’è più continuità tra la vita uterina e la primissima infanzia, di quanto l’impressionante cesura dell’atto della nascita ci lascerebbe supporre». Attraverso l’utero materno il nascituro, con i suoi organi di senso, prende contatto con gli stati emotivi della madre e fa esperienza di ciò che è esterno: non solo sente, apprende e memorizza tutto ciò che gli è filtrato, ma invia messaggi.

Ciò significa che separare al parto la diade madre-figlio è traumatico anche per la donna?

La gravidanza è il periodo fondamentale in cui la madre dialoga fisiologicamente, emotivamente e razionalmente con il bambino. Il danno della maternità surrogata riguarda perciò due persone: certamente il neonato, ma anche sua madre, dato che se non esiste un bambino senza madre non esiste una madre senza il suo bambino. L’unità madre-bambino è non solo la base biologica e il presupposto psichico per la maturazione mentale del neonato ma anche per l’evoluzione della donna dopo l’esperienza della maternità. Come scrive il filosofo indiano Osho, “nel momento in cui nasce un bambino nasce anche la madre. Lei non è mai esistita prima: esisteva la donna, ma la madre mai. Una madre è qualcosa di assolutamente nuovo”. Ma qual è il destino della madre biologica, appena nata come madre? Sparire subito! La prima premura è separare immediatamente puerpera e neonato, che va consegnato prima possibile ai suoi “genitori”.

Questo infatti consigliano apertamente alcuni nostri uomini politici che sono andati all’estero a farlo, essendo in Italia un reato. Però madre e bambino comunicano nei nove mesi.

Intanto comunicano attraverso la via ormonale: una madre sottoposta a stress produce sostanze ormonali che possono interagire negativamente nella sfera psichica del feto in evoluzione. Un esempio sono certi disturbi di personalità in bambini nati da madri traumatizzate o gravemente depresse durante la gravidanza. Una donna che sta affittando il suo utero e si dovrà separare dal figlio è una donna stressata e i traumi possono lasciare imprinting profondi nelle memorie implicite del futuro bambino. Quanto alla madre, la situazione di perdita, di lutto, può inficiare la possibilità di sviluppare un attaccamento in successive gravidanze. Un terrore tipico delle donne in gravidanza è che qualcuno sottragga loro il figlio, e la surrogata diventa il concretizzarsi di questo fantasma.

A quanti mesi il feto ha sviluppati i sensi?

Il tatto è il primo, già al 3° mese, quando il feto comincia a sentire se qualcuno tocca il ventre della madre. Poi si sviluppano le percezioni dolorose, olfattive (per questo dopo il parto riconoscerà l’odore di sua madre) e il gusto (le esperienze del cibo mangiato dalla madre lasceranno tracce nelle memorie). Poi arrivano le capacità uditive: il feto sente il ritmo del battito cardiaco materno e in futuro avrà un ritmo simile nel succhiare il latte. Ma soprattutto sente le sue parole: la lingua madre. Anche il tono della sua voce lascia tracce nei sistemi di sicurezza del feto. Che tracce lascerà allora una madre straniera la cui lingua, dopo la separazione, non verrà più rintracciata nelle prime esperienze del neonato? Infine si sviluppa la sensibilità visiva, e il feto dal sesto mese sogna: l’attività onirica è un importante strumento di elaborazione delle esperienze, e spesso è accompagnata da alterazioni nell’espressione facciale, sussulti e cambi di posizione

Lucia Bellaspiga Avvenire 6 aprile 2017

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/non-si-separino-gestante-e-bambino-psichiatra-catriota-fabio

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INFERTILITÀ

In 20 anni numero di casi raddoppiati in italia

Un problema affligge una coppia italiana su cinque, si chiama infertilità. Negli ultimi vent’anni il numero di persone che non riesce a procreare, per vie naturali, è raddoppiato.

