UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 633 – 22 gennaio 2017
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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ABORTO VOLONTARIO Perseguibile penalmente chi cagiona l’ivg in violazione della legge.
ADOZIONE Scuola. Iscrizione più comode per gli adottati o in preadozione.
Eterologa e adozioni.
ADOZIONI INTERNAZIONALI Polonia, l’Autorità Centrale riduce a 2 i centri autorizzati.
ADOZIONE NAZIONALE Fai la baby-sitter? Dopo 4 anni puoi adottare il bambino accudito.
AFFIDO CONDIVISO Il diritto di visita
AFFIDO ESCLUSIVO Affido esclusivo al padre se la madre sente il figlio solo per telefono.
AMORIS LÆTITIA Sussidio del Centro di Pastorale Familiare della Diocesi di Trento.
ASSEGNO DI MANTENIMENTO Nel determinarlo, deve tenersi conto delle situazioni abitative
Casalinga 40enne sì al mantenimento anche se in grado di lavorare
Finché morte non vi separi. E dopo? Scatta anche il Tfr.
Al via l’aiuto di Stato per l’assegno all’ex.
CASA CONIUGALE Quando è consentito andare via di casa.
CENTRO D’ATENEO STUDI E RICERCHE La conduzione dei Gruppi di parola per la cura dei legami
CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 2/2017, 18 gennaio 2017.
CHIESA CATTOLICA Intervista al cardinale Carlo Caffarra.
L’eclatante errore di Caffarra.
Gli sberleffi farisei contro la Chiesa “ignorante” di Francesco.
Vangelo (apocrifo) dell’apostolo Bartolomeo.
CONSULTORI FAMILIARI UCIPEMCuneo. Incontri sulla menopausa
Milano2.Genitorioggi–CavMangiagalli. 100°lettera della Presidente
Pescara. Il sito web dell’arcidiocesi di Pescara-Penne lo presenta.
Roma 1, via della Pigna 13. Seminario annuale di formazione.
CONVIVENZE Convivente a carico, spetta la detrazione fiscale?
DALLA NAVATAIII Domenica del Tempo ordinario – Anno A – 22 gennaio 2017
Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
DIRITTO CANONICO Il diritto canonico al bivio.
DIVORZIO Il giudizio ecclesiastico non è pregiudiziale rispetto al divorzio.
FRANCESCO VESCOVO DI ROMA Un “nuovo catecumenato” per chi si prepara al matrimonio.
MATERNITÀ Non si può licenziare la madre entro il 1° anno di età del bambino.
PATERNITÀ Azione di disconoscimento di paternità
SEPARAZIONE Il giudice può stabilire che gli ex vivano nella stessa casa?
UNIONI CIVILI Partner come il coniuge, cambia il codice penale
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ABORTO VOLONTARIO
È perseguibile penalmente chi cagiona l’ivg in violazione delle disposizioni di legge
Corte di Cassazione – quinta Sezione penale, Sentenza n. 50059, 24 novembre 2016.
La Corte di Cassazione ha dichiarato che il cagionare l’interruzione dello stato di gravidanza, oltre il novantesimo giorno, in violazione delle disposizioni della legge n. 194 del 1978, costituisce reato e obbliga gli agenti al risarcimento del danno sofferto dalla paziente, tenendo conto nella sua determinazione delle gravi condizioni di salute conseguentemente sofferte da questa.
Il fatto. Il giudizio di fronte agli Ermellini si è aperto con i ricorsi di entrambi i co-imputati nei giudizi di merito, i quali lamentano violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606, lett b ed e, cpp.
La vicenda giudiziaria, iniziata nel 2013, ha come vittima una ragazza – minorenne all’epoca dei fatti – la quale aveva chiesto aiuto ad una ginecologa del consultorio (l’imputata A.M.O.) per interrompere il suo stato di gravidanza. Con la complicità del compagno C. C., questa aveva fornito alla ragazza delle pasticche e l’aveva istruita su come assumerle e come rimediare alla emorragia a seguito verificatasi, dietro pagamento di un esiguo compenso. In entrambi i giudizi di merito, i due co-imputati sono stati dichiarati colpevoli del reato di interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle norme di legge e dei danni provocati alla vittima conseguenti al reato, sulla base degli articoli del Codice Penale 110 (concorso di persone nel reato) e 19, commi 1, 3, 5, 6, 7 della Legge 194/1978 (norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione volontaria della gravidanza).
Motivi del ricorrente C. C. Il ricorrente lamenta innanzitutto l’assenza di una sua responsabilità, sostenendo che non gli sia riferibile una posizione di garanzia nei confronti della ragazza – che è invece elemento necessario per far sorgere la responsabilità per omissione. Inoltre, reputa carente la motivazione della sentenza laddove manca di indicare il suo contributo nel reato: il C. infatti sostiene che egli abbia semplicemente assistito alla scena, e non abbia nemmeno accettato nelle sue mani i 50 euro di compenso dalla ragazza, che invece afferma siano stati lasciati sul tavolo. Sostiene che, sulla base di questi soli elementi, non si possa configurare il suo concorso nel reato.
Motivi della ricorrente A. M. O. La co-imputata contesta l’applicazione dell’aggravante di cui all’articolo 19, comma 5, Legge 194/1978, giacché ritiene insufficiente la prova della consapevolezza della minore età della ragazza e ritenendo necessario un accertamento più pregnante. Ella lamenta infine la determinazione della pena, ritenendo la motivazione carente sul punto.
Decisione. La Cassazione ha confermato la validità delle sentenze dei due gradi precedenti ed ha ribadito che il concorso di persone si configura alla luce delle numerose telefonate intercorse tra i due imputati e la vittima, oltre al compenso di 50 euro che, come dimostrato già in primo grado, è stato consegnato al co-imputato C. C. personalmente. Infine, ha stabilito che la determinazione della pena comminata è proporzionale alla gravità oggettiva della condotta: la ginecologa, infatti, ancorché ignara della minore età della ragazza, aveva comunque conoscenza dello stato di gravidanza avanzato.
In ogni caso, il giudice ha superato la tesi degli imputati, stabilendo la conoscenza dei due circa la minore età della danneggiata sulla base delle paure che ella aveva confidato ai due, quali la paura di essere scoperta dalla madre ed essere cacciata di casa.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha respinto i ricorsi ed ha ulteriormente condannato i due co-imputati al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Margherita Trombetti filo diritto 16 gennaio 2017 – ELSA,
www.filodiritto.com/news/2017/aborto-cassazione-penale-e-perseguibile-penalmente-chi-cagiona-linterruzione-della-gravidanza-in-violazione-delle.html?utm_source=Filodiritto&utm_medium=email&utm_campaign=Newsletter+625
Sentenza https://renatodisa.com/2017/01/04/corte-di-cassazione-sezione-v-penale-sentenza-24-novembre-2016-n-50059
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ADOZIONI
Scuola. Iscrizione più ‘comode’ e dopo i termini per i bambini adottati o in fase di preadozione
Tempi più rilassati e ritmi più compatibili con il benessere del bambino adottato. Per lui, la scuola può aspettare. Nel caso di adozioni nazionali e internazionali le modalità e i tempi d’iscrizione, infatti, oltre che i tempi di inserimento e la scelta delle classi in cui inserire gli alunni si possono dilatare.
A darne notizia è Il Sole 24 Ore specificando il caso in cui la “famiglia che accoglie con l’adozione internazionale debba iscrivere il bambino o il ragazzo in una fase in cui l’iter burocratico non è ancora completato e non si è ancora in possesso del codice fiscale del minore o di tutta la documentazione definitiva, la presentazione della domanda di iscrizione online è comunque consentita anche in mancanza del codice fiscale”. Lo sostituisce una funzione di sistema che permette la creazione di un “codice provvisorio”, che, appena possibile, l’istituzione scolastica cui è diretta l’iscrizione on line dovrà sostituire sul portale Sidi con il codice fiscale definitivo, avvalendosi dei documenti presentati dalla famiglia in grado di certificare l’adozione avvenuta all’estero.
Inoltre è sempre possibile da parte delle famiglie, sia nei casi di adozione nazionale che internazionale, l’iscrizione cartacea anche dopo la chiusura delle procedure online, presentando la domanda di iscrizione direttamente alla scuola prescelta.
In fase di preadozione internazionale, precisa sempre Il Sole 24 Ore, l’iscrizione viene effettuata dalla famiglia affidataria direttamente presso l’istituzione scolastica prescelta. Non è un caso che, per motivi di riservatezza, il Tribunale per i minori talvolta vieti espressamente di diffondere i dati del bambino, l’iscrizione viene effettuata dalla famiglia affidataria recandosi direttamente presso l’istituzione scolastica prescelta, quindi senza dover obbligatoriamente usare la piattaforma delle iscrizioni online.
Le linee guida suggeriscono alle scuole di inserire nel gruppo classe un alunno adottato con la procedura internazionale non prima di dodici settimane dal suo arrivo in Italia, per quanto riguarda la fascia d’età di scuola del primo ciclo, periodo che si riduce a massimo sei settimane nel caso del secondo ciclo.
Per i bambini arrivati in Italia in età scolare rimane possibile l’iscrizione fino ad una classe inferiore rispetto all’età anagrafica al fine di favorire il benessere del minore in un momento cruciale e delicato nel quale sono prioritariamente impegnati a costruire ed intessere legami profondi con i propri genitori e familiari.
Fonte: Il Sole 24 Ore; tecnicadellascuola.it
www.aibi.it/ita/scuola-iscrizione-piu-comode-e-dopo-i-termini-per-i-bambini-adottati-o-in-fase-di-preadozione
Eterologa e adozioni.
Di Biagio (AP), “Il paradosso dello Stato. Vuoi adottare un bambino abbandonato? E’ meglio se fai l’eterologa”. “L’inserimento dell’eterologa nei LEA rappresenta la metafora di una società in cui fecondità e genitorialità sono reinterpretate a uso e consumo di sedicenti pseudo-diritti che lo Stato si pretende debba soddisfare “. A parlare è Aldo Di Biagio, senatore di Area Popolare. (Circoscrizione estera – Zagabria; Membro della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani).
“Ho molto rispetto per il dramma vissuto da tutti coloro che desiderano essere genitori – continua – ma riscontrano delle difficoltà in questo cammino. Eppure come legislatori dobbiamo tenere ben presente che la genitorialità non è un diritto né nel nostro ordinamento, né in linea generale di principio “. “Questo incomprensibile assistenzialismo risulta ancor più paradossale – precisa – se lo confrontiamo con la decrescente attenzione che lo Stato sta riservando in questi anni a coloro che intraprendono la generosa decisione di accogliere un bimbo abbandonato attraverso il percorso dell’adozione internazionale, di cui iter e costi sono altamente farraginosi e proibitivi”. “Senza entrare nel merito delle lacune normative della disciplina sull’eterologa, di fronte a un tale evidente paradosso – conclude – mi domando dove siano i paladini della lotta alle discriminazioni quando, come ora, si vuol consacrare da parte dello Stato un ingiustificabile sbilanciamento che di fatto configura genitori di serie A e genitori di serie B. Questo come altri temi afferiscono certamente alle libertà personali, ma quando queste vengono configurate in una dimensione pubblica, con tanto di onere dell’erario, sarebbe il caso di ritrovare un po’ di buon senso “.
News Ai. Bi. 18 gennaio 2017
www.aibi.it/ita/eterologa-e-adozioni-di-biagio-ap-il-paradosso-dello-stato-vuoi-adottare-un-bambino-abbandonato-e-meglio-se-fai-leterologa
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ADOZIONI INTERNAZIONALI
Polonia, l’Autorità Centrale riduce a 2 i centri autorizzati per le adozioni internazionali
Ancora difficoltà nel mondo dell’adozione. Dalla Polonia arriva infatti la decisione del ministero della Famiglia, del Lavoro e delle Politiche sociali di ridurre a due il numero di centri polacchi accreditati a gestire le procedure per le adozioni internazionali. Il ministero, che è anche l’Autorità Centrale di Varsavia per le adozioni internazionali, ha pubblicato il relativo avviso sulla Gazzetta Ufficiale del governo nella giornata di martedì 17 gennaio. Ne dà notizia sul proprio sito il Dipartimento di Stato Americano, Autorità Centrale statunitense.
Gli unici centri autorizzati dal governo polacco per gestire le adozioni internazionali saranno ora il Centro Diocesano per l’Adozione, con sede a Sosnowiec, e il Centro Cattolico per l’Adozione, con sede a Varsavia. Viceversa, la Children’s Friends Society e il TPD Public Adoption Center, entrambi situati nella capitale, non sono più autorizzati a operare nel settore delle adozioni internazionali.
Secondo quanto inteso dal Dipartimento di Stato americano, questa decisione del ministero polacco avrà ripercussioni sull’intera realtà dell’accoglienza adottiva nel mondo ai sensi della Convenzione de L’Aja, e non solo sulle procedure adottive avviate tra la Polonia e gli Stati Uniti.
L’ambasciata statunitense a Varsavia è dunque in comunicazione con il ministero polacco della Famiglia, del Lavoro e delle Politiche sociali per chiarire quali siano i requisiti applicabili, sia per le future pratiche adottive che per i casi già in corso. Il Dipartimento di Stato, dal canto suo, assicura gli utenti della propria costante attività di monitoraggio sulla situazione e garantisce il proprio impegno a pubblicare tempestivamente nuove informazioni sugli sviluppi della vicenda.
Fonte: Dipartimento di Stato Americano. News Ai. Bi. 19 gennaio 2017
www.aibi.it/ita/polonia-lautorita-centrale-riduce-a-2-gli-enti-autorizzati
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ADOZIONE NAZIONALE
Tribunale di Salerno: “Fai la baby-sitter? Dopo 4 anni puoi adottare il bambino accudito”
Da baby-sitter a mamma adottiva. L’amore di una “tata” campana per la bambina di 4 anni che doveva accudire solo per poche ore al giorno e che ha visto invece come possibile vittima di abbandono è stato premiato. Il Tribunale per i Minorenni di Salerno, con una sentenza innovativa firmata dal presidente del collegio Pasquale Andria, ha autorizzato l’adozione della piccola da parte della donna. Questo nonostante le precarie condizioni economiche della famiglia della baby-sitter, che ha già 4 figli e un marito che lavora solo stagionalmente come bagnino. La legge per loro ha potuto fare un’eccezione e concedere l’adozione in casi particolari.
Silvana, questo il nome della “tata”, entra nella vita della bambina quando questa aveva solo 5 mesi, per prendersi cura di lei alcune ore al giorno. Ben presto, però, si trova a crescerla a tempo pieno, nel disinteresse dei suoi genitori. La madre è già decaduta dalla responsabilità genitoriale di altri 2 figli e continua ad alternare periodi di assenza a visite sporadiche. Il padre spunta all’improvviso, chiede di vedere la bambina una sola volta e, nell’occasione, le scatta delle fotografie, dichiarando di volerle pubblicare su internet. Si viene a sapere anche che l’uomo ha riconosciuto la bambina solo alcuni giorni dopo la sua nascita: elemento che fa scattare più di un dubbio sulla reale paternità dell’uomo. Inevitabile quindi il campanello d’allarme per Silvana e suo marito. Allarme che si amplifica il giorno in cui la madre biologica chiede di ottenere un certificato valido per l’espatrio della minore. “Si è fatta viva all’improvviso dopo mesi e mi ha detto che veniva a riprendersela – ricorda Silvana -. Mi ha presentato un uomo, il quale sosteneva di essere suo padre e ha iniziato a fotografare la piccola. Ripeteva che voleva pubblicare quelle immagini sui social e poi che avrebbe portato via la bambina per presentarla ai suoi parenti”.
La volontà del presunto padre di portare la bambina nel suo Paese di origine era già stata alla base della risposta negativa della madre alla richiesta rivoltale, nell’aprile 2014, dalla baby-sitter di dare il consenso all’affidamento legale in suo favore.
Silvana e il marito, quindi, preoccupati che la piccola potesse finire nuovamente nelle mani di sua madre e di quell’uomo e temendo dunque il peggio, presentano un esposto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni avanzando istanza di affidamento. Il Tribunale si attiva e colloca la bambina in affido dalla baby-sitter, con inibizione dei genitori naturali di farle visita. Ma per l’adozione la strada è più complicata. Ci sono diversi problemi. Le scarse risorse economiche, il superato limite di età, la mancanza dell’assenso dei genitori biologici all’adozione e l’aver omesso di denunciare lo stato di abbandono della bambina entro 6 mesi, come previsto dalla legge. L’attività istruttoria chiarisce però l’irrilevanza penale della condotta di Silvana e del marito e, al contempo, emette un provvedimento di decadenza della responsabilità genitoriale per i genitori biologici. La giurisprudenza risolve anche il problema dell’età: la sentenza 283/1999 della Corte Costituzionale, infatti, afferma che il principio secondo cui la differenza di età massima tra adottanti e adottato deve essere di 40 anni non può essere assoluta, ma può subire eccezioni nel caso in cui ricorra “la necessità di salvaguardare il minore da un danno grave e non altrimenti evitabile che a lui deriverebbe dal mancato inserimento in quella specifica famiglia adottiva”. Inserimento che, in questo caso, procedeva a gonfie vele: la bambina imita già gli altri figli della coppia e chiama “mamma” e “papà” Silvana e suo marito.
