NewsUCIPEM n. 642 – 26 marzo 2017

NewsUCIPEM n. 642 – 26 marzo 2017

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02 ADDEBITO L’allontanamento del coniuge è per giusta causa.

02 AFFIDAMENTO No precedenza a coppia affidataria che fa domanda di adozione.

03 AFFIDO CONDIVISO Conflittualità tra genitori non deroga all’obbligo di comunicazione.

Ascolto delle ragioni della minore adolescente.

04 AMORIS LÆTITIASpunti teologici su Amoris Lætitia.

Amoris Lætitia: rilettura teologica e questioni critiche.

AL non mette in crisi la famiglia; è crisi che mette in moto la Chiesa

07 ANONIMATO DEL PARTO Diritto della donna di mantenerlo e diritto di conoscere le origini.

09 ASSEGNO DI MANTENIMENTO Addio al mantenimento anche se lei convive solo con un amico.

10 ASSEGNO DIVORZILE L’ex moglie ha un problema fisico.

10 CENTRO STUDI FAMIGLIA CISFNewsletter n. 11/2017, 22 marzo 2017.

12 CHIESA CATTOLICA La Chiesa fa la famiglia cristiana e la famiglia fa la Chiesa cristiana.

Humanae vitae e Amoris Lætitia, storie parallele.

16 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEMBrescia. Dibattito sul film “parlano i genitori di lesbiche e gay”.

Padova. Il potere della lettura.

Portogruaro. Saper perdonare.

17 DALLA NAVATA 4° Domenica di Quaresima – Anno A – 26 marzo 2017.

Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).

19 DIVORZIO Effetti del divorzio sui rapporti tra gli ex coniugi-

20 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Il Forum a Renzi: fare presto con gli aiuti, è emergenza demografica

21 GENITORI Che succede ai figli se i genitori litigano troppo?

22 GESTAZIONE PER ALTRI Incontro internazionale. Utero in affitto, l’ora di dire basta.

L’intervento della scrittrice Susanna Tamaro.

23 LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza.

24 MEDIAZIONE FAMILIARE Le finalità, i principi e il percorso di mediazione tra i coniugi in crisi

25 MINORI Interesse del minore nella visione dell’Aiaf e del Tribunale Brindisi

26 MINORI MIGRANTI Un piano per l’affido dei non accompagnati.

27 ONLUS – NON PROFIT Le quote versate dagli associati sono tassabili?

27PARLAMENTO Camera 1°C.Aff.cost. Protezione dei minori stranieri non accompagnati.

Senato Assemblea Protezione internazionale e di contrasto dell’immigrazione illegale

28 PASTORALE FAMILIARE Rinnovare la pastorale familiare.

29 PENSIONE DI RIVERSIBILITÀ Reversibilità: in “tandem” ex moglie e vedova.

30 SEPARAZIONE DEI BENI In separazione dei beni spetta l’eredità del coniuge?

31 UNIONI CIVILI Unioni civili: al via il registro e le formule per i riti

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ADDEBITO

Moglie mammona e suocera invadente? L’allontanamento del coniuge è per giusta causa

Difficile crederci, ma ancora oggi la presenza di una suocera invadente, che proprio non ci riesce a stare per conto proprio, può rappresentare un grave pregiudizio per la vita coniugale, tanto da portare i coniugi alla separazione. Ed è proprio quando la presenza diviene continua, mal tollerata e caratterizzata da una particolare invadenza, che il coniuge costretto a subire detti comportamenti può allontanarsi dalla casa coniugale senza che il suo comportamento possa costituire motivo di addebito.

In tal caso, non gli potrà essere infatti addebitata alcuna colpa in quanto l’allontanamento sarebbe avvenuto per giusta causa. Al contrario, è il coniuge che ha subito l’ingerenza nella vita coniugale da parte della suocera a poter chiedere l’addebito della separazione all’altro, ove quest’ultimo abbia tollerato i comportamenti invadenti del genitore e, al contempo, nulla abbia fatto per impedirli, consentendo che gli stessi avessero riflessi significativi sui rapporti coniugali!

Tanto può accadere sia allorquando vi sia convivenza con i suoceri ma anche nel caso in cui tra le due abitazioni vi sia una contiguità tale da dar luogo a facili ingerenze, ingerenze che possono manifestarsi sotto forma di invadenza nel rapporto coniugale ma anche in termini di intromissione nell’educazione dei figli.

Gli interventi degli Ermellini, a seconda delle circostanze, hanno assunto pertanto carattere diverso, dal ritenere avvenuto per giusta causa l’allontanamento del coniuge che non ha più sopportato queste significative ingerenze, all’addebito della separazione al coniuge che vi abbia acconsentito senza far nulla per arginarle, alla limitazione dei contatti tra nonni e nipoti (cfr. Cassazione, ex multis, sentenza n. 4540/2011).

Vedi anche www.studiocataldi.it/articoli/23918-la-suocera-8230-in-cassazione.asp

www.studiocataldi.it/articoli/25308-suoceri-impiccioni-niente-addebito-della-separazione.asp

Germana Pagano Newsletter Studio Cataldi 20 marzo 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25484-moglie-mammona-e-suocera-invadente-l-allontanamento-del-coniuge-e-per-giusta-causa.asp

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AFFIDAMENTO

Nessuna “precedenza” alla coppia affidataria che fa domanda di adozione

È quanto emerge dalle prime indicazioni per l’applicazione della legge sulla continuità degli affetti, emanate in Piemonte a un anno dalla sua entrata in vigore. Qualora gli affidatari chiedessero l’adozione del minore loro affidato, nel frattempo divenuto adottabile, «dovranno presentare domanda di adozione» e il Tribunale valuterà la loro domanda «secondo la procedura ordinaria»

A fine gennaio, in un convegno che voleva fare il punto sul primo anno di vita della legge 173/2015, sulla continuità degli affetti per i minori in affidamento, la professoressa Joelle Long dell’Università di Torino, spiegava che «la legge 173 è stata percepita come possibilità di convertire l’affidamento in adozione, ma questa legge è molto altro. Anche perché dal punto di vista statistico il tema della continuità degli affetti si pone anzitutto nel caso di ritorno del bambino nella sua famiglia d’origine. In ogni caso non si parla di “preferenza” per i coniugi affidatari ai fini dell’adozione piena. Dal punto di vista tecnico non è una totale innovazione, tuttavia è una conquista di civiltà: c’erano prassi distorte e differenti, servivano garanzie sostanziali sulle procedure».

Oggi da Torino arrivano le prime indicazioni per i servizi socio-sanitari circa l’applicazione della legge n. 173/2015. Queste indicazioni operative sono state redatte da un gruppo di lavoro in cui siedono il Tribunale per i Minorenni, la Procura, i servizi sociali e sanitari del territorio e le associazioni di volontariato impegnate negli affidi e nelle adozioni (Papa Giovanni XXIII), Anfaa e Gruppo Volontari per l’affidamento e l’adozione), che ha lavorato per un anno. L’obiettivo del lavoro – afferma l’assessore regionale alle Politiche Sociali della Famiglia e della Casa Augusto Ferrari nella lettera che accompagna le indicazioni operative – è arrivare a una revisione complessiva della Delibera 27-4956 del 2012. Il punto di partenza è la «situazione di diffusa e generalizzata confusione presente sul territorio, rispetto all’applicazione corretta di quanto previsto dalla recente normativa» e l’esigenza di «ricevere in tempi brevi chiarimenti in merito».

Cosa affermano dunque queste prime indicazioni operative? Innanzitutto le «ben distinte finalità dell’affidamento familiare e dell’adozione»: gli operatori quindi devono tener ben presente che gli affidatari danno la loro disponibilità all’accoglienza «senza aspettative adottive». Anzi, utilizzare per l’affido coppie aspiranti all’adozione «può essere una rilevante ipoteca sull’esito dell’affidamento»: non si esclude la possibilità che coppie disponibili all’adozione accolgano un minore in affidamento, ma «dovrà trattarsi di casi del tutto eccezionali». Una scelta, questa di Torino, su cui al convegno organizzato a Milano dalla Camera Minorile di Milano e dall’AIMMF, c’erano state posizioni differenti: da un lato anche qui si era detto della necessità di porre attenzione alla progettualità reale delle famiglie, evitando che si ritrovassero un po’ “forzosamente”, per affetto, a farsi carico di una funzione che non faceva parte dei propri progetti familiari, dall’altro si era ipotizzato di approcciare la legge 173 in maniera procedurale, come strumento che facilita la transizione dall’affido all’adozione, individuando fin dall’inizio per quegli affidamenti che si prospettano sine die delle famiglie affidatarie eventualmente disponibili all’adozione. Di certo, era emerso nel convegno tramite Michela Bondardo, coordinatore del Centro Affidi del Comune di Milano «non c’è più pregiudizio contro le coppie senza figli»: il Centro Affidi di Milano gestisce 30 affidi l’anno (con 50 nuovi casi l’anno) e dal 2011 al 2016 i minori in affido che sono divenuti adottabili sono stati 19, di cui 5 sono rimasti con la loro famiglie affidataria. «Non abbiamo visto sostanziali differenze dopo la legge», aveva spiegato.

Le indicazioni operative poi sottolineano la novità della legge, l’obbligo cioè di ascoltare gli affidatari pena nullità del procedimento, anche con memorie scritte. Dal convegno era emerso che non esistono ancora prassi omogenee, come non c’è regolamentazione rispetto alle modalità con cui mantenere i rapporti e quindi dare corpo alla continuità affettiva. Le indicazioni del Piemonte affermano che l’obiettivo dell’ascolto degli affidatari è «acquisire le considerazioni sulla vita quotidiana del minore», che gli affidatari possono farsi anche accompagnare da un’associazione e che tali memorie devono essere raccolte prima della dichiarazione dello stato di adottabilità. La continuità degli affetti poi, è scritto nero su bianco, «è un diritto del minore ove corrispondente al suo interesse», non della coppia. Se questo interesse non c’è, «non vi è ragione per provvedere alla continuità affettiva». Quando è interesse del minore, gli operatori dei servizi propongono al Tribunale, in vista della conclusione dell’affidamento, le modalità di mantenimento dei rapporti con gli affidatari, che devono essere preventivamente condivise con i genitori/parenti e con gli affidatari. Il tribunale potrebbe anche decidere di imporre alla famiglia d’origine il mantenimento dei rapporti con gli affidatari, nel caso sia opportuno.

Un lungo paragrafo è dedicato al caso in cui il minore esca dalla famiglia affidataria per andare in adozione a una nuova famiglia: «a volte è fattibile e positivo non solo per il bambino ma anche per le famiglie coinvolte, altre volte non è realizzabile». Qualora gli affidatari chiedessero l’adozione del minore loro affidato, nel frattempo divenuto adottabile, «dovranno presentare domanda di adozione» e l’indagine conoscitiva verrà fatta «da una equipe diversa rispetto a quella che si pronunziò in ordine all’idoneità della coppia quale famiglia affidataria» e il Tribunale valuterà la loro domanda «secondo la procedura ordinaria».

La continuità degli affetti, in sintesi, è un mezzo e non un fine: è utile mantenere i legami là dove essi producono benessere al minore, in ordine al suo progetto di vita.

Sara De Carli Vita.it 20 marzo 2017

www.vita.it/it/article/2017/03/20/nessuna-precedenza-alla-coppia-affidataria-che-fa-domanda-di-adozione/142814

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AFFIDO CONDIVISO

La conflittualità tra i genitori separati non basta per derogare all’obbligo di comunicazione.

Corte di cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 4107, 16 febbraio 2017

La conflittualità tra i genitori separati non basta per derogare all’obbligo di comunicazione delle spese straordinarie, come presupposto per la concertazione, che sia raggiunta o meno.

News Renato D’Isa 20 marzo 2017

https://renatodisa.com/2017/03/20/corte-di-cassazione-sezione-vi-civile-ordinanza-16-febbraio-2017-n-4107

Ascolto delle ragioni della minore adolescente.

Corte di cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 4060, 15 febbraio 2017

Dopo aver ascoltato le ragioni della minore adolescente, è legittima la decisione del giudice che tramuti l’affido da «alternato» in «condiviso», con collocamento prevalente presso la madre, regolamentando il regime di visite del padre. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, aggiungendo che «non ci sono dubbi che modificare continuamente la propria casa di abitazione può avere un effetto destabilizzante».

News Renato D’Isa 20 marzo 2017

https://renatodisa.com/2017/03/20/corte-di-cassazione-sezione-vi-civile-ordinanza-15-febbraio-2017-n-4060

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AMORIS LÆTITIA

Spunti teologici su Amoris Lætitia

Alterità, reciprocità e differenze e dinamismo dell’amore coniugale. Gli interventi di don Massimo Naro e don Giuseppe Alcamo presso la Facoltà Teologica di Sicilia

Amoris Lætitia come frutto di una Tradizione vivente che si rinnova sempre nel confronto con la Scrittura e con i soggetti di ogni cultura e tempo. Ad un anno dalla pubblicazione dell’Esortazione Apostolica, la X Giornata di Studi di Catechetica che si è svolta il 17 marzo presso la Facoltà Teologica di Sicilia “San Giovanni Evangelista” di Palermo, ha offerto alcuni spunti interessanti che qui proviamo a sintetizzare.

Papa Francesco ha più volte ribadito che l’Amoris Lætitia va letta tutta, dall’inizio alla fine. Un atto di magistero che com’è noto è giunto dopo un tempo di preparazione che aveva interpellato nelle sue fasi preparatorie e propedeutiche l’intera cristianità, dando voce alle comunità locali, alle facoltà teologiche e a diversi altri interpreti. Una prova di maturità per la comunità cristiana, chiamata non soltanto a proiettare aspettative dei singoli, bisogni e desideri, ma in modo più profondo, a mettersi in ascolto della voce dello Spirito e quindi della Parola dell’Evangelo. L’Esortazione allora nella misura in cui consegna una guida e una parola salda, ancorata alla Tradizione della Chiesa, non smette tuttavia d’interpellare, favorendo il dialogo e il confronto a più livelli, ricordando che la Tradizione è un’eredità vivente e quindi dinamica, dove cioè si realizza un’osmosi tra memoria e profezia. Segnale di tale processo sono le varie linee guida offerte da diverse conferenze episcopali, un’espressione di quella sinodalità auspicata dal Concilio Vaticano II.

Ritengo che in questa luce possano essere colti e valorizzati tutti quei contributi allo studio e alla ricerca teologica che vanno via via maturando nelle varie realtà accademiche e non.

Gli studi e le proposte del Forum teologico catechetico di Palermo possono essere letti e accolti in questa prospettiva. Fra i diversi contributi interessanti e degni di nota, focalizzeremo l’attenzione sulla relazione di don Massimo Naro, teologo sistematico, dal titolo: “Dall’altro, con l’altro, per l’altro: valorizzazione dell’alterità e delle differenze nell’esperienza familiare”; e quella di don Giuseppe Alcamo, docente di catechetica, che ha invece approfondito il cuore dell’Esortazione, il capitolo quarto: “L’amore nel matrimonio”, alla luce dell’inno di 1 Cor 13.

Alterità e differenze nella realtà coniugale. Nulla è più esigente dell’amore”, così recitava il titolo della Giornata di Studi. Un amore esigente, perché tale è, spiega don Naro, la «serietà dell’amore coniugale», risposta «al suo fondamento vocazionale», a motivo del quale «anche il consenso che i coniugi si scambiano non è soltanto un reciproco sì, ma soprattutto un sì rivolto – all’unisono – nei confronti di Dio, una risposta positiva alla sua chiamata».

L’intervento del teologo sistematico ha consentito di inserire la questione dell’amore coniugale e familiare all’interno di quella configurazione relazionale, di «comunità e comunione» che caratterizza anche l’esperienza ecclesiale, e quindi di cogliere la portata ecclesiale dell’esperienza familiare. Un’operazione che ha messo in luce il nesso di continuità tra Amoris Lætitia e il Concilio Vaticano II, tra Gaudium et Spes e il magistero di Papa Francesco a partire dal suo pressante invito a non omologare l’unità della comunità ecclesiale in uniformità (AL 139).

Per lo studioso nisseno nel magistero di Papa Francesco, da EG a AL, è possibile rintracciare «una sintassi dell’alterità e della reciprocità» che «vale fontalmente [essenzialmente] per la Trinità e quindi per la Chiesa», ma che «entra in vigore anche per la realtà familiare e per l’esperienza coniugale». Il prof. Naro osserva che la presentazione dell’amore degli sposi come riflesso della Trinità costituisce una sorta di «antifona all’esortazione papale». E quindi con Amoris Lætitia «le dimensioni dell’alterità e della differenza» e lo stesso «statuto relazionale» escono da una considerazione implicita per essere maggiormente valorizzate, fino a descrivere la famiglia come «il luogo dove si impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri». Amoris Lætitia coniuga dunque «l’ecclesialità della famiglia e la familiarità della Chiesa».

La questione dell’Alterità tuttavia proviene da una stagione storica e culturale che ha visto un progressivo «misconoscimento dell’Altro» e che ha portato a un «fraintendimento teologico ed esistenziale dell’alterità», da Kant ad Hegel fino a Nietzsche, trovando una intensa dialettica nelle repliche di Barth prima e di Guardini dopo. Naro si muove invece sulla scia della svolta favorevole all’alterità, maturata da alcuni pensatori come Martin Buber e Michel de Certeau, proponendo una triplice declinazione dell’alterità: dall’altro, con l’altro e per l’altro.

Alterità dall’altro nel senso che «l’alterità tra l’uomo e la donna, tra il maschio e la femmina», già nel racconto biblico, è «un’alterità-compatibile, non assoluta, non confinata nell’estraneità», e dunque «sancisce la distinzione tra i due, ma non la distanza». Ciò significa che «tra Adamo e Eva – spiega ancora Naro – c’è una relazione di provenienza per la quale l’alterità è riscattata dall’ipoteca dell’estraneità». Sarebbe proprio questo uno degli aspetti che Gesù avrebbe suggerito ai farisei, fermi al legalismo più o meno marcato delle due scuole contendenti, Hillel e Shammai, con il rimando al testo di Genesi, e dunque alla realtà delle origini, nella polemica, da essi stessi sollevata, circa il matrimonio. Sulla questione dell’indissolubilità Naro richiama Walter Kasper, per affermare che essa «non dipende da alcuna legge, ma è insita “nella natura antropologica del matrimonio” e si deve al “progetto originario di Dio” (AL 62)», e poi rilegge Papa Francesco, che indicando la coppia, uomo-donna, come immagine di Dio, può affermare che la loro differenza «non è per la contrapposizione, o la subordinazione, ma per la comunione e la generazione» (15 aprile 2015).

«L’alterità è allora una dimensione interna, interiore e costitutiva dell’essere umano», che si scopre come un «soggetto plurale», con un «respiro comunionale». Esperienza che lo porta a «vivere con l’altro», anzi, a «portarsi dentro l’altro» e «portarsi l’altro dentro». Così «maschio e femmina», spiega ancora Naro, «sono un merismo, come il cielo e la terra dell’essere umano». [https://it.wikipedia.org/wiki/Merismo]

Lo studioso riconosce le medesime intuizioni nell’Esortazione di Papa Francesco che «parla di un’“estetica dell’amore” coniugale, capace di ricondurre la “bellezza” all’«alto valore» dell’altro, che «non coincide con le sue attrattive fisiche o psicologiche» ma con la sua dignità di “essere umano” (AL 127-128). «Per “riconoscere la verità dell’altro” occorre “interpretare la profondità del suo cuore” (AL 138), onde riscoprirsi lì coinvolto e presente […] Così, nell’amore coniugale, si punta in definitiva a «rendersi a vicenda più uomo e più donna» e ad «aiutare l’altro a modellarsi nella sua propria identità»: “Per questo l’amore è artigianale” (AL 221). Esso “si prende cura dell’immagine degli altri” (AL 112)».

Il ritrovarsi nell’altro e il permanere con l’altro sono dunque per Naro «condizioni esistenziali basate – come scrive Francesco in AL 100 – su un reciproco «senso di appartenenza» senza cui «non si può sostenere una [effettiva] dedizione agli altri». Da qui, dunque, anche il vivere per l’altro, in cui consiste l’amore coniugale.

L’amore nel matrimonio. Don Giuseppe Alcamo si è invece soffermato sul tema dell’amore nel matrimonio (AL 89-164), investigando sulla visione dinamica dell’amore coniugale e familiare. Condizione di partenza la consapevolezza che «la logica della crescita dal punto di vista catechetico è decisiva, per comprendere non solo la complessità dell’amore coniugale e familiare in sé, ma anche in relazione alla fragilità dell’uomo». L’intuizione invece quella di sviluppare la correlazione tra il capitolo quarto di Amoris Lætitia e il testo paolino del capitolo 13 della prima lettera ai Corinzi.

«La presentazione che in 1 Cor 13 Paolo fa dell’amore – esordisce don Alcamo – non è teorica né astratta, ma risponde ai bisogni dei suoi interlocutori: passare da uomini carnali a uomini spirituali, attraverso la debolezza della croce, che è “potenza di Dio e sapienza di Dio” (cf. 1Cor 1,24; 3,3-7)». Per Paolo, infatti, continua il teologo, «la debolezza umana è il luogo privilegiato dove si rivela la potenza di Dio», da qui nasce «tutta la sua teologia sul primato della grazia». Interessante il rimando ai casi spinosi che Paolo dovette affrontare presso la Chiesa di Corinto. Tra questi «il caso pubblico di un uomo che convive con la seconda moglie del padre, che scandalizza la comunità»; e «i conflitti tra i libertini e i puritani che si fronteggiano su questioni sessuali e sul matrimonio». La risposta di Paolo è il riferimento all’agape, come «il principio e il fondamento di una comunità che accoglie i doni dello Spirito» e quindi «l’agape di cui parla Paolo è quindi una via/persona da attraversare/incontrare e vivere».

«In sintesi – spiega don AlcamoPaolo afferma, in positivo e in negativo, che l’amore è un mistero di non facile definizione, che produce degli effetti che per l’uomo sono di vitale importanza». Nulla quindi di scontato, non un’esperienza da intendere in modo idealistico, ma qualcosa che deve imparare ad attraversare i vari tempi dell’esistenza: «Nel descrivere il mistero dell’amore, Paolo sta contemplando il crocifisso che tutto sopporta, tutto crede, tutto perdona; ma anche la vita di Gesù di Nazareth che da Servo di Yhavè, non tiene conto del male ricevuto, non si lascia condizionare dalla cattiveria degli uomini. Per Paolo amare significa essere come Gesù, imitarlo, scegliere la via della sequela». Il richiamo delle parole con cui l’Apostolo cerca di rispondere a problematiche concrete della vita delle prime comunità cristiane, secondo don Alcamo, è illuminante per introdurre «la logica evolutiva del crescere nella fede». Focalizzare l’attenzione sul contesto che ha visto maturare gli orientamenti suggeriti da Paolo significa infatti «osservare una concreta esperienza credente dentro cui rileggere ed approfondire i contenuti della fede sul sacramento del matrimonio e sulla famiglia».

Così anche Papa Francesco, richiamando l’inno paolino, nel capitolo quarto dell’Esortazione, ha inteso «esplicitare la prospettiva con cui vuole accostarsi alle famiglie a ai coniugi: non “dall’alto” dei principi, ma dal di “dentro” della famiglia stessa».

E dunque Francesco «in continuità con il magistero dei suoi immediati predecessori, attua il superamento della dicotomia, che per tanti secoli dalla prassi pastorale è stata favorita, tra l’amore come agape e l’amore come eros e philia», abbracciando una «logica inclusiva». Sul piano dell’esercizio della prassi pastorale, secondo il prof. Alcamo, questo comporterà per la Chiesa «l’attuazione di un processo di decentramento da sé per incontrare l’uomo e nell’uomo incontrare Dio», nella consapevolezza che «per andare incontro a Dio dobbiamo percorrere la via che Egli stesso ha percorso per venire a noi; cercare Dio dove Dio stesso ci ha preceduti, ovvero nei bassifondi della storia, nei poveri e nei fragili, nelle famiglie vacillanti o infrante, nell’uomo e nella donna che restano sempre e per tutta la loro vita deboli».

«A questa visione positiva sull’uomo – conclude il sacerdote – deve seguire la presa di coscienza che il Vangelo è la risposta vera a tutte le domande dell’uomo, è la grande speranza».

Giovanni Chifari Zenit 23 marzo 2017

https://it.zenit.org/articles/spunti-teologici-su-amoris-laetitia

 

Amoris Lætitia: rilettura teologica e questioni critiche

Una giornata di studio su Amoris Lætitia si è svolta a Milano lo scorso 11 marzo 2017, nella sede della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. L’iniziativa, promossa congiuntamente dalla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e dalla Pontificia Università Gregoriana, ha visto il coinvolgimento di studiosi di entrambe le realtà accademiche in un confronto sull’esortazione apostolica che continuerà nella seconda giornata di studio il prossimo 11 novembre 2017 a Roma nella sede dell’Università Gregoriana.

Matrimonio, amore coniugale e relazioni familiari: i punti della riflessione teologica. I lavori, introdotti dal saluto del prof. Massimo Epis, Preside della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, e coordinati nella mattinata dal prof. Maurizio Chiodi, docente della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, hanno preso le mosse dalla relazione del prof. Miguel Yáñez, Direttore del Dipartimento di Teologia Morale dell’Università Gregoriana, su «La “forma di Chiesa” nei documenti magisteriali di Francesco: un nuovo slancio per la teologia morale?».

Il prof. Giuseppe Angelini, docente della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, nel ruolo di discussant, ha sottolineato aspetti della tematica sui quali approfondire lo studio, offrendo ai partecipanti, provenienti da entrambe le istituzioni accademiche, ulteriore materiale per i lavori di gruppo che hanno impegnato la seconda parte della mattina.

Nel pomeriggio i lavori, coordinati dal prof. Matteo Martino, docente della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, si sono incentrati sul quarto capitolo di Amoris Lætitia con una relazione su «Il nesso tra eros e agape», tenuta dal prof. Aristide Fumagalli, docente della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, cui è seguita la relazione del discussant prof. Paolo Benanti, docente dell’Università Gregoriana, su «Il compito di educare la sessualità nell’amore». Il confronto tra le due diverse prospettive sull’amore nel matrimonio messe in luce dai relatori ha stimolato la riflessione pomeridiana nei lavori di gruppo.

Discernimento e criticità: il dibattito nei gruppi di studio. Il dibattito nei gruppi di studio, composti da studiosi, operatori pastorali ed esponenti di realtà associative, ha evidenziato aspetti e criticità dei temi trattati e le risultanze sono state poi sottoposte nella plenaria all’attenzione dei relatori per la loro replica.

In particolare, sull’ecclesiologia di papa Francesco è emersa la sinodalità come forma di comprensione e di esercizio dell’autorità, la rilevanza del sensus fidei fidelium, il ruolo della famiglia nella trasmissione intergenerazionale della fede, l’importanza della mediazione culturale nell’ambito della quale la dimensione dell’affettività è apparsa come nodo essenziale.

Sul quarto capitolo di Amoris Lætitia, l’attenzione dei gruppi di studio si è orientata sull’analisi delle dimensioni dell’amore coniugale e della loro interazione, sulla rilevanza dell’amore nel sacramento del matrimonio e sul rapporto tra la gioia agapica e il piacere erotico.

È stata evidenziata tra l’altro l’esigenza di affinare la capacità di discernimento circa le disposizioni agapiche, il bisogno diffuso di una più approfondita conoscenza dell’istanza affettiva e conseguentemente la necessità di elaborare, anche con il contributo del pensiero femminile, strutture e categorie adatte a interpretare ed esprimere questa dimensione dello spirito umano.

Maria Cruciani il Regno 23 marzo 2017

www.ilregno.it/moralia/blog/amoris-laetitia-rilettura-teologica-e-questioni-critiche-maria-cruciani

 

L’Amoris Lætitia non mette in crisi la famiglia; è la crisi della famiglia che mette in moto la Chiesa.

Ad un anno esatto dalla sua pubblicazione è il cardinale Kevin Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, ad offrire – in un’ampia intervista al settimanale spagnolo Vida Nueva – una nuova chiave di lettura della discussa esortazione apostolica di Papa Francesco. «Probabilmente il documento del magistero più atteso degli ultimi anni», afferma l’ex vescovo di Dallas creato cardinale nel Concistoro del novembre scorso, considerando le grandi aspettative sorte intorno ai due Sinodi sulla famiglia. Probabilmente il documento magisteriale più criticato dai tempi dell’Humanae Vitae. Come l’enciclica di Paolo VI – di cui ricorrono i 50 anni – all’epoca (e anche negli anni a venire) «osteggiata e spesso mal compresa» perché «ridotta al problema della pillola», ma che indubbiamente «fa parte dell’unico cammino dottrinale e sapienziale della Chiesa sul mistero della vita umana», anche l’esortazione di Bergoglio – osserva Farrell – è stata sminuita alla polemica sulla comunione per i divorziati risposati, e alcuni suoi passaggi accusati di minare all’indissolubilità del matrimonio. «Non credo proprio che l’indissolubilità del matrimonio sia in pericolo a causa di Amoris Lætitia, tutt’altro: ne parla ben 11 volte», taglia corto il cardinale statunitense. E osserva: «Più che polemiche accademiche su questioni specifiche – e certamente importanti nella misura in cui riguardano la dottrina – o letture ermeneutiche che ne approfondiscono e ne arricchiscono la comprensione, conta ricordare quanto diceva già san Giovanni XXIII riguardo al Concilio che aveva indetto: “Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che lo capiamo sempre meglio”; così, parafrasando, dovremmo dire che non è cambiato il significato del matrimonio cristiano (e l’annuncio della sua bellezza da parte della Chiesa), ma devono cambiare – nel senso di accrescimento e approfondimento – la pastorale, la cura, l’attenzione della Chiesa nei confronti delle famiglie, soprattutto verso quelle più bisognose di aiuto, sostegno e accompagnamento».

È questa, secondo Farrell, «la vera rivoluzione», che parte da una constatazione, e cioè che le famiglie «non sono un problema, sono principalmente un’opportunità», come disse lo stesso Papa Francesco a Santiago de Cuba il 2 settembre 2015. «Questa intuizione è essenziale per portare avanti la svolta nella pastorale familiare, anche nel senso di un’azione ricca di quella misericordia che è parte della stessa ragione interna all’esortazione. Questo è un compito ancora da svolgere», dice il prefetto. Senza ombra di “dubia”, dunque, Amoris Lætitia dopo un anno «è ancora quanto mai attuale in quanto oggetto di riflessione e dibattito all’interno della Chiesa, ma resta soprattutto un compito pastorale per tutta la comunità cristiana, una proposta e un appello a cui rispondere con l’impegno ad ogni livello, dalla parrocchia alle diocesi, alle associazioni».

Le indicazioni in essa contenute sono «alla base» del lavoro del Dicastero per laici, famiglia e vita, che, istituito nell’agosto 2016 dal Papa con il Motu proprio “Sedula Mater”, mira soprattutto a «non disperdere il bene che ci è stato consegnato e che riguardano la promozione della vita e dell’apostolato dei fedeli laici, la cura pastorale della famiglia e della sua missione, la tutela e il sostegno della vita umana», spiega il prefetto. In questa direzione si muovono pure le «grandi iniziative» dell’organismo, a cominciare dal prossimo IX Incontro Mondiale delle Famiglie che si terrà a Dublino dal 22 al 26 agosto 2018 sul tema “Il Vangelo della famiglia, gioia per il mondo”. Sarà una «festa», assicura il porporato, un «evento di comunicazione sia live che mass-mediale, con testimonianze di famiglie dal mondo, performance artistiche, frammenti letterari, sottolineature grafiche ed altri elementi funzionali alla narrazione dei contenuti». Per realizzarlo sono stati costituiti tre gruppi di lavoro: per l’elaborazione delle catechesi preparatorie; per la programmazione del Congresso Teologico pastorale e per l’organizzazione della “Festa delle famiglie” alla presenza (auspicata) del Papa, il quale convocherà ufficialmente l’incontro con una Lettera pubblicata a fine marzo.

Salvatore Cernuzio La Stampa-Vatican Insider 20 marzo 2017

www.lastampa.it/2017/03/20/vaticaninsider/ita/vaticano/lamoris-laetitia-non-mette-in-crisi-la-famiglia-la-crisi-della-famiglia-che-mette-in-moto-la-chiesa-8yJf2UN7OfTCAftgcnnQ8N/pagina.html

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ANONIMATO DEL PARTO

Tra diritto della donna di mantenere l’anonimato e diritto di ogni persona di conoscere le proprie origini

Corte di Cassazione – Sezioni Unite n. 1946, 25 gennaio 2017

www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/it/det_civile_sezioni_unite.page;jsessionid=B58D2C357181B3BD767E67CCF165C9A6.jvm1?contentId=SZC19286

“In tema di parto anonimo, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 278 del 2013, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione […]”.

Questo è il principio di diritto enunciato, nell’interesse della legge, dai Giudici della Suprema Corte a Sezioni Unite nella sentenza sopra indicata, che risolve i contrasti giurisprudenziali creatisi a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 278 del 2013 e per effetto dell’inerzia del legislatore: il figlio maggiorenne, nato da una donna che al momento del parto non lo ha riconosciuto e ha deciso di rimanere anonima, ha diritto di conoscere le proprie origini.

www.giurcost.org/decisioni/2013/0278s-13.html

  1. La censura della Corte Costituzionale. Con la citata sentenza del 2013, la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 28, comma 7 della Legge n. 184 del 4/5/1983 (Diritto del minore ad una famiglia), così come sostituito dall’articolo 177, comma 2, Decreto Legislativo n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali), nella parte in cui non prevede la possibilità per il giudice di interpellare, su richiesta del figlio e mediante l’applicazione di un procedimento stabilito dalla legge, la madre che, al momento del parto, abbia dichiarato di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione. La norma, infatti, negava tout court l’accesso alle informazioni nei confronti della madre che aveva reso la dichiarazione ai sensi dell’articolo 30, comma 1, Decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000.

Esso si presentava come norma di chiusura, eccessivamente rigida secondo il parere del Giudice delle Leggi, di un sistema (quale quello previsto ai commi 5, 6 e 8 della medesima norma) che attribuisce al figlio adottivo che abbia raggiunto i venticinque anni di età il diritto potestativo di accedere alle informazioni sulla propria origine e sulla identità dei genitori biologici, nonché l’esercizio del medesimo diritto, anche prima del compimento del venticinquesimo anno, all’adottato comunque maggiorenne che presenta istanza di autorizzazione presso il Tribunale dei Minorenni del luogo di residenza, sul presupposto di gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica.

Nel 2005, l’articolo 28, comma 7, in esame, era già stato sottoposto al vaglio di legittimità costituzionale; in quella occasione, la Corte Costituzionale dichiarò infondata la questione sollevata, ritenendo che l’assolutezza del diritto all’anonimato rappresentava “espressione di una ragionevole valutazione comparativa dei diritti inviolabili dei soggetti della vicenda”.

Tra le due pronunce della Consulta si inserisce, per ordine temporale, la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 25 settembre 2012 n. 33783, che ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, per la mancanza, all’interno della legislazione nazionale, di strumenti idonei a bilanciare gli interessi coinvolti: il diritto della madre biologica all’anonimato e il diritto del figlio adottato di conoscere la propria identità. La Corte Europea ha, così, avuto modo di chiarire che nell’ambito della tutela per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali v’è anche la possibilità di accedere alle informazioni relative alla propria “identità di essere umano”, e condannava, quindi, l’Italia per aver dato prevalenza incondizionata agli interessi della donna che ha partorito.

www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.page;jsessionid=R8GJq9YoJeyXZDq7wagQN-JN?facetNode_1=1_2(2012)&facetNode_2=0_8_1_4&facetNode_3=1_2(201209)&contentId=SDU792405&previsiousPage=mg_1_20

  1. . Il caso. Il figlio maggiorenne nato da parto anonimo adiva il Tribunale dei minorenni di Milano, per la verifica, mediante interpello riservato, della persistenza della volontà della madre biologica a non voler essere nominata. Avverso il rigetto dell’istanza, il deducente proponeva reclamo presso la Corte di Appello di Milano, sezione delle persone, dei minori e della famiglia, la quale rigettava il gravame e confermava la decisione del Giudice di prime cure; riteneva la Corte di dover negare la possibilità di dare seguito alla richiesta del figlio in assenza dell’intervento del legislatore che fornisca ed indichi ai giudici gli strumenti e le modalità per procedere ad interpello riservato, essendo numerose le possibili modalità attuative del principio sancito ed a seguito della riserva di legge espressamente prevista nella pronuncia della Corte Costituzionale.

Effettivamente, si prende atto che la censura della Consulta ed il ritardo del Parlamento nel colmare il vuoto normativo, in tal modo creatosi, hanno provocato numerosi contrasti nell’ambito della giurisprudenza di merito. In particolare, due diversi orientamenti sono maturati in seno ai Tribunali dei minorenni: da una parte, quello sopra riportato a cui aderisce il Tribunale di Milano e, dall’altra, quello che ammette la possibilità di interpello anche in assenza della legge, (anche) in forza dei principi enunciati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella decisione del 25 settembre 2012 n. 33783, già nota.

3. La decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Le Sezioni Unite si sono, così, pronunciate su impulso del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, al quale è pervenuta la nota del Presidente dell’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia, al fine di sottoporre alla sua attenzione e valutazione il contrasto giurisprudenziale, sorto su una materia tanto delicata come quella che qui ci occupa, ed al fine di dirimerlo.

Senza presunzione di esaustività, la questione di diritto esaminata dal Procuratore Generale nella richiesta presentata ai sensi dell’articolo 363, comma 1, Codice di Procedura Civile, si concentra essenzialmente su due punti:

  1. Il giusto bilanciamento tra i contrapposti diritti delle persone coinvolte;

  2. La corretta interpretazione della pronuncia della Corte Costituzionale ed il suo inquadramento nell’ambito delle diverse tipologie di provvedimenti e, quindi, i limiti dei poteri dei giudici di merito; in altre parole, se l’efficacia della sentenza debba essere rimandata al successivo intervento del legislatore recante la disciplina del procedimento mediante il quale il giudice possa interpellare la donna che ha partorito, secondo criteri che le garantiscano in modo assoluto il diritto alla riservatezza e in assenza del quale il Tribunale dei Minorenni non potrebbe dar seguito alla richiesta del figlio adottato, interessato a conoscere le proprie origini; o se, al contrario, l’efficacia del principio sancito dalla Consulta possa essere applicato dai giudici di merito, pur in assenza della legge.

Orbene, sulla base di tali considerazioni di diritto, la Suprema Corte spiega, innanzitutto, che la sentenza n. 278/2013 della Corte Costituzionale è una sentenza di accoglimento, con la quale viene dichiarata la illegittimità costituzionale di una norma, che, dunque, non potrà più avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.

Il rigetto dell’istanza del figlio adottato di accedere alle informazioni relative alle proprie origini ed ai genitori biologici comporterebbe, secondo i Giudici di Legittimità, l’applicazione di una norma ormai rimossa dal nostro ordinamento, in quanto giudicata illegittima in forza dei principi sanciti dalla Carta Costituzionale.

Si tratta, inoltre, di sentenza “additiva di principio”, che dichiara la illegittimità costituzionale di una norma “nella parte in cui non prevede” qualcosa; per cui, per effetto di tale dichiarazione, la norma investita vive nell’ordinamento con l’aggiunta del principio ordinatore.

Pertanto, oltre a quella di fornire al legislatore un orientamento al fine di rimediare al vuoto normativo che si crea con la dichiarazione di incostituzionalità, le sentenze additive di principio svolgono una ulteriore funzione: cioè quella di fornire ai giudici, medio tempore, dei criteri guida al fine di individuare per il singolo caso la regola da applicarsi che sia espressione del principio emesso dalla Corte Costituzionale.

Sulla scorta del quadro normativo di riferimento ed in applicazione delle indicazioni contenute nel principio additivo, i giudici, quindi, possono dare seguito alla richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, mediante un procedimento che trovi il giusto equilibrio tra questo ed il diritto alla riservatezza della donna.

In ogni caso, l’eventuale conferma della volontà espressa nella dichiarazione di anonimato da parte della donna che ha partorito, resa a seguito di interpello, costituisce, un limite insuperabile per il figlio.

A questo punto, se, da un lato, sembra risolta la questione relativa all’accoglimento della domanda del figlio adottato, dall’altro, resta ancora aperta quella sul procedimento da applicarsi. Infatti, le stesse Sezioni Unite, nella pronuncia in commento, danno atto dell’applicazione di diversi protocolli adottati da alcuni Tribunali dei Minorenni, pur nel pieno rispetto di quel principio ordinatore sull’assoluta riservatezza dell’interpello; si auspica, pertanto, un sollecito intervento da parte del legislatore nazionale.

Carmela Corte Filo diritto 20 marzo 2017

www.filodiritto.com/articoli/2017/03/parto-anonimo-tra-diritto-della-donna-di-mantenere-lanonimato-e-diritto-di-ogni-persona-di-conoscere-le-proprie-origini.html?page=1

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Addio al mantenimento anche se lei convive solo con un amico

Corte di cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 6009, 8 marzo 2017

La coabitazione fa venir meno il diritto all’assegno da parte dell’ex marito anche se si tratta solo di affettuosa amicizia. Anche se lei va a vivere con un amico può dire addio all’assegno da parte dell’ex marito. Lo ha stabilito la Cassazione, accogliendo il ricorso di un uomo che contestava l’obbligo di pagare all’ex consorte un assegno di 800 euro al mese nonostante convivesse da tempo con un altro.

La donna, perdendo in primo grado, aveva avuto ragione in appello, dove la corte territoriale aveva ritenuto che l’unica prova disponibile fosse la coabitazione della stessa con un altro, ma non di una stabile convivenza “caratterizzata dalla piena comunione spirituale e materiale”.

Lei sosteneva peraltro si trattasse solo di un’affettuosa amicizia. Ma gli Ermellini ribaltano tutto.

Per piazza Cavour, infatti, rispetto ai dati accertati (ossia il trasferimento stabile nella casa del nuovo compagno, nonché la contribuzione al menage familiare con assegno mensile versato alla madre di lui), l’affermazione della corte territoriale, secondo cui il trasferimento costituiva prova di mera coabitazione e non anche di convivenza more uxorio, “appare del tutto illogica, non essendo dato comprendere quali siano, nella specie, gli elementi che varrebbero a distinguere la prima situazione dalla seconda”. Né, peraltro, hanno concluso, può porsi a carico del marito “l’onere di dimostrare il grado di intimità” intercorrente fra la ex e il suo nuovo compagno.

Ordinanza Marina Crisafi Newsletter Studio Cataldi 20 marzo 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25494-addio-al-mantenimento-anche-se-lei-convive-con-un-amico.asp

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ASSEGNO DIVORZILE

L’ex moglie ha un problema fisico.

Corte di cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 7153, 20 marzo 2017

Legittimo l’aumento dell’assegno di mantenimento da 350 euro a 500 mensili. Decisivi i certificati medici prodotti in giudizio.

Studio Legale Sugamele 21 marzo 2017

http://www.divorzista.org/sentenza.php?id=13470

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter n. 11/2017, 22 marzo 2017

Not special needs [guarda il video]. Un video per ricordare la Giornata mondiale per le persone con Sindrome Down (21 marzo). Il video di questa settimana (in inglese, sottotitoli in italiano) ci ricorda con semplicità ed umorismo quanto siano importanti i “normali bisogni” delle persone con disabilità: “education, opportunities, friends and love: … not special needs: just human needs”. A sua volta la European Syndrome Down Association (ESDA), sempre in occasione della Giornata mondiale, ha lanciato la campagna “My Voice Counts” (La mia voce conta), con brevi storie di vita da 21 Paesi. Leggi il post di Leonardo, da Pisa. Anche le Nazioni Unite hanno celebrato ieri la Sesta Giornata Mondiale con una Conferenza internazionale, presso la sede di New York [vedi il programma e i vari documenti linkati].

“Corpo, emozioni, amore: prospettive per crescere”. Indagine sugli adolescenti e pre-adolescenti partecipanti agli incontri di educazione all’affettività e alla sessualità. L’Istituto per l’Educazione alla Sessualità e alla Fertilità INER-Verona promuove un convegno in cui verrà presentata una ricerca realizzata in collaborazione con il Cisf, su un campione di oltre 1.100 partecipanti agli incontri. La relazione del Cisf sarà tenuta da Pietro Boffi. Verona, Sala della Gran Guardia, 20 aprile 2017, dalle 17.30 alle 20.00. Link

Novità in Lombardia. Arriva il Fattore Famiglia per un fisco più equo. Ecco come si concretizzerà l’equità fiscale lombarda grazie all’approvazione, a metà marzo 2017, di un sistema contributivo che dopo tanti anni rende finalmente giustizia alle famiglie. La regione Lombardia segna così un bel punto nella costruzione di politiche “family friendly”. [Leggi il commento del direttore del Cisf, Francesco Belletti]

www.famigliacristiana.it/articolo/rivoluzione-in-lombardia-arrivail-fattore-famiglia.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_22_03_2017

Ultimi arrivi dalle case editrici. Comelli Ivana e Ranieri Sonia La coppia on the road. Il legame di coppia di fronte alle sfide del ciclo di vita, San Paolo, Cinisello B. (MI), 2015, pp. 118, € 13,50

In questo libro le autrici, entrambe specializzate in psicologia sociale e nella conduzione di gruppi di coppie e di genitori secondo il metodo dell’Enrichment familiare, intendono accompagnare le coppie attraverso il loro ciclo di vita, dalla ricerca del loro legame alla scoperta delle loro qualità, dal perseguimento delle mete affascinanti cui tendono alla presa di coscienza delle principali sfide e degli eventi critici che incontrano lungo il loro percorso, dalla scoperta delle risorse di cui dispongono alla valorizzazione delle ricchezze che hanno in sé per meglio affrontare il viaggio. Nell’intraprendere questo itinerario le autrici si fanno guidare dal modello relazionale-simbolico, una “bussola” utile per orientarsi nella conoscenza della famiglia e che offre preziose indicazioni anche per la cura e la promozione dei legami stessi, con la consapevolezza che, all’interno di questa trama relazionale, il legame di coppia rappresenta l’asse portante, il punto di snodo della loro storia familiare. Le coppie infatti sono chiamate a dar vita e a mantenere nel tempo il proprio patto coniugale, un patto basato sulla fiducia e sulla reciprocità, che non è dato una volta per tutte e non vive di automatismi, ma va continuamente nutrito affettivamente ed eticamente.

Per favorire la crescita di questa consapevolezza, l’editore San Paolo accanto a questo volume propone un’intera collana, agile e spigliata ma scientificamente fondata, dedicata “Alla scoperta della coppia”, di cui sono usciti finora altri quattro titoli:

  1. E. Veronesi. Tu ed io diventiamo noi. I tempi e i luoghi della coppia;

  2. A. Bertoni – B. Bevilacqua, Ma mi stai ascoltando? Comunicazione e conflitti nella coppia;

  3. N. Terminio Siamo pronti per un figlio? Amarsi e diventare genitori;

  4. R. Iafrate – A Bertoni, Come musica. Il pentagramma della relazione di coppia.

Notizie – dall’Italia e dall’estero

Impegni USA sulle politiche demografiche: tutela della vita o promozione dell’aborto? In occasione della Conferenza Internazionale ONU sulla Popolazione di Città del Mexico del 1984 gli Stati Uniti (Amministrazione Reagan) diffusero un “policy statement” (una dichiarazione programmatica di impegno politico, potremmo liberamente tradurre) di sostegno alle politiche internazionali di family planning, escludendo però esplicitamente qualsiasi diretto sostegno all’aborto (“The United States does not consider abortion an acceptable element of family planning programs and will no longer contribute to those of which it is a part. Accordingly, (…) the United States will no longer contribute to separate nongovernmental organizations which perform or actively promote abortion as a method of family planning in other nations”). [Cfr. il “Fact Sheet” di ricostruzione storica realizzato dalla FAFCE].

Le cose in seguito non sono andate sempre così, e soprattutto le amministrazioni democratiche hanno erogato cospicui finanziamenti ad associazioni che hanno promosso esplicitamente l’aborto nei loro programmi internazionali. I recenti impegni del Presidente Trump ad interrompere tali finanziamenti (senza però interrompere i finanziamenti ad altre linee di family planning) hanno suscitato notevoli reazioni, anche da parte di alcuni esponenti dell’Unione Europea.

Vedi in merito il preciso Comunicato stampa della FAFCE (Federazione delle associazioni familiari cattoliche in Europa), che ricorda che, come dichiarato dalla stessa Commissione in risposta alla petizione popolare UNO DI NOI; “le politiche di sostegno allo sviluppo dell’Unione Europea non promuovono l’aborto come metodo di pianificazione familiare” (EU development assistance does not promote abortion as a method of family planning”.

www.fafce.org/index.php?option=com_content&view=article&id=420:press-release-let-s-set-the-facts-straight-what-the-mexico-city-policy-really-is-about&catid=53:human-dignity&Itemid=234&lang=en

Care for the Family. Un sito, un progetto di formazione per le famiglie nel Regno Unito. Care for the Family è oggi una “national charity” (cioè un’associazione/fondazione no profit) di ispirazione cristiana, con 80 collaboratori, attiva in tutto il Regno Unito. Tutto ciò a partire dal 1988, quando Rob Parsons abbandonò il suo lavoro in uno studio di avvocati a Cardiff per dedicarsi, insieme alla moglie, all’organizzazione di corsi e seminari sul matrimonio. L’esperienza è istruttiva anche per l’Italia, non solo perché conferma il grande bisogno di accompagnamento e formazione alla vita familiare, ma anche perché evidenzia che grandi opere possono nascere da “piccoli gesti” di responsabilità personale. L’attuale direttore generale, Katherine Hill, è membro del Consiglio Direttivo dell’ICCFR (International Commission on Couple and Family Relationships), che ha organizzato a Trento, nel giugno 2016, in collaborazione con il Cisf, la propria 63.a Conferenza Internazionale, “Famiglie Forti, Comunità Forti” (Strong Families, Strong Communities). www.careforthefamily.org.uk/about-us/history-of-cff

Le priorità per il Paese secondo il Card. Bagnasco. Dalla Prolusione del 21 marzo 2017. Lavoro, famiglia, bambini, educazione, accoglienza dei migranti, contrasto alle povertà, tutela della vita in ogni suo momento… Sarebbe bello che queste fossero anche le priorità per la politica italiana, che invece appare in tutt’altre faccende affaccendata. Anche per questo merita di essere letta nella sua interezza, la Prolusione del Card. Angelo Bagnasco al Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana, senza affidarsi a sintesi o interpretazioni giornalistiche (spesso ben poco obiettive). Si capirebbe meglio il grande equilibrio nell’attenzione ai vari obiettivi e problemi, che ha sempre caratterizzato gli interventi del Card. Bagnasco negli oltre dieci anni di Presidenza. Da segnalare il doppio richiamo, nella Prolusione, alle attività e alla presenza del Forum delle associazioni familiari, rispetto al tema della riforma fiscale (con la proposta del Fattore Famiglia) e relativamente al dovere, per i genitori, di coinvolgersi nella vita scolastica dei propri figli, come nel progetto “Immischiati”, promosso dal Forum insieme alle associazioni che operano nella scuola (Age, Agesc, Faes). Link dal sito della CEI, con i link al testo integrale della Prolusione e al Progetto Immischiati” del Forum delle associazioni familiari

educazione.chiesacattolica.it/bagnasco-i-genitori-si-coinvolgano-nelle-scuole/

Donne, web e nuove professioni. Un video da Aracne-TV. 4 minuti di interviste alle relatrici, per farsi un’idea di quello che è stato discusso in un interessante convegno tenutosi a Milano in occasione della festa dell’8 marzo, dal titolo “#8marzo #DonneSocialeWeb e nuove professioni”, Università Bicocca, Milano.

www.aracne.tv/video/ottomarzo-donnesocial-web-e-nuove-professioni.html#/?playlistId=0&videoId=0

Save the date

Nord. “Una famiglia da favola”. 3 serate per educarsi con fiabe e miti classici, incontri con Marco Scarmagnani, formatore, consulente e mediatore familiare, Bosco Chiesanuova (VR), martedì 21 marzo (Psicologia del conflitto di coppia), martedì 28 marzo (La potenza educativa e generativa del NO), martedì 4 aprile 2017 (Genitori e figli: le radici e le ali).

Centro: Assistente Educativo Culturale, Corso di formazione di 200 ore per una figura professionale complementare all’insegnante di sostegno, IGEA Centro Promozione Salute (ApS), Roma, tre week end dal 6 maggio all’11 giugno 2017.

www.igeacps.it/formazione/corsi-a-roma/2634-corso-di-formazione-a-roma-in-assistente-educativo-culturale-aec.html

Sud: Il lavoro dignitoso: libero, creativo, partecipativo e solidale. La sfida del MLAC al 2020, XVI congresso nazionale MLAC (Movimento Lavoratori Azione Cattolica), Vibo Valentia (CZ), 31 marzo 2 aprile 2017. http://mlac.azionecattolica.it/xvi-congresso-mlac-2017

Estero: Families on the Move. Moving across Europe economically, geographically, socially and digitally, (Famiglie in movimento. Muoversi all’interno dell’Europa dal punto di vista economico, geografico, sociale e digitale), convegno internazionale organizzato da COFACE Families-Europe, Gezinsbond (Belgio) e Ligue des Familles (Belgio), Bruxelles, 11-12 maggio 2017.

Testo e link completi http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/marzo2017/1034/index.html

http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

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CHIESA CATTOLICA

Sequeri: la Chiesa fa la famiglia cristiana e la famiglia fa la Chiesa cristiana

Pubblicato su L’Osservatore romano dell’11 marzo 2017 che a sua volta riprendeva ampi stralci da La rivista del clero italiano, riprendiamo qui parte della prolusione che il preside del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia Pierangelo Sequeri ha tenuto nel novembre scorso a Palermo alla Facoltà teologica di Sicilia San Giovanni Evangelista. Il tema del rapporto tra Chiesa e famiglia viene sviluppato alla luce del magistero di papa Francesco contenuto nell’esortazione apostolica postsinodale Amoris Lætitia (ndr).

 

L’ispirazione di una teologia del matrimonio come vocazione creaturale e cristiana di alto profilo, che si allarga e si approfondisce oltre i termini giuridici e morali della sua abituale considerazione, è stato certamente propiziato, con incessante progressione, dal magistero cattolico più autorevole.

Dall’incisiva valorizzazione della pari dignità e intrinseca correlazione antropologica della finalità unitiva e generativa (Paolo VI), che iscrive la famiglia nel luogo centrale della trasmissione del senso della vita e del legame fra le generazioni che arricchisce la storia dei popoli, fino all’iscrizione della spiritualità coniugale-famigliare dentro la corporeità dell’eros umano: che porta già in se stesso i segni della sua destinazione al compimento relazionale dell’essere personale e all’attuazione della grazia di agape (Giovanni Paolo II). In un breve giro di anni il supremo magistero cattolico ha impresso forza e direzione all’esplorazione del tema coniugale-familiare quale centro nevralgico dell’antropologia cristiana: che coinvolge direttamente una specifica visione dell’essere della persona e del legame sociale.

Uno degli aspetti di maggiore rilievo di questo processo teologicamente innovativo della teologia del matrimonio, esemplarmente stimolato dal magistero ecclesiastico, è proprio rappresentato dalla sempre maggiore evidenza che viene ad assumere la sua intrinseca connessione con la realtà della famiglia. Il sacramento cristiano è sacramento del matrimonio e della famiglia, indisgiungibilmente. La teologia deve ora dotarsi della convinzione e degli strumenti necessari per adempiere, juxta sua propria principia, al compito di decifrazione e di elaborazione sistematica di questa promettente espansione del tema. E illustrarne in modo culturalmente adeguato – e anche educativamente attrattivo – le virtualità umane e sociali. Il primo e più urgente percorso di questo approfondimento è certamente quello antropologico. L’alleanza dell’uomo e della donna va anzitutto restituita all’ampiezza del disegno creatore originario, che affida alla loro intesa il mondo e la storia.

L’alleanza coniugale e familiare è il sacramento di questa originaria destinazione: ma essa non si esaurisce nel matrimonio. Essa va interpretata sull’orizzonte dell’intera condizione umana, indicando la necessità di realizzare quella reciproca intesa a tutti i livelli della trasformazione del mondo e della costruzione della storia: la società e il lavoro, il sapere e l’educazione, l’economia e la politica. La pastorale ecclesiastica, dal canto suo, deve corrispondere alla ritrovata centralità strategica della famiglia, in ordine alla configurazione e alla missione della comunità ecclesiale della fede, assumendosi la responsabilità e l’iniziativa di attrarre dentro l’orizzonte dell’edificazione della comunità il dinamismo universale della realtà familiare. La portata testimoniale e propositiva di questo rimodellamento famigliare dell’immagine di Chiesa, nel contesto odierno, non può sfuggire a nessuno.

L’apporto del magistero di Amoris Lætitia all’ulteriore avanzamento in questa direzione mi sembra che possa essere colto, con uno sguardo complessivo, in due tratti metodologicamente innovativi, che hanno tuttavia riflesso, per loro stessa natura, sui contenuti del suo insegnamento. Il primo tratto lo potrei definire così: l’impiego sistematico del piano di discorso che caratterizza la predicazione evangelica di Gesù, che illumina la verità della prossimità di Dio nel registro sapienziale – proprio e metaforico – delle storie quotidiane di vita. Dove “quotidiane” non vuol dire private, e neppure minime: vuol dire attinenti alla condizione umana comune, e perciò, in quanto tali, decisive per l’evidenza della verità “ultima” dell’umano. Gesù non predicò un sistema di idee che doveva ridefinire la dottrina ebraica e definire la novità cristiana: disse piuttosto la verità dell’amore e della giustizia di Dio in riferimento alla condizione umana, religiosa e irreligiosa, del suo esercizio. Non c’è più un’epica degli eventi rivelatori di Dio nella storia: ormai la rivelazione della prossimità sovrana di Dio illumina le storie di vita quotidiana degli uomini, delle donne, dei bambini. La rivelazione di Gesù trae di lì i simboli forti del peccato e della grazia.

Papa Francesco riporta in primo piano questo nesso, affidandogli il compito di calibrare la dottrina cristiana, affinché non eluda il suo ordine di referenza (il matrimonio effettivo, la famiglia reale) sul filo dell’autoreferenzialità (e dell’autocompiacimento) delle formule giustamente accumulate dall’ermeneutica della tradizione.

Il capitolo quarto di Amoris Lætitia (L’amore nel matrimonio) è certamente il luogo in cui Francesco condensa l’apporto innovativo e propositivo dell’espansione fenomenologica e integrazione esistenziale della parola cristiana che interpreta la fede, l’intimità feconda dell’uomo e della donna, accolta come “sacramento” del disegno creatore di Dio. Questo capitolo contiene gli elementi di una vera e propria ricomposizione sistematica dell’antropologia teologica del matrimonio intorno alla verità sapienziale – non pelagiana (volontarista) e non gnostica (spiritualista), non illuministica (razionalistica) e non romantica (sentimentale) – del matrimonio.

L’amore non è semplice incanto del sentimento o slancio ideale dell’affetto. L’amore è un operare edificante: «voler bene» è un «far bene» (Amoris Lætitia, 94). L’invito, qui, è a una concezione dell’amore come tessitura costruttiva che si arricchisce nel tempo, come un lavoro ben fatto che genera la vita e rigenera il mondo. Un elemento strategico dell’impianto di questo capitolo è il coraggio di parlare della carità coniugale come affinamento estetico della passione (eros) e forma superiore di amicizia (philia), che trovano riscatto, sublimazione e compimento nel grembo di agape, in cui irradia e si riflette la pura grazia dell’amore inarrivabile di Dio (Amoris Lætitia, 120-127).

Questa discreta illustrazione dell’amore coniugale come luogo emblematico (ma non totalizzante, rispetto al più vasto e ricco repertorio dell’alleanza creaturale dell’uomo e della donna) della circolarità di eros, philia e agape, in un universo culturale (ma anche teologico) che tende a tenerli separati o a concepirli come alternativi, senza composizione realmente possibile, è una vera e propria perla (Amoris Lætitia, 142-157). L’apertura sollecita a non appiattire il legame coniugale-familiare su una relazione e su una storia “di coppia” che — quasi inevitabilmente — si edifica intorno all’unicità delle implicazioni relazionali di eros, rinviando a un diverso e ulteriore contesto le tessiture dell’amore che si muovono sul registro di philia e di agape.

Il matrimonio non è il fine ultimo dell’ordine degli affetti che si ispira ad agape. Eppure, la mediazione del matrimonio e della famiglia, per la composizione e la ricomposizione umana dell’ordine degli affetti (individuale e sociale, mentale e planetario, razionale e simbolico, civile e religioso) è semplicemente essenziale e insostituibile per la nostra iniziazione all’ordine degli affetti che edifica il regno di Dio (Amoris Lætitia, 120-141). Il ritardo di una più ampia visione teologica dell’alleanza uomo-donna, intesa come fatto sociale totale e non come semplice istituzione specifica, si riflette nell’impostazione della diagnosi sulla rilevanza etica e religiosa della trasformazione dei rapporti fra individuo e società. Lo sviluppo del ruolo istituente – e in certo modo fondante – del plesso matrimonio-famiglia, rispetto alla costituzione dell’identità umana e alla configurazione del legame sociale, rimane alquanto generico.

Le formule sintetiche che evocano questa profondità (la famiglia «cellula fondamentale» della società, la famiglia piccola «Chiesa domestica») spesso non la esplorano con la dovuta profondità di articolazione, rischiando di circolare come luoghi comuni di vaga significazione propositiva e di irrilevante portata pratica. La riflessione teologica deve misurarsi in modo determinato e comprensibile con le modalità relativamente anomale in cui le dinamiche familiari vengono a occupare la loro posizione fondativa. Modalità che sono spesso anomale in riferimento alla correlazione fra rappresentazione culturale e fatti sociali.

La posizione fondante, infatti, è realmente occupata dal matrimonio e dalla famiglia. Essa però viene restituita al sapere sociale nel quadro di una rappresentazione per molti aspetti disallineata con la sua effettività: nel senso che non ne rende conto, o addirittura non rende giustizia al lavoro umano dell’amore che essa dona alla società tutta.

Si tratta dunque di elaborare il nesso tra la realtà familiare cristiana che prende forma mediante la fede, con la dimensione ecclesiale della vita familiare: nella sua configurazione personale e comunitaria, interiorizzata e vissuta. Nella concezione e nella pratica cristiana, del resto, il matrimonio è un sacramento cristiano-ecclesiale, in un senso affatto specifico: è dunque impensabile che il legame con la realtà comunitaria della fede non debba esplicitare il suo carattere costitutivo e la sua intrinseca reciprocità. Si potrebbe adottare, con le precisazioni e i limiti del caso, la formula breve già adottata per l’eucaristia: la Chiesa fa la famiglia cristiana e la famiglia fa la Chiesa cristiana. Di fatto, com’è evidente a tutti, una vera e propria ecclesiologia della famiglia è ancora una dimensione piuttosto virtuale della teologia (e della pastorale).

L’ecclesiologia della famiglia, dal canto suo, parzialmente esplorata in questi decenni, nel contesto della riflessione sulla spiritualità dei gruppi familiari, del rinnovamento postconciliare della parrocchia, della possibile specificità di un ministero coniugale, non sembra aver ancora prodotto un vero e proprio ri-orientamento dell’ecclesiologia nel suo complesso. Né sembra disponibile, allo stato, una progettualità pastorale sensibilmente diversa della forma di Chiesa, in grado di abitare e fronteggiare la nuova condizione secolare dell’ethos coniugale e familiare, senza limitarsi a resistere o a sottrarsi alla cultura che variamente lo interpreta.

Pensiamo all’opportunità di leggere in questa chiave, almeno per un momento, l’intero capitolo ottavo. Ossia di leggerlo, al di là delle interpretazioni che lo riducono ai due o tre punti che hanno polarizzato il conflitto delle interpretazioni relative alle implicazioni dottrinali e disciplinari dell’accesso al sacramento della riconciliazione e dell’eucaristia, alla luce della dottrina ecclesio-logica che esso vuole indirizzare e attivare.

Leggiamolo cioè come rappresentazione emblematica della forma di Chiesa che si raccoglie nella condizione di una società ormai trasformata in società degli individui, in convivenza multiculturale, in meticciato di secolarità e religione: infine, di famiglie regolari, irregolari, e anche di non-famiglie. Lo stile con il quale la Chiesa si manifesta e si rende presente nella storia e nelle vicissitudini della famiglia è un indicatore altamente sintomatico del rapporto che di fatto sussiste fra trasmissione della fede cristiana e composizione del legame sociale nella condizione presente.

La profonda mancanza di comunità che segnala il problema strutturale più serio dell’odierna socializzazione è al tempo stesso causa ed effetto della vulnerabilità della famiglia nell’odierno sistema civile: le sue mutazioni, infatti, hanno inciso direttamente sull’assetto del rapporto fra istituto familiare, progetto esistenziale, ordine degli affetti. Di per sé, la circostanza riabilita la vocazione della famiglia cristiana a farsi connettivo testimoniale di una più profonda interpretazione del rapporto fra individuo, affetti e società, come anche di una più efficace circolarità di eros, philia e agape nella configurazione del progetto familiare dell’uomo e della donna.

Questa vocazione testimoniale non può che esprimersi in una immagine pratica della forma ecclesiale che sia capace di rendere evidente la disposizione ad accompagnare, accogliere, integrare, il processo di persuasiva conversione alla praticabilità e alla bellezza di un progetto coniugale-familiare coerente con la giustizia dei suoi affetti. Non senza mettere in evidenza la disposizione a offrire sostegno per le sue incertezze, cura per le sue ferite, riscatto per i suoi stessi fallimenti. A ben vedere, questa immagine di Chiesa è, in realtà, l’immagine stessa della Chiesa: spazio di conversione e luogo di rinascita, grembo di familiarità riconciliata con Dio e con gli uomini, riserva di grazia per la liberazione dalla pressione di conformità delle potenze mondane.

La famiglia è precisamente nel fuoco dell’opportunità di rigenerare il dispositivo comunitario dell’ordine degli affetti di cui l’epoca presente patisce la mancanza, a motivo del degrado mercantile e sentimentale delle figure dell’amore (che approda alla socialità emozionale e burocratica dei clienti e dei consumatori). Nell’orizzonte cristiano, sembra verosimile che la vocazione storica della famiglia cristiana sia proprio quella di consentire alla familiarità ecclesiale di sintonizzarsi in presa diretta con la dispersione sociale e l’inaridimento affettivo dei singoli. Non solo la Chiesa non consegna alla deriva secolare le vicissitudini e le ferite delle famiglie che la frequentano e persino la abitano. Essa stessa si ricompone, sul campo, nell’evidenza di un popolo di Dio in marcia, attraverso le fatiche e le contraddizioni del passaggio fra le generazioni, verso l’inclusione nel corpo del Signore. Nel capitolo ottavo di Amoris Lætitia (ma in generale nella nuova eloquenza teologica del sermo humilis adottato da Papa Francesco, nella scia della predicazione di Gesù), la “descrizione” della forma familiare della Chiesa comunica anche immediatamente la vitalità e la persuasività di una testimonianza della fede affidata in presa diretta all’inabitazione – nella buona e nella cattiva sorte – di una rete familiare della circolarità di eros, philia e agape.

Per una Chiesa “in uscita” nella città secolare, la famiglia cristiana è “l’ingresso” più eloquente alla forma cristiana. Si riflette, in questa immagine, la splendida “gerarchia” (nel senso dell’ordine testimoniale) di quella che io chiamo la «scena originaria» della rivelazione: Gesù, i discepoli, le folle. I discepoli non sono perfetti, ma il loro speciale legame con il corpo del Signore, e la loro disposizione alla sequela del Signore in favore di terzi – molto prima che per se stessi – li rende mediatori efficaci dell’amore salvifico di Dio. Le folle sono stratificate lungo tutte le gradazioni della irregolarità religiosa, etica, sociale. Eppure, l’attrazione e l’incoraggiamento che esse ricevono a radunarsi in ekklesìa intorno a Gesù, rendono evidente e palpabile l’affezione profonda del Signore.

La comunità anomala che si raccoglie intorno a Gesù e ai discepoli, alla quale il Signore annuncia in parabole e miracoli la buona notizia della prossimità di Dio, riceve guarigione dai mali che uccidono la fede, la speranza e anche l’amore tra gli uomini. Ogni passo fatto verso la liberazione dal male donata da Dio ai figli e alle figlie degli uomini, nella conversione della mente e del cuore, è un passo fatto verso il radicamento della familiarità con Dio tra gli uomini. Il lessico famigliare della generazione e della cura è il più adatto a illuminare la verità rivelata di questo annuncio (cfr. Amoris Lætitia, 87).

Oggi il legame fra i generi e le generazioni patisce direttamente una profonda incertezza a riguardo della giustizia delle affezioni che devono abitarlo. La famigliarità di eros con philia e agape, iscritta negli effetti del sacramento coniugale, è la forma testimoniale della conciliazione possibile fra la verità dell’amore umano e la certezza della grazia di Dio, che la famiglia cristiana offre alla Chiesa per l’annuncio della fede che salva (cfr. Amoris Lætitia, 88). Di qui, verosimilmente, la Chiesa deve apprestarsi a ricomporre la forma vitale, e non semplicemente legale, della comunità che le è chiesto di radunare intorno al Signore.

Pierangelo Sequeri L’Osservatore romano, 11-12 marzo 2017.

Blog de Il Regno sui Sinodi dei vescovi 23 marzo 2016

http://www.lindicedelsinodo.it/2017/03/sequeri-la-chiesa-fa-la-famiglia.html

 

Humanae vitae e Amoris Lætitia, storie parallele”

L’ordinario di Antropologia teologica Gilfredo Marengo analizza le contestazioni all’Enciclica del beato Paolo VI e all’Esortazione post-sinodale di papa Francesco. Difficile non concordare in pieno con quanto ha recentemente osservato il cardinale Kevin Joseph Farrell: esiste un singolare parallelismo tra la contestazione di «Amoris Lætitia» e quella che colpì aspramente l’enciclica «Humanae vitae» di Paolo VI.

È noto che le parti si sono invertite: la sensibilità che oggi fa fatica ad accettare l’Esortazione post-sinodale pubblicata un anno fa riecheggia quella dei più strenui difensori del documento di Papa Montini.

Conviene, subito, tenersi distanti dal gioco retorico di continuità-discontinuità per leggere il destino parallelo (e contrario) dei due documenti pontifici. Lo consigliano i modi, non certo di maniera, con i quali l’attuale Pontefice si riferisce a Paolo VI, rilanciando molti degli accenti più caratteristici del suo magistero.

Dove cogliere allora il nodo della questione? Può essere utile ricordare che l’alzata di scudi contro «Humanae vitae» nacque, prima ancora che da un dissenso sulla valutazione della liceità morale delle pratiche contraccettive, dal fatto che il Papa «aveva deciso da solo»: era inaccettabile, per i suoi contestatori, quella che – a loro giudizio – appariva una flagrante contraddizione del principio di collegialità, autorevolmente sancito dal Vaticano II, appena terminato.

Oggi le obiezioni sono specularmente opposte: si obietta a Francesco di non avere detto un’ultima definitiva parola, suscitato dubia e incertezze.

A questo punto viene da chiedersi se il gioco polemico «pillola sì – pillola no», così come quello odierno «comunione ai divorziati sì – comunione ai divorziati no», sia soltanto l’apparenza di un disagio e di una fatica, molto più decisiva nel tessuto della vita ecclesiale.

Un’interessante provocazione a riflettere in questa direzione, sembra venire dalle parole che Francesco qualche tempo fa ha rivolto alla comunità accademica del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, quando ha esortato a vivere «nella letizia della fede e nell’umiltà di un gioioso servizio alla Chiesa. Della Chiesa che c’è, non di una Chiesa pensata a propria immagine e somiglianza» (27 ottobre 2016).

Non deve sfuggire lo spessore di questo richiamo che mette a fuoco le ragioni per le quali l’astrattezza delle proposte pastorali spesso affonda le sue radici nel terreno di una qualche riduzione della soggettività ecclesiale. Non bisogna dimenticare che già il Vaticano II sentì l’urgenza di riflettere sul mistero della Chiesa proprio per accompagnarla a ritrovare in se stessa le ragioni del suo essere nel mondo e della sua missione salvifica. Una tale prospettiva è stata ripresa da «Evangelii gaudium» con il forte appello a una conversione pastorale e missionaria delle comunità cristiane.

Ridurre e piegare a una propria misura il volto del corpo ecclesiale è sempre la premessa alla sterilità di una proposta pastorale, perché in entrambi i casi si fissano i termini della questione in uno «schema» di cui ci si sente padroni e, quindi, legittimati a imporre senza se e senza ma.

La storia degli ultimi secoli insegna quanto una Chiesa, tutta ricompresa nei suoi profili istituzionali e dottrinali, sia stata per lungo tempo in grave impaccio nell’incontrare gli uomini del suo tempo.

Ogni qual volta la comunità cristiana cade nell’errore di proporre modelli di vita derivati da ideali teologici troppo astratti e artificiosamente costruiti, concepisce la sua azione pastorale come la schematica applicazione di un paradigma dottrinale. Di conseguenza mettere in discussione quei modelli viene inevitabilmente sentito come un attacco allo stesso profilo identitario della Chiesa (con il linguaggio della teologia post-tridentina si direbbe che si è in presenza di articula stantis et cadentis Ecclesiae).

Diventa, allora, quasi invincibile la via di fuga verso una «Chiesa pensata a propria immagine e somiglianza», ove ciò che veramente conta è ribadire la fedeltà ai propri modelli teologico-dottrinali, fatti coincidere pretestuosamente con l’identità della comunità ecclesiale. In questo ambito diventa possibile un singolare corto circuito: misurarsi con le parole autorevoli del magistero papale trattandole come se fossero la mera espressione di una scuola teologica e/o pastorale più o meno condivisibile e, nello stesso tempo, sollecitarlo a intervenire in modo definitivo e inappellabile.

Il questo senso la singolare storia parallela di «Humanae vitae» e «Amoris Lætitia» può diventare una salutare provocazione. Un certo modo di difendere e recepire l’insegnamento di Paolo VI è stato, probabilmente, uno dei fattori per cui «abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario» (Francesco).

Le resistenze ad «Amoris Lætitia» aiutano a comprendere che il necessario cambio di passo non mette in causa né la formalità della «dottrina» né un qualche restauro cosmetico delle pratiche pastorali. Una cordiale adesione al suo insegnamento è la condizione indispensabile in cui si possono esprimere insieme una sincera appartenenza ecclesiale e il responsabile rischio della creatività frutto non tanto di un ossequio formale, ma di una piena immedesimazione.

Gilfredo Marengo, Ordinario di Antropologia teologica, Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia – Roma Vatican Insider 23 marzo 2017

lastampa.it/2017/03/23/vaticaninsider/ita/commenti/humanae-vitae-e-amoris-laetitia-storie-parallele-Mqg9RCXIpwtYnj9ajItpdO/pagina.html

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Brescia. Intervento al dibattito sul film “parlano i genitori di lesbiche e gay

Segnaliamo questa iniziativa dell’Associazione Colori e Sapori che vedrà l’intervento di una operatrice del Consultorio Familiare, martedì 28 Marzo h 20.30 Casa del Popolo Via Risorgimento 18 Brescia

Nell’ambito delle iniziative di sostegno al Bresciapride2017 Unire la città viene presentato il film

2 volte genitori. Parlano i genitori di lesbiche e gay.

Il film entra direttamente nel cuore delle famiglie nel momento critico della rivelazione dell’omosessualità di un figlio/a

A seguire ne discutono con il pubblico

  • Bruna Dalla Bona Agedo (Associazione genitori di Omosessuali)

  • Cristina Rapino del Comitato Bresciapride2017

  • Sara Ugolini psicoterapeuta del Consultorio Familiare Onlus di Brescia

Ricomincia il gruppo dedicato alla menopausa presso la sede del Consultorio Familiare.

www.consultoriofamiliare.org/iniziative_dett.php?id_iniziative=90

Padova. Il potere della lettura

Autismo. 2 aprile giornata blu: giornata nazionale dell’autismo

Continua il nostro viaggio nel mondo degli autismi, ponendoci ora dal punto di vista di coloro che vengono definiti “neurotipici”. Di chi stiamo parlando? Nei libri seguenti viene ben spiegato.

  • Se ti abbraccio non aver paura di Fulvio Ervas, ed. Marcos y Marcos

  • Attraente, originale, emotivamente pericoloso, di Barbara Jacobs, ed. Erickson.

Il primo libro è uno dei testi più conosciuti sull’argomento, reso famoso anche dalle frequenti apparizioni in TV di padre e figlio, dei quali racconta il viaggio avventuroso on the road negli Stati Uniti. Appassionante come un racconto d’avventura e capace di far riflettere sull’importanza di scoprire le potenzialità di ogni essere umano.

Meno conosciuto, ma non meno interessante, il secondo, che parla di una storia d’amore affascinante, intricata e tortuosa. Mostra un lato delle persone con sindrome di Asperger, uno dei tanti aspetti dell’autismo, poco conosciuto, quanto meno dall’immaginario collettivo, abituato all’equazione autismo = “Rain man” (film).

A cura di Silvia Crippa insegnante, psicologa, psicoterapeuta, mediatore familiare; in consultorio opera come psicoterapeuta e consulente familiare.

www.consultorioucipem.padova.it/index.php/letture-proposte/letture-aprile-2017.html

 

Portogruaro Saper perdonare

Tutti noi ci troviamo a fare i conti con le ferite provocate da frustrazioni, delusioni, tradimenti e conflitti che nascono inevitabilmente nelle relazioni con gli altri. Il cammino che porta la persona ferita a perdonare gli altri e se stessi è complesso e richiede un buon livello di autostima ed equilibrio psicologico. In questo breve percorso ci soffermeremo sulla possibilità di sbagliare e sull’importanza di perdonare in modo autentico per migliorare la nostra vita.

Percorso formativo è un’occasione per imparare a migliorare le relazioni affettive, la gestione delle emozioni e dei conflitti, per crescere come persona, per crescere in coppia, per migliorare il rapporto con i figli.

Il percorso viene condotto da un’esperta del Consultorio dr Chiara Colombo, psicologa, psicoterapeuta, mediatrice familiare. Ogni percorso alterna momenti teorici a momenti interattivi ed esperienziali, offrendo ai partecipanti la possibilità di accrescere la propria capacità di apprendere attraverso la partecipazione attiva e lo scambio di esperienze, prospettive e vissuti in un clima di accoglienza e rispetto reciproci.

  • 05 aprile 2017 Che cosa significa perdonare in modo autentico

  • 12 aprile 2017 Le tappe del perdono

  • 19 aprile 2017 Perdonare se stessi: imparare ad usare gli errori per la crescita e il cambiamento

  • 26 aprile 2017 Capire chi ci ha offeso per sviluppare comprensione e tolleranza

www.consultoriofamiliarefondaco.it

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DALLA NAVATA

4° Domenica di Quaresima – Anno A – 26 marzo 2017

1Samuele 16, 13. Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi.

Salmo 23, 03. Mi guida sul giusto cammino a motivo del suo nome.

Efesini 05, 08. Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce.

Giovanni 09, 39 Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi».

 

Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).

Gesù, il Signore, la luce del mondo

Nel cammino verso la Pasqua, dopo il tema dell’acqua viva che Gesù Cristo dona al credente in lui, la chiesa ci fa meditare sulla luce, o meglio, sull’illuminazione, azione compiuta da Gesù affinché noi vediamo e siamo strappati dalle tenebre.

Il lungo racconto della guarigione di un uomo cieco dalla nascita in realtà è la narrazione di un processo in diverse tappe intentato a Gesù. Un processo a colui che è “la luce del mondo” (Gv 8,12), la luce venuta nel mondo, quella che illumina ogni essere umano, eppure luce non riconosciuta e non accolta da coloro ai quali era stata inviata (cf. Gv 1,4-5.9-12). Questo racconto è paradossale, perché ci testimonia che chi è cieco, non vedente, incontrando colui che è la luce del mondo diventa “capace di vedere”, mentre quelli che vedono, incontrando Gesù restano abbagliati fino a rivelarsi ciechi, incapaci di vedere. Questo brano, inoltre, è altamente cristologico, presenta molti titoli attribuiti a Gesù, titoli che ritmano la progressione dalla cecità al vedere, dalle tenebre alla luce, dall’ignoranza alla fede testimoniata. Ma come sempre ascoltiamo il testo con umile obbedienza.

Uscito dal tempio di Gerusalemme, dove ha celebrato la festa di Sukkot, delle Capanne, festa autunnale nella quale si invocava l’acqua come dono di Dio per la vita piena, Gesù vede nei pressi della piscina di Siloe un uomo colpito dalla cecità fin dalla sua nascita. Non avviene, come in tanti altri racconti di miracolo, che il malato invochi Gesù e gli chieda la guarigione, ma è Gesù che, passando, vede, discerne un uomo bisognoso di salvezza. Anche i discepoli che sono con Gesù vedono questo cieco, ma con uno sguardo diverso. Conoscono la dottrina tradizionale che lega in modo automatico malattia e peccato, non sanno vedere innanzitutto la sofferenza di un uomo ma cercano di spiarne il peccato. Per questo domandano subito a Gesù: “Rabbi, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”.

Gesù, che non vede il peccato ma piuttosto la sofferenza e il grido di aiuto in essa presente, dichiara che quella malattia è l’occasione per il manifestarsi del Dio che interviene e salva. Il suo è uno sguardo diametralmente opposto a quello colpevolizzante dei discepoli, uno sguardo che dice interesse per la sofferenza umana e volontà di cura conforme al desiderio di Dio. Di fronte al male noi umani, soprattutto noi credenti, cerchiamo una spiegazione, vogliamo individuare la colpa e il colpevole. Gesù invece rifiuta questo sguardo, lo sguardo dei discepoli, non propone alcuna spiegazione a quella cecità, al male sofferto dal cieco, e con una reazione di umanissima compassione si avvicina al cieco e si mette a operare per sopprimere il male e far trionfare la vita.

Gesù si dice “inviato” per compiere le opere di Dio, e ciò è possibile “finché è giorno”, finché è nel mondo, tra gli uomini, quale luce che le tenebre non possono sopraffare (cf. Gv 1,5). Dette queste parole, fa un gesto di cura, terapeutico: impasta della polvere con la sua saliva e la spalma sugli occhi del cieco. In tal modo ripete il gesto con cui Dio ha creato Adam, il terrestre, plasmandolo dalla polvere del suolo (cf. Gen 2,7). Non è un gesto di magia, ma un gesto umanissimo: l’uomo non vedente si sente toccato da Gesù, sente le sue dita e il fango sui propri occhi, sente di poter mettere fiducia in chi lo ha “visto” e lo ha riconosciuto come una persona nel bisogno. E non appena Gesù gli dice di andarsi a lavare nella piscina adiacente – detta di Siloe, cioè dell’Inviato di Dio –, egli obbedisce, va, poi torna da Gesù capace di vedere. A differenza di Naaman con Eliseo (cf. 2Re 5,10-12), egli crede alle parole di Gesù come parole potenti, efficaci, e così trova quella vista che mai aveva avuto. Il quarto vangelo descrive in appena due versetti la guarigione, senza indugiare sui particolari. Questo infatti è un “segno” (semeîon), più che un miracolo (dýnamis): non è il fatto in sé che deve trattenere la nostra attenzione, ma ciò che va cercato è il suo significato e soprattutto chi è all’origine del segno.

Ma questo fatto, questa azione scatena un processo contro Gesù, un processo in contumacia, perché egli non è più presente accanto all’uomo guarito. Il processo è articolato in quattro scene, ma alla fine è Gesù ad annunciare il vero processo in corso, nel quale si rivela chi vede e chi è cieco. La prima scena (vv. 8-12) ha come protagonisti i vicini, quelli che incontravano abitualmente il non vedente, i quali si rivolgono a lui, ora guarito. Essi si interrogano tra loro su cosa sia accaduto al cieco, se è veramente la stessa persona. Ed egli rivendica con forza la propria identità: “Sono io, che prima ero cieco e ora ci vedo”. I suoi interlocutori gli domandano cosa sia accaduto ed egli racconta loro ciò che l’uomo chiamato Gesù ha fatto e detto. Essi allora, presi dalla curiosità, gli chiedono dove sia questo Gesù, per poterlo incontrare, ma egli non sa rispondere.

Altri uomini, attenti alla Legge, portano il cieco dai farisei, gli osservanti esperti della Torah, affinché giudichino l’operato di Gesù (vv. 13-17). Infatti, precisa l’autore, “era un sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e aveva aperto gli occhi al cieco”. Segue dunque la domanda: “Può un uomo che infrange il divieto di lavorare in giorno di sabato, dunque un peccatore, fare un’azione buona?”. La risposta sembra ovvia: “No, egli non viene da Dio!”. Questo i farisei vorrebbero sentirsi dire dall’uomo guarito, che invece risponde: “È un profeta”, passo ulteriore verso la scoperta dell’identità di Gesù. Egli sta progredendo nella fede.

Segue la terza scena (vv. 18-23): non accettando la dichiarazione dell’uomo guarito, questi uomini religiosi fanno chiamare i suoi genitori e li interrogano sulla cecità del loro figlio. Costoro, colti da paura, preferiscono non leggere, non interpretare ciò che è accaduto al loro figlio. Dicono che egli era cieco dalla nascita, che ora ci vede, ma non sanno come ciò sia potuto accadere. Per questo scaricano su di lui la responsabilità: “Chiedetelo a lui. Ha l’età, parlerà lui di sé”.

Ed ecco la quarta e ultima scena (vv. 24-34). Quei farisei chiamano nuovamente l’uomo guarito e lo invitano ad ascoltare la solidità della loro dottrina. Cercano di convincerlo, perché loro “sanno”, hanno l’autorità di discernere che Gesù è un peccatore, dunque non può fare nulla di buono. Ma l’uomo guarito conferma, con buon senso: “Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo”. Ma queste parole non bastano, per cui essi insistono nell’interrogarlo, chiedendogli di raccontare per l’ennesima volta l’accaduto. In risposta, egli ironizza: “Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?”. Segue la reazione sdegnata di quegli uomini religiosi, che disprezzano e insultano il malcapitato. La pretesa di questi farisei, esperti delle Scritture, è quella di “sapere”, di conoscere la tradizione alla quale vogliono restare fedeli: non possono dunque ammettere che una buona azione possa essere compiuta mediante una violazione del sabato. Questo sapere, questa conoscenza che pretendono di possedere, impedisce loro di riconoscere una “novità”, che pure si manifesta mediante l’emergere del bene. Solo il passato per loro è normativo, ed essi lo qualificano come tradizione autorevole: per questo non sanno né vogliono sapere l’origine di Gesù. L’uomo che era cieco, invece, ora vede, cioè sa: sa di essere stato guarito da Gesù, sa che Dio non ascolta il peccatore ma chi fa la sua volontà. Egli viene dunque cacciato fuori, fuori dalla comunità degli osservanti fedeli alla Legge, fuori come tutti quelli che riconoscevano Gesù quale Messia (cf. v. 22).

A questo punto ecco che si svela il vero processo in corso. Saputo che quell’uomo è stato espulso dalla sinagoga, Gesù lo va a cercare e, trovatolo, gli pone una domanda, da cui nasce il dialogo che costituisce il vertice di questa pagina:

Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”.

Lo hai visto: è colui che parla con te”. “Credo, Signore!”. E si prostrò davanti a lui.

Ecco l’approdo alla fede: l’uomo chiamato Gesù (v. 11), il profeta (v. 17), uno che viene da Dio (v. 33), il Figlio dell’uomo (v. 35), è il Kýrios (v. 38), il Signore. Gesù allora, conosciuta questa fede, dice ad alta voce: “Io sono venuto in questo mondo per un giudizio, del quale è in corso il processo. Sono venuto perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi”. La reazione di quei farisei mostra che hanno capito la posta in gioco. Gli chiedono infatti: “Siamo ciechi anche noi?”. E Gesù conclude, con autorevolezza: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: ‘Noi vediamo’, il vostro peccato rimane”. Vedere un segno compiuto da Gesù e non riconoscere il bene che esso rappresenta, non riconoscere che Dio è all’origine del suo agire, significa essere gettati fuori, essere nelle tenebre, non vedere.

Non resta che chiederci se anche noi siamo dei ciechi nella fede: crediamo forse di vedere e invece non riconosciamo chi è la luce, Gesù Cristo?

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11315-gesu-il-signore-la-luce-del-mondo

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DIVORZIO

Effetti del divorzio sui rapporti tra gli ex coniugi

Sotto il profilo personale, tra le principali conseguenze del venir meno dello status di coniuge, sicuramente sono da evidenziare la definitiva cessazione dei reciproci obblighi coniugali (di cui agli artt. 51, 143, 149 c.c.) e il recupero dello stato libero per entrambi i coniugi, seppur solo per l’ordinamento civile anche per i matrimoni c.d. concordatari, restando indissolubile il sacramento del matrimonio per la Chiesa Cattolica. Alla moglie, inoltre, sarà inibito l’uso del cognome del marito, a meno che il Tribunale non la autorizzi, dopo aver accertato la sussistenza di un interesse in tal senso, meritevole di tutela, suo o dei figli.

Il TFR del coniuge divorziato. Nel momento in cui uno dei due ex coniugi va in pensione dopo che sia stata pronunciata sentenza di divorzio o, per ormai pacifica interpretazione giurisprudenziale, anche dopo che sia stata solo proposta la domanda di divorzio, all’altro coniuge spetta una quota del trattamento di fine rapporto di cui egli diviene in conseguenza titolare (sul punto, si vedano Corte Costituzionale sent. n. 23 del 1991 e Cass. Civ. Sent. n. 1222 del 2000).

Più nel dettaglio, se l’indennità matura dopo la domanda di divorzio ma prima della sentenza, il diritto potrà essere dichiarato in sentenza; se invece matura dopo la sentenza di divorzio il coniuge interessato deve presentare al Tribunale un’apposita istanza volta ad accertare e riconoscere il suo diritto.

In ogni caso, la quota di TFR dovuta dal titolare all’ex coniuge è pari al 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con la separazione, compreso il periodo di separazione legale.

Si precisa che il diritto di percepire una quota del TFR dell’ex sorge in capo al coniuge divorziato non sempre e comunque ma solo in presenza di due presupposti.

  1. Innanzitutto, il divorziato deve già percepire dall’ex (titolare del TFR) un assegno divorzile versato con cadenza periodica.

  2. In secondo luogo, per poter ottenere una quota dell’indennità altrui, egli non deve essere convolato a seconde nozze.

Cosa accade se l’ex coniuge muore. In caso di morte dell’ex coniuge, inoltre, il divorziato, poiché è definitivamente venuto meno il vincolo matrimoniale, non dovrebbe poter vantare alcun diritto sull’eredità. Il legislatore, tuttavia, ha previsto che permangano delle aspettative legittime a determinate condizioni, a favore dell’ex coniuge del defunto. Se taluno muore senza lasciare un coniuge superstite, in particolare, la pensione di reversibilità spetta all’ex coniuge, a patto che quest’ultimo avesse diritto a percepire l’assegno divorzile in virtù di una pronuncia giurisdizionale.

Qualora, invece, vi sia un coniuge superstite, il Tribunale attribuisce all’ex coniuge, sempre solo se titolare dell’assegno, una quota della pensione e degli altri assegni, tenendo conto, per il calcolo di tale quota, non solo della durata del rispettivo rapporto, ma anche di altre circostanze, come l’eventuale stato di bisogno del coniuge attuale e dell’ex coniuge. Quest’ultimo, peraltro, non avrà nessun diritto se l’assegno divorzile è stato già versato in un’unica soluzione.

Cosa accade al fondo patrimoniale della famiglia. Sotto il profilo strettamente patrimoniale, infine, il divorzio determina la cessazione della destinazione del fondo patrimoniale (ex art. 171 c.c.), della comunione legale dei beni (ex art. 191 c.c.), sempre che tale effetto non fosse già scaturito dalla pronuncia di separazione personale dei coniugi, nonché il venir meno della partecipazione dell’ex coniuge all’eventuale impresa familiare (art. 230 bis c.c.).

Guida legale Newsletter Studio Cataldi 20 marzo 2017

www.studiocataldi.it/guide_legali/divorzio/effetti-rapporti-ex-coniugi.asp

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Il Forum a Renzi: fare presto con gli aiuti, è emergenza demografica

Il presidente De Palo sull’intervista dell’ex premier ad Avvenire: bene la presa di posizione sul fisco, ora l’impegno sia a trasformarla in legge. Costalli (Mcl): non siano le solite belle intenzioni

«Non si può aspettare ancora. Se siamo in emergenza demografica, non possiamo rimandare le politiche familiari al prossimo anno». Così Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari, commenta l’intervista a Matteo Renzi apparsa oggi su Avvenire.

www.avvenire.it/attualita/pagine/renzi-famiglie-decisiva-la-prossima-legislatura

De Palo esprime apprezzamento per «la chiara presa di posizione di Renzi riguardo la fiscalità familiare», facendola seguire dalla proposta di alcune modifiche al Ddl Lepri che «trasformano il Fattore Famiglia nel Fattore Figli, una buona novità che parte dal concetto che i figli siano un bene comune e non un interesse privato». Inoltre, al Ddl in discussione in Parlamento vanno «aggiunte delle risorse per le famiglie numerose a partire dal quarto figlio». Ma l’appello più accorato del Forum al governo e alle forze politiche è sulla tempistica, quando chiede una legge «entro questa legislatura perché le famiglie non possono più attendere». L’invito conclusivo ai partiti è a prendere atto «che non si sta parlando di una delle tante priorità ma “della” priorità, condizione ineludibile per il futuro del Paese». E ad agire di conseguenza.

Anche il Movimento cristiano lavoratori incalza governo, maggioranza e tutte le altre forze politiche, prendendo spunto dalle parole dell’ex presidente del Consiglio e candidato alla segreteria del Pd. «E’ inconcepibile che in soccorso delle famiglie, vera Cenerentola del Paese, arrivino ancora una volta solo promesse, belle intenzioni, vaghe speranze… tutte tardive. La realtà è che non possiamo più aspettare», dichiara il presidente Carlo Costalli. Pur consapevole delle difficoltà di bilancio, il presidente di Mcl invita l’esecutivo a dare da subito un segnale, «entro quest’anno, magari con la prossima legge di stabilità». Perché ritardando gli interventi si rischia di «ridurre sul lastrico migliaia di famiglie già sfinite dai tanti sacrifici». E di «aprire le porte a uno scontro sociale che nessuno si augura». Infine, l’invito a Renzi a «spronare» il governo Gentiloni a dedicarsi alla famiglia, a partire dal Ddl su assegni familiari e politiche fiscali mirate.

L’intervista ha suscitato reazioni anche nel mondo politico. La maggior parte delle quali critiche. Dalle opposizioni arriva l’accusa di non aver fatto nulla per la famiglia, anzi di aver promosso leggi che vanno contro quella naturale fondata sul matrimonio. Argomenti che sollevano Alessandro Pagano (Lega) e Maurizio Sacconi, presidente della Commissione Lavoro del Senato.

Un plauso arriva invece dal senatore Stefano Lepri, autore del Ddl in discussione. E da Alternativa popolare. Il vice capogruppo dem si dice «totalmente concorde e soddisfatto dell’attenzione che ha riservato al nostro lavoro al Senato. Le misure per i figli a carico dovranno essere più semplici, più eque e capaci di rimuovere l’ostacolo economico che frena la natalità». Le dichiarazioni di Renzi sono accolte con favore anche da Alternativa popolare, che con la portavoce nazionale Valentina Castaldini, assicura collaborazione per «dare più sostegno alle famiglie. È questo il grande tema da affrontare che non deve avere l’orizzonte temporale di questa legislatura ma diventare una costante». Ap ricorda quanto fatto per merito delle sua azione: dal bonus bebè al premio Mamma domani, dal congedo parentale al voucher baby sitter. Per un altro centrista, Antonio de Poli (vicesegretario dell’Udc), invece, Renzi «cade in un mare di contraddizioni». La richiesta al governo, dunque, è di mettere subito al centro dell’agenda la riforma del fisco a misura di famiglia. Anche Mario Sberna, deputato di Des-Cd, si dice stupito di come «sulla famiglia si parli di interventi prima di arrivare al governo o subito dopo aver governato. Un déjà-vu al quale le famiglie non credono proprio più. Se in questa legislatura, al posto di occuparsi di presunte “scelte di civiltà” o di dimenticare nei cassetti provvedimenti approvati e mai attuati – come per esempio la Carta Famiglia – si fosse realizzato anche solo un centesimo di quanto proposto dal nostro piccolo gruppo parlamentare, la situazione della natalità e i sorrisi delle famiglie sarebbero già in cammino. Invece rimandiamo ancora una volta, in attesa di non si sa cosa: forse della desertificazione demografica».

Gianni Santamaria Avvenire giovedì 23 marzo 2017

www.avvenire.it/attualita/pagine/forum-famiglia-renzi

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GENITORI

Che succede ai figli se i genitori litigano troppo?

Tribunale di Roma, prima Sezione civile, decreto 7 ottobre 2016.

In caso di eccessiva litigiosità dei genitori il tribunale può revocare la responsabilità genitoriale e affidare il figlio a un tutore.

Litigare non conviene, specie quando si hanno figli perché, in questo caso, il rischio è quello di vedersi sottratti i minori e revocata la cosiddetta «responsabilità genitoriale» che, invece, costituisce la regola anche nel caso di coppie separate o divorziate. La conferma viene da un recente decreto del tribunale di Roma [decreto del 7.10.2016] che, appunto, spiega che succede ai figli se i genitori litigano troppo. In presenza di comportamenti in continuo conflitto, madre e padre non sono più in grado di crescere il figlio: la legge, infatti, prevede che, quando tra i genitori sorge una disputa sulle scelte fondamentali relative alla vita, alla crescita e all’istruzione dei bambini uno dei due può rivolgersi al giudice perché imponga quale, tra le due, ritiene la soluzione più utile al minore. Ebbene, è impensabile che una coppia, proprio per via delle divergenze – dettate più dalle rivalità personali che non dalle diversità di vedute – ricorra per qualsiasi sciocchezza al Tribunale. Ecco perché, in questi casi, già in partenza il giudice dispone l’affidamento del figlio della coppia litigiosa a un tutore che sceglierà, d’ora innanzi, per lui.

In generale, in casi di conflitto tra i genitori, la giurisprudenza ritiene che si possa procedere ugualmente all’affido condiviso: di regola si deve preferire questa soluzione (esercizio della responsabilità, o assunzione delle decisioni circa educazione, istruzione, salute e attività dei figli) anche secondo la Cassazione [sentenza n. 16593/2008], la quale però avverte: si può optare per l’affido esclusivo se il conflitto che reca pregiudizio ai figli o se uno dei genitori si mostra manifestamente incapace o inidoneo alla loro educazione. In altri termini, solo i litigi che paralizzano qualsiasi scelta per il bambino possono far perdere a uno o entrambi i genitori l’affidamento e la conseguente responsabilità genitoriale.

Questo è anche l’orientamento dei giudici di primo e secondo grado. Numerose sono infatti le pronunce secondo cui si può disporre l’affidamento condiviso in presenza di genitori litigiosi. Ad esempio, secondo il tribunale di Torino [sentenza dell’8.02.2010], anche in caso di elevato livello di conflittualità nei rapporti tra coniugi e accuse reciproche si procede all’affido condiviso: il conflitto non può indurre a ritenere l’affidamento ad entrambi i genitori contrario all’interesse dei figli minori. È della stessa opinione la Corte di Appello di Roma [sentenza del 18.04.2007] secondo cui l’affido condiviso diventa necessario perché padre e madre maturino responsabilmente la consapevolezza dell’importanza fondamentale di ognuno di loro nella vita dei figli stessi che devono ricevere un’educazione religiosa aperta alle diverse fedi nel rispetto della libertà di orientamento religioso dei figli stessi.

Nella sentenza in commento, però, si fa un passo in avanti analizzando il caso di una coppia talmente litigiosa da non essere in grado di adottare alcuna scelta per i figli senza la paralisi totale per via dell’ostruzionismo e dell’opposizione dell’altro genitore. Dunque, l’alta conflittualità tra padre e madre porta alla sospensione della responsabilità genitoriale e alle scelte per la crescita dei figli provvederà il tutore nominato.

La prova del clima di forte tensione tra i genitori era già stato dato dal comportamento processuale delle parti: queste avevano offerto al giudice ricostruzioni della realtà diametralmente opposte, elemento questo che ha portato il giudice a considerare come «l’elevatissima conflittualità genitoriale» risultasse «pienamente accertata». Entrambe le parti hanno infatti rappresentato la totale incomunicabilità, anche per scelte fondamentali. I percorsi di mediazione proposti non erano proseguiti a causa (sempre) dell’alta conflittualità, neppure era stato intrapreso il percorso di sostegno alla genitorialità.

Tale incomunicabilità impedisce qualsiasi tipo di scelta sulla vita del minore come, ad esempio, le difficoltà di gestione rispetto alla scelta della scuola, delle attività extra scolastiche, delle visite pediatriche, dei trattamenti sanitari.

Quale soluzione deve allora adottare il giudice se i figli litigano troppo? Secondo il provvedimento in commento non si può optare certo per l’affidamento condiviso; ma neanche per un affidamento esclusivo non potendosi attribuire all’uno od all’altro dei genitori la responsabilità delle situazioni di conflitto. Pertanto, si legge nel decreto, occorre sospendere la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori che hanno posto in essere condotte pregiudizievoli per la minore, e disporre (contestualmente) la nomina di un tutore che eserciti la responsabilità genitoriale in luogo delle parti assumendo ogni decisione di maggiore rilevanza relativa alla minore, e demandando ai genitori la sola amministrazione ordinaria nei periodi di permanenza della minore presso ciascuno.

Nel caso di specie, con il medesimo decreto camerale veniva individuato il tutore «nel Sindaco pro tempore del Comune di Roma (o un suo delegato)», con la contestuale trasmissione al giudice tutelare per quanto di competenza di quest’ultimo.

www.laleggepertutti.it/155328_che-succede-ai-figli-se-i-genitori-litigano-troppo

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GESTAZIONE PER ALTRI

Incontro internazionale. Utero in affitto, l’ora di dire basta.

Dall’Europa all’India la voce delle donne contro «una rapina». A Montecitorio, a un anno dal primo storico simposio in Francia, incontro internazionale sulla maternità surrogata. Obiettivo bandirla. Il ministro Beatrice Lorenzin interviene al convegno a Montecitorio sull’utero in affitto.

«L’utero in affitto è un commercio, una pratica antica con mezzi nuovi. Il giorno in cui vedrò una donna ricca, bianca, occidentale fare da portatrice in utero per una donna povera, indiana, sterile, allora mi ricrederò e ammetterò che può essere solidaristico». Applauso bipartisan e internazionale per le parole della ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, intervenuta ieri a Montecitorio all’attesissimo incontro sulla gestazione per altri (Gpa) o maternità surrogata organizzato da «Se non ora quando-Libere», titolo «Maternità al bivio: dalla libera scelta alla surrogata, una sfida mondiale».

Fermo l’appello di Beatrice Lorenzin perché «l’utero in affitto sia riconosciuto come reato universale e bandito nel mondo. Mai avrei immaginato che il principio di mater sempre certa potesse un giorno essere messo in discussione in nome di sofisticati ragionamenti che vogliono annullare la natura. Non trovo nulla di più crudele che privare una madre di suo figlio e convincere tante ragazze del mondo occidentale che questo possa essere un “dono”. È una rapina organizzata scientemente, su un listino razzista dove scegliere il prodotto migliore». Con l’umiliazione che «dopo essere servita come incubatrice, la madre dovrà sparire… Nei casi migliori qualche collegamento via Skype nelle feste comandate, giusto per ripulirsi la coscienza».

Vengono in mente celebri casi noti alle cronache mondane, con aberrazioni presentate da alcuni giornali come storie positive. «Penso a certi miei colleghi del Senato – ha commentato Emma Fattorini – che hanno acquistato un figlio con la Gpa e considerano progressista il fatto di andare tutti i giorni a prendere pure il latte da quella donna»: un ritorno indecente «al positivismo ottocentesco, con lo spezzettamento della maternità e la separazione tra mente e corpo, la cui dimensione unitaria era stata una delle conquiste dell’era moderna. E le retrograde saremmo noi?».

La differenza tra chi davvero è progressista e chi invece torna ad antiche forme di schiavitù è netta nelle parole di Stephanie Thogersen, dalla Svezia, Paese che ancora non ha stabilito se e come normare la Gpa: «Fortunati voi in Italia che siete più avanti e l’avete già bandita». Il Parlamento svedese guarda a noi, conscio del fatto che «il corpo umano non è un profitto e nessuna regolamentazione può introdurre il suo commercio». Stoccolma studia ciò che accade dove la Gpa è legale: «C’è il caso di una coppia spagnola che ha ordinato a una madre surrogata americana un bimbo e una bimba. Invece sono nati due gemelli maschi e la coppia acquirente li ha rifiutati. Un’altra donna, più volte sottoposta a trattamenti per Gpa, ha sviluppato gravi danni cerebrali. Non accade in Cambogia, accade negli Usa».

Dura la testimonianza di Sheela Saravanan dall’India: «Le nostre madri surrogate sono stressate a livello fisico e psichico anche se ricevono soldi; alla base ci sono povertà, analfabetismo, sottomissione. Le coppie vengono fin dal Canada, dove la Gpa è permessa ma costa molto di più», prova del fatto che, come in ogni mercato, si va al ribasso, dove le madri non pretendono diritti e costano poco. «Vivono in stanzoni durante la gestazione e vengono nutrite molto per far crescere il bambino», perché il prezzo del neonato sale con il peso. Un tanto al chilo. Il cesareo è obbligatorio. E i disabili, chiamati «prodotto difettato», sono abortiti o abbandonati in strada.

Paradossale l’ipocrisia in Germania: «La Gpa è vietata dentro il Paese ma se vanno a farla all’estero va bene», conclude Saravanan.

«La maternità, che è unità indissolubile tra donna e nascituro, viene scomposta in tante parti scisse da mettere sul mercato», ha ribadito Francesca Izzo, presidente di «Se non ora quando-Libere». E lo psicanalista Fabio Castriota ha spiegato come il rapporto madre-bambino sia già scambio attivo in gravidanza: «Ogni volta che c’è un parto nasce anche una madre», e allontanare il neonato da lei «determina un trauma da separazione che lascia in entrambi una traccia indelebile».

«La Gpa va messa al bando» anche per la ministra per i Rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro, perché «organizzare la produzione e la commercializzazione di un neonato è contrario al valore universale della dignità dell’essere umano. È commercio di bambini non difettosi: agli altri ci pensano i contratti redatti da abili avvocati». E ha concluso: «Mi auguro che tutti i piccoli nati in questi anni da uteri in affitto siano felici, ma nessuno può sapere cosa questa frammentazione del legame tra madre e figlio produrrà in futuro. In un tempo che così fortemente si interroga sul diritto all’identità mi chiedo come una pratica commerciale possa negare al bambino proprio la sua identità».

«Triste l’ironia dei siti di Gpa che garantiscono “ovociti freschi” in nome di una selezione sul nascituro, il perfect baby selezionato perché nasca somigliante alla coppia, etero o gay – ha denunciato l’onorevole Milena Santerini –, preoccupa questa ricerca del neo-nato, un nuovo-nato senza una storia alle spalle, con conseguente fuga dalle adozioni».

La Gpa è internazionale e la sua abolizione deve essere mondiale, ha scritto dalla Francia l’onorevole Laurence Dumont, protagonista un anno fa a Parigi della prima mobilitazione internazionale. Presente invece l’altra protagonista, la filosofa Sylviane Agacinski, che ha chiesto al diritto di continuare a proteggere le persone umane contro una società di mercato, «altrimenti, ad esempio, perché avere un diritto del lavoro?». A Roma la staffetta «ha raccolto il testimone di Parigi», ha annunciato l’europarlamentare Fabrizia Giuliani, e lo ha fatto con un atto fondamentale che può cambiare il mondo: «La richiesta alle Nazioni Unite di vietare l’utero in affitto come pratica lesiva dei diritti umani».

Lucia Bellaspiga Avvenire 23 marzo 2017

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/utero-in-affitto-ora-basta-maternita-surrogata

 

L’intervento della scrittrice Susanna Tamaro.

Pubblichiamo l’intervento che la scrittrice Susanna Tamaro ha pronunciato questa sera alla Camera, durante l’incontro internazionale su “Maternità al bivio, dalla libera scelta alla surrogata, una sfida mondiale”.

Ogni cosa nel mondo ha il suo opposto. Il nord e il sud. L’alto e il basso. Il freddo e il caldo. Il maschio e la femmina. La luce e il buio. Il bene e il male. Ma allora, se davvero è così, perché è possibile dire ti uccido e non è possibile dire: “Ti restituisco la vita?”. (S. Tamaro. Per sempre.

Susanna Tamaro: «Utero in affitto, non in mio nome». 23 marzo 2017

La gestazione per altri è soltanto la punta di un iceberg – la più agghiacciante – di uno slittamento della visione antropologica verso un modello a un’unica dimensione, quella del mercato. (…)

Susanna Tamaro Avvenire 23 marzo 2017

Link www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/susanna-tamaro-e-l-utero-in-affitto-non-in-mio-nome

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LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA

Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza.

Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 gennaio 2017.

GU Serie Generale n. 65 del 18 marzo 2017 – Suppl. Ordinario n. 15.
Art. 24. Assistenza sociosanitaria ai minori, alle donne, alle coppie, alle famiglie

1. Nell’ambito dell’assistenza distrettuale, domiciliare e territoriale ad accesso diretto, il Servizio sanitario nazionale garantisce alle donne, ai minori, alle coppie e alle famiglie, le prestazioni, anche domiciliari, mediche specialistiche, diagnostiche e terapeutiche, ostetriche, psicologiche e psicoterapeutiche, e riabilitative, mediante l’impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche, necessarie ed appropriate nei seguenti ambiti di attività:

  1. Educazione e consulenza per la maternità e paternità responsabile;

  2. Somministrazione dei mezzi necessari per la procreazione responsabile;

  3. Consulenza preconcezionale;

  4. Tutela della salute della donna, prevenzione e terapia delle malattie sessualmente trasmissibili, prevenzione e diagnosi precoce dei tumori genitali femminili in collaborazione con i centri di screening, e delle patologie benigne dell’apparato genitale;

  5. Assistenza alla donna in stato di gravidanza e tutela della salute del nascituro anche ai fini della prevenzione del correlato disagio psichico;

  6. Corsi di accompagnamento alla nascita in collaborazione con il presidio ospedaliero;

  7. Assistenza al puerperio, promozione e sostegno dell’allattamento al seno e supporto nell’accudimento del neonato;

  8. Consulenza, supporto psicologico e assistenza per l’interruzione volontaria della gravidanza e rilascio certificazioni;

  9. Consulenza, supporto psicologico e assistenza per problemi di sterilità e infertilità e per procreazione medicalmente assistita;

  10. Consulenza, supporto psicologico e assistenza per problemi correlati alla menopausa;

  11. Consulenza ed assistenza psicologica per problemi individuali e di coppia;

  12. Consulenza e assistenza a favore degli adolescenti, anche in collaborazione con le istituzioni scolastiche;

  13. Prevenzione, valutazione, assistenza e supporto psicologico ai minori in situazione di disagio, in stato di abbandono o vittime di maltrattamenti e abusi;

  14. Psicoterapia (individuale, di coppia, familiare, di gruppo);

  15. Supporto psicologico e sociale a nuclei familiari in condizioni di disagio;

  16. Valutazione e supporto psicologico a coppie e minori per l’affidamento familiare e l’adozione, anche nella fase successiva all’inserimento del minore nel nucleo familiare;

  17. Rapporti con il Tribunale dei minori e adempimenti connessi (relazioni, certificazioni, ecc.);

  18. Prevenzione, individuazione precoce e assistenza nei casi di violenza di genere e sessuale;

  19. Consulenza specialistica e collaborazione con gli altri servizi distrettuali territoriali;

  20. Consulenza e collaborazione con i pediatri di libera scelta e i medici di medicina generale.

2. L’assistenza distrettuale ai minori, alle donne, alle coppie, alle famiglie tiene conto di eventuali condizioni di disabilità ed è integrata da interventi sociali in relazione al bisogno socioassistenziale emerso dalla valutazione.

www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2017-03-18&atto.codiceRedazionale=17A02015&elenco30giorni=true

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MEDIAZIONE FAMILIARE

Cos’è, le finalità, i principi e il percorso di mediazione tra i coniugi in crisi

La si può definire come quel percorso di aiuto alla coppia che sta per separarsi o divorziare o che abbia deciso di porre fine alla propria relazione sentimentale. La finalità della mediazione è quella di dare la possibilità agli ex coniugi di dialogare e confrontarsi in modo collaborativo nel preminente interesse dei figli (per quanto riguarda le modalità di affidamento, gestione dei figli, mantenimento…) in presenza di mediatori, in un ambiente neutro e protetto.

Quando la famiglia si disgrega vengono a mancare l’amore e i sentimenti che un tempo alimentavano la coppia e subentrano le offese, i rancori, le sofferenze… Queste situazioni di malessere tra i coniugi influiscono negativamente sui figli i quali subiscono non solo il trauma della separazione, ma si trovano spesso ad essere oggetto delle discussioni fra i genitori e, ancor di più, strumento di ricatto e di rivalsa tra gli stessi. In questo contesto si inserisce, appunto, lo strumento della mediazione familiare.

I principi che stanno alla base della mediazione familiare sono due:

  1. Il principio della competenza;

  2. Il principio della responsabilità.

Nel primo, sono le stesse parti ad essere competenti a decidere della propria vita senza l’intervento di una persona terza (giudice, arbitro, mediatore civile). Nel principio della responsabilità, invece, le parti, mettendo da parte l’astio iniziale, riattivano i canali comunicativi interrotti al fine di difendere il senso più profondo della famiglia: ovvero la responsabilità genitoriale.

La mediazione familiare infatti ha come suo obiettivo primario quello di tutelare il diritto del minore di crescere e mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori nel rispetto del cosiddetto principio di bigenitorialità che si pone alla base dell’affido condiviso.

Come si articola il percorso di mediazione familiare? Si articola in una serie di incontri in presenza di un solo coniuge o di entrambi presso enti privati o pubblici. Questo percorso può essere intrapreso volontariamente, oppure sotto richiesta del giudice nel caso di giudizio pendente.

Si noti bene: gli atti della mediazione sono coperti dal segreto professionale e dalla riservatezza.

Chi è il mediatore familiare? E’ un professionista “confidenziale” che opera in totale neutralità ed imparzialità. Egli deve mantenere il segreto professionale, non fornisce pareri, né suggerisce soluzioni, ma aiuta le parti a confrontarsi tra loro al fine di giungere ad una soluzione soddisfacente per entrambi e nel primario interesse del minore.

Luisa Camboni Newsletter Studio Cataldi 20 marzo 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25447-la-mediazione-familiare.asp

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MINORI

L’interesse del minore nella visione dell’Aiaf e del Tribunale di Brindisi

Riflessioni del presidente di Crescere Insieme, Marino Maglietta, sulle linee guida del Tribunale di Brindisi e sulle critiche dell’Aiaf (Associazione Avvocati per la Famiglia e i Minori).

Vedi newsUCIPEM n- 640, 12 marzo 2017. pag. 7.

www.studiocataldi.it/articoli/25378-affido-condiviso-addio-al-collocamento-prevalente.asp

Divenute note le linee guida del tribunale di Brindisi, l’Aiaf ha voluto dire la sua, negativamente, dalle colonne di varie testate (leggi: “Affido condiviso: Aiaf, il giudice non può imporre un modello unico di famiglia separata“).

www.studiocataldi.it/articoli/25437-affido-condiviso-aiaf-il-giudice-non-puo-imporre-un-modello-unico-di-famiglia-separata.asp

E allora una replica è doverosa da parte di chi ci si è impegnato come membro di un gruppo di lavoro. Il principale capo d’accusa nei confronti della giudice che ha preso l’iniziativa è stato quello di avere “imposto”, e non “proposto” le linee stesse. Ricostruiamo allora gli eventi

Giovedì 2 marzo 2017 la Presidente della sezione civile ha convocato nella sua stanza tutti i colleghi di sezione, i presidenti di camera civile e minorile, il presidente del Consiglio dell’ordine e tutto il personale del tribunale che segue a qualsiasi titolo i procedimenti, a partire dai cancellieri. Una ventina di persone. In quella occasione ha illustrato per due ore le ragioni tecnico-giuridiche che l’avevano condotta a individuare certe prassi come le più rispettose della normativa vigente, per quanto difformi dalle più diffuse. Dopo di che ha rimandato a un seminario pubblico, che è stato tenuto il giorno dopo, venerdì pomeriggio 3 marzo, alla presenza di centinaia di avvocati e giudici, anche provenienti da Lecce e Taranto, appositamente invitati. Era stata invitata anche la Corte d’appello, ma non si è presentata per impossibilità materiale. In quella occasione è stata ripetuta la relazione del giorno prima e chi voleva ha potuto nel dibattito chiedere lumi o esprimere dubbi. Il lunedì successivo ha convocato in tribunale i soli presidenti di cui sopra e consegnato loro una proposta di protocollo di intesa, redatta in conformità dei criteri già enunciati, lasciando loro tutto il tempo per studiarlo, discuterlo con i colleghi e, se del caso, sottoscriverlo.

A questo punto certamente il “crimine” era già stato commesso: non era stato chiamato l’Aiaf. Lesa maestà. Ma perché non era stato chiamato? Strano ma vero: perché la democrazia impone “o tutti o nessuno”. Quindi avrebbero dovuto essere convocati anche AMI, Osservatorio, ANFI, Aimef, Simef, AEMEF, Aims, Garante per l’Infanzia… e via dicendo. Un po’ troppi, no? Si è scelto di convocare solo gli enti più rappresentativi. Gli altri avrebbero potuto esprimersi successivamente. Giova notare che i convocati si stanno studiando il protocollo con calma e non si sono ancora espressi: le adesioni possono avvenire in qualsiasi momento. L’equivoco dell’Aiaf, però, suggerisce la necessità di un ulteriore chiarimento. In quasi tutti i tribunali esistono prestampati (moduli con le istruzioni per separarsi, punto per punto), che nessuno ha mai pensato di sottoporre all’approvazione dell’avvocatura o di condividerli con essa. Eppure rappresentano gli orientamenti, le interpretazioni della legge che quel tribunale ha adottato senza sentirsi in dovere di consultare chicchessia e senza fornire neppure una parola di spiegazione. A Brindisi, invece, si è fornita capillare giustificazione delle scelte e del pensiero che le ha accompagnate e ci si è salutati con il proposito di ritrovarsi dopo qualche mese – giudici e avvocati – per verificare l’esito della “sperimentazione”, restando inteso con l’Ordine che, data la novità, l’avvocatura avrebbe attivato al proprio interno dei seminari formativi per favorirne la riuscita.

La sensazione, dunque, è che l’Aiaf faccia una certa confusione tra protocolli e linee guida. I protocolli effettivamente, essendo delle “intese” tra tutte le componenti del sistema legale non hanno senso se emessi da una componente sola. Quindi se non c’è accordo non c’è neppure il protocollo. Ma, questo non vale per le linee guida, altrimenti, se fosse vero che gli orientamenti di un tribunale per non essere “totalitari” dovrebbero essere condivisi da tutti, dovremmo concludere che a una componente basta rifiutare la firma per far saltare le linee guida. Ovvero un tribunale potrebbe trovarsi a non poter avere alcun orientamento. Forse un’autostima eccessiva da parte di quella componente.

La ratio delle linee guida. Comunque, entrando nel merito, neppure è vero che i principi espressi a Brindisi impediscano il dispiegarsi di un adattamento alle fattispecie. Rigidità nelle regole generali, certamente, ma flessibilità nell’applicarle ai casi particolare. Altrimenti non avremmo la Costituzione. Purtroppo, se si considerano gli aspetti che Aiaf considera mal risolti appare evidente la sua nostalgia per il modello esclusivo e il suo evidente rigetto del diritto indisponibile dei figli alla bigenitorialità. Quando mai l’Aiaf ha protestato per le linee guida di altri tribunali, benché emesse senza consultazione, ma costruite prevedendo che un solo genitore provveda ai bisogni dei figli e l’altro si limiti a passargli del denaro, senza compiti di cura? L’Aiaf, viceversa, si impegna nell’organizzare seminari su “La tutela del diritto di visita del genitore non collocatario” (Firenze, gennaio 2016). Concetti da Statuto Albertino. D’altra parte, è così sbagliato affermare che se – e solo se – la frequentazione dei genitori è mediamente paritetica nell’assegnazione della casa si seguiranno i criteri ordinari? E’ così dannoso per i figli che venga meno uno dei principali motivi di lite tra i suoi genitori? E fa loro davvero tanto male dividere la quotidianità con entrambi attraverso il mantenimento diretto, anziché assistere alle sempiterne polemiche su assegni in ritardo e destinazione impropria dei medesimi? Eppure non c’è avvocato che non sappia che il genitore obbligato all’assegno implora il proprio difensore di fare in modo che ai figli si dia anche il sangue ma all’aborrito ex possibilmente nulla…

Forse davvero all’Aiaf – detto con simpatia e comprensione – non si sono guardate le vaste indagini scientifiche attuali su ciò che realizza meglio l’interesse dei figli e ci si basa sul già consolidato, sui vecchi libri di scuola. Si è restati al tempo in cui il dominante maschilismo imponeva che solo le donne, senza ambizioni, si occupassero della casa e dei figli; per cui, in caso di separazione era effettivamente indispensabile avere i soldi in mano (benché spesso troppo pochi). E questo emerge anche da una delle principali obiezioni, sostanzialmente inconsistente. Se, dice l’Aiaf, i genitori hanno redditi molto diversi il bambino vivrà in due contesti economici molto diversi e questo non va bene… Però attenzione: distinguiamo l’interesse degli adulti da quello del bambino. Se la madre è sposata le spetta un assegno personale per mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; quindi il problema non esiste. Se ha solo convissuto, comunque adesso la legge 76/2016 ha pensato anche a lei. E per il figlio ci sono le massime tutele. Prendiamo il caso limite: famiglia monoreddito di fonte paterna. Mantenimento diretto significa, ad es., che se, affinché il figlio possa continuare a vivere esattamente come prima svolgendo le medesime attività, servono 1000 € al mese il padre corrisponderà 500 € mensili alla madre che coprirà solo capitoli di spesa per i quali tale cifra è sufficiente mentre il padre pagherà tutto il resto con altri 500. Lo prescrive la legge, e le linee guida di Brindisi si limitano a ribadirlo. Quanto agli spicchi d’arancia non si può che rimandare agli studi scientifici nazionali e internazionali che attestano che i danni da mancanza di stabilità affettiva sono ben più gravi degli inconvenienti logistici. Ma forse non importa nemmeno. Basta notare che il modello w-e alternati più “visite” infrasettimanali comporta più trasferimenti dei modelli suggeriti a Brindisi.

www.genitoriseparati.it/a/index.php?option=com_content&view=article&id=297:solo-con-laffido-condiviso-alternato-ce-la-vera-tutela-dei-figli-nelle-separazioni&catid=39:dossier&Itemid=69

La correzione di rotta di Brindisi rispetto ad una legge violata, d’altra parte, non ha nulla di improvvisato, ma segue segnalazioni di enti terzi come il MIUR (circolare 5336/2015) e dall’Istat che così commenta le cifre della giurisprudenza 2005-2015 (Report novembre 2016, p.13): “In altri termini, al di là dell’assegnazione formale dell’affido condiviso, che il giudice è tenuto a effettuare in via prioritaria rispetto all’affidamento esclusivo, per tutti gli altri aspetti considerati in cui si lascia discrezionalità ai giudici la legge non ha trovato effettiva applicazione”.

Concludo con una doverosa domanda. Da tre anni il D.lgs 154/2013 ha spogliato il minore di una quantità di diritti, intervenendo senza delega sulle regole dell’affidamento. Perché l’Aiaf ha taciuto? Cosa aspetta? O forse è d’accordo con la visione adultocentrica di quel provvedimento? Se la domanda non fosse chiara prenda visione della monografia “L’illegittimità formale, l’illegittimità sostanziale e l’inadeguatezza strutturale del decreto legislativo n. 154 del 2013” di Roberto Russo, in Giustizia Civile, 2016.

Prof. Marino Maglietta Presidente Associazione Crescere Insieme

Newsletter Studio Cataldi 20 marzo 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25466-l-interesse-del-minore-nella-visione-dell-aiaf-e-del-tribunale-di-brindisi.asp

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MINORI MIGRANTI

Un piano per l’affido dei non accompagnati basato sulla collaborazione tra famiglie e associazioni.

Prevedere l’affido famigliare dei minori stranieri non accompagnati in un sistema che veda la collaborazione delle famiglie disponibili e delle associazioni esperte nelle procedure di accoglienza temporanea. È questo l’impegno chiesto al governo dal senatore di Area Popolare Aldo Di Biagio, in un ordine del giorno G13.100 21 marzo 2017 presentato a Palazzo Madama.

Nel primo dei suoi Odg, Di Biagio ricorda come gli sbarchi dei minori non accompagnati siano “uno dei tratti più drammatici correlato ai flussi migratori verso l’Europa”. Come testimoniato dai dati dell’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), secondo cui, al 30 novembre 2016, i minori giunti nel nostro Paese erano già oltre 27mila. Nel momento in cui è in esame alla Camera il Disegno di legge Zampa, che intende rafforzare le tutele dei minori stranieri non accompagnati e garantire un’applicazione uniforme delle norme per l’accoglienza su tutto il territorio nazionale, è auspicabile, secondo Di Biagio, “valutare la promozione di piani di accoglienza famigliare temporanea che consentano il coinvolgimento delle famiglie che attualmente, attraverso gli enti e associazioni qualificate ed esperte nell’ambito delle procedure di affido, si sono rese disponibili” a quest’ultimo. In questo modo, sottolinea il senatore, si eviterebbe l’ipotesi di “proliferazione di strutture di accoglienza per minori dove i livelli di attenzione e di controllo non possono essere garantiti, i meccanismi di integrazione sono deboli e i costi a carico dello Stato risultano particolarmente difficili da sostenere”.

Non posto in votazione. Accolto dal Governo

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Emend&leg=17&id=712651&idoggetto=737734

Nel secondo dei suoi Odg, G13.101 21 marzo 2017 Di Biagio sottolinea l’importanza della figura professionale del mediatore culturale, nata dall’esigenza di creare un ponte tra l’utente straniero e le strutture pubbliche. “Al momento – denuncia però l’esponente di Ap – non esiste un percorso formativo codificato e organico, pertanto l’acquisizione delle competenze specifiche necessarie per la figura del mediatore interculturale è regolamentata talvolta a livello locale e lasciata spesso all’iniziativa di soggetti privati”. Di Biagio chiede quindi al governo di “valutare l’opportunità di prevedere un sistema di regolamentazione nazionale della figura del mediatore culturale”, istituendo eventualmente l’Albo dei mediatori interculturali e quello delle associazioni di mediazione interculturale.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Emend&leg=17&id=1009824&idoggetto=1020264

News Ai. Bi. 23 marzo 2017

www.aibi.it/ita/migranti-di-biagio-ap-il-governo-istituisca-un-piano-per-laffido

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ONLUS – NON PROFIT

Le quote versate dagli associati sono tassabili?

Le somme versate dagli associati al solo fine di acquisire lo status di socio, ossia per entrare a far parte della compagine associativa o per continuare a farne parte, non assumono valenza commerciale e, quindi, non sono tassabili né ai fini Ires né Iva. Questo perché tali somme hanno natura di mero concorso, da parte dei soci, alle spese sostenute dall’ente per la realizzazione degli obiettivi istituzionali.

Esse, invece, assumono, valenza commerciale quando sono versate in modo diversificato in ragione del diverso utilizzo, da parte dei soci, dei servizi forniti dall’associazione, costituendo, in tale ipotesi, il corrispettivo dovuto in base a un rapporto sinallagmatico che si instaura tra soci ed ente.

Fanno eccezione a quanto sopra espresso gli enti associativi di cui all’art. 148 comma 3, del Tuir, per i quali l’attività svolta nei confronti degli associati, in conformità alle finalità istituzionali, non assume rilevanza fiscale anche nell’ipotesi di pagamento di corrispettivi specifici.

Newsletter Non profit on line 23 marzo 2017

www.nonprofitonline.it/default.asp?id=508&id_n=7231&utm_campaign=Newsletter+Non+profit+on+line+23+marzo+2017&utm_medium=email&utm_source=CamoNewsletter

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PARLAMENTO

Camera dei Deputati. 1° Commissioni Affari costituzionali.

C. 1658-B. Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati, approvata dalla Camera e modificata dal Senato.

21 marzo 2017. La Commissione si è riunita in sede di Comitato nove per esaminare gli emendamenti, presentati dall’Assemblea.

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2017&mese=03&giorno=21&view=&commissione=01&pagina=data.20170321.com01.bollettino.sede00010.tit00010#data.20170321.com01.bollettino.sede00010.tit00010

SenatoAssemblea D.L. 13/2017 in materia di protezione internazionale e di contrasto dell’immigrazione illegale

Conversione in legge del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale

22 marzo 2017 Questioni procedurali, Respinta questione pregiudiziale. Discussione generale

Autorizzata la relazione orale. Il relatore di maggioranza svolge relazione orale.

23 marzo 2017 Conclusa la discussione generale. Rinvio il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta

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PASTORALE FAMILIARE

Rinnovare la pastorale familiare.

Il documento dei vescovi tedeschi «La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche la gioia della Chiesa». Invito a una pastorale matrimoniale e familiare rinnovata alla luce dell’Amoris Lætitia è stato adottato dal Consiglio permanente della Conferenza episcopale tedesca il 23 gennaio 2017 a Würzburg. Pubblichiamo qui una parte del testo.

Nonostante tutta la buona volontà dei coniugi e tutta la preparazione al matrimonio, accade che le relazioni si spezzino. Le persone si ritrovano davanti ai cocci di un progetto di vita fondato su una relazione di coppia.

Soffrono per il fallimento e per il non poter vivere il loro ideale di un amore e di una relazione per tutta la vita. Ai dubbi personali spesso si aggiungono preoccupazioni economiche. Particolarmente colpiti sono i figli di un rapporto spezzato. In questa emergenza, è compito della Chiesa accompagnare e sostenere le persone. Questo servizio è assunto in molti casi dai consultori ecclesiali e dai singoli operatori pastorali. Nella pastorale di tutti i giorni però è ancora più necessario avere orecchie aperte e cuore grande, in modo che sia possibile «motivare l’apertura alla grazia» (n. 37).

Così vogliamo affrontare anche la questione dell’atteggiamento da parte della Chiesa con le persone che si sono risposate civilmente dopo un divorzio e si ritrovano escluse dal ricevere il sacramento della penitenza e dell’eucaristia. L’indissolubilità del matrimonio è parte essenziale della fede della Chiesa. L’ Amoris Lætitia non lascia dubbi sulla necessità di differenziare lo sguardo sulle singole situazioni di vita delle persone. «Pertanto, sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione» (n. 296). L’ Amoris Lætitia pone i tre aspetti dell’accompagnare, discernere, integrare come principi guida centrali, partendo dalla constatazione di base: «Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo!» (n. 297).

In situazioni di vita che spesso sono già percepite come logoranti e gravose, le persone coinvolte dovrebbero poter sperimentare che la loro Chiesa non li abbandona. Nel rapporto con i divorziati risposati deve essere chiaro che essi appartengono alla Chiesa, che Dio non li priva del suo amore e che sono chiamati a vivere l’amore di Dio e del prossimo e ad essere testimoni autentici di Gesù Cristo. Il santo padre sottolinea con chiarezza l’aspetto dell’accompagnamento, quando dice: «Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo» (n. 299).

Ciò che il papa, in questo contesto, intende con discernere diventa chiaro quando nell’ Amoris Lætitia afferma: «La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante» (n. 301). L’ Amoris Lætitia su questo punto non offre alcuna regola generale e non consente automatismi nel senso di una generale ammissione ai sacramenti di tutti i divorziati civilmente risposati. L’ Amoris Lætitia non minimizza la grave colpa di cui si macchiano molte persone in queste situazioni di rottura e fallimento delle relazioni coniugali, e neppure il problema che un nuovo matrimonio civile è in evidente contraddizione con i segni visibili del matrimonio sacramentale, anche se la persona in questione è stata abbandonata e non ha colpa. Tuttavia l’Amoris laetitia non resta ferma sull’esclusione categorica e irreversibile dai sacramenti.

La nota 336 (in riferimento al n. 300) indica chiaramente che il discernimento, che «può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave», dovrebbe portare a conseguenze differenziate anche nell’ambito della disciplina sacramentale. La nota 351 (in riferimento al n. 305) sottolinea inoltre che anche in una situazione che oggettivamente è irregolare, ma dal punto di vista soggettivo non è colpevole o almeno non pienamente, «si può vivere in grazia di Dio, si può amare e uno può anche crescere nella vita di grazia e di amore» (n. 305), quando si ottiene l’aiuto della Chiesa e, in alcuni casi anche l’aiuto dei sacramenti. Questo è un altro argomento a favore della possibilità di ricevere i sacramenti in queste situazioni.

Non tutti i credenti il cui matrimonio si è spezzato e che sono civilmente divorziati e risposati, possono ricevere i sacramenti, senza distinzione. Sono necessarie invece soluzioni differenziate che rispondano al singolo caso e che siano praticabili nei casi in cui il matrimonio non possa essere annullato. A questo riguardo, incoraggiamo tutti coloro che hanno un ragionevole dubbio circa il fatto che il loro matrimonio sia avvenuto validamente, di prendere in considerazione il servizio dei tribunali ecclesiastici in modo che eventualmente venga loro data la possibilità di un nuovo matrimonio ecclesiale. Ringraziamo in questo contesto tutti coloro che lavorano presso i tribunali ecclesiastici, per il loro impegno discreto e pastorale.

L’ Amoris Lætitia parte dal presupposto di un processo decisionale che sia accompagnato da una guida pastorale. Sul presupposto di un tale processo decisionale, in cui la coscienza di tutti coloro che vi prendono parte è messa in gioco fino in fondo, l’Amoris Lætitia apre la possibilità di ricevere i sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia. Nell’Amoris Lætitia papa Francesco sottolinea l’importanza della scelta secondo coscienza, dicendo: «Stentiamo a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» (n. 37).

Al termine di un simile cammino spirituale, in cui è sempre in gioco l’inclusione, non c’è la ricezione dei sacramenti della penitenza e dell’eucaristia in ogni caso. La decisione individuale, se nelle singole circostanze si è o meno in condizione di ricevere i sacramenti, merita rispetto e attenzione. Ma anche una decisione a favore della ricezione dei sacramenti deve essere rispettata. Occorre evitare sia un atteggiamento lassista, privo di profonda considerazione per l’accompagnare, discernere e includere, sia un atteggiamento rigoristico, che resta fermo su veloci giudizi sulle persone in situazioni cosiddette irregolari. Anziché simili atteggiamenti estremi occorre che il discernimento (discretio) entri nel colloquio personale. Consideriamo nostro compito approfondire il percorso di formazione della coscienza dei fedeli. A questo scopo è necessario formare i nostri sacerdoti e dare loro criteri. Tali criteri di formazione della coscienza li dà il santo padre in modo completo e preciso nell’ Amoris Lætitia (cf. nn. 298-300).

Sia per i sacerdoti sia per i fedeli questo concetto guida di accompagnare, discernere e integrare rappresenta un obiettivo alto e una grande sfida. Soprattutto nella situazione del divorzio, ma anche al di fuori, le persone dovrebbero poter sperimentare che la Chiesa li accompagna e li invita a essere in viaggio con lei. «I pastori che propongono ai fedeli l’ideale pieno del Vangelo e la dottrina della Chiesa devono aiutarli anche ad assumere la logica della compassione verso le persone fragili e ad evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e impazienti» (n. 308).

Papa Francesco nella sua lettera fa riferimento a tante situazioni: genitori single, i migranti e le famiglie in fuga, le coppie interconfessionali, interreligiose o interculturali, le coppie in cui un partner è un credente e l’altro lo è molto meno o per niente, le famiglie che vivono in condizioni di povertà, che si prendono cura di famigliari anziani, malati o bisognosi di speciali cure, e, non ultimo, le coppie che non hanno ancora deciso di sposarsi, e le coppie sposate dopo il divorzio e dopo un nuovo matrimonio civile. Con alcune di queste persone percorreremo insieme solo un breve tratto del cammino o potremo mantenere un contatto solo a distanza, con altri potremo offrire una compagnia più intensa e alcuni saranno per lungo tempo in viaggio con noi. In ogni caso, non dobbiamo tradire il Vangelo della famiglia. «Staremmo privando il mondo dei valori che possiamo e dobbiamo offrire» (n. 35). Accompagnare coppie che vivono la crisi, il divorzio e un nuovo matrimonio civile rappresenta anche una grande sfida e l’opportunità di parlare della Chiesa e della sua comprensione del matrimonio.

Invitiamo tutti coloro che desiderano seguire il cammino del matrimonio e della famiglia con la Chiesa, di riflettere personalmente sul testo guida Amoris Lætitia e così scoprire la ricchezza del Vangelo della famiglia per la propria vita. Vogliamo sostenere, incoraggiare e accompagnare tutti i coniugi e tutte le famiglie lungo questo cammino. Il santo padre stesso ce li affida per il cammino: «Tutti siamo chiamati a tenere viva la tensione verso qualcosa che va oltre noi stessi e i nostri limiti, e ogni famiglia deve vivere in questo stimolo costante. Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare! Quello che ci viene promesso è sempre di più. Non perdiamo la speranza a causa dei nostri limiti, ma neppure rinunciamo a cercare la pienezza di amore e di comunione che ci è stata promessa» (n. 325)

Episcopato tedesco 23 gennaio 2017

Blog de Il Regno sui Sinodi dei vescovi 24 marzo 2017

www.lindicedelsinodo.it/2017/03/di-episcopato-tedesco-documento-dei.html#more

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PENSIONE DI RIVERSIBILITÀ

Reversibilità: in “tandem” ex moglie e vedova

In presenza di determinati requisiti la legge riconosce la reversibilità sia alla vedova che all’ex coniuge. Ex moglie e nuova moglie possono dividersi la pensione di reversibilità del coniuge defunto. L’art. 9 della legge n. 898/1970 stabilisce il diritto a percepire la pensione di reversibilità dell’ex coniuge, rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, se non si è risposato e laddove sia titolare dell’assegno divorzile.

La situazione, tuttavia, si complica se il coniuge divorziato si sia risposato e oltre alla ex moglie sia presente anche una nuova moglie rimasta vedova: la stessa norma, infatti, stabilisce che qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal Tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell’assegno divorzile.

Se in tale condizione si trovano più persone, il Tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni: ciò avviene se, ad esempio, il defunto abbia lasciato sia un coniuge superstiti che due ex coniugi in possesso dei requisiti richiesti dalla norma.

Al contrario, se il coniuge divorziato non percepisce alcun assegno di divorzio, non avrà diritto alla pensione di reversibilità in quanto si ritiene mancante ogni vincolo, compreso quello economico, tra i coniugi. Vincolo che, invece, persiste laddove l’ex moglie percepisca l’assegno divorzile e il defunto si sia poi risposato, e si tramuta nel diritto a una quota della pensione di reversibilità. Saranno dunque l’ex moglie e la vedova, in tal caso, a dividersi la pensione nella misura indicata dal Tribunale.

Tuttavia, se il coniuge superstite o l’ex coniuge si risposano, questi perdono immediatamente il diritto alla propria quota di pensione di reversibilità, che andrà tutta in tasca all’unica persona che rimane titolare del diritto: in sostanza, l’intera pensione di reversibilità (ossia il 60% di quella dovuta al defunto) andrà all’ex coniuge se a risposarsi è il vedovo o la vedova, oppure tutta al coniuge superstite se a sposarsi è l’ex coniuge. Il secondo matrimonio, infatti, fa venir meno ogni collegamento con il primo partner. Uno stesso risultato si registra in caso di decesso di uno dei due contitolari (ex coniuge o superstite).

Quanto alla misura della quota spettante, la Cassazione ha affermato, nella sentenza n. 6019/2014 , che “per giurisprudenza consolidata, la ripartizione del trattamento economico va effettuata, oltre che sulla base del criterio primario della durata dei rispettivi matrimoni, pure considerando ulteriori elementi, quali l’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, le condizioni economiche delle parti private e la durata delle eventuali convivenze prematrimoniali”.

Un indirizzo a cui si è adeguata la giurisprudenza di merito: nella recente sentenza n. 504/2016, il Tribunale di Potenza, verificati i presupposti per la divisione della pensione di reversibilità a favore della ex moglie e della vedova del defunto, ha rammentato che la ripartizione non dipende soltanto dalla durata dei matrimoni, ma anche da altri elementi in gioco, connessi alla finalità solidaristica della reversibilità, quali, ad esempio, la presenza dell’assegno di mantenimento, le condizioni economiche dell’ex coniuge e del coniuge superstite e l’eredità.

Deve rammentarsi, tuttavia, che anche i figli del defunto hanno diritto alla persone di reversibilità in presenza di determinati requisiti e dunque la pensione spettante ai superstiti andrà ulteriormente divisa laddove siano presenti.

Lucia Izzo Newsletter Studio Cataldi 20 marzo 2017 link per approfondimenti

www.studiocataldi.it/articoli/25442-reversibilita-in-tandem-ex-moglie-e-vedova.asp

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SEPARAZIONE DEI BENI

In separazione dei beni spetta l’eredità del coniuge?

In caso di matrimonio, la scelta tra comunione o separazione dei beni non incide sulle regole della successione, regole che, in entrambi i casi, seguono i medesimi principi. Tranquillizziamo così, prima di iniziare questa breve lettura, chi si sta per sposare e si chiede se, in separazione dei beni, spetta l’eredità dell’altro coniuge. Ma procediamo con ordine e cerchiamo di comprendere quali sono gli effetti della separazione dei beni e quanto questi possono incidere nel caso di morte di uno dei due coniugi.

Comunione e separazione dei beni: quali differenze? Chi si sposa entra automaticamente nel regime di comunione dei beni. Ciò significa che quanto viene acquistato durante il matrimonio dai coniugi (singolarmente o comunemente) appartiene, in parti uguali, sia al marito che alla moglie. Tanto per fare un esempio, la casa comprata dopo le nozze appartiene al 50% al marito e al 50% alla moglie. Stesso discorso per i conti correnti, gli arredi, ecc. Restano fuori dalla comunione solo i beni di cui i coniugi erano proprietari prima del matrimonio, quelli ottenuti in donazione o eredità (anche se dopo il matrimonio) o acquistati con i soldi di un risarcimento.

I coniugi però possono optare, con un’apposita dichiarazione, per il regime della separazione dei beni: in tal caso, ciascuno dei due resta proprietario di ciò che acquista coi propri soldi. Se non lo fanno, però, restano automaticamente nel regime della comunione (leggi Come vedere se sono sposato in comunione e separazione dei beni).

Nel caso di coniugi in regime di separazione dei beni, che succede se il marito o la moglie muore? Il coniuge superstite può accampare i diritti ereditari sui beni di quello deceduto anche se, tra i due, non vi era stata comunione dei beni? In altre parole, in caso di separazione dei beni, spetta l’eredità del coniuge deceduto? La questione può ricevere una risposta immediata: sì. Non c’è infatti alcuna differenza tra coniugi in comunione dei beni e coniugi in separazione dei beni: in entrambi i casi, quando uno dei due muore prima, l’altro diventa suo erede e ha diritto a una quota dal suo patrimonio, eventualmente da dividere con gli altri chiamati all’eredità a seconda delle regole previste dal codice civile (regole che variano a seconda che ci sia o meno un testamento). Addirittura, anche i coniugi separati legalmente (in tribunale, in Comune o con la negoziazione assistita) restano ugualmente l’uno erede dell’altro, benché fossero precedentemente sposati in regime di separazione dei beni.

Ma allora a che serve la separazione dei beni? La separazione dei beni ha lo scopo di evitare lunghe e noiose discussioni tra coniugi, in caso di separazione e divorzio, all’atto della divisione dei beni acquistanti durante il matrimonio. Detti beni, infatti, restano di proprietà di chi li ha acquistati. E ciò vale sia per

  • mobili (arredo, utensili, oggetti preziosi, conti correnti, gioielli);

  • automobili;

  • immobili (case, terreni, appartamenti, box, uffici, ecc.).

Anche se la casa viene “assegnata” alla moglie, perché la coppia ha figli minori o non autosufficienti economicamente, la proprietà resta comunque di chi l’ha acquistata.

Inoltre la separazione dei beni serve anche a impedire che i creditori di uno dei due coniugi possa aggredire i beni dell’altro, nella misura del 50%.

Diritti del coniuge separato. I diritti a succedere in eredità spettano anche se la coppia si è separata e fino a quando non interviene il divorzio. Dunque, se uno dei due coniugi muore dopo la separazione ma prima del divorzio, quello superstite ha diritto alla sua parte del patrimonio del defunto. La separazione, infatti, non cancella i diritti ereditari. Si perde il diritto all’eredità del coniuge legalmente separato solo se la separazione è stata pronunciata «con addebito» a carico del coniuge superstite: ossia se il giudice ha ritenuto quest’ultimo responsabile del fallimento del matrimonio per aver posto dei comportamenti che violano le regole del codice civile (dovere di fedeltà, coabitazione, assistenza morale e materiale, ecc.).

Un esempio ci farà capire meglio come stanno le cose. Immaginiamo una coppia di coniugi che si separi perché il marito scopre il tradimento della moglie. Il giudice pronuncia la separazione con addebito a carico della donna. Prima che si avvii il procedimento di divorzio, muore il marito. La moglie, in questo caso, non ha diritto all’eredità dell’ex coniuge proprio perché la separazione è avvenuta con addebito a suo carico.

Diritti del coniuge divorziato. A differenza del coniuge separato, quello divorziato non ha diritto all’eredità dell’ex coniuge defunto e nulla potrà quindi pretendere.

La divisione dell’eredità. Le regole sulla divisione dell’eredità – come abbiamo detto – sono identiche sia per le coppie in regime di separazione dei beni, che per quelle in comunione dei beni. Valgono anche per quelle separate a condizione che il coniuge superstite non abbia subìto l’addebito.

Ma come avviene materialmente la divisione dell’eredità? La questione è particolarmente complessa e non può essere affrontata, in modo esaustivo, in questo articolo. Possiamo però limitarci a dire che la divisione dell’eredità dipende dall’esistenza o meno di un testamento. Se c’è un testamento, il coniuge defunto (cosiddetto testatore) può disporre liberamente del proprio patrimonio, salvo una parte dello stesso che deve andare per forza ai cosiddetti legittimari (coniuge, ascendenti e discendenti); così il coniuge estromesso dall’eredità, anche in presenza di un testamento può rivendicare la lesione della sua quota (cosiddetta «legittima»).

Viceversa, in assenza di testamento, l’eredità viene divisa sulla scorta di alcune regole fissate dal codice civile che tendono a privilegiare i parenti più stretti e poi quelli più lontani.

Redazione Lpt 26 marzo 2017

www.laleggepertutti.it/155776_in-separazione-dei-beni-spetta-leredita-del-coniuge

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UNIONI CIVILI

Unioni civili: al via il registro e le formule per i riti

Nella Gazzetta ufficiale il comunicato di pubblicazione del decreto attuativo del Ministero dell’Interno del 27 febbraio 2017. Sono state pubblicate le formule per la redazione degli atti dello stato civile per le unioni tra persone dello stesso sesso. A darne notizia è il ministero dell’interno, con comunicato pubblicato in G.U.

Con la pubblicazione del decreto (DM 27 febbraio 2017, allegato unitamente alle formule) si attuano le previsioni della legge Cirinnà (e del D. Lgs. n. 5/2017), apportando le modifiche necessarie in materia di tenuta dei registri delle unioni civili tra persone dello stesso e le relative formule di rito per la redazione degli atti dello stato civile.

I registri ad hoc per le unioni civili viene disposto, inoltre, nel provvedimento, saranno utilizzati (come tutti gli altri registri), fino alla data in cui diverrà operativo l’archivio nazionale informatizzato (ex art. 10 d.l. n. 78/2015).

Per quanto concerne, poi, il formato dei registri, l’indice annuale, la carta da utilizzare, il recto e il verso dei fogli, nonché ogni altra caratteristica tecnica relativa a stampa, scritturazione, conservazione e redazione degli atti si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni vigenti per gli altri registri dello stato civile.

Allegato Dm 27.2.2017

Redazione Newsletter Studio Cataldi 20 marzo 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25509-unioni-civili-al-via-il-registro-e-le-formule-per-i-riti.asp

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