Per infertilità si intende “l’assenza di concepimento dopo 12/24 mesi di rapporti non protetti, mirati al concepimento”. Le cause sono diverse e, nella maggioranza dei casi, curabili con diagnosi tempestive, cure mirate e terapie adeguate. L’origine del disturbo riguarda nel 40% delle volte l’uomo, nel 20% tutti e due i membri della coppia e nel rimanente 40% invece solo la donna. I principali fattori di rischio dell’infertilità femminile sono rappresentati della sindrome dell’ovaio policistico, endometriosi e alcune malattie sessualmente trasmissibili. Tra le giovani sotto i 20 anni invece sono soprattutto le infezioni e i disturbi alimentari.

Problemi anche per la lavoratrici. Fertilità a rischio per le lavoratrici impegnate in mansioni fisicamente pesanti o che fanno turni a rotazione e lavorano di notte. E’ quanto ha scoperto un recente studio americano condotta su circa 500 donne e pubblicata sulla rivista Occupational & Environmental Medicine. Tutte le partecipanti coinvolte nella ricerca avevano chiesto assistenza per problemi di fertilità. La loro occupazione è stata così, per la prima volta, messa a confronto con una serie di parametri biologici che misurano direttamente la fertilità di una donna (livelli ormonali, numero di ovociti maturi, funzionalità ovarica). E’ emerso che valori alterati di questi parametri – che nella routine clinica sono correlati a problemi di fertilità – sono spesso riscontrati in donne con lavori fisicamente molto pesanti e donne che fanno i turni e lavorano di notte. Lo studio suggerisce dunque a tutte le donne che stanno cercando di concepire di considerare eventuali rischi connessi alla propria occupazione.

L’importanza degli stili di vita. Come per tanti altri disturbi e malattie che minacciano il benessere femminile anche l’infertilità è legata ad alcuni comportamenti scorretti. Per esempio il 13% dei casi può essere riconducibile agli effetti negativi di alcuni composti chimici del fumo. Le sigarette, infatti, portano a 1,6 volte di rischio maggiore per le tabagiste. L’abuso di bevande alcoliche provoca una riduzione degli ormoni sessuali e irregolarità o addirittura la scomparsa del ciclo mestruale. I chili di troppo o l’eccessiva magrezza eccessiva sono all’origine del 12% dei casi. Possono infine influire anche fattori ambientali come l’esposizione a certi pesticidi, inquinanti e materie plastiche.

“E’ stato calcolato che solo il 56% delle coppie con problemi di fertilità chiede aiuto al proprio medico o ad altri specialisti – afferma il prof. Giovanni Scambia presidente nazionale della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) -. Si tratta dunque di un problema serio e in forte crescita ma che può essere prevenuto. Consigliamo quindi di seguire, fin da giovanissimi, stili di vita sani equilibrati e soprattutto di prestare molta attenzione all’alimentazione e al peso corporeo e di stare il più possibile alla larga da vizi pericolosi come sedentarietà e fumo”.

SIGO Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia

www.sceglitu.it/dettagliocontenuto.aspx?c_id=575

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MEDIAZIONE FAMILIARE

L’ascolto del minore nella mediazione familiare

Quali sono i diritti del minore e come si effettua l’ascolto del bambino. In sede di mediazione familiare il minore diventa un vero e proprio soggetto di diritto, dal momento che viene inevitabilmente coinvolto nell’ambito di un processo di separazione o divorzio tra I suoi genitori.

Gli avvocati dovranno adoperarsi al fine di trovare accordi tra le parti, nel superiore e preminente interesse del minore; in presenza di posizioni conflittuali tra i genitori, l’ascolto del figlio minore si rivela particolarmente importante se non addirittura indispensabile.

Il diritto all’ascolto a livello internazionale. A livello internazionale il diritto all’ascolto del minore è stato affermato dalla Convenzione di New York del 1989 che all’art. 12 sancisce il diritto del fanciullo capace di discernimento di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo riguardi.

Per capacità di discernimento si intende l’attitudine del bambino a valutare e comprendere il significato di una determinata scelta, in piena autonomia e senza l’influenza di soggetti esterni (es. I genitori).