Via libera quindi all’adozione in casi particolari, come previsto dall’articolo 44 della legge 184/83, rafforzata anche dalla legge 172/2015 sulla “continuità degli affetti”. “Quella piccola mi è entrata nel cuore e sarà la mia quinta figlia”, commenta oggi felice Silvana, ex baby-sitter divenuta mamma.
News Ai. Bi. 19 gennaio 2017 www.aibi.it/ita/salerno-la-baby-sitter-diventata-mamma
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AFFIDO CONDIVISO
Il diritto di visita.
Il nostro ordinamento tutela l’interesse del figlio e del genitore non collocatario a mantenere rapporti equilibrati e significativi. A partire dalla riforma che ha interessato nel 2006 il diritto di famiglia, il nostro ordinamento pone come regola generale in caso di separazione dei coniugi con prole quella dell’affidamento condiviso. Al diritto alla bigenitorialità dei figli, infatti, viene oggi riconosciuto un rilievo preminente e l’esercizio in comune della responsabilità genitoriale è considerato lo strumento migliore per garantire ai minori una crescita e un’educazione serene e adeguate.
Affidamento condiviso. L’affidamento condiviso, nella pratica, comporta che i figli, anche dopo la rottura del legame matrimoniale dei propri genitori, siano affidati sia alla madre che al padre e mantengano con entrambi dei rapporti equilibrati e significativi. A stabilirlo, più in particolare, è l’articolo 337-ter del codice civile, il quale al primo comma sancisce che “il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.
A tal fine, in sede di separazione, le parti o, in caso di mancato accordo, il giudice, dopo aver determinato il genitore con il quale i minori continueranno a convivere, stabiliscono anche i tempi e le modalità di presenza dei figli presso l’altro.
Il diritto di visita. Proprio in ciò risiede il diritto di visita: nel diritto del genitore non convivente (il collocatario) di continuare a mantenere dei rapporti significativi con i figli, al quale fa da specchio il diritto di questi ultimi di continuare a mantenere dei rapporti significativi con il primo. A tal fine, come accennato, vengono generalmente stabiliti sia i giorni, che le ore, che gli eventuali periodi di tempo prolungati che i minori potranno trascorrere con il genitore non collocatario. Generalmente, più il calendario è dettagliato, più è probabile che lo stesso venga effettivamente rispettato.
Frazionamento delle visite. Sebbene la legge non detti criteri precisi dei quali avvalersi nella concreta determinazione delle modalità con le quali il diritto di visita deve estrinsecarsi, è chiaro che esso deve ispirarsi a principi di coerenza e buon senso allo scopo di tutelare il più possibile il minore. In tal senso, quindi, è in linea di massima opportuno evitare l’eccessivo frazionamento delle visite costringendo il figlio a spostamenti continui da un luogo ad un altro con tutte le conseguenze che ne derivano, specie nel corso dell’anno scolastico.
La prassi è pertanto quella di garantire la presenza del minore presso il genitore non convivente magari un solo giorno durante la settimana e privilegiare il prolungamento nei fine settimana o nei periodi di vacanza da scuola. Abitualmente, seppure ciò non costituisca una regola, si prevede che i figli restino con il genitore con il quale non convivano, un pomeriggio durante la settimana ed il fine settimana o due pomeriggi durante la settimana e non il fine settimana, alternativamente.
Si dà poi diritto al genitore non collocatario di tenere con sé i minori per periodi prolungati, anche di più settimane, durante le vacanze estive e/o natalizie.
In casi molto rari, del tutto eccezionali e che hanno come presupposto imprescindibile la residenza dei genitori nella medesima città, si prevede l’affidamento alternato, con presenza del minore per periodi più lunghi ed analoghi (una settimana, due settimane, un mese e così via) in successione presso il padre e presso la madre.
Il mancato esercizio del diritto. Se il genitore non esercita il proprio diritto di visita ripetutamente, il giudice può far discendere da tale suo comportamento l’applicazione eccezionale dell’affidamento esclusivo in capo all’altro. Pur non essendo il diritto in parola un diritto coercibile, infatti, ciò non vuol dire che il suo mancato esercizio non dia luogo ad alcuna conseguenza. Anzi: in casi estremi l’assenteismo del genitore non collocatario può comportare conseguenze anche più pesanti, ovverosia sia la decadenza della responsabilità genitoriale ai sensi dell’articolo 350 del codice di procedura civile, che la responsabilità penale per il reato di cui all’articolo 570 del codice penale, che, infine, l’obbligo al risarcimento del danno.
Il diritto in esame, infatti, rappresenta non solo un diritto ma anche un vero e proprio dovere nei confronti dei figli e dell’altro genitore. Ai figli, più in particolare, deve essere garantito il diritto alla bigenitorialità, mentre all’altro genitore la solidarietà negli oneri verso i figli.
Conflittualità tra genitore e figlio. In alcuni casi può accadere che tra il figlio e il genitore non convivente sussistano dei rapporti conflittuali. Tale circostanza non è di per sé sufficiente a legittimare l’altro genitore a negare l’esercizio del diritto di visita (v. a tal proposito Cass. n. 50072/2016). Se la situazione è gravemente compromessa, casomai, è possibile affidarsi a uno psicologo che aiuti nella corretta gestione della dinamica familiare.
Il diritto di visita dei nonni. A partire dall’entrata in vigore del decreto legislativo numero 154/2013, anche i nonni hanno un diritto rispetto ai nipoti, che, seppure non può essere paragonato al vero e proprio diritto di visita, conosce una tutela effettiva nel nostro ordinamento. Tale provvedimento ha infatti modificato l’articolo 317-bis del codice civile, il quale regolamenta i rapporti dei nipoti con gli ascendenti sancendo che anche i nonni hanno il diritto di mantenere con i minori dei rapporti significativi. A presidio di tale diritto, poi, il predetto articolo afferma che se esso è impedito è possibile ricorrere al giudice di residenza abituale del minore affinché adotti i provvedimenti che, nell’esclusivo interesse del minore, risultino i più idonei.
Insomma: mentre in passato ai nonni non era attribuito alcun diritto autonomo rispetto ai nipoti e la giurisprudenza non riconosceva loro alcuna possibilità di intervento nel giudizio di separazione (né principale né ad adiuvandum), oggi è invece riconosciuta ufficialmente la piena importanza che anche gli ascendenti hanno nella crescita e nell’educazione dei minori.
Giurisprudenza. Ecco alcune interessanti massime in materia di diritto di visita.
Le norme sul diritto dei minori di conservare rapporti significativi con gli ascendenti non attribuiscono a questi ultimi un autonomo diritto di visita, ma introducono un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta e nell’articolazione dei provvedimenti da adottare nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto del minore ad una crescita serena ed equilibrata (Cass. n. 752/2015).
L’assolutamente occasionale inosservanza delle modalità – temporali, logistiche, o afferenti altro aspetto del genere – indicate nei provvedimenti giudiziari afferenti la disciplina di affidamento dei figli minori non è idonea, per sé, a concretizzare l’elusione del provvedimento, salvo che si tratti di inosservanza che, per le specifiche peculiari ed invasive sue caratteristiche concrete – oggetto di specifica e non illogica motivazione -, sia ritenuta per sé idonea a determinare l’alterazione di quell’equilibrio e frustrare le legittime pretese del genitore non affidatario (Cass. n. 10701/2010).
Il trasferimento di residenza del coniuge separato in una località distante da quella ove risiede l’ex non è circostanza idonea a privarlo dell’idoneità ad avere in affidamento i figli minori. Dinanzi a tale evenienza, pur incidente in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario, il giudice deve quindi valutare solo se è più funzionale all’interesse della prole il collocamento presso la madre o il padre (Cass. n. 9633/2015).
Guida Gennaio 2017 Newsletter Giuridica – studiocataldi.it 16 gennaio 2017
www.studiocataldi.it/guide_legali/affidamento_dei_figli/il-diritto-di-visita.asp
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AFFIDO ESCLUSIVO
Affido esclusivo al padre se la madre sente il figlio solo per telefono
Corte di cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 977, 17 gennaio 2017
Per la Cassazione l’assenza di incontri nel lungo periodo è circostanza tale da giustificare una deroga al principio della bigenitorialità. Il fatto che il nostro ordinamento privilegi, ponendolo come regola di carattere generale, l’affidamento condiviso, non vuol dire che i genitori debbano dimenticare quale sia il loro ruolo: se, infatti, l’applicazione del principio della bigenitorialità è pregiudizievole per il figlio, la predetta regola può, anzi deve, essere derogata dal giudice.
A tal fine, non si deve per forza pensare a comportamenti estremi ma, come emerge dalla recente sentenza della Corte di cassazione, è idonea a giustificare l’affidamento esclusivo in capo ad un solo genitore anche la circostanza che l’altro intrattenga con il figlio solo contatti telefonici o via Skype e che violi continuamente il diritto di visita. Comportamenti, insomma, tali da delineare l’assoluta incapacità di “fare il genitore”. Nel caso di specie, ad essere inadempiente ai propri doveri nei confronti del figlio era la madre che, dopo la separazione, era partita per la Thailandia e si era lungamente rapportata con il minore solo in maniera virtuale.
L’assenza di incontri nel lungo periodo era stata già valorizzata da parte del giudice del merito come circostanza tale, in quanto provocata dalla donna, a giustificare una deroga al principio della bigenitorialità e la Corte di cassazione la ha sposata pienamente: il piccolo resta affidato solo al papà. Con l’occasione i giudici hanno anche chiarito che il tradimento del coniuge è una violazione dei doveri che regolano il rapporto matrimoniale talmente grave da giustificare, anche da sola, l’addebito della separazione al partner fedifrago. La mancanza di nesso causale tra il tradimento e la crisi e la preesistenza di quest’ultima rispetto all’adulterio, quindi, deve essere accertata in maniera rigorosa e ponendo in essere una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi.
Nel caso di specie, vista l’infedeltà della donna e l’assenza di prova circa l’esistenza di una crisi irrimediabilmente già in atto, resta anche l’addebito della separazione alla moglie, che esce dal giudizio di legittimità “sconfitta” sotto tutti i punti di vista.
Avv. Valeria Zeppilli StudioCataldi.it 19 gennaio 2016
Sentenzawww.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_24756_1.pdf
www.studiocataldi.it/articoli/24756-perde-il-figlio-la-madre-che-lo-sente-solo-via-skype.asp
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AMORIS LÆTITIA
Sussidio del Centro di Pastorale Familiare della Diocesi di Trento
È un agile sussidio di 10 schede sintetiche, una per capitolo, dell’Esortazione Amoris lætitia di papa Francesco, più una di presentazione generale del documento. È il frutto del lavoro di molti collaboratori del Centro di Pastorale Familiare della Diocesi. Sono pensate in particolare per i Gruppi famiglie, con l’augurio che possano essere un’utile guida alla scoperta delle tante perle disseminate tra le righe di questo testo.
Per ogni scheda c’è un ulteriore sezione con materiale di approfondimento.
Sussidio a schede e approfondimenti
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Introduzione
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Capitolo 1 – Alla luce della parola
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Capitolo 2 – La realtà e le sfide della famiglia
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Capitolo 3 – Lo sguardo rivolto a Gesù: la vocazione della famiglia
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Capitolo 4 – L’amore nel matrimonio
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Capitolo 5 – L’amore che diventa fecondo
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Capitolo 6 – Alcune prospettive pastorali
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Capitolo 7 – Rafforzare l’educazione dei figli
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Capitolo 8 – Accompagnare, discernere e integrare la fragilità
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Capitolo 9 – Spiritualità coniugale e familiare
www.webdiocesi.chiesacattolica.it/triveneto/trento/00020776_Famiglia.html
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO
Nel determinare l’assegno di mantenimento, deve tenersi conto delle situazioni abitative dei coniugi
Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 24853, 5 dicembre 2016
Nella determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge ex art. 156 c.c., il giudice, oltre alla valutazione dei redditi, deve tener conto delle situazioni abitative e, in particolare, considerare se i coniugi sostengono un canone di locazione o occupano immobili di proprietà.
Il Caso.it, 16528, 16 gennaio 2017 www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/16528.pdf
Casalinga quarantenne: sì al mantenimento anche se in grado di lavorare
Corte di cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 789, 13 gennaio 2017
Per la Cassazione occorre valutare se ha maturato esperienze specifiche che determinano l’effettiva possibilità di svolgere un’attività lavorativa. La casalinga quarantenne continua ad avere diritto all’assegno di mantenimento, almeno se non ha acquisito una professionalità specifica e non ha ricevuto delle offerte di lavoro concrete. La Corte di cassazione ha infatti ricordato che il giudice, nel valutare la misura dell’assegno di mantenimento, deve valutare l’attitudine dei coniugi al lavoro e la loro potenziale capacità di guadagno e tenere conto sia dei redditi in denaro che di ogni altra utilità o capacità suscettibile di valutazione economica.
Tuttavia, ricordano i giudici, non può trascurarsi che in simili ipotesi l’attitudine al lavoro può avere rilievo solo se è riscontrata come effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita. Di conseguenza non è possibile limitarsi a delle valutazioni che sono solo astratte o ipotetiche ma è indispensabile considerare ogni fattore concreto, sia individuale che ambientale. Sono questi, in altre parole, i criteri che il giudice deve (e dovrà nel caso di specie) considerare onde valutare se l’assegno di mantenimento spetta o meno alla ex.
La sentenza in commento rileva anche perché con essa la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che la formazione di una nuova famiglia e la nascita di figli dal nuovo compagno non è una circostanza idonea a determinare automaticamente l’esclusione del diritto alimentare dell’ex. Per la Corte, infatti, quest’ultimo non è “recessivo rispetto a quello del nuovo figlio”, non potendosi prescindere dal valutare “l’incidenza della circostanza sopravvenuta per verificare in concreto se sia giustificata, a mente dell’art. 156, ult. co. c.p.c., la revoca o la modifica delle condizioni già fissate”.
Valeria Zeppilli Newsletter Giuridica – studiocataldi.it 16 gennaio 2017
Sentenzahttp://www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_24721_1.pdf
Mantenimento: finché morte non vi separi. E dopo? Scatta anche il Tfr.
L’idea che il mantenimento da corrispondere all’ex possa anche durare per sempre, arrivando fin dove il matrimonio non è riuscito ad arrivare, è una prerogativa tipicamente italiana.
www.studiocataldi.it/articoli/24680-il-mantenimento-all-ex-puo-essere-a-vita.asp
Uscendo al di fuori dei confini del Bel Paese le cose cambiano radicalmente. Addirittura in Germania il periodo di tempo in cui due coniugi devono continuare a sostenersi economicamente, nonostante le loro strade si siano separate ufficialmente, è di solo un anno: il minimo indispensabile per “rimettersi in piedi”. E l’assegno di mantenimento “a tempo” non è solo un’esclusiva del popolo tedesco. Stiamo parlando forse di due eccessi ma questo dovrebbe farci riflettere per capire se può avere davvero un senso trasformare il matrimonio in un contratto che ci lega per sempre non tanto per gli affetti quanto per gli obblighi di natura economica, specie se si considera che spesso il mantenimento è calcolato in modo tale da trasformare il coniuge obbligato in un senza tetto. Insomma “è proprio il voler garantire l’analogo tenore di vita antecedente alla cessazione del matrimonio, a creare i maggiori squilibri”. Vedi: Il dramma silenzioso dei padri separati:
www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_16412.asp
I criteri di calcolo dell’assegno di mantenimento hanno senso?
www.studiocataldi.it/guide_legali/assegno-di-mantenimento
Oggi il parametro per eccellenza per il calcolo dell’assegno di mantenimento è quello del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Ma è davvero possibile garantire all’ex coniuge un tenore di vita analogo a quello che si è avuto fino al momento della separazione? Quando da una famiglia ne nascono due, i soldi che prima erano sufficienti a permettere di beneficiare di certi agi molto probabilmente non lo saranno più. Due bollette, due affitti, doppia spesa, doppie utenze è innegabile che i costi aumentano. Se poi a ciò si aggiunge l’influenza, che alcuni rendono incidente, della durata del rapporto, si fa presto a capire che qualcosa non va.
Pur volendo valorizzare la funzione di solidarietà familiare anche a prescindere dalla separazione, come in Italia si è deciso di fare, magari un assegno perenne sarebbe meglio sopportato se accompagnato da parametri di valutazione più oggettivi e chiari. Non proprio una rendicontazione delle spese, come alcuni propongono, ma certamente qualcosa di più accettabile per le tasche di molti obbligati sì.
