NewsUCIPEM n. 643 – 2 aprile 2017

NewsUCIPEM n. 643 – 2 aprile 2017

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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02 ADDEBITO Separazione: al marito che tradisce, anche se lei lascia la casa.

02 ADOZIONEInteresse del minore. Nuove tensioni e creatività giurisprudenziale

03 ADOZIONE INTERNAZIONALE Il Governo ha messo realmente in agenda il suo rilancio?

03 AFFIDO E ADOZIONE Nuove sfide de accoglienza familiare: aspetticlinici, sociali e giuridici

03 AFFIDO CONDIVISO Scuola: nel disaccordo tra genitori va preferita quella pubblica.

04 È possibile imporre al minore di frequentare l’altro genitore?

04 AMORIS LÆTITIA La recezione di Amoris Lætitia.I torti e le ragioni dei canonisti.

06 Amoris Lætitia è un pranzo di nozze.

10 CENTRO INT. STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 12/2017, 29 marzo 2017.

12 CENTRO ITALIANO SESSUOLOGIA Lutto. E’ mancato il prof. Carlo Conti, past president

12 Sessuologia news online.

12 XXX Congresso Centro Italiano di Sessuologia

12 CHIESA CATTOLICA Dopo 4 anni di pontificato, il bilancio che ne traggono i cardinali.

14 CINQUE PER MILLE Avviata la procedura per il pagamento del 3° ordinativo 2014.

14 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Trento. Ascolto e consulenza psicologica al Liceo Rosmini.

14 CONTRACCEZIONE La vera libertà sessuale non passa per la pillola

15 DALLA NAVATA 5° Domenica di Quaresima – Anno A – 2 aprile 2017.

16 Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).

17 FECONDAZIONE ETEROLOGA Fecondazione eterologa di nascosto? Disconoscimento consentito.

18 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA La famiglia continua ad essere una buona notizia per il mondo

18 MINORI MIGRANTI Tutela minori stranieri non accompagnati E’ legge.

19 Protezione minori stranieri non accompagnati: approvata la legge

21 Legge sui NSNA: AiBi al lavoro per promuovere l’affido famigliare.

21 Spadaro, Presidente TM Bologna: Legge Zampa sui minori è epocale

22 ONLUS – NON PROFIT Componenti di diritto nel consiglio direttivo di una Onlus.

22 Voucher e non profit: cosa cambia.

23 PARLAMENTO Camera AssembleaProtezione dei minori stranieri non accompagnati.

Senato AssembleaProtezione internazionale e di contrasto dell’immigrazione illegale

2°C. Giustizia Reati di costrizione al matrimonio

23 PASTORALE FAMILIARE Iniziativa regionale su Amoris Lætitia a Faenza

23 PRESBITERI Preti celibi e sposati, fianco a fianco.

24 Dio chiama al sacerdozio sia celibi sia sposati.

30 UCIPEM Lutto. E’ mancato il prof. Carlo Conti.

30 Giornata di studio a Taranto.

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ADDEBITO

Separazione: addebito al marito che tradisce, anche se lei lascia la casa

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 7469, 23 marzo 2017

Per la Cassazione la causa della rottura della coppia è la relazione extraconiugale che giustifica l’allontanamento dalla casa familiare. Lui tradisce e lei va via di casa? La separazione va addebitata al marito perché è sua la responsabilità della rottura della vita matrimoniale a causa della relazione extraconiugale. Lo ha stabilito la Cassazione respingendo il ricorso di un uomo che si opponeva all’addebito della separazione a suo carico, insistendo sull’abbandono della casa coniugale da parte dell’ex moglie e dunque sulla sua violazione del dovere di coabitazione.

Ma a nulla valgono le doglianze dell’uomo, giacché egli trascura un particolare importante, ossia il fatto che l’allontanamento dalla casa familiare da parte della ex era legato alla scoperta della relazione da lui intrattenuta con un’altra, la vera ragione della fine del rapporto.

Ciò giustifica pertanto, afferma la prima Sezione civile, in accordo con quanto stabilito dal giudice d’appello, l’abbandono del tetto coniugale, in quanto “effetto della frattura dell’unione già verificatasi”. In quest’ottica, concludono gli Ermellini rigettando il ricorso, la corte di merito ha correttamente escluso la responsabilità della donna per il fallimento del matrimonio, osservando che l’allontanamento della stessa dalla casa coniugale “non costituiva violazione del dovere di coabitazione, essendo stato determinato dalla scoperta di una relazione intrapresa dall’uomo con un’altra donna, e individuando proprio in tale circostanza la causa dei litigi tra i coniugi e dell’irreversibile crisi del nucleo familiare, con la conseguente addebitabilità della separazione al ricorrente”.

Marina Crisafi – Newsletter Studio Cataldi 27 marzo 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25599-separazione-addebito-al-marito-che-tradisce-anche-se-lei-lascia-la-casa.asp

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ADOZIONE

Adozione e interesse del minore. Nuove tensioni e creatività giurisprudenziale.

Mercoledì 5 aprile 2017, alle ore 16.00, a Roma presso l’Università Lumsa (aula 13), Via Pompeo Magno n. 22, si svolgerà il Seminario di studio “Adozione e interesse del minore. Nuove tensioni e creatività giurisprudenziale.

Si tratta di un esame oggettivo tra la configurazione storica dell’adozione e le nuove forme adottive da porre in relazione alla dimensione umana ed ai diritti irrinunciabili di una persona che nasce.

Il seminario è rivolto a studenti, laureati, accademici, soci UGCI e al pubblico esterno.

Interverranno Alberto Gambino, Emanuele Bilotti, Giovanni Giacobbe e Piero Sandulli.

www.lumsa.it/adozione-e-interesse-del-minore-nuove-tensioni-e-creativit%C3%A0-giurisprudenziale

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Il Governo ha messo realmente in agenda il rilancio della adozione internazionale?

Come si intende affrontare l’impasse della CAI? Vi è realmente l’intenzione sul breve periodo di indicare un nuovo Vice Presidente della Commissione adozioni internazionali? E ancora, si intende avviare un percorso di riforma del comparto amministrativo delle adozioni internazionali che preveda la transizione della CAI presso il MAECI (Ministero Affari Esteri e Cooperazione)?

Questi sono i principali interrogativi che pone il senatore Aldo Di Biagio che ha presentato un’interrogazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri

Il Governo ha messo realmente in agenda il rilancio della adozione internazionale? Di Biagio (Ap): “Troppo ritardo nella nomina dei nuovi vertici CAI”

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=17&id=1010460

News Ai. Bi. 30 marzo 2017

www.aibi.it/ita/il-governo-ha-messo-realmente-in-agenda-il-rilancio-della-adozione-internazionale-di-biagio-ap-troppo-ritardo-nella-nomina-dei-nuovi-vertici-cai

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AFFIDO E ADOZIONE

Affido, adozione e nuove sfide dell’accoglienza familiare: aspetti clinici, sociali e giuridici

Master Universitario di secondo livello. IV edizione

Alta Scuola di psicologia Agostino Gemelli a.a. 2016/2017 giugno 2017 – ottobre 2018

Il Master offre una formazione d’eccellenza per la costruzione di competenze specifiche nel campo dell’affido e dell’adozione e delle nuove forme di accoglienza familiare.

Il contatto con le più innovative esperienze italiane e la conoscenza dei più recenti contributi di ricerca internazionale favoriranno lo sviluppo delle capacità di leggere ed intervenire in queste situazioni complesse.

Il percorso formativo prevede anche l’apporto di studiosi riconosciuti in campo internazionale, quali J.Palacios (Spagna), D.Brodzinsky (Stati Uniti).

Ai partecipanti viene proposta una metodologia didattica fondata sull’attivazione personale, volta a stimolare la riflessione e tesa a favorire l’apprendimento dall’esperienza e dal confronto in gruppo.”

Informazioni master.universitari@unicatt.it – master.affidoadozione@unicatt.it

http://asag.unicatt.it/asag-adozione-e-affido-aspetti-clinici-sociali-e-giuridici-nel-lavoro-con-le-famiglie-presentazione

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AFFIDO CONDIVISO

Scuola: nel disaccordo tra genitori va preferita quella pubblica.

Tribunale di Milano, Sezione IX civile, decreto 2 febbraio 2017

Salvo, precisa il Tribunale di Milano, questa scelta non risponda all’interesse del minore nel caso concreto. Se i genitori non trovano un accordo tra scuola pubblica o privata, l’ufficio giudiziario si pronuncia a favore dell’istruzione pubblica, salvo questa non risponda all’interesse del minore nel caso concreto.

Nel giudizio riguardante la modifica delle condizioni della sentenza di divorzio è emerso un conflitto tra i genitori relativamente all’istruzione del figlio: il padre insisteva per l’iscrizione del figlio scuola pubblica, mostrandosi assolutamente contrario alla scuola privata di qualunque tipo, mentre la madre chiedeva di autorizzare l’iscrizione del minore presso un istituto privato.

Il Tribunale meneghino, chiamato a risolvere la controversia, rammenta il principio già affermato in altre occasioni per cui, in materia di conflitti genitoriali, laddove non esista o non persista un’intesa tra i genitori a favore di qualsivoglia istituto scolastico privato, la decisione dell’Ufficio giudiziario, che va a sostituire quella della coppia genitoriale, non può che essere a favore dell’istruzione pubblica, secondo i canoni dall’ordinamento riconosciuti come idonei allo sviluppo culturale di qualsiasi soggetto minore residente sul territorio.

Tale regola di principio, riconosce il giudice, può tuttavia subire eccezioni nelle ipotesi in cui, per le peculiarità del caso concreto, emergano evidenti controindicazioni all’interesse del minore e, quindi, la soluzione della scuola pubblica non sia quella più rispondente al suo interesse: a titolo esemplificativo, il Tribunale rammenta i casi di difficoltà di apprendimento, delle particolari fragilità di inserimento nel contesto dei coetanei o fragilità personali del minore, esigenze di coltivare studi in sintonia con la dotazione culturale o l’estrazione nazionale dei genitori, eccetera.

Nel caso in esame, infatti, per il Collegio sussistono proprio quelle concrete ragioni per derogare alla regola generale al fine di tutelare il percorso di crescita e la relazione del ragazzo con entrambi i genitori. Prima che sorgesse il conflitto sulla scelta della scuola, i genitori avevano concordato e consentito che il figlio frequentasse uno dei più costosi ed elitari istituti del capoluogo lombardo dove il padre stesso diceva di aver studiato.

Questo, secondo i giudici, è un dato “indicativo di un più profondo dissidio sulle scelte educative e di crescita complessiva del minore che sino ad oggi ha vissuto in un contesto familiare, paterno e materno, certamente dotato di significative risorse economiche”, tanto che ciascuno dei genitori tende ad addossare all’altro la responsabilità di aver trasmesso messaggi educativi improntati soltanto alla ricchezza e al denaro.

In realtà, per il Collegio, se il figlio è cresciuto come “viziato” tale conseguenza deriva dalle scelte educative complessive e di comportamenti di entrambi i genitori posti in essere nel tempo. Pertanto, il cambiamento della scuola non appare ai giudici come la soluzione adatta a insegnare al figlio che “il mondo è altro”, in quanto quest’ultimo la vivrebbe come un’esperienza punitiva e priva di motivazione, non essendogli offerti adeguati strumenti di riflessione e aiuto per superare le criticità della relazione che ha con entrambi i genitori.

Quindi, per tutelare il percorso di crescita del minore, il Tribunale ritiene che la soluzione migliore sia quella della prosecuzione del percorso scolastico nell’istituto privato. Dovranno, dunque, essere altri gli interventi necessari per evitare il radicalizzarsi della frattura della relazione del figlio con il padre e alla non emancipazione dalla figura materna.

Lucia Izzo Newsletter Studio Cataldi 27 marzo 2017

Testohttp://mobile.ilcaso.it/sentenze/ultime/16922

www.studiocataldi.it/articoli/25577-scuola-nel-disaccordo-tra-genitori-va-preferita-quella-pubblica.asp

 

Diritto di famiglia: è possibile imporre al minore di frequentare l’altro genitore?

Tribunale di Torino, VII Sezione civile, decreto 4 aprile 2016.

Per il tribunale di Torino, il fine primario è quello di tutelare l’interesse del minore.

La risposta al quesito è fornita dal Tribunale di Torino che, uniformandosi alle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo che prescrivono al Giudice di individuare e di concretizzare il diritto del genitore a mantenere il legame con i figli sempre nell’ottica prevalente di favorire l’interesse superiore del minore, ha deciso che il mantenimento dei rapporti familiari non deve essere imposto al minore che si oppone di frequentare l’altro genitore, al fine di tutelare l’interesse del primo rispetto ad ogni altro diritto.

Il caso concreto. Un padre separato ricorreva, dopo aver lamentato il rifiuto della figlia minore di incontrarlo e vederlo, al Tribunale di Torino al fine di imporre alla stessa di riprendere i rapporti, previa CTU psicologica volta ad accertare se l’origine di tale rifiuto fosse da addebitare ai condizionamenti psicologici posti in essere dalla madre.

La madre contestava le richieste di parte adversa ed in via riconvenzionale chiedeva che il diritto di visita padre – figlia venisse regolato nel rispetto della volontà della minore. Altresì chiedeva il risarcimento del danno.

Il Collegio giudicante rigettava la richiesta di CTU psicologica formulata dal padre in quanto generica ed esplorativa e, quindi, inutilizzabile per individuare i fatti a sostegno della domanda. Inoltre, la minore nel corso dell’audizione in giudizio aveva espresso chiaramente di non sentirsi a suo agio con il padre visto il suo comportamento prepotente ed aggressivo e di provare ansia solo all’idea di vederlo.

La decisione. Sulla base delle risultanze dell’audizione, il Collegio torinese, rifacendosi alle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, riteneva che “al diritto del figlio di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore deve, specularmente, riconoscersi anche il diritto di ciascun genitore al mantenimento di rapporti effettivi con i figli affinché il principio di bigenitorialità trovi concreta ed effettiva attuazione nell’interesse ultimo del figlio stesso ad una crescita serena ed equilibrata, ed affinché il genitore sia posto nelle condizioni di esercitare la responsabilità genitoriale che gli compete e di adempiere al proprio dovere di mantenimento e cura della prole”.

Il Collegio, inoltre, osservava che l’individuazione delle concrete modalità di esercizio e attuazione di tale diritto deve avvenire avendo come criterio di riferimento “l’interesse superiore del minore”. Ne consegue che i provvedimenti impositivi di rapporti, visite ed incontri non costituiscono la strada migliore per garantire e tutelare “l’interesse superiore del minore” ad una proficua bigenitorialità ed ad una crescita serena ed equilibrata.

Se ne desume che il criterio da adottare, al fine di tutelare i minori nell’ipotesi di crisi familiare, è quello contenuto nell’art. 337 ter comma 2 c.c. “il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”. I Giudici, alla luce della soprariportata norma, dovranno, pertanto, adottare i provvedimenti tenendo conto dell’interesse del figlio al fine di mantenere un rapporto equilibrato e sereno con entrambi i genitori.

Si badi bene. Il rigetto, nel caso esaminato, della richiesta di CTU psicologica non deve rappresentare un precedente, in quanto tale materia – diritto di famiglia – assai delicata non deve seguire un iter prestabilito, ma ogni caso è a sé e, pertanto, deve essere dettagliatamente esaminato al fine di tutelare al meglio il minore coinvolto.

Avv. Luisa Camboni Newsletter Studio Cataldi 30 marzo 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25618-principio-di-bigenitorialita-e-possibile-imporre-al-minore-di-frequentare-l-altro-genitore.asp

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AMORIS LÆTITIA

La recezione di Amoris Lætitia.I torti e le ragioni dei canonisti, con due domande.

Al primo apparire, un anno fa, del testo ufficiale di Amoris Lætitia, tutti hanno potuto subito registrare un diffuso imbarazzo che saliva dagli ambienti dei canonisti. Le parole più dure sul testo e le incomprensioni più radicali delle sue intenzioni sono venute proprio da alcuni esponenti di quegli ambienti. Forse anche a causa di un fatto non trascurabile, ossia della riforma che con Motu Proprio il papa aveva introdotto durante la fase intersinodale, nell’agosto del 2015, con operatività a partire dall’8 dicembre dello stesso anno, e che molti ambienti giuridici ecclesiastici hanno vissuto e subito quasi come un “colpo di mano”. Questo fatto ha determinato, in una larga parte degli ambienti canonistici, una sorta di “pregiudizio”, che si è immediatamente tradotto in una recezione piuttosto tiepida della riforma e in un atteggiamento di sufficienza nei confronti dell’intero processo sinodale e dei suoi esiti pastorali. Di qui una serie di conseguenze non di poco conto come: – una lettura formalistica della Esortazione Apostolica, che spesso, anche senza la intenzione esplicita, veniva a coincidere con le letture dogmaticamente e sistematicamente più chiuse e più reazionarie. Di fatto il canonista, in più di un caso, ha poggiato la sua “tecnica giuridica” su una comprensione della Chiesa, del sacramento e della teologia del tutto inadeguata; – una forma di profondo scetticismo verso la riabilitazione del “foro interno”, che è stato percepito come una minaccia del foro esterno e come un abbassamento del grado di “certezza del diritto” dell’intero sistema canonico; – una vera incomprensione di quella dimensione nuova – il “foro pastorale” – che AL introduce proprio per rispondere alle carenze che progressivamente il “sistema matrimoniale canonico” ha manifestato, a partire dagli anni 60 del secolo scorso. Precisamente nell’anno anniversario del primo Codice di Diritto canonico (1917-2017) i canonisti si sono trovati quasi spiazzati e scavalcati da una iniziativa pastorale senza precedenti e che facilmente sono stati portati a considerare o avventata o inefficace. Un esempio di questa difficoltà è apparso di recente sulle riviste, da parte di un “canonista laico”, che ha mostrato con dovizia di esempi a quale livello di cecità possa giungere la ermeneutica canonistica di fronte ad Amoris Lætitia e al resto del pontificato di Francesco (rimando qui all’istruttivo dibattito tra Consorti e Zanotti di cui riferisco in un mio post precedente, che si può leggere qui). Di fronte a questi sviluppi forse inattesi, mi sembra giusto indicare non solo i molti torti e ma anche alcune ragioni dei canonisti. Cui farò seguire due domande, che possano aprire un vero dibattito intorno alle questioni giuridicamente più urgenti che AL inaugura, ma non risolve.