Altra fonte comunitaria in materia di ascolto del minore è rappresentata dalla Carta Europea dei diritti fondamentali (c.d. Carta di Nizza, dicembre 2000), la quale ribadisce all’art. 24 l’importanza dell’esercizio del diritto del bambino ad essere ascoltato; la sua opinione viene presa in considerazione, da parte del giudice, in funzione della sua età e della sua maturità.

Tale norma è stata anche richiamata dal considerando n. 33 del Regolamento CE 2201/2003 che “riconosce i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE. In particolare mira a garantire il pieno rispetto dei diritti fondamentali del bambino quali riconosciuti dall’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”.

Infine con la Convenzione di Strasburgo del 1996 (ratificata con L. 20 marzo 2003 n. 77) vengono specificati alcuni criteri di esaustività dell’ascolto. Il minore che è riconosciuto dal diritto interno come avente capacità di discernimento, ha diritto a:

  • Ricevere ogni informazione pertinente;

  • Essere consultato ed esprimere la propria opinione;

  • Essere informato delle eventuali conseguenze che tale opinione comporterebbe nella pratica e delle eventuali conseguenze di ogni decisione.

Il diritto all’ascolto nella legislazione italiana. In Italia il legislatore ha tenuto conto, recependole, delle normative internazionali. In particolare, dopo aver ribadito la centralità dell’ascolto del minore nei procedimenti che lo riguardano (L. 54/2006), la legislazione italiana è tornata nuovamente sull’argomento, inserendo nella L. 219/2012 (“Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”) una disposizione che prevede il diritto del figlio minore che abbia compiuto i 12 anni di età, ovvero di età inferiore ove capace di discernimento, ad essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.

Qualora il giudice ometta di ascoltare il minore dodicenne, senza indicare nel provvedimento i motivi specifici in base ai quali non ha ritenuto di ascoltare il minore, il provvedimento risulterebbe viziato perché affetto da nullità (Cass. Civ. 15 maggio 2013 n. 11687). Il nostro codice civile ha recepito in primo luogo la riforma del 2012 con l’introduzione dell’art. 315bis c.c. che disciplina i diritti e i doveri dei figli e, al terzo comma, prevede il diritto del figlio di essere ascoltato nelle questioni in cui è coinvolto; in secondo luogo, la riforma della filiazione (D. Lgs. 154/2013) ha introdotto la regola dell’audizione del minore per i provvedimenti che lo riguardano, dal momento che il giudice è tenuto ad adottare i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse materiale e morale di essa (artt. 337ter c.c. e 227 octies c.c.). Appare opportuno ricordare In questa sede la pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite del 21 ottobre 2009 n. 22238, la quale dispone l’obbligatorietà dell’audizione del minore in conformità a quanto sancito dall’art. 6 della Convenzione di Strasburgo.

Il cd “ascolto informato” del minore capace di discernimento diventa pertanto presupposto giuridico affinché i provvedimenti giudiziari che lo riguardano non siano affetti da vizi procedurali.

Come si effettua l’ascolto. L’ascolto può essere diretto o indiretto. Per ascolto diretto si intende l’audizione da parte del giudice in udienza, eventualmente con l’assistenza di un ausiliario esperto (es. Psicologo, neuropsichiatra infantile). Nell’ascolto indiretto il giudice delega in toto l’ausiliario esperto nominato all’audizione. Gli incontri avvengono senza la presenza degli avvocati. La fissazione dell’udienza ha luogo nel rispetto degli impegni scolastici del minore.

Il giudice, da un lato, è chiamato a spiegare al minore ciò che gli verrà chiesto e le conseguenze possibili delle sue risposte, dall’altro specificherà che queste non saranno l’unico fondamento del suo provvedimento. Ciò al fine di alleviare il carico di responsabilità avvertito dal minore davanti al giudice.

Quest’ultimo valuterà l’autenticità delle risposte date dal minore; può infatti accadere che le risposte siano frutto della fantasia del bambino ovvero il “riflesso” dei condizionamenti dei genitori.