L’articolo 156 c.c. In realtà basterebbe anche solo un’interpretazione più evoluta della norma che disciplina tale assegno e che è contenuta nell’articolo 156 del codice civile, il quale così dispone: “il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato”.
Insomma: non è difficile trovare già nel codice civile gli strumenti per rendere il sistema un po’ più funzionante.
Patti prematrimoniali. Un’altra strada, suggerita da alcuni, potrebbe essere quella di aprire le porte, anche in Italia, ai poco romantici patti prematrimoniali, diffusissimi nei paesi anglosassoni. Chi vuole, così, potrebbe sapere in anticipo a cosa andrà incontro se le cose non dovessero funzionare.
E dopo la morte? Peraltro, i diritti del coniuge separato in Italia non vengono meno neanche con la morte. Basti pensare che se non c’è stato divorzio né addebito con sentenza definitiva, i diritti successori sono i medesimi del coniuge effettivo.
Se poi c’è addebito, all’ex coniuge che godeva del diritto agli alimenti spetterà comunque un vitalizio. Inoltre la separazione non incide neanche sul diritto al TFR,
www.studiocataldi.it/guide_legali/rapporto_di_lavoro/il-trattamento-di-fine-rapporto.asp
all’indennità di mancato preavviso e alla pensione di reversibilità.
Niente più assegno se c’è una nuova famiglia. Anche di fatto. In ogni caso, dalle aule di giustizia qualche segnale di cambiamento sta iniziando ad arrivare. Con la sentenza numero 6855/2015, ad esempio, la Corte di Cassazione ha definitivamente posto un freno all’assegno di mantenimento: se il beneficiario si rifà una famiglia, anche solo di fatto, l’ex coniuge non dovrà più contribuire al suo sostentamento. Tale principio, in realtà, era già stato affermato con la sentenza numero 17195/2011, ma la più recente sentenza è andata oltre: se la famiglia di fatto si scioglie, il diritto agli assegni comunque non torna.
Valeria Zeppilli Newsletter Giuridica – studiocataldi.it 16 gennaio 2017
www.studiocataldi.it/articoli/23870-mantenimento-finche-morte-non-vi-separi.asp
Mantenimento: al via l’aiuto di Stato per l’assegno all’ex.
Decreto Ministero Giustizia 15.12.2016
In Gazzetta Ufficiale il decreto del ministero della giustizia. Come funziona e come fare domanda. A più di un anno dalla sua istituzione, parte il fondo per il coniuge in stato di bisogno che prevede un contributo da parte dello Stato a compensazione del mancato pagamento dell’assegno di mantenimento disposto dall’autorità giudiziaria in sede di separazione. La misura, istituita con la penultima legge di stabilità (L. n. 208/2015), è diventata infatti operativa a seguito dell’emanazione del necessario decreto attuativo del ministero della giustizia, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14 gennaio scorso.
Nel provvedimento di Via Arenula vengono individuati i tribunali, situati nei capoluoghi dei distretti sede di corte d’appello, presso i quali avviare la sperimentazione del “Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno”, le modalità della presentazione dell’istanza da parte degli interessati, nonché le modalità per la corresponsione delle somme e per la riassegnazione di quelle recuperate.
Il fondo, per ora, è alimentato con una dotazione di 750mila euro (di cui 250mila per l’anno 2016 e 500mila per il 2017).
I beneficiari. Ad essere interessato dalla misura è “il coniuge separato in stato di bisogno che non è in grado di provvedere al mantenimento proprio e dei figli minori, oltre che dei figli maggiorenni portatori di handicap grave, conviventi, qualora non abbia ricevuto l’assegno determinato ai sensi dell’articolo 156 del Codice civile per inadempienza del coniuge che vi era tenuto”.
La domanda. L’interessato, come sopra definito, può rivolgere istanza da depositare nella cancelleria del tribunale del luogo ove ha la residenza, per l’anticipazione di una somma non superiore all’importo dell’assegno medesimo. L’istanza dovrà essere redatta in conformità al modulo (form) disponibile a partire dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione del decreto in Gazzetta (ossia dal 14 febbraio), direttamente sul sito del ministero della giustizia nell’apposita sezione denominata “Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno”. La domanda dovrà contenere a pena di inammissibilità, oltre alle generalità, dati anagrafici e codice fiscale del richiedente:
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L’indicazione degli estremi del conto corrente bancario o postale e la misura dell’inadempimento del coniuge tenuto a versare il mantenimento (specificando che lo stesso è maturato in epoca successiva all’entrata in vigore della legge di stabilità);
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L’indicazione se il coniuge inadempiente percepisca redditi da lavoro dipendente e, nel caso affermativo, l’indicazione che il datore di lavoro si è reso inadempiente all’obbligo di versamento diretto a favore del richiedente (ex art. 156, 6° comma, c.c.);
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L’indicazione che il valore dell’indicatore ISEE (o dell’ISEE corrente in corso di validità) è inferiore o uguale a 3mila euro;
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L’indirizzo di posta elettronica ordinaria o certificata dove l’interessato intende ricevere le comunicazioni;
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La dichiarazione di versare in condizione di occupazione o di disoccupazione (ex art. 19 d.lgs. n. 150/2015) e, in tale ultimo caso, di non aver rifiutato offerte di lavoro negli ultimi due anni.
All’istanza vanno allegati a pena di inammissibilità: un documento valido di identità del richiedente; la copia autentica del verbale di pignoramento mobiliare negativo ovvero della dichiarazione negativa del terzo pignorato relativamente alle procedure esecutive promosse nei confronti dell’ex inadempiente; la visura (rilasciata dalla conservatoria dei registri immobiliari delle province di nascita e residenza del coniuge inadempiente) da cui risulti l’impossidenza di beni immobili; l’originale (o la copia con formula esecutiva) del titolo sul quale è fondato il diritto al mantenimento.
La procedura. Il presidente del tribunale (o un giudice da lui delegato) valuta, nei 30 giorni successivi alla presentazione della domanda, l’ammissibilità della stessa e, in caso di giudizio negativo la rigetta con decreto non impugnabile. Nel caso di esito positivo (anche assumendo ove occorra informazioni ulteriori), invece, la trasmette al ministero della Giustizia ai fini del pagamento. A questo punto, il ministero della giustizia (entro trenta giorni dalla distribuzione delle risorse) si rivale sul coniuge inadempiente per il recupero delle somme erogate e, in caso di resistenza (entro 10 giorni dall’intimazione), potrà proporre, in presenza di fondati indici di solvibilità patrimoniale, azione esecutiva.
Nel decreto si sottolinea come la ripartizione delle somme debba avvenire in base a criteri di proporzionalità ed essere imputata a ciascun trimestre. Le somme non utilizzate nel corso di un trimestre andranno ad incrementare le disponibilità di quello successivo. In ogni caso, all’avente diritto non può corrispondersi, si specifica, una somma eccedente la misura massima mensile dell’assegno sociale. La procedura, viene infine sottolineato, è esente dal pagamento del contributo unificato.
La revoca. Ex art. 6 del decreto, viene stabilito che l’istanza del richiedente può essere revocata nel caso venga accertata l’insussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesta, ovvero nel caso in cui la documentazione presentata “contenga elementi non veritieri o sia incompleta rispetto a quella richiesta”. Facendo salve le conseguenze di legge (civile, penale e amministrativa), infine, si provvederà in ogni caso al recupero delle somme indebitamente erogate.
Decretowww.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_24751_1.pdf
Marina Crisafi News Studio Cataldi.it 19 gennaio 2016
www.studiocataldi.it/articoli/24751-mantenimento-al-via-l-aiuto-di-stato-per-l-assegno-all-ex.asp
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CASA CONIUGALE
Quando è consentito andare via di casa
Il coniuge che abbandona la casa coniugale rischia l’addebito salvo che vi sia una giusta causa o un accordo con l’altro. Uno dei principali doveri che scattano dopo il matrimonio è quello di coabitazione: marito e moglie devono vivere sotto lo stesso tetto (salvo, ovviamente, accordi diversi) e non è consentito lasciare quella che, in gergo giuridico, viene detta casa coniugale senza una giusta causa. Come, pertanto, per l’infedeltà, anche nel caso di abbandono del tetto può essere chiesta la separazione con addebito.
Questa è la regola generale. Ma come ogni regola ci sono le eccezioni. Eccezioni che possono essere legate, come detto sopra, a un accordo tra i coniugi (si pensi al caso in cui la famiglia decida di vivere qualche anno separata per consentire, a uno dei due, di fare carriera accettando un trasferimento particolarmente lontano). Lo stesso accordo potrebbe consentire la separazione di fatto della coppia quando marito e moglie abbiano ormai preso consapevole cognizione del fatto che l’unione si è ormai disgregata e si autorizzano l’un l’altro a vivere in una casa diversa. A tal fine, vista la delicatezza della situazione (non sempre quando la coppia si separa lo fa in modo amichevole), sarà più opportuno redigere un accordo per iscritto.
In ultimo, una giusta causa per poter andare via di casa è il comportamento pericoloso del coniuge che metta a repentaglio la sicurezza fisica o psicologia dell’altro. È quanto ha ricordato il Tribunale di Cassino con una recente sentenza [10\11\2016].
In generale se un coniuge si allontana dalla casa familiare senza una giusta causa o senza il consenso dell’altro, confermando la volontà di non farvi più ritorno, viola l’obbligo di coabitazione. In tal caso, l’altro coniuge può ottenere la separazione e chiedere al giudice che ne addebiti la causa all’ex. È quello che si definisce addebito. Il coniuge cui sia addebitata la separazione non può pretendere il mantenimento anche se ha un reddito più basso.
Non si può abbandonare la casa coniugale neanche se si ha intenzione di chiedere, di lì a breve, la separazione. In tal caso, infatti, se non c’è il consenso dell’altro coniuge, si subisce ugualmente l’addebito. Solo l’esistenza di una crisi già in atto, evidente e irreversibile, che dipenda da cause diverse e anteriori dall’abbandono del tetto, giustifica l’allontanamento da casa. Tuttavia, anche in questo caso, per evitare problemi di carattere processuale, è meglio che i coniugi sottoscrivano un accordo con cui si autorizzano vicendevolmente a vivere separati.
L’allontanamento dalla residenza familiare è possibile solo se vi è una giusta causa. In tale ipotesi non è causa di addebito, anche se manca l’accordo con l’altro coniuge. L’abbandono della casa è consentito, ad esempio:
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Se successivo al deposito della domanda al giudice di separazione o di annullamento o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio;
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Se è determinato da situazioni di fatto, avvenimenti o comportamenti di altri (dell’altro coniuge o di suoi familiari) incompatibili con il protrarsi della convivenza, oppure quando l’abbandono consegue a una situazione già intollerabile o compromessa quando cioè c’è una crisi matrimoniale già in atto che non consente la prosecuzione della vita in comune [Cass. Sent. n. 2539/2014, n. 1696/2014, n. 16285/2011].
Ecco qualche esempio di allontanamento da casa per giusto motivo:
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Frequenti litigi domestici tra un coniuge e la suocera convivente, situazione accettata dall’altro coniuge, che ha però portato nel tempo a un conseguente e progressivo deterioramento dei rapporti sessuali tra i coniugi;
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Accesa conflittualità tra i coniugi suscettibile di arrecare danni psichici ai figli.
Un altro esempio di abbandono legittimo della casa è quello necessario a sfuggire al «mobbing familiare»: la colpa della fine del matrimonio va piuttosto al coniuge che adotta la condotta violenta e prevaricatrice, condotta che costringe l’altro ad allontanarsi. E non conta che le sopraffazioni siano state tollerate per diversi anni e solo dopo molto tempo le si sia denunciate: basta anche un solo episodio di percosse, infatti, a determinare l’intollerabilità della convivenza.
Il «mobbing» familiare – per quanto il termine sia preso al prestito dal mondo del lavoro – sta a indicare una mancanza di equilibrio dei ruoli nel rapporto matrimoniale tale da configurare la violazione del principio di parità e la lesione della dignità della persona.
Non c’è peraltro bisogno che la violenza si risolva nell’uso delle mani: anche la violenza psicologica, i maltrattamenti, le offese e le prevaricazioni possono essere causa di mobbing familiare e consentire al coniuge di andare via di casa senza per questo aver bisogno del consenso, né tantomeno rischiare l’addebito.
Redazione Lpt 22 gennaio 2017
www.laleggepertutti.it/147457_quando-e-consentito-andare-via-di-casa
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CENTRO DI ATENEO STUDI E RICERCHE
La conduzione dei Gruppi di parola per la cura dei legami
Il Gruppo di Parola, utilmente sperimentato da diversi anni nei servizi pubblici e privati in diverse regioni italiane, grazie alle esperienze del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, rappresenta uno “spazio transizionale ed intermedio” tra il prima e il dopo della separazione e della riorganizzazione familiare, che permette ai figli di dare parola alla sofferenza connessa alla rottura dell’unità familiare, e consente loro di agire un ruolo attivo nella vicenda separativa e di attribuirle un significato comprensibile.
Obiettivi del corso:
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Approfondire le dimensioni psico-sociali della separazione o divorzio e di altre transizioni critiche, e riflettere sui bisogni dei figli come soggetti bisognosi di particolare attenzione e sostegno;
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Riconoscere la valenza del gruppo dei pari analizzando le dinamiche relazionali e simboliche proprie di un gruppo di bambini e di un gruppo di adolescenti;
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Apprendere le metodologie e le tecniche specifiche per la conduzione di Gruppi di Parola (copyright depositato dal CASRF dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, nel 2013),
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Incentivare la sperimentazione del Gruppo di Parola nel territorio di appartenenza, approntando un piano di diffusione e di attuazione, in collaborazione con la rete dei servizi locali.
Sono ammesse persone in possesso di un titolo di mediatore familiare o una provata esperienza nel campo della conflittualità familiare, quali Psicologi, Assistenti sociali, Educatori, in possesso di laurea, attivi presso servizi pubblici e privati che si occupano della famiglia, dell’infanzia o dell’adolescenza (Consultori Familiari, Servizi per la tutela dei minori, Neuro psichiatria infantile, Servizio di Psicologia, ecc.).
Le iscrizioni sono aperte fino al 23 gennaio 2017
http://centridiateneo.unicatt.it/famiglia-notizie-la-conduzione-dei-gruppi-di-parola-per-la-cura-dei-legami
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CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF
Newsletter n. 2/2017, 18 gennaio 2017.
Decreti attuativi delle unioni civili: davvero una buona notizia? Davvero eccessivo, l’entusiasmo con cui Il Governo ha comunicato l’approvazione dei decreti attuativi della legge sulle unioni civili, passo tutto sommato “normale”, e senza particolari novità. E intanto le politiche familiari si allontanano.
[Vedi 2 interventi di F. Belletti, Direttore Cisf, su Famiglia Cristiana on-line e su Radio Vaticana]
http://it.radiovaticana.va/news/2017/01/15/belletti_(cisf)_famiglia_ancora_sottovalutata_in_italia/1285850
Sarebbe più utile riportare l’attenzione (e l’agenda politica) su come l’istituzione famiglia oggi sappia – e continui ad essere – patrimonio e risorsa non solo sociale, ma anche economica ed educativa.
A riguardo, segnaliamo l’imminente incontro promosso dal Forum delle associazioni familiari (“Diamo credito alle famiglie, Insieme per far crescere il Paese”. Roma, 21 gennaio 2017).
www.forumfamiglie.org/eventi.php?&evento=11779
Dove si esce dal riduzionismo del modello affettivo di famiglia, e se ne riscopre il suo grande valore aggiunto – anche economico – per il bene comune. Che le restituisce anche soggettività sociale e politica. E rende sempre più urgenti politiche familiari di sostegno e promozione, concrete e di lungo periodo.
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XXV Congresso nazionale UCIIM. Si tiene a Roma dal 19 al 22 gennaio 2017 il 25.o Congresso nazionale dell’Unione Cattolica Italiana Insegnanti, Dirigenti, Educatori, Formatori (UCIIM), dedicato a “La Costituzione fonte di convivenza civile”
www.uciim.it/wp-content/uploads/2017/01/XXV-Congresso-UCIIM.pdf
L’UCIIM ha dedicato all’evento un numero monografico/dossier della rivista “LA SCUOLA E L’UOMO” (set-dic 2016), che comprende anche un intervento del Direttore Cisf, Francesco Belletti, su “Educare cittadini attivi e responsabili: un compito che chiede alleanza tra famiglia, scuola e società” [vedi il testo, pp. 42-45, all’interno della rivista on line]. www.uciim.it/rivistauciim/9-122016spw/#44
Un sito e un progetto per una corretta informazione sui fenomeni migratori. L’Associazione Carta di Roma http://www.cartadiroma.org/chi-siamo
è nata nel dicembre 2011 per dare attuazione al protocollo deontologico per una informazione corretta sui temi dell’immigrazione, siglato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti (CNOG) e a Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) nel giugno del 2008.L’associazione lavora per diventare un punto di riferimento stabile per tutti coloro che lavorano quotidianamente sui temi della Carta, giornalisti e operatori dell’informazione in primis, ma anche enti di categoria e istituzioni, associazioni e attivisti impegnati da tempo sul fronte dei diritti dei richiedenti asilo, dei rifugiati, delle minoranze e dei migranti nel mondo dell’informazione.
