NewsUCIPEM n. 631 – 08 gennaio 2017

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ADOZIONI INTERNAZIONALI Come sono andate le adozioni internazionali nel 2016?

La Regione Lazio ripensa il sistema adozioni.

AFFIDO ESCLUSIVO Affido esclusivo dei figli: solo se nell’interesse del minore.

AMORIS LÆTITIA Baldisseri: “Messaggio di speranza per ogni famiglia”

ASSEGNO DI MANTENIMENTO Se l’ex moglie convive devo versare il mantenimento?

CENTRO ITALIANO DI SESSUOLOGIA E’ in distribuzione il n. 2, volume 40 della Rivista di Sessuologia.

CHIESA CATTOLICA Primogeniti: la Caduta degli Dei.

CONSULTORI FAMILIARI UCIPEMBrescia 1. Nuova cultura dell’invecchiamento.

Como. Consultorio La famiglia. Programma degli incontri.

Portogruaro. Consultorio Fondaco. Iniziative di gennaio-febbraio.

Roma 1. Storia degli Eventi Critici e Disegno delle relazioni familiari.

DALLA NAVATABattesimo del Signore – Anno A – 8 gennaio 2017.

Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).

GARANTI PER L’INFANZIA Nuove nomine in tre regioni.

GESTAZIONE PER ALTRI Corte d’Appello riconosce paternità di due bambini nati negli Usa.

Utero in affitto. Menzogne fondamentali.

MATRIMONIO Matrimoni sempre più in crisi, ecco perché le coppie non durano.

Matrimonio non consumato: divorzio immediato

MINORI Minori stranieri: dati del Rapporto sulle migrazioni 2016 dell’Ismu

POLITICHE FAMILIARI Famiglia: ecco le misure in vigore dal 1° gennaio 2017.

Tutti gli aiuti per la natalità: unica assente l’adozione internazionale

Bonus e famiglie, il ministro rilancia.

PSICOPEDAGOGIA La resilienza, dalla psicologia al diritto.

UCIPEM Atti del Congresso di Oristano 2-4 settembre 2016

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Come sono andate le adozioni internazionali nel 2016?

Ecco i primi dati: ulteriore calo del 29 % mentre Cifa, Ai.Bi e Naaa si confermano ai primi tre posti. Nonostante in Italia non ci siano dati aggiornati perché chi dovrebbe fornirli, la CAI è in ritardo di 3 anni, possiamo però fare una prima analisi del panorama dell’adozione internazionale del 2016 grazie ai primi dati che arrivano e che, guarda caso, sono ancora una volta, i primi tre Enti che hanno realizzato il maggior numero di adozioni a pubblicarli: Cifa, Ai.Bi e Naaa. Il tutto a soli pochi giorni dall’inizio del nuovo anno.

A riprova del fatto che la trasparenza non si fa a chiacchiere ma nella realtà, con i fatti e con i numeri alla mano. Entriamo nello specifico. Cifa si conferma l’Ente Autorizzato che ha portato a termine il maggior numero di adozioni internazionali in Italia. I bambini che sono stati adottati nel corso dello scorso anno con la ONG torinese sono 169 e sono stati accolti da 149 famiglie; segue Ai.Bi con 107 minori che hanno ottenuto l’autorizzazione all’ingresso in Italia adottati da 82 coppie. Subito a ruota Naaa con 103 bambini adottati nel 2016 da 88 famiglie.

In totale i 3 Enti nel 2016 hanno accompagnato l’adozione di 379 minori, rispetto ai 535 dello scorso anno con un calo quindi del 28.9%.

Quindi, in attesa della pubblicazione dei dati degli altri Enti, si assiste ancora una volta a un calo costante delle adozioni internazionali in Italia che negli ultimi 5 anni si è attestato intorno al 40%. Anche le coppie disponibili ad adottare un minore straniero sono state in calo scendendo di oltre il 50% in 10 anni. E il dato è in continua decrescita: nel 2014 sono state 3.857 contro le 8.274 del 2004 (fonte Vita).

Da dove sono arrivati i bambini? La Cina si conferma il Paese da cui arrivano più bambini: i dati complessivi dei tre enti parlano di 100 minori che hanno fatto il loro ingresso in Italia; a seguire la Russia con 77 minori; il Perù con 35 bambini adottati; il Brasile con 29 bambini; Vietnam e Polonia (28 e 26); a “pari merito” Cile e Bulgaria con 20 minori; dall’Ucraina sono stati adottati 16 bambini; da Rdc 7; Etiopia 6, Romania 4, Colombia 4, Albania 3, Filippine con 2 bambini accolti, Haiti e Kosovo con 1 solo minore.

I tre Enti complessivamente hanno in carico 972 coppie di cui 495 (Cifa); 240 (Naaa) 237 Ai.Bi.

News Ai Bi. 5 gennaio 2017

www.aibi.it/ita/come-sono-andate-le-adozioni-internazionali-nel-2016-ecco-i-primi-dati-ulteriore-calo-del-29-mentre-cifa-ai-bi-e-naaa-si-confermano-ai-primi-tre-posti

La Regione Lazio ripensa il sistema adozioni.

Mazzarotto “Procedure più snelle, meno enti autorizzati e più colloqui nel post adozione: le coppie devono essere non solo valutate ma anche accompagnate”.

Procedure lunghe e farraginose, notevoli discrepanze dei tempi e degli “step” dell’iter adottivo sul territorio nazionale e regionale; l’aumento delle tecniche di procreazione assistita; il proliferare del clima di sfiducia da parte delle coppie e la costante crisi economica; per non dimenticare i delicati (se non a volte) inesistenti equilibri geo-politici con la conseguente mancanza di accordi bilaterali tra i Paesi. E non da ultimo il cambiamento del profilo dei bambini adottabili (età e bisogni sanitari) che sembra “allettare” di meno le coppie che vogliono adottare.

Queste sono le cause della crisi dell’adozione internazionale individuate da Antonio Mazzarotto, dirigente delle Politiche per l’Inclusione della direzione Salute e Politiche sociali per la Regione Lazio, ed illustrate nel corso dell’ultimo incontro formativo dedicato agli operatori del settore per la presentazione del nuovo piano regionale per l’adozione internazionale che si è svolto a Roma lo scorso 13 dicembre 2016.

L’incontro segue il “Percorso formativo per il personale delle Aziende Sanitarie Locali e dei Comuni operante nell’ambito dei Gruppi Integrati di Lavoro per le Adozioni (GilA) e degli Enti Autorizzati”, partito nel 2015, e conclusosi con l’illustrazione delle proposte per riorganizzare il sistema delle adozioni nel Lazio.

A scoraggiare le adozioni internazionali secondo Mazzarotto concorre anche l’elevato numero di Enti autorizzati, l’assenza di un controllo e la difficoltà tra questi di creare sinergie fra loro. “Se tanti bambini nel mondo sono stati accolti – ha ricordato Mazzarotto -, lo dobbiamo agli Enti autorizzati. Ma, come per il settore pubblico, anche per questi serve ora fare uno sforzo per migliorare il servizio. Per questo, nel nuovo modello regionale, è necessario integrare gli enti e valorizzare ulteriormente i soggetti pubblici”. Proprio una maggiore sinergia tra questi ultimi è l’obiettivo che il nuovo piano della Regione Lazio si propone di realizzare.

Mazzarotto fa anche una fotografia dello stato di salute dei GilA (Gruppi Integrati di Lavoro per le Adozioni) al momento “fermi al palo” a causa di contratti precari e della rotazione del personale tra vari servizi.

Ecco qualche dato dell’attività dei GilA: nel 2014 hanno fatto 722 colloqui di valutazione e nell’anno successivo 727. Le coppie che hanno presentato disponibilità sono state 738 nel 2014 e 627 nel 2015. Gli ingressi in famiglia con l’adozione nazionale nel 2014 sono stati 173; l’anno successivo 192. Ingressi in famiglia con le adozioni internazionali sono state 187 nel 2014 ma 177 nel 2015.