L’importanza della spiegazione fatta al bambino è supportata anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ha ritenuto inappropriato concepire l’ascolto come imposizione al bambino di un’attività processuale obbligatoria,”… cosicché la sua audizione non può – anche nel caso in cui il giudice disponga, secondo il suo prudente apprezzamento, che l’audizione avvenga a mezzo di consulenza tecnica – in alcun modo rappresentare una restrizione della sua libertà personale ma costituisce, al contrario, un’espansione del diritto alla partecipazione nel procedimento che lo riguarda, quale momento formale deputato a raccogliere le sue opinioni ed i suoi effettivi bisogni” (Cass. Civ. 5097/2014).

La prassi vuole che il setting dell’audizione sia una stanza ad hoc dove siano presenti il minore, il giudice e gli ausiliari esperti. Gli avvocati e i genitori assisteranno all’incontro dietro uno specchio monodirezionale, potendosi limitare ad ascoltare la conversazione tra il giudice ed il minore, senza interferire in alcun modo.

Il principio del diritto al contraddittorio è comunque garantito dalla possibilità per gli avvocati di presentare, cinque giorni prima dell’udienza, una memoria contenente specifiche domande da porre al minore, qualora il giudice lo ritenga opportuno.

In virtù dell’art. 13 della Carta di Noto, gli esperti consigliano che le dichiarazioni rese in sede di audizione siano raccolte e conservate mediante strumenti di video e fonoregistrazione.

Alla luce del diritto comunitario e del diritto interno appare dunque essenziale una piena tutela del bambino, che viene spesso strumentalizzato dalle parti in sede di separazione o divorzio. L’incontro con il minore è finalizzato ad esplorare i suoi desideri e bisogni vissuti rispetto alla crisi coniugale, in vista di una separazione o di un divorzio.

dr Clara Valle Newsletter Studio Cataldi 3 aprile 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25664-l-ascolto-del-minore-nella-mediazione-familiare.asp

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NULLITÀ MATRIMONIALE

Convivenza triennale.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 5250, 1 marzo 2017.

Il giudice non può respingere la domanda per il riconoscimento in Italia della sentenza di annullamento del matrimonio del Tribunale ecclesiastico, rilevando d’ufficio come causa ostativa la lunga convivenza dopo il matrimonio. La convivenza triennale come coniugi, come situazione giuridica di ordine pubblico che ostacola la delibazione della sentenza canonica è oggetto di eccezione in senso stretto e non può essere rilevata d’ufficio

Sulla richiesta di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio per esclusione dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale e della prole, la Corte d’Appello aveva ritenuto ostativa la convivenza protratta per tre anni dopo la celebrazione. Per il ricorrente la prolungata convivenza costituiva oggetto di eccezione in senso stretto che avrebbe dovuto essere sollevata dalla parte convenuta, che era invece rimasta contumace.

Per la Cassazione la convivenza triennale come coniugi, quale situazione giuridica di ordine pubblico ostativa alla delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio è oggetto di un’eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio, né opponibile dal coniuge, essendo caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, adempimento di doveri e assunzione di responsabilità di natura personalissima.

Avv. Renato D’Isa 3 aprile 2017

https://renatodisa.com/2017/04/03/corte-di-cassazione-sezione-vi-civile-ordinanza-1-marzo-2017-n-5250

La convivenza ultra trentennale sana i vizi genetici del matrimonio.

Corte di Cassazione, Sentenza n. 8800, 5 aprile 2017

Nella delibazione della sentenza ecclesiastica di scioglimento del matrimonio una lunga convivenza, di oltre 36 anni, ha la capacità di sanare eventuali vizi genetici dell’unione.

A tutela delle norme di ordine pubblico pertanto, valutando che nel rapporto di specie si erano ravvisati i rapporti di consuetudine, affetto, reciproco sostegno, condivisione della responsabilità genitoriale, riconoscibilità esteriore, fra i coniugi, non è possibile per la Corte disporre la delibazione della sentenza.

Osservatorio della famiglia 5 aprile 2017

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti.asp?id=17506822

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OSSERVATORIO NAZIONALE PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA

Ricostituito l’osservatorio, al via la fase di monitoraggio del IV piano d’azione.

Alla presenza del Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie con Delega alle Politiche per la Famiglia Enrico Costa e del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti si è riunito per la prima volta il ricostituito Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, composto da oltre 50 tra esperti, responsabili di associazioni.