Diritti sociali e famiglia in Europa. Troppa distanza? La Commissione Europea ha lanciato nel 2016 una consultazione [Leggi la versione in italiano del documento dell’8 marzo 2016, Avvio di una consultazione su un pilastro europeo dei diritti sociali],
http://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:bc4bab37-e5f2-11e5-8a50-01aa75ed71a1.0015.02/DOC_1&format=PDF
in vista di un rafforzamento di quella Europa sociale finora troppo debole, di fronte all’Europa dei soldi, dei confini nazionali, delle banche. Gli obiettivi sono interessanti, e indicano una potenzialità positiva di miglioramento dei sistemi di welfare (vedi qui sotto, in corsivo). Purtroppo l’approccio sembra ancora vecchio: troppo “lavoristico” e poco “family friendly,”, mentre è ormai consolidata l’idea che un welfare individualistico, che non riconosce la famiglia come soggetto, consuma il capitale sociale, anziché generarlo. In effetti nel testo dell'”avvio di consultazione” la parola “famiglia” è citata solo un volta (e solo per ricordare che le sue strutture stanno cambiando), la parola “genitori” solo una volta, le parole “bambini” e “figli” neanche una. Si può costruire un nuovo pilastro sociale in Europa senza vedere la famiglia? (F. Belletti)
Peraltro, in positivo, l’apprezzabile pratica della “consultazione” ha dato voce anche a soggetti che sono espressione delle famiglie, come la COFACE, che ha inviato alla Commissione un proprio documento
www.coface-eu.org/wp-content/uploads/2016/09/COFACE_EPSR-seminar_Discussion-PaperFINAL.pdf
[COFACE, “Laying the Foundations for a European Pillar for Social Rights”], a seguito di un seminario di studio organizzato il 27 settembre 2016 a Bruxelles.
(Gli obiettivi, dal documento UE)
“- Pari opportunità e pari accesso al mercato del lavoro, compresi lo sviluppo i competenze e l’apprendimento permanente e il sostegno attivo all’occupazione, per aumentare le opportunità occupazionali, facilitare le transizioni tra status diversi e migliorare l’occupabilità dei singoli.
– Condizioni di lavoro eque per creare un equilibrio adeguato ed affidabile dei diritti e dei doveri tra i lavoratori e i datori di lavoro, come anche tra gli elementi di flessibilità e quelli di sicurezza, facilitare la creazione di nuovi posti di lavoro, le assunzioni e l’adattabilità delle imprese, nonché promuovere il dialogo sociale.
– Protezione sociale adeguata e sostenibile, come anche accesso a servizi essenziali di alta qualità, comprese l’assistenza all’infanzia, l’assistenza sanitaria e l’assistenza a lungo termine, assicurare una vita dignitosa e protezione dai rischi e mettere in grado i singoli di partecipare pienamente alla vita professionale e sociale”.
Ultimi arrivi dalle case editrici. Tutti i volumi sono consultabili presso il Centro Documentazione del Cisf.
Essi sono inoltre acquistabili su www.sanpaolostore.it
http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/centro-documentazione.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_18_01_2017
10 autori, Invisibili, Edizioni Centro della Famiglia, Treviso, 2016, pp. 119.
Dieci racconti, dieci “storie di vita” che narrano quelle che per molti non sono neppure vite in senso pieno, e che invece rivelano un carico di umanità su cui qualche volta è bene soffermarsi per – come scrive Moni Ovadia nell’introduzione – «guardare oltre l’angusto orizzonte della propria autoreferenzialità».
Gli “invisibili” del titoli sono gli homeless, per dirla all’inglese come di moda oggi, in sostituzione del francese clochard, in voga da noi il secolo scorso per evitare il crudo, dispregiativo “barbone”. Ma attenzione: nulla di pittoresco, di vagamente romantico nei ritratti che qui troviamo. Queste non sono storie di eccentrici solitari, di contestatori anarchici che hanno rifiutato le convenzioni sociali per spirito bohèmienne. La crisi economica e il cambiamento sociale hanno cancellato questa fetta della nostra società. Oggi possono da un momento all’altro perdere tutto, anche la dimora, professionisti e operai, tecnici e impiegati, uomini e donne magari nostri ex-vicini di casa. Una malattia, la rottura della famiglia, la perdita del lavoro, magari la combinazione di più di uno di questi fattori, e l’esito è lo stesso: senza tetto.
È la famiglia, in realtà, la vera protagonista di questo libro, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio e dal Centro della Famiglia di Treviso: quella spezzata dalla separazione o dalla malattia, quella d’origine, spesso impotente. Ma anche quella ritrovata dei volontari che si occupano di accogliere e aiutare le esistenze qui raccontate, per rendere il mondo un po’ meno cinico e spietato con chi non ce l’ha fatta, e dare loro un “binario di ritorno”. Pietro Boffi
Save the date.
Nord. Nuove generazioni Altre generatività, Animazione sociale, convegno per operatori sociali, Rovereto (TN), 22-24 febbraio 2017 www.animazionesociale.it/nuove-generazioni-altre-generativita
Organizzarsi in tempi bui. La famiglia alla luce della Amorislætitia, Scuola diocesana di formazione all’impegno sociale e politico, Diocesi di Bologna, Fondazione Veritatis Splendor, Bologna, date varie, dal 4 febbraio al 25 marzo 2017.
www.chiesadibologna.it/ivs/scuola_diocesana/pdf/2017/Organizzarsi-in-tempi-bui-Depliant-definitivo-2017.pdf
Centro: Giornate di Studio sulla Popolazione 2017, 12.a edizione, Conferenza internazionale (in inglese) organizzata da AISP (Associazione Italiana Studi Popolazione), Firenze, 8-10 febbraio 2017.
www.sis-aisp.it/ocs-2.3.4/index.php/popdays2017/popdays2017
Mobilità – Immobilità. La società italiana per le nuove generazioni, Istituto Vittorio Bachelet, Azione Cattolica Italiana, Roma, 10-11 febbraio 2017.
http://azionecattolica.it/sites/default/files/Convegno_Bachelet_2017.pdf
Sud: Comunicare la bellezza dell’amore umano, percorso formativo organizzato da Forum delle associazioni familiari Puglia e UCIIM Puglia, Bari, febbraio – maggio 2017.
www.forumfamigliepuglia.org/wp-content/uploads/2016/12/brochure-forum2-1-2.pdf
Estero: “Learning und Integration”, 6th Berliner Demography Forum 2017, incontro internazionale sul ruolo dei processi educativi e formativi per promuovere l’integrazione sociale e la partecipazione, Berlino, 15-17 febbraio 2017. www.berlinerdemografieforum.org/bdf-2017/program/?lang=en
Testo completo http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/gennaio2017/1022/index.html
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CHIESA CATTOLICA
Intervista al cardinale Carlo Caffarra.
Bologna. “Credo che vadano chiarite diverse cose. La lettera – e i dubia allegati – è stata lungamente riflettuta, per mesi, e lungamente discussa tra di noi. Per quanto mi riguarda, è stata anche lungamente pregata davanti al Santissimo Sacramento”. Il cardinale Carlo Caffarra premette questo, prima di iniziare la lunga conversazione con il Foglio sull’ormai celebre lettera “dei quattro cardinali” inviata al Papa per chiedergli chiarimenti in relazione ad Amoris lætitia, l’esortazione che ha tirato le somme del doppio Sinodo sulla famiglia e che tanto dibattito – non sempre con garbo ed eleganza – ha scatenato dentro e fuori le mura vaticane. “Eravamo consapevoli che il gesto che stavamo compiendo era molto serio. Le nostre preoccupazioni erano due. La prima era di non scandalizzare i piccoli nella fede. Per noi pastori questo è un dovere fondamentale. La seconda preoccupazione era che nessuna persona, credente o non credente, potesse trovare nella lettera espressioni che anche lontanamente suonassero come una benché minima mancanza di rispetto verso il Papa. Il testo finale quindi è il frutto di parecchie revisioni: testi rivisti, rigettati, corretti”. Fatte queste premesse, Caffarra entra in materia.
“Che cosa ci ha spinto a questo gesto? Una considerazione di carattere generale-strutturale e una di carattere contingente-congiunturale. Iniziamo dalla prima. Esiste per noi cardinali il dovere grave di consigliare il Papa nel governo della Chiesa. E’ un dovere, e i doveri obbligano. Di carattere più contingente, invece, vi è il fatto – che solo un cieco può negare – che nella Chiesa esiste una grande confusione, incertezza, insicurezza causate da alcuni paragrafi di Amoris lætitia. In questi mesi sta accadendo che sulle stesse questioni fondamentali riguardanti l’economia sacramentale (matrimonio, confessione ed eucaristia) e la vita cristiana, alcuni vescovi hanno detto A, altri hanno detto il contrario di A. Con l’intenzione di interpretare bene gli stessi testi”.
E “questo è un fatto, innegabile, perché i fatti sono testardi, come diceva David Hume. La via di uscita da questo ‘conflitto di interpretazioni’ era il ricorso ai criteri interpretativi teologici fondamentali, usando i quali penso che si possa ragionevolmente mostrare che Amoris lætitia non contraddice Familiaris consortio. Personalmente, in incontri pubblici con laici e sacerdoti ho sempre seguito questa via”. Non è bastato, osserva l’arcivescovo emerito di Bologna. “Ci siamo resi conto che questo modello epistemologico non era sufficiente. Il contrasto tra queste due interpretazioni continuava. C’era un solo modo per venirne a capo: chiedere all’autore del testo interpretato in due maniere contraddittorie qual è l’interpretazione giusta. Non c’è altra via. Si poneva, di seguito, il problema del modo con cui rivolgersi al Pontefice. Abbiamo scelto una via molto tradizionale nella Chiesa, i cosiddetti dubia”.
Perché?
“Perché si trattava di uno strumento che, nel caso in cui secondo il suo sovrano giudizio il Santo Padre avesse voluto rispondere, non lo impegnava in risposte elaborate e lunghe. Doveva solo rispondere Sì o No. E rimandare, come spesso i Papi hanno fatto, ai provati autori (in gergo: probati auctores) o chiedere alla Dottrina della fede di emanare una dichiarazione congiunta con cui spiegare il Sì o il No. Ci sembrava la via più semplice. L’altra questione che si poneva era se farlo in privato o in pubblico. Abbiamo ragionato e convenuto che sarebbe stata una mancanza di rispetto rendere tutto pubblico fin da subito. Così si è fatto in modo privato, e solo quando abbiamo avuto la certezza che il Santo Padre non avrebbe risposto, abbiamo deciso di pubblicare”.
E’ questo uno dei punti su cui maggiormente s’è discusso, con relative polemiche assortite. Da ultimo, è stato il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto dell’ex Sant’Uffizio, a giudicare sbagliata la pubblicazione della lettera. Caffarra spiega: “Abbiamo interpretato il silenzio come autorizzazione a proseguire il confronto teologico. E, inoltre, il problema coinvolge così profondamente sia il magistero dei vescovi (che, non dimentichiamolo, lo esercitano non per delega del Papa ma in forza del sacramento che hanno ricevuto) sia la vita dei fedeli. Gli uni e gli altri hanno diritto di sapere. Molti fedeli e sacerdoti dicevano ‘ma voi cardinali in una situazione come questa avete l’obbligo di intervenire presso il Santo Padre. Altrimenti per che cosa esistete se non aiutate il Papa in questioni così gravi? ’ Cominciava a farsi strada lo scandalo di molti fedeli, quasi che noi ci comportassimo come i cani che non abbaiano di cui parla il Profeta. Questo è quanto sta dietro a quelle due pagine”.
Eppure le critiche sono piovute, anche da confratelli vescovi o monsignori di curia: “Alcune persone continuano a dire che noi non siamo docili al magistero del Papa. E’ falso e calunnioso. Proprio perché non vogliamo essere indocili abbiamo scritto al Papa. Io posso essere docile al magistero del Papa se so cosa il Papa insegna in materia di fede e di vita cristiana. Ma il problema è esattamente questo: che su dei punti fondamentali non si capisce bene che cosa il Papa insegna, come dimostra il conflitto di interpretazioni fra vescovi. Noi vogliamo essere docili al magistero del Papa, però il magistero del Papa deve essere chiaro. Nessuno di noi – dice l’arcivescovo emerito di Bologna – ha voluto ‘obbligare’ il Santo Padre a rispondere: nella lettera abbiamo parlato di sovrano giudizio. Semplicemente e rispettosamente abbiamo fatto domande. Non meritano infine attenzione le accuse di voler dividere la Chiesa. La divisione, già esistente nella Chiesa, è la causa della lettera, non il suo effetto. Cose invece indegne dentro la Chiesa sono, in un contesto come questo soprattutto, gli insulti e le minacce di sanzioni canoniche”.
www.ilfoglio.it/chiesa/2016/11/29/news/sinodo-rota-chiesa-famiglia-pio-vito-pinto-papa-francesco-cardinali-108361
Nella premessa alla lettera si constata “un grave smarrimento di molti fedeli e una grande confusione in merito a questioni assai importanti per la vita della Chiesa”.
In che cosa consistono, nello specifico, la confusione e lo smarrimento? Risponde Caffarra: “Ho ricevuto la lettera di un parroco che è una fotografia perfetta di ciò che sta accadendo. Mi scriveva: ‘Nella direzione spirituale e nella confessione non so più che cosa dire. Al penitente che mi dice: vivo a tutti gli effetti come marito con una donna che è divorziata e ora mi accosto all’eucarestia, propongo un percorso, in ordine a correggere questa situazione. Ma il penitente mi ferma e risponde subito: guardi, padre, il Papa ha detto che posso ricevere l’eucaristia, senza il proposito di vivere in continenza. Io non ne posso più di questa situazione. La Chiesa mi può chiedere tutto, ma non di tradire la mia coscienza. E la mia coscienza fa obiezione a un supposto insegnamento pontificio di ammettere all’eucaristia, date certe circostanze, chi vive more uxorio senza essere sposato’. Così scriveva il parroco. La situazione di molti pastori d’anime, intendo soprattutto i parroci – osserva il cardinale – è questa: si ritrovano sulle spalle un peso che non sono in grado di portare. E’ a questo che penso quando parlo di grande smarrimento. E parlo dei parroci, ma molti fedeli restano ancor più smarriti. Stiamo parlando di questioni che non sono secondarie. Non si sta discutendo se il pesce rompe o non rompe l’astinenza. Si tratta di questioni gravissime per la vita della Chiesa e per la salvezza eterna dei fedeli. Non dimentichiamolo mai: questa è la legge suprema nella Chiesa, la salvezza eterna dei fedeli. Non altre preoccupazioni. Gesù ha fondato la sua Chiesa perché i fedeli abbiano la vita eterna, e l’abbiano in abbondanza”.
La divisione cui si riferisce il cardinale Carlo Caffarra è originata innanzitutto dall’interpretazione dei paragrafi di Amoris lætitia che vanno dal numero 300 al 305. Per molti, compresi diversi vescovi, qui si trova la conferma di una svolta non solo pastorale bensì anche dottrinale. Altri, invece, che il tutto sia perfettamente inserito e in continuità con il magistero precedente. Come si esce da tale equivoco? “Farei due premesse molto importanti. Pensare una prassi pastorale non fondata e radicata nella dottrina significa fondare e radicare la prassi pastorale sull’arbitrio. Una Chiesa con poca attenzione alla dottrina non è una Chiesa più pastorale, ma è una Chiesa più ignorante. La Verità di cui noi parliamo non è una verità formale, ma una Verità che dona salvezza eterna: Veritas salutaris, in termini teologici. Mi spiego. Esiste una verità formale. Per esempio, voglio sapere se il fiume più lungo del mondo è il Rio delle Amazzoni o il Nilo. Risulta che è il Rio delle Amazzoni. Questa è una verità formale. Formale significa che questa conoscenza non ha nessuna relazione con il mio modo di essere libero. Anche se la risposta fosse stata il contrario, non sarebbe cambiato nulla sul mio modo di essere libero. Ma ci sono verità che io chiamo esistenziali. Se è vero – come Socrate aveva già insegnato – che è meglio subire un’ingiustizia piuttosto che compierla, enuncio una verità che provoca la mia libertà ad agire in modo molto diverso che se fosse vero il contrario. Quando la Chiesa parla di verità – aggiunge Caffarra – parla di verità del secondo tipo, la quale, se obbedita dalla libertà, genera la vera vita. Quando sento dire che è solo un cambiamento pastorale e non dottrinale, o si pensa che il comandamento che proibisce l’adulterio sia una legge puramente positiva che può essere cambiata (e penso che nessuna persona retta possa ritenere questo), oppure significa ammettere sì che il triangolo ha generalmente tre lati, ma che c’è la possibilità di costruirne uno con quattro lati. Cioè, dico una cosa assurda. Già i medievali, dopotutto, dicevano: theoria sine praxi, currus sine axi; praxis sine theoria, caecus in via”.