I torti dei canonisti. Impalcati da un secolo in una struttura positivistica di rapporto con la legge, i canonisti sono diventati, decennio dopo decennio, sempre meno critici. Si sono adattati ad un ruolo meramente “esecutivo”, senza esercitare quella classica funzione critica che da sempre ha animato e reso vitale il corpo della Chiesa nel divenire storico delle fede e dei costumi. Il giurista che si barrica dietro il codice finisce per perdere il rapporto con la realtà. Nel caso del diritto matrimoniale canonico, una lunga tradizione di conflitto con lo Stato moderno – alla cui luce anche il Codice è sorto e si è strutturato – ha paralizzato ogni iniziativa critica, ha rinserrato le fila in una contrapposizione tra il canonico e il civile in cui, progressivamente, si è perso il rapporto con le opere e i giorni di uomini e donne. Così, mentre ci si aspetta dai canonisti una capacità di lungimiranza e di discernimento superiore, quasi tutti i canonisti che sono intervenuti durante il Sinodo sapevano solo mettere in guardia dai cambiamenti, additare gli errori e configurare orizzonti apocalittici anche per il caso di piccoli mutamenti della disciplina. La diffusa lamentela circa la “grande confusione” che AL avrebbe introdotto nella pastorale familiare dipende da una confusione quasi irrimediabile: il fine del Codice non è ordinare le scrivanie dei canonisti, ma produrre un ordine nella vita delle “anime” dei cristiani. La “confusione” che esiste nella realtà deve intaccare le scrivanie, per poter essere risolta. Scrivanie ordinate in un mondo confuso non sono un segno di forza, ma di drammatica debolezza. La rilettura delle novità di AL con le categorie vecchie ha prodotto in molti canonisti imbarazzo, paralisi, stizza e sconforto. Volevano una Chiesa ordinata, o almeno una scrivania ordinata: e scoprono che così non può più essere. E che spetta, anche a loro, prendersi cura del disordine e scoprirvi, dentro, un ordine nuovo, diverso, più profondo. Le ragioni dei canonisti Nonostante questi limiti piuttosto vistosi, che riguardano – si intenda bene – non una intera categoria, ma numerosi suoi rappresentanti, una istanza vera e meritevole di attento ascolto si leva in modo più o meno scomposto da queste loro reazioni. Si tratta di un punto di vista squisitamente istituzionale, di cui AL non si occupa direttamente, ma che a giusto titolo un canonista non può e non deve affatto trascurare. Per spiegarmi cerco di dire la novità di Amoris Lætitia in modo sintetico, per trarne la “questione istituzionale” che sta giustamente a cuore al canonista e non solo a lui. Se AL ridefinisce le condizioni complessiva di esistenza familiare all’interno della Chiesa, superando una lettura “oggettivistica” che la dottrina e il diritto canonico avevano pensato come l’unica possibile e recuperando la differenza e la rilevanza delle “condizioni soggettive” all’interno di questo modello generale, si pone perciò un problema nuovo. A quali condizioni daremo “riconoscimento intersoggettivo” a queste nuove forme di “comunione familiare”? Qui, per essere il più possibile concreti, dobbiamo esemplificare. Secondo AL una coppia di “divorziati risposati”, che si sia messa in cammino, che abbia percorso la sua strada di dolore e di penitenza, e che riconosca quel bene possibile al quale è stata chiamata, pur consapevole della differenza tra questo bene possibile e il bene compiuto e pieno, cionondimeno può rientrare nella pienezza della comunione ecclesiale. Questa “mediazione pastorale” – che accompagna, discerne e reintegra – quale conseguenze istituzionali può avere? E in che modo queste conseguenze possono essere “riconoscibili” e “opponibili a terzi”? Di fatto, su questo piano, per dirla brutalmente, per il diritto civile vale il “secondo matrimonio”, mentre per il diritto canonico vale soltanto il “primo”. Ovviamente parlo qui della ipotesi in cui il primo matrimonio non sia stato oggetto di giudizio intorno alla nullità. Nessuno deve dubitare del fatto che il canonista, quando pone questa domanda, stia sollevando una questione non solo legittima, ma lungimirante. Ecco allora che proprio la “ragione canonica” può permetterci di recepire pienamente AL, ma solo a certe condizioni. Provo a formularle in due domande, che sottopongo alla attenzione dei canonisti.

Due domande ai canonisti. Le due domande che pongo sono, per così dire, incrociate: la prima scende dall’alto della prassi giudiziale canonica e cerca di intercettare il “foro pastorale” che AL ha inaugurato; la seconda, invece, risale dal basso del “foro pastorale” e attende una forma di recezione formale e istituzionale garantita dalla sapienza canonica.

  1. La prima domanda suona così: siamo certi che il processo canonico per esercitare il giudizio sulla validità del vincolo costituisca l’unica via per porre rimedio ad una condizioni di “sfasatura” tra ideale evangelico e realtà di vita dei soggetti? Questa procedura, che viene da lontano, ma che è anche nata e si è sviluppata in un contesto sociale ed ecclesiale in cui la coscienza del singolo e la storia dei soggetti poteva essere ricondotta semplicemente ad un “inizio valido”, può continuare ad essere l’unica forma consentita dall’assetto sacramentale del matrimonio? Non vi è qui un punto cieco, in cui la tradizione canonica appare paralizzata da una cattiva teologia, e una buona teologia non sa tradursi in più adeguate discipline giuridiche?

  2. La seconda domanda suona invece così: non spetta forse al canonista, al di là della prima questione qui sollevata, provare a configurare la “riconoscibilità giuridica” della condizione delle “famiglie aperte”, che abbiano nuovamente ottenuto la comunione ecclesiale, ma che abbiano il problema dello “statuto giuridico” della loro condizione? La “dispensa” dal matrimonio canonico o la “morte morale” del vincolo sacramentale non potranno essere, ragionevolmente, le vie per acquisire anche formalmente la nuova condizione? I canonisti tedeschi e francesi, che hanno elaborato negli ultimi anni modelli di “traduzione canonica” delle esperienze delle famiglie allargate, sono del tutto assenti dagli orizzonti del canonisti italiani? E quali ragioni, che non siano fondate in una teologia statica e autoreferenziale, possono ancora giustificare questo silenzio?

Si tratta di due domande piuttosto rozze e formulate anche con linguaggio approssimativo, ma che cercano di cogliere due questioni su cui i canonisti penso che dovrebbero parlare piuttosto che tacere. E sono certo che la comunità ecclesiale abbia urgente bisogno di una parola competente e coraggiosa in questo campo delicato e decisivo. Ne va della piena recezione di AL, ossia di una recezione che colga AL non come una piccola fine, ma come un grande inizio.

Andrea Grillo Come se non – – 30 marzo 2017 www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non

 

Amoris Lætitia è un pranzo di nozze

Nella pur breve, ma gloriosa storia di Amoris Lætitia è ci troviamo nel periodo intermedio tra due compleanni: tra la data del 19 marzo, che figura in calce al documento, e quella dell’8 aprile 2016, giorno della presentazione ufficiale del testo, un anno fa. Per onorare questo documento così importante, che è il risultato di un cammino lungo e accidentato, cerco di presentarne la struttura in un modo un poco originale: poiché questo è un testo molto complesso, non difficile perché lo si legge molto semplicemente, ma perché la sua struttura è molto articolata, ho avuto l’idea di leggerlo come un “pranzo di nozze”. E come tale intendo presentarlo. Registrazione della conferenza su AL il 15 maggio del 2016 ad Albano.

Un banchetto nuziale in 10 portate. Il testo è lunghissimo: 325 paragrafi. Potremmo quasi leggerne uno al giorno: riposando le domeniche, se ogni giorno feriale leggiamo un paragrafo, perseveriamo per un anno intero; e il Papa in qualche modo ci suggerisce di fare così, quando dice di non leggerla di fretta, addirittura dice di leggere prima il 4° capitolo oppure il 6°, e solo dopo l’8, perché appunto questo è un grande testo, ed essendo tale – come diceva un grande filosofo ebraico del 900, F. Rosenzweig – «i grandi libri si possono leggere anche dall’ultima pagina».

Allora il Papa dice che a seconda delle funzioni che avete in Chiesa, delle vostre sensibilità, cominciate da un punto diverso: ci sono 9 capitoli, ognuno con una certa autonomia rispetto agli altri. Allora io suggerisco di leggerli come se fossero i diversi piatti di un pranzo di nozze, un grande banchetto di 10 portate: c’è un antipasto squisito, ci sono tre primi appassionanti, due secondi sostanziosi, e quattro portate gustose di frutta e dolce. Ogni portata corrisponde ad un capitolo, salvo l’antipasto che è “solo” la breve introduzione, costituita dai primi 7 numeri, da non sottovalutare. In questo testo l’introduzione è una grande novità: tenderei a dire che la più grande novità di AL sta proprio nei primi sette numeri. Proprio di qui voglio iniziare

a) L’antipasto squisito. Mettiamoci subito in ascolto del “tono” nel numero 2 di Amoris Lætitia. È un percorso ecclesiale che ha coinvolto tutti e che arriva ad un risultato: «la complessità delle tematiche proposte ci ha mostrato la necessità…» notate bene, siamo all’inizio del documento… «di continuare ad approfondire con libertà…» il Papa parla con letizia anche della libertà di continuare ad approfondire. Dunque si tratta di approfondire con libertà…«alcune questioni dottrinali, morali, spirituali e pastorali». Con questo documento, da un certo punto di vista, si chiude una fase, ma se ne apre già un’altra; infatti, una delle caratteristiche della Esortazione è che questo è un documento aperto, che rifiuta la logica tipica di questi ultimi 140 anni, dal 1880 ad oggi, in cui il Magistero familiare assume un ruolo totalizzante e dice, per filo e per segno, tutto quello che deve essere detto, fatto, creduto. Francesco e i vescovi che hanno lavorato per tre anni sul tema, si sono resi conto che in materia di matrimonio in generale, e in particolare nel campo del matrimonio in crisi, del matrimonio infelice e delle famiglia allargate, l’idea di una legge generale che sia applicabile da parte di tutti in modo indiscriminato è un sogno irrealizzabile; non c’è alternativa a prendersi cura di ogni situazione specifica diversa. Si noti come nel testo si aggiunge … «la riflessione dei pastori e dei teologi, se è fedele alla Chiesa, onesta, realistica e creativa, ci aiuterà a raggiungere una maggiore chiarezza».

Ma poi, passando al numero tre, si dice: «Ricordando che il tempo è superiore allo spazio, desidero ribadire che non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero». Questa è una parola che non ascoltavamo più da 50 anni; ma che in qualche modo risale a prima della tarda modernità: così il magistero parlava fino al 700. Dopo ha dovuto quasi assumere su di sé il compito di rispondere sempre più nel dettaglio a tutte le questioni. L’idea che il Magistero papale debba entrare nel dettaglio delle questioni liturgiche, matrimoniali, personali, è un’idea nostra, dell’ultimo secolo, che soprattutto è cresciuta dopo il Concilio Vaticano II. In effetti uno degli effetti non voluti del Concilio è che il Magistero sia tenuto ad entrare nel dettaglio di tutte le questioni, del lavoro, del divertimento, se sia giusto aprire gli stadi di domenica o se sia giusto ribellarsi al tiranno… il Magistero dovrebbe rispondere e dire la propria su tutto… Francesco, che non viene dall’Europa, che viene dal Sud America, che non viene da una tradizione ecclesiale così eurocentrica, dice che è legittimo che il magistero proponga alcuni orientamenti, e poi i singoli parroci, i singoli vescovi, provvedano in loco secondo discernimento. Questo vedrete è una delle parole decisive: riscoprire il discernimento. E alcuni parroci e vescovi hanno cominciato a dire: “discernimento significa confusione”, perché si sono rassegnati ad una visione della tradizione rigida e centralista.

La pretesa che ci sia una legge generale che scavalca la libertà è una ipotesi troppo semplicistica, sia per il prete, sia per il vescovo, ma anche per il laico. Il laico è messo dentro non in una logica da regolamento condominiale, è messo dentro la propria esistenza, e dunque nel confronto con il pastore, a livello parrocchia o diocesi, può operare quel discernimento grazie al quale non gli è più impedito nessun obiettivo. Noi possiamo avere oggi una Chiesa che non esclude nessuno, né dall’assoluzione né dalla comunione, rinunciando al primato assoluto della legge generale. Si noti: noi vorremmo o restare nelle situazioni precedenti, parlando di legge generale, per cui se uno si trova nella condizione di divorziato-risposato non potrà mai più, vita naturale durante, ricevere l’assoluzione e fare la comunione. Oppure vorremmo una nuova legge che dicesse, “nonostante tu sia divorziato-risposato, puoi sempre essere assolto e fare la comunione”. Non c’è più quel regime antico né è nato quello che alcuni sognerebbero, ma la soluzione sta nel discernimento, secondo cui ad ognuno non è precluso nessun obiettivo, purché si metta in gioco, e si metta in gioco come divorziato-risposato, come parroco e come vescovo. Tutti sono messi in gioco.

Quello che in qualche modo salta è l’idea della condizione oggettiva di peccato grave come realtà “per sempre”. Lo vedremo andando avanti nel pasto, ma lo dico fin dall’antipasto: il discorso del Magistero che non deve intervenire su ogni dettaglio significa che deve esserci la possibilità di riconoscere i soggetti in un percorso e non solo in uno stato. La parola che abbiamo usato di più nell’ultimo secolo è stato di grazia e stato di peccato. Lo stato è lo spazio, il tempo cambia gli stati; nel tempo chi è in stato di peccato entra nello stato di grazia. Questo è il primato del tempo sullo spazio, che in Evangelii Gaudium Francesco declina così: «È primario nel tempo inaugurare percorsi di cambiamento piuttosto che preoccuparsi solo di occupare spazi». Lo dice della Chiesa; che si è abituata a occupare spazi e a non iniziare percorsi; oggi deve iniziare percorsi rinunciando ad occupare spazi. Si noti che questa è una parola che si può capire che venga dal Sudamerica, è una parola tipicamente non Europea: tipicamente evangelica ma di una sapienza non mediata da parte di una chiesa forte, potente, che ha occupato tutti gli spazi. Se viene dal Sudamerica capisce che è per annunciare Dio nella città –ha scritto Francesco quando era Cardinale Arcivescovo di Buenos Aires, «portare Dio nella città è già un’idea distorta; Dio c’è già, bisogna riconoscerlo, dargli la parola». L’idea di portarlo vuol dire che in qualche modo tu ti accaparri l’esclusiva e questo è tipico delle istituzioni potenti; le istituzioni di servizio lavorano perché si possa riconoscere che Dio già sta abitando la città. Così abbiamo finito l’antipasto.

b) I primi piatti raffinati (capp. I – II – III). Passiamo ora ai tre primi piatti che corrispondono ai primi tre capitoli di AL. Il pasto disarticola un po’ la struttura del testo, ma per ora manteniamo l’ordine della successione: introduzione–antipasto; primi tre capitoli–primi tre piatti. Dunque, primo capitolo, annuncio della Parola, un bellissimo capitolo biblico; dove però abbiamo un’altra grande novità: perché appunto queste parole bibliche, a livello di spiritualità diocesana, nei discorsi che fa un vescovo, in una lezione di un teologo, li abbiamo già gustati e meditati. Nel Magistero papale è abbastanza raro che si usi la Scrittura non come il fondamento di una verità ma come il racconto di una esperienza. Questo primo capitolo, intitolato “alla luce della Parola”, merita di essere letto nel suo primo attacco, perché l’attacco fa venire la pelle d’oca. Non dimenticate che Francesco è un uomo di letteratura; non so perché i giornali lo presentano quasi solo come un tipo scherzoso, come uno che fa battute; guardate che non fa mai battute a caso, parla sempre con finezza retorica: Se dice “misericordiar” in realtà forza anche lo spagnolo per dire una logica di misericordia che diventa una parola sola. L’attacco del primo capitolo –il titolo è alla luce della parola, ma sentite che potenza– «la Bibbia è popolata da famiglie, da generazioni, da storie d’amore e da crisi familiari, fin dalla prima pagina dove entra in scena la famiglia di Adamo ed Eva con il suo carico di violenza ma anche con la forza della vita che continua …». Qui non stiamo andando alla ricerca del versetto su cui costruire la nostra dottrina; qui andiamo alla ricerca di esperienza autentica. Francesco in Evangelii Gaudium parla non solo del primato del tempo sullo spazio, ma anche del primato della realtà sull’idea: ma lo vedremo nel capitolo secondo, quindi nel secondo dei primi che è un po’ più pesante, mentre il primo dei primi è leggero a base di verdure diciamo, quasi vegano il secondo invece è con carne di maiale, più duro da digerire. Il primato della realtà sull’idea vuol dire –fate attenzione, non mette davanti l’idea – confrontatevi con la realtà, il grande ideale cristiano, se diventa idealizzazione, corre rischi, perché –dice Francesco, lo ha detto in tanti casi (Evangelii Gaudium, interviste, prediche a Santa Marta) «ogni idealizzazione comporta sempre una aggressione» e forse nell’ultimo secolo niente è stato così idealizzato come il matrimonio. Per cui, il discorso di comunione, pace, riconciliazione diventa un discorso aggressivo, aggressivo della Chiesa nei confronti del mondo, come se si basasse su un pregiudizio radicato in una diffidenza. Questo ci fa capire che nel secondo primo, cioè nel capitolo secondo, Francesco mette alcuni dei numeri più pesanti di autocritica: molto difficili di mandare giù, se uno ha vissuto la tradizione cattolica sul matrimonio degli ultimi 50 anni.

Non ho tempo di leggerli tutti, ma leggete soprattutto i numeri 35-36. Io vi leggo una piccola antologia, ma i numeri 35-36 sono potentissimi nella autocritica; dicono, con parole Magisteriali, quello che vi ho appena detto. Il papa dice così (sta parlando dell’importanza con cui la Chiesa difende il bene del matrimonio, il bene della fedeltà, il bene della indissolubilità, il bene della generazione) ma attenzione, «non ha senso (a metà del n. 35) fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare qualcosa. Neppure serve pretendere di imporre norme con la forza dell’autorità. Ci è chiesto [invece] uno sforzo più responsabile e generoso …». Vado avanti, numero 36: «dobbiamo essere umili e realisti per riconoscere che a volte il nostro modo di presentare le convinzioni cristiane e il modo di trattare le persone hanno aiutato a provocare ciò di cui oggi ci lamentiamo…» guardate come continua… «d’altra parte, spesso abbiamo presentato il matrimonio in modo tale che il suo fine unitivo, l’invito a crescere nell’amore e l’ideale di aiuto reciproco sono rimasti in ombra per un accento quasi esclusivo posto sul dovere della procreazione». Tutto il linguaggio della prima metà del 900, così. «… Altre volte abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie (vedete qui) questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario». Cioè, abbiamo avuto una responsabilità nell’aver in qualche modo costruito una idealizzazione che rende addirittura difficile aderire al matrimonio. Caspita! Più di così! Cosa doveva dire? In termini di coscienza che il modo con cui parli del matrimonio determina le conseguenze di reazioni anche di chi ti ascolta, di chi guarda dall’esterno, e può capire bene quello che intendi o può capire il contrario di quel che è. E non poche volte abbiamo fatto del matrimonio più un martello che un faro.