La riunione si è tenuta presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

L’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza costituisce la base istituzionale e sociale in grado di garantire un contributo competente, articolato e partecipato alla definizione dell’azione del governo nel campo delle politiche per l’infanzia.

È stato istituito, insieme alla Commissione Parlamentare per l’infanzia, con la Legge n. 451 del 23 dicembre 1997 ed è regolato dal D.P.R. del 14 maggio 2007 n. 103.

Si compone di circa 50 membri, in rappresentanza delle diverse amministrazioni centrali competenti in materia di politiche per l’infanzia, delle Regioni e delle autonomie locali, dell’Istat, delle parti sociali, delle istituzioni e degli organismi di maggiore rilevanza del settore, nonché di otto associazioni e otto esperti di nomina dei Presidenti. Inoltre, con l’obiettivo di garantire forme di collaborazione, sinergie e supporto tra l’Osservatorio e l’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, un invitato permanente è stato designato a partecipare ai lavori dell’Osservatorio in rappresentanza dell’Autorità.

L’Osservatorio ha il compito di predisporre ogni due anni il Piano Nazionale di azione e d’interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, con l’obiettivo di conferire priorità ai programmi rivolti alle persone di minore età e rafforzare la cooperazione per lo sviluppo dell’infanzia nel mondo.

Il Piano Nazionale di azione e d’interventi, sentita la Commissione Parlamentare per l’infanzia viene approvato dal Consiglio dei Ministri, adottato con Decreto del Presidente della Repubblica e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Sempre ogni due anni, l’Osservatorio predispone la Relazione sulla condizione dell’infanzia in Italia e sull’attuazione dei relativi diritti (3°- 4° Rapporto alle Nazioni Unite).

L’Osservatorio, inoltre, ha il compito ogni 5 anni di redigere lo schema del rapporto del Governo all’ONU, sull’applicazione della Convenzione Internazionale sui diritti del fanciullo del 1989.

Per lo svolgimento delle sue attività si avvale del Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l’infanzia e l’adolescenza, che realizza studi e pubblicazioni, organizza seminari e percorsi formativi su tematiche minorili, monitora la normativa nazionale e internazionale di settore ed effettua attività di ricerca, raccolta, elaborazione ed analisi di dati, pubblicazioni e documenti. Generalmente, i componenti dell’Osservatorio organizzano la propria attività sia in sedute plenarie che in Gruppi di lavoro.

Il Rapporto è frutto della stretta collaborazione tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Politiche della famiglia, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Ministero degli Affari Esteri – Comitato Internazionale sui Diritti Umani (CIDU), l’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’adolescenza e il Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l’infanzia e l’adolescenza (CNDA).

Con il Decreto interministeriale del 24 marzo 2017 sono stati designati i nuovi membri dell’Osservatorio, di cui fanno parte rappresentanti di pubbliche amministrazioni nazionali e locali, di enti e associazioni, di organizzazioni del volontariato e del terzo settore ed esperti in materia di infanzia e adolescenza. I membri hanno un incarico biennale.

www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/infanzia-e-adolescenza/focus-on/Osservatorio/Pagine/default.aspx

http://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/normative/Pagine/Normativa.aspx#k=Path:http://authoringlavoronew:1162/documenti-e-norme/normative/Documents

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PARLAMENTO

Camera dei Deputati. Decreto sul contrasto dell’immigrazione illegale concluso l’esame

DL n. 13/2017, recante Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale (C. 4394 Governo, approvato dal Senato-

4 aprile 2017. Donatella Ferranti, presidente 2° Commissione Giustizia ricorda che il termine per la presentazione degli emendamenti è scaduto alle ore 12 della giornata odierna. Comunica che sono stati presentati circa 400 emendamenti, che saranno esaminati a partire dalla prossima seduta e che in tale occasione verranno altresì dichiarate le eventuali inammissibilità

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2017&mese=04&giorno=04&view=&commissione=0102&pagina=data.20170404.com0102.bollettino.sede00010.tit00010#data.20170404.com0102.bollettino.sede00010.tit00010