La seconda premessa che l’arcivescovo di Bologna fa riguarda “il grande tema dell’evoluzione della dottrina, che ha sempre accompagnato il pensiero cristiano. E che sappiamo è stato ripreso in maniera splendida dal beato John Henry Newman. Se c’è un punto chiaro, è che non c’è evoluzione laddove c’è contraddizione. Se io dico che s è p e poi dico che s non è p, la seconda proposizione non sviluppa la prima ma la contraddice. Già Aristotile aveva giustamente insegnato che enunciare una proposizione universale affermativa (e. g. ogni adulterio è ingiusto) e allo stesso tempo una proposizione particolare negativa avente lo stesso soggetto e predicato (e. g. qualche adulterio non è ingiusto), non si fa un’eccezione alla prima. La si contraddice. Alla fine, se volessi definire la logica della vita cristiana, userei l’espressione di Kierkegaard: ‘Muoversi sempre, rimanendo sempre fermi nello stesso punto.’”
Il problema, aggiunge il porporato, “è di vedere se i famosi paragrafi nn. 300-305 di Amoris lætitia e la famosa nota n. 351 sono o non sono in contraddizione con il magistero precedente dei Pontefici che hanno affrontato la stessa questione. Secondo molti vescovi, è in contraddizione. Secondo molti altri vescovi, non si tratta di contraddizione ma di uno sviluppo. Ed è per questo che abbiamo chiesto una risposta al Papa”. Si arriva così al punto più conteso e che tanto ha animato le discussioni sinodali: la possibilità di concedere ai divorziati e risposati civilmente il riaccostamento all’eucaristia. Cosa che non trova esplicitamente spazio in Amoris lætitia, ma che a giudizio di molti è un fatto implicito che rappresenta nulla di più se non un’evoluzione rispetto al n. 84 dell’esortazione Familiaris consortio di Giovanni Paolo II.
“Il problema nel suo nodo è il seguente”, argomenta Caffarra: “Il ministro dell’eucaristia (di solito il sacerdote) può dare l’eucaristia a una persona che vive more uxorio con una donna o con uomo che non è sua moglie o suo marito, e non intende vivere nella continenza? Le risposte sono solo due: Sì oppure No. Nessuno per altro mette in questione che Familiaris consortio, Sacramentum unitatis, il Codice di diritto canonico, e il Catechismo della Chiesa cattolica {tutti datati e precedenti all’ultimo Sinodo. Ndr}. Alla domanda suddetta rispondano No. Un No valido finché il fedele non propone di abbandonare lo stato di convivenza more uxorio. Amoris lætitia ha insegnato che, date certe circostanze precise e fatto un certo percorso, il fedele potrebbe accostarsi all’eucaristia senza impegnarsi alla continenza? Ci sono vescovi che hanno insegnato che si può. Per una semplice questione di logica, si deve allora anche insegnare che l’adulterio {ma sono sposati e hanno impegni con il consorte e i figli. Ndr} non è in sé e per sé male. Non è pertinente appellarsi all’ignoranza o all’errore a riguardo dell’indissolubilità del matrimonio: un fatto purtroppo molto diffuso. Questo appello ha un valore interpretativo, non orientativo. Deve essere usato come metodo per discernere l’imputabilità delle azioni già compiute, ma non può essere principio per le azioni da compiere. Il sacerdote – dice il cardinale – ha il dovere di illuminare l’ignorante e correggere l’errante”.
“Ciò che invece Amoris lætitia ha portato di nuovo su tale questione, è il richiamo ai pastori d’anime di non accontentarsi di rispondere No (non accontentarsi però non significa rispondere Sì), ma di prendere per mano la persona e aiutarla a crescere fino al punto che essa capisca che si trova in una condizione tale da non poter ricevere l’eucaristia, se non cessa dalle intimità proprie degli sposi. Ma non è che il sacerdote possa dire ‘aiuto il suo cammino dandogli anche i sacramenti’. Ed è su questo che nella nota n. 351 il testo è ambiguo. Se io dico alla persona che non può avere rapporti sessuali con colui che non è suo marito o sua moglie, però per intanto, visto che fa tanto fatica, può averne… solo uno anziché tre alla settimana, non ha senso; e non uso misericordia verso questa persona. Perché per porre fine a un comportamento abituale – un habitus, direbbero i teologi – occorre che ci sia il deciso proposito di non compiere più nessun atto proprio di quel comportamento. Nel bene c’è un progresso, ma fra il lasciare il male e iniziare a compiere il bene, c’è una scelta istantanea, anche se lungamente preparata. Per un certo periodo Agostino pregava: ‘Signore, dammi la castità, ma non subito’”. A scorrere i dubia, pare di comprendere che in gioco, forse più di Familiaris consortio, ci sia Veritatis splendor. E’ così?
“Sì”, risponde Carlo Caffarra. “Qui è in questione ciò che insegna Veritatis splendor. Questa enciclica (6 agosto 1993) è un documento altamente dottrinale, nelle intenzioni del Papa san Giovanni Paolo II, al punto che – cosa eccezionale ormai nelle encicliche – è indirizzata solo ai vescovi in quanto responsabili della fede che si deve credere e vivere (cfr. n. 5). A essi, alla fine, il Papa raccomanda di essere vigilanti circa le dottrine condannate o insegnate dall’enciclica stessa. Le une perché non si diffondano nelle comunità cristiane, le altre perché siano insegnate (cfr. n. 116). Uno degli insegnamenti fondamentali del documento è che esistono atti i quali possono per se stessi ed in se stessi, a prescindere dalle circostanze in cui sono compiuti e dallo scopo che l’agente si propone, essere qualificati disonesti. E aggiunge che negare questo fatto può comportare di negare senso al martirio (cfr. nn. 90-94). Ogni martire infatti – sottolinea l’arcivescovo emerito di Bologna – avrebbe potuto dire: ‘Ma io mi trovo in una circostanza… in tali situazioni per cui il dovere grave di professare la mia fede, o di affermare l’intangibilità di un bene morale, non mi obbliga più’. Si pensi alle difficoltà che la moglie di Tommaso Moro faceva a suo marito già condannato in prigione: ‘Hai doveri verso la famiglia, verso i figli’. Non è, quindi, solo un discorso di fede. Anche se uso la sola retta ragione, vedo che negando l’esistenza di atti intrinsecamente disonesti, nego che esista un confine oltre il quale i potenti di questo mondo non possono e non devono andare. Socrate è stato il primo in occidente a comprendere questo. La questione dunque è grave, e su questo non si possono lasciare incertezze. Per questo ci siamo permessi di chiedere al Papa di fare chiarezza, poiché ci sono vescovi che sembrano negare tale fatto, richiamandosi ad Amoris lætitia. L’adulterio infatti è sempre rientrato negli atti intrinsecamente cattivi. Basta leggere quanto dice Gesù al riguardo, san Paolo e i comandamenti dati a Mosè dal Signore”. Ma c’è ancora spazio, oggi, per gli atti cosiddetti “intrinsecamente cattivi”. O, forse, è tempo di guardare più all’altro lato della bilancia, al fatto che tutto, dinanzi a Dio, può essere perdonato?
Attenzione, dice Caffarra: “Qui si fa una grande confusione. Tutti i peccati e le scelte intrinsecamente disoneste possono essere perdonate. Dunque ‘intrinsecamente disonesti’ non significa ‘imperdonabili’. Gesù tuttavia non si accontenta di dire all’adultera: ‘Neanch’io ti condanno’. Le dice anche: ‘Va’ e d’ora in poi non peccare più’ (Gv. 8,10). {Queste nozze sono, per molti, un peccato istantaneo, che come l’omicidio volontario può essere perdonato, ndr}. San Tommaso, ispirandosi a sant’Agostino, fa un commento bellissimo, quando scrive che ‘Avrebbe potuto dire: va’ e vivi come vuoi e sii certa del mio perdono. Nonostante tutti i tuoi peccati, io ti libererò dai tormenti dell’inferno. Ma il Signore che non ama la colpa e non favorisce il peccato, condanna la colpa… dicendo: e d’ora in poi non peccare più. Appare così quanto sia tenero il Signore nella sua misericordia e giusto nella sua Verità’ (cfr. Comm. a Gv. 1139). Noi siamo veramente, non per modo di dire, liberi davanti al Signore. E quindi il Signore non ci butta dietro il suo perdono. Ci deve essere un mirabile e misterioso matrimonio tra l’infinita misericordia di Dio e la libertà dell’uomo, il quale deve convertirsi se vuole essere perdonato”.
Chiediamo al cardinale Caffarra se una certa confusione non derivi anche dalla convinzione, radicata pure tra tanti pastori, che la coscienza sia una facoltà per decidere autonomamente riguardo ciò che è bene e ciò che è male, e che in ultima istanza la parola decisiva spetti alla coscienza del singolo. “Ritengo che questo sia il punto più importante di tutti”, risponde. “E’ il luogo dove ci incontriamo e scontriamo con la colonna portante della modernità. Cominciamo col chiarire il linguaggio. La coscienza non decide, perché essa è un atto della ragione; la decisione è un atto della libertà, della volontà. La coscienza è un giudizio in cui il soggetto della proposizione che lo esprime è la scelta che sto per compiere o che ho già compiuto, e il predicato è la qualificazione morale della scelta. E’ dunque un giudizio, non una decisione. Naturalmente, ogni giudizio ragionevole si esercita alla luce di criteri, altrimenti non è un giudizio, ma qualcosa d’altro. Criterio è ciò in base a cui io affermo ciò che affermo e nego ciò che nego. A questo punto risulta particolarmente illuminante un passaggio del Trattato sulla coscienza morale del beato Rosmini: ‘C’è una luce che è nell’uomo e c’è una luce che è l’uomo. La luce che è nell’uomo è la legge di Verità e la grazia. La luce che è l’uomo è la retta coscienza, poiché l’uomo diventa luce quando partecipa alla luce della legge di Verità mediante la coscienza a quella luce confermata’. Ora, di fronte a questa concezione della coscienza morale si oppone la concezione che erige come tribunale inappellabile della bontà o malizia delle proprie scelte la propria soggettività. Qui, per me – dice il porporato – c’è lo scontro decisivo tra la visione della vita che è propria della Chiesa (perché è propria della Rivelazione divina) e la concezione della coscienza propria della modernità”.
“Chi ha visto questo in maniera lucidissima – aggiunge – è stato il beato Newman. Nella famosa Lettera al duca di Norfolk, dice: ‘La coscienza è un vicario aborigeno del Cristo. Un profeta nelle sue informazioni, un monarca nei suoi ordini, un sacerdote nelle sue benedizioni e nei suoi anatemi. Per il gran mondo della filosofia di oggi, queste parole non sono che verbosità vane e sterili, prive di un significato concreto. Al tempo nostro ferve una guerra accanita, direi quasi una specie di cospirazione contro i diritti della coscienza’. Più avanti aggiunge che ‘nel nome della coscienza si distrugge la vera coscienza’. Ecco perché fra i cinque dubia il dubbio numero cinque è il più importante. C’è un passaggio di Amoris lætitia, al n. 303, che non è chiaro; sembra – ripeto: sembra – ammettere la possibilità che ci sia un giudizio vero della coscienza (non invincibilmente erroneo; questo è sempre stato ammesso dalla Chiesa) in contraddizione con ciò che la Chiesa insegna come attinente al deposito della divina Rivelazione. Sembra. E perciò abbiamo posto il dubbio al Papa”.
“Newman – ricorda Caffarra – dice che ‘se il Papa parlasse contro la coscienza presa nel vero significato della parola, commetterebbe un vero suicidio, si scaverebbe la fossa sotto i piedi’. Sono cose di una gravità sconvolgente. Si eleverebbe il giudizio privato a criterio ultimo della verità morale. Non dire mai a una persona: ‘Segui sempre la tua coscienza’, senza aggiungere sempre e subito: ‘Ama e cerca la verità circa il bene’. Gli metteresti nelle mani l’arma più distruttiva della sua umanità”.
Matteo Matzuzzi il foglio 14 Gennaio 2017
www.ilfoglio.it/chiesa/2017/01/14/news/carlo-caffarra-papa-sinodo-famiglia-coscienza-newman-chiesa-114939
L’Eclatante Errore di Caffarra.
In materia di fede e di costumi la Chiesa Docente, cioè il Papa ed i Vescovi in unione con lui, non può errare e non può indurre in errore: questa è la nostra fede cattolica. Eppure Caffarra ha affermato che Amoris lætitia, documento magisteriale con tutti i crismi sui costumi, indurrebbe in errore: la logica del cattolico verace comanda quindi che è Caffarra ad essere in errore con questo suo esordio. Rimane solo scovare l’errore e mostrarlo. L’occasione di riscontrare dove fosse tale suo errore Caffarra stesso ce l’ha offerta in un’intervista data a Matteo Matzuzzi il 14 gennaio scorso sul Foglio.
Il nocciolo centrale, teoretico e, in finis, unico della sua opposizione ad Amoris lætitia è concentrato in questa sua affermazione (errata): “Amoris lætitia ha insegnato che, date certe circostanze precise e fatto un certo percorso, il fedele potrebbe accostarsi all’eucaristia senza impegnarsi alla continenza? Ci sono vescovi che hanno insegnato che si può. Per una semplice questione di logica, si deve allora anche insegnare che l’adulterio non è in sé e per sé male.”
L’errore contenuto in questa sua affermazione è violento e a più livelli e, in questo senso, inescusabile per un personaggio di questo calibro intellettuale:
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Il fatto che esistano circostanze attenuanti per un penitente, infatti, non sminuisce la gravità dell’atto ma solo diminuisce la responsabilità del peccatore in quanto gli riconosce una libertà diminuita. Se Gianni prende una pistola e la punta contro la tempia di Paolo e gli ordina di firmare un falso, è chiaro: (a) che Paolo ha la sua libertà molto sminuita; (b) che Paolo sempre commette un atto intrinsecamente malvagio cioè firmare un falso; (c) che Paolo gode di circostanze attenuanti oggettive; (d) che il giudice che assolverà Paolo o gli darà una pena alleggerita a causa di queste circostanze attenuanti non afferma che firmare falsi non sia in sé e di per sé cosa contro la legge. Quindi il ragionamento stesso di Caffarra è un ragionamento illogico: non è perché ci possono essere circostanze attenuanti riconosciute valide dalla Chiesa che questo implichi un cambiamento di dottrina sulla malvagità dell’adulterio in tutte le sue forme.
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Ma l’errore di Caffarra è ancora più grave se considerato nella sua strutturazione. C’è una grande differenza tra un ragionamento in sede teoretica e uno in sede pratica: il primo nella propria sfera è sottomesso a degli imperativi di logica (ad esempio il principio di non contraddizione) e di coerenza; mentre il secondo ha come imperativo di riflettere la realtà per poter agire effettivamente e se possibile efficacemente. Il nesso tra le due sfere è realizzato con il giudizio che è composto in due parti: la prima che valuta tutti gli elementi provenienti dalla realtà da un lato e quel che propone la teoresi dall’altro lato e la seconda parte che consiste nell’assentimento della volontà nel giudizio propriamente detto e le azioni conseguenti. Non è quindi perché nella teoresi A si afferma “a” e che nella realtà R, tenendo conto di tutti gli N elementi “r1” a “rN” e di “a”, si arriva a un giudizio “?” che, qualunque sia questo “?” si possa direttamente inferire che esso implichi automaticamente la non validità di “a”. Non siamo sullo stesso piano: “?” è il risultato di una decisione mentre “a” è una proposizione di un insieme teoretico. Ammenocché “?” sia stato costruito apposta in opposizione ad “a”, non c’è automatismo. Questa radicale differenza di natura tra i due piani non è vera solamente nell’ordine del giudizio morale che deve tenere conto di tutte circostanze e le attenuanti e le aggravanti del caso pratico, ma anche ad esempio nella relazione tra ricerca scientifica pura e applicazione tecnologica. Ecco perché l’errore di Caffarra è maggiore: non è perché una valutazione morale concreta afferma “?” che essa implichi che “a” è falso. Non è perché si giudica che ci sono oggetti in orbita intorno alla terra che non cascano mai al suolo che si può inferire che questo giudizio è affermare che la legge della gravità non esiste. Non è perché si decide di lasciar tempo ad un padrone strozzino di raddrizzare le sue finanze per un giorno futuro pagare meglio i suoi impiegati che apprezzare lo sforzo che intende fare, anche senza risultato visibile immediato, significhi che quest’apprezzamento si oppone automaticamente alla dottrina che il non pagare la giusta mercede ai lavoratori sia un peccato che chiede vendetta direttamente al cospetto di Dio.
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La questione circa Amoris lætitia, in finis, gira intorno a due punti ai quali la Santa Chiesa ha già risposto da sempre con sì:
(3a) “una persona non soggettivamente colpevole di un peccato può avere accesso alla comunione? ”
(3b) “una persona colpevole ma con circostanze attenuanti oggettive (cioè verificabili dal confessore) di aver commesso un peccato eppure, almeno parzialmente, pentita può in certi casi ricevere l’assoluzione secondo la dottrina cattolica?”
Il sì alle due domande implica la conformità di Amoris lætitia alla dottrina della Chiesa in materia di morale e anche indica che siamo solo di fronte ad un cambiamento di disciplina penitenziale che non intacca in niente l’insegnamento sul matrimonio, sulla confessione e sull’eucaristia.
Simon de Cyrène on 17 gennaio 2017 Croce-Via
Croce-via si pone sotto la protezione spirituale di San Tommaso d’Aquino e San Giovanni Paolo Magno
https://pellegrininellaverita.com/2017/01/17/leclatante-errore-di-caffarra
Si può leggere inoltre
“Ma questo papa sarà mica un kantiano?” Carlo Caffarra contro la coscienza modernista
Andrea Grillo “Come se non” – 19 gennaio 2017
www.cittadellaeditrice.com/munera/ma-questo-papa-sara-mica-un-kantiano-carlo-caffarra-contro-la-coscienza-modernista
Gli sberleffi farisei dei cardinali contro la Chiesa “ignorante” di Francesco
In questa sede da poco abbiamo ci siamo occupati del ricco cardinalone americano Burke, ultrà facinoroso della Mettendoci nei panni di un credente cattolico comune e dotato di buon senso, sta diventando sempre più grottesca, odiosa e fuori dal tempo l’insulsa crociata dei farisei della Dottrina contro papa Francesco, per via delle aperture Tradizione e patrono di quell’Ordine di Malta protagonista di un’altra rivolta anti-Bergoglio. Adesso tocca a Sua Eminenza Carlo Caffarra, arcivescovo emerito di Bologna.
Entrambi, Burke e Caffarra, amano la messa tridentina in latino e soprattutto sono tra i quattro cardinali che hanno firmato la nota lettera sui dubia (dubbi) a proposito dell’Amoris lætitia, in base alla quale potrebbero addirittura fare un atto di correzione formale al Romano Pontefice.
Sabato scorso, il guerriero Caffarra ha dato un’interminabile e noiosa intervista al Foglio, organo degli atei devoti sin dai tempi di Ratzinger, che colpisce solo per i toni tranchant e aridi, al punto da chiedersi in quale Dio crede questo cardinale. Per Caffarra, in pratica, quella di Bergoglio è una Chiesa “ignorante” che “si sta scavando la fossa sotto i piedi”. Dichiarazioni che fanno il paio con le accuse di sospetta eresia mosse dal già citato Burke.
Ci sarebbe allora da gridare “viva l’ignoranza” per questa Chiesa di Francesco che incontra Abu Mazen, apre le parrocchie ai senzatetto per il gelo e tuona contro il capitalismo che “scarta” uomini, donne e bambini, ma il punto è proprio l’odio che anima questa destra cattolica. Sì, odio. Perché ogni sillaba scandita da Burke o da Caffarra viene rilanciata con magno gaudio da vari siti tradizionalisti (citiamo MiL – Messa in Latino e Radio Spada) in cui Bergoglio viene deriso e raffigurato come un novello Martin Lutero. Addirittura c’è chi propone di recitare in gruppo il Santo Rosario per invocare le dimissioni di papa Francesco. Sono appunto i nuovi farisei, ammantati di quel clericalismo dottrinario, senza speranza e senza misericordia. Fabrizio D’Esposito il Fabrizio D’Esposito Fatto Quotidiano 16 gennaio 2017
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201701/170116desposito.pdf
Vangelo (apocrifo) dell’apostolo Bartolomeo.
Gli apocrifi del Nuovo Testamento. Il termine «apocrifo» deriva dal greco apo-kryphos e significa, di per sé, «nascosto, segreto». Esso non ha quindi, almeno in origine, particolari connotazioni positive o negative. La situazione cambia nel momento in cui, nel cristianesimo primitivo, si cominciarono a definire i confini tra ortodossia («retta dottrina») ed eresia, da un parte, e i libri canonici e non canonici, dall’altra. Di conseguenza, per molto tempo, il termine «apocrifo» è stato recepito come il contrario di autentico, spesso come qualcosa di pericolo in quanto eretico. Oggi, la tendenza sembra essersi rovesciata e molti tendono ad enfatizzare i testi apocrifi ritenendo che essi contengano delle verità via censurate dal potere religioso. Insomma, l’apocrifo o è da rigettare in quanto “falso” o da esaltare in quanto “vero” (un vero spacciato per falso). Da un punto di vista storico, gli apocrifi altro non sono che delle fonti importanti (a volte fondamentali) per la conoscenza del cristianesimo primitivo. Come fa notare Enrico Norelli, «gli apocrifi diventano preziosi testimoni di “pezzi” di un mosaico, quello del cristianesimo antico, di cui un enorme numero di tessere continua e continuerà a mancarci, ma di cui, grazie alle parti che gli apocrifi ci consentono di ricostruire, intravediamo sempre meglio il disegno complessivo. […] Se si deve abbandonare l’apriori secondo cui i testi canonizzati sono fonti storicamente più affidabili degli altri (o sono le uniche fonti storicamente affidabili), non c’è alcun bisogno di crearne un altro inteso a dimostrare a ogni costo che gli apocrifi sono anteriori e più autentici. Si dovrà esaminare dettagliatamente, faticosamente, ogni testo per cercar di determinare, mediante l’applicazione della filologia e dei metodi storiografici, in che cosa esso può contribuire alle nostre conoscenze. Pare superfluo dire che si dovrebbe farlo sine ira et studio. Purtroppo, ciascuno sa quanto sia difficile realizzare un simile ideale là dove entra in gioco la religione.» (Cosa sono gli apocrifi? in: «Parola & parole – Monografie 4», 2008, p. 9). www.bicudi.net/materiali/apocrifi_nt.htm
Apocrifo: detto di scritture simili ai libri canonici, che trattano dei personaggi del cristianesimo, ma che non fanno parte del Nuovo Testamento. L’ultimo versetto del Vangelo di Giovanni dice: “Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere. [Gv. 21,25]” giovannigiorgi.it/vangelo-apocrifi.php
Testi apocrifi di san Paolo: Terza lettera ai Corinzi, Lettera ai Laodicesi, Carteggio di Seneca e Paolo.
Lettere considerate non autentiche di san Paolo: Lettera agli Ebrei, Lettera agli Efesini; Prima e seconda lettera a Timoteo; Lettera a Tito. http://it.cathopedia.org/wiki/Lettere_di_Paolo
Dal Vangelo (apocrifo) dell’apostolo Bartolomeo.
[14] Matrimonio e castità. Gli disse di nuovo Bartolomeo: “Signore, chi avrà commesso un peccato carnale, quale parte avrà nel giudizio?”. Gesù gli rispose: “E’ bene che chi è battezzato osservi il suo battesimo, custodisca la castità e resti in essa. Se però giungerà il desiderio della carne, deve essere il marito di una sola donna. Sicché, come la moglie deve ignorare un altro uomo, così anche il marito si tenga lontano da un’altra donna.
[15] Se manterranno la castità, osserveranno i miei comandamenti e daranno le loro decime alla Chiesa, come il servo Abramo che custodì i mie i precetti; ad essi darò il centuplo e la loro unione sarà senza peccato.
[16] Se sopraggiungerà la necessità di prendere una seconda moglie o, per la moglie, di prendere un secondo marito, lo possono fare purché corrano in chiesa, facciano elemosina, vestano chi è ignudo, diano cibo e bevanda all’affamato e all’assetato, diano ospitalità ai pellegrini e non disprezzino noi, visitino gli infermi, assistano i carcerati, diano una testimonianza verace, ricevano con ogni rispetto un sacerdote ed uno che teme Dio; e, come vi dissi, offrano le decime alla Chiesa e facciano tutte quelle cose che sono giuste affinché possano piacere a Dio.
[9, 1] Ma se uno prende una terza moglie, nel regno dei cieli sarà considerato indegno e peccatore, con essa. Se invece uno mantiene la sua castità e verginità, e – sia uomo o donna – sarà perfetto nella Chiesa cattolica, costui nel regno dei cieli sarà considerato perfetto.
A pag. 21 di www.giovannigiorgi.it/dwn/apocrifi/Vangelo_di_Bartolomeo.pdf
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Cuneo. Incontri sulla menopausa
Hanno riscosso un notevole successo gli incontri sulla menopausa organizzati dal Consultorio famigliare UCIPEM di Cuneo. Tenendo conto delle richieste, lo staff ha deciso di organizzarne altri, sempre gratuiti e rivolte alle donne, dopo l’estate.
Hanno animato le serate il dottor Bruno Favilla, ginecologo, il dottor Giuseppe Sitzia, omeopata, la dottoressa Claudia Venturino, psicologa e la dottoressa Antonella Marenchino, sessuologa. Un’ultima serata è stata offerta Ivana Lovera, insegnante di Pilates, che ha insegnato alle partecipanti la ginnastica per il perineo.
www.consultoriocuneo.org/11-news/55-incontri-menopausa
Milano 2 Genitori oggi – Cav Mangiagalli onlus – Centesima Lettera della Presidente
Cento newsletter sono trascorse dal 1984; cento storie di mamme del CAV, mille notizie del nostro operato, mille abbracci affettuosi e incoraggianti ricevuti da tutti voi che ci hanno fatto proseguire su questa strada di aiuto alla Vita. Una notizia tra tutte festeggia questo importante traguardo: il viaggio e l’incontro straordinario che avremo a fine gennaio, di cui potete leggere tutti i particolari nella lettera. E’ la prima volta in assoluto che abbiamo occasione di parlare del CAV in una terra lontana e inaspettata, ed è una gioia poter condividere con voi questo grande appuntamento per la Vita di tanti bimbi futuri.
Il 2017 è cominciato da poco e credo quindi di essere ancora in tempo a porgervi i migliori auguri per questo nuovo anno, che ci ha già portato cose impreviste. Belle, per fortuna! Ci hanno proposto, per esempio, di organizzare un convegno a Mosca dal 25 al 30 gennaio. L’invito viene dalla Comunità Ortodossa, che è molto in sintonia con la difesa della Vita nascente.
Ci chiedono di relazionare su temi ben precisi, che in qualche modo indicano già la strada che gli Ortodossi vogliono percorrere. Questa è molto simile alla nostra per ciò che riguarda lo spirito e il metodo, e vorrebbero poter incontrare le madri all’interno degli ospedali. Gli organizzatori si aspettano persone dalle varie regioni russe, così da portare presso le loro comunità ciò che sentiranno da noi. Mi sembra strano parlarvi di qualcosa che non è ancora avvenuto, perché sto scrivendo a quindici giorni dall’evento. (…)
http://media.wix.com/ugd/e30402_9649271d08944d409d5a2a4a8dc74d5d.pdf
Paola Marozzi Bonzi, presidente 18 gennaio 2017
www.milanoperibambini.it/famiglia/gravidanza-e-nascita/1777-genitori-oggi-consultorio-familiare.html
Pescara. Il sito web dell’arcidiocesi di Pescara-Penne presenta il consultorio
www.diocesipescara.it/uffici/famiglia/consultorio-familiare-ucipem/servizi
Roma 1, via della Pigna 13. Seminario annuale di formazione
Il Seminario annuale di formazione permanente del Consultorio familiare “Centro La Famiglia” si terrà l’11 e 12 marzo 2017 a Roma presso il Centro Congressi dell’Hotel “Casa tra noi” ed avrà per tema “La memoria. Il ruolo della memoria nella consulenza familiare”.
www.centrolafamiglia.org/salva-la-data-seminario-annuale-formazione-permanente-11-12-marzo
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CONVIVENZE
Convivente a carico, spetta la detrazione fiscale?
Detrazione Irpef per coniuge a carico: dopo la Legge sulle unioni civili spetta anche al convivente?
La mia compagna non ha reddito: dato che le unioni civili e le convivenze sono state regolamentate dalla nuova legge, posso fruire della detrazione per coniuge a carico.
La detrazione fiscale prevista per il coniuge a carico non può essere estesa al convivente, anche se il suo reddito non supera la soglia di 2.840,51 euro, limite di reddito considerato valido perché un familiare sia considerato fiscalmente a carico.
Questo, nonostante la recente entrata in vigore della cosiddetta Legge sulle unioni civili [L. 76\2016], che ha regolamentato non solo l’unione tra persone dello stesso sesso, ma anche diversi aspetti della convivenza di fatto: la normativa, in effetti, prevede che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio, o contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, si applicano a ognuna delle parti dell’unione civile, ma non dice nulla riguardo alle parti di una semplice convivenza di fatto more uxorio.
La legge, dunque, non prevede alcuna detrazione per il convivente a carico, anche se gli interessati sono, alla pari dei coniugi e dei componenti di un’unione civile, due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, coabitanti e aventi dimora abituale nello stesso comune: la detrazione fiscale è riconosciuta ai soli soggetti legati da rapporti familiari precostituiti.
Detrazione per coniuge o componente dell’unione civile a carico. Se un contribuente ha a proprio carico il coniuge, o l’altro componente dell’unione civile (tra omosessuali), ha diritto, come abbiamo detto, alla corrispondente detrazione fiscale, che varia in base al reddito. La detrazione spetta se il coniuge non è effettivamente o legalmente separato: inoltre il reddito del coniuge, per essere considerato a carico, come previsto per gli altri familiari, non deve superare 2.840,51 euro. Per il componente dell’unione civile il requisito della separazione non ha rilevanza, in quanto è previsto lo scioglimento diretto dell’unione, senza il “doppio step” separazione- divorzio. La detrazione fiscale spettante per il coniuge o per il componente dell’unione varia in base al reddito del contribuente che ha il soggetto a carico. (…)
L’importo della detrazione deve essere poi rapportato ai mesi effettivi durante i quali il coniuge, o il componente dell’unione, è stato a carico, considerando che è considerata come mese intero qualsiasi frazione di mese.
Lo stesso procedimento si deve applicare in caso di separazione. Se il contribuente si separa nel mese di giugno, il coniuge potrà essere considerato a carico per 6 mesi (da gennaio a giugno compreso in quanto i mesi di matrimonio da considerare sono 6, anche se durante uno di questi mesi il matrimonio è cessato).
Non ha rilevanza, invece, il giorno dell’anno in cui viene superato il limite per la vivenza a carico, cioè i 2.840,51 euro: anche se la soglia di reddito è superata il 31 dicembre, il coniuge o componente dell’unione non è considerato a carico per l’intero anno; eventuali detrazioni fruite in usta paga vanno dunque restituite in sede di conguaglio o di dichiarazione dei redditi.
Noemi Secci Lpt 16 gennaio
www.laleggepertutti.it/145715_convivente-a-carico-spetta-la-detrazione-fiscale
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DALLA NAVATA
III Domenica del Tempo ordinario – Anno A – 22 gennaio 2017
Isaia 09, 02. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia.
Salmo 27, 14. Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.
1 Corinzi 01, 10 Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire.
Matteo 04, 17. Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».
Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
Riconoscere e rendere testimonianza a Gesù.
Matteo è l’evangelista “scriba”, che costantemente mette in risalto il compimento delle Scritture dell’Antico Testamento nella vita di Gesù. Ciò che avviene nella vicenda di Gesù è compimento della parola di Dio contenuta nelle Legge, nei Profeti e nei Salmi (cf. Lc 24,44). Anche l’inizio del ministero pubblico di Gesù deve essere letto in questa prospettiva, perché non il caso, né il destino, la necessità, determinano gli eventi, ma la libera volontà di Gesù, che desidera essere obbediente al Padre in conformità alle sante Scritture.
Quando Gesù ebbe notizia che Giovanni il Battista, il maestro che egli seguiva come un discepolo (opíso mou: Mt 3,11), era stato arrestato e imprigionato da Erode, allora “si ritirò (verbo anachoréo) in Galilea”, lasciando la Giudea e soprattutto la regione tra Giordano e mar Morto dove Giovanni aveva predicato e battezzato. Questo ritirarsi, che è un allontanarsi, si ripeterà altre volte nella vita di Gesù (cf. Mt 9,24; 12,15; 14,13; 15,21), come già era avvenuto quando Giuseppe, suo padre secondo la Legge, si era ritirato in Galilea per fuggire da Archelao (cf. Mt 2,22-23). In questo caso non è però Nazaret, la borgata in cui Gesù era cresciuto, il luogo del suo ritirarsi, bensì Cafarnao, città sul lago di Tiberiade, città di frontiera, luogo di transito e tappa importante sulla via del mare che metteva in comunicazione Damasco e Cesarea, il porto sul Mediterraneo. Qui a Cafarnao Gesù sceglie una casa come dimora sua e del gruppo che lo seguirà nella sua avventura profetica.