Per questo il terzo primo, anch’esso piuttosto nutrito e sostanzioso, è la svolta –diciamo così– di questa prima parte: lo sguardo rivolto a Gesù e la vocazione alla famiglia. Si riprende la dottrina cattolica sul matrimonio con lo sguardo rivolto a Gesù, dunque dicendo, se guardi a Gesù puoi entrare nella logica del matrimonio per la via più corretta, evitando le idealizzazioni fasulle; entrando nella grande idea che passa attraverso la morte e la risurrezione come grande attestazione del mistero pasquale in forma matrimoniale. E ciò culmina in una opportuna precisazione circa il rapporto tra legame Cristo/Chiesa e legame marito/moglie. In effetti su questa lettura “eucaristica” del matrimonio è bene sottolineare il valore di “segno” e di “analogia” che il matrimonio ha in rapporto alla eucaristia. Ma con molta finezza il testo, ai nn. 72-73, rimarca che questo “segno” e questa “analogia” sono “imperfetti”. Questa riconosciuta imperfezione sottolinea la differenza tra il mistero/ideale e la “idealizzazione/ideologia”, non appiattisce il matrimonio sulla eucaristia, impedisce letture massimaliste della tradizione e permette la comprensione delle fragilità in forma non solo moralistica. In questa differenza si colloca la forza della realtà e la possibilità di curare le ferite. Così abbiamo finito i primi piatti e passiamo ai secondi

c) I secondi piatti sostanziosi (capp. VI e VIII). I secondi piatti ci conducono alla parte più importante dal punto di vista strutturale e operativo, e corrispondono al VI e VIII capitolo, rispettivamente su “alcune prospettive pastorali” e sull’accompagnare, discernere e integrare. Si potrebbe dire che sono i capitoli che parlano delle famiglie felici, sia pure i con tutti i loro problemi, e delle famiglie che hanno sperimentato il fallimento. Siamo alle prospettive pastorali proiettate sul grande campo delle famiglie che con tutte le loro difficoltà restano in piedi, e delle famiglie che invece hanno vissuto il naufragio, ma hanno trovato un’isola, hanno ricostruito una forma di comunione, sia pure problematica e fragile. Qui voglio farvi notare: VI e VIII capitolo sono abbastanza classici, ma la struttura è comunque molto originale; perché il capitolo VI è costruito sulla vita della famiglia; dall’inizio alla fine: annunciare il vangelo alla famiglia, oggi; guidare i fidanzati nel cammino; accompagnare i primi anni; rischiarare crisi, angosce e difficoltà; e quando la morte pianta il suo pungiglione. Dalla nascita dell’amore alla morte dei soggetti. Tutta la parabola; con un misto di sapienza pastorale, finezza spirituale, sapienza biblica, mescolate con un tono davvero nuovo. Noi eravamo abituati a pensare che quando si devono capire le norme, si usa un certo tipo di linguaggio; se poi si deve fare spiritualità, si cambia linguaggio; qui invece troviamo continuamente la norma, la sapienza, l’ispirazione biblica, l’esperienza vitale…e ne deriva un approccio e un gusto molto diverso.

Il capitolo VIII è quello del quale abbiamo sentito parlare di più, perché i giornali degli altri otto capitoli hanno detto due righe e si sono fermati per tre pagine soltanto sul capitolo VIII. Qui vorrei farvi notare che i tre verbi – accompagnare, discernere e integrare – sono davvero i tre verbi chiavi in generale della Pastorale Familiare, ma in particolare per i casi che prima definivamo “irregolari”. Dico, “prima definivamo irregolari”, perché di fatto prima restavano irregolari, oggi possono regolarizzarsi; non secondo una regola astratta –non c’è una nuova regola (condominiale?) che regolarizza gli irregolari– ma nel tempo, in un cammino di discernimento, accompagnati, possono integrarsi. E possono integrarsi a vari livelli: possono integrarsi a livello di ministero della catechesi, per esempio, un divorziato-risposato, domani potrà essere un catechista; potrà avere una ministerialità ecclesiale, potrà anche, essere assolto e comunicarsi. Questo appunto secondo la logica che supera l’oggettivismo giuridico precedente, e qui, appunto, quando avrò finito di illustrarvi il pranzo, mi fermerò –perché questo è uno dei punti più delicati sui quali oggi saremo chiamati a lavorare–. Ma superare l’oggettivismo giuridico, come fa AL, non significa risolvere tutte le questioni. Dovremo, in futuro, aver chiaro che perché gli irregolari non siano più tali, è fondamentale che una Chiesa li accompagni, discerna e li integri, ma alla fine questa “integrazione” dovrà darsi una “norma” che permette a tutti di riconoscere questa regolarizzazione. In altri termini, sulla base di AL dovremo riformare il diritto canonico.

d) Frutta matura e dolci di gusto (capp. IV – V – VII – IX). Abbiamo visto i due secondi sostanziosi, dopodiché ci sono quattro portate, di frutta matura e di dolci gustosi. E li ho chiamati “frutta e dolce” perché sono capitoli molto originali rispetto allo stile magisteriale a cui siamo abituati.

Cominciamo dal capitolo IV che è il più esteso di tutti, e ha come tema l’amore –e questo guardate, noi non ce ne rendiamo più conto– ma se voi lo proiettate su una campata di 140 anni, questo è veramente incredibile, che ci sia un intero capitolo sull’amore. E io non ero vivo almeno nel 1880, neanche nel 1930, ero già vivo negli anni 60, ma la mia prima lezione sentita quando avevo più o meno venti anni, intorno agli anni 80, da un professore di diritto canonico del seminario di Genova, ha cominciato sul matrimonio con queste parole letterali: «cari ragazzi, ricordatevi: con il sacramento del matrimonio l’amore non ha niente a che fare!» Se il canonista parte così, la strada è in discesa, i problemi dove sono? Se un Papa mette come IV capitolo centrale sulla pastorale matrimoniale un capitolo sull’amore, è chiaro che fa saltare il banco di quelle impostazioni, che già era saltato per conto suo, ma ora è proprio saltato completamente; se tu non ti occupi dall’amore –certo non come ne parlano i baci Perugina– ma anche tenendo conto che ci sono i baci Perugina come parte del linguaggio sull’amore di oggi, cosa che appunto cambia anche il matrimonio. Il modo con cui la Chiesa ha affrontato il tema amore è stato per molti decenni un modo autoreferenziale, citava i propri testi e non teneva conto che la civiltà cambiava, il che non vuol dire che ci sono i “baci Perugina”, ma che uomini e donne –oggi– tengono conto dell’amore, cioè del sentimento, della dipendenza, del fascino, della sessualità, per sposarsi. Questa è una cosa nuova. Fino a cento anni fa uomini e donne si sposavano senza essersi mai visti prima; il matrimonio per procura è una realtà almeno fino alla II Guerra mondiale. E così è da noi, in Europa. Altrove le cose stanno in modo ancora diverso.

Allora, se tu parli di un mondo così, ovviamente hai certi problemi e certi vantaggi: in un mondo in cui l’amore è questa cosa complessa di cui parla il Papa al IV capitolo, e comincia con un bellissimo commento sapienziale dell’inno della I lettera ai Corinzi di Paolo, che è davvero –già di per sé– un grande testo; che il Papa legge a partire dell’esperienza matrimoniale e come criterio di lettura l’esperienza matrimoniale. Sentite tutti i paragrafi di quest’inizio del IV capitolo: «il nostro amore quotidiano, pazienza, benevolenza, guarire dall’invidia, senza vantarsi e gonfiarsi, amabilità, distacco generoso, senza violenza, perdono, rallegrarsi con gli altri, tutto scusa, ha fiducia, spera, tutto sopporta…» sono le parole di Paolo applicata alla vita matrimoniale a cui segue crescere nella carità coniugale, ma poi, amore appassionato. L’emozione nel matrimonio, le emozioni sono il luogo della fede, poi devono essere oggetto di discernimento, ma se tu pregiudizialmente non hai slancio, non hai emozione, non hai passione, ma di che cosa stiamo parlando? Dove può esserci amore se non c’è questo? Non può esserci solo questo, ma se non c’è questo sicuramente non è amore!

Noi abbiamo strutture mentali con cui – non solo nei giuristi, ma nei pastori, nei vescovi, nei documenti né solo nelle nostre battute – pensiamo l’opposizione spirituale e carnale non come la pensa Paolo; il carnale non è l’emotivo, è piuttosto il chiudere dentro l’emotivo tutto il senso, ma guai a non passare attraverso l’emozione! Chi avrebbe riconosciuto il Risorto senza l’emozione? Cosa dicono i due di Emmaus? Abbiamo sentito ardere il cuore! La prima reazione nel riconoscere il Risorto è emotiva, guai se non lo è. Allora ricostruire questa unità del testo parte dall’inno alla carità di Paolo, attraversa l’amore appassionato, recupera le logiche complesse dell’amore fino alla sua trasfigurazione. Capitolo IV, primo dei dolci e frutta.

Secondo piatto di frutta e dolci, capitolo V: l’amore che diventa fecondo. Che non parla solo della generazione, ma parla anche diciamo così, di una fecondità allargata e della vita della famiglia, ai diversi gradi dell’età: essere figli, essere anziani, essere fratelli; considera le parentele come i luoghi di esperienza della fecondità: saper essere figlio, saper essere padre, saper essere fratello. Questo costruisce esperienza familiare. Poi c’è un dolce particolarmente fine, cioè il VII capitolo, “rafforzare l’educazione dei figli”; un intero capitolo parla solo di questo: di quali sono le strategie educative dei genitori, su cui dice parole molto sapienti sull’importanza della relazione per cui il genitore è una autorità, però il figlio diventa a sua volta una autorità per il genitore, cioè nell’opera educativa i figli sono educati ma diventano a loro volta soggetti educatori per i genitori. E si dice sì all’educazione sessuale; il che appunto, sentito da un Papa può sembrare strano, ma strano non è se si guarda alla realtà e non la si idealizza. Settimo capitolo, ultimo dolce. Dolce al cucchiaio finale, leggero, poi arriva il caffè: spiritualità coniugale e famigliare; è l’ultimo capitolo IX di Amoris Lætitia. È il capitolo sulla spiritualità della coppia e la spiritualità della famiglia in senso più ampio, compresi i figli, compresa la parentela. Ma l’ultimo sorso dell’ultimo dolce è particolarmente squisito. Vi si legge, al centro dell’ultimo numero della Esortazione, una grande sintesi, in cui tutti i gusti e tutti i temi del pranzo tornano a farsi sentire. Vorrei citarlo integralmente, prima di concludere:

“Nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare. C è una chiamata costante che proviene dalla comunione piena della Trinità, dall’unione stupenda tra Cristo e la sua Chiesa, da quella bella comunità che è la famiglia di Nazareth e dalla fraternità senza macchia che esiste tra i santi del cielo. E tuttavia, contemplare la pienezza che non abbiamo ancora raggiunto ci permette anche di relativizzare il cammino storico che stiamo facendo come famiglie, per smettere di pretendere dalle relazioni interpersonali una perfezione, una purezza di intenzioni e una coerenza che potremo trovare solo nel Regno definitivo. Inoltre ci impedisce di giudicare con durezza coloro che vivono in condizioni di grande fragilità” (AL 325)

Questo percorso, questo pasto che abbiamo fatto molto velocemente, è un pranzo che merita ore e ore di assimilazione, merita di essere gustato anche nella discussione, come succede in un banchetto nuziale, che non si può fare in fretta; il criterio di lettura generale che vale dall’introduzione fino all’ultima portata è coerente con il titolo: Amoris Lætitia. Non è un testo che si possa leggere in modo triste o accigliato: se ti metti di fronte ad Amoris Lætitia senza letizia, ne esci amareggiato; hai bisogno di una armonia di approccio con il tema. Se lo leggi come leggeresti un manuale di comportamento, resti deluso, perché non è un manuale di comportamento; è una lettura sapienziale e magisteriale che orienta pastori, soggetti, operatori, ministri della Chiesa ad entrare nella dinamica dell’amore e ad accoglierne una logica classica insieme ad una logica nuova. In questo modo traduce la tradizione del Vangelo nel nostro tempo. Senza idealizzare la realtà. Senza fermare il tempo. Senza assolutizzare gli stati di vita. Riscoprendo la preziosità e la delicatezza dei processi.

Andrea Grillo Come se non – – 29 marzo 2017 www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter n. 12/2017, 29 marzo 2017

Il vecchio e il bambino: la responsabilità di trasmettere la memoria alle nuove generazioni, per aiutarle a poter pensare il futuro. Questa settimana musica e immagini della struggente ballata di Francesco Guccini, “Il vecchio e il bambino” [ascolta la musica, guarda il video], che nel 1972 cantava il cammino di un vecchio e di un bambino, soli, in una pianura devastata (dalla guerra? dall’inquinamento? dall’incuria dell’uomo?), che prima era piena di grano, fiori e colori. Ma questi colori sono solo nella memoria del vecchio, non sono visibili agli occhi del bambino. Nel racconto, però, i vecchi, anche se “subiscono le ingiurie degli anni”, possono far immaginare, nella narrazione. Restituendo memoria anche nelle circostanze più drammatiche, e consentendo così di sperare o sognare un futuro. Così che il bambino possa dire: “Mi piaccion le fiabe. Raccontane tante!”. E non è senza significato che questa canzone sia inserita in un album dal titolo “radici“. [Link il testo della canzone].

Dall’estero: Dimensione etica degli interventi sulla cronicità e delle cure per il fine vita. Uno spazio di discussione negli Stati Uniti. Per gli esperti di bioetica l’Hastings Center (Garrison, nello Stato di New York) è da anni un prezioso punto di riferimento, anche grazie al suo Hastings Center Report, nel suo “cercare e vedere ciò che non è evidente agli occhi: le questioni fondamentali che i progressi delle tecnologie biomediche pongono alla società” (The Hastings Center seeks and sees the unseen: major questions that advances in biomedical technologies pose to society). Da segnalare, anche in considerazione del dibattito oggi in corso nel Parlamento italiano sulle DAT e sul cosiddetto “testamento biologico”, il blog dedicato al tema [link al sito dell’Hastings Center].

Le spese di welfare per gli interventi sull’infanzia negli Stati Uniti. Nono Rapporto (Child Welfare Financing SFY 2014: A survey of federal, state, and local expenditures – Kristina Rosinsky and Dana Connelly). Preciso e documentato rapporto indipendente, promosso da fondazioni e associazioni autonome, sugli interventi per l’infanzia di tutti i livelli di governo degli USA (federale, dei singoli stati, delle amministrazioni locali), [Link al report di sintesi, 34 pagine in inglese]. Sul sito www.childtrends.org sono pubblicati ulteriori approfondimenti statistici, con dati di dettaglio.

Dall’Italia: God’s not dead 2. (Dio non è morto – 2). Un invito al cinema, per un’opera che farà fatica a trovare spazio nelle nostre sale. Dalla presentazione del film sul sito: “il film God’s not dead 2., ispirato a una causa legale realmente accaduta, affronta il delicato tema della difesa del diritto alla libertà di espressione e di opinione, spingendo a interrogarsi sui grandi valori della vita, per arrivare a chiedersi: quanto si è disposti a rischiare per difendere ciò in cui si crede?”. Dopo aver affrontato il tema nelle aule universitarie, con God’s not dead, film statunitense uscito in Italia nel 2016, questo secondo racconto entra nelle aule di un tribunale. Entrambi le storie ripropongono eventi e casi giudiziari avvenuti realmente, negli ultimi anni, negli Stati Uniti.

www.godsnotdead2.it www.godsnotdead.it

Dalle case editrici.

De Carli Sara, Il codice del cuore. Le famiglie della Lega del Filo d’Oro si raccontano. Vita Milano

  • Dinouart Joseph-Antoine-Toussaint, ll trionfo del sesso femminile, Pendragon, Bologna

  • Farinella Alessia, Siblings. Essere fratelli di ragazzi con disabilità, Erickson Trento

  • Granados José, Kampowski Stephan, Pérez-Soba Juan José, Amoris Lætitia. Accompagnare, discernere, integrare. Vademecum per una nuova pastorale familiare. Cantagalli, Siena

  • Tommaselli Agostino, L’amore non è un sentimento. Piccolo manuale dell’amore vero. Sugarco, Milano

  • Donath Orna, Pentirsi di essere madri. Storie di donne che tornerebbero indietro. Sociologia di un tabù, Bollati Boringhieri, Torino, 2017, pp. 207, € 23,00.

Un libro fortemente provocatorio, questo di Orna Donath – sociologa israeliana che ha lavorato in particolare sulle aspettative che la società si attende dalle donne, madri e non madri – che non a caso nel titolo presenta la parola “tabù”. «Ti pentirai di non avere avuto figli! Ricorda, te ne pentirai!»: benché la tecnica moderna permetta da tempo alle donne di scegliere più che mai liberamente se avere figli o meno, l’effettiva scelta di non averli determina ancora una forte stigmatizzazione sociale e una severa colpevolizzazione, tanto che non è neppure pensabile che si dia il contrario, ovvero che una madre si penta di aver avuto dei figli. La sacralizzazione della maternità, anche nelle società avanzate come le nostre, non ammette neppure questa possibilità; manca persino il linguaggio per esprimere questo pentimento, che a molti pare un’aberrazione, una cosa impossibile o, addirittura, immorale. Orna Donath ha deciso di infrangere questo tabù e dare voce a un sentimento che ritiene essere più diffuso di quanto si pensi. Con un’indagine sociologica basata sulle interviste di ventitré donne, descrive l’universo del pentimento materno, che non va assolutamente confuso con l’amore per i propri figli. Proprio il contrario; in tutte le interviste il pentimento e l’amore materno sono due sentimenti fortemente distinti. La tesi dell’autrice è piuttosto che la società si attende a tal punto che le donne diventino madri che molte si lasciano condurre verso questo esito senza soffermarsi a pensare cosa desidererebbero veramente per se stesse. Questo libro mira quindi a far affiorare un sentire sociale che era davanti a tutti ma che nessuno, finora, vedeva. E l’hashtag #RegrettingMotherhood, rapidamente diventato virale dopo la pubblicazione di questa ricerca, già tradotta in otto lingue, sembra dimostrare come il tema sia attuale, sofferto e ancora tutto da scoprire. (Pietro Boffi)

Save the date

Nord: Il trattamento psicosociale con i genitori separati ed i loro figli, seminario formativo organizzato da FormAzione (progetto di interventi formativi promosso da ProgettAzione Cooperativa Sociale e Fondazione L’Aliante), Milano, 15 maggio 2017.