5 aprile 2017 La Commissione prosegue l’esame del provvedimento.Donatella Ferranti, presidente: sono state presentate circa 400 proposte emendative (vedi allegato), alcune delle quali presentano profili di criticità relativamente alla loro ammissibilità

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2017&mese=04&giorno=05&view=&commissione=0102&pagina=data.20170405.com0102.bollettino.sede00010.tit00010#data.20170405.com0102.bollettino.sede00010.tit00010

6 aprile 2017. Le Commissioni riunite I Affari costituzionali e II Giustizia hanno concluso, conferendo ai relatori il mandato a riferire favorevolmente in Assemblea, l’esame in sede referente del disegno di legge di conversione in legge del DL n. 13/2017.

Sul provvedimento le Commissioni III Affari esteri, IV Difesa, V Bilancio, VI Finanze, XI Lavoro, XII Affari sociali e XIV Politiche Ue hanno espresso parere in sede consultiva

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2017&mese=04&giorno=06&view=&commissione=0102&pagina=data.20170406.com0102.bollettino.sede00010.tit00010#data.20170406.com0102.bollettino.sede00010.tit00010

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RICONOSCIMENTO

Sia rispettata la volontà della minore di non essere riconosciuta dal padre.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 7762, 27 marzo 2017

Riconosciuto, finalmente, il diritto di una minore quattordicenne ad essere ascoltata e rispettata nella volontà di non voler essere riconosciuta come figlia naturale del padre biologico. Nonostante la giovane avesse espresso volontà contraria al riconoscimento, in questo senso già in sede di audizione in Cda, le sue parole erano state interpretate come contrarie al proprio interesse al riconoscimento ed alla bigenitorialità, dovute ad “informazioni errate sulla condotta paterna ed al timore di turbare la situazione familiare.” La vicenda, annosa e complessa, già era giunta in Cassazione ove era stato censurato l’omesso ascolto della allora bambina, con rinvio alla Corte territoriale per tale adempimento.

Ma la Corte d’Appello, pur disponendo l’ascolto della ormai quattordicenne, le “imponeva” comunque il riconoscimento paterno, nonostante la sua chiara espressa volontà contraria, sulla scorta del “diritto soggettivo del padre al riconoscimento della bambina, nell’interesse preminente della minore”, sia per “le conseguenze derivanti dalla bi genitorialità in senso astratto, sia dai vantaggi affettivi che ella avrebbe ricavato da una famiglia allargata” ( il padre aveva costituito una nuova famiglia da cui erano nati altri due figli), nonché “per l’assenza di pregiudizi concreti che mettessero in pericolo il benessere psico-fisico della minore dal rapporto con la figura paterna”.

La Suprema Corte, davanti cui la madre della ragazza aveva impugnato anche questa decisione, censurava però questa disposizione della Corte di Appello e cassava la decisione. Inspiegabilmente infatti, seppur la ragazzina fosse stata giudicata dalla Corte territoriale “capace di discernimento, matura e consapevole della sua condizione, e in grado di interagire e rispondere alle domande dell’interlocutore”, la sua volontà non era stata rispettata, in palese violazione dell’identità della minore del suo benessere effettivo sotto il profilo psichico, culturale e relazionale, in palese violazione dell’art 250 c.c. 3 e 4 comma.

Osservatorio della famiglia 5 aprile 2017

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17506815/sia-rispettata-la-volonta-della-minore-di-non-essere-riconosciuta-dal-padre.-cor.html

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SCIENZA & VITA

Un nuovo affondo della regione Lazio sulla interruzione volontaria della gravidanza

L’Associazione Scienza & Vita esprime profondo rammarico e disappunto di fronte all’iniziativa della Regione Lazio concernente l’utilizzo della pillola RU 486 al di fuori del contesto normativo fissato dalla legge 194/1978.