Matteo non dimentica la promessa del profeta Isaia su questa terra periferica che era statala prima regione umiliata e oppressa dall’invasore assiro nell’VIII secolo a.C., quando le tribù di Zabulon e di Neftali qui residenti furono vinte, deportate ed esiliate. Il profeta aveva osato guardare al futuro lontano, quando Dio avrebbe dato inizio alla redenzione e al raduno del suo popolo, a partire da questa regione diventata terra impura popolata di pagani, crocicchio delle genti. Ecco dove viene ad abitare Gesù, ecco la compagnia che sceglie, questa frontiera disprezzata dai giudei: proprio da qui Gesù inizia la sua predicazione. Questa regione vede dunque “sorgere” una grande luce, la luce di Cristo e del suo Vangelo.
Da quel momento Gesù inizia a predicare, in piena continuità con la predicazione del Battista: “Convertitevi (metanoeîte), perché il regno dei cieli si è avvicinato” (= Mt 3,2). La chiamata è alla conversione, al cambiamento di mentalità, di atteggiamento e di stile nel vivere quotidiano: non un gesto isolato, estemporaneo, ma l’assunzione di un “altro” modo di vivere, segno concreto del “ritorno” a Dio. Da un lato la conversione richiede un lasciare e un assumere, è dunque un’ora che scandisce un prima e un dopo. D’altro lato, essa diventa un’istanza continua, una dinamica da imprimere nella propria vita giorno dopo giorno, perché non si è mai convertiti una volta per sempre. Questa conversione ha un solo scopo: permettere che Dio regni, che sia l’unico Signore nella vita del credente. “Convertitevi!” è stata una parola di Giovanni, di Gesù, di Pietro (cf. At 2,38), ed è la prima parola che la chiesa deve rivolgere a quanti incontra. Il Regno avviene là dove uomini e donne permettono a Dio di regnare in loro attraverso la conversione. Per costoro il regno dei cieli (o regno di Dio, secondo Marco e Luca) si è avvicinato, può essere realtà già qui sulla terra, dove Dio regna.
Così viene sintetizzata da Matteo l’attività di Gesù in Galilea, un’attività profetica sulla scia di quella del Battista, un’attività che chiama, attira discepoli capaci di conversione. Per questo segue il racconto di due chiamate, quelle dei primi quattro discepoli. Il racconto è semplice, sobrio, non indugia su particolari e soprattutto non presta attenzione ai processi psicologici che pure devono essere stati vissuti in questo evento. Anche in questo caso il racconto è plasmato sul modello della chiamata profetica (cf. 1Re 19,19-21) e vuole essere una testimonianza esemplare per ogni lettore del vangelo. Gesù passa lungo il mare di Galilea, cioè il lago di Gennesaret, dove si trovano pescatori e barche. Gesù innanzitutto “vede”, con il suo sguardo penetrante e capace di discernimento, “due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettano le reti in mare”. Mentre sono intenti al loro lavoro e fanno il loro mestiere, sono raggiunti dalla parola di Gesù che è parola efficace, già in questo racconto è parola del Kýrios, del Signore: “Venite dietro a me (opíso mou), vi farò pescatori di uomini”.
Vi è qui indubbiamente una lettura dossologica della vocazione, un racconto che non può dimenticare il ruolo futuro di Simon Pietro: ecco perché la parola di Gesù come una promessa cambia il lavoro di Pietro, pescare pesci, in quello che sarà il suo ministero, pescare uomini, cioè radunare i destinatari del Vangelo nella rete della chiesa. A questa parola i due fratelli rispondono senza dilazione, prontamente, abbandonando la loro professione (le reti) per seguire Gesù. Certo, Luca colloca in un altro contesto la vocazione di Pietro, dopo una pesca miracolosa (cf. Lc 5,4-11) e il quarto vangelo fornisce un resoconto diverso del primo incontro tra Pietro e Gesù (cf. Gv 1,40-42); ma ciò che è essenziale in questi diversi racconti è la scelta libera, sovrana di Gesù, che chiama, e la pronta obbedienza alla sua parola da parte dei futuri discepoli. E così segue il racconto della vocazione dell’altra coppia di fratelli, Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo. Stessa dinamica, con l’aggiunta della precisazione che i due fratelli non lasciano solo la barca, ma anche il padre; c’è dunque una rinuncia alla professione e alla famiglia, c’è una reale rottura tra ciò che si era e ciò che si diventa alla sequela di Gesù. La risposta del chiamato (nessuna auto-candidatura al discepolato!) è incondizionata e senza dilazioni, ieri come oggi.
Ma in questi racconti dobbiamo anche percepire il “non detto” riguardo a questa sequela che è diversa dal rapporto maestro (rabbino)-discepolo ai tempi di Gesù. Normalmente era il discepolo che sceglieva il maestro, che si faceva servo del rabbino o lo retribuiva per l’insegnamento ricevuto. Gesù invece precede sempre il discepolo, eleggendolo, chiamandolo, poi si mette al suo servizio, fino a lavargli i piedi (cf. Mt 13,1-15). Gesù è davvero un rabbi paradossale!
Il nostro brano è concluso da un “sommario” che riassume tutta l’attività di Gesù: percorreva la Galilea, in una predicazione itinerante, insegnava nelle sinagoghe dove si radunavano i credenti di Israele, proclamava a tutti la buona notizia del regno di Dio ormai avvicinatosi e curava ogni sorta di malattie e di infermità in quelli che incontrava.
Subito il potere di Gesù si manifesta con la sua forza di attrazione: molti vanno da lui, peccatori sui quali regna il demonio e malati di varie infermità, mentre le folle cominciano ad ascoltarlo e a seguirlo (cf. Mt 4,24-25). Così il Regno è annunciato, anzi offerto da Gesù come una realtà che il credente può accogliere: basta che lasci regnare Dio su di sé, ed ecco che il regno di Dio è inaugurato.
www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11157-convertitevi
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DIRITTO CANONICO
È dedicato ad un’accurata riflessione e a conseguenti proposte “per una revisione del codice di Diritto Canonico” il n 5/2016 della rivista internazionale di teologia Concilium, dove non manca l’interrogativo: “dal Concilio al codice di diritto canonico del 1983: serve una nuova riforma?”. E la risposta, anche alla luce delle esigenze ecumeniche, dei diritti umani, della globalizzazione, si direbbe positiva
. Editoriale. Il diritto canonico al bivio
Il diritto canonico è uno strumento giuridico pratico che serve la vita del popolo di Dio. Lo fa fornendo un ordine che stabilisce diritti, doveri e procedure, in modo che la vita nella comunità di fede possa svolgersi in comunione, nello spirito del vangelo e secondo le esigenze di giustizia. Ma non dobbiamo dimenticare che la comunità dei fedeli è un popolo pellegrino in cammino, con una fede dinamica che cerca di approfondire la comprensione della parola di Dio e di metterla in pratica. Le sfide teologiche, pastorali e spirituali lanciate dal Vaticano II sono diventate, ovviamente, una sfida alla formulazione delle leggi per la vita della chiesa. Il nuovo Codice di diritto canonico promulgato nel 1983 è stato seguito dal Codice dei canoni delle chiese orientali nel 1990. Dobbiamo riconoscere l’enorme quantità di lavoro svolto per diversi anni dalle rispettive commissioni per realizzare questi codici, lavoro che ha coinvolto un sacco di discussioni, dibattiti, armonizzazioni e pure compromessi tra posizioni opposte.
Più di tre decenni sono trascorsi da quando il Codice del 1983 è stato promulgato e, durante questo periodo, affrontare l’esperienza di vita presente del popolo di Dio ha portato anche a gettare luce su parecchie questioni critiche, fino a richiedere una significativa revisione, qualche abrogazione e alcuni emendamenti che corrisponderebbero più strettamente agli insegnamenti del concilio e ai segni dei tempi. Essi sono diventati necessari per una dispensazione più attenta della giustizia e dell’esercizio della libertà. Il grande programma di aggiornamento messo in moto da papa Giovanni XXIII alla vigilia del Vaticano II, si applica a tutti i campi della vita della chiesa, comprese le leggi che ne governano la vita. È lo spirito di aggiornamento e la sensibilità alle esigenze dei tempi che cambiano che hanno spinto Concilium a preparare un numero dedicato alla questione del diritto nella chiesa.
Gli articoli della parte principale di questo fascicolo sono divisi in tre sezioni:
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La prima considera storia e princìpi;
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La seconda evidenzia alcune aree che richiedono riforme urgenti;
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La terza affronta delle questioni applicative.
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Il primo contributo, di Wim Decock, scritto da una prospettiva storica, riconosce il contributo importante che il diritto canonico ha dato in passato al bene della chiesa e mette in evidenza pure la sua influenza sullo sviluppo del diritto civile. Il canonista brasiliano Jesus Hortal esamina criticamente in che misura il Codice di diritto canonico del 1983 risponda all’ecclesiologia del Vaticano II. Rik Torfs, da parte sua, analizza l’attuale Codice dal punto di vista formale della legge e mette in rilievo alcune lacune che potrebbero compromettere la funzione di strumento giuridico che è propria del Codice. Felix Wilfred vede teologia e diritto canonico come partner che accompagnano il popolo di Dio in cammino e invita al dialogo continuo tra queste due discipline, ciascuna con la sua metodologia distinta. Egli mostra con esempi come la teologia potrebbe essere di aiuto al diritto canonico nella lettura dei segni dei tempi e nella formulazione e ri-formulazione delle leggi. Di fondamentale importanza sarebbe un dialogo fra teologia e diritto canonico sulla distinzione tra ius divinum e legge ecclesiastica, data la fluidità dei confini non così infrequente tra i due, come è provato dalla storia ecclesiale. Al fine di portare avanti l’agenda dell’ecumenismo, ispirata al ricco patrimonio delle chiese orientali, George Nedungatt reclama maggiore chiarezza sul ruolo del vescovo di Roma e il suo esercizio del potere supremo. Più stretti rapporti ecumenici richiederebbero anche una revisione critica del celibato sacerdotale e del posto riservato alle donne nella chiesa.
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La seconda sezione inizia con l’articolo di Peter G. Kirchschläger, il quale sostiene da punti di vista teologici ed etici perché i diritti umani debbano essere integrati nelle leggi della chiesa, e anzi dovrebbero costituire un punto di riferimento per le seconde. Poiché i diritti umani hanno solidi fondamenti biblici e teologici, questa integrazione e tale riferimento non dovrebbero essere difficili. Se prendiamo sul serio l’ecclesiologia del popolo di Dio del Vaticano II, i laici non possono essere esclusi dall’ufficio di governo nella chiesa, cosa che l’attuale Codice fa: questo è il punto che Sabine Demel sostiene nel suo contributo. La potestà di governo del laicato deve essere affermata in quanto si basa sui princìpi costituzionali della chiesa stessa, come pensata dal concilio. L’autrice ha formulato nuovi canoni sul laicato, per mezzo di proposte che fanno proprio lo spirito dell’ecclesiologia del Vaticano II. Hildegard Warnink esamina il motu proprio Mitis iudexpromulgato da papa Francesco nel 2015. Mentre in estrema sintesi toglie una seconda istanza nella dichiarazione di nullità del matrimonio e rende più breve la procedura, con il vescovo diocesano come agente principale, il documento presenta pure molte insidie e non è privo di ambiguità.
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Nella terza sezione riguardante l’applicazione delle norme canoniche, Vincenzo Mosca ci dice cosa significhi inculturazione del diritto canonico e indica anche alcuni degli agenti, delle istituzioni e delle strutture ecclesiali di oggi che potrebbero facilitare questo processo formulando leggi che rispondano ai bisogni delle chiese locali. Burkhard J. Berkmann nel suo articolo interroga criticamente il duplice livello di attesa: l’aspettarsi la sussidiarietà nella dottrina sociale e la riluttanza, se non il rifiuto, di accogliere lo stesso principio nel governo della chiesa. A suo avviso, oltre al suo significato teologico, il principio di sussidiarietà potrebbe anche fornire un fondamento antropologico al diritto canonico. Sempre riflettendo dal punto di vista dell’applicazione, Al. Andang L. Binwan interroga criticamente gli attuali canoni relativi al matrimonio interreligioso: le presenti disposizioni non solo non riflettono lo spirito del dialogo interreligioso, ma si rivela anche quasi impossibile metterle in pratica in un paese islamico come l’Indonesia. Robert Kamangala Kamba, da parte sua, esamina da una prospettiva africana le lacune del presente Codice e riflette su come potrebbe apparire un Codice riformato nel momento in cui incorporasse le preoccupazioni dell’Africa.
Tali contributi sembrano implicare la necessità di un nuovo Codice. Il nuovo Codice di diritto canonico previsto non sarà semplicemente un maquillage con alcune modifiche e certi cambiamenti qua e là, ma sarà radicale. Infatti, la questione più profonda del diritto canonico è la concezione del potere nella chiesa. In quanto istituzione religiosa, il modo in cui la chiesa comprende il potere che le viene da Dio e gli agenti e le strutture ad esso connesse hanno bisogno di passare attraverso una trasformazione radicale. All’epoca in cui una particolare teoria politica sostenne che il sovrano derivava il suo potere direttamente da Dio (diritto divino dei re) per giustificare l’assolutismo monarchico, teologi come Francisco Suárez sfidarono tale posizione, sostenendo che il potere di Dio risiede nel popolo. Dobbiamo presumere che Dio agisca in modo diverso con il popolo di Dio che costituisce la comunità della chiesa? Tutti i ministri, senza eccezione, sono servitori che provvedono al popolo a cui Dio ha concesso il potere e che ha fornito di doni che potrebbero essere incanalati per il bene comune attraverso mezzi e strutture adeguate che riflettano lo spirito del vangelo. Modelli di potere monarchici e feudali non sono quello che Gesù voleva per i suoi discepoli, molti dei quali erano semplici pescatori di Galilea. Abbiamo bisogno di iniziare a riflettere sul potere ponendo altre premesse rispetto a quelle prevalenti nella chiesa. Se si parte dal rapporto tra Dio e il popolo di Dio in termini di potere, si potrebbe sperare in un Codice radicalmente trasformato. Il diritto canonico non è allora davvero a un bivio, dovendo decidere se vuole attenersi alla comprensione convenzionale del potere nella chiesa, o vederlo in stretto collegamento con la comunità del popolo di Dio divinamente insignita di potere? Qui ci attende un comune compito per il futuro, sia per il diritto canonico sia per la teologia. (…)
Felix Wilfred Madras (India)
Enrico Galavotti Chieti – Pescara (Italia)
Andrés Torres Queiruga Santiago de Compostela (Spagna)
(Traduzione dall’inglese di Guido Ferrari)
www.queriniana.it/files/Articles/14379/CNC035801.pdf
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DIVORZIO
Il giudizio ecclesiastico non è pregiudiziale rispetto al processo di divorzio
Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 25766, 14 dicembre 2016.
[In pendenza del giudizio ecclesiastico in grado di appello], la decisione della giurisdizione italiana non ha alcuna incidenza sul matrimonio religioso né può attribuirsi alcuna rilevanza al credo cattolico della parte al fine di fondare la richiesta di pregiudizialità della giurisdizione ecclesiastica (cfr. Cass. Civ. sez. VI-1 ord. n. 2089 del 30 gennaio 2014, sez. I n. 17969 dell’11 settembre 2015) senza che ciò leda alcun precetto costituzionale. Testo www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/16527.pdf
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 16527 -16 gennaio 2017
www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fmi.php?id_cont=16527.php
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Un “nuovo catecumenato” per chi si prepara al matrimonio.
Serve un “nuovo catecumenato” che prepari al matrimonio, antidoto al moltiplicarsi di celebrazioni matrimoniali nulle. E’ l’auspicio ribadito anche quest’anno da Papa Francesco nel discorso al Tribunale Apostolico della Rota Romana. Giudici, officiali, avvocati e collaboratori del Tribunale sono stati ricevuti stamani nella tradizionale udienza per l’inaugurazione dell’Anno giudiziario. Due i capisaldi che il Papa segnala per aiutare oggi gli sposi: una formazione efficace prima del sacramento e, dopo, l’accompagnamento da parte della Chiesa.
Formazione, prima e dopo il sacramento del matrimonio. E’ la via principale indicata da Francesco nel suo discorso. Il Papa propone dunque questi due “rimedi” di fronte ad una mentalità diffusa che tende ad “oscurare l’accesso alle verità eterne” e che coinvolge, spesso in modo vasto e capillare, gli atteggiamenti degli stessi cristiani. Un contesto carente di valori religiosi, spiega, “non può non condizionare anche il consenso matrimoniale”. Diverse fra loro sono infatti le esperienze di fede di chi chiede il sacramento: da chi partecipa attivamente alla vita della parrocchia a chi è guidato da un generico sentimento religioso fino a chi è lontano dalla fede.