Corpo, emozioni, amore: prospettive per crescere. Indagine sugli adolescenti e pre-adolescenti partecipanti agli incontri di educazione all’affettività e alla sessualità, Istituto per l’Educazione alla Sessualità e alla Fertilità INER-Verona, Verona, 20 aprile 2017.

Centro: “Vino e olio sulle ferite”. L’esperienza delle rotture in famiglia, Istituto Giovanni Paolo II, Roma, 30 marzo 2017.

Donne e religione, tavola rotonda all’interno del Corso di Perfezionamento su “Differenza di genere, pari opportunità e modelli educativi per una nuova cittadinanza”, Università Roma3, Dipartimento di scienze della Formazione, e Gender Interuniversity Observatory, Roma, 31 marzo 2017.

Sentinella, quanto resta della notte? La post-modernità e le sue criticità: questione del gender, cultura del provvisorio, maternità surrogata ed eutanasia, incontro promosso dall’Assessorato ai servizi sociali e all’istruzione del Comune di Terracina presso il Liceo “Leonardo da vinci”, Terracina (LT), 1 aprile 2017.

Sud: Figli di genitori detenuti: un approccio integrato per il mantenimento della relazione genitoriale a beneficio dell’intera società, Conferenza internazionale promossa da Bambinisenzasbarre e Children of Prisoners Europe (Cope), Napoli, 19 maggio 2017.

Estero Dio chiama al sacerdozio sia celibi sia sposati: Les droits de l’enfant en situations de migration en suisse: protection, prestations, participation (I diritti del bambino in situazioni di migrazione in Svizzera: protezione, servizi, partecipazione), Colloquio internazionale (lingue: francesco, inglese, tedesco) promosso da: Centre interfacultaire en droits de l’enfant (CIDE), Université de Genève, Institut international des droits de l’enfant (IDE), Sion, Haute école pédagogique Valais (HEP – VS), St-Maurice & Brigue, Haute école de travail social, HES-SO Valais//Wallis, Centre suisse de compétence pour les droits humains (CSDH), Berna (CH), 4-5 maggio 2017.

 

Testo e link integrali http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/marzo2017/1035/index.html

http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

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CENTRO ITALIANO DI SESSUOLOGIA

Lutto. E’ mancato il prof. Carlo Conti, past president

Il Professor Carlo Conti, medico genetista, Direttore dell’Istituto di Genetica Medica di Firenze, è stato fin dalla costituzione del Centro Italiano di Sessuologia un Socio partecipe e attivo favorendone la crescita istituzionale fino a ricoprire la carica di Presidente nel primo decennio degli anni 2000.

Ricordandolo con grande affetto e grande stima, lo ringraziamo per essere sempre stato una guida preziosa, anche nei momenti più impegnativi del CIS.

 

  • Sessuologia news online, Notiziario del Centro Italiano di Sessuologia n. 4 – 15 marzo 2017

  • XXX Congresso Centro Italiano di Sessuologia

Bologna 9-10-11 novembre 2017. Presidente Maria Cristina Florini.

Malattia e la sfida dell’eros. La qualità della vita sessuale nell’insorgenza di una malattia

http://www.cisonline.net

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CHIESA CATTOLICA

Dopo 4 anni di pontificato, il bilancio che ne traggono i cardinali che hanno eletto il Papa.

L’operazione che ha prodotto il fenomeno Francesco nasce da molto lontano, addirittura dal 2002, quando per primo “L’Espresso” scoprì e scrisse che l’allora semisconosciuto arcivescovo di Buenos Aires era balzato in testa tra i candidati al papato, quelli veri, non di facciata.

Ha saggiato il terreno nel conclave del 2005, quando proprio su Bergoglio furono fatti confluire i voti di tutti coloro che non volevano Joseph Ratzinger papa.

Ed è andata in porto nel conclave del 2013, in buona misura perché di quel cardinale argentino tanti suoi elettori ancora sapevano troppo poco e non certo che avrebbe assestato alla Chiesa quel “salutare colpo allo stomaco” di cui ha detto pochi giorni fa il suo antagonista sconfitto in Cappella Sistina, l’arcivescovo di Milano Angelo Scola.

Tra Bergoglio e i suoi grandi elettori non c’era e non c’è consonanza piena. Lui è papa di annunci più che di realizzazioni, di allusioni più che di definizioni.

C’è però un fattore chiave che esaudisce le attese di una svolta storica della Chiesa capace di colmare l’emblematico suo ritardo di “duecento anni” rispetto al mondo moderno denunciato da Carlo Maria Martini, il cardinale che amava definirsi l'”ante-papa”, cioè l’anticipatore di colui che doveva venire. Ed è il fattore “tempo”. Che per Bergoglio è sinonimo dell'”avviare processi”. A lui poco importa la meta, perché ciò che conta è il cammino.

E in effetti è così. Con Francesco la Chiesa è divenuta un cantiere aperto. Tutto è in movimento. Tutto è liquido. Non c’è più dogma che tenga. Si può ridiscutere di tutto e agire di conseguenza.

Martini era appunto la mente più acuta di quel club di San Gallo che architettò l’ascesa di Bergoglio al papato. Prendeva il nome dalla città svizzera in cui il club si riuniva, e vi figuravano i cardinali Walter Kasper, Karl Lehmann, Achille Silvestrini, Basil Hume, Cormac Murphy-O’Connor, Godfried Danneels. Di questi solo due, Kasper e Danneels, sono ancora sulla breccia, premiati e trattati con tutti i riguardi da papa Francesco, nonostante rappresentino due Chiese nazionali in sfacelo, la tedesca e la belga, e il secondo sia addirittura caduto in discredito, nel 2010, per come tentò di coprire le malefatte sessuali di un vescovo suo pupillo, con vittima un suo giovane nipote.

Bergoglio non mise mai piede a San Gallo. Furono i cardinali del club ad adottarlo come loro candidato ideale e lui si adattò perfettamente al disegno.

In Argentina tutti lo ricordano molto diverso da come poi s’è rivelato al mondo da papa. Taciturno, schivo, scuro in volto, riservato anche con le folle. Mai una volta che gli sfuggisse una parola o un gesto di disaccordo con i pontefici regnanti, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Anzi. Elogiò per iscritto l’enciclica “Veritatis splendor“, severissima contro la morale lassista “della situazione” storicamente imputata ai gesuiti. Non nascose di condannare Lutero e Calvino come i peggiori nemici della Chiesa e dell’uomo. Attribuì al diavolo l’inganno di una legge a favore dei matrimoni omosessuali.

Poi però rimandò a casa, “per evitare contrapposizioni”, i cattolici che s’erano attestati davanti al parlamento per una veglia di preghiera contro l’incombente approvazione di quella legge. Si mise in ginocchio e si fece benedire in pubblico da un pastore protestante. Strinse amicizia con alcuni di loro e anche con un rabbino ebreo.

Soprattutto incoraggiò i suoi parroci a non negare la comunione a nessuno, fossero essi sposati, o conviventi, o divorziati e risposati. Senza rumore e senza mettere in pubblico questa sua scelta, l’allora arcivescovo di Buenos Aires faceva già quello che i papi dell’epoca proibivano, ma che poi lui avrebbe consentito, una volta divenuto papa.

A San Gallo sapevano e prendevano nota. E quando Bergoglio fu eletto, il mondo imparò a conoscerlo fin dal primo istante per quello che era davvero. Senza più veli.

Un momento capitale della calcolata marcia di avvicinamento di Jorge Mario Bergoglio al papato è stato il documento finale della conferenza generale dei vescovi latinoamericani ad Aparecida, nel 2007. Il documento ebbe come principale autore l’allora arcivescovo di Buenos Aires, che continua ancora oggi, da papa, a raccomandarlo come un programma valido per la Chiesa non solo dell’America latina ma di tutto il mondo.

Curiosamente, però, nei paragrafi dedicati a matrimonio e famiglia, manca nel documento di Aparecida qualsiasi accenno alle “aperture” che Bergoglio avrebbe poi attuato da papa, e che già praticava, di fatto, nella sua diocesi di Buenos Aires. Nelle quasi 300 pagine del documento, solo poche righe riguardano la comunione ai divorziati risposati, su cui si dà questa indicazione, nel paragrafo 437: “Accompagnare con attenzione, prudenza e amore compassionevole, seguendo gli orientamenti del magistero (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio 84; Benedetto XVI, Sacramentum caritatis 29), le coppie che vivono in situazione irregolare, avendo presente che ai divorziati risposati non è consentito ricevere la comunione”.

E nel paragrafo precedente si legge, a proposito del sostegno dato a politiche contro la vita e la famiglia: “Dobbiamo attenerci alla ‘coerenza eucaristica’, ossia, essere coscienti che non possiamo ricevere la santa comunione e allo stesso tempo agire, con parole e azioni, contro i comandamenti, in modo particolare quando si favoriscono l’aborto, l’eutanasia e altri gravi delitti contro la vita e la famiglia. Questa responsabilità ricade, in modo particolare, sui legislatori, i governanti e i professionisti della salute (Benedetto XVI, Sacramentum caritatis 83; Giovanni Paolo II, Evangelium vitae 74, 74, 89)”.

Questo scriveva Bergoglio nel 2007. Ma la sua mente era già altrove: alla convinzione – criticata da Benedetto XVI – che “l’eucaristia non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”, assimilabile ai pasti di Gesù con i peccatori. Con le conseguenze pratiche che già ne traeva da vescovo e poi avrebbe tratto da papa.

Sandro Magister. L’Espresso” n. 13, del 2017, in edicola il 2 aprile,

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it

 

{Nemmeno si suppone possibile l’azione dello Spirito Santo. Tornando al livello terrestre dell’articolo i cardinali erano rimasti edotti del programma di Bergoglio, ascoltando il suo intervento alla congregazione dei cardinali il 9 marzo 2013, prima del conclave che è stato il più numeroso della storia della Chiesa Cattolica per numero di cardinali elettori (115).

Non sembra riprovevole essere prima un fedele servitore della Gerarchia e poi con il carisma del pontifice, approfondire, come fecero i suoi predecessori, le tematiche ecclesiali. Giovanni Paolo secondo non ripeteva ad exemplum quello che dissero Leone XIII e Pio XII. NdR}

Vedi NewsUCIPEM n. 64,.19 marzo 2017,pag. 22

http://kairosterzomillennio.blogspot.it/2017/03/roma-9-marzo-2013.html

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CINQUE PER MILLE

Avviata la procedura per il pagamento del 3° ordinativo dell’anno 2014

Si tratta del pagamento relativo agli enti con contributo inferiore a 500 mila euro che hanno comunicato le coordinate IBAN per il bonifico.

È stata avviata la procedura per il pagamento del 3° ordinativo dell’anno 2014 relativo agli enti con contributo inferiore a 500 mila euro che hanno comunicato le coordinate IBAN per il bonifico.

Sono stati aggiornati i due elenchi dei beneficiari destinatari del pagamento della sezione B) Pagamenti telematici degli enti con contributo inferiore a 500 mila euro con gli esiti dei versamenti degli ordinativi del 26/9/2016 e del 7/12/2016 comunicati dall’Agenzia delle Entrate.

Per l’anno 2013 è stato pubblicato l’elenco dei pagamenti effettuati nel primi mesi del 2017 agli enti della sezione E) Pagamenti non andati a buon fine di elenchi forniti dall’Agenzia delle Entrate (storni in Contabilità Speciale della Banca d’Italia).

www.nonprofitonline.it/default.asp?id=466&id_n=7232

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Trento. Servizio di ascolto e consulenza psicologica al Liceo Rosmini.

Ogni lunedì pomeriggio dalle ore 14.30 alle ore 16.30, presso la scuola è attivato il servizio di ascolto e consulenza psicologica tenuto dalle dott. Tiziana Amichetti e Maria Vittoria Malossini del Consultorio familiare UCIPEM.

E’ un’opportunità rivolta agli studenti che desiderano confrontarsi liberamente con persone esperte, esterne e indipendenti sia dalla famiglia che dalla scuola, su problemi personali, familiari, scolastici o di relazione. Il colloquio è personale e riservato; il servizio gratuito.

Possono usufruire del servizio anche i genitori, telefonando alla segreteria didattica per appuntamento o rivolgersi direttamente al Consultorio UCIPEM.

Liceo Rosmini 31 marzo 2017 www.rosmini.eu/spazio-ascolto

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CONTRACCEZIONE

La vera libertà sessuale non passa per la pillola

Le pagine dedicate giustamente dal Corriere a un fenomeno inquietante, cioè l’aumento record delle vendite della pillola «dei cinque giorni dopo», accende una luce molto triste sulla vita delle giovani donne di oggi. E pone molte domande:

Siamo veramente sicuri che queste giovani che si precipitano in farmacia per avviare nel loro corpo una tempesta ormonale che eviti il concepimento — perché di questo si tratta — siano delle felici e disinvolte protagoniste della rivoluzione sessuale?

Siamo sicuri che permettere loro libero accesso a questo farmaco sia stato un favore, e non una nuova occasione all’irresponsabilità maschile di affermarsi?

Il fenomeno rivela infatti la grande solitudine di queste ragazze, vittime di rapporti in cui i maschi appaiono indifferenti al destino, all’ansia e alla sofferenza delle loro partner. Il ricorso a questa pillola — che viene comunque considerata il minore dei mali, perché meglio dell’aborto — è indice di uno stato di soggezione femminile al desiderio maschile davvero indegno di un Paese dove la parità fra i generi viene di continuo invocata. Ancora una volta, vediamo che questa parità nasce da un equivoco, cioè dall’idea che la sessualità femminile, per essere libera, deve diventare come quella maschile, cioè liberarsi dal problema della maternità. E così queste ragazze, per dimostrare di essere uguali ai maschi, si lasciano coinvolgere in rapporti da cui ricevono solo solitudine e frustrazione. Dovremmo domandarci invece se quella delle ragazze non debba essere riconosciuta come una sessualità diversa, della quale anche la maternità fa parte, e non come un incidente spiacevole o una malattia da guarire. La maternità è una possibilità non così facile da liquidare razionalmente, programmandola a freddo. Sappiamo dalla psicanalisi — e lo ricorda ancora una volta il bellissimo libro L’ospite più atteso di Silvia Vegetti Finzi — che il desiderio di un figlio e di provare se si è veramente in grado di concepire, per le donne è molto difficilmente riducibile alla sola decisione razionale. E che spesso proprio ragazze che vivono rapporti occasionali in fondo frustranti, ripongono poi, in modo spesso inconsapevole, la speranza di un vero legame d’amore in un figlio. Il dolore e la solitudine di queste giovani donne deve far riflettere, perché la risposta non può essere solo quella di indurle a prendere ogni giorno la pillola anticoncezionale. Oggi poi molte ragazze la rifiutano non tanto per non ingrassare, ma perché una nuova consapevolezza ecologica le fa rifuggire da una ingestione quotidiana di ormoni: una inchiesta di Le Monde raccontava circa un anno fa il nuovo interesse delle giovani per i metodi di regolazione delle nascite naturali, che non alterano il loro equilibrio ormonale. Molte cose stanno cambiando: la pillola, che alle generazioni precedenti era sembrata la via per la libertà, oggi è guardata con sospetto, ma non per questo i rapporti con gli uomini sono diventati più responsabili e rispettosi del destino biologico femminile. Alle giovani donne si chiede di essere disponibili sessualmente sempre, per essere moderne, per far parte del gruppo. Mentre per costruire rapporti di coppia sul piano della reciprocità e della comprensione altre vie potrebbero essere percorse, insieme: vie che non le portano a cercare da sole, magari di notte, una farmacia aperta. Ma questo può accadere solo in una società in cui la maternità venga considerata un valore per tutti, non un incidente da evitare a ogni costo, e il corpo femminile riceva rispetto e attenzione in considerazione anche di questo, non solo in vista di una libertà sessuale che funziona bene solo per gli uomini.

Lucetta Scaraffia Corriere della Sera 30 marzo 2017

www.corriere.it/opinioni/17_marzo_30/vera-liberta-sessuale-non-passa-la-pillola-3dcd61e6-1491-11e7-a7c3-077037ca4143.shtml

 

{Elle One,ulipristal acetato, pillola dei 5 giorni dopo, è stata dichiarata non abortiva dall’Agenzia del farmaco IL 14 novembre 2011. Ovviamente, qualora l’ovulazione fosse già avvenuta, la possibilità di evitare la gravidanza si ridurrebbe, cosa che lo rende un metodo non privo di un tasso di fallimento. Se gli spermatozoi riescono ad incontrare l’ovocita ed a fecondarlo, poi, il farmaco non ha più effetto (non funziona in caso di gravidanza già in atto). www.hra-pharma.com/PIL/IT

Non tutti concordano:Bruno Mozzanega, professore aggregato di ginecologia dell’Università di Padova, presidente della Società Italiana Procreazione Responsabile (SIPRE). www.sipre.eu/seconda-pagina

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/pillola-5-giorni-per-ue-era-abortiva

La World Health Organization fornisce dati falsi sulla pillola del giorno dopo. Mozzanega è intervistato dal Malta Times, e interviene alla press conference della Life Network Foundation di Malta 19 gennaio 2017.

L’articolo è pubblicato nella sezione inglese del sito. SIPRE 18 marzo 2017.

www.sipre.eu/la-world-health-organization-fornisce-dati-falsi-sulla-pillola-del-giorno-dopo-NdR.}

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DALLA NAVATA

5° Domenica di Quaresima – Anno A – 2 aprile 2017

Ezechièle 37, 14. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò. Oracolo del Signore Dio.

Salmo 130, 04. Ma con te è il perdono: così avremo il tuo timore.

Romani 08, 11. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Gesù dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.

Giovanni 11, 45 Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).

Un amore più forte della morte

In questa domenica le tre letture sono tutte focalizzate sulla resurrezione, anche se non sono state scelte come parallele: esse ci preparano alla prossima domenica di Passione e alla Settimana santa, che avrà come esito la resurrezione di Gesù.