“Secondo la sperimentazione prevista nel Lazio – spiega Emanuela Lulli, ginecologa e consigliere nazionale di S&V -, infatti, la somministrazione della pillola abortiva non avverrebbe più in ospedale, o in strutture ad esso assimilate, come previsto dall’art. 8 della legge stessa, ma addirittura nei consultori familiari dove, a detta del Direttore Generale del Dipartimento Salute e Politiche Sociali della regione Lazio, alle donne potrebbe essere offerta ‘un’assistenza multidisciplinare’. Dunque dovremmo intendere che invece, fino ad oggi, alle donne che si sono rivolte all’ospedale per questa triste attività non veniva offerta la migliore assistenza possibile, anche di tipo multidisciplinare?”

“Ed invece, ancora una volta sulla pelle delle donne, si rischia di lasciarle sole due volte: sole nella scelta, perché quasi mai il sostegno alle difficoltà che indurrebbero la donna ad abortire è tale da consentirle un vero ripensamento, e sole nella ‘esecuzione’ della interruzione, che avverrebbe fuori dal contesto ospedaliero, al domicilio della donna stessa.

Qualcuno è arrivato a sostenere che ‘l’obbligo di ricovero non è un obbligo sanitario, ma ideologico e politico’: che dire? Non è mistificando la realtà che questa può essere cambiata. Le ragioni della tutela sanitaria che portarono nel 1978 a scegliere la ospedalizzazione sono valide ancora oggi, e certamente il contesto clinico e psicologico appare oggi come allora meritevole della miglior tutela ed attenzione verso la donna, la sua solitudine e la sua difficoltà.

Né poteva mancare la “solita” polemica sulla obiezione di coscienza: sarebbe colpa dei medici obiettori se le donne non possono fruire di un “servizio” ed esercitare un “diritto”. In realtà i dati contenuti nella relazione annuale al Parlamento dicono che il numero di IVG praticato in media da ogni ginecologo non obiettore è inferiore a 2 interventi/settimana, e che i ginecologi non obiettori sono in numero congruo rispetto al numero complessivo di interruzioni che vengono richieste e che, comunque, sono ancora ben 96.578! Ma il dato fondamentale resta: il diritto alla obiezione di coscienza è diritto costituzionalmente garantito e, ove non lo fosse, da garantire.

Di fronte a tutto ciò, – conclude Lulli – dovremmo provare a cambiare rotta: perché non consentire finalmente che i consultori, anziché luoghi di dispensazione di pillole abortive, possano svolgere quel ruolo di prevenzione dell’aborto che la legge 194 attribuisce loro? Perché non dotare quei servizi di risorse adeguate a fronteggiare le esigenze rappresentate dalle donne e che costituiscono il motivo reale delle interruzioni? Perché non rendere almeno efficace l’intervento previsto dall’art. 5, là dove si chiede che il consultorio “in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante” si adoperi per “esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta … le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause …, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”?

Comunicato stampa 7 aprile 2017

www.scienzaevita.org/scienza-vita-un-nuovo-affondo-della-regione-lazio-sulla-interruzione-volontaria-della-gravidanza

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SEPARAZIONE

Arriva il coordinatore genitoriale

Monza- 5 maggio 2017 -Sala Convegni Fondazione Forense di Monza, piazza Carducci –ore 14,15– 18:30.

Separazione dei coniugi. Introduce e modera:

Avv. Cinzia Colombo – Responsabile dell’AIAF Lombardia “Milena Pini”- Sezione Territoriale di Monza –

Relatori:

Dr Laura Maria Cosmai – Giudice della Sezione Nona del Tribunale di Milano

Avv. Giulia Sapi – Avvocato del Foro di Milano e componente del Direttivo AIAF Lombardia “

Dr Paolo Scotti – Psicologo, Coordinatore della formazione e membro del Consiglio Direttivo Associazione GeA-Gentiori Ancora, mediatore familiare presso il Centro per il Bergamo e la Famiglia di Bergamo

www.aiaf-avvocati.it/separazione-dei-coniugi-arriva-il-coordinatore-genitoriale

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TRIBUNALE ECCLESIASTICO

Incontri di formazione sul ‘Mitis iudex’ in Vicariato

Il Tribunale di Prima Istanza e il Tribunale di Appello del Vicariato di Roma, in collaborazione con il Coetus Advocatorum, propongono, fino al 3 maggio 2017, quattro incontri di formazione sul tema: “Prassi e sfide dopo l’entrata in vigore del M. p. Mitis Iudex Dominus Iesus e del Rescriptum ex audientia del 7 dicembre 2015”.