Dati che fanno riflettere Mazzarotto il quale rivolge l’attenzione soprattutto al post-adozione, bisognosa di essere valorizzata. “Una buona valutazione che precede l’adozione – ha detto Mazzarotto – non è sufficiente a garantire una buona adozione. Occorre investire molto sul post. Oggi mediamente vengono effettuati 10 incontri, tra colloqui e visite, per arrivare alla valutazione di una coppia e soltanto 6 nel post-adozione”.

Da qui la proposta, in linea con il manifesto di Ai.Bi, di fare meno colloqui di valutazione nel pre-adozione a favore del post adozione quando genitori e bambino hanno più bisogno di sostegno e guida. Come sostiene da sempre Ai.Bi. occorre superare l’attuale concetto della “selezione” a favore di un percorso comune di “accompagnamento” alla genitorialità adottiva e quindi valorizzare le persone candidate ad accogliere un figlio non loro: sono una risorsa e non possono essere selezionate o penalizzate. Bisogna creare un percorso congiunto fra Enti autorizzati e Servizi Sociali per accompagnare insieme gli adottanti per tutta la durata della procedura: prima, durante e dopo l’adozione; Fare dichiarare l’idoneità degli adottanti dai Servizi Sociali, come negli altri Paesi europei, come risultato di questo percorso di accompagnamento, e non più dai tribunali per i minorenni. Insomma bisogna attuare una riforma culturale: dalla “selezione” all’ “accompagnamento” delle coppie.

Il nuovo modello sarà messo nero su bianco dalla Regione Lazio in un documento redatto sulla base dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) che usciranno tra gennaio e febbraio 2017.

News Ai Bi. 3 gennaio 2017

www.aibi.it/ita/roma-la-regione-lazio-ripensa-il-sistema-adozioni-mazzarotto-procedure-piu-snelle-meno-enti-autorizzati-e-piu-colloqui-nel-post-adozione-le-coppie-devono-essere-non-solo-valutate-ma-anche

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AFFIDO ESCLUSIVO

Affido esclusivo dei figli: solo se nell’interesse del minore

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 27, 3 gennaio 2017

La Cassazione ritorna su un tema molto dibattuto riaffermando la regola dell’affidamento condiviso e i limiti di quello esclusivo ai casi di estrema necessità. La Corte pone nuovamente l’attenzione su un argomento molto dibattuto negli ultimi anni. Come ormai noto la normativa in vigore in materia di minori prevede la regola dell’affidamento condiviso, limitando i casi di affidamento esclusivo solo in casi di estrema necessità.

Il ricorso per il quale è intervenuta la sentenza oggetto di considerazione riguarda l’impugnazione di pronuncia della Corte di Appello di Brescia del 2015 con la quale veniva rigettato l’Appello avverso sentenza del Tribunale di Bergamo che, giudicando in materia di separazione, aveva affidato in via esclusiva al padre i due figli minori della coppia, fondando l’esigenza di tale tipologia di affido sulla circostanza che la particolare conflittualità esistente nel rapporto tra i coniugi avrebbe ostacolato la loro capacità di assumere scelte comuni e, quindi, un affidamento condiviso avrebbe creato una situazione di stallo nelle decisioni riguardanti i figli.

La Corte di Cassazione ha ritenuto assolutamente inconsistente la motivazione argomentata dal Giudice di primo di grado ed avallata dalla Corte di Appello che aveva rigettato l’impugnazione. Ritiene, difatti la Corte di Cassazione che l’affidamento esclusivo non garantisce assolutamente una minore litigiosità tra i genitori, né tutela l’interesse del figlio. E’ necessario, invece, procedere ad una valutazione esclusivamente diretta a verifica l’idoneità del genitore a svolgere le sue funzioni al fine di poter, eventualmente, prevedere un affidamento esclusivo, solo ed esclusivamente quando questa manchi del tutto.

Gli Ermellini confermano l’ormai consolidata giurisprudenza secondo la quale l’affidamento condiviso dei figli minori ad entrambi i genitori costituisce il regime ordinario di affidamento e, tale regime, non è impedito dalla conflittualità dei genitori, a meno che tale regime non sia pregiudizievole negli interessi dei figli, alterando e ponendo in serio pericolo il loro equilibrio e il loro sviluppo psico-fisico. Nel caso di specie, invece, alcun pregiudizio era potenzialmente arrecato e nessuna indagine diretta a verificarlo era stata effettuata, limitandosi il Giudice di Primo Grado a valutare semplicemente la conflittualità dei coniugi nell’ambito del giudizio di separazione e giustificando la tipologia di affido in ragione della necessità di assicurazione una rapidità di decisione riguardanti la prole, che sarebbe venuta meno a causa della stessa (nello stesso senso anche Cassazione n.1777 e n. 5108 del 2012, n.24526 del 2010 e 16593 del 2008).

Avv. Concetta Spatola Studio Cataldi 5 gennaio 2017 Sentenza

www.studiocataldi.it/articoli/24610-affido-esclusivo-dei-figli-solo-se-nell-interesse-del-minore.asp

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AMORIS LÆTITIA

Baldisseri: “Messaggio di speranza per ogni famiglia”

“Dio creò l’umano maschio e femmina, perché fosse l’amore e non l’uguaglianza ad unire le persone” San Giovanni Crisostomo

La “Chiesa in uscita” è contemporaneamente “anche la Chiesa dalle porte aperte”: questa è la realtà emergente dal cammino sinodale sulla famiglia che ha trovato piena espressione pastorale nell’esortazione apostolica Amoris Lætitia. Lo ha spiegato il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi, in una conferenza tenuta a Civitavecchia. Nel suo intervento – riportato da L’Osservatore Romano – il porporato si è soffermato in particolare sulle parole chiave del documento papale: “Accogliere, accompagnare, discernere e integrare” che – ha detto – “sono un messaggio di speranza per tutte le famiglie, anche per quelle che vivono situazioni di difficoltà e di crisi, segnate dalla fragilità o dalle ferite”. Tutte sono invitate a camminare con fiducia, ha spiegato Baldisseri, consapevoli che “non lasciandosi abbattere dalle sfide a cui sono sottoposte nel contesto della società odierna”, possono davvero “vivere pienamente la loro vocazione e la loro missione nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”.

Il cardinale ha inoltre spiegato nei dettagli l’intero cammino sinodale, dalla consultazione del popolo di Dio recepita nell’Instrumentum laboris, alla discussione “aperta e franca” delle due assemblee che ha portato alla relatio finalis, fino al documento del Pontefice. Un iter che è stato “l’attuazione pratica della maniera in cui Papa Francesco intende la sinodalità come esercizio permanente nella vita ecclesiale”. Il metodo usato, ha aggiunto il segretario generale del Sinodo, è quello che dovrebbe accompagnare la Chiesa ogni qual volta “si vogliono prendere decisioni giuste e realmente corrispondenti alla volontà di Dio”, ovvero quello del “discernimento”.

Ed è stato proprio il discernimento la linea guida per affrontare gli innumerevoli casi che si sono presentati di fronte ai Padri sinodali: non aride questioni formali o teologiche, ma la vita quotidiana delle famiglie declinata in tutte le sue sfaccettature, anche e soprattutto quelle più dolorose. “Amoris laetitia – ha sottolineato il cardinale Baldisseri- usa il verbo discernere soprattutto nel capitolo VIII, collocandolo nel titolo in mezzo ad altri due verbi: accompagnare e integrare la fragilità”. Infatti “quando l’amore non corrisponde più alla forma del sacramento nuziale, la Chiesa si prende cura di queste persone ferite, perché possano ritrovare la via del Vangelo, alla luce del primato della grazia di Dio che mai abbandona”.

Di qui la dimensione dell’accoglienza che, ha precisato il porporato, non significa che “la normativa e la dottrina della Chiesa subiscano variazioni o che essa non tenga conto “ella riflessione morale tradizionale”, ma che, tenendo sempre conto della “norma generale”, le “situazioni particolari devono essere considerate nella loro specificità”.