Ezechièle. Ultima tappa della storia di salvezza prima della venuta del Messia, della pienezza dei tempi, è quella segnata dai profeti. Il profeta Ezechièle racconta ciò che gli è stato rivelato in una visione dovuta all’iniziativa di Dio. Egli guarda il popolo di Dio in quell’ora della catastrofe per la caduta di Gerusalemme in mano ai Babilonesi e constata morte e desolazione: la valle è piena di ossa di morti, che negano ogni speranza. Ma Dio gli fa vedere che su quelle ossa soffia il suo Spirito, Spirito creatore, Spirito che dà vita: c’è una resurrezione del popolo di Dio, una liberazione ormai prossima.

Paolo ai Romani. L’Apostolo svela la realtà di vita nuova che è il cristianesimo, una nuova creazione dovuta allo Spirito di Dio che è anche Spirito di Cristo. Attraverso l’adesione a Cristo, il cristiano diventa un uomo nuovo, viene strappato alla mondanità, e grazie alla resurrezione di Gesù partecipa alla sua vita eterna: è la liberazione dal peccato e dalla morte che è già iniziata in noi, ma che sarà piena quando lo stesso Spirito santo che ha risuscitato Gesù risusciterà i nostri poveri corpi mortali.

Giovanni. La Pasqua è ormai vicina, e la chiesa ci invita a meditare sul grande segno della resurrezione di Lazzaro, profezia della resurrezione di Gesù. “Un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato”. Gesù amava molto questi amici, che frequentava nei periodi di sosta a Gerusalemme: nella casa di Betania poteva godere dell’accoglienza premurosa di Marta, dell’ascolto attento di Maria (cf. Lc 10,38-42) e dell’affetto fedele di Lazzaro. Le sorelle mandano ad avvertirlo della malattia di Lazzaro, ma egli è lontano. Come può Gesù permettere che un suo amico si ammali, soffra e muoia? Che senso ha? Sono domande affiorate all’interno della rete di amicizie di Gesù, ma che ancora oggi risuonano quando nelle nostre relazioni appaiono la malattia e la morte; è l’ora in cui la nostra fede e il nostro essere amati da Gesù sembrano essere smentiti dalle sofferenze della vita.

Gesù, informato di tale evento, dice: “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato”, ovvero è un’occasione perché si manifesti il peso che Dio ha nella storia e così si manifesti la gloria del Figlio, gloria dell’amare “fino alla fine” (Gv 13,1). Il suo parlare sembra contraddire l’evidenza: sempre nella malattia la morte si staglia all’orizzonte con la sua ombra minacciosa, eppure Gesù rivela che la malattia di colui che egli ama non significherà vittoria della morte su di lui.

E così – particolare a prima vista sconcertante – Gesù resta ancora due giorni al di là del Giordano. Solo il terzo giorno (allusione alla sua resurrezione!) annuncia la sua volontà di recarsi in Giudea. I discepoli non comprendono: “Rabbi, poco fa i giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?”. In risposta, Gesù espone loro una similitudine dal significato evidente: egli è intimamente convinto di dover vivere e operare come il Padre gli ha chiesto, e sa di doverlo fare nel poco tempo che gli resta, prima che giunga l’ora delle tenebre, quando non potrà più agire.

Lazzaro, il nostro amico,” – continua Gesù– “si è addormentato; ma io vado a svegliarlo”. Di fronte all’ennesimo fraintendimento della sua comunità (“pensarono che parlasse del riposo del sonno”), Gesù dichiara apertamente: “Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!”. L’unico a reagire, in modo impulsivo, forse addirittura provocatorio, è Tommaso: “Andiamo anche noi a morire con lui!”. Al di là delle sue stesse intenzioni, egli afferma una profonda verità: seguire Gesù significa trovarsi dove lui è (cf. Gv 12,26), e se lui va verso la morte – come sarà chiaro alla fine di questo capitolo – anche ai discepoli toccherà altrettanto.

Gesù giunge con i suoi discepoli a Betania quando “Lazzaro è già da quattro giorni nel sepolcro”. Saputo del suo arrivo, Marta gli va incontro e gli rivolge parole che sono insieme una confessione di fede e un rimprovero: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. Poi aggiunge: “Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, te la concederà”. Marta è una donna di fede e confessa che dove c’è Gesù non può regnare la morte, che la morte di Lazzaro è accaduta perché Gesù era lontano. Ella crede in Gesù e, sollecitata da lui, confessa la propria fede nella resurrezione finale della carne. Ma Gesù la invita a compiere un passo ulteriore: “Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. E Marta replica prontamente: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”.

Anche Maria, chiamata dalla sorella, corre incontro a Gesù e, gettandosi ai suoi piedi, esclama a sua volta: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. I toni sono più affettivi, Maria esprime con le lacrime il proprio dolore. Ella ama Gesù e si sa da lui amata, si mostra pronta a incontrarlo e si inginocchia davanti a lui, ma non dà segni di una fede che possa vincere la sua sofferenza: è interamente definita dal suo inconsolabile dolore. Le sue lacrime sono contagiose: piangono i giudei presenti e piange lo stesso Gesù.

Qui ci è chiesto di sostare sugli umanissimi sentimenti vissuti da Gesù. Innanzitutto egli si commuove, freme interiormente. Di fronte alla morte di un amico, di una persona da lui amata, la prima reazione è il fremito che nasce dal constatare l’ingiustizia della morte: come può morire l’amore? Perché la morte tronca l’amore, la relazione? Poi Gesù si turba: il fremito di indignazione diventa turbamento, esperienza del sentirsi ferito e del sentire dolore e angoscia. Gesù prova questa reazione emotiva anche di fronte alla prospettiva della propria morte imminente (cf. Gv 12,27) e quando nell’ultima cena annuncia ai suoi il tradimento di Giuda (cf. Gv 13,21). Infine, alla vista della tomba Gesù scoppia in pianto, reazione che i presenti leggono come il segno decisivo del suo grande amore per Lazzaro.

Giungiamo quindi al vero vertice del racconto: l’incontro tra Gesù e Lazzaro. Gesù, ancora una volta fremendo nel suo spirito, si reca alla tomba e vede la pietra che chiude il sepolcro: colui che è la vita (cf. Gv 14,6) comincia un duello, una lotta contro la morte. Il testo apre uno squarcio sulla relazione di profonda intimità tra Gesù e Dio. “Gesù alzò gli occhi e disse: ‘Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi ascolti sempre’”, così come Gesù stesso ascolta sempre il Padre (cf. Gv 5,30). È l’unica volta che prega prima di compiere un segno, ma la sua è una preghiera di ringraziamento al Padre, a colui che è il fine stesso della preghiera: Gesù desidera che i presenti giungano a credere che egli è l’Inviato di Dio, dunque un segno che rimanda alla realtà ultima, alla fonte di ogni bene, il Padre.

La risposta di Dio giunge immediata, percepibile nella parola efficace di Gesù, che compie ciò che dice: “Lazzaro, vieni fuori!”. Gesù aveva annunciato “l’ora in cui coloro che sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio di Dio e ne usciranno” (cf. Gv 5,28-29). Ecco un’anticipazione: Lazzaro, morto e sepolto, esce dalla tomba ancora avvolto dalle bende e con la sua resurrezione profetizza la resurrezione di Gesù. Non solo, ma la resurrezione di Lazzaro, “colui che Gesù ama”, manifesta la ragione profonda per cui il Padre richiamerà Gesù dai morti alla vita eterna: nel duello tra vita e morte, tra amore e morte, vince la vita, vince l’amore vissuto da Gesù. Gesù è la vita, è l’amore che strappa alla morte le sue pecore, le quali non andranno perdute (cf. Gv 10,27-28); se Gesù ama e ha come amico chi crede in lui, non permetterà a nessuno, neppure alla morte, di rapirlo dalla sua mano!

Avvenuto il segno, la sua lettura e interpretazione spetta a quanti lo hanno visto. “Molti dei giudei credettero in lui”. La fede non consente certo di sfuggire alla morte fisica: tutti gli esseri umani devono passare attraverso di essa, ma in verità per chi aderisce a Gesù, la morte non è più l’ultima, definitiva realtà. Chi crede in Gesù ed è coinvolto nella sua amicizia, vive per sempre e porta in sé la vittoria sulla malattia e sulla morte. Non solo, come si legge al termine del Cantico, “l’amore è forte come la morte” (Ct 8,6), ma l’amore vissuto e insegnato da Gesù è più forte della morte, è profezia e anticipazione per tutti gli amici del Signore, destinati alla resurrezione. Questa è la gloria di Gesù, gloria dell’amore, anche se all’apparenza egli sembra sconfitto: in cambio di questo gesto, infatti, riceve una sentenza di morte dalle autorità religiose, per bocca di Caifa (cf. Gv 11,46-53). Dare la vita a Lazzaro è costato a Gesù la propria vita: ecco cosa accade nell’amicizia vera, quella vissuta da Gesù, che ha donato la propria vita per gli amici (cf. Gv 15,13).

L’amore, l’amicizia di Gesù, dunque, vince la morte. Se siamo capaci di mettere la nostra fede-fiducia in lui, questa pagina ci rivela che non siamo soli e che anche nella morte egli sarà accanto a noi per abbracciarci nell’ora in cui varcheremo quella soglia oscura e per richiamarci definitivamente alla vita con il suo amore. Ecco il dono estremo fatto da Gesù a quanti si lasciano coinvolgere dalla sua vita: la morte non ha l’ultima parola, e chiunque aderisce a lui, lo ama e si lascia da lui amare, non morirà in eterno! Canta Gregorio di Nazianzo: “Signore Gesù, sulla tua parola tre morti hanno visto la luce: la figlia di Giairo, il figlio della vedova di Nain e Lazzaro uscito dal sepolcro alla tua voce. Fa’ che io sia il quarto!”.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11330-un-amore-piu-forte-della-morte

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FECONDAZIONE ETEROLOGA

Fecondazione eterologa di nascosto? Disconoscimento consentito

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 7965, 28 marzo 2017

Filiazione da fecondazione artificiale. Nuova ipotesi di disconoscimento.

Il padre può legittimamente richiedere il disconoscimento del figlio, qualora abbia certezza che la madre, per concepire lo stesso, abbia fatto ricorso, a sua insaputa, alla fecondazione eterologa.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, dando ragione ad un uomo che aveva convenuto in giudizio la ex moglie, onde sentir dichiarare di non essere padre del figlio minore. Lo stesso riferiva di aver scoperto il proprio stato di totale impotenza a generare, quando, stante la difficoltà ad avere figli con la donna, si era sottoposto ad accertamenti medici che ne avevano rivelato la sua condizione. Oltretutto dichiarava di aver ricevuto dalla moglie una lettera ove la stessa confessava di aver avuto il bambino grazie ad un “imprecisato aiuto di laboratorio”.

Ebbene, ritenendo fornita la prova dell’impotenza a generare nel periodo corrispondente, la Corte Suprema ha concesso il disconoscimento sulla scorta del seguente principio: la disciplina contenuta nell’art. 235 c.c. trova applicazione anche alla filiazione derivante da fecondazione artificiale, tenuto conto che il quadro normativo, a seguito della Legge n. 40/2004 – interpretabile alla luce del principio del favor veritatis – si è arricchito di una nuova ipotesi di disconoscimento, che si aggiunge a quelle previste dalla citata disposizione codicistica.

Per ragioni sistematiche e di identità della ratio – conclude oltretutto la Corte – il termine di decadenza dell’azione ex art. 244 c.c., in tale ipotesi, comincia a decorrere dal momento in cui si acquista la certezza del ricorso alle pratiche di fecondazione assistita.

Eleonora Mattioli eDotto 29 marzo 2017

www.edotto.com/articolo/fecondazione-eterologa-di-nascosto-disconoscimento-consentito?newsletter_id=58db964bfdb94d11e88999f2&utm_campaign=PostDelPomeriggio-29%2f03%2f2017&utm_medium=email&utm_source=newsletter&utm_content=fecondazione-eterologa-di-nascosto-disconoscimento-consentito&guid=724cd375-149d-489c-8745-ce2071f88a80

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

La famiglia continua ad essere una buona notizia per il mondo

La famiglia, fondata sull’unione tra un uomo e una donna e aperta alla vita in tutte le sue fasi, continua ad essere oggi una buona notizia per il mondo: è quanto scrive Papa Francesco nella Lettera per il nono Incontro Mondiale delle Famiglie, che si svolgerà dal 21 al 26 agosto 2018 a Dublino, in Irlanda, sul tema: “Il Vangelo della Famiglia: gioia per il mondo”.

Nel documento, pubblicato oggi, il Papa chiede alle famiglie di approfondire i contenuti dell’Esortazione Apostolica post-sinodale Amoris Lætitia.

Papa Francesco parte da due domande: “Il Vangelo continua ad essere gioia per il mondo? E ancora: la famiglia continua ad essere buona notizia per il mondo di oggi?”.

“Io sono certo di sì” – afferma – e “questo ‘sì’ è saldamente fondato sul disegno di Dio. L’amore di Dio – spiega – è il suo ‘sì’ a tutta la creazione e al cuore di essa, che è l’uomo. È il ‘sì’ di Dio all’unione tra l’uomo e la donna, in apertura e servizio alla vita in tutte le sue fasi; è il ‘sì’ e l’impegno di Dio per un’umanità tanto spesso ferita, maltrattata e dominata dalla mancanza d’amore. La famiglia, pertanto – sottolinea il Papa – è il ‘sì’ del Dio Amore. Solo a partire dall’amore la famiglia può manifestare, diffondere e ri-generare l’amore di Dio nel mondo. Senza l’amore non si può vivere come figli di Dio, come coniugi, genitori e fratelli”.

Francesco invita le famiglie a chiedersi spesso se vivano “a partire dall’amore, per l’amore e nell’amore”. Questo – osserva – significa concretamente “darsi, perdonarsi, non spazientirsi, anticipare l’altro, rispettarsi. Come sarebbe migliore la vita familiare – afferma il Papa – se ogni giorno si vivessero le tre semplici parole ‘permesso’, ‘grazie’, ‘scusa’. Ogni giorno facciamo esperienza di fragilità e debolezza e per questo tutti noi, famiglie e pastori, abbiamo bisogno di una rinnovata umiltà che plasmi il desiderio di formarci, di educarci ed essere educati, di aiutare ed essere aiutati, di accompagnare, discernere e integrare tutti gli uomini di buona volontà”.

“Sogno una Chiesa in uscita – scrive il Papa – non autoreferenziale, una Chiesa che non passi distante dalle ferite dell’uomo, una Chiesa misericordiosa che annunci il cuore della rivelazione di Dio Amore che è la Misericordia. È questa stessa misericordia che ci fa nuovi nell’amore; e sappiamo quanto le famiglie cristiane siano luoghi di misericordia e testimoni di misericordia” e “l’Incontro di Dublino – conclude – potrà offrirne segni concreti”.

Sergio Centofanti Notiziario Radio vaticana -30 marzo 2017 http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2017/documents/papa-francesco_20170325_incontro-mondiale-famiglie.html

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MINORI MIGRANTI

Tutela minori stranieri non accompagnati E’ legge

Nella seduta del 29 marzo 2017, l’Aula della Camera ha definitivamente approvato il disegno di legge in tema di misure di protezione in favore di minori stranieri non accompagnati.

Innanzitutto, per minore straniero non accompagnato il testo intende il minorenne, non avente cittadinanza italiana o dell’Unione europea, che si trovi per qualsiasi causa nel territorio dello Stato o che è altrimenti sottoposto alla giurisdizione italiana, privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nel nostro ordinamento.

Divieto di respingimento. Il provvedimento introduce, in particolare, il principio generale del divieto di respingimento alla frontiera dei minori non accompagnati. In nessun caso, ossia, può essere disposto il respingimento alla frontiera di migranti minori che siano soli.

Tra le misure da ultimo introdotte, inoltre, si segnala una riduzione a 30 giorni, rispetto ai precedenti 60, dei termini di permanenza dei minori nelle strutture di prima accoglienza a loro deputate.

Identificazione, accoglienza e affidamento. Disciplinata, nel testo, la procedura per l’identificazione del minore a partire dal primo contatto. In particolare, dopo averne accertato l’identità e la storia familiare, con la collaborazione di un mediatore culturale, ne viene garantita l’accoglienza nelle strutture a loro destinate.

Gli Enti locali, in detto contesto, sono tenuti a favorire l’affidamento familiare in luogo del ricovero in una struttura di accoglienza. Presso ogni tribunale per i minorenni, a tal fine, viene istituito un elenco di tutori volontari.

La competenza per l’adozione del provvedimento in materia di rimpatrio assistito e volontario passa al tribunale per i minorenni competente.

Sistema informativo nazionale dei minori non accompagnati. Presso il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali viene, quindi, istituito il Sistema informativo nazionale dei minori non accompagnati.

Questo, contiene le cartelle sociali dei singoli migranti minorenni, dove sono evidenziati gli elementi utili alla determinazione della soluzione di lungo periodo migliore nel superiore interesse del minore, cartelle che vengono trasmesse ai servizi sociali del comune di destinazione e alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni.

I minori non accompagnati, indipendentemente dalla richiesta di protezione internazionale, potranno accedere al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati.

Nel testo del disegno di legge, infine, risultano rafforzati alcuni diritti riconosciuti ai minorenni non accompagnati, quali il diritto alla salute e all’istruzione, il diritto all’ascolto e all’assistenza legale.

Ministro Orlando sull’approvazione. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, si è immediatamente detto soddisfatto dell’approvazione definitiva della Legge “Zampa” (dal nome dell’Onorevole proponente), legge che costituirebbe “un importante passo in avanti” in una materia così delicata come quella di specie. Si tratta, finalmente – ha sottolineato il Guardasigilli in un comunicato del 29 marzo – di una disciplina organica che supera la frammentazione attualmente esistente in più testi di legge.

Il disegno di legge, si ricorda, era stato a sua volta approvato dal Senato il 1° marzo 2017.

Eleonora Pergolari eDotto 30 marzo 2017

www.edotto.com/articolo/tutela-minori-stranieri-non-accompagnati-e-legge?newsletter_id=58dcf126fdb94e11e8fc1a96&utm_campaign=PostDelPomeriggio-30%2f03%2f2017&utm_medium=email&utm_source=newsletter&utm_content=tutela-minori-stranieri-non-accompagnati-e-legge&guid=d9536a76-a61a-4d69-b197-2a6caf57310e

 

Protezione ai minori stranieri non accompagnati: approvata la legge

Arriva al traguardo la legge che rivede in maniera organica l’accoglienza dei MSNA. L’Italia è il primo Paese a varare una legge del genere, che guarda loro innanzitutto come minori. L’affidamento famigliare sarà la prima risposta da dare a questi ragazzi, mentre in ogni Tribunale arriverà un albo di tutori volontari. Le novità spiegate da Save the Children, promotore della legge

Oggi è una giornata storica, davvero. La Camera dei Deputati ha appena approvato, a larghissima maggioranza, la proposta di legge “Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati”: 374 voti favorevoli e 13 contrari.

La riforma complessiva del sistema di accoglienza e protezione per i minori stranieri non accompagnati è quindi legge (il testo in allegato). È una legge che segna una svolta, perché guarda ai minori stranieri non accompagnati prima di tutto per il loro essere bambini e adolescenti. Questo viene prima di ogni altra cosa.

È la prima legge del genere in Europa e l’auspicio è che l’Italia possa diventare pioniere e modello, contagiando altri Paesi. È una legge non solo attesa ma anche sostenuta e addirittura promossa dalle tante associazioni che in questi anni sono state in prima linea nell’accogliere i tanti ragazzini che arrivano soli sulle nostre coste: un fenomeno che inizialmente era una novità e un’eccezione ma che ormai è diventato un flusso importante. Nel 2016, secondo il ministero dell’Interno, sono sbarcati in Italia 25.846 minori stranieri non accompagnati, più del doppio dei 12.360 dell’anno precedente (+108%). I minori soli sono il 14% dei 181.436 migranti sbarcati sulle nostre coste.

Un dato numericamente in crescita esponenziale, ma non solo: una realtà che sta cambiando, perché non si tratta più solo di ragazzini di 16/17 anni, maschi, che hanno scelto di cercare qui un futuro migliore o mandati avanti dalla famiglia. Sempre più spesso arrivano anche femmine (per cui è facile immaginare un coinvolgimento nel sistema della tratta di esseri umani e della prostituzione) e ragazzini più piccoli, di 13 o 14 anni. Raffaella Milano è direttore dei programmi Italia Europa di Save the Children, che è stata uno dei protagonisti di questa battaglia di civiltà avviata nell’estate del 2013.

Dottoressa Milano, un bel traguardo: ci sono voluti tre anni e mezzo.

L’approvazione di questa legge è un grande segno di civiltà. Vogliamo anche sottolineare il grande apprezzamento per il fatto che il percorso della legge abbia coinvolto tante forze politiche, si è riusciti a trovare unità.

Perché Save the Children ha tanto sostenuto questa proposta di legge?

L’ha più che sostenuta, l’abbiamo voluta e promossa: era il 2013 quando lanciammo l’idea di questa legge in una conferenza stampa, presentando la proposta di un primo articolato. La proposta di legge poi depositata ha mantenuto lo spirito della nostra proposta, fondamentalmente l’idea che prima di essere migranti e profughi noi stiamo parlando di minori, bambini e adolescenti: quello è il cardine.

Cosa non andava fino ad oggi nell’accoglienza di questi ragazzi?

Fino ad oggi mancava un approccio legislativo organico e specifico. I minori non accompagnati venivano accolti e seguiti in base alla legislazione vigente sui minori, che ad esempio quando si rintraccia un minore solo in un Comune dice che il Comune si deve fare carico con il suo bilancio del minore: è evidente che questo va bene se si tratta di un caso sporadico, ma diverso è se abbiamo a che fare con un flusso di minori che arrivano soli, la cui accoglienza e presa in carico non può essere affidata ai Comuni d’arrivo o a quelli più sensibili e generosi. In Sicilia ci sono numeri molto elevati di minori che gravano sui bilanci di Comuni molto piccoli, portandoli al dissesto finanziario. È ingiusto.

L’anno scorso è stato un anno record per i minori arrivati soli.

È vero, ma ricordiamo si tratta di 25mila minori, sono numeri gestibili, non un’emergenza. Non è il numero il problema, quello che ci preoccupa sono le condizioni di fragilità di questi bambini e adolescenti, che sono sempre più piccoli, che arrivano in condizioni sempre più gravi viaggi perché i viaggi sono sempre peggiori, con uno sfruttamento sempre più grave, dopo una permanenza in Libia che sappiamo essere un incubo. Per tanti eritrei ad esempio l’Italia è solo un paese di passaggio e poiché il programma di relocation non si riesce a sbloccare, continuano il loro viaggio in condizioni di estremo rischio, pochi giorni fa abbiamo avuto notizia di un ragazzino passato dal nostro centro di Roma che finito sotto un treno cercando di attraversare la frontiera. È paradossale, la relocation esiste, i ragazzi hanno tutti i titoli per accedervi e forse ne avrebbero più diritto perché sono i più deboli, ma nemmeno un minore straniero solo ad oggi è uscito dall’Italia con la relocation, per meri motivi di lungaggini burocratiche.

Questa legge come risolve i nodi pratici, reali, dell’accoglienza dei MSNA?

Intanto alcune misure rispondono al gravissimo problema dei ragazzi che scappano dai centri e di cui si perdono completamente le tracce. Ora la prima accoglienza potrà durare al massimo 30 giorni: la prima accoglienza è un momento cruciale e spesso diventa un “parcheggio” dove i minori non iniziano alcun percorso. Contingentare la prima accoglienza è la prima forma di protezione. Poi c’è l’indicazione dell’affidamento famigliare come preferibile all’affidamento in comunità: per i ragazzi cambia tutto, per un adolescente solo i servizi non bastano, serve avere una persona che è dalla sua parte, che lo accompagna a crescere, che lo guarda negli occhi…

Che ruolo avranno le famiglie italiane che volessero dare la disponibilità per accompagnare questi ragazzi?

La legge prevede due forme di coinvolgimento,

  1. La prima è l’affidamento famigliare che dicevo poco fa, noi abbiamo una help line per minori stranieri dove ogni giorno riceviamo disponibilità di famiglie. Le famiglie disponibili dovranno rivolgersi al Comune, la legge prevede che i Comuni promuovano l’affido famigliare e che questa sia la soluzione privilegiata, prima delle comunità.

  2. La seconda possibilità è quella di diventare tutore volontario per questi ragazzi.

Qualche sperimentazione c’è già stata, in Veneto e in Sicilia, con la legge questa diventa la norma non la buona pratica: ogni Tribunale dei Minorenni deve aprire un albo di tutori volontari, con l’obiettivo che ciascun minore abbia un tutore, uno a uno, una persona di fiducia. I cittadini si potranno proporre, ci saranno corsi di formazione organizzati dai Garanti dell’infanzia, albi territoriali. Il loro compito sarà quello di essere la figura adulta di riferimento per quel ragazzo e compiere insieme a lui tutte quelle scelte che solitamente si fanno insieme a genitore, dalla scuola a cui iscriversi alla sanità. Il tutore è un impegno diverso, non è accogliere in casa ma fare incontri periodici, essere “uno zio” per le decisioni. Noi come organizzazioni cercheremo di non lasciare solo nessuno, Save the Children ha già una help line, daremo supporto. È una responsabilità, certo, ma l’Italia è piena di persone che si assumono responsabilità grandi anche come volontari. Per i ragazzi davvero ambia tutto.

Che ruolo è previsto per le associazioni?

Le associazioni possono intervenire nell’accompagnare il minore in tutti i procedimenti amministrativi o giudiziari. C’è il diritto di ascolto per il minore e nell’esercitarlo può avvalersi anche di una persone di fiducia ma anche di gruppi o associazioni.

Uno dei temi sempre messi in evidenza è quello dell’accertamento dell’età.

Sull’età ci sono due problemi. Questi ragazzi spesso sono adolescenti e non sempre è chiarissimo se siano minori o no. Da un lato c’è il rischio che il minore non sia identificato come tale e vada nei CIE. Viceversa è successo che adulti siano stati identificati come minori, per motivi di business. Mettere ordine è una garanzia per minori e per il sistema. La legge crea uno standard che oggi non c’era.

Approvata la legge, qual è ora il lavoro da fare?

La legge è la prima in Europa, potrebbe essere un modello, c’è un grandissimo interesse. Da domani ci muoveremo non solo per far sì che la legge sia conosciuta e praticata – anche questa legge sarà da attuare, come sempre – anche per fare in modo che sia riproposta nei sui contenuti più generali in altri Paesi e davanti al Parlamento europeo. Ma ripeto, su questo c’è molto interesse davvero.

Sara De Carli 29 marzo 2017

www.vita.it/it/article/2017/03/29/protezione-ai-minori-stranieri-non-accompagnati-approvata-la-legge/142904

Nuova legge sui NSNA: Ai.Bi. già al lavoro per promuovere l’affido famigliare

Da mercoledì 29 marzo 2017 la legge per la protezione dei minori stranieri non accompagnati è finalmente realtà. Dopo un iter lungo più di 3 anni, il Parlamento ha approvato il disegno di legge Zampa che rafforzerà le garanzie per i giovanissimi migranti nel rispetto delle convenzioni internazionali e assicurerà maggiore omogeneità nell’applicazione delle disposizioni su tutto il territorio nazionale. Una battaglia vinta, quindi, per Amici dei Bambini che, fin dall’ottobre 2013, insieme ad altre 13 organizzazioni non governative che si occupano dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (Actionaid, Amnesty International Sezione Italiana, Caritas italiana, Centro Astalli, Comunità di Sant’ Egidio, Consiglio Italiano per i Rifugiati, Cnca, Comitato italiano per l’UNICEF, Emergency, Medici Senza Frontiere, Oxfam Italia, Save the Children, Terre des Hommes Italia), ha voluto fortemente l’approvazione di questa legge.(…)

News Ai. Bi. 30 marzo 2017

www.aibi.it/ita/ai-bi-gia-al-lavoro-con-i-comuni-italiani-per-promuovere-laffido-famigliare

 

Giuseppe Spadaro (Presidente Tribunale minorenni Bologna) “Legge Zampa sui minori è epocale”

Giuseppe Spadaro. “La legge con le misure di protezione sui minori stranieri non accompagnati è “una svolta epocale, visto che è la prima legge di questo tipo in Europa e che pone l’accento sul fatto che i minori stranieri non accompagnati sono prima di tutto persone e soggetti di minore età e come tali vanno assolutamente protetti e tutelati. “Lo dice il presidente del tribunale per i Minorenni di Bologna, Giuseppe Spadaro, commentando positivamente la legge approvata ieri, 29 marzo 2017, alla Camera.

“I dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali – continua Spadaro – sono preoccupanti: 17.373 segnalazioni nel 2016 di minorenni stranieri non accompagnati, di cui ben 6.561 irreperibili hanno reso ancor più necessaria l’approvazione di questa legge fortemente voluta dall’onorevole Sandra Zampa, vicepresidente Pd, che ha opportunamente incluso nelle consultazioni per la sua formulazione anche molte organizzazioni e associazioni che operano da tempo nel settore minorile “.

“Ora si faccia presto a darne attuazione pratica, sia alle disposizioni che riguardano le modalità di accoglienza – aggiunge-, di accertamento dell’età, di affidamento familiare in via prioritaria più che in strutture residenziali, sia a quelle che prevedono la creazione di elenchi di tutori volontari presso i Tribunali per i minorenni, i quali acquisiscono altresì la competenza per decidere sull’eventuale rimpatrio assistito e volontario dei minori stranieri non accompagnati”.

Per Giuseppe Spadaro “Sarebbe un peccato ora – in un momento storico in cui Papa Francesco e la nostra coscienza ci spingono ad occuparci anche di queste migliaia di poveri bambini che hanno lasciato tutto ciò che conoscevano – sopprimere i Tribunali per i minorenni anziché potenziarli “.

News Ai. Bi. 30 marzo 2017

www.aibi.it/ita/misna-giuseppe-spadaro-presidente-tribunale-minorenni-bologna-legge-zampa-sui-minori-e-epocale/

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ONLUS – NON PROFIT

Componenti di diritto nel consiglio direttivo di una Onlus

Si può prevedere nello statuto della nostra onlus che uno dei componenti del consiglio direttivo non sia nominato dall’assemblea bensì sia membro di diritto?

La questione è stata affrontata dalla sentenza Cass. civ. Sez. V, 24-10-2014, n. 22644 (rv. 632762) che ha espresso il seguente principio di diritto:

“In tema di ONLUS, l’art. 10, comma 1, lett. h), del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, impone che lo statuto preveda espressamente l’effettività del diritto di voto per gli associati ed i partecipanti in relazione alla nomina degli organi direttivi, a garanzia della democraticità dell’associazione, che costituisce condizione essenziale per potersi avvalere delle agevolazioni tributarie.

(Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la previsione statutaria di due membri di diritto nel consiglio di amministrazione dell’ONLUS e la conseguente accertata impossibilità, da parte di tale organo, di adottare decisioni in mancanza del voto di almeno uno di tali membri violasse il principio di democraticità di cui all’art. 10 del citato d.lgs. n.460 del 1997).

www.nonprofitonline.it/default.asp?id=508&id_n=7240

 

Voucher e non profit: cosa cambia

Pur non essendovi alcuna necessità né urgenza (si pensi che parametrato al costo totale del lavoro dipendente privato non agricolo nel 2015, il costo totale del lavoro accessorio rappresentava lo 0,2%) il Decreto legge del 17 marzo 2017, n. 25, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 17 marzo 2017, n. 64 e in vigore dal 17 marzo 2017, ha abrogato l’intera disciplina delle prestazioni di lavoro accessorio (i.e. a mezzo voucher) di cui agli articoli 48, 49 e 50 del D. Lgs. 81/15.

Il medesimo D.L. n. 25/17 prevede anche un periodo transitorio – fino al 31 dicembre 2017 – in cui si potrà continuare ad utilizzare i buoni lavoro già acquistati alla data del 17 marzo 2017.

L’abrogazione, motivata dalla dichiarata esigenza di eliminare gli abusi dell’utilizzazione del lavoro accessorio nonché di evitare il referendum abrogativo promosso dalla CGIL e previsto per il 28 maggio 2017, ha però creato un vuoto normativo per tutte quelle attività residuali e saltuarie che necessitano di ricevere una legittima veste giuridica, pena il rischio di alimentare il c.d. lavoro nero.

La c.d. liberalizzazione degli ultimi anni relativa all’utilizzo dei voucher (nel 2015 sono stati venduti 115 milioni di voucher: ancora nel 2010 erano meno di 10 milioni) trovava conforto nella circostanza di conferire legittimità giuridica a rapporti di lavoro saltuari le cui dinamiche/modalità mal si conciliavano con i contratti di lavoro “tipizzati” di cui alla nostra legislazione giuslavoristica (e che quindi favorivano il lavoro in nero).

Si dava quindi la possibilità ai datori di lavoro di acquisire servizi lavorativi legittimamente retribuiti, che non avrebbero agevolmente trovato una diversa configurazione giuridica all’interno del c.d. Jobs Act.

Dunque, il voucher rappresentava uno strumento di aiuto e di tutela di fronte ai milioni di disoccupati italiani nonché un utile strumento datoriale di flessibilità, necessario per lo svolgimento da parte di associazioni ed imprese di alcune loro specifiche attività. A favore dell’utilizzo dei voucher giocava altresì un ruolo importante la ridotta quantità di adempimenti per il datore di lavoro e la loro semplicità di utilizzo.

Tale strumento aveva trovato una buona diffusione anche all’interno del terzo settore. Il tutto, per conciliare la legalità con situazioni di bisogno e di disagio, tenuto conto di realtà anche molto piccole che non si sarebbero potute permettere di attivare rapporti di lavoro più onerosi sotto il profilo normativo/previdenziale.

In particolare il voucher si rivelava per gli enti non profit uno strumento utile per assicurare una legittima retribuzione a coloro che i quali prestavano un’ampia gamma di attività saltuarie e non altamente retribuite.

L’Inps aveva recentemente fornito un approfondimento sull’uso dei buoni lavoro a seconda del numero di dipendenti e della forma societaria dell’impresa. Al primo posto, come quota pro-capite di voucher più elevata, si erano posizionati i sindacati. Al secondo posto vi era il mondo del non profit. Al terzo la pubblica amministrazione.

Gli ambiti nei quali gli enti no profit utilizzavano questo strumento erano molteplici: dagli educatori, a coloro che si occupano di pulizia e di manutenzione delle strutture, a coloro che provvedono all’apertura di bar e di circoli ricreativi, a coloro che prestano servizi per gli anziani e che si occupano di iniziative educative per bambini o altre categorie di persone.

Ad oggi, di fronte al vuoto normativo, gli strumenti che potrebbero essere utilizzati in sostituzione dei voucher risultano essere il lavoro intermittente, tenuto conto dei limiti di utilizzo previsti dalla legge, il contratto di somministrazione di manodopera o a tempo determinato, il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (con la dovuta attenzione ai limiti stringenti imposti dal Jobs Act).

Quel che è certo è che – ancor di più nel mondo no profit – l’eliminazione dell’utilizzo dei voucher non avrà di certo come effetto quello di trasformare in posti di lavoro stabile le prestazioni di lavoro accessorio.

Avv. Giovanni Bellardi Sciumé – avvocati e commercialisti

www.nonprofitonline.it/default.asp?id=466&id_n=7236

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PARLAMENTO

Camera dei Deputati. Assemblea. Protezione minori stranieri non accompagnati.

C1658-B. Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati, approvata dalla Camera e modificata dal Senato.

29 marzo 2017 Seguito della discussione e approvazione in via definitiva della proposta di legge. (13 voti contrari)

http://www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0769&tipo=stenografico#sed0769.stenografico.tit00030.sub00090

Senato Assemblea. Contrasto dell’immigrazione illegale

S2705 Conversione in legge del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale

29 marzo 2017, rinnovata la fiducia al Governo approvando l’emendamento interamente sostitutivo dell’articolo unico del Ddl n. 2705, di conversione in legge del decreto-legge n. 13 (scade il 18 aprile), in materia di contrasto dell’immigrazione illegale. L’esame del provvedimento passa alla Camera dei deputati.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=1010445

2° Commissione Giustizia. Reati di costrizione al matrimonio

S683 Introduzione nel codice penale degli articoli 609-terdecies, 609-quaterdecies e 609-quindecies, nonché disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del fenomeno dei matrimoni forzati. (testo base) www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/1006429/index.html

29 marzo 2017 E’ proseguito l’esame del Ddl n. 2441 e connessi, in materia di introduzione nel codice penale dei reati di costrizione al matrimonio, induzione al viaggio finalizzato al matrimonio e costrizione al matrimonio di persona minorenne, si è deciso di adottare come base il Ddl n. 2683.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=1010456

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PASTORALE FAMILIARE

Iniziativa regionale su Amoris Lætitia a Faenza

Sono state caricate e rese disponibili a tutti, le dispense, le presentazioni, il materiale vario e i file audio delle serate del corso diocesano La gioia dell’amore realizzato dalla Scuola diocesana di formazione teologica.