Il ciclo di incontri, che si terranno nella Sala del Primo piano del Palazzo Apostolico Lateranense dalle 15.00 alle 17.30, è accreditato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma e riconosce due crediti formativi per ciascun evento.

Per ogni singolo incontro è richiesta conferma di partecipazione, entro dieci giorni precedenti la data prevista, all’indirizzo email: formazionetribunali@vicariatusurbis.org

18 gennaio 2017

  • L’indagine pregiudiziale o pastorale, il primo colloquio, la raccolta degli elementi utili e la redazione del libello. Eugenio Zanetti

  • Diritto naturale di difesa e nomina dell’avvocato Markus Graulich

22 febbraio 2017

  • Il patrono ex officio, il patrono stabile e il patrono di fiducia. Giuseppe Baturi

  • L’honesta mercede dell’avvocato di fiducia. Manuel Jesus Arroba Conde

22 marzo 2017

  • Gli elementi pregiudiziali del processus brevior: consenso delle parti e chiara evidenza della nullità. Gian Paolo Montini

  • La fase istruttoria nel processus brevior. Paolo Bianchi

3 maggio 2017

  • Diritto di appellare nel processus brevior e nel processo ordinario. Giuseppe Sciacca

  • L’appello manifestamente dilatorio. Massimo del Pozzo

Gli incontri hanno luogo al I° piano del Palazzo Lateranense dalle ore 15:00 alle ore 17:30 Convegno accreditato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma: 2 crediti formativi per ciascun evento.

www.vicariatusurbis.org/?p=7931

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI

Giornata di studio a Taranto.Relazione d’aiuto e comunità sociale

50° Anniversario della Associazione di Volontariato “Il Focolare” di Taranto.

sabato 29 aprile ore 16-22 – Hotel Mercure Delfino, viale Virgilio 66

  • Relazione: “Consultorio e territorio

  • Festa di compleanno. Serata offerta da “Il Focolare” per il 50° dalla fondazione

Domenica 30 aprile ore 9-18

Giornata di studio: l’equipe cuore pulsante del consultorio familiare ucipem

1 maggio ore 8

Trasferimento al Centro “San Francesco De Geronimo” dei PP. Gesuiti di Grottaglie. Teatro Monticello

  • Relazione: “Consulenza e spiritualità ignaziana” Padre Alberto Remondini SJ

Iscrizioni: dovranno essere effettuate preferibilmente collegandosi al link: http://goo.gl/i6Tjwo

oppure inviando apposita scheda cartacea debitamente compilata e con allegata copia di pagamento alla Segreteria dell’UCIPEM o per posta (via Serviliano Lattuada 14, 20135 – Milano) o per e-mail (ucipem@istitutolacasa.it). www.ucipem.com/it

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UNIONI CIVILI

I.N.P.S.: Unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze

Circolare n. 66 del 31 marzo 2017

Legge 20 maggio 2016, n. 76. Regolamentazione delle Unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze. Risvolti in materia di obbligo assicurativo presso le gestioni dei lavoratori autonomi artigiani e commercianti.

Premessa

1. Le Unioni civili;

2. Le convivenze di fatto.

www.inps.it/bussola/VisualizzaDoc.aspx?sVirtualURL=%2fCircolari%2fCircolare%20numero%2066%20del%2031-03-2017.htm

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Le comunichiamo che i suoi dati personali sono trattati per le finalità connesse alle attività di comunicazione di newsUCIPEM. I trattamenti sono effettuati manualmente e/o attraverso strumenti automatizzati. Il titolare dei trattamenti è Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali Onlus – 20135 Milano-via S. Lattuada, 14. Il responsabile dei trattamenti è il dr Giancarlo Marcone, via Favero 3-10015-Ivrea.newsucipem@gmail.com

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