NewsUCIPEM n. 639 – 5 marzo 2017

NewsUCIPEM n. 639 – 5 marzo 2017

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le “news” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

Le news sono così strutturate:

  • Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.

  • Link a siti internet per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto di questo new è liberamente riproducibile citando la fonte.

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Chi desidera connettersi invii a newsucipem@gmail.com la richiesta indicando nominativo e-comune di attività, e-mail, ed eventuale consultorio di appartenenza. [1.178 connessi]

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02 ADOZIONE INTERNAZIONALE Costi: ora si può chiedere un anticipo del TFR

02 ADOZIONI INTERNAZIONALI Russia, adozioni internazionali: -70% in soli 3 anni.

03 AFFIDAMENTO DEI FIGLI Nel rispetto della persistenza del legame tra i fratelli

03 AMORIS LÆTITIA Dibattito tra canonisti e la confusione tra status quo e diritto divino

04 CENTRO STUDI FAMIGLIA CISFNewsletter n. 8/2017, 1 marzo 2017

06 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEMCremona. Attività e progetti.

Padova. 4 iniziative per il 2017.

Parma. Gruppo di incontro per persone in lutto.

Portogruaro. Consultorio familiare Fondaco: percorsi formativi.

Trento. “Spazio Ascolto” (consulenza psicologica) al Liceo Rosmini.

07 DALLA NAVATA 1° Domenica di Quaresima – Anno A – 5 marzo 2017

Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).

10 DIACONATO 9 tesi a favore dell’istituzione di quello femminile come servizio.

12 FAMIGLIA Chiese d’Asia: le sfide per le famiglie.

12 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Il Forum? Una nuova prospettiva.

13 MATRIMONIO Il divieto di licenziamento vale anche per l’uomo.

13 NULLITÀ DEL MATRIMONIO La convivenza coniugale non è rilevabile d’ufficio dai giudici italiani.

13 OMOGENITORIALITÀ Gemelli a coppia gay: sì a due padri.

Aggirati divieti fondamentali. Così a pagare saranno i più piccoli.

Quello che dalle ricerche non è mai emerso. Nessuna differenza?

Eugenia Scabini: Il dramma è il genitore che non c’è.

16 ONLUS – NON PROFIT Censimento permanente del non profit: scadenza al 10 marzo

Obblighi contabili e di bilancio per una Onlus.

17PARLAMENTOCamera 2°Co GiustiziaAccordi prematrimoniali

Senato2 Assemblea Protezione dei minori stranieri non accompagnati

18 PASTORALE GIOVANILE Amare i giovani e camminare con loro

18 PEDAGOGIA A neomamme date un kit pedagogico: tante patologie sparirebbero

20 SEPARAZIONE E DIVORZIO Se i suoceri invadenti sono causa di separazione

21 SESSUOLOGIA Nuovi neuroni all’origine di attrazione anche per stesso genere.

21 TRADIMENTO Quando tradire è lecito

22 VIOLENZA Padre troppo geloso della figlia? Reato maltrattamenti in famiglia

Costringere la moglie a fare sesso è reato

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Costi per le adozioni internazionali: ora si può chiedere un anticipo del Trattamento di Fine Rapporto

La crisi economica ha purtroppo portato molte persone ad indebitarsi, e tali debiti maturati magari anche per spese di tipo ordinario con l’andare del tempo sono diventati sempre più ampi e ciò ha portato a considerare anche il Trattamento di Fine Rapporto (Tfr) come uno strumento valido per appianarli.

Quali sono le condizioni nelle quali è possibile richiedere un anticipo del Tfr? Per quali ragioni lo si può chiedere? Le adozioni internazionali rientrano proprio tra i casi in cui ciò è possibile.

Al pari dell’acquisto di un’abitazione, per i congedi, spese mediche di una certa rilevanza e interventi chirurgici straordinari, dunque anche per le adozioni internazionali si può richiedere un anticipo del Trattamento di Fine Rapporto.

Non a caso le richieste maggiori vengono effettuate attualmente per le seguenti tre finalità: spese mediche soprattutto di tipo dentistico, le spese di matrimonio e come detto, per l’appunto, le adozioni internazionali.

Fonte: haly.it – Yesterday News Ai. Bi. 1 marzo 2017

www.aibi.it/ita/costi-per-le-adozioni-internazionali-ora-si-puo-chiedere-un-anticipo-del-trattamento-di-fine-rapporto

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Russia, adozioni internazionali: -70% in soli 3 anni.

Adozioni internazionali ridotte a meno di un terzo in soli 3 anni. È questo il triste bilancio relativo ai bambini russi che hanno trovato una nuova famiglia all’estero nell’ultimo triennio. A presentare una panoramica della situazione è stato il presidente del Tribunale supremo della Federazione Russa Vyacheslav Lebedev che ha confrontato i dati del 2016 con quelli del 2013.

Nel corso dell’ultimo anno i minori orfani o abbandonati russi che hanno trovato un padre e una madre fuori dai confini del loro Paese sono stati 430, il 70% in meno rispetto al 2013 quando invece furono 1.438. Prosegue quindi un trend pesantemente negativo che ha fatto segnare, negli ultimi 3 anni, un crollo verticale. Dai 1.438 bambini adottati all’estero nel 2013, si è scesi infatti ai 1.038 del 2014 e ai 746 del 2015, fino, appunto, ai soli 430 del 2016. L’ultimo anno quindi ha registrato un calo del 58,6% rispetto a 2 anni prima e di un ulteriore diminuzione del 42% rispetto al 2015.

“Viene data priorità ai aspiranti genitori russi – ha detto Lebedev cercando di spiegare le ragioni del crollo delle adozioni internazionali -, anche se l’adozione all’estero non viene esclusa. Questo perché si tengono innanzitutto in considerazione gli interessi del minore”.

L’Italia si conferma il Paese estero più accogliente per i bambini abbandonati provenienti dalla Federazione Russa, anche se non viene risparmiata dal trend negativo. Le stime parlano, per il 2016, di circa 300-350 minori russi che hanno trovato una nuova famiglia in Italia. Pari dunque a circa i due terzi del totale dei piccoli accolti all’estero. Si tratta tuttavia di un dato sempre in calo rispetto agli anni precedenti. Nel 2015 i bambini russi adottati in Italia furono infatti 446, 576 nel 2014 e 720 nel 2013. In termini percentuali, vuol dire che i minori della Federazione Russa accolti nel nostro Paese sono diminuiti del 26-32% nell’ultimo anno e del 51-58% negli ultimi 3 anni.

Fonte: Russia Beyond the Headlines News Ai. Bi. 1 marzo 2017

www.aibi.it/ita/russia-adozioni-internazionali-70-in-soli-3-anni

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AFFIDAMENTO DEI FIGLI

L’affidamento dei figli nel rispetto della persistenza del legame tra i fratelli

Corte d’appello di Bari, Sezione Famiglia Civile, decreto 16 dicembre 2016

Spetta al giudice il compito di adottare la decisione che si appalesa più giusta per la tutela dei diritti della prole e questa deve essere tesa a tutelare il supremo interesse dei minori tenendo conto della necessità di riconoscere le loro esigenze affettive, di perseverare la loro continuità nelle relazioni parentali attraverso il mantenimento della trama familiare, della necessità di garantire la persistenza del legame tra i fratelli, il tutto al di là di egoistiche considerazioni di rivalsa tra i genitori o del lasso di tempo trascorso dall’adozione dei provvedimenti temporanei ed urgenti in sede di separazione.

Studio Legale Sugamele 27 febbraio 2017

Decreto www.divorzista.org/sentenza.php?id=13353

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AMORIS LÆTITIA

Il dibattito tra canonisti e la confusione tra “status quo” e “diritto divino”

Tra le cose che fin dall’inizio erano chiare – e che subito dopo la lettura di AL sono state segnalate – vi era l’effetto profondo che AL avrebbe fatto sul profilo e sulla identità non tanto del diritto canonico quanto dei canonisti. Solo pochi tra di loro, infatti, si sono resi conto della portata che AL avrebbe rappresentato non solo per pensare la tradizione canonica, ma per rivedere luoghi comuni e prassi acquisite della professione del canonista. Quel giudizio reciso –“è meschino”- che si legge all’inizio del n. 304 di AL, e che i canonisti competenti hanno letto con gusto e con piacere, è caduta come una doccia fredda sui canonisti che si sono cullati nella idea di poter sostituire Vescovi, pastori e moralisti nella identificazione della “prassi giusta” della Chiesa.

[304] È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano. Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare». [347] È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma. Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma metterebbe a rischio i valori che si devono custodire con speciale attenzione. [348]

Per comprendere che cosa sia in gioco, in questa svolta, vorrei brevemente rifarmi al dialogo avvenuto, su una Rivista scientifica, tra uno dei pochi canonisti che ha fatto propria in modo convinto la parola di papa Francesco sulla “Chiesa in uscita” e la risposta di un canonista indisponibile a questa parola, che si arrocca in modo piuttosto scomposto e poco accademico in una serie di ironie e di luoghi comuni che non fanno certo onore al suo titolo. Mi riferisco rispettivamente a Pierluigi Consorti (Pisa) e a Andrea Zanotti (Bologna), che sono intervenuti sulla rivista “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”, all’interno della Rubrica “A Chiare Lettere”. Tutto era cominciato da un articolo che il prof. Consorti aveva scritto per la rivista “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica” con il titolo “Per un diritto canonico periferico”, nel quale l’autore entrava in modo competente nelle prospettive di profondo rinnovamento che il pontificato di Francesco chiede e ancor più chiederà allo strumento legislativo, per accompagnare efficacemente una Chiesa in uscita. Lo strumento istituzionale deve diventare duttile, deve ripensare forme e contenuti, deve assecondare conversioni e riforme. Per farlo deve uscire dalla autoreferenzialità. Deve diventare disciplina critica e profetica.

www.rivisteweb.it/doi/10.1440/84602

Le ottime idee di Consorti sembrano bestemmie alle orecchie del canonista clericale. Perché il clericalismo non è pericoloso solo quando indossa il colletto romano, ma ancor più quando mette giacca e cravatta. Il prof. Zanotti, quando pretende di replicare a Consorti, non resiste alla intemperanza e sbotta.

www.statoechiese.it/index.php?option=com_content&task=view&id=902&Itemid=41

E purtroppo è evidente che il suo obiettivo polemico non è Pierluigi Consorti, ma Jorge Mario Bergoglio. E il giurista, contraddicendo la sua professione, infila, uno per uno, tutti i pregiudizi, le insolenze e i luoghi comuni antibergogliani che gli spiriti più reazionari abbiano saputo creare negli ultimi anni.

A beneficio del lettore ne elenco qui solo alcuni: la legge sarebbe, per il cristianesimo, quasi il cuore del Vangelo; l’incarnazione sarebbe il titolo con cui il giurista canonico paralizza la storia; il diritto divino, concluso nella rivelazione, sarebbe immodificabile e completo; la coerenza con la tradizione sarebbe la logica decisiva del canonista; e questa riposerebbe su una intelaiatura dogmatica solo da rispettare; papa Francesco non sembra nutrire simpatia per teologi e giuristi; egli contrapporrebbe misericordia a dogma e legge; addirittura userebbe due pesi e due misure tra affermazioni sulla collegialità e procedimenti assolutistici.

In queste considerazioni davvero scomposte anche un professore come Andrea Zanotti si permette di avvalorare il suo dire con “fonti scientifiche” di grande peso come le “voci di corridoio”. Così, sulla base di queste voci, che probabilmente lo stesso Zanotti ha provveduto a diffondere in perfetto stile clericale, egli si permette di mettere in discussione le nomine degli uffici di curia, le designazioni dei membri del Sinodo, le attribuzioni delle berrette cardinalizie. Così, nobilitando con il titolo di canonista il pettegolezzo degli esclusi di curia, Zanotti preferisce il mestiere del chiacchierone e del mormoratore a quello del professore. Ed è un vero scandalo che un professore ordinario dia credibilità alle “voci di corridoio” di insulto al papa, senza alcun controllo critico e cioè rinunciando al proprio mestiere.

Va aggiunto che altre forme di falsificazione Zanotti propone anche a proposito del Sinodo sulla famiglia, dove pur di gettar fango su Francesco, non esita a mentire sulla natura delle Esortazioni Apostoliche precedenti per screditare Amoris Laetitia, cui il fine giurista, accecato dalla rabbia reazionaria, attribuisce addirittura intenti di “destabilizzazione”.

Ma quale credibilità pensa di avere procedendo in questo modo? Potrà forse pensare che uno solo possa credere al suo uso disinvolto della opinione personalissima come se fosse “diritto divino”, al solo scopo di custodire uno “status quo” che egli sembra identificare con il Vangelo? A quali abissi di ignoranza della tradizione deve essere condizionata questa strana forma di arrogante competenza canonica? Che si indigna perché un papa gli complica gli schemini facili facili con cui spiegare come lucrare le indulgenze? Da quale sacrestia impolverata parla il nostro azzeccagarbugli tridentino?

Sarebbe questa la “parresia” di cui ha bisogno la Chiesa? O questa è semplicemente la arroganza intemperante di chi pensa la Chiesa come funzionale al diritto canonico e non viceversa?

A me sembra che questo scambio di idee, tra lo stile garbato e assennato di Consorti e la intemperanza e la maleducazione di Zanotti, sia un ottimo specchio dei tempi. E rappresenti, in modo significativo, una delle sfide più alte che il pontificato di Francesco ha messo in moto. La riforma della Chiesa ha sempre avuto i suoi oppositori. Oggi trova una opposizione forte e viscerale nella “lobby dei canonisti”. Non certo tutti, ma buona parte sono figli di una disperazione: hanno ritenuto di poter giuridicamente controllare la Chiesa, di renderla autoreferenziale, di chiuderla in un recinto e di addomesticarla alle ragioni borghesi dell’ordine pubblico. Francesco ha capito, con molta lucidità, che questo “potere dei canonisti” doveva essere fermamente ridimensionato. I canonisti lungimiranti sanno di poter restare decisivi solo in una Chiesa in uscita. I canonisti miopi pensano che una Chiesa in uscita farà a meno di loro. Il che è vero se pretendono di restarne immuni.

Non vi è dubbio che la sgangherata reazione di Zanotti al pontificato di Francesco dia molto da pensare. E anzitutto rimandi alla inadeguatezza di non pochi canonisti rispetto alla vita della Chiesa reale. E al bisogno che sentono di demonizzare ad oltranza ogni azione di papa Francesco, pur di difendere quello straccio di identità a cui hanno ridotto il diritto canonico.

Tanto più ammirevole mi sembra l’opera di ripensamento e di riabilitazione che del diritto canonico tentano giuristi autorevoli come Consorti, sia pure nel mare agitato di una disciplina in giusta evoluzione. E che AL costringe a un profondo “redde rationem”.

Andrea Grillo blog: Come se non 1 marzo 2017

www.cittadellaeditrice.com/munera/la-recezione-di-al-9-il-dibattito-tra-canonisti-e-la-confusione-tra-status-quo-e-diritto-divino

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CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF

Newsletter n. 8/2017, 1 marzo 2017

Ancora un video: Father and son. Una canzone sulla inevitabile fatica della relazione tra padri e figli. [Leggi il testo in inglese e una sua traduzione in italiano]. Scritta nel 1970 da Cat Stevens, e cantata da numerosi altri cantanti. La canzone ha una storia speciale (ispirata addirittura alla rivoluzione russa del 1917), così come Cat Stevens ha una propria storia speciale (con la conversione all’Islam e un nuovo nome, Yusuf Islam). Difficile che la sua musicalità non tocchi il cuore di chi l’ascolta, anche oggi, a quasi 50 anni di distanza. E chi ne ha ascoltato anche il testo non può non farsi coinvolgere dalla tensione tra le due voci, quella del padre e quella del figlio. Tensione che rimane non risolta, alla fine del brano, e che corrisponde all’intenzione dell’Autore. “Intervistato subito dopo l’uscita di ‘Father & Son’, Cat Stevens dichiarò come la canzone non fosse autobiografica, ma che il suo intento era di aprire gli occhi ad entrambe le parti in gioco.“ Alcune persone pensano che io stavo prendendo le parti del Figlio”, spiegò Stevens, “ma come avrei potuto cantare la parte del Padre se non fossi riuscito a comprenderlo?”. Tra le tante versioni ci ha colpito la Father and Son di Rod Stewart. www.youtube.com/watch?v=CpZD80bfDyo

Però vale la pena, ovviamente, di sentirla anche con l’inconfondibile voce di Cat Stevens.

www.youtube.com/watch?v=yERildSsWxM

La scelta di dj Fabo – Una lettera di don Vinicio Albanesi. «Caro Fabo, se ti avessi conosciuto prima, forse non avresti invocato la morte. Ti abbraccio». Fabiano Antonacci (dj Fabo) non tornerà più dalla Svizzera, dove è andato a chiedere di essere aiutato a smettere di vivere, rispettando tutti i protocolli formali per l’eutanasia lì previsti. Una scelta totalmente personale, trasformata da lui stesso in vicenda politica, con la lettera al Presidente Mattarella, e con la presenza di Marco Cappato e di tanti altri opinionisti più o meno famosi. Tutti a sottolineare che conquista di civiltà sia stata poter scegliere di morire. Non pretendiamo di commentare la vicenda – certamente triste, comunque una sconfitta. Però, tra le tante parole dette (forse troppe…), ci è piaciuto il sommesso invito di don Vinicio Albanesi, sul sito di Famiglia Cristiana, indirizzato a Fabiano prima che la decisione fatale venisse presa. Ci piacciono ancora, le parole di don Vinicio, perché non sono espressione di una teoria, né tantomeno un giudizio moralistico, ma provengono da una concreta esperienza quotidiana della prossimità alla sofferenza estrema, nella Comunità di Capodarco.

[Leggi la lettera di don Vinicio Albanesi e il dibattito attivato sul web].

www.famigliacristiana.it/articolo/dj-fabo.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_01_03_2017

Leggi anche, da Avvenire, la lettera di Matteo,19 anni, che “non parla, non cammina, non fa nulla da solo a causa di un’asfissia alla nascita. Ma all’uomo che chiede l’eutanasia dice (sfiorando una tastiera): ‘Noi possiamo pensare e il pensiero cambia il mondo'”.

www.avvenire.it/attualita/pagine/dj-fabo-non-andare-a-morire

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Cisf informa.La relazione di coppia oggi. Una sfida per la famiglia?” è il titolo dell’intervento del Cisf (Pietro Boffi) nell’incontro “Famiglia 2.0. Ricominciamo?“, promosso dal Movimento dei Focolari, Assisi/Santa Maria degli Angeli,18 marzo 2017.

Il caso Unar – Anddos. Un grave esempio di spreco di fondi pubblici. (23/02/2017) Molto clamore c’è stato attorno alle dimissioni di Francesco Spano, Direttore dell’Unar, a seguito della denuncia lanciata dalla trasmissione “Le Iene” su alcuni finanziamenti (oltre 55 mila euro) erogati all’associazione Anddos, che sarebbero stati destinati a promuovere/ospitare incontri sessuali anche a pagamento fra uomini gay, e a favorire la prostituzione. Un fatto triste da commentare, perché l’Unar è una struttura istituita per uno scopo meritorio: «Contrastare ogni forma di discriminazione fondata sull’appartenenza etnica e religiosa». [Leggi il testo integrale del commento del Direttore Cisf (Francesco Belletti)]

www.famigliacristiana.it/articolo/unar.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_01_03_2017

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Notizie –L’immagine della famiglia su Twitter. Un’analisi sociologica dalla Spagna (Las representaciones de la familia en Twitter: una panoramica desde la perspectiva de las virtudes sociales), di Víctor Manuel Pérez Martínez, Università di Saragozza (Spagna), pubblicato su Church, Communication and Culture Volume 1, 2016 – Issue 1. Questa interessante ricerca si basa sull’analisi di un campione di Tweet usciti in Spagna nel 2014 con l’ashtag “#familia”. “I risultati indicano l’importanza dell’argomento famiglia tra i contenuti postati su Twitter, la significativa presenza di valori antropologici, e la “pietas” come la virtù sociale maggiormente presente nei tweet […]”. www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/23753234.2016.1181303

STI (Social Trends Institute) è una rete internazionale indipendente di ricerca, senza scopo di lucro, che offre supporto istituzionale e finanziario al mondo universitario nelle diverse discipline, per progetti di ricerca e di riflessione sulla direzione e sul significato dei cambiamenti sociali emergenti, e sulle loro conseguenze sociali. Il sito è ricco di documentazione, rapporti di ricerca, eventi internazionali. Sempre sul sito è disponibile anche la lista di esperti che sono connessi alla rete di STI (diversi gli italiani).

www.socialtrendsinstitute.org

“L’emancipazione femminile vista attraverso i Giochi Olimpici” è il titolo della mostra itinerante che sarà aperta fino al 10 marzo 2017 a Torino, in concomitanza con la festa delle donne dell’8 marzo. Panathlon ha redatto anche una interessante “Carta dei doveri del genitore per lo sport” [Leggi], che può offrire stimolanti spunti di riflessione per tanti genitori che si trovano di fronte al non facile compito di accompagnare l’attività sportiva (amatoriale e/o agonistica) dei propri figli, spesso in età precoce.

www.cittametropolitana.torino.it/cms/comunicati/sport/campionesse-olimpiche-e-nella-vita-inaugurata-la-mostra-del-panathlon

Come parlare con i malati di Alzheimer. La proposta dell’approccio capacitante. Un corso di formazione a distanza (e-learning) che, oltre alle indicazioni teoriche mutuate dagli studi sull’ApproccioCapacitante®, offre la possibilità, tramite le esercitazioni proposte, i materiali forniti e le interazioni con il tutor e gli altri partecipanti, di sperimentare direttamente la possibilità di concretizzazione delle tecniche capacitanti nell’attività quotidiana, proponendo un cammino alla scoperta della ricchezza del conversare con un anziano smemorato e disorientato. [Formazione Erickson/Gruppo Anchise]

http://formazione.erickson.it/corsi_convegni/lapproccio-capacitante-nella-relazione-anziani-malati-alzheimer

============================================================================= Dalle case editrici- Foà Benedetta, Dare un nome al dolore. Elaborazione del lutto per l’aborto di un figlio, Effatà, Cantalupa (TO), 2014, pp. 187, € 13,00

Il titolo di questo volume rimanda scopertamente al punto di partenza di tutto, alla Genesi. Infatti, all’inizio della creazione, dopo aver formato gli animali con la polvere del suolo, Dio li presenta all’uomo affinché dia loro un nome. Dare un nome alle cose, agli animali, alle persone è quindi fondamentale, perché è il primo passo verso l’identità individuale. Dare un nome al dolore, allora, in questo caso assume un significato ancora maggiore: individua il problema. Se parlare dell’aborto di un figlio è difficile, è ancora più difficile riconoscere che per questa ragione stiamo vivendo un malessere.

L’autrice del volume – psicologa clinica, consulente, apprezzata conferenziera – intende così ricordarci che lo stress post-aborto è reale, anche se difficilmente individuabile, in quanto spesso si manifesta in modo subdolo: senso di vuoto, tristezza profonda, bassa autostima, incapacità di portare a termine le azioni, difficoltà relazionali, chiusura in se stessi. Cominciare a riconoscerlo, accettare che ci sia un problema, dargli il suo giusto nome è il primo, necessario passo verso la guarigione. Poi, il libro propone un percorso – denominato l’Esperienza Immaginativa – finalizzato a risolvere le conseguenze psicologiche che colpiscono chi ha nel proprio bagaglio esistenziale “un figlio mai nato”, un intervento terapeutico scientificamente validato per affrontare una sofferenza ancora troppo taciuta.

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SAVE THE DATE

Nord “Educare: speranza possibile”, incontro con Ezio Aceti, psicologo dell’età evolutiva, Parrocchia del Duomo, Alba (CN), 18 marzo 2017 ore 15.

Comunicare: gesti, emozioni, parole. Dialogo tra neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza e psicoanalisi del bambino e dell’adolescente: 4° giornata, incontro di formazione con crediti ECM organizzato da Ospedale Niguarda e Regione Lombardia, Milano, 11 marzo 2017.

Centro Con i genitori. Ricerca, clinica, interventi e politiche per promuovere lo sviluppo del bambino, II° Convegno Internazionale Transdisciplinare Brazelton, Roma, 17 -19 marzo 2017.

Sud Il nuovo tribunale della famiglia nel progetto di riforma, incontro promosso da Osservatorio Nazionale sul Diritto di Famiglia, Fondazione Scuola Forense, Avvocati di Famiglia-Sezione Territoriale di Taranto, Associazione Nazionale Magistrati-Corte d’Appello di Lecce –Sottosezione Taranto, Consiglio Dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, Taranto, Venerdì 28 Aprile 2017.

Testo completo http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/marzo2017/1029/index.html Archiviohttp://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Cremona. Attività e progetti.

  • Progetto Bodydidire la dimensione corporea nella relazione con sé e con l’altro. Progetto del Consultorio UCIPEM di Cremona-Fondazione ONLUS con il contributo di Fondazione Comunitaria Città di Cremona. Il progetto si propone di accompagnare gli adolescenti nella accettazione e valorizzazione della propria corporeità e di offrire agli adulti di riferimento occasioni di approfondimento e confronto, anche per accorgersi precocemente di segni di disagio.

  • Spettacolo Riflessi, inserito nel progetto Bodydidire. Lo spettacolo offre spunti di riflessione su temi legati alla crescita dei ragazzi, come la costruzione dell’identità, e su nodi problematici legati alla alimentazione, agli attacchi al corpo, all’utilizzo dei social media.

  • Genitori a confronto

  • Percorso pre-natale

  • Grandi e piccoli: crescere e sentirsi cresciuti – Percorso per genitori 3/6 anni 2017

  • Percorso per nonni 2017

  • Gruppo di sostegno per lutto 2017

www.ucipemcremona.it

  • Affettività Scuole Secondarie di secondo grado

  • Progetti Scuole Primaria

  • Progetti Scuole Secondarie di primo grado

  • Proposta adulti Scuole Secondarie di secondo grado

  • Relazionalità Scuole Secondarie di secondo grado

www.ucipemcremona.it/content/progetti

 

Padova. 4 iniziative per il 2017

Il Consultorio sta organizzando alcune iniziative con le seguenti tematiche

  • Vita di coppia (incontri per coppie con progetto di vita a due);

  • Nascita e oltre (incontri per neo-genitori);

  • Ho un adolescente in casa e… (incontri per genitori di adolescenti);

  • Improvvisamente soli (incontri per separati).

www.consultorioucipem.padova.it/index.php/iniziative-formative.html

 

Parma. Gruppo di incontro per persone in lutto

Tu che mi manchi tu che mi sorridi. La lenta e faticosa elaborazione del lutto per la perdita di una persona cara è un processo squisitamente personale che può manifestarsi in modo del tutto diverso a partire dal “modo di essere” di chi lo vive. Ciò nonostante il confrontarsi con chi fa esperienza dello stesso vissuto di perdita può aiutare a sviluppare una maggiore autoconsapevolezza e ridurre il sentimento di solitudine.

Scopo del gruppo Offrire a chiunque un luogo protetto e non giudicante in cui approfondire, legittimare ed elaborare i propri vissuti di fronte a Perdite più o meno recenti.

Conduttore dr Cecilia Sivelli, psicologa psicoterapeuta, si occupa di accompagnamento alla morte e supporto al lutto a Parma e presso l’Azienda Ospedaliera di Cremona.

www.famigliapiu.it

 

Portogruaro. Consultorio familiare Fondaco: percorsi formativi

  • Quando lo stress colpisce.

  • Menopausa (4 incontri)

  • La rabbia e la paura. Come gestirle in modo costruttivo?

  • Il perdono cristiano

  • Autostima

www.consultoriofamiliarefondaco.it/?page_id=14

Trento. “Spazio Ascolto” (consulenza psicologica) al Liceo Rosmini

Ogni lunedì pomeriggio dalle ore 14.30 alle ore 16.30, presso la scuola è attivato il servizio di ascolto e consulenza psicologica tenuto dalle dott. Tiziana Amichetti e Maria Vittoria Malossini del Consultorio familiare UCIPEM. E’ un’opportunità rivolta agli studenti che desiderano confrontarsi liberamente con persone esperte, esterne e indipendenti sia dalla famiglia che dalla scuola, su problemi personali, familiari, scolastici o di relazione. Il colloquio è personale e riservato; il servizio gratuito.

Possono usufruire del servizio anche i genitori, telefonando alla segreteria didattica per appuntamento o rivolgersi direttamente al Consultorio UCIPEM.

http://rosmini.eu/spazio-ascolto

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DALLA NAVATA

1° Domenica di Quaresima – Anno A – 5 marzo 2017

Genesi 03, 05. Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangereste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male.

Salmo 51, 06. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto.

Romani 05, 19. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.

Matteo 04, 01 In quel tempo Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo.

Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).

La lotta contro le tentazioni

Nel tempo di Quaresima (annata A) le tre letture sono parallele, o meglio illustrano il tema della storia della salvezza, nelle sue tappe riassunte nelle parole e nei gesti di Gesù. In questa prima domenica le letture convergono sulla tentazione vissuta da ogni umano in Adamo ed Eva, personalità corporative e simboliche. La tentazione viene dal demonio, il serpente antico, ma si insinua nel cuore umano come seduzione quando si instaura un rapporto con ogni realtà. Appena l’essere umano si mette in relazione con una realtà, è tentato di divorarla, di possederla, di dominarla, senza riconoscere il limite naturale e cercando di non cogliersi come creatura ma creatore di se stesso. Da qui la caduta, il peccato, la scelta di una strada che è mortifera. Nel vangelo Gesù, nuovo e ultimo Adamo, subirà la stessa tentazione, ma trionferà vincendo Satana. Con questa certezza di fede l’Apostolo Paolo, nella Lettera ai Romani, traccia il parallelo tra il primo Adamo, l’umano nella sua qualità storica, e l’Adamo ultimo e definitivo, Gesù, che, sconfitto il peccato e la morte, dona gratuitamente a tutta l’umanità la giustificazione, cioè la salvezza, e quindi la pienezza della vita inaugurata dalla sua resurrezione. All’uomo disobbediente si contrappone l’uomo Gesù, “obbediente fino alla morte e alla morte di croce”, ma esaltato e glorificato da Dio (cf. Fil 2,8-9) per la sua vita donata e spesa nell’amore (cf. Gv 13,1).

 

Il tempo della Quaresima è un tempo di prova, di lotta, di resistenza alle tentazioni che ci assediano, è un cammino nel deserto orientato al dono di Dio, all’incontro con lui. Per questo nella prima domenica di questo tempo liturgico ci viene svelata la realtà della tentazione subita da ogni essere umano, subita da Gesù stesso, anche lui “figlio di Adamo” (Lc 3,38). Significativamente, la Lettera agli Ebrei ci svela che “Gesù stesso è stato messo alla prova (pepeirasménos) in ogni cosa come noi, senza cadere in peccato” (Eb 4,15). Dunque ha vinto le tentazioni, ma non è stato esente da esse, perché nella sua umanità vera e concreta c’era la fragilità, la debolezza della “carne” (sárx).

I vangeli non temono di presentarci un Gesù tentato dal demonio, dall’avversario, Satana, potenza che induce l’uomo al male, cioè a contraddire la volontà di Dio: ciò avviene per Gesù nel deserto, subito dopo il battesimo, poi molte altre volte durante la sua missione e infine sulla croce. Il vangelo secondo Marco attesta che, dopo che Gesù ha ricevuto l’immersione nel Giordano da parte di Giovanni il Battista, “subito lo Spirito lo spinse nel deserto, dove rimase quaranta giorni, tentato da Satana” (Mc 1,12-13): continuamente tentato! Sulla base di questa testimonianza Matteo e Luca (cf. Lc 4,1-13) cercano di darci una descrizione, una narrazione di ciò che avvenne, una messa in scena di eventi vissuti da Gesù interiormente – potremmo dire nel profondo del suo cuore e quindi della sua coscienza –, di prove che coinvolgevano l’intera sua persona, corpo e spirito.

Per Matteo e Luca le tentazioni sono riassumibili in tre momenti, in tre assalti di Satana. Istruiti dalle scienze umane, oggi sappiamo leggere queste tre prove come resistenza alle tre libidines fondamentali che ci abitano: libido amandi, libido dominandi e libido possidendi. Sono le tentazioni cui è soggetta l’umanità intera, come esprime bene il libro della Genesi quando dice che l’essere umano “vide che l’albero” che non doveva essere mangiato “era buono da mangiare, appetitoso alla vista e bramato per ottenere potere” (Gen 3,6). Quando noi umani entriamo in relazione con le realtà di questo mondo, sentiamo forze, bisogni, brame che si scatenano in noi e che, se non vengono dominate, ci impediscono di riconoscere la presenza degli altri e di Dio, fonte di ogni dono. Anche Gesù, uomo come noi – e non dovremmo scandalizzarci per questo, né dubitare della sua identità di Figlio di Dio, Parola fatta carne (cf. Gv 1,14) – non è stato esente dalle tentazioni, non le ha rimosse, ma le ha attraversate misurandosi con esse, e così vincendo Satana con la sua volontà e con la forza della parola di Dio. Senza dimenticare che nel racconto di Matteo vi è anche l’allusione al popolo di Israele che, uscito dall’immersione nel mar Rosso, percorre il cammino nel deserto, ritmato da tre eventi, da tre tentazioni (cf. Es 16; 17; 32) nelle quali il popolo soccombe, cadendo in peccato.

Gesù, pieno di Spirito santo (cf. Mt 3,16), dallo stesso Spirito viene condotto nel deserto, ed ecco manifestarsi la tentazione, quando la fame si fa sentire dopo quaranta giorni di digiuno: “Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane”. Se egli è davvero Figlio di Dio, come l’ha definito la voce venuta dal cielo durante il battesimo (cf. Mt 3,17), allora – gli suggerisce il tentatore – può sfuggire alla condizione umana che ha assunto e soddisfare la fame non come ogni uomo, procurandosi il cibo con la fatica e il lavoro, ma semplicemente facendo ricorso al suo potere. Non è un caso che la tentazione prima, quindi primordiale, riguardi il mangiare, la dimensione dell’oralità. Su questo terreno l’uomo e la donna sono stati tentati e sono caduti (cf. Gen 3,1-7), perché qui è in gioco l’amore egoistico per noi stessi, la philautía. Trasformare magicamente le pietre in pane per sfuggire alla fame è un sogno di onnipotenza: l’uomo affamato è tentato di non riconoscere più gli altri, di non pensare alla condivisione, alla solidarietà, alla comunione. Esistere per se stessi: questa è la tentazione radicale che porta a ignorare gli altri e a non riconoscere più il dono di Dio.

Questa prima tentazione può anche essere letta a un livello politico. Gesù è tentato di mutare le pietre in pane per compiere un’azione prodigiosa agli occhi dell’umanità: se è lui il Salvatore, potrà estinguere la fame del mondo in modo radicale e immediato, potrà farsi riconoscere e acclamare come liberatore. Non a caso, altrove la folla sarà disposta a farlo re se egli le procurerà del pane (cf. Gv 6,11-15.26). È bene ricordare, al riguardo, la rilettura di questa tentazione fatta da Fëdor Dostoevskij, nella “Leggenda del grande inquisitore: “Vedi queste pietre nel deserto nudo e infuocato? Mutale in pane e l’umanità ti seguirà come un gregge docile e riconoscente”. No, Gesù è il Figlio di Dio che, nel farsi uomo, si è spogliato delle sue prerogative divine, e resta sempre fedele a questa sua condizione. Perciò non compie il miracolo, ma risponde al demonio: “Sta scritto: ‘Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio’ (Dt 8,3)”. In tal modo egli afferma che la fame di pane è indiscutibile, ma la fame della parola di Dio è ancora più vitale, più essenziale del soddisfare la brama di cibo. Vi è qui la testimonianza della fede di Gesù nella parola di Dio, della sua obbedienza puntuale al Padre, della sua resistenza alla tentazione fino alla vittoria.

Segue la seconda tentazione: “Il diavolo lo pose sul punto più alto del tempio” di Gerusalemme, la città santa dove tutti i figli di Israele salgono e sono radunati. Gesù è all’inizio della sua missione: cosa può inaugurarla in modo più efficace che un segno, un miracolo, un’autoesaltazione pubblica, di fronte a tutti? Se egli si butta dall’alto del tempio e, quale Figlio di Dio, è miracolosamente sorretto e sostenuto dagli angeli, allora la rivelazione della sua identità si imporrà a tutti ed egli sarà acclamato come Messia di Dio. Mostri chi è, faccia vedere che lui è Dio in mezzo al suo popolo, perché questa è la domanda degli increduli di ogni tempo: “Dio è in mezzo a noi sì o no?” (Es 17,7). Questa tentazione che Gesù sente emergere in sé sarà risvegliata tante volte dai suoi ascoltatori: “Mostraci un segno dal cielo e crederemo!” (cf. Mt 12,38; 16,1; 24,3). Vi è qui la suggestione di essere Messia secondo le immagini e i pensieri umani, ma Gesù ha scelto di essere un Messia al contrario: debole, povero, umiliato, rigettato; un Messia servo, non un padrone potente!

Al tempio, il luogo della religione, avviene la tentazione somma: se Gesù è Figlio di Dio, allora non conoscerà la morte, non sarà toccato da essa. Per fargli balenare questo miraggio, il demonio ricorre alla citazione della Scrittura (cf. Sal 90,11-12), distorcendola e strumentalizzandola contro Dio. La promessa di protezione annunciata da Dio al credente nel salmo, dovrebbe realizzarsi come epifania di potenza del Messia, come esenzione per lui dalla sofferenza e dalla morte, come onnipotenza… Ma Gesù, che è venuto a dare la sua vita per amore di tutti noi umani (cf. Mt 20,28), che è venuto nella povertà e nell’umiltà del servo di Dio, non può accogliere questa suggestione, che sfigurerebbe l’immagine di Dio, e allora, richiamando la parola di Dio, getta in faccia al demonio lo “sta scritto”: “Non tenterai il Signore Dio tuo” (Dt 6,16). Non si mette alla prova di Dio, ma si accetta di essere messi alla prova. Finché è in mezzo a noi, Gesù vuole restare umanissimo, senza poteri divini, per questo rimarrà fedele al Padre fino alla fine, senza mai cedere alla tentazione di negare o mitigare la sua condizione umana, assunta per condividerla con noi, per esistere con noi, per conoscere la nostra debolezza e presentarla come sua al Padre.

Viene infine la terza e ultima tentazione: sconfitta la libido dominandi, entra in azione la libido possidendi. Questa volta Gesù è condotto dal diavolo su un alto monte, dal quale contempla la terra e tutto ciò che contiene, tutta la sua ricchezza, i regni nelle mani dei governanti di questo mondo, la gloria che essi ostentano. Gesù in verità è un Re, il Re dei giudei, è il Messia, il Re unto, il capo del suo popolo, dunque anche a lui spettano ricchezza e gloria. Li può possedere, ma a una condizione: deve adorare il demonio, il principe di questo mondo. Spetta a Gesù scegliere: o diventare un servo di Satana o restare un servo di Dio. Da una parte onore, potere, gloria, ricchezze; dall’altra povertà, servizio, umiltà. Nel vangelo secondo Luca il demonio completa questa tentazione con un’ulteriore parola: “A me sono state date tutte le ricchezze di questo mondo e io le la do a chi voglio” (cf. Lc 4,6). Sì, chi tiene in mano le ricchezze di questo mondo è il demonio, e dunque chi accumula ricchezze, anche a fin di bene, e non le condivide, non le depotenzia dell’arroganza insita in esse, lo voglia o no, è un amministratore di Satana!

In questo rifiuto di Gesù è contenuta tutta l’assunzione della povertà come logica di abbassamento, di umiltà: “colui che era ricco si è fatto povero per noi” (cf. 2Cor 8,9), “colui che era nella condizione di Dio, si è spogliato fino a diventare schiavo” (cf. Fil 2,6-7). Sappiamo quello che Gesù ha potuto dire proprio dopo aver attraversato questa tentazione: “Non potete servire Dio e Mammona” (Mt 6,24). Ecco perché la parola di Dio invocata da Gesù come comando radicale e definitivo è: “Adorerai il Signore Dio tuo, e a lui solo renderai servizio” (Dt 6,13). In questo modo Gesù ci lascia anche una traccia da seguire quando siamo tentati. Al sorgere della tentazione, non si deve entrare in dialogo con Satana, non si deve indugiare nell’ascolto della seduzione, magari confidando nella propria forza. No, occorre solo ricorrere alla parola di Dio, invocare il Signore, non cedere a nessun dialogo con il male, ma allontanare il tentatore con la forza di Dio. È così che Gesù scaccia il demonio (“Vattene, Satana!”), quale vincitore del male e delle tentazioni; e lo fa attraversandole, per essere in grado di “avere compassione, di patire insieme a noi (sympathêsai) le nostre debolezze” (Eb 4,15). Proprio come si legge nella vita di Antonio, il padre dei monaci. Sfinito dalla lotta vittoriosa contro le tentazioni, egli vede il Signore in un raggio di luce e gli chiede: “Dov’eri? Perché non sei apparso fin dall’inizio per porre fine alle mie sofferenze?”. E si sente da lui rispondere: “Antonio, ero qui a lottare con te”.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11257-la-lotta-contro-le-tentazioni

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DIACONATO

9 tesi a favore dell’istituzione del diaconato femminile come servizio

Diaconesse al femminile. Mentre proseguono i lavori della Commissione di studio voluta da Papa Francesco, avanzano nuove tesi a supporto della possibilità di istituirlo. A parlarne è Don Vinicio Albanesi in “Il diaconato alle donne? E’ possibile!” (Àncora editrice).

Ma facciamo un passo indietro. Il Papa accennò all’opzione diaconesse durante l’udienza all’Unione internazionale Superiore generali (Uisg), ricevute in Vaticano (Aleteia, 12 maggio 2016).

Dopo il netto pronunciamento di Giovanni Paolo II, che in risposta alle aperture anglicane con la lettera «Ordinatio sacerdotalis» (1994) negava categoricamente la possibilità del sacerdozio femminile nella Chiesa cattolica, era stato il cardinale Carlo Maria Martini, a parlare della possibilità di studiare l’istituzione del diaconato per le donne, non menzionata nel documento papale. L’allora arcivescovo di Milano disse: «Nella storia della Chiesa ci sono state le diaconesse, possiamo pensare a questa possibilità».

Alcuni storici della Chiesa antica fecero notare che le donne erano ammesse a un particolare servizio diaconale della carità che si differenzia dal diaconato odierno inteso come primo grado del sacerdozio.
Secondo una tradizione antichissima, il diacono in realtà veniva ordinato «non al sacerdozio, ma al ministero»

Su La Civiltà Cattolica, spiega, padre Giancarlo Pani: «Come mai – l’interrogativo di fondo che percorre la riflessione e l’attuale dibattito in corso – la Chiesa antica ha ammesso alcune donne al diaconato e perfino all’apostolato? E perché poi la donna è stata esclusa da tali funzioni?».

Nei Vangeli, osserva Pani, «Gesù parla in pubblico con donne, un comportamento ritenuto all’epoca poco dignitoso per un maestro», le difende, e affida a Maria Maddalena «il primo messaggio della risurrezione, su cui si fonda il cristianesimo». Dall’analisi della “letteratura cristiana” dei primi secoli emerge, secondo l’autore dell’articolo, un «protagonismo ecclesiale» al femminile non durato a lungo e «riassorbito probabilmente dalla tradizione giudaica».

In Oriente, afferma, «vengono ordinate diaconesse nei conventi femminili. Ancora oggi le Chiese ortodosse hanno ‘diaconesse ordinate’, un istituto che non è stato mai abolito» (Agensir, 26 gennaio).

Discussione incartata” Nove tesi a supporto del diaconato femminile. Le sostiene Don Vinicio Albanesi in “Il diaconato alle donne? E’ possibile”. «La discussione sulla possibilità di conferire il diaconato alle donne si è incartata – premette Albanesi – da una parte, sulla ricerca storica che si è affannata a capire se, in alcuni periodi della vita della Chiesa e in alcuni luoghi, siano state ordinate donne diacono; dall’altra, sulla sponda teologica perché, avendo legato il diaconato al sacramento dell’ordine (riservato agli uomini anche in base ai pronunciamenti magisteriali recenti), le donne ne dovrebbero rimanere escluse».

Allora vediamo nel dettaglio i nove motivi che giustificano, secondo Albanesi, l’istituzione del diaconato alle donne.

  1. Incertezze sulle antiche diaconesse. Rispetto al primo nodo – la ricerca storica – gli studiosi non sono affatto concordi. Nel primo millennio emergono alcune figure chiamate diaconesse. I pochi testi disponibili sono interpretati in modo assai diverso: si fa riferimento o a un titolo onorifico in qualche modo attribuito a vedove e altre figure femminili particolari ed eminenti; o a donne che svolgevano un vero e proprio «ministero ecclesiale», riconosciuto anche formalmente. Anche se sono ordinate, in spazi e tempi limitati, a loro è negata l’amministrazione del battesimo e soprattutto non possono «insegnare». Aiutano nella liturgia in riferimento al battesimo delle donne adulte. Si occupano dell’assemblea domenicale con particolare riferimento alle donne; aiutano chi sta in difficoltà, senza per questo essere annoverate nella gerarchia. Hanno un ruolo più significativo nei cerchi ristretti dei monasteri. Probabilmente alcune vedove di alto rango hanno il titolo onorifico di diaconessa. In attesa di ulteriori approfondimenti la discussione non porta a risultati certi.

  2. Il sacramento dell’ordine e le donne. Rispetto al secondo nodo, nel secondo millennio si mette a punto la teologia del sacramento dell’ordine, si riprende la figura del diacono e la si colloca all’interno del sacramento, come primo gradino di accesso al sacerdozio ministeriale. Nell’ipotesi però che il diaconato permanente sia un ministero, non sussiste alcun problema di conferirlo alle donne. L’esclusione delle donne è dalla funzione sacerdotale e non dai ministeri: così hanno decretato la Congregazione per la dottrina della fede del 1976 e la Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II: Dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli. Non è citato il diaconato perché la funzione diaconale è destinata non al sacerdozio, ma al servizio: concetto che ha origine dalle prime testimonianze post apostoliche, senza alcuna eccezione. Lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica sottolinea la differenza tra il sacerdozio e il diaconato. Ma anche nel caso che si continuasse a seguire la dottrina prevalente del diaconato come grado del sacramento dell’ordine, esso potrebbe essere comunque conferito alle donne, con la proibizione di accedere al sacerdozio. Il diaconato permanente è infatti diverso dal diaconato transitorio finalizzato al sacerdozio.

  3. Le Badesse. Riflettendo sulla prassi della Chiesa, alle badesse dei monasteri femminili «esenti» vengono riconosciute funzioni che possono essere messe in relazione con le funzioni diaconali. In questo caso non nei confronti di terzi, ma nella vita del monastero. Gli esempi sono molti. La Regola di santa Chiara (clarisse), approvata da Innocenzo IV il 9 agosto 1253, è un esempio concreto di come una semplice battezzata e religiosa abbia funzioni che riguardano la vita interna del monastero nei confronti di tutte le consorelle, con poteri eccezionali se paragonati a quelli esercitabili in una «normale» comunità di fedeli da una figura analoga. La badessa è eletta dalle consorelle; decide dell’ammissione di un’aspirante alla vita monastica; riprende chi sbaglia; può addirittura comminare delle pene. Gli esterni, compresi i sacerdoti, non hanno interferenze nella vita del monastero e possono svolgere le sole funzioni sacerdotali.

  4. Partecipazione intima e familiare. Nulla osta dunque perché le donne possano accedere al ministero del diaconato, con tutti i diritti e i doveri propri dei diaconi di genere maschile, esercitando tutte le funzioni in ambito liturgico, catechetico, di governo, nel rispetto delle funzioni inerenti il diaconato. Anche oggi, d’altra parte, le donne partecipano in qualche modo al ministero diaconale, visto che il diacono coniugato ha bisogno del consenso della moglie all’ordinazione. Ciò significa una partecipazione intima e familiare a un ministero ecclesiale.

  5. Il nome. Nell’eventualità di un’ordinazione diaconale alle donne si pone il problema di come chiamarle. Il greco del Nuovo Testamento conosce la parola diakonos, che è sia maschile sia femminile. Il corrispondente latino è la coppia minister/ministra, ma in ambito ecclesiastico si preferì traslitterare in diaconus, parola di genere maschile. Il termine greco diakonissa, attestato dal III-IV secolo, si affiancò al più antico diakonos senza soppiantarlo, dando origine al termine latino diaconissa. È opportuno scegliere oggi un nome da attribuire. Fino ad ora si è preferita la parola «diaconessa». Nulla impedisce che si possa optare per «diacona», seguendo la recente tendenza della lingua italiana a inventare, quando non esiste, un femminile senza suffissi percepiti come sessisti da affiancare al maschile: esempi sono il prefetto/la prefetta; il sindaco/la sindaca; l’assessore/l’assessora.

  6. Le funzioni. Sono le stesse che competono ai diaconi uomini: in liturgia, nella catechesi, nel governo della Chiesa. Il superamento della distinzione dei generi è già in atto nella prassi ecclesiale. Il diaconato rafforza e amplifica quanto già previsto dalle norme vigenti per il fedele cristiano. Facendo un piccolo sforzo di immaginazione si può intravedere l’impegno delle diacone:

• nella liturgia eucaristica presieduta dal presbitero,

• nelle liturgie senza presbitero, dove è assente la celebrazione eucaristica,

• nelle benedizioni,

• nella ricerca teologica, biblica e morale,

• nella catechesi e nell’insegnamento,

• nei movimenti e nelle aggregazioni ecclesiali,

• nei monasteri,

• nelle parrocchie,

• nelle comunità rurali disperse,

• nella diffusione dell’evangelizzazione,

• nelle opere di carità,

• nelle mansioni di governo della diocesi,

• nella gestione degli enti legati direttamente o indirettamente alla Chiesa.

Non si tratta di venire incontro a spinte laiciste o peggio alla clericalizzazione dei fedeli, ma di favorire la partecipazione all’unica missione, propria di ogni cristiano, di proporre il Vangelo a tutte le creature.

7) La preparazione. Fino ad oggi, per disposizione delle Conferenze episcopali, si è molto insistito su uno schema di preparazione al diaconato preso sostanzialmente a prestito dalla formazione dei candidati al sacerdozio: dottrina cristiana, formazione liturgica, atteggiamenti e comportamenti esteriori.

Con l’ingresso delle donne al diaconato è opportuno partire dalla storia personale e vocazionale di ciascuna donna. Si possono indicare sei grandi filoni di caratterizzazione:

  1. Religiose e monache,

  2. Catechiste e insegnanti,

  3. Studiose e ricercatrici,

  4. Madri di famiglia,

  5. Donne dedite alla carità,

  6. Donne capaci di gestione.

Per ognuna di esse si aprono campi caratteristici della loro storia. C’è differenza tra una monaca e una madre di famiglia. La prima, con il diaconato, guida alla vita contemplativa o comunitaria, la seconda è «esperta» di dimensioni familiari, sia genitoriali che coniugali. Così vale analogamente per chi è capace di ricerca, di catechesi, di gestione. Si tratta, in ultima analisi, di invertire l’approccio di preparazione. È evidente che sono necessari i fondamenti dottrinali e liturgici, ma è impensabile pensare a una formazione, con lo schema ora vigente, del «perfetto» candidato al diaconato (e quindi al sacerdozio). Gli infiniti documenti che «guidano» il diaconato debbono lasciare spazio alle «vocazioni», che sono tutte di servizio, ma con vissuti molto differenti tra loro e che risulteranno utili alla vita complessa del popolo di Dio.

8) Dignità e santità da recuperare. È giunto il momento di rompere questo accerchiamento. La donna, nella sua specificità, ha valore quanto l’uomo. La sua dignità e santità va recuperata. Ciò può essere fatto anche concedendo a donne chiamate e preparate il diaconato. Ciò non intacca la dottrina odierna della Chiesa sul sacramento dell’ordine, ma offre una prospettiva che ben si sposa con le indicazioni del Concilio Vaticano II, che chiama tutti i fedeli battezzati a costruire la Chiesa santa.

9) Un sinodo sulle orme di Paolo. L’apertura al diaconato femminile potrebbe significativamente avvenire nel contesto di un Sinodo che affronti il tema della «Chiesa madre». Sarebbe il luogo adatto per ripensare il valore della testimonianza e del servizio di tutti i battezzati, valorizzando in particolare la grandezza della vita di molte donne e di molte sante. Non è una sfida, ma il frutto di una doverosa riflessione sul popolo di Dio, guidati dalle parole di Paolo: Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal 3, 26-28).

Gelsomino Del GuercioAleteia2 marzo 2017

http://it.aleteia.org/2017/03/02/9-tesi-favore-diaconato-femminile-vinicio-albanesi

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FAMIGLIA

Chiese d’Asia: le sfide per le famiglie.

«La famiglia cattolica in Asia: Chiesa domestica dei poveri in missione di misericordia», era il tema della XI Assemblea plenaria della Federazione delle conferenze episcopali d’Asia (FABC). Il Documento finale che l’assise, svoltasi a Colombo, in Sri Lanka, dal 28.11 al 4.12.2016, ha approvato e consegnato alle Chiese del continente ne sviluppa i concetti-chiave in direzioni molteplici, tenendo conto tanto della condizione di minoranza delle famiglie cattoliche nella maggior parte dei paesi asiatici, quanto dei difficili contesti etnico-culturali, economici e sociali nei quali esse si trovano a vivere (I parte). Dopo una riflessione alla luce della fede (II parte), si trovano, dettagliatamente articolate, le risposte alle sfide pastorali (III parte), che vanno dall’estremismo religioso alle migrazioni interne, e dal colonialismo ideologico al cambiamento climatico. Le raccomandazioni finali (IV parte) si rivolgono infine alla vita interna delle Chiese: come orientare in senso integrale e non settoriale un «ministero della famiglia». Pubblichiamo qui la I parte; testo completo in Regno-doc. 3,2017, 113 (red.).

 

Allegato Il Testo Federazione delle conferenze episcopali d’Asia

Blog de Il Regno sui Sinodi dei vescovi 3 marzo 2017

www.lindicedelsinodo.it/2017/03/chiese-dasia-le-sfide-per-le-famiglie.html#more

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Il Forum? Una nuova prospettiva.

Gianluigi De Palo, presidente Forum delle associazioni familiari, interviene sabato 11 marzo 2017, ore 10-12 a Bologna. Istituto Veritatis Splendor, via Riva di Reno 57.

http://www.forumfamiglie.org/2017/03/03/il-forum-una-nuova-prospettiva.

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MATRIMONIO

Il divieto di licenziamento vale anche per l’uomo

Per il Tribunale di Vicenza la lacuna della normativa italiana va colmata in via interpretativa scritta oggi sposi appesa a due alberi. L’articolo 35 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna dispone il divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio. Sebbene la lettera della norma parli di licenziamento della dipendente, però, deve ritenersi che il divieto operi anche nei confronti del lavoratore uomo.

A dirlo è il Tribunale di Vicenza che, con una recente ordinanza pubblicata dalla sezione lavoro, ha precisato che la predetta lacuna di disciplina vada necessariamente colmata in via interpretativa per evitare delle discriminazioni alla rovescia e tenendo conto del fatto che i benefici connessi alla genitorialità si sono estesi negli ultimi anni in maniera sempre maggiore anche ai papà.

Peraltro, come chiarito qualche tempo fa dalla Costituzione, il diritto che il divieto espulsivo va a tutelare è quello a formarsi una famiglia, che spetta tanto agli uomini quanto alle donne in eguale misura ed è tutelato dall’articolo 31 della Costituzione.

Nel caso di specie era indubbio che il licenziamento era avvenuto in corrispondenza con le nozze, poiché era stato comminato nell’arco temporale che va dalla richiesta di pubblicazioni di matrimonio sino a un anno dopo la sua celebrazione. Oltretutto, in giudizio era mancata anche la prova del giustificato motivo oggettivo del recesso, dato che non era stato dimostrato che una volta cessato il contratto di outsourcing il dipendente non poteva continuare a svolgere le sue mansioni nell’ambito di servizi diversi svolti dalla medesima associazione di categoria presso la quale prestava servizio.

L’uomo va quindi reintegrato nel suo posto di lavoro e risarcito del danno subito in conseguenza del recesso, secondo i parametri posti dalla normativa avverso i licenziamenti illegittimi.

Avv. Valeria Zeppilli Newsletter giuridica studio Cataldi.it 27 febbraio 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25243-matrimonio-il-divieto-di-licenziamento-vale-anche-per-l-uomo.asp

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NULLITÀ DEL MATRIMONIO

Per la Cassazione la convivenza coniugale non è rilevabile d’ufficio dai giudici italiani.

Corte di cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 5250, 1 marzo 2017

La Chiesa dichiara la nullità del matrimonio. La convivenza triennale come coniugi, quale situazione giuridica di ordine pubblico ostativa alla delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio, è oggetto di un’eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio, né opponibile dal coniuge, essendo caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, adempimento di doveri e assunzione di responsabilità di natura personalissima.

News Studio Sugamele 3 marzo 2017

Sentenzawww.divorzista.org/sentenza.php?id=13358

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OMOGENITORIALITÀ

Gemelli a coppia gay: sì a due padri

Corte d’Appello Trento, prima Sezione, ordinanza 23 febbraio 2017

I minori hanno il diritto a conservare nei confronti del “secondo padre” lo status di figli loro riconosciuto in un Paese straniero per effetto del provvedimento giudiziario legittimamente emesso in quello Stato. Per la prima volta, dunque, viene riconosciuta anche in Italia a due uomini – uno padre biologico e l’altro no – la possibilità di essere considerati entrambi padri di due gemelli nati negli Usa grazie a una maternità surrogata. È questo il senso innovativo dell’ordinanza emessa il 23 febbraio 2017 dalla Corte d’appello di Trento (sezione prima, presidente relatore Maria Grazia Zattoni) che ha definito il giudizio con il quale si chiedeva il riconoscimento di una sentenza straniera in modo da superare il diniego alla trascrizione del nominativo del partner non padre biologico indicandolo come «secondo padre». L’ufficiale di stato civile italiano aveva infatti respinto la richiesta di inserimento nello stato civile ritenendo «contrario all’ordine pubblico il provvedimento…asserendo che in base alla normativa vigente, i genitori devono essere di sesso diverso».

L’ordinanza di Trento ha affrontato in prima battuta la questione degli interventi del Procuratore generale e del ministero dell’Interno che avevano espresso in giudizio la loro contrarietà all’accoglimento della domanda. Il primo aveva eccepito l’incompetenza della Corte di Trento e richiamato la vigenza della legge Cirinnà che non consentirebbe un’interpretazione nel senso favorevole;?il ministero osservava come «in assenza di alcuna relazione biologica fra il (secondo) padre ed i minori, discendenti biologici solo del primo, la pretesa di riconoscimento a tutti gli effetti della piena qualifica di padre dei minori, in aggiunta ed in concorso con il padre biologico, contrasta con l’ordine pubblico, poiché le norme codicistiche sulla filiazione evidenziano come nell’ordinamento italiano ai fini della definizione del concetto giuridico di padre assuma decisivo rilievo l’elemento della discendenza genetica».

Entrambi gli interventi sono stati ritenuti non meritevoli di accoglimento. La Corte d’appello di Trento ha infatti affermato come «esclusivo oggetto del presente procedimento…il riconoscimento della efficacia nell’ordinamento italiano» del provvedimento emesso dal giudice straniero – che ha riconosciuto e accertato l’esistenza di una «relazione di genitorialità» tra i due minori e il padre non biologico. La successiva specifica «dell’ordinare all’ufficiale di stato civile del comune…di trascrivere» – a parere della Corte costituisce solo una mera conseguenza che non ha introdotto un giudizio di «opposizione al rifiuto dell’Ufficiale di stato civile»; diversamente sarebbe cambiata la competenza a favore di un altro Tribunale e sarebbe stata pienamente legittima la posizione del ministero che, al contrario, il mero giudizio di efficacia della sentenza straniera ha impedito.

Sgombrato il campo dagli interventi, andava solo verificato se sia consentito rendere efficace nel nostro ordinamento il provvedimento straniero che riconosce una relazione di genitorialità fra il padre non biologico e i figli biologici del partner.

La Corte conclude che il mancato riconoscimento dello status filiationis nei confronti del padre non biologico determinerebbe un evidente pregiudizio per i minori, che non vedrebbero riconosciuti in Italia tutti i diritti che a tale status conseguono. Per il giudice triestino la tutela di questo principio supera ogni richiamo anche al divieto della procedura dell’utero in affitto perché «la rilevazione della difformità della pratica fecondativa per effetto della quale sono nati i minori – rispetto a quelle ritenute lecite dall’attuale disciplina della Pma (utero in affitto ndr), non potrebbe determinare la negazione del riconoscimento ai minori dello status filiationis legittimamente acquisito all’estero».

http://www.diritto.it/docs/612616-corte-d-appello-di-trento-sez-i-ordinanza-del-23-2-2017?tipo=content

Giorgio Vaccaro il sole24ore 1° marzo 2017

www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2017-02-28/gemelli-coppia-gay-si-due-padri-204546.shtml?uuid=AET5CKf

 

«Aggirati divieti fondamentali Così a pagare saranno i più piccoli»

Lucetta Scaraffia non cerca nemmeno le parole: «Non ne ho per commentare, sono rimasta senza». La sua è una logica stringente: «In Italia l’utero in affitto è vietato, così come è vietata la filiazione tra due uomini (o tra due donne). E dunque? Cosa ha fatto la Corte d’Appello di Trento con la sua sentenza?». Storica, giornalista, un’educazione molto cattolica, poi una virata verso le battaglie femministe in quegli anni — i Settanta — in cui contestare era un imperativo categorico, quindi un ritorno verso il cattolicesimo. «I figli nascono da un uomo e da una donna. Questi due gemelli della sentenza, invece, adesso risultano figli di due donne, per via della maternità surrogata, e di due uomini. Non capisco». Non capisce Lucetta Scaraffia come sia possibile che siano i giudici a inventarsi le regole per leggi che in Italia non ci sono, ed è inutile chiedere come avrebbero dovuto comportarsi davanti al fatto compiuto, ovvero che quei bambini avevano vissuto già da sei anni con due padri, all’estero. «Potevano continuare a vivere tutti quanti all’estero», risponde d’impeto. Poi ci riflette: «I giudici avrebbero dovuto riconoscere soltanto il padre biologico. E l’altro magari farlo tutore, se ha vissuto sempre con i bambini». E Lucetta Scaraffia ha una risposta anche per l’ipotesi peggiore, quella della morte del padre biologico che avrebbe lasciato orfani i due bambini. «In quel caso c’è l’affidamento al tutore. Così come succede quando ci sono bambini che, magari, hanno vissuto sempre con una zia, o un parente». Per la storica cattolica i paletti sono fondamentali «perché altrimenti se continui ad accettare i fatti così come si sono compiuti all’estero, alla fine si è costretti a cambiare la legge ma, soprattutto, nasceranno sempre più bambini in questa maniera». Di bambini nati in questa maniera ce ne sono già molti, in Italia. «E sono bambini che pagano un prezzo altissimo: non conosceranno mai la loro madre».

Alessandra Arlachi Corriere della Sera 1 marzo 2017

www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=numaut194

 

Quello che dalle ricerche non è mai emerso. Due mamme e due papà, nessuna differenza?

Il caso Trento e il dibattito sulla riforma delle adozioni impongono sguardi più consapevoli e conoscenze non improvvisate sulle unioni omogenitoriali. Due mamme e due papà, nessuna differenza?

«Non ho mai incontrato il mio padre biologico. Ho solo scambiato qualche lettera con lui. Con le sue risposte mi ha fatto capire chiaramente che, pur essendo lieto della mia nascita, non è orgoglioso di essersi prestato ad un concepimento con donazione… È molto spiacevole che la mia vita sia stata motivo di vergogna e d’imbarazzo per le persone che mi hanno messa al mondo». Sono le dichiarazioni angoscianti di un’adolescente nata da una coppia lesbica con la fecondazione eterologa che ha fatto ricorso al seme di un donatore esterno. Le sue parole sono riportate in una delle tante ricerche americane (Golombok, 2016) che indagano sulla condizioni delle famiglie omogenitoriali. L’obiettivo è quello di far chiarezza – purtroppo senza riuscirci – su una questione che da alcuni anni interroga la cultura, la scienza, la politica e la pastorale.

E cioè: come vivono bambini e adolescenti quando i genitori sono due mamme o due papà? Manifestano disturbi e difficoltà? Hanno maggiori problemi a scuola, nelle relazioni con i coetanei, con gli altri familiari? Interrogativi che rimbalzano ancora più inquietanti dopo la sentenza, nei giorni scorsi, della Corte d’appello di Trento, che ha riconosciuto la legittimità della richiesta avanzata dal partner di un genitore omosessuale. Quest’ultimo, sei anni fa, aveva ‘acquistato’ due bambini in Canada con la tecnica dell’utero in affitto.

Per i tribunali italiani il via libera concesso all’accoppiata utero in affitto-coppia omosessuale si è tradotto nella cancellazione di una nuova frontiera etica. Il riconoscimento della genitorialità omosessuale, per lo più come trascrizione di nascite o di ‘matrimoni’ celebrati all’estero, era invece già avvenuto in una ventina di casi. Tutte situazioni non previste dal nostro ordinamento – se non palesemente vietate – che però i magistrati hanno considerato urgente avallare anche in funzione di un presunto vuoto legislativo. Intanto, dopo le ambiguità sul tema della legge sulle unioni civili, va avanti il dibattito sulla riforma della legge 184 (adozioni e affido) che, secondo quanto emerso dall’Indagine conoscitiva realizzata dalla Commissione giustizia della Camera, sarà segnata da una chiara apertura non solo alle coppie ma anche ai single omosessuali.

Scelte che, sia da parte dei magistrati sia dei legislatori, sembrano scorrere sul piano inclinato del politicamente corretto, senza una reale conoscenza della realtà delle famiglie omogenitoriali. In Italia i minori che vivono con ‘genitori’ omosessuali sono circa un migliaio. Negli Stati Uniti, dove il fenomeno si è radicato molto tempo prima, circa 220mila. Esigua minoranza (lo 0,3% della popolazione infantile) che rappresenta però una svolta nell’antropologia familiare su cui sarebbe un grave errore non riflettere. Ma, per non sputare sentenze ideologiche, per evitare di abborracciare stime e considerazioni, occorre ragionare sulla base di dati esperienziali e statistici sicuri. I pochi esistenti sono quelli che ci arrivano da alcune decine di ricerche empiriche made in Usa.

Studi tutt’altro che credibili però, visto che per la maggior parte, nascono all’interno delle comunità lgbt o sono state addirittura realizzate da ricercatori- militanti. Ora, a far chiarezza su un quadro che rimane comunque confuso e ambiguo, arriva uno studio realizzato dal Centro di ateneo di studi e ricerche dell’Università Cattolica che contribuisce a sottolineare contraddizioni e indicare difficoltà. Chi vuol sentenziare o legiferare sul tema farà bene a dare un’occhiata.

www.avvenire.it/attualita/pagine/due-mamme-e-due-pap-la-felicit-non-dobbligo

 

Figli di coppie gay. Eugenia Scabini: «Il dramma è il genitore che non c’è»

Scabini: ci sono omosessuali che sperano per i figli un destino etero. Nuovo studio della Cattolica con analisi critica delle indagini che vorrebbero imporre la tesi della «nessuna differenza»

Una ricerca per scavare in profondità nella trama di altre ricerche. Per scoprire, al di là degli slogan e delle posizioni ideologiche, qual è la credibilità delle decine di studi – quasi tutti a senso unico, quasi tutti condotti negli Stati Uniti – che negli ultimi vent’anni hanno tentato di dimostrare la tesi della cosiddetta ‘nessuna differenza’ tra coppie di genitori eterosessuali e coppie omosessuali. Il nuovo studio, condotto dal Elena Canzi – in via di pubblicazione nell’ambito dei ‘Quaderni’ (Vita e Pensiero) del Centro di ateneo studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica – analizza criticamente le maggiori ricerche sull’argomento. L’obiettivo è quello di comprendere la realtà della filiazione in contesti omogenitoriali, «punto critico di quel mutamento antropologico del ‘familiare’ che la postmodernità, quale tratto specifico della cultura dell’Occidente caratterizzata dalla potenza delle tecnologie riproduttive, ci propone». Così scrivono nella presentazione Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli, già ordinari di psicologia nello stesso ateneo e tra i più attenti studiosi italiani del fenomeno. Ne parliamo con la professoressa Scabini che ha accettato di anticiparci alcuni punti chiave dello studio.

La vostra indagine punta ad indagare le motivazioni che spingono le coppie omosessuali a intraprendere il percorso della genitorialità. Quali situazioni emergono?

Le questioni aperte sono tante, a partire dai problemi che la situazione di omogenitorialità strutturalmente porta con sé (uno solo è padre o madre, e l’altro è il cosiddetto ‘genitore sociale’), e anche con gli inevitabili squilibri che tale doppia presenza dello stesso genere, unitamente alla ‘diseguaglianza procreativa’ comporta.

“Diseguaglianza procreativa”?

Lo comprendiamo meglio con un esempio: come affronta la ‘madre sociale’ la preferenza dei bambini per la ‘madre di nascita’? Si noti che abbiamo preferito questa espressione a quella più in voga di ‘madre biologica’ che già suppone un’indipendenza del corporeo dallo psichico. Ma la ‘diseguaglianza’ è anche una delle sfide specifiche in relazione alla genitorialità che tali coppie vengono ad affrontare, sfide spesso tenute in sordina per via del must che impone di omologare le assai diverse condizioni di relazioni di coppia (eterosessuale, omosessuale e le loro varianti). Allo stesso tempo è un invito a riflettere sull’altrettanto forte e diffusa tendenza che pretende di separare la qualità della relazione e i processi che la riguardano dalla sua struttura.

È un dato costante delle ricerche esaminate questo tentativo di omologare i comportamenti di coppie diverse (eterosessuali e omosessuali)?

Purtroppo sì. Sembra che la maggior parte di questi ricercatori siano come accecati da questo obiettivo omologante che li rende incapaci di vedere gli aspetti differenziali dei tipi di coppie. Così, per esempio, confrontano caratteristiche della ‘qualità della relazione’ della madre sociale con quella del padre della coppie eterosessuali, contravvenendo così ad una elementare coerenza logica.

Anche i criteri metodologici e le scelte dei campioni di indagini pongono non pochi problemi.

Sì, le problematiche sono tante (campioni di convenienza, la loro limitatezza ed eterogeneità quanto a tipi di filiazione, povertà di ricerche longitudinali) e dimostrano che con questi criteri discutibili, proprio dal punto di vista della scientificità dell’indagine, non si può poi arrivare ad affermare che non esistono differenze di sviluppo tra bambini di coppie omosessuali ed eterosessuali.

Vuol dire che i risultati variano in base alla metodologia di ricerca?

Sì, gli studi quantitativi che usano scale e questionari danno un quadro uniformemente positivo e a-specifico dei figli di coppie omosessuali rispetto ai figli di coppie costituite da padre e madre. Invece le ricerche che utilizzano interviste forniscono un quadro assai diverso, evidenziando parecchie problematiche specifiche. Viene spontanea la domanda: come mai? I limiti metodologici evidenziati e in particolare l’utilizzo in prevalenza di campioni di convenienza rendono effettivamente poco attendibili i risultati?

Emergono anche aspetti in controtendenza?

Innanzitutto non parrebbe esserci una pressione esplicita della coppia omogenitoriale verso il proprio orientamento sessuale poiché essa, al contrario, manifesta in molti casi, per facilitare la vita futura dei figli, aspirazioni di tipo opposto. Il che non è né semplificante, né liberante per i figli che invece finiscono per essere intrappolati in alternative non prive di problemi.

Quali conseguenze si possono determinare?

Se percorrono l’orientamento sessuale della coppia si trovano a contrastare le sue aspirazioni e quindi la deludono, se invece percorrono l’itinerario opposto si trovano a navigare a vista, privi dell’esperienza di come si configura nel vivo (coi suoi pro e contro) la relazione intima tra uomo/donna che dovranno affrontare nella loro scelta adulta.

Tra i problemi psicologici messi in luce all’interno delle coppie omosessuali quello della cosiddetta ‘parentificazione’ dei figli sembra tra i più allarmanti.

È la ‘madre sociale’, in particolare, la figura che più mette in difficoltà perché ritenuta (non a torto) più debole, priva com’è di un posto nella filiazione. Non a caso infatti è questa presenza che costituisce problema quando si va alla ricerca del ‘genitore mancante’ di cui essa in qualche modo è percepita occupare il posto. Dai resoconti di cui disponiamo, pare che siano in questo caso i figli, per così dire, a farsi carico dei genitori. Essi, per non aggravare la loro condizione percepita come difficoltosa, si caricano del compito di difenderli e si trattengono dal manifestare gli inevitabili disaccordi e crisi che emergono in adolescenza. Insomma, essi affrontano in buona parte in solitudine le loro difficoltà di crescita impegnandosi ‘a far bene2, cercando di esibire un comportamento che venga ritenuto rispondente alla normalità e tengono per sé i molti interrogativi che emergono in questa fase della vita.

Luciano Moia Avvenire 4 marzo 2017

www.avvenire.it/attualita/pagine/il-dramma-il-genitore-che-non-c

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ONLUS – NON PROFIT

Censimento permanente del non profit: scadenza al 10 marzo 2017

Ancora pochi giorni per partecipare alla prima rilevazione campionaria permanente di Istat sul non profit. Coinvolti 40mila enti. La rete dei Centri di Servizio a supporto per la compilazione del questionario.

Mancano pochi giorni alla chiusura della rilevazione campionaria sulle istituzioni non profit, che coinvolge un campione di circa 40 mila enti di vario tipo: organizzazioni di volontariato, ONG, associazioni culturali, sportive e ricreative, cooperative sociali, fondazioni, enti ecclesiastici e sindacati, oltre a istituzioni di studio e ricerca, di formazione, mutualistiche e sanitarie.

La partecipazione alla rilevazione è estremamente importante per avere informazioni utili a cogliere aspetti peculiari e la dinamicità del settore non profit in Italia.

La rilevazione chiude il 10 marzo 2017: occorre dunque affrettarsi perché rispondere non è solo un’opportunità ma anche un dovere (per tutte le unità selezionate nel campione vige l’obbligo di risposta (disciplinato dall’art. 7 del D.lgs n. 322/1989).

Le unità selezionate nel campione che non hanno ancora provveduto a compilare il questionario ed inviarlo all’Istat riceveranno un promemoria per posta (o per posta elettronica certificata, ove disponibile) o per telefono.

Per compilare il questionario il modo più veloce e sicuro è accedere al portale web: https://indata.istat.it/censnp e inserire le credenziali (username e password) ricevute via posta.

Sul sito dedicato alla rilevazione sono inoltre disponibili una guida alla compilazione, contenuti multimediali e una sezione dedicata alle domande più frequenti (FAQ, Frequently Asked Questions). Nell’area Contatti sono invece indicati i riferimenti della sede territoriale Istat competente alla quale rivolgere ulteriori chiarimenti o richieste di supporto.

La rete dei Centri di Servizio per il Volontariato, grazie agli oltre 370 sportelli attivi sul territorio, è a disposizione per fornire assistenza per la compilazione del questionario.

Clara Capponi CISVnet Newsletter n. 4 del 2 marzo 2017

http://www.csvnet.it/notizie/le-notizie/notizienon-profit/terzo-settore/2342-censimento-permanente-del-non-profit-scadenza-al-10-marzo

 

Obblighi contabili e di bilancio per una Onlus.

Esistono due categorie di obblighi contabili e di rendicontazione in capo alle Onlus, previsti a pena di decadenza dei benefici fiscali:

1) gli obblighi contabili relativi all’attività complessivamente svolta (attività sia istituzionali sia connesse);

2) gli obblighi contabili relativi alle attività direttamente connesse.

Con riferimento alla prima categoria le Onlus devono tenere “scritture contabili cronologiche e sistematiche atte a esprimere con compiutezza e analiticità le operazioni poste in essere in ogni periodo di gestione” (articolo 20 bis D.P.R. n. 600/1973).

Per espressa previsione di legge, questi obblighi si considerano assolti qualora siano tenuti, in conformità agli articoli 2216 (il libro giornale deve indicare giorno per giorno le operazioni compiute) e 2217 (l’inventario deve essere redatto all’inizio dell’attività e successivamente ogni anno, entro tre mesi dalla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi. Deve contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e delle passività) del codice civile, il libro giornale e il libro degli inventari, non soggetti a formalità di vidimazione e bollatura.

Le scritture e la relativa documentazione devono essere conservate fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo d’imposta.

Inoltre, le Onlus devono rappresentare adeguatamente in apposito documento, da redigere entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale, la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’organizzazione, distinguendo le attività direttamente connesse da quelle istituzionali.

In relazione alle attività direttamente connesse devono essere tenute le scritture contabili previste dagli articoli 14, 15, 16 e 18 del D.P.R. n. 600/1973.

Newsletter Non profit on line 2 marzo 2017

www.nonprofitonline.it/default.asp?id=508&id_n=7196&utm_campaign=Newsletter+Non+profit+on+line+2+marzo+2017&utm_medium=Email&utm_source=CamoNewsletter

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PARLAMENTO

Camera dei Deputati. 2° Commissione Giustizia Accordi prematrimoniali

28 febbraio 2017. C. 2669 Morani. Modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di accordi prematrimoniali.

Donatella Ferranti, presidente, nel prendere atto della richiesta, invita i gruppi parlamentari a far pervenire eventuali richieste di audizioni entro la prossima settimana.

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2017&mese=02&giorno=28&view=&commissione=02&pagina=data.20170228.com02.bollettino.sede00040.tit00010#data.20170228.com02.bollettino.sede00040.tit00010

SenatoAssemblea S2583 Protezione dei minori stranieri non accompagnati

28 febbraio e 1 marzo 2017 il Senato ha approvato con modifiche il DL n. 2583, recante disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati. Il testo torna a Montecitorio.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=1007713

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=1007893

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=1007907

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PASTORALE GIOVANILE

Amare i giovani e camminare con loro

All’interno del XV Convegno nazionale di pastorale giovanile (Bologna, 21-23 febbraio 2017), intitolato “La cura e l’attesa. Il buon educatore e la comunità cristiana”, mons. Erio Castellucci, vescovo di Modena – Nonantola ha tenuto il 21 febbraio la relazione “Generare la fede. Generare una vita di fede. La comunità cristiana, l’educazione e gli educatori”. La riproponiamo come contributo alla discussione in vista del Sinodo che si celebrerà nel 2018 (red.).

“Generare”, il verbo che caratterizza questa riflessione, evoca una comunità, un atto di amore e un passaggio doloroso per una gioia più grande. La generazione di una nuova vita è opera di un uomo e una donna, in “intima comunità di vita e di amore” che – come dice Gaudium et spes n. 49 – caratterizza il matrimonio fecondo.

In secondo luogo, generare è un atto di amore: di sua natura, l’amore esce da se stesso, si apre al nuovo, dà vita, continua la creazione (pro-creazione).

Infine, la generazione si compie attraverso un passaggio doloroso: doloroso per la donna che partorisce, per il bambino che non a caso entra nella vita umana piangendo e spesso anche per il padre, che sperimenta un senso di impotenza davanti alla sofferenza della madre; ma si risolve poi in una grande gioia per tutti, perché una nuova vita quando arriva dà energia a chi la attendeva e crea una “rete magica” attorno al neonato.

Queste tre caratteristiche della generazione non riguardano solo la carne, ma anche la mente e lo spirito. Chi genera conoscenza, ad esempio insegnando, attinge al tesoro culturale di una comunità, compie un atto di amore consegnando ad altri le proprie idee ed esperienze e richiede di superare, con l’applicazione e lo studio, le comode ristrettezze mentali, nell’apertura a conoscenze più vaste.

Così chi genera “una vita di fede” – come recita il titolo – e quindi opera sul piano spirituale, lo fa trasmettendo un patrimonio comunitario che proviene dal Vangelo e dalla tradizione della Chiesa, lo fa per amore verso il Signore e le persone che gli sono affidate, e deve dosare sapientemente anche i no, le correzioni e i sacrifici, per poter annunciare il grande sì di Dio, che è Gesù.

L’atto generativo – fisico, mentale o spirituale che sia – ha di conseguenza tre nemici che lo rendono impossibile: l’isolamento, che si contrappone alla dimensione comunitaria; la paura e il pregiudizio, che si oppongono all’atto dell’amore, e la fretta di raggiungere il risultato, che si contrappone alla pazienza della “cura” e dell’“attesa”, le due parole che danno il titolo a questo Convegno.

Per entrare dunque direttamente in tema: un buon educatore dei giovani agisce a nome della comunità e non da solitario, è mosso dall’amore verso i ragazzi e non si fa prendere da paura e pregiudizio verso di loro, sa mettere i necessari “no” dentro al grande “sì” che è il Vangelo.

Segue il link al testo, dopo l’indice

  1. Educare i giovani: sport di squadra,

  2. Educare i giovani: “cosa di cuore”,

  3. Educare i giovani: allenarli ad amare il sentiero.

Blog de Il Regno sui Sinodi dei vescovi 2 marzo 2017

www.lindicedelsinodo.it/2017/03/amare-i-giovani-e-camminare-con-loro.html#more

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PEDAGOGIA

Alle neomamme date un kit pedagogico, non le cremine: tante patologie sparirebbero.

Molti problemi nascono in realtà da scelte educative sbagliate e anche la cura dovrebbe ripartire proprio dal riscoprire i basilari educativi. Intervista con il pedagogista Daniele Novara.

«I bravi bambini rompono sempre le scatole»: Daniele Novara, pedagogista e fondatore del Centro PsicoPedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, parte così per spiegare le ragioni del convegno nazionale che sta organizzando per il prossimo 8 aprile 2017. Si intitola “Curare con l’educazione. Come evitare l’eccesso di medicalizzazione nella crescita emotiva e cognitiva” e si terrà a Milano. Contro la crescita esponenziale di diagnosi psichiatriche e certificazioni di disturbi di vario genere per bambini, Novara ribadisce che «i bambini devono poter fare i bambini, la realtà del loro mondo è fatta di pensiero magico, libertà, movimento, natura, stare con animali, scherzare, dire bugie… tutte cose che gli adulti non sopportano più. Ma il bambino è questo, è la diversità per antonomasia, è ontologicamente diverso dall’adulto e questa diversità non è solo il bello del bambino ma è ciò che gli consente di imparare e crescere. Se gli togliamo la diversità, il bambino non riuscirà più a imparare, il bambino impara perché è plastico, perché vede le cose in maniera diversa da noi». Ovvero non tutto ciò che “disturba” è patologico e non tutti i problemi che un bambino presenta devono essere tradotti e affrontati in chiave medica: molto potrebbe fare la pedagogia, cioè l’educazione. Solo che nessuno – né i genitori né gli insegnanti – di pedagogia sa più nulla, abbandonati a loro stessi, ai siti, ai blog, ai sentimenti.

Partiamo dall’inizio. È un fatto che negli ultimi anni ci sia un’impennata di diagnosi di disturbi specifici dell’apprendimento, ma come possiamo leggerlo e spiegarlo?

In una manciata di anni nella scuola sono triplicati i bambini con una diagnosi di DSA (disturbi specifici dell’apprendimento), raddoppiati quelli con una certificazione di disabilità ex lege 104 e dilagati i BES (bisogni educativi speciali). In pratica oggi un bambino su quattro, alle elementari, ha una qualche forma di diagnosi. È una situazione inedita a livello storico. Molto hanno giocato le leggi recenti, quella per la dislessia e per i BES e anche gli screening nelle scuole per cercare a tutti i costi delle malattie psichiatriche nei bambini.

Non è un segno positivo di attenzione? Di una consapevolezza che anni fa non c’era?

Direi che questo fenomeno è legato più a un aumento dell’offerta che a un aumento della domanda. No, ci occuperemo delle malattie dei bambini quando emergeranno, così invece creiamo solo panico. Io contesto semplicemente il fatto che oggi quando c’è un problema con un bambino, a scuola o a casa, subito lo si invii a un neuropsichiatra, medicalizzando, senza step intermedi. La medicalizzazione è la sola strada e la sola risposta. Un bambino disturbatore invece può essere semplicemente un bambino vivace, immaturo, distratto, un bambino che fa il bambino, oppure un bambino i cui genitori non hanno rispettato i basilari educativi. Faccio esempi banali: se un bambino dorme 8 ore anziché 10, è chiaro che manifesterà dei problemi e che i suoi livelli attentivi saranno bassissimi, soprattutto se deve restare a scuola otto ore. E se uno guada la tv tre ore al giorno avrà un sistema mentale fortemente condizionato da questo, sarà privo delle necessarie esperienze motorie e sensoriali, di questo le maestre si accorgeranno. Ma è inutile fare una terapia, prima bisogna aggiustare i basilari educativi: se il bambino non dorme, prima bisogna restituirgli quell’insieme di regole di vita adatte al suo sviluppo. O quantomeno bisogna fare gioco squadra, non escludendo l’educazione dal recupero, come invece si fa oggi. È indebito entrare subito nell’ottica della malattia, senza percorrere altre strade, anzi è assurdo. Dobbiamo occuparci degli errori dei genitori e degli insegnanti, non degli errori dei bambini.

Quindi significa innanzitutto che ci sono delle malattie che derivano dall’educazione che diamo ai bambini?

Ho iniziato a parlare di malattie dell’educazione dieci anni fa e devo dire che sulle prime il concetto non è stato capito né preso in considerazione. Ma il boom di diagnosi che abbiamo visto in questi ultimi anni conferma quello che avevo immaginato, ovvero che i bambini avrebbero pagato le conseguenze della mancanza di riferimenti educativi e pedagogici. Se i basilari dell’educazione non vengono rispettati, si mettono i bambini nei guai. Una lente con cui si può leggere questa situazione infatti è la scomparsa della pedagogia in Italia: le facoltà di pedagogia sono state chiuse nel 1991 e oggi a scienze dell’educazione paradossalmente ci si può laureare senza aver fatto nemmeno un esame di pedagogia. C’è la didattica, certo, ma quella è una disciplina operativa, è come un chirurgo che non conosce la medicina. La scuola non ha più punti di riferimento pedagogici, 25 anni fa tutti gli insegnanti erano abbonati a una rivista pedagogica, oggi no, i maestri non hanno riferimenti pedagogici perché la pedagogia è stata eliminata dalla loro formazione, gli unici riferimenti esistenti sono sanitari. Non ne faccio una colpa a loro, il problema è che non c’è nessuno strumento alternativo, la scuola oggi medicalizza perché quello è l’unico binario percorribile, l’unico riferimento esistente.

Quali sono gli errori più frequenti che facciamo in campo educativo in questo senso, anche come genitori?

Mettere regole senza condividerle fra genitori: nel lettone sì/no, tv a cena sì/no, videogiochi sì/no. È un errore tragico, perché il bambino perde i riferimenti e diventa un tiranno, a scuola non avrà il senso dell’autorità e sarà oppositivo e disturbante. Il sonno che dicevo prima. L’eccesso di tv e videoschermi a scapito del pensiero magico, del movimento, della natura, delle esperienze sensoriali, il dramma dei videogiochi: la neurologa Frances E. Jensen sostiene che ci sia una riduzione della materia grigia e bianca del 20%.

Che alternativa ci può essere alla medicalizzazione? In che senso si può curare con l’educazione?

Curare con l’educazione significa ricondurre bambini e ragazzi all’interno di buoni comportamenti educativi, dove le loro fasi di sviluppo vengano rispettate, in cui loro possono fare i bambini senza venire colpevolizzati per la loro ontologica diversità dal mondo degli adulti e dalle aspettative che essi hanno. Dobbiamo fare quello che non stiamo facendo, aiutare i genitori – oggi sono loro l’anello più debole – a fare i genitori e ricordarsi che il loro compito principale è quello educativo. L’orientamento prevalente invece dinanzi a un bambino problematico è colpevolizzare il bambino e trasformarlo in un paziente psichiatrico.

Quali strumenti possiamo offrire per aiutare i genitori?

Intanto nessun ritorno, nessuna nostalgia, perché il genitore educatore non è mai esistito. Esisteva però un sistema dove l’adulto faceva l’adulto e il bambino faceva il bambino. Serve dare consapevolezza: bisogna dire ai genitori che ogni giorno è fatto di decisioni educative che si ripercuotono sul figlio e che la cosa più importante per dei genitori non è parlare con i figli ma il prendere decisioni educative, i due genitori insieme. Tenere un bambino di 4 anni nel lettone non è una banalità, è una decisione educativa e la scelta che fai si ripercuote sulla vita di tuo figlio. Mi piacerebbe ad esempio in ospedale alle neomamme si desse un kit pedagogico, non un set di cremine, perché la vita non è fatta di cremine: con un ospedale ci stiamo lavorando, le idee ci sono ma ci vorrebbero le risorse, le scuole genitori ad esempio sono totalmente autofinanziate, mentre questo è un compito della collettività. Sul versante educativo non c’è offerta, c’è il deserto. I genitori sono la più grande risorsa che abbiamo, devono essere aiutati con buone informazioni, non lasciati sprofondare nei blog: il problema non è il fai-da-te, ma che un genitore così fa del male a suo figlio.

Curare con l’educazione. Come evitare l’eccesso di medicalizzazione nella crescita emotiva e cognitiva” è il titolo del convegno nazionale del Centro PsicoPedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti che si terrà sabato 8 aprile 2017 a Milano (Auditorium Don Bosco, via Melchiorre Gioia 48), di cui VITA è media partner. Info e iscrizioni a convegno@cppp.it.

Sara De Carli vita.it 24 febbraio 2017

www.vita.it/it/article/2017/02/24/alle-neomamme-date-un-kit-pedagogico-non-le-cremine-tante-patologie-sp/142587

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SEPARAZIONE E DIVORZIO

Se i suoceri invadenti sono causa di separazione.

Cosa fare quando i suoceri si intromettono e rovinano il matrimonio? Si può chiedere la separazione con addebito?

È più difficile accettare una separazione quando la ragione non è il carattere del coniuge, ma le continue ingerenze dei suoi genitori all’interno della vita di coppia: eppure ci sono suoceri che non fanno nulla per evitare i conflitti tra marito e moglie, anzi sembrano alimentarli fino ad essere essi stessi la causa del divorzio. Che si può fare in questi casi? Come ci si tutela dai suoceri invadenti? La risposta è stata più volte fornita dalla giurisprudenza e, da ultimo, dal tribunale di Napoli in una recente sentenza. Ma procediamo con ordine.

Se una coppia di coniugi decide di vivere a casa dei genitori di uno dei due, quello che se ne allontana per intolleranza caratteriale con i suoceri, così abbandonando il tetto domestico, subisce l’addebito: egli è infatti responsabile per essersene andato via di casa, sebbene si tratti della casa altrui. Ma se i contrasti con i suoceri (a chiunque imputabili) abbiano raggiunto un’intensità tale, per frequenza e gravità, da pregiudicare il rapporto di coppia e il soddisfacimento delle fondamentali esigenze della famiglia, e qualora, al tempo stesso, il coniuge prima d’allontanarsi, abbia tentato di convincere l’altro di spostare la residenza, non scatta alcun addebito [Trib. Vallo Lucania, sent. del 30.06.1989].

La Cassazione ha sposato questo orientamento più di una volta. In particolare, i giudici supremi hanno chiarito [Cass. Sent. n. 4540/2011; sent. n. 1202/2006; sent. n. 11064/1999] che è lecito abbandonare la casa familiare quando i rapporti con il suocero o la suocera convivente siano divenuti insopportabili per via dei frequenti litigi domestici e del conseguente progressivo deterioramento della relazione tra gli stessi coniugi. Difatti, l’allontanamento dalla residenza familiare, ove attuato unilateralmente dal coniuge, cioè senza il consenso dell’altro coniuge, costituisce violazione di un obbligo matrimoniale ed è conseguentemente causa di addebito della separazione; non concreta, invece, tale violazione il coniuge se risulti legittimato da una «giusta causa», vale a dire dalla presenza di situazioni di fatto di per sé incompatibili con la protrazione di quella convivenza, ossia tali da non rendere esigibile la pretesa di coabitare.

Dalla giurisprudenza traspare insomma che il semplice fatto di avere suoceri invadenti non consente la possibilità di chiedere la separazione con addebito all’altro coniuge per non aver preso le distanze dai propri genitori. L’invadenza deve essere particolarmente oppressiva – cosa che si verifica soprattutto in caso di convivenza – tanto da togliere alla coppia ogni possibilità di relazione, anche di tipo fisico.

Dunque, le semplici ingerenze dei suoceri nella vita della coppia creano certamente disagio, ma non fanno scattare l’addebito. E tanto è stato confermato, più di recente, dal tribunale di Napoli [sent. n. 488/16] non si può addebitare la separazione a carico dell’ex nonostante le ingerenze dei suoi genitori che volte ad isolare il coniuge.

Da segnalare, infine, una pronuncia del tribunale di Roma [sent. del 13.01.1982] secondo cui l’essersi estraniato dalla vita familiare ed i litigi con la suocera convivente non assumono i connotati obiettivi di comportamento volontario di violazione dei doveri familiari quando sono l’effetto di una situazione di conflittualità venuta a determinarsi nell’ambito familiare per il concorso di un insieme di circostanze sfavorevoli.

Redazione Lpt 1 marzo 2017

www.laleggepertutti.it/152644_se-i-suoceri-invadenti-sono-causa-di-separazione

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SESSUOLOGIA

Sesso: studio, nuovi neuroni all’origine di attrazione anche per stesso genere

A far scattare l’attrazione sessuale potrebbero essere nuovi neuroni che, attivati nei circuiti olfattivi dai feromoni, innescherebbero comportamenti riproduttivi anche nei confronti di individui del proprio sesso.

Ad affermarlo uno studio pubblicato sulla rivista del gruppo Nature ‘Scientific Reports’ dai ricercatori del Nico-Neuroscience institute Cavalieri Ottolenghi di Orbassano e del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino, guidati da Paolo Peretto.

La ricerca fa luce proprio sui meccanismi che stanno alla base della regolazione del comportamento d’attrazione sessuale e chiarisce come questo sia effettivamente un fenomeno biologico, indipendentemente dal sesso verso cui si è attratti. Il lavoro dimostra che nei topi maschi l’attrazione verso il proprio sesso o quello opposto dipende da una modulazione testosterone-dipendente del processo di neurogenesi adulta, cioè l’integrazione di nuovi neuroni nei circuiti che regolano il comportamento sessuale.

L’aggiunta di nuovi neuroni nella vita adulta rappresenta una forma di ‘plasticità neurale’, un meccanismo attraverso cui il cervello modifica la funzione dei suoi circuiti sulla base degli stimoli che provengono dall’ambiente. Tra questi stimoli, i feromoni nei topi regolano in modo sesso-dipendente l’integrazione di nuovi neuroni nei circuiti olfattivi che elaborano e filtrano stimoli sociali innescando i comportamenti riproduttivi.

I ricercatori avevano già dimostrato che i feromoni rilasciati dai maschi stimolano l’integrazione di nuovi neuroni esclusivamente nella regione olfattiva delle femmine, promuovendo alcuni comportamenti sessuali tipicamente femminili.

Ma adesso l’analisi in un modello di topolini maschi caratterizzati da un basso numero di neuroni ipotalamici (neuroni GnRH) ha messo in luce che il contatto con feromoni maschili, in presenza di bassi livelli di testosterone, produce nella regione olfattiva dei maschi gli stessi effetti di stimolo della neurogenesi normalmente osservati nelle femmine, e un’attivazione a valle nei circuiti nervosi che controllano il comportamento sessuale, secondo uno schema tipicamente femminile.

Di conseguenza, questi maschi sono attratti maggiormente da individui dello stesso sesso.

“Ovviamente i topi, seppur mammiferi, non sono uomini – sottolinea Peretto – ma volendo estrapolare un principio generale, questo studio dimostra che l’attrazione sessuale verso individui dello stesso sesso o di quello opposto dipende dai processi che regolano l’organizzazione e la funzione dei nostri circuiti nervosi, insomma da un fatto assolutamente biologico”.

Newsletter di salute e benessere 05 marzo 2017

www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=33678

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TRADIMENTO

Quando tradire è lecito

Si può tradire, a condizione che tale comportamento non sia la causa della crisi coniugale. Si può tradire senza rischiare nulla? Sì, a condizione che, tra marito e moglie, sia già sorta una crisi irreversibile, tale cioè da portare alla separazione. Secondo la Cassazione [sent. n. 7057/2015], infatti, se l’infedeltà è posteriore al disgregamento dell’unione morale e materiale dei coniugi, tradire è lecito.

Questo significa, in termini pratici, che l’adulterio non deve essere la causa, bensì la conseguenza di una convivenza divenuta ormai intollerabile per altre ragioni. Solo in questo caso, chi compie un tradimento non può essere dichiarato responsabile e, quindi, non subisce l’addebito. Ma procediamo con ordine.

Tradire è reato? Chi tradisce non commette alcun reato. L’infedeltà coniugale è solo una violazione di un obbligo che deriva dal codice civile. Dunque, l’illecito è puramente civilistico e non si può essere denunciati per infedeltà.

Cosa rischia chi tradisce? Chi tradisce non può neanche subire una richiesta di risarcimento del danno (salvo rari casi di cui a breve parleremo). L’unica conseguenza del tradimento è la cosiddetta «dichiarazione di addebito»: in pratica il giudice riconosce che la colpa della separazione della coppia è da attribuirsi al soggetto che ha commesso l’adulterio. Questo implica solo due conseguenze:

  1. L’infedele, anche se guadagna meno dell’ex coniuge, non può chiedere il mantenimento (è sua infatti la colpa della separazione e, pertanto, non può accampare diritti). Solo se versa in condizioni economiche davvero disperate può chiedere gli alimenti, ossia una somma (di gran lunga più ridotta rispetto al mantenimento, per sopravvivere);

  2. Se l’ex coniuge muore tra la data di separazione e quella del divorzio, l’infedele non diventa suo erede.

Dall’altro lato, l’infedeltà non ha effetti negativi in due casi:

  1. Se l’infedele è colui che, tra i due coniugi, guadagna di più: egli infatti, al di là di tale sua colpa, sarebbe stato comunque condannato al versamento dell’assegno di mantenimento a favore dell’ex; e ciò per via del suo reddito superiore e non già per il tradimento;

  2. Se il coniuge tradito intende rinunciare al mantenimento.

Il tradimento può comportare una richiesta di risarcimento del danno solo se le sue modalità sono particolarmente mortificanti per l’altro coniuge; si pensi al caso di una infedeltà plateale, in un piccolo ambiente, dove tutta la collettività era a conoscenza della situazione.

Come difendersi da un’accusa di tradimento? Chi si vuol difendere da un’accusa di tradimento deve dimostrare che l’infedeltà è avvenuta come conseguenza di una crisi già irreversibile. Deve cioè dare prova che tra i coniugi non vi erano più rapporti e che la coppia andava già verso una definitiva rottura per altre ragioni, diverse dall’infedeltà stessa. Difatti è lecito tradire quando non c’è più alcun legame a unire moglie e marito. Il giudice, dunque, può addebitare la separazione al coniuge infedele solo se verifica il nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, con un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi. La violazione può fondare la pronuncia di addebito solo se dalla infedeltà deriva l’intollerabilità della convivenza [Cass. Sent. n. 27730/2013, n. 13431/2008, n. 17643/2007, n. 13592/2006, n. 8512/2006] o la lesione di diritti della personalità dell’altro coniuge [Cass. Sent. n. 8929/2013, n. 15557/2008].

Quando tradire è lecito. Se la crisi tra i coniugi era precedente all’infedeltà ed era già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale, tradire è lecito e il giudice non può condannare il codice infedele all’addebito [Cass. Sent. n. 8675/2013, n. 16089/2012]. Un’ipotesi tipica è il tradimento per ripicca: un coniuge, venuto a conoscenza dell’infedeltà dell’altro, ben potrebbe a sua volta rispondere – come vendetta – con un tradimento. Il comportamento di quest’ultimo, in quanto conseguenza del primo, non è colpevole e quindi è lecito.

Amore platonico è illecito? Il tradimento virtuale, con una chat su internet o una serie di messaggi, è illecito al pari di un tradimento solo se tale condotta che fa sorgere nell’altro coniuge e nei terzi il fondato sospetto del tradimento. Si tratta della cosiddetta infedeltà apparente. La condotta del coniuge non deve destare equivoci in ordine alle intenzioni: non rileva l’assenza di un rapporto sessuale, basta la semplice infedeltà apparente [Cass. Sent. n. 6834/1998].

Redazione LPT 28 febbraio 2017

www.laleggepertutti.it/152508_quando-tradire-e-lecito

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VIOLENZA

Padre troppo geloso della figlia? È reato di maltrattamenti in famiglia

Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza n. 9154, 24 febbraio 2017.

Per la Cassazione le “finalità educative” non possono giustificare atteggiamenti vessatori e condotte violente. Va condannato per maltrattamenti in famiglia il padre geloso e iperprotettivo che pone in essere ingiurie e violenze nei confronti della figlia: le esigenze di salvaguardare ed educare la minore, non possono assolutamente giustificare atteggiamenti vessatori e condotte violente, che invece integrano veri e propri maltrattamenti psichici e fisici.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che ha respinto il ricorso del padre nei confronti del quale Corte d’appello aveva confermato la condanna (due anni e tre mesi di reclusione) per maltrattamenti in famiglia posti in essere ai danni della figlia minorenne. Entrambe le sentenze di merito avevano evidenziato come la minore fosse stata sottoposta, dai primi mesi del 2006 fino al marzo del 2007, a continui maltrattamenti consistiti in ingiurie e violenze fisiche che avevano caratterizzato la sua vita in famiglia.

Inutile per l’uomo contestare la mancanza del requisito dell’abitualità della condotta, in quanto gli Ermellini rammentano che “il compimento di più atti di natura vessatoria idonei a determinare sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, integra il delitto di maltrattamenti, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo sufficiente la loro ripetizione, anche se per un limitato periodo di tempo”.

Da respingere anche la doglianza riguardante la mancanza dell’elemento soggettivo del reato, con cui la difesa aveva spiegato che i comportamenti dell’imputato non risultavano realizzati con la volontà di sottoporre la figlia ad una serie di sofferenze fisiche o morali, ma erano diretti verso una finalità ritenuta educativa.

Infatti, per consolidata giurisprudenza, richiamata in sentenza, “l’uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche dove fosse sostenuto da animus corrigendi, integra il delitto di maltrattamenti”.

In particolare, nel caso di specie, la difesa del ricorrente ritiene che le condotte violente fossero determinate da una forma di gelosia nei confronti della figlia e dall’intento di volerla in qualche modo salvaguardare (“il padre assumeva la condotta soltanto perché preoccupato per la figlia”): si tratta, precisano i giudici, di “preoccupazioni” che non possono assolutamente giustificare atteggiamenti vessatori e condotte violente.

Pertanto, conclude il Collegio, correttamente i giudici di merito hanno confermato la responsabilità dell’imputato anche sotto il profilo soggettivo, considerando che il reato in esame richiede il dolo generico, consistente nella coscienza e nella volontà di sottoporre la persona di famiglia ad un’abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza.

Lucia Izzo Newsletter giuridica Studio Cataldi.it – 27 febbraio 2017 –Sentenza

www.studiocataldi.it/articoli/25269-padre-troppo-geloso-della-figlia-e-reato.asp

 

Costringere la moglie a fare sesso è reato

Anche se lei non li rifiuta palesemente, per la Cassazione obbligare il coniuge ad avere dei rapporti è violenza sessuale. Commette reato di violenza chi costringe la moglie a fare sesso, anche se lei è apparentemente consenziente. Cioè se non rifiuta palesemente il marito ma gli ha fatto capire più volte che sarebbe meglio se si girasse dall’altra parte e si addormentasse. Il fatto che lei ceda dopo l’insistenza del coniuge non esime quest’ultimo dal reato di violenza. E, pensandoci un po’, nemmeno dal divorzio.

Quando e perché costringere la moglie a fare sesso è reato. Secondo il Codice civile, «con il matrimonio il marito e la moglie acquisiscono gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri» [Art. 143]. Ma per la Cassazione, non c’è scritto da nessuna parte che uno dei coniugi abbia il diritto «al compimento di atti sessuali inteso come mero sfogo all’istinto sessuale contro la volontà del partner, tanto più se tali rapporti avvengono in un contesto di sopraffazioni, infedeltà e/o violenze che costituiscono l’opposto rispetto al sentimento di stima, affiatamento e reciproca solidarietà in cui il rapporto sessuale si pone come una delle tante manifestazioni» [Cass. Sent. n. 9690/16 e n. 39865/2015].

Tradotto: non c’è alcuna giustificazione per il coniuge che, per sfogare i propri istinti, costringe la moglie a fare sesso, la obbliga ad accontentarlo con violenza o la tradisce. Uno di questi gesti sarebbe opposto all’amore che si manifesta in un rapporto voluto da entrambi in maniera libera e spontanea. Insomma, meglio rassegnarsi o, al limite, farlo notare. Come fece la balena maschio quando disse alla balena femmina: «Milioni di persone tentando di salvare la nostra specie, e tu mi dici adesso che ti è venuto il mal di testa».

Nella sentenza la Suprema Corte insiste sul fatto che, per incorrere nel reato di violenza sessuale [art. 609-bis cod. pen.], è sufficiente «qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idonea ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione senza che rilevi in contrario l’esistenza di un rapporto di coppia coniugale o para coniugale (cioè di convivenza di fatto) tra le parti». In altre parole, basta forzare la mano quando l’altro non vuole, cioè costringere la moglie a fare sesso. Questo, precisa la Cassazione, perché «laddove l’atto sessuale venga compiuto quale mera manifestazione di possesso del corpo, acquista rilevanza penale». Il tutto, ovviamente, senza entrare nella sfera del ménage di ogni coppia. Magari c’è a chi piace dire qualche volta, come nel film di Carlo Verdone, «famolo strano», ma pur sempre con il volere di entrambi i coniugi. Insomma: che sia più impulsivo, che sia più romantico l’importante è che uno non obblighi l’altro a fare ciò che non vuole.

Sempre secondo la Cassazione, costringere la moglie a fare sesso è reato anche quando lei non si oppone palesemente ad un rapporto sessuale ma, in fondo, lo subisce. Per paura della reazione del marito, per quieto vivere, difficile stabilire perché una donna tace e acconsente. Se cede, però, perché costretta o minacciata, perché sopraffatta o umiliata, il marito commette violenza «avendo la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte della moglie-vittima».

Nota bene: la Cassazione parla di costringere «il coniuge» a fare sesso, non «la moglie». Lo stesso, dunque varrebbe per il marito. Non vale, quindi, appellarsi a quel luogo comune che richiama il biblico decimo comandamento lasciato sul monte Sinai. E’ vero che c’è scritto «non desiderare la moglie di un altro» mentre sul fatto di desiderare l’uomo di un’altra nulla è stato detto a Mosè. Se fu un lapsus divino, il codice civile, il codice penale e la Cassazione colmano oggi questa lacuna.

Carlos Arija Garcia Lpt 1 marzo 2017

www.laleggepertutti.it/152494_costringere-la-moglie-a-fare-sesso-e-reato

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