Quindi prima di tutto, per quanto riguarda la preparazione al sacramento, il Papa chiede che vi sia un “nuovo catecumenato” ad hoc: “In questo spirito, mi sento di ribadire la necessità di un ‘nuovo catecumenato’ in preparazione al matrimonio. Accogliendo gli auspici dei Padri dell’ultimo Sinodo Ordinario, è urgente attuare concretamente quanto già proposto in Familiaris consortio, che cioè, come per il battesimo degli adulti il catecumenato è parte del processo sacramentale, così anche la preparazione al matrimonio diventi parte integrante di tutta la procedura sacramentale del matrimonio, come antidoto che impedisca il moltiplicarsi di celebrazioni matrimoniali nulle o inconsistenti”.
Il Papa auspica che la preparazione sia anche una “vera e propria occasione di evangelizzazione degli adulti” e dei “cosiddetti lontani”. L’approssimarsi delle nozze per molti giovani costituisce infatti l’occasione per incontrare di nuovo la fede, magari relegata ai margini della loro vita, anche perché stanno vivendo un particolare momento in cui sono disposti a cambiare l’orientamento della loro esistenza. Per rendere più efficaci gli itinerari di preparazione al matrimonio, per Francesco c’è bisogno di persone con “specifica competenza”, e una sinergia fra sacerdoti e coppie di sposi, con il generoso apporto di cristiani adulti nella pastorale familiare, per costruire “il capolavoro della società, cioè la famiglia: l’uomo e la donna che si amano”. Il fine è la crescita della fede dei fidanzati realizzando un inserimento progressivo nel mistero di Cristo, “nella Chiesa e con la Chiesa”. Tutto questo per aiutare a far vivere il matrimonio non solo “validamente e lecitamente” ma anche “fruttuosamente”.
Formazione permanente per i giovani sposi. Il secondo caposaldo per Francesco è quello della formazione permanente. La comunità cristiana è quindi chiamata ad accompagnare le giovani coppie con strumenti adeguati, a partire dalla partecipazione alla Messa domenicale, per curare la vita spirituale sia nella parrocchia sia nelle aggregazioni: “Nel cammino di crescita umana e spirituale dei giovani sposi è auspicabile che vi siano dei gruppi di riferimento nei quali poter compiere un cammino di formazione permanente: attraverso l’ascolto della Parola, il confronto sulle tematiche che interessano la vita delle famiglie, la preghiera, la condivisione fraterna”.
Bisogna far sentire alle giovani coppie che, nonostante le fatiche e le povertà con cui devono misurarsi nella vita quotidiana, la loro storia d’amore è parte della “storia sacra” perché Dio non viene mai meno all’impegno che ha assunto con gli sposi il giorno delle nozze.
La Chiesa sia vicina, non lasci sole le giovani famiglie. In sostanza, non bisogna lasciare i giovani sposi a se stessi ma dare loro vicinanza e sostegno: “Spesso i giovani sposi vengono lasciati a sé stessi, magari per il semplice fatto che si fanno vedere meno in parrocchia; ciò avviene soprattutto con la nascita dei bambini. Ma è proprio in questi primi momenti della vita familiare che occorre garantire maggiore vicinanza e un forte sostegno spirituale, anche nell’opera educativa dei figli, nei confronti dei quali sono i primi testimoni e portatori del dono della fede”.
I parroci sono quindi chiamati a essere sempre più consapevoli del delicato compito loro affidato nel gestire il percorso dei futuri sposi: rendere comprensibile il legame fra il foedus, cioè il patto, e fides, la fede. All’inizio del suo discorso, il Papa si era richiamato all’insegnamento dei suoi predecessori, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Il primo aveva sottolineato proprio il legame profondo fra fede e matrimonio: quanto più l’uomo si allontana dalla fede, tanto più non è capace di fissare lo sguardo sulle cose essenziali. Benedetto XVI nel suo ultimo discorso alla Rota Romana aveva messo in risalto il rapporto fra amore e verità: senza questo, l’amore è soggetto al mutare dei sentimenti e non supera la prova del tempo.
“Occorre grande coraggio a sposarsi nel tempo in cui viviamo”, ribadisce in conclusione Francesco che, pertanto, chiede alla Chiesa di far sentire la sua vicinanza concreta a chi compie questo passo importante.
Testo http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/january/documents/papa-francesco_20170121_anno-giudiziario-rota-romana.html
Debora Donnini Notiziario Radio vaticana -21 gennaio 2017 http://it.radiovaticana.va/radiogiornale
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MATERNITÀ
Lavoro: non si può licenziare la madre entro il primo anno di età del bambino
Corte di Cassazione, Sezione lavoro, sentenza n. 475, 11 gennaio 2017.
La Cassazione ricorda che solo la colpa grave giustifica il licenziamento della mamma lavoratrice durante il regime di puerperio. Solo la colpa grave della lavoratrice madre può giustificarne il licenziamento entro il primo anno di età del bambino. Lo ha ricordato in questi giorni la Cassazione giudicando illegittimo il licenziamento di una donna, madre di una bambina di 7 mesi all’epoca dei fatti.
Non c’è dubbio per gli Ermellini sull’abuso compiuto dall’azienda nei confronti della donna che si trovava al momento della sanzione, “in regime di puerperio, dato che la figlia da essa partorita non aveva ancora compiuto un anno di età”. Al riguardo, ricorda la S.C. “gli arresti giurisprudenziali della Corte di legittimità sono costanti nell’affermare che il licenziamento intimato alla lavoratrice dall’inizio del periodo di gestazione sino al compimento di un anno di età del bambino è nullo ed improduttivo di effetti ai sensi dell’art. 2 della legge 1204/1971; per la qual cosa il rapporto deve ritenersi giuridicamente pendente ed il datore di lavoro inadempiente va condannato a riammettere la lavoratrice in servizio ed a pagarle tutti i danni derivanti dall’inadempimento in ragione del mancato guadagno (tra le molte, Cass., nn. 18357/2004; 24349/2010)”.
Il giudice di merito, precisano ancora dal Palazzaccio, “ha erroneamente applicato l’art. 8 della L. n. 604/1966, poiché la disciplina legislativa di cui al D. Lg.vo n. 151/2001 non effettua alcun richiamo alle leggi n. 604/1966 e 300/1970; la nullità del licenziamento è comminata quindi ai sensi dell’art. 54 del D. Lg.vo n. 151/2001 e la detta declaratoria è del tutto svincolata dai concetti di giusta causa e giustificato motivo, prevedendo una autonoma fattispecie idonea a legittimare, anche in caso di puerperio, la sanzione espulsiva, quella, cioè, della colpa grave della lavoratrice”.
Per la donna, dunque, va disposta la riammissione in servizio e il diritto alla retribuzione dal giorno del licenziamento.
Sentenza http://www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_24725_1.pdf
Marina Crisafi -Newsletter Giuridica – studiocataldi.it 16 gennaio 2017
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Azione di disconoscimento di paternità
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 785, 13 gennaio 2017
In tema di azione di disconoscimento di paternità, il termine previsto dall’art. 244 cod. civ., di natura decadenziale, afferisce a materia sottratta alla disponibilità delle parti, così che il giudice, a norma dell’art. 2969 cod. civ., deve accertarne “ex officio” il rispetto, dovendo correlativamente l’attore fornire la prova che l’azione sia stata proposta entro il termine previsto, senza neppure che possa spiegare rilievo, in proposito, la circostanza che nessuna delle parti abbia eccepito l’eventuale decorso del termine stesso.
L’azione di disconoscimento della paternità verte in materia di diritti indisponibili, in relazione ai quali non è ammesso alcun tipo di negoziazione o di rinunzia
Avv. Renato D’Isa 17 gennaio 2017
https://renatodisa.com/2017/01/17/corte-di-cassazione-sezione-i-civile-sentenza-13-gennaio-2017-n-785
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SEPARAZIONE
Separazione: il giudice può stabilire che gli ex vivano nella stessa casa?
Se manca la riconciliazione, intesa come comunione spirituale, la coabitazione eccezionale e “forzata” non osta alla pronuncia di divorzio.
Il giudice può disporre in sede di separazione che i coniugi vivano nella stessa casa? In via generale, dato che la separazione dei coniugi presuppone la sopravvenienza di fatti tali da rendere intollerabile la convivenza o, comunque, la cessazione della comunione materiale e spirituale del matrimonio, essa comporta che la moglie e il marito, dopo di essa, tornino a vivere separati. Tuttavia, in alcuni casi, la giurisprudenza ha ammesso che i coniugi separati continuino a vivere nella medesima abitazione. Ad esempio, nel caso in cui le rispettive condizioni economiche non permettano a nessuno dei due di prendere in locazione un altro appartamento, o ancora quando gli stessi intendano vendere la casa cointestata e sino a quel momento non possano sostenere l’onere di un’altra abitazione. In ogni caso si tratta di situazioni eccezionali e da reputare temporanee.
A riconoscere espressamente l’ininfluenza della coabitazione durante la separazione ai fini della pronuncia della sentenza di divorzio è stata anche la Corte di cassazione, con la sentenza numero 3323/2000.
Con tale rivoluzionaria pronuncia, in particolare, i giudici hanno attribuito esclusiva rilevanza all’assenza di riconciliazione, da intendersi come comunione spirituale e volontà di riservare all’altro la posizione di compagno esclusivo di vita. Se la perdurante convivenza è quindi connessa a circostanze contingenti (come quelle sopra viste), non deve ritenersi che essa rappresenti il segnale di una volontà di ristabilire l’unione coniugale.
A tal proposito, tuttavia, il giudice del merito chiamato a pronunciare il divorzio di due coniugi separati che abbiano continuato a convivere (o a valutare se disporre che il marito e la moglie che chiedono la separazione possano restare sotto lo stesso tetto) deve compiere una disamina molto attenta e scrupolosa, essendo tenuto ad accertare che in effetti la coabitazione è in un certo senso forzata e non maschera intenti fraudolenti.
Ad esempio, nella vicenda decisa con la pronuncia del 2000 i due ex compagni di vita avevano continuato a vivere sotto lo stesso tetto nel totale disinteresse l’uno dell’altro, dormendo in camere separate, concentrando la loro permanenza in casa in ambienti distinti, consumando i pasti in momenti differenti”.
Newsletter Giuridica – studiocataldi.it 16 gennaio 2017
www.studiocataldi.it/articoli/24682-separazione-il-giudice-puo-stabilire-che-gli-ex-vivano-nella-stessa-casa.asp
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UNIONI CIVILI
Unioni civili: partner come il coniuge, cambia il codice penale
Il Governo ha approvato i decreti attuativi che parificano definitivamente l’unito civilmente al coniuge
Il primo Consiglio dei Ministri dell’anno, riunitosi ieri 14 gennaio 2017, presieduto dal Presidente Paolo Gentiloni (dimesso dal Policlinico Gemelli e in buone condizioni dopo un piccolo intervento) ha approvato alcune delle riforme principali lasciategli in eredità dal Governo Renzi.
“Le riforme non si fermano” ha twittato il Presidente del Consiglio a seguito dell’approvazione dei decreti attuativi sulle unioni civili che rendono definitivamente operativa la legge Cirinnà, nonché dei provvedimenti riguardanti la Buona scuola e le violazioni della concorrenza.
Giunge all’esame definitivo l’attuazione della delega al governo in materia di unioni civili. Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della giustizia Andrea Orlando, ha approvato in esame definitivo tre decreti legislativi di attuazione dell’articolo 1, comma 28, della legge 20 maggio 2016, n. 76.
Nello specifico i tre provvedimenti prevedono:
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Un primo “pacchetto” riguardante disposizioni di modifica e riordino delle norme di diritto internazionale privato in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso;
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In secondo luogo, disposizioni per l’adeguamento delle norme dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni alle previsioni della legge sulla regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, nonché modifiche ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la stessa legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti già in vigore;
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Infine, disposizioni di coordinamento in materia penale.
I tre provvedimenti vanno a recepire le osservazioni delle Camere, introducendo alcune modifiche ad esempio, la possibilità che l’unione possa sciogliersi a mezzo lettera raccomandata laddove non vi sia congiunta decisione di porre fine al vincolo; la creazione di registri per le iscrizioni e le trascrizioni delle unioni civili, autonomi e separati rispetto a quelli di matrimonio; la facoltà dell’unito civilmente di adottare il cognome del partner, senza perdere quello d’origine e senza necessità di modifiche anagrafiche.
Ancora, i decreti attuativi precisano che, alla stregua del matrimonio, l’unione civile possa essere celebrata in pericolo di vita in nave o in aereo e che il matrimonio che sia stato contratto all’estero da cittadini italiani dello stesso sesso produca in Italia gli effetti dell’unione civile.
Per ovviare alle problematiche legate ai c.d. “sindaci obiettori”, si prevede la possibilità di delegare le funzioni di ufficiale di stato civile per celebrare l’unione civile a consiglieri, assessori o privati cittadini provvisti dei requisiti per essere eletti consiglieri comunali.
Inoltre, la nuova disciplina delle “unioni civili” ha richiesto l’armonizzazione del Codice penale e del Codice di procedura penale, in particolare quanto alla definizione di matrimonio agli effetti della legge penale (ad esempio quale circostanza aggravante di un reato).
Lucia Izzo Newsletter Giuridica – studiocataldi.it 16 gennaio 2017
www.studiocataldi.it/articoli/24734-unioni-civili-partner-come-il-coniuge-cambia-il-codice-penale.asp
Omesso mantenimento: per i figli dei conviventi non è reato
Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza 2666, 19 gennaio 2017
La Cassazione precisa che la violazione dell’art. 3 legge 54/2006 scatta solo se la coppia era legata da coniugio. Niente condanna per omesso mantenimento se i genitori erano solo conviventi. La violazione prevista dall’art. 3 della legge sull’affidamento condiviso (legge 8 febbraio 2006, n. 54), quanto all’inosservanza degli obblighi di natura economica, scatta solo se vi è stata separazione dei genitori coniugati, ovvero scioglimento, cessazione degli effetti civili o nullità del matrimonio
Lo ha previsto la Corte di Cassazione annullando il provvedimento impugnato senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Il ricorrente era stato condannato per il reato di cui alla legge 24/2006, art. 3, per aver versato alla ex-compagna solo parte della somma per il mantenimento del figlio minorenne, rispetto al maggiore importo fissato dal Tribunale per i Minorenni, nonché per aver omesso di versare la quota del 50% delle spese mediche e straordinarie.
La vicenda, giunta in Cassazione, si risolve con un annullamento senza rinvio da parte dei giudici di legittimità, perché il fatto oggetto di contestazione e di condanna nei giudizi di merito non è previsto dalla legge come reato. Dagli atti, precisano i giudici, emerge con chiarezza che l’uomo era legato alla denunciante non da rapporto di coniugio, bensì da rapporto di convivenza. Deve escludersi, però, che l’art. 3 della legge n. 54 del 2006 si riferisca anche alla violazione degli obblighi di natura economica derivanti dalla cessazione del rapporto di convivenza.
Invero, la disposizione in esame, in forza della quale “in caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l’art. 12-sexies della legge 1 dicembre 1970, n. 898”, deve essere letta nel contesto della disciplina dettata dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, e, in particolare, dell’art. 4, comma 2, che recita: “Le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”.
Tale enunciato linguistico, evidenzia il Collegio, risulta introdurre una distinzione tra le diverse classi di ipotesi: precisamente, da un punto di vista sintattico, le disposizioni della legge n. 54 del 2006 sono indicate come da applicare non “in caso di figli di genitori non coniugati” (come, invece, “in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio”) ma “ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”.
Per la Cassazione tale precisazione non risulta essere una formula verbale priva di possibili significati rilevanti, poiché la disciplina dettata dalla legge n. 54 del 2006, regola i provvedimenti che il giudice deve adottare in relazione ai figli allorché interviene la separazione tra i genitori, modificando il codice civile (art. 155) e introducendovi nuovi articoli (artt. 155-bis e ss.) nonché i profili processuali relativi alle controversie in materia di esercizio della potestà genitoriale e di affidamento, modificando l’art. 708 c.p.c e introducendo l’art. 709-ter.
Può allora concludersi che, mentre in caso di separazione dei genitori coniugati, ovvero di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio si applicano tutte le disposizioni previste dalla legge n. 54 del 2006, per quanto riguarda i figli di genitori non coniugati il riferimento ai “procedimenti relativi” agli stessi assolve alla funzione di circoscrivere l’ambito delle disposizioni applicabili a quelle che concernono i procedimenti indicati dalla medesima legge, e che sono quelli civili di cui all’art. 2, e non anche alle previsioni normative che attengono al diritto penale sostanziale.
La soluzione appena indicata, concludono gli Ermellini, oltre ad essere attenta al dato testuale delle disposizioni di legge, risponde anche al principio del cd. “diritto penale minimo” e non lede la posizione sostanziale dei figli di genitori non coniugati, per la cui tutela è possibile il ricorso a tutte le azioni civili, e ferma restando, inoltre, l’applicabilità della fattispecie di cui all’art. 570, secondo, comma, n. 2, del codice penale.
Lucia Izzo Studio Cataldi 21 gennaio 2017
www.studiocataldi.it/articoli/24802-omesso-mantenimento-per-i-figli-dei-conviventi-non-e-reato.asp
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