Amoris Lætitia e formazione operatori

Cliccate sul titolo delle serate, sarete indirizzati a Google Drive per scaricare il file di vostro interesse.

  • Sguardo sociologico e questione gender – coniugi Bontempi Paolo e Monica, don Paolo Bagnoli

  • Sintesi del magistero – don Davide Ferrini

  • Amore nel matrimonio – coniugi Violani Claudio e Elisabetta, don Luigi Guerrini

  • Amore fecondo – coniugi Dalmonte Savino e Daniela, don Pier Paolo Nava

  • Prospettive pastorali – coniugi Obrizzi Giorgio e Laura don Tiziano Zoli

  • Famiglia tra liturgia e diritto – coniugi Solaroli Massimo e Matilde, don Ugo Facchini

  • Accompagnare e discernere – coniugi Cornacchia Flavio e Annarita, don Marco Ferrini

  • Educazione dei figli – coniugi Taroni Fabio e Rosangela, suor Ornella Fiumana

  • Spiritualità coniugale e familiare – coniugi Ferretti Franco e Chiara, don Alberto Luccaroni

www.pastoralefamiliarefaenza.it/wp/?page_id=4908

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PRESBITERI

Preti celibi e sposati, fianco a fianco

La crisi drammatica della carenza di clero che vive attualmente la chiesa cattolica è sotto gli occhi di tutti. Nei Paesi occidentali, nei quali l’età media dei preti che esercitano il ministero supera spesso i settant’anni, si reagisce creando delle “unità pastorali” nelle quali vengono raggruppate diverse parrocchie, affidate alla cura pastorale di uno o due preti. Nell’America Latina la gran parte delle diocesi può contare su un prete ogni venti o trentamila abitanti, per cui molti villaggi vedono il prete e quindi hanno la celebrazione dell’Eucaristia poco più di una volta l’anno. Il risultato è il passaggio massiccio di fedeli dalla Chiesa cattolica alle nuove Chiese pentecostali o evangelicali. Situazione analoga per l’Africa, nonostante l’attrattiva che può presentare l’ordinazione al ministero per giovani che vivono in situazioni di grave povertà. I responsabili delle diocesi sembrano spesso non avere compreso la gravità della situazione, con delle ordinazioni ormai al minimo storico, mentre diventano sempre più numerose le comunità cristiane prive dell’Eucaristia domenicale alla quale pure avrebbero diritto in virtù del loro battesimo.

La crisi di vocazioni per un ministero celibatario potrebbe essere letta come un segno dei tempi, un segno che lo Spirito di Dio vuole un rinnovamento radicale in una Chiesa ancora troppo clericale e che dovrebbe diventare davvero una Chiesa comunione, nella quale ogni fedele cristiano si senta impegnato e partecipe e sia capace di offrire un servizio qualificato alla propria comunità.

La riscoperta del valore e della bellezza del matrimonio e della famiglia realizzata con i due recenti sinodi e con l’esortazione postsinodale Amoris Lætitianon solo da parte dei fedeli cattolici ma anche da parte della stessa gerarchia, potrebbero aprire la via a un nuovo atteggiamento per ciò che attiene alla disciplina dell’ordinazione al ministero presbiterale nella Chiesa cattolica latina.

Nel documento postsinodale papa Francesco parla di «vocazione al matrimonio» e del matrimonio come via di santificazione (AL 72). Nell’ultimo capitolo, a proposito della spiritualità coniugale e familiare, si legge «Abbiamo sempre parlato della inabitazione di Dio nel cuore della persona che vive nella sua grazia. Oggi possiamo dire anche che la Trinità è presente nel tempio della comunione matrimoniale. Così come abita nelle lodi del suo popolo (cf. Sal 22,4), vive intimamente nell’amore coniugale che le dà gloria» (AL 314). Il matrimonio può essere quindi la via per giungere anche alle vette più alte della santità personale e dell’unione intima con Dio. «Pertanto, coloro che hanno desideri spirituali profondi non devono sentire che la famiglia li allontana dalla crescita nella vita dello Spirito, ma che è un percorso che il Signore utilizza per portarli ai vertici dell’unione mistica» (AL 316).

In questa situazione si sono fatte più insistenti le richieste di ammettere all’ordinazione al presbiterato dei “viri probati”, e cioè degli uomini che hanno dato buona prova di sé nella professione e nella vita familiare e che godono di buona fama nella loro comunità.

Tenendo conto di tutto questo e considerato che il popolo cristiano sembra ormai pronto ad accettare questo cambiamento, papa Francesco si è dichiarato disponibile ad autorizzare gli episcopati che ne fanno richiesta a predisporre per l’ordinazione al ministero presbiterale di uomini sposati. Egli attende soltanto che giunga questa richiesta da parte degli episcopati, i quali salvo poche eccezioni sembrano non abbiano avuto il coraggio di farla per un eccessivo attaccamento alla prassi tradizionale e per il timore di divisioni. Il celibato dovrebbe restare per quanti si sentono chiamati dallo Spirito a viverlo, ma non dovrebbe più essere richiesto per legge come una conditio sine qua non per accedere al ministero presbiterale. Era la via già intravista al Vaticano II allorché si decise l’ammissione al diaconato di uomini sposati (LG 28), nella prospettiva che appariva implicita di prepararli in vista dell’ordinazione al presbiterato. Preti celibi e preti sposati potranno dunque nei prossimi anni anche nella chiesa latina lavorare fianco a fianco nel loro ministero, che ha il compito di annunciare il Vangelo, di celebrare i sacramenti ma soprattutto di servire la comunione ecclesiale nelle diverse comunità.

Giovanni Cereti, teologo dell’ecumenismo e storico della Chiesa

Adista Notizie n. 13, 01 aprile 2017 www.adista.it/articolo/57189

 

Dio chiama al sacerdozio sia celibi sia sposati

Dal 24 al 26 marzo 2017 si è tenuto a Roma il convegno nazionale dei preti sposati, indetto dall’associazione “Vocatio”, intitolato: “Preti sposati per una Chiesa in cammino”. Tre i relatori principali: Adriana Valerio, Giovanni Cereti e Basilio Petrà, di cui pubblichiamo il testo dell’intervento: “Verso un presbiterato celibatario e uxorato in tutta la Chiesa cattolica” (red.).

Quello che oggi dirò nasce da un’intenzione precisa: dimostrare che sono maturi i tempi teologici e in generale ecclesiali perché si passi al riconoscimento formale che il Signore chiama tanto uomini celibi quanto uomini sposati all’esercizio del ministero presbiterale in tutta la Chiesa cattolica e che ogni Chiesa della comunione cattolica dovrebbe operare coerentemente con tale riconoscimento.

Sottolineo subito il mio punto di vista: la questione del clero sposato non è una questione sociologica né un problema di migliore utilizzazione delle risorse umane nella Chiesa, essa è innanzitutto una questione teologica. Ciò significa che ha questa forma: il Signore chiama anche uomini sposati all’esercizio del ministero ordinato nella Chiesa oppure no? Se infatti il Signore fa questo, allora la Chiesa può solo accogliere questo dono di Dio e non rigettarlo.

Per poter dimostrare che è così, tuttavia, fin dall’inizio devo ricordare a tutti voi una verità elementare quanto regolarmente trascurata. La Chiesa cattolica è una comunione di circa ventidue Chiese tutte di proprio diritto (sui iuris). Una di esse è la Chiesa di rito latino; ci sono poi sono numerose Chiese di rito orientale, quelle che hanno origine dalle tradizioni alessandrina, antiochena, armena, caldea, constantinopolitana.

La struttura comunionale della Chiesa cattolica è resa evidente in particolare anche dal fatto che non ha un solo codice di diritto canonico ma due codici, uno per la Chiesa di rito latino (CIC) e uno per le Chiese orientali (CCEO), ambedue dotati della stessa dignità e sanzionati dalla stessa autorità. La dualità dei codici è dovuta al fatto che, pur nell’unità della fede, tra le diverse Chiese in comunione ci sono diversità disciplinari, liturgiche, spirituali, teologiche.

Questa peculiare struttura comunionale determina un fatto di grande rilievo: un’affermazione può essere detta rappresentativa della comunione cattolica solo se esprime una realtà condivisa nell’intera esperienza delle Chiese della comunione cattolica e può essere detta d’interesse cattolico solo se riguarda l’intera comunione cattolica. Altrimenti non può essere detta adeguatamente cattolica ma solo propria di una Chiesa sui iuris o concernente solo una o più Chiese di proprio diritto. Ovviamente, il presupposto essenziale di questa comunione tra le Chiese è che non può darsi contraddizione teologica tra le particolarità proprie delle singole Chiese.

La Chiesa cattolica, come ben sappiamo, ha un centro visibile di unità. E’ il centro costituito dal ministero petrino esercitato dal vescovo di Roma, che nell’esercizio di tale diaconia apostolica viene coadiuvato dalle congregazioni e dagli organismi di Curia. Il principio che abbiamo sopra ricordato vale tanto per il ministero petrino quanto per la curia. Se parlano di qualcosa che non riguarda l’intera Chiesa cattolica parlano come espressione di una Chiesa sui iuris, fosse anche solo quella latina.

Vi prego di tenere presente questo principio perché nelle considerazioni che seguono ricorderò alcune circostanze nelle quali emerge chiaramente che le congregazioni romane continuano ancora ad operare come se chiesa latina e Chiesa cattolica si identificassero semplicemente, anche se piccoli segni di cambiamento cominciano a farsi strada.

Un’accettazione ufficiale, meno nella prassi. La Chiesa cattolica nella sua cattolicità ha due forme di clero, quella celibe e quella uxorata, ne accetta pienamente l’esistenza e la considera del tutto legittima. Si tratta di un fatto oggettivo evidente. Non considero qui il diaconato – sul quale non c’è contestazione (quasi del tutto) –, ma solo il presbiterato.

Infatti, tutte le Chiese orientali cattoliche (escluse le due Chiese indiane: siro-malankarese e siro-malabarese, almeno nell’attuale disciplina) hanno le due forme di clero, celibe e uxorato. La larga maggioranza del clero parrocchiale in tali chiese è uxorato.

Inoltre, la stessa Chiesa latina ha le due forme di clero. Si sa che in casi eccezionali (ma non rari) si accolgono ministri uxorati provenienti da altre confessioni cristiane e che qualora non siano stati validamente ordinati vengono ordinati ex novo da vescovi cattolici, rimanendo sposati e senza alcun cambiamento nella disciplina della loro vita coniugale.

Dunque, i due tipi di clero oggi sono cattolicamente accettati come vere, legittime, valide forme di clero. Sottolineo, l’accettazione ufficiale è indubbia. Ciò non toglie che sia ancora di fatto contraddetta a livello della concreta prassi ecclesiale cattolica ed anche nell’esercizio concreto dell’universale attività pastorale della chiesa. In altre parole, tutti gli organi che articolano un servizio cattolico nella Chiesa sembrano ancora muoversi prevalentemente su una linea che contraddice tale coscienza cattolica.

Ci sono cose che tutti conosciamo, come la grande difficoltà incontrate dalle Chiese orientali cattoliche per ottenere che i loro fedeli fossero seguiti nella diaspora da ministri uxorati delle loro Chiese o la difficoltà di collocare il clero uxorato nei sistemi di remunerazione del clero in vari paesi, compresa l’Italia.

L’acme della contraddizione a parer mio si è raggiunto nei due Sinodi sulla famiglia del 2014 e del 2015. Non sono state prese in considerazione le famiglie sacerdotali cattoliche né il clero uxorato orientale. L’unico prete orientale chiamato a far parte dei sinodali è stato un prete copto cattolico celibe. E’ stato l’acme della contraddizione de facto.

Forse, dico forse, sta cominciando un cammino diverso. Lo dico perché verso la fine del secondo Sinodo ci sono state alcune reazioni da parte orientale, specie dopo un mio intervento sul blog L’Indice del Sinodo (Famiglie dimenticate, sposi assenti), e forse si deve a tali reazioni che Amoris Lætitia è diventato il primo documento cattolico di altissimo livello magisteriale e pastorale che invita cattolicamente a valorizzare una qualche competenza dei “preti sposati”. Penso che conosciate bene questo testo ma è opportuno richiamarlo.

Si trova al n.202 di Amoris Lætitia e così suona: “«Il principale contributo alla pastorale familiare viene offerto dalla parrocchia, che è una famiglia di famiglie, dove si armonizzano i contributi delle piccole comunità, dei movimenti e delle associazioni ecclesiali». Insieme con una pastorale specificamente orientata alle famiglie, ci si prospetta la necessità di «una formazione più adeguata per i presbiteri, i diaconi, i religiosi e le religiose, per i catechisti e per gli altri agenti di pastorale». Nelle risposte alle consultazioni inviate a tutto il mondo, si è rilevato che ai ministri ordinati manca spesso una formazione adeguata per trattare i complessi problemi attuali delle famiglie. Può essere utile in tal senso anche l’esperienza della lunga tradizione orientale dei sacerdoti sposati”.

Il riferimento è chiaramente aggiunto a posteriori, dal momento che non si capisce bene se si vuole dire che anche i sacerdoti sposati hanno dovuto ricevere o ricevono una formazione adeguata, oppure se s’intende dire che essi possono aiutare i celibi e gli altri ad avere una formazione adeguata, con la loro esperienza, ovvero come esperti della vita familiare. Probabilmente s’intende dire la seconda cosa. Certo, non è molto.

Tuttavia si dicono implicitamente alcune cose significative: primo, che sono veri sacerdoti (sono così chiamati infatti); secondo, che l’esperienza di vita che hanno consente loro di capire meglio la condizione coniugale e familiare; terzo, la loro disciplina ha a fondamento una tradizione di lunga durata. Si sarebbe potuto valorizzare di più il ruolo delle famiglie presbiterali ma sarebbe stato chiedere troppo. Piccolo segno di svolta, ma forse vero segno di svolta.

Basandosi sul Concilio. Questa odierna accettazione cattolica ufficiale della duplice forma di clero non è il frutto del caso o di pure dinamiche di politica ecclesiastica, ma è il risultato prima di una consolidata tradizione anche latina concernente il rapporto tra matrimonio e ministero ordinato, quindi di alcune decisioni disciplinari preconciliari fatte proprie dalla diaconia pastorale petrina nella Chiesa cattolica, infine della dottrina conciliare del concilio Vaticano II.

Non potendo trattare qui formalmente e pienamente questo discorso mi limiterò a ricordare alcune affermazioni conciliarmente fondate delle quali offro la prova nei miei libri, ai quali rimando:

  1. Non è più legittimo rimanere legati a una visione preconciliare del sacerdozio uxorato, come “condizione giuridicamente tollerata”. Tale visione è preconciliare nel senso preciso che non corrisponde più all’autocoscienza della Chiesa in questo momento e alla sua autoproiezione nel futuro. Si veda quello che ha detto lo stesso card. Sandri, prefetto della Congregazione delle Chiese orientali, nella conferenza che tenne al Pontificio collegio Pio Romeno il 18 aprile 2013 sul tema: “Il Concilio e gli orientali”.

  2. Per il Concilio il sacerdozio uxorato è vero sacerdozio al pari di quello celibatario; all’uno e all’altro si applica tutto quello che vale del vero sacerdozio in generale. Tutto quello che si dice del sacerdozio in quanto tale, come essenza e funzioni, vale per l’una e per l’altra forma di sacerdozio. Il sacerdozio ministeriale infatti non è connesso per sua natura né con il celibato né con il matrimonio, ma può associarsi all’una o all’altra condizione, secondo la volontà del Signore e il discernimento della Chiesa.

  3. Per il Concilio, proprio perché è vero sacerdozio ministeriale, il sacerdozio uxorato nasce da una divina chiamata confermata dalla Chiesa, al pari della chiamata al sacerdozio celibatario. E’ anch’essa “santa vocazione”. Uso la dizione “santa vocazione” per indicare la vocazione ministeriale perché Presbiterorum ordinis al n. 16 la richiama in modo formale con riferimento al clero uxorato così come dice chiaramente che il sacerdozio uxorato è una forma di piena dedizione della vita al gregge. Si legge infatti nel primo paragrafo di quel numero 16:” La perfetta e perpetua continenza per il regno dei cieli, raccomandata da Cristo Signore nel corso dei secoli e anche ai nostri giorni gioiosamente abbracciata e lodevolmente osservata da non pochi fedeli, è sempre stata considerata dalla Chiesa come particolarmente confacente alla vita sacerdotale. Essa è infatti segno e allo stesso tempo stimolo della carità pastorale, nonché fonte speciale di fecondità spirituale nel mondo. Essa non è certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta evidente se si pensa alla prassi della Chiesa primitiva e alla tradizione delle Chiese orientali, nelle quali, oltre a coloro che assieme a tutti i vescovi scelgono con l’aiuto della grazia il celibato, vi sono anche degli eccellenti presbiteri coniugati: per questo il nostro sacro Sinodo, nel raccomandare il celibato ecclesiastico, non intende tuttavia mutare quella disciplina diversa che è legittimamente in vigore nelle Chiese orientali, anzi esorta amorevolmente tutti coloro che hanno ricevuto il presbiterato quando erano nello stato matrimoniale a perseverare nella santa vocazione, continuando a dedicare pienamente e con generosità la propria vita per il gregge loro affidato”.

  4. Conciliarmente parlando, la distinzione tra le due forme dell’unico sacerdozio non risiede nel ministero sacerdotale in quanto tale (ovvero nella natura del sacerdozio) ma nella condizione esistenziale diversa nella quale sono chiamati a vivere il sacerdozio coloro che ricevono la santa vocazione. Tutto questo fa parte delle acquisizioni conciliari, pienamente riprese successivamente nel CCEO.

Il silenzio nei testi ufficiali. Proprio perché il ministero uxorato nasce da una santa vocazione ovvero da una vocazione divina riconosciuta dal discernimento della Chiesa cattolicamente vale l’affermazione che il ministero ordinato uxorato è uno degli stati di vita ai quali il Signore può chiamare.

Questo punto può essere meglio illustrato richiamando quello che leggiamo in un recente documento legato a un grande avvenimento della Chiesa che sarà il Sinodo sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale del 2018. Se andiamo infatti a vedere il Documento preparatorio e il questionario pubblicato nel gennaio di quest’anno al punto II, 2 ove si parla del discernimento vocazionale, vi leggiamo: “Tenendo presente ciò, ci concentriamo qui sul discernimento vocazionale, cioè sul processo con cui la persona arriva a compiere, in dialogo con il Signore e in ascolto della voce dello Spirito, le scelte fondamentali, a partire da quella sullo stato di vita. Se l’interrogativo su come non sprecare le opportunità di realizzazione di sé riguarda tutti gli uomini e le donne, per il credente la domanda si fa ancora più intensa e profonda. Come vivere la buona notizia del Vangelo e rispondere alla chiamata che il Signore rivolge a tutti coloro a cui si fa incontro: attraverso il matrimonio, il ministero ordinato, la vita consacrata? E qual è il campo in cui si possono mettere a frutto i propri talenti: la vita professionale, il volontariato, il servizio agli ultimi, l’impegno in politica?”.

I tre stati di vita (matrimonio, ministero ordinato, consacrazione religiosa) sono dati per paralleli e separati tra loro in quanto stati di vita. Ciò non corrisponde alla realtà ecclesiale cattolica. Il presupposto infatti è che non si possa dare una chiamata al ministero ordinato uxorato: tale presupposto non è corretto dal punto di vista cattolico proprio per i motivi che abbiamo sopra ricordato. Dal momento, infatti, che le due forme di ministero, celibe e uxorato, sono vere, legittime, pienamente accettate vocazioni divine nella Chiesa cattolica, ambedue le due forme devono essere prese in considerazione in tutti i documenti di valore cattolico.

Ciò è tanto più necessario in questo momento nel quale si danno comunità cattoliche di rito orientale in moltissimi paesi nei quali tradizionalmente non esistevano. Tanto la pastorale vocazionale quanto la cura delle vocazioni – nella loro forma cattolica – devono tener conto di questa dualità delle forme esistenziali dello stesso sacerdozio ministeriale, se vogliono essere coerentemente cattoliche.

Un limite analogo appare anche in un documento così importante come la Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis pubblicato l’8 dicembre 2016 dalla Congregazione per il clero, sotto la presidenza del card. Beniamino Stella, con il titolo Il dono della vocazione sacerdotale.

Ebbene, il documento dichiara esplicitamente che quanto dice non si applica alle chiese orientali cattoliche le quali in questa materia “devono preparare le loro norme, a partire dal proprio patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare” (Il dono della vocazione sacerdotale, Norme generali, 1) e quando prende in esame il caso in cui ci siano seminari latini con presenza simultanea di seminaristi orientali, al n. 110, si preoccupa di precisare: “Nel caso che nei seminari latini vengano ammessi seminaristi delle Chiese orientali cattoliche, per quanto riguarda la loro formazione al celibato o al matrimonio siano osservate le norme e le consuetudini delle rispettive chiese orientali”.

Non si può non notare che questa forma di apparente rispetto delle tradizioni orientali si capovolge de facto in una sorta di collocazione di tali tradizioni in riserve di tipo indiano, come se la visione cattolica fosse un altro mondo. Così nel numero stesso – il 110 – nel quale con le poche parole surricordate (nemmeno 1 rigo su 29 di testo; 1 rigo di nota su 19 di note) si accenna ai seminaristi cattolici che sono formati al matrimonio e che possono essere nello stesso seminario con seminaristi formati al celibato si dedicano molte parole e molte citazioni a parlare del significato spirituale e pastorale del celibato latino e nessuna parola al significato spirituale e pastorale del ministero uxorato.

Si noti: si tratta di un documento cattolico nel quale si è consapevoli che ci sono seminaristi cattolici che vengono formati al celibato e seminaristi cattolici che vengono formati al matrimonio. Eppure mentre per gli orientali si rinvia alle loro Chiese senza dire cattolicamente nulla, ci si sofferma invece ampiamente a legittimare la disciplina della Chiesa latina – esplicitamente ricordata come “Chiesa latina” – affermando la speciale convenienza della “continenza perfetta nel celibato” come “segno di [questa] dedizione totale a Dio e al prossimo”.

Ci si può chiedere perché una Congregazione cattolica dedichi tanto spazio a sottolineare il valore speciale della prassi celibataria latina che è prassi solo di alcune chiese cattoliche e perché non dica nulla sul valore di segno di dedizione a Dio e alla Chiesa proprio del sacerdozio uxorato nella maggior parte delle Chiese appartenenti alla comunione cattolica?

O si ritiene ovvio tale valore teologico ordinario e generale del sacerdozio uxorato, non da sottolinearsi particolarmente, e si pensa che nella chiamata celibataria ci sia solo una speciale sottolineatura di quel carattere della dedizione alla Chiesa che è proprio di ogni sacerdozio cattolico; oppure si ritiene che soltanto nella chiamata al sacerdozio continente nel celibato ci sia una vera e adeguata dedizione alla Chiesa.

Se è corretta la prima interpretazione allora lo si dica formalmente e si dica che ogni ministero ordinato cattolico è segno della dedizione piena a Dio e alla Chiesa, uxorato o celibatario che sia; se si intende la seconda, si è in una posizione che con corrisponde al Concilio e alla prassi di gran parte delle Chiese cattoliche, per non ricordare la testimonianza delle Chiese ortodosse.

Viene il fondato sospetto che le Congregazioni romane siano ancora troppo abituate a operare con una mentalità solo latina, ovvero non siano ancora adeguatamente cattoliche. Esse sembrano continuare a operare identificando naturalmente tradizione cattolica e tradizione latina, ovvero ritenendo ancora la praestantia o superiorità preconciliare del rito latino, come se solo il rito latino possedesse la ‘piena’ verità del ministero ordinato.

Questo modo di porsi ha ultimamente effetti negativi sulla capacità stessa della Chiesa latina di corrispondere ai doni di Dio in rapporto alla sua stessa vita. Per chiarire questo punto vorrei venire a una quarta considerazione.

Una Chiesa cattolica. La storia della Chiesa latina dimostra che, pur essendoci stati molti tentativi in questo senso, mai si è posta la condizione coniugale come impedimento intrinsecamente dirimente della validità dell’ordinazione ministeriale. Si ricordi che nello stesso CIC del 1983, can. 1042, 1 si dice che lo sposato “è semplicemente impedito di ricevere gli ordini” (così anche CJC del 1917, can. 987, 2°).

Su questa base largamente tradizionale Pio XII ha preso alcune decisioni che hanno consentito alla Chiesa latina di aprirsi all’accoglienza dei ministri non-cattolici riconoscendo in questo una precisa volontà divina. Analoga sapienza hanno mostrato i padri conciliari accogliendo il diaconato uxorato. Paolo VI e i papi successivi – in continuità con Pio XII e alla luce del chiaro insegnamento conciliare – hanno operato un discernimento in forza del quale si prendeva atto che il Signore chiedeva alla Chiesa latina di accettare ministri uxorati o addirittura li ordinava, nel caso di conversione da confessioni non cattoliche.

Sottolineo questo punto: questi atti di accoglienza e ordinazione non sono stati e non sono atti di politica ecclesiastica ma atti di discernimento ecclesiale in forza dei quali si prende atto di una volontà divina per la Chiesa latina. Si poteva, ad esempio, chiedere a tali ministri o comunità di associarsi a Chiese orientali cattoliche ma non lo si è fatto.

Questi atti di discernimento, resi possibili dalla tradizione e dalla dottrina conciliare, sono una prova chiara che anche la Chiesa latina sa e riconosce che Dio può chiamare persone all’esercizio del ministero uxorato anche nella Chiesa latina e che in questo non c’è alcun conflitto con l’affermazione di uno speciale significato simbolico della continenza nel celibato sacerdotale, dal momento che il Signore stesso non vi vede alcun conflitto e continua a chiamare a tale ministero insieme celibi e uomini sposati nella Chiesa cattolica.

Il discernimento che da Pio XII è stato fatto nei confronti delle vocazioni ministeriali dei ministri in conversione dovrebbe diventare possibile anche nei confronti di uomini sposati che mostrino segni positivi di vocazione divina al ministero. Si tratta di passare da una prassi certo occasionale ed eccezionale, ma fondata su un principio teologico, a una prassi che assume esplicitamente e formalmente il principio stesso, prendendone pienamente atto. Ciò renderebbe possibile anche per la Chiesa latina di articolare più ampiamente le forme di esercizio del ministero e di mettersi in condizione di provvedere ai bisogni sacramentali e ministeriali delle comunità (come ad esempio istituendo i presbiteri di comunità).

Non si vede perché dovrebbe essere scandaloso avere una Chiesa latina che come all’inizio del secondo millennio preveda comunità di presbiteri viventi la vita comune sotto una regola, presbiteri sposati rettori di comunità, monaci ordinati. Ciò potrebbe convivere, io credo, anche con una preferibilità latina tradizionale per il clero celibe e con il celibato consigliato ma non obbligatorio.

Lex continentiae? Dal momento che uno dei motivi che ha condotto alla normativa latina del celibato obbligatorio è stata la pratica della lex continentiae e la soggiacente visione della sessualità e del matrimonio, bisogna dire qualcosa sulla salute della quale gode oggi tale principio. Per lex continentiae s’intende la legge per la quale nel primo millennio grosso modo gli uomini sposati che ricevevano gli ordini maggiori s’impegnavano alla sospensione dei rapporti sessuali. Sull’origine, l’estensione, l’accettazione di tale legge ci sono dibattiti storici non piccoli.

In qualunque modo stiano storicamente le cose bisogna dire chiaramente che la visione conciliare e postconciliare della sessualità e del matrimonio è assai diversa da quella del primo millennio e di gran parte del secondo. La sessualità è parte del progetto divino dell’amore coniugale; gli atti coniugali stessi poi hanno piena dignità e significato come scrive esemplarmente Gaudium et spes, n. 49: “Questo amore [coniugale] è espresso e sviluppato in maniera tutta particolare dall’esercizio degli atti che sono propri del matrimonio. Ne consegue che gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità sono onesti e degni; compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano ed arricchiscono vicendevolmente nella gioia e nella gratitudine gli sposi stessi”.

Amoris Lætitia, poi, come si sa vede anche l’eros come forma nella quale prende corpo la carità coniugale. Si veda anche solo il suo n. 120. La teologia attuale della sessualità e del matrimonio ci consente poi di dire con molta chiarezza che la condizione di vita coniugale non contraddice l’ordinazione presbiterale dell’uomo, anzi possiamo dire che l’ordinazione offre la possibilità di un qualche compimento del senso sacramentale stesso del matrimonio e della famiglia.

Il matrimonio, infatti, nella dottrina attuale della Chiesa quale si esprime in Familiaris consortio e in Amoris Lætitia, non è semplicemente un’istituzione naturale che riceve la benedizione divina in ordine alla procreazione e educazione della prole. E’ molto di più: è un luogo nel quale si esprime la Chiesa stessa, è una manifestazione della chiesa, è chiesa domestica. I coniugi sono ministri di un sacramento che li colloca attraverso il loro stesso amore al servizio di Dio e della Chiesa, perché sono appunto Chiesa che si realizza nella e attraverso la comunione coniugale e familiare.

La comunione coniugale simbolizza la totalità di relazione che lega Cristo e la chiesa e la esprime vivendo le dimensioni dell’amore coniugale in pienezza; la comunione familiare – che nasce da quella coniugale – è poi un simbolo vivo dell’amore trinitario, chiamata ad essere una comunione di vita e di amore che si apre verso gli altri, la comunità ecclesiale, il mondo. Essa partecipa al ministero profetico, sacerdotale e regale della chiesa; è e deve essere famiglia aperta, accogliente, missionaria ecc.

Oggi si consegna il crocifisso alle famiglie missionarie che vanno nelle missioni al servizio della Chiesa e che lasciano la loro terra, portando con sé i figli. Oggi ci sono coppie che gestiscono centri pastorali e sono al servizio pieno della comunità. E potremmo continuare.

Mai come oggi diventa possibile comprendere come il matrimonio e la vita familiare non solo non contraddicono il ministero sacerdotale ma possono trovare in esso un modo in cui attuare anche il senso cristiano del matrimonio e della famiglia, la realtà di un matrimonio aperto al servizio della Chiesa e del Vangelo.

In altre parole, si dà una possibile continuità sacramentale tra il matrimonio cristiano e il ministero sacerdotale uxorato, proprio perché quest’ultimo può configurarsi come un peculiare modo mediante il quale la coppia/la famiglia danno attuazione alla missione profetica, sacerdotale e regale che è propria di ogni coppia/famiglia cristiana e su di essa s’innesta.

Ho utilizzato molto fino a qui il linguaggio della Familiaris consortio, articolato sui tria munera Christi, ma qualcosa di simile può ben essere detto anche nel linguaggio dell’Amoris Lætitia, che utilizza maggiormente quello della “Chiesa domestica”. La prospettiva infatti è simile e lascia intravedere allo stesso modo che non c’è alcuna contraddizione tra matrimonio/famiglia e ministero ordinato. Mi limito a richiamare un testo di Amoris Lætitia, il n. 324: “Sotto l’impulso dello Spirito, il nucleo familiare non solo accoglie la vita generandola nel proprio seno, ma si apre, esce da sé per riversare il proprio bene sugli altri, per prendersene cura e cercare la loro felicità. Questa apertura si esprime particolarmente nell’ospitalità, incoraggiata dalla Parola di Dio in modo suggestivo: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Eb 13,2). Quando la famiglia accoglie, e va incontro agli altri, specialmente ai poveri e agli abbandonati, è «simbolo, testimonianza, partecipazione della maternità della Chiesa». L’amore sociale, riflesso della Trinità, è in realtà ciò che unifica il senso spirituale della famiglia e la sua missione all’esterno di sé stessa, perché rende presente il kerygma con tutte le sue esigenze comunitarie. La famiglia vive la sua spiritualità peculiare essendo, nello stesso tempo, una Chiesa domestica e una cellula vitale per trasformare il mondo”.

Amoris Lætitia poi insiste molto su quel che si potrebbe chiamare la struttura familiare della comunità parrocchiale e della vita ecclesiale. Si veda ad esempio Amoris Lætitia, n. 202 ove è formalmente detto che la parrocchia è “famiglia di famiglie”

La responsabilità della teologia. L’insieme di queste considerazioni va verso una conclusione precisa: la Chiesa cattolica sa che Dio chiama tanto uomini celibi quanto uomini sposati al servizio ministeriale. Ogni chiamata ha la sua dignità e il suo modo di esprimere la dedizione piena al servizio della Chiesa.

Le Chiese orientali cattoliche si muovono da sempre sulla base di questa consapevolezza; la Chiesa latina negli ultimi cinque secoli ha deciso di operare in modo diverso fino al secolo XX quando si è ricordata sempre più chiaramente che il Signore chiama anche uomini sposati all’ordine non solo diaconale ma anche presbiterale. Oggi è giunto il momento di assumere questa consapevolezza pienamente e semplicemente seguire – in questa consapevolezza odierna – la volontà del Signore.

La teologia ha in questo momento una grande responsabilità, specialmente la teologia del sacerdozio. Deve smettere di essere una teologia che de facto trasforma una larga parte del ministero ordinato della Chiesa in un’inspiegabile professione utile praticamente alla Chiesa e perciò tollerata per salvare la bellezza del sacerdozio celibatario e diventare finalmente una teologia fedele alla vita della cattolicità della Chiesa, mostrando la bellezza diversa e complementare nella quale s’articola la divina chiamata al ministero ordinato nella Chiesa

Basilio Petrà Blog de Il Regno sui Sinodi dei vescovi 29 marzo 2017

www.lindicedelsinodo.it/2017/03/dio-chiama-al-sacerdozio-sia-celibi-sia.html#more

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI

Lutto. E’ mancato il prof. Carlo Conti

Il 2 aprile 2017 è mancato il prof. Carlo Conti. Era stato direttore del consultorio di Firenze, dopo il prof. Umberto Bigozzi.

Era stato membro del Consiglio direttivo dell’Unione dal 1985 al 1989, dal 1993 al 1997 e in seguito del Collegio dei Probiviri.

 

Giornata di studio a Taranto.

50° Anniversario della Associazione di Volontariato “Il Focolare” di Taranto.

Taranto sabato 29 aprile ore 16-22 Incontro. Relazione d’aiuto e comunità sociale

  • Relazione: “Consultorio e territorio”

  • Dibattito, approfondimenti, realizzazioni

  • Festa di compleanno. Serata offerta da “Il Focolare” per il 50° dalla fondazione

Domenica 30 aprile ore 9-18

Giornata di studio: l’equipe cuore pulsante del consultorio familiare ucipem

  • Introduce Francesco Lanatà Presidente UCIPEM

  • Lezione Magistrale: L’équipe cuore del consultorio familiare UCIPEM

dr Laura Mullich, psicologa, psicoterapeuta psicoanalitica

  • Lavori di gruppo: Conduttori. L’équipe di fronte a:

  1. Il bisogno educativo dell’adulto. dr Francesco Dall’Acqua, psicologo psicoterapeuta.

  2. La coppia oggi tra conflitto e risorse: la domanda e la presa in carico. dr Stefania Sinigaglia

  3. Esperienze di immigrazione: i minori non accompagnati ci interpellano: quali risposte? dr Luca Proli,

  4. Genitori e figli in Consultorio: quali bisogni e risposte: competenze e strumenti. dr Laura Mullich

 

  • Restituzione dei conduttori

  • Presentazione del progetto di “Inserimento dei minori immigrati”. dr Morelli, Responsabile per i minori immigrati, Tribunale di Taranto

  • Discussione plenaria

  • Dopo cena visita al Castello Aragonese

Lunedì 1 maggio ore 8

Trasferimento al Centro “San Francesco De Geronimo” dei PP. Gesuiti di Grottaglie. Teatro Monticello

  • Saluti delle Autorità

  • Relazione: “Consulenza e spiritualità ignaziana” Padre Alberto Remondini SJ

  • Dibattito

  • Al pomeriggio visita al Quartiere delle Ceramiche.

Sede della giornata di studio: Hotel Mercure Delfino Taranto, viale Virgilio, 66, 74100, tel. 0997323232

Iscrizioni: dovranno essere effettuate preferibilmente collegandosi al link: http://goo.gl/i6Tjwo

oppure inviando apposita scheda cartacea debitamente compilata e con allegata copia di pagamento alla Segreteria dell’UCIPEM o per posta (via Serviliano Lattuada 14, 20135 – Milano) o per e-mail (ucipem@istitutolacasa.it). www.ucipem.com/it

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Le comunichiamo che i suoi dati personali sono trattati per le finalità connesse alle attività di comunicazione di newsUCIPEM. I trattamenti sono effettuati manualmente e/o attraverso strumenti automatizzati. Il titolare dei trattamenti è Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali Onlus – 20135 Milano-via S. Lattuada, 14. Il responsabile dei trattamenti è il dr Giancarlo Marcone, via Favero 3-10015-Ivrea. newsucipem@gmail.com

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