In questo senso l’Amoris Lætitia traccia linee ben chiare riguardo. Ad esempio, sulla “delicata questione dei divorziati e risposati civilmente”, con le indicazioni circa la “possibilità della riconciliazione sacramentale e della recezione dell’eucaristia”. “Si tratta sempre di un cammino che favorisce la maturazione di una coscienza illuminata”, ha sottolineato Baldisseri. Ancora una volta, ha aggiunto, si capisce come “un autentico processo di discernimento” sia “decisivo affinché l’accogliere e l’accompagnare, elementi tipici della Chiesa in uscita, non si limitino a una generica vicinanza alle persone, che – per quanto importante – lascia comunque ognuno nella propria situazione di partenza”.

Il discernimento “rende possibile che l’accogliere e l’accompagnare siano finalizzati al compimento di un cammino da percorrere insieme”, con l’obiettivo “di ‘integrare’ nella vita della Chiesa tutti coloro che essa avvicina o che le si avvicinano, secondo le possibilità, le tappe e le modalità proprie di ciascuno”.

Conseguenza di ciò è la cura da mettere nella “preparazione dei fidanzati al sacramento nuziale” e nel loro accompagnamento dopo le nozze, ha spiegato il cardinale. È questo un elemento fondamentale per evitare “la deriva o il fallimento del matrimonio e della famiglia”. Quello del “camminare insieme” è, del resto, proprio lo stile necessario in ogni situazione, anche in quelle più difficili nelle quali è richiesto di “accompagnare la fragilità e curare le ferite”. Il tutto tenendo sempre presente “il principio della gradualità pastorale che riflette la pedagogia divina: come Dio si prende cura di tutti i suoi figli, a cominciare dai più deboli e lontani, così la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo imperfetto”.

In altre parole, ha concluso con eloquenza il segretario generale del Sinodo, “per accompagnare e integrare le persone che vivono in situazioni cosiddette ‘irregolari’ è necessario che i pastori le guardino in faccia una per una”. Non solo loro ma “tutta la comunità, famiglia delle famiglie”.

Redazione ZENIT 3 gennaio2017

https://it.zenit.org/articles/amoris-laetitia-baldisseri-messaggio-di-speranza-per-ogni-famiglia

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Se l’ex moglie convive devo versare il mantenimento?

La convivenza stabile con un nuovo compagno fa cessare il diritto al mantenimento anche se quest’ultimo è disoccupato o se l’unione dovesse interrompersi. Se l’ex moglie, destinataria dell’assegno di mantenimento, versatole mensilmente dal marito, va a convivere con un’altra persona e questa convivenza diventa stabile e duratura, perde il diritto a ricevere detto mantenimento. È quanto ricorda la Cassazione in una recente sentenza [Cass. Ord. n. 25528/16, 13.12.2016]. La nascita di una nuova famiglia di fatto implica onòri e òneri, e tra questi ultimi c’è anche l’obbligo di reciproca assistenza materiale e morale: conseguentemente non possono ricadere sull’ex coniuge le spese per sostenere il nuovo nucleo familiare. Il «rischio economico» che la nascita di una nuova famiglia – anche se di fatto, basata cioè sulla convivenza e non sul matrimonio – grava sulla coppia e non su terzi estranei, anche se uniti da precedenti rapporti.

L’ex moglie perde l’assegno di mantenimento anche se il nuovo compagno è disoccupato o non ha le risorse economiche sufficienti a mantenerla. Inoltre – al contrario di quanto un tempo riteneva la giurisprudenza della Suprema Corte – una volta venuto meno il diritto al mantenimento dell’ex moglie, se la convivenza tra i due viene meno, il diritto all’assegno di mantenimento non “resuscita”: in altre parole, cessata l’unione di fatto, l’ex moglie non può più rivolgersi al precedente marito e obbligarlo a versarle nuovamente l’assegno.

Assegno di mantenimento e assegno divorzile: che differenza c’è? Benché la prassi comune usi la parola «assegno di mantenimento» in modo generico e onnicomprensivo, in verità bisogna distinguere tra due diverse situazioni:

  • Se la coppia è solo separata, si parla di assegno di mantenimento;

  • Se la coppia è, invece, anche divorziata, si parla di assegno divorzile.

Come noto, l’assegno di mantenimento o divorzile non è una sanzione, né una forma di risarcimento. Si tratta solo del dovere, che grava sul coniuge con reddito superiore, di consentire all’altro di mantenere (almeno tendenzialmente) lo stesso tenore di vita di cui godeva quando ancora era sposata. Quindi, in buona sostanza, si tratta di una redistribuzione delle ricchezze all’interno della coppia, anche dopo la cessazione dell’unione, al fine di garantire una sostanziale uguaglianza tra i due.

Quando si perde il diritto al mantenimento? Il diritto al mantenimento (o all’assegno divorzile si perde quando):

  • Cessa o si riduce notevolmente la disparità di reddito tra i due ex coniugi; il che può ad esempio avvenire quando:

  1. Il coniuge che versa l’assegno perde il lavoro o vede ridurre drasticamente i propri guadagni;

  2. Il coniuge che versa l’assegno deve affrontare spese rilevanti per la propria salute, con diminuzione della capacità lavorativa;

  3. Il coniuge che riceve il mantenimento inizia a lavorare o riceve un aumento di stipendio tale da elidere la disparità economica con l’ex;

  • Il coniuge beneficiario del mantenimento inizia una nuova convivenza stabile: come detto in apertura, l’instaurazione, da parte del coniuge divorziato, di una nuova famiglia, anche se «di fatto», cancella ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e, pertanto, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno di mantenimento o divorzile a carico dell’altro coniuge.

Affinché la nuova convivenza faccia perdere il diritto all’assegno divorzile o di mantenimento è necessario che essa sia stabile e duratura, non occasionale o dettata da necessità differenti rispetto a quella di costituire una nuova famiglia di fatto (è il caso, ad esempio, del compagno che ospiti, a casa propria, la compagna solo per dividere le spese di affitto). Si deve, insomma, verificare una comunione materiale e spirituale, dove i conviventi si occupino l’uno dell’altro, al pari di marito e moglie. La famiglia infatti – al di là se fondata sul matrimonio o sulla convivenza – è una relazione stabile e duratura, basata su una reciproca assistenza morale e materiale, su doveri di fedeltà, coabitazione, sostegno, contribuzione e solidarietà. Doveri che, nei fatti, si manifestano ad esempio nel pagare indistintamente le spese per il ménage domestico, la spesa, le utenze e l’affitto, prendersi cura dell’appartamento e della sua manutenzione, aiutare il compagno/la compagna e crescere l’eventuale prole. Insomma, tutto ciò che comunemente fanno – o dovrebbero fare – marito e moglie.

Poiché la decisione di formare una nuova famiglia, anche se solo «di fatto» è una scelta esistenziale, libera e consapevole, tale scelta implica anche l’assunzione del rischio economico che da ciò deriva se i due conviventi non hanno le disponibilità per mantenersi. Il che fa cessare ogni precedente rapporto con l’altro coniuge, il quale non è più tenuto a versare l’assegno di mantenimento o, se già divorziato, l’assegno divorzile. Tale diritto all’assegno non va in stand-by (o, per usare un’espressione usata dagli avvocati, «non entra in stato di quiescenza», né si può considerare semplicemente «sospeso», ma) si perde per sempre, anche qualora il nuovo nucleo familiare dovesse sfaldarsi e l’ex beneficiario del mantenimento dovesse tornare a vivere da solo. In quel caso non potrebbe tornare alla carica, nei confronti del precedente coniuge, e chiedergli di mettere nuovamente mano al portafogli.

Del resto chi avvia una nuova convivenza trae dei notevoli benefici economici dalla separazione, potendo condividere con il nuovo convivente le spese di ordinaria amministrazione (vitto, alloggio, e relativi oneri), cosa che invece non può fare il precedente coniuge rimasto solo, il quale deve affrontare, oltre alle spese di ordinaria amministrazione, anche le spese relative al mantenimento del coniuge separato (e convivente) e degli eventuali figli comuni.

Addio mantenimento se si va a convivere. Questo principio è ormai stabile nella giurisprudenza della Cassazione che ha ormai consolidato la sua interpretazione a favore della cessazione definitiva dell’assegno di mantenimento o divorzile in caso di costituzione di nuova famiglia di fatto [Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 19345, 29 settembre2016;

www.sentenze-cassazione.com/wp-content/uploads/2016/09/Cassazione-Civile-VI-Sezione-1-Sentenza-n.-19345-2016.pdf

n. 2466/2016; n. 17856/2015; n. 6855/2015]: un’interpretazione che costituisce il superamento (da lunghi lustri da più parti auspicato) di una interpretazione della normativa sul divorzio in chiave chiaramente antimaschile.

Come detto, in passato, la giurisprudenza era invece orientata nel senso di ritenere che la famiglia di fatto comportasse solo la provvisoria sospensione, e non la definitiva estinzione, del diritto al mantenimento, che tornava pertanto a rivivere una volta cessata la convivenza [Cass. Sent. n. 4539/2014; n. 25845/2913; n. 17195/2011 che evidenzia che in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il parametro dell’adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale da uno dei coniugi viene meno di fronte alla instaurazione, da parte di questi, di una famiglia, ancorché di fatto; la conseguente cessazione del diritto all’assegno divorzile, a carico dell’altro coniuge, non è però definitiva, potendo la nuova convivenza – nella specie, uno stabile modello di vita in comune, con la nascita di due figli ed il trasferimento del nuovo nucleo in una abitazione messa a disposizione dal convivente – anche interrompersi, con reviviscenza del diritto all’assegno divorzile, nel frattempo rimasto in uno stato di quiescenza].

Se sono presenti dei figli. Se la coppia ha avuto anche figli, la cessazione dell’obbligo di mantenimento riguarda solo l’ex coniugi ma non i minori o maggiorenni non autosufficienti, che manterranno il diritto ad essere ugualmente mantenuti, anche se ad essi provvede il/la nuovo/a compagno/a del genitore con cui convivono.

Come fare a cancellare l’assegno di mantenimento? Ma cosa deve fare, materialmente, l’uomo che, sapendo che l’ex moglie è andata a convivere con un’altra persona, non voglia più versarle il mantenimento? Innanzitutto deve procurarsi le prove di ciò che afferma, eventualmente con testimoni o con documenti che attestino il cambio di residenza, il pagamento delle utenze o altri elementi anche sintomatici di una vita in comunione. In secondo luogo deve, con un avvocato, recarsi in tribunale e instaurare una causa per la revisione delle condizioni di separazione o divorzio; non può, infatti, decidere autonomamente di sospendere il versamento, diversamente rischiando un decreto ingiuntivo ed, eventualmente, gli estremi del procedimento penale per violazione degli obblighi di mantenimento.

Redazione Lpt 6 gennaio 2017

13 sentenzewww.laleggepertutti.it/145330_se-lex-moglie-convive-devo-versare-il-mantenimento

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CENTRO ITALIANO DI SESSUOLOGIA

E’ in distribuzione il n. 2, volume 40 della Rivista di Sessuologia.

Il tema trattato: Disforie di genere. Attualità e prospettive, a cura di Margherita Graglia e Daniela Anna Nadalin.

www.cisonline.net/index.php?option=com_content&view=article&id=26&Itemid=109

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CHIESA CATTOLICA

Primogeniti: la Caduta degli Dei.

Dio ce l’ha con i primogeniti o, più precisamente i primogeniti ce l’hanno con Dio: essendo io stesso primogenito mi sento alquanto coinvolto da questa constatazione. L’ultimo shock circa i primogeniti è stato occasionato dal tradimento dei Mons. Burke, Mons. Caffarra, Mons. Walter Brandmüller, Mons. Joachim Meisner con il loro pubblico dissenso esercitato fuori da ogni Camera Caritatis ma dato in pasto al pubblico malevole il tutto assortito con minacce contro Papa Francesco allorquando avevano giurato difenderlo il giorno della loro creazione al cardinalato pronunciando il seguente testo:

Io N., Cardinale di Santa Romana Chiesa, prometto e giuro di rimanere, da ora e per sempre finché avrò vita, fedele a Cristo e al suo Vangelo, costantemente obbediente alla Santa Apostolica Chiesa Romana, al Beato Pietro nella persona del Sommo Pontefice N. e dei suoi successori canonicamente eletti; di conservare sempre con le parole e con le opere la comunione con la Chiesa cattolica; di non manifestare ad alcuno quanto mi sarà stato affidato da custodire e la cui rivelazione potrebbe arrecare danno o disonore alla Santa Chiesa; di svolgere con grande diligenza e fedeltà i compiti ai quali sono chiamato nel mio servizio alla Chiesa, secondo le norme del diritto. Così mi aiuti Dio onnipotente.”

Quattro grandissimi (ormai, de facto, ex-) cardinali per i quali avevo una stima altissima: a comprova tanti articoli su Croce-Via nei quali li citavo come esempio di ottima dottrina a fronte di altri loro colleghi all’insegnamento incerto, a volte anche tendenzialmente eretico. Da dove l’origine del titolo di questo post: questa caduta degli dei in primis si riferisce alla profonda delusione che hanno provocato in me.

I signori cardinali sono un poco come i nostri fratelli maggiori nella fede: come mai proprio tra i nostri fratelli maggiori, specialmente tra quelli con la dottrina la più chiara e la meglio conosciuta, si ritrovano proprio quelli caduti più in basso di tutti gli altri trascinando così anche altri ottimi sacerdoti nel loro delirio peccaminoso? Questo movimento vertiginoso dall’alto verso il basso è la seconda ragione del perché del nostro titolo.

Abbiamo già esposto in alcuni nostri commenti in post precedenti dove si situa l’errore profondo di questi ex-cardinali, imperdonabile a causa del loro calibro intellettuale: la confusione fatta da loro tra dottrina e giudizio, la prima essendo oggetto di conoscenza e il secondo atto di volontà che riconosce l’adeguazione tra dottrina e realtà e solo atto che permette lo sgorgare della verità proprio nel discernimento. Amoris Lætitia ci parla essenzialmente, e specialmente nel magnifico Capitolo VIII, di come porre giudizi in opera, di come trovare ed esprimere la verità nelle situazioni concrete ma non ha mai inteso ridiscutere la Dottrina in quanto quella sul Matrimonio è ben definita da secoli e, in quanto tale, non potrebbe essere altrimenti.

https://pellegrininellaverita.com/2016/11/14/croce-via-risponde-ai-dubia-dei-4-cardinali

Analogicamente, non serve a niente sapere che la legge della gravitazione dice che due corpi si attraggono con una forza inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra i loro baricentri (analogo alla Dottrina) ma ancora bisogna saper applicare tale legge così che si possa chiarire come mai i satelliti geostazionari non cadono mai su terra: e questo non vuol dire che non c’è più alcuna legge della gravità (che non ci sia più la Dottrina), ma, anzi proprio il contrario, visto che senza gravità non sarebbe possibile nessuna orbita geostazionaria.

Ancora un’altra analogia: la dottrina in astrofisica ritenuta valida per rendere conto dei fenomeni cosmologici osservati è, per ora, quella della relatività generale einsteiniana ma pochi sanno che nelle simulazioni numeriche usate dalla NASA, ESA e altre agenzie spaziali per calcolare le traiettorie dei razzi e altri satelliti intorno alla Terra , o per mandarli su Marte Venere o altrove , si utilizzano modelli numerici dove la Terra è considerata come se fosse al centro dell’universo e questo perché nella pratica ciò è più semplice ed effettivo per i calcoli. Allora la “dottrina” dice che l’universo è einsteiniano ma nella pratica del 2017 siamo ancora tolemaici: eppure senza Einstein non si capirebbe bene il reale e neanche il perché è lecito usare Tolomeo in pratica; cosi come senza il CCC non si capirebbe bene perché tale pastorale o tale applicazione dell’epikeia è lecita.

Ma aldilà della messa in evidenza del gravissimo errore intellettuale dei quattro monsignori in questione, questo loro magistrale scivolone porta ad una domanda più profonda: come questo sia stato moralmente e teologicamente possibile. Come sia possibile che i “migliori” finiscano ultimi: il che è, di per sé, a ben pensarci scandaloso! Questo dovrebbe essere uno spunto di riflessione per noi tutti: tutta la Bibbia è permeata da un unico conflitto: quello dei primogeniti contro Dio. Che sia la caduta del primo e del più perfetto di tutti gli angeli, colui che portava la luce; che sia l’omicidio di Abele da parte di Caino; che sia Esaù che vende la sua primigenia a Giacobbe; che siano i fratelli maggiori di Giuseppe; che sia Pietro nel cortile del Sommo Sacerdote; che sia il primogenito delle parabola del figliol prodigo; che siano i farisei e caste sacerdotali, che siano i primi a venire dopo gli ultimi negli insegnamenti di Gesù, sempre, eppoi sempre, sono i primogeniti, quelli chiamati per primi, ad avere i cattivi ruoli e la peggior fine.

Quasi sembrerebbe che Dio ce l’abbia con i primogeniti anche se, a ben guardare, sono i primogeniti che ce l’hanno con Dio. C’è una gelosia del primogenito contro il Figlio Unico: nessun primogenito potrà mai essere il Figlio Unico, il Figlio Prediletto, in quanto quello è il posto di Gesù. Non è quello di Lucifero che rifiuta l’idea stessa di Incarnazione; non è quello di Adamo ed Eva che voglio diventare “come” Dio; non è quello di Caino che vuole essere amato più di Abele da Dio; non è quello dei fratelli gelosi di Giuseppe; non è quello del primogenito geloso del fratello prodigo e così via di seguito.

Questo è il problema metafisico del primogenito: tentare di essere tanto bravo da poter corrispondere all’immagine che lui stesso si costruisce di quel che il Padre aspetta da lui e così poter sostituire il Figlio unico ai Suoi occhi. Qui risiede la sua boria e qui si opera l’infinita separazione tra il primogenito, che non sarà mai l’Unico, con il Padre.

E dov’è l’Unico? È dove è il cuore del Padre con quello di tutti i padri di questo mondo: con il figlio il più malandato. Non perché non ama infinitamente chi è meno malandato, ma perché l’urgenza è per quello più malandato hic et nunc.

Sì, il Figlio Unico è hic et nunc nel più malandato dei figli hic et nunc: lì è Cristo.

Il gravissimo e scandaloso peccato dei quattro monsignori, primogeniti emeriti, è il nostro: dobbiamo realizzare che noi stessi non saremo mai il Figlio Unico, che la Dottrina che conosciamo così bene non fa di noi Cristo, ma che è solo nell’incontro con il più malandato e nel discernimento attivo della Verità nella realtà della situazione di quest’ultimo che saremo del Cristo, a difetto di essere mai Cristo. Fintanto non saremo capaci, ognuno di noi, di operare questa conversione da figli primogeniti che sproloquiano dissertando di Dottrina a umili operatori di giudizio Vero nel concreto del reale dei più malandati che ci incontrano, resteremo fuori dal luogo del Festino dove il Figlio Unico sposa la Sua Chiesa.

Simon de Cyrène on 1 gennaio 2017 Croce-Via

Croce-via si pone sotto la protezione spirituale di San Tommaso d’Aquino e San Giovanni Paolo Magno

https://pellegrininellaverita.com/2017/01/01/primogeniti-la-caduta-degli-dei/comment-page-1/#comment-28866

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Brescia 1. Nuova cultura dell’invecchiamento.

2017. Seconda parte del ciclo di incontri per promuovere una nuova cultura dell’invecchiamento.

Donne che hanno la fortuna di invecchiare.

  • 17 gennaioIl corpo che cambia: le parole della medicina Alessandra Marengoni, geriatra

  • 24 gennaio Le donne che invecchiano nel lavoro Cristina Alessi, diritto del lavoro

  • 31 gennaio Le donne che invecchiano nella moda GiusiVillari,docente istituto moda

www.consultoriofamiliare.org/iniziative_dett.php?id_iniziative=88

www.consultoriofamiliare org

Como. Consultorio La famiglia. Programma degli incontri.

  • Incontri di preparazione alla nascita per coppie

  • Donazione sangue cordonale. Incontro con un’ostetrica che spiega che cos’è e come si aderisce all’iniziativa che può salvare vite umane.

  • La storia di un bambino che nasce Incontro con la responsabile del nido dell’ospedale Valduce.

  • Pro e contro della partoanalgesia. Incontro con un anestesista dell’Ospedale Valduce.

www.lafamigliaconsultorio.org/calendario-2/

Portogruaro. Consultorio Fondaco. Iniziative gennaio-febbraio 2017.

  • 24, 31 gennaio, 7 febbraio:Laboratorio di espressione e conoscenza di sé per imparare a riconoscere il proprio contributo nelle relazioni che instauriamo e a modificare ciò che è di ostacolo. Il corso si propone di facilitare nei partecipanti il riconoscimento di alcuni stati emotivi e la loro espressione all’altro nella relazione che si crea, anche all’interno del gruppo. La metodologia prevede il coinvolgimento attivo-partecipativo dei componenti del gruppo quale strumento privilegiato di lavoro. La combinazione di tecniche espressive e conoscitive favorisce la spontaneità e la creatività, promuove la socializzazione e il giusto ruolo di ogni persona all’interno di un gruppo, provocando cambiamenti nelle dinamiche di relazione con se stessi e con gli altri. Conducono dr Sara Pauletto e dr Valentina Marcato.

  • 12, 19, 26 gennaio, 2 febbraio: Vivere l’esperienza del dolore e della perdita.

  • 23 febbraio, 2, 9 marzo: Quando lo stress colpisce.

  • 3, 10, 17, 24 marzo: Menopausa.

  • 15, 22, 29 marzo: La rabbia e la paura, come gestirle in modo costruttivo.

www.consultoriofamiliarefondaco.it/?p=1290

Roma 1. Centro La famiglia. Storia degli Eventi Critici e Disegno delle relazioni familiari.

La “Storia degli Eventi Critici” e il “Disegno delle relazioni familiari” sono due strumenti che facilitano nel cliente la focalizzazione della propria storia personale e delle proprie risorse interne. I due strumenti facilitano pertanto il difficile compito del Consulente familiare, che ha a disposizione un numero limitato di incontri per aiutare le persone a visualizzarsi, centrarsi e coordinarsi per compiere scelte delle quali essere consapevoli e sereni. Gli strumenti proposti consentono di guardare velocemente al passato per poter poi concentrare la consulenza nel “qui ed ora”, evidenziando “le cause e gli effetti degli eventi” e “i limiti e le risorse interne” per gestirsi al meglio!

Pertanto, il Seminario si rivolge principalmente ai Consulenti familiari e a coloro che hanno frequentato la Scuola per Consulenti familiari. Sarà tenuto presso la sede il 28 gennaio 2017 (ore 09.00- 13.30).

Animeranno il Seminario: dr Sara Capriolo, psicologa, consulente familiare; dr Chiara Narracci, sociologa, scrittrice, consulente e mediatore familiare.

Per iscrizioni/informazioni: info@centrolafamiglia.org.

www.centrolafamiglia.org/seminari-storia-degli-eventi-critici-disegno-delle-relazioni-familiari

www.centrolafamiglia.org/wp-content/uploads/2017/01/DEPL-SEM-EV-CRITICI-2017.pdf

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DALLA NAVATA

Battesimo del Signore – Anno A – 8 gennaio 2017

Isaia 42, 01. Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni.

Salmo 29, 04. La voce del Signore è forza, La voce del Signore è potenza.

Atti 10, 34. Pietro prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga.

Matteo 03, 15. Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.

 

 

 

Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).

Gesù in fila con i peccatori.

Abbiamo celebrato a Natale la manifestazione-epifania del Salvatore ai poveri, all’Epifania la manifestazione alle genti: oggi, con il battesimo di Gesù, celebriamo la sua manifestazione a Israele, concludendo così il tempo delle epifanie dell’incarnazione.

C’è stato un lungo silenzio dall’infanzia di Gesù fino a quest’ora. Dove Gesù ha vissuto la sua giovinezza? Dove ha imparato a leggere le sante Scritture? Dove è diventato un uomo maturo di circa trent’anni (cf. Lc 3,23)? I vangeli non ci danno risposte. Possiamo solo dire che, negli anni immediatamente precedenti al battesimo, Gesù è stato discepolo del Battista nel deserto di Giuda, come Giovanni stesso ci testimonia nella sua predicazione messianica: “Chi viene dietro a me (opíso mou), chi è alla mia sequela è più forte di me” (Mt 3,11; Mc 1,7).

È in questa sequela che Gesù chiede a Giovanni, il suo rabbi, di ricevere l’immersione nelle acque del Giordano, mettendosi in una fila di peccatori che vogliono professare la volontà di conversione, di ritorno a Dio. Questa è la scena, è l’atto di presentazione di Gesù adulto, il suo primo atto pubblico. Gesù è il Messia, l’Unto del Signore, è il Salvatore di Israele, è il Figlio di Dio venuto nel mondo, ma la sua prima manifestazione è nell’abbassamento, nello svuotamento, senza presentare le sue prerogative divine. Sì, in questa immersione di Gesù, che non ha bisogno di battesimo per la remissione dei peccati, essendo senza peccato (cf. 2Cor 5,21; Eb 4,15), si annovera tra i peccatori, come accadrà anche nella sua morte in croce tra due malfattori (cf. Mt 27,38; Mc 15,27). Ecco perché dico che Gesù è “il Messia al contrario o paradossale”, perché contraddice ogni immaginazione umana, ogni logica che vuole che la venuta di Dio avvenga nello splendore, nella gloria, nella potenza. Egli fa la sua prima apparizione pubblica tra i peccatori e sarà chiamato “amico dei peccatori” (Mt 11,19; Lc 7,34), poiché vivrà tra loro senza allontanarli da sé: perché non abbiamo mai pensato che “amico dei peccatori” sia un titolo cristologico?

Giovanni però, che per rivelazione e soltanto per fede conosce la vera identità di Gesù, annunciandolo come “colui che è più forte di lui”, si rifiuta di immergere Gesù nelle acque del Giordano. Anzi, nel racconto di Matteo confessa: “Io ho bisogno di essere immerso da te, e tu invece vieni a me e chiedi di essere immerso?”. Poi però obbedisce silenziosamente alle parole di Gesù, che gli ricorda l’obbedienza che entrambi devono fare alla missione ricevuta: entrambi devono “adempiere ogni giustizia”, cioè corrispondere puntualmente alla volontà di Dio. Occorre mettere in risalto che questa è la prima parola di Gesù nel vangelo secondo Matteo, dunque un’espressione di importanza capitale, che definisce la sua missione: Gesù deve compiere, realizzare (pleróo), come Giovanni e insieme a lui, ciò che è giusto, ciò che corrisponde alla volontà di Dio e che non è voluto, desiderato, sognato personalmente, anche a costo di contraddire il proprio io, la propria volontà, il proprio progetto. Dal canto suo Giovanni, l’ultimo profeta dell’Antico Testamento e il primo profeta del Nuovo, lascia a Gesù ogni decisione, lascia fare a Gesù: egli sa di dover solo predisporre tutto affinché la volontà di Dio, ormai espressa autorevolmente da Gesù, si compia.

Gesù viene dunque immerso da Giovanni nel Giordano, e mentre esce dalle acque dopo essersi identificato con l’umanità peccatrice – avendo compiuto questo momento pasquale di morte, affogamento, deposizione dei peccati, discesa nel profondo e risalita dalle acque, resurrezione a vita nuova, profezia della sua passione-Pasqua –, ecco giungere su di lui, proprio allora, la parola definitiva di Dio. Si aprono i cieli, cioè avviene una comunicazione tra mondo celeste e mondo terrestre, tra Dio e la terra; lo Spirito santo scende dai cieli come una colomba, dolcemente, su di lui; e una voce proclama: “Questi è il mio Figlio, l’amato: in lui ho posto tutta la mia gioia”. Questa dichiarazione della voce di Dio venuta dall’alto è una rivelazione:

Tu sei mio Figlio, come sta scritto nel Sal 2,7, cioè il Messia regale; ma sei anche il Figlio amato, come Isacco nell’ora del sacrificio (cf. Gen 22,2); e sei anche il Servo nel quale il Signore si compiace e sul quale effonde lo Spirito (cf. Is 42,1). Commenta Cirillo di Gerusalemme, in modo lapidario: “Perché ci sia un Unto, un Christós, occorre qualcuno che lo unga, il Padre, e qualcuno che sia unzione, lo Spirito santo. Ecco il senso del nome di Cristo”. Questa teofania è ricca di significato: come sulle acque primordiali, nell’in-principio della creazione, aleggiava lo Spirito di Dio (cf. Gen 1,2), così sulle acque del Giordano scende lo Spirito, inaugurando la nuova creazione nel nuovo Adamo,Gesù Cristo. E la parola di Dio dice la sua identità di Figlio di Dio stesso, Figlio unico e amatissimo, Figlio di cui Dio, vedendo lo stile da lui assunto e le azioni da lui compiute, come quel battesimo, può attestare: “Io mi rallegro di te, sei amatissimo da me, mi compiaccio di te, per come vivi e agisci, in piena conformità alla mia volontà”.

Queste parole di Dio all’inizio di ogni vangelo sinottico (cf. Mc 1,11; Lc 3,22) sono anche per ciascuno di noi, che dovrebbe sentirle rivolte a sé: sì, Dio mi dice che sono suo figlio, che sono da lui amatissimo. Ciascuno di noi dovrebbe sperare che Dio gli possa dire: “Di te mi compiaccio, di te mi rallegro!”, ma forse, conoscendo le nostre rivolte verso Dio, i nostri peccati, non riusciamo a crederlo possibile. Noi esitiamo, eppure dovremmo esserne convinti: queste sono le parole che Dio vorrebbe dirci e che ci dirà se speriamo in lui, non in noi, nella sua misericordia, non nelle nostre giustificazioni.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11133-gesu-in-fila-con-i-peccatori

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GARANTI PER L’INFANZIA

Garanti infanzia, nuove nomine in tre regioni.

Nel nostro Paese solo alcune Regioni hanno nominato il Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza. Una figura importante, che ha il compito di garantire il rispetto e l’attuazione dei diritti dei bambini e degli adolescenti. Di recente sono stati nominati tre Garanti regionali per l’infanzia e l’adolescenza: Luigi Bordonaro (Sicilia), Maria Clede Garavini (Emilia-Romagna) e Rita Teresa Turino (Piemonte).

Bordonaro è stato nominato dalla Giunta regionale siciliana nella seduta del 22 novembre scorso, Garavini è stata nominata dall’Assemblea legislativa regionale dell’Emilia-Romagna nella seduta del 25 ottobre scorso ed è subentrata senza soluzione di continuità a Luigi Fadiga, e Turino è stata nominata dall’Assemblea legislativa regionale del Piemonte nella seduta del 25 ottobre scorso.

Le nuove nomine sono state accolte con soddisfazione dalla Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza Filomena Albano, che sul suo sito web scrive: «anche alla luce di queste recenti novità ho convocato per il 18 gennaio la Conferenza di garanzia, composta da tutti i Garanti regionali per rafforzare il lavoro di rete, promuovere l’adozione di linee comuni di azione, raccogliere le risposte del lavoro di monitoraggio in merito alle figure dei tutori dei minori non accompagnati, che ho richiesto ai componenti della Conferenza di garanzia con nota del 18 ottobre».

L’intervento dei Garanti regionali, spiega Albano, «può fornire un rilevante e significativo quadro dello stato attuale di applicazione dell’istituto della tutela. Condizione essenziale per costruire azioni che abbiano una forza corale è l’avvio unito della costruzione di risposte, perché sia possibile assicurare ai minori privi di una rete parentale, di assistenza e rappresentanza da parte di altri adulti, la tutela a cui hanno diritto e la possibilità di vivere la loro stagione di infanzia e adolescenza con la dignità che meritano».

(bg) Newsletter Minori – Numero 12 – Dicembre 2016 04 gennaio 2017

www.minori.it/it/news/garanti-infanzia-nuove-nomine-in-tre-regioni

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GESTAZIONE PER ALTRI

Maternità surrogata. Corte d’Appello riconosce paternità di due bambini nati negli Usa.

Per la prima volta in Italia un tribunale riconosce la paternità congiunta di due uomini su una coppia di bambini, nati in California da madre surrogata. I due “papà” italiani sono sposati negli Usa.

La Corte di Appello di Milano ha ordinato all’Ufficiale di Stato civile milanese di trascrivere integralmente nel registro degli atti di nascita del Comune i certificati di due bambini nati in California grazie alla tecnica dell’utero in affitto. Un altro riconoscimento a suon di sentenze di quella maternità surrogata che per legge in Italia invece è vietata. I due bimbi, che hanno la stessa madre (la venditrice di ovociti, ignota e con ogni probabilità semplicemente scelta su un catalogo in base a caratteristiche somatiche e genetiche), sono figli biologici di due uomini italiani, coniugati tra loro negli Usa e soci dell’associazione Famiglie Arcobaleno. Si parla dunque di due papà, perché i bambini sono stati concepiti in provetta dagli ovociti di una sola donna e dal seme di entrambi gli uomini. Ma di madri, a ben vedere, ce ne sono due: oltre a quella genetica c’è infatti quella che li ha portati in grembo e partoriti, e che per la legge italiana sarebbe la loro vera madre. L’una e l’altra donna, però, vengono estromesse da ogni legame con i bambini in tutti i contratti di maternità surrogata, dunque si presume anche in questo caso. La madre, in altre parole, viene cancellata.

I bambini negli Stati Uniti risultano figli dei due papà ma in Italia resteranno figli del solo papà biologico – come indicato negli atti di nascita -, ottenendo però il cognome di entrambi gli uomini ma senza essere fratelli.

L’ufficiale di stato civile milanese aveva rifiutato la richiesta della coppia ritenendola contraria all’ordine pubblico perché i bambini erano nati per il tramite della maternità surrogata (tecnica riproduttiva vietata in Italia dalla legge 40/2004) e perché riportavano i cognomi di entrambi i committenti, pratica non consentita dalla legge italiana nel caso di due persone dello stesso sesso. Dalla mancata richiesta di trascrizione discendeva che i bambini non potevano provare di essere riconosciuti in Italia come figli dai due uomini e, quindi, non potevano godere della cittadinanza italiana. Il Tribunale in primo grado aveva rigettato il ricorso dei due, i quali hanno però deciso di impugnare il provvedimento denunciandone l`ingiustizia al giudice di grado superiore, assistiti dai legali della rete Lenford, specializzata in vicende giudiziarie di persone “Lgbt”.

Secondo la Corte di appello, gli atti di nascita dei due bambini non contrastano con l`ordine pubblico: il compito del giudice, a parere dei magistrati milanesi, è salvaguardare l`interesse preminente dei minori, che in questo caso si sostanzierebbe nel diritto a conservare lo status di figlio, a circolare liberamente nel territorio italiano ed europeo, ad essere rappresentato dal genitore nei rapporti con le istituzioni italiane, e a preservare la propria identità. La Corte d’Appello ha anche evidenziato come diniego dell`Ufficiale di Stato civile violasse il disposto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che presta tutela ai legami familiari a prescindere dal modo in cui sono sorti. Il Consiglio d’Europa cui la Cedu fa riferimento ha tuttavia recentemente respinto la proposta di legalizzare la maternità surrogata. Un dato che fa riflettere sull’interpretazione assegnata alla Convenzione dal giudice di Milano

R. I. Avvenire 3 gennaio 2017

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/gemellini-nati-da-due-padri

Utero in affitto. Menzogne fondamentali.

La legge italiana lo vieta espressamente e gli italiani sono in stragrande maggioranza contrari, ma per certa magistratura tutto questo non conta: si punta a introdurre a forza l’utero in affitto nell’ordinamento italiano, a farlo lentamente accettare all’insegna del fatto compiuto, sentenza dopo sentenza, confidando anche nell’assuefazione dell’opinione pubblica che nel tempo arriverà a indignarsi sempre meno, un po’ come Mitridate che, assumendo continuamente piccole dosi di veleni, se ne abituò, immunizzandosi. Stravolgendo anche il significato delle parole, la Corte di Appello di Milano ha consentito la trascrizione di un atto di nascita di due bambini nati in California con l’utero in affitto, da due diversi padri italiani, chiamandoli “gemelli”: i bambini condividono le due madri naturali, perché hanno in comune la madre genetica – la donna che ha venduto gli ovociti è la stessa – e la madre surrogata, quella assoldata per portare avanti la gravidanza e partorirli. E d’ora in poi, “grazie” a questa sentenza, in Italia come in California i due bambini risulteranno essere figli di due uomini, i due omosessuali italiani che hanno commissionato gravidanza e neonati, dando ciascuno il proprio liquido seminale in modo che ogni uomo sia padre biologico di uno dei due piccoli. Il risultato di questa improbabile acrobazia giuridica è che i bambini sono fratelli in California ma non in Italia, nonostante nel nostro Paese entrambi portino i due cognomi dei padri biologici e nel certificato di nascita siano definiti, appunto, “gemelli”.

D’altra parte non esiste né in italiano né in nessun’altra lingua un termine adeguato a descrivere il legame parentale dei due piccoli. Per cercare la quadratura del cerchio, e consentire la trascrizione dell’atto di nascita americano, i giudici italiani hanno fatto ricorso a una doppia, enorme bugia: la prima, che i due bambini sono figli di due uomini, e la seconda che i piccoli sono gemelli ma non fratelli. L’enormità della doppia menzogna è tale che gli stessi giudici si sono sentiti in dovere di giustificarla, mettendo una toppa peggiore del buco: la sentenza spiega che un concepimento di questo tipo sarebbe possibile anche in natura, tanto che «la comunità scientifica ha registrato vari casi, sia pure pochissimi al mondo, di gemelli nati da ovuli della stessa madre, fecondati con lo sperma di uomini diversi». Toppa peggiore del buco, dicevamo, e anche questa doppiamente. Innanzitutto, in questa procedura di utero in affitto la donna partorisce un figlio geneticamente non suo, e per ciascun neonato le madri naturali sono due, al contrario della storia millenaria dell’umanità.

Ricorrere alla natura per giustificare il modo più innaturale per far nascere un bambino sarebbe ridicolo se non fosse tragico. Ma, soprattutto, nella surreale toppa i giudici sono stati costretti a evocare la parola che hanno deciso di cancellare nell’atto di nascita: “madre”. È infatti vero che una donna può concepire due figli essendo fecondata, a poche ore di distanza, da due uomini diversi. Ma la differenza con il nostro caso è sostanziale: in questi rari casi naturali la madre è una sola e, ovviamente, la madre c’è, esiste, e come tale è riconosciuta. I giudici italiani invece hanno cercato di giustificare l’ingiustificabile – due gemelli non fratelli nati da due uomini – ricorrendo alla figura che hanno fatto sparire, cioè la mamma.

Una doppia bugia per cancellare la doppia madre dei due bambini – quella genetica e quella surrogata – in nome dell’«interesse superiore del minore», un concetto che appare sempre più fumoso, in nome del quale si è disposti a riconoscere tutto e il suo contrario visto che, secondo questi giudici, a contare sarebbero «le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo» e non la conformità degli ordinamenti giuridici (come quello californiano e italiano, assolutamente difformi, visto che il primo consente e il secondo vieta l’utero in affitto). In altre parole, dalla sentenza impariamo che la legge italiana non conta: quel che importa è la valutazione dei singoli tribunali circa il rispetto dei diritti umani. Per analogia, ci chiediamo quanto si tarderà a trascrivere atti di matrimoni poligamici, in nome del rispetto dei diritti fondamentali di chi quei matrimoni li ha consapevolmente contratti, in un altro Paese, rispettando antichissime tradizioni locali. Tornando al nostro caso, qualcuno poi dovrà prendersi la briga di spiegare ai due bambini cosa significano le parole padre, madre e fratello, visto che loro per legge sono nati da due uomini, che per legge le loro due madri non sono mai esistite, e che per legge sono gemelli ma non fratelli. Ma soprattutto qualcuno dovrà spiegare loro come tutto questo si chiami «tutela dei propri diritti fondamentali».

Assuntina Morresi Avvenire 4 gennaio 2017

www.avvenire.it/opinioni/pagine/menzogne

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MATRIMONIO

Matrimoni sempre più in crisi, ecco perché le coppie non durano

Dall’investire tutto sull’amore e sull’attrazione fisica, allo scegliere qualcuno solo perché corrisponde a tutto quello che abbiamo sempre voluto. Ma amore è soprattutto condivisione, spiegano gli esperti.

In Italia ci si sposa di più. Nel 2015 i matrimoni sono stati 4.600 in più rispetto all’anno precedente. Al tempo stesso però, complice soprattutto l’arrivo del divorzio breve, sono impennati i divorzi: più 57% rispetto al 2014. Più lieve, ma pur sempre in crescita, l’impennata delle separazioni, più 2,7% (dati Istat). Ma perché ci si dice sempre più spesso addio?

Le cause dell’addio. Rispondere alla domanda in maniera univoca è tutt’altro che semplice e, d’altra parte, trovare la ricetta perfetta per un’unione di lungo corso è impossibile. Da tempo ci lavorano anche gli scienziati mettendo insieme ricerche (spesso curiose quanto improbabili), nel tentativo di circoscrivere le ragioni che permettono a un matrimonio di durare a lungo. Tirando fuori spesso indizi insospettabili di buono o cattivo auspicio: uno studio di alcuni economisti della Melbourne University, per esempio, mostra che sposarsi in date per così dire speciali potrebbe non rivelarsi affatto una buona idea. Per intendersi: ricorrenze come 9/9/99 o 01/02/03, o ancora le giornate di San Valentino – date in qualche modo memorabili – sono associate a una più alta probabilità di divorzio rispetto a chi decide di convolare a nozze in un giorno qualsiasi. Dal 18 al 36% in più. Un dato forse di mera associazione ma che molto direbbe secondo i ricercatori su indole e attese dei promessi sposi: “Le coppie che si sposano in date ordinarie potrebbero essere più fortemente influenzate dalle caratteristiche della loro relazione e dalla loro compatibilità rispetto a coppie che si sposano in date speciali”, ha commentato David Ribar, tra i ricercatori che hanno partecipato allo studio.

Problemi, prima e dopo. Quella delle date, più o meno uniche, difficilmente è il tipo di motivazione che i diretti interessati darebbero per spiegare perché un matrimonio non ha funzionato. I problemi economici, le diverse vedute sull’educazione dei figli, i tradimenti, la mancanza di interessi in comune, la magia e l’amore che svaniscono finiscono spesso tra le motivazioni di chi decide di dire basta. Ma ancor prima di andare all’altare – in realtà, sempre più, almeno in Italia, ci si sposa con rito civile: più 8% nel 2015 rispetto all’anno precedente – ci si crea delle aspettative, si fanno dei progetti, delle scelte che poi magari son le stesse cui si dà la colpa per la fine del rapporto, una volta in tribunale. Ma quali sono queste aspettative, questi progetti che, al di là dei migliori auspici, finiscono poi per essere annoverati proprio tra gli sbagli che si fanno nella scelta di un partner per la vita?

Sposarsi per amore, solo per amore. Qualche risposta prova a darla anche Reddit, in un post che sulla piattaforma di discussione on line ha raccolto oltre mille commenti, proprio sul tema. In cima alla lista del perché a un certo punto anche le storie che sembravano procedere a vele spiegate finiscono è riassunto nella massima “ci si sposa per amore e poi si ama e basta“. La sintesi, estrema, di un concetto ben più grande, ed abbastanza diffuso nella casistica dei matrimoni falliti: “Il problema molto spesso è proprio cosa si intenda per amore”, spiega Grazia Attili, professore ordinario di psicologia sociale alla Sapienza – Università di Roma e autrice del libro Attaccamento e amore (Il Mulino edizioni). “Quando ci si innamora il rapporto va avanti da sé, senza che si compiano degli sforzi, senza particolare impegno da parte dei partner. Ma l’innamoramento è solo la fase iniziale di un rapporto e prima o poi, fisiologicamente, finisce”.

L’entusiasmo. Spesso, continua la ricercatrice, ci si sposa sull’onda dell’entusiasmo dell’innamoramento, a volte anche inseguendo la scia dell’attrazione sessuale, convinti (e nella speranza) che questa condizione duri per sempre. “Ma perché un rapporto abbia le chance di funzionare sul lungo corso deve esserci un passaggio, c’è bisogno di capire se noi e l’altra persona siamo disponibili a impegnarci, se c’è l’intimità necessaria a superare la mera attrazione sessuale, che è una spinta automatica. L’amore passa anche attraverso il raziocinio”. Quando la fase astratta dell’innamoramento finisce e ci si pone necessariamente davanti a un cambiamento, in molti, spiega la ricercatrice, non lo accettano e dichiarano finito il rapporto, che sia un fidanzamento come un matrimonio. “Amore è conoscenza progressiva dell’altro, è piacere di stare insieme e perseguire un progetto comune, avere interessi comuni, accettare il cambiamento come stimolo alla costruzione di qualcosa insieme”. E questo è la base di partenza perché un matrimonio funzioni, perché si riesca ad andare oltre le difficoltà quotidiane del lavoro, dei problemi economici o ancora con i figli, continua: “amarsi e basta come nella fase dell’innamoramento non è sufficiente a far fronte a tutto questo”.

Quando il raziocinio è troppo. All’estremo opposto si trova chi invece progetta con fin troppo raziocino il matrimonio. Chi sceglie il partner sulla base delle caratteristiche che ha sempre sognato: il più bello, il più intelligente, il più disponibile (e le rispettive declinazioni femminili). Ma se da una parte l’attrazione risponde sì a dei criteri di scelta, che secondo le aspettative dovrebbero far aumentare la probabilità di innamorarsi, dall’altra, scegliersi per la vita implica una sorta di verifica: “Le ipotesi e le aspettative che abbiamo sul partner vanno testate, dobbiamo capire quanto la persona che abbiamo davanti è disposta a confortarci, starci vicino, e viceversa quanto lo siamo noi”, aggiunge Attili, “Scegliersi è impegnarsi a un caregiver reciproco”. Per molti però l’errore di scelta a volte è esattamente il contrario: scegliere qualcuno perché è completamente diverso da noi, rispondendo alla romantica idea che gli opposti di attraggono. In realtà, continua la ricercatrice, i rapporti che funzionano sul lungo corso sono proprio quelli di persone che condividono interessi, cultura, quelli che in sostanza si somigliano: “Scegliere l’altro con l’idea che ci completi perché è il nostro opposto è ingannevole: se per esempio vogliamo accanto qualcuno che ci calmi perché crediamo di averne bisogno, cosa accadrà quando sarà l’altro ad averne bisogno?”.

Da soli mai, semmai posso sempre cambiare l’altro. Gli utenti di Reddit scommettono che un altro dei grandi problemi tipici dei matrimoni falliti sia da imputare a chi sceglie un altro qualsiasi. Chi si sposa per non rimanere solo. “Accettare una relazione con chiunque, con chiunque intendendo anche chi non si conosce a fondo, è rischioso, perché ci si ritrova prima o poi a dover affrontare la dimensione della conoscenza che dovrebbe venire prima del matrimonio. Scegliere qualcuno sull’onda del bisogno e non del desiderio non è la premessa ideale per avere un rapporto duraturo”, spiega la psicologa. Né d’altra parte è realistica (e giusta) l’idea di poter cambiare qualcuno perché si adatti ai nostri desideri: “Spesso è un desiderio molto femminile questo, al contrario degli uomini che sperano invece che il partner non cambi mai – conclude Attili -, ma le persone in realtà non cambiano. Essere flessibili, disposti ad affrontare il cambiamento per far funzionare un rapporto è un’altra cosa”

Anna Lisa Bonfranceschi La Repubblica 07 gennaio 2017

www.repubblica.it/salute/2017/01/07/news/matrimonio_divorzio_psicologia_societa_coppia-154096943/?ref=HRER2-1

Matrimonio non consumato: divorzio immediato

Le coppie che non hanno mai fatto sesso non hanno bisogno della separazione prima del divorzio. Ma come provare che non ci sono stati dei rapporti?

Il mal di testa non può durare in eterno. Ci sta la notte di nozze, complici la tensione e la confusione della giornata del matrimonio. Mettici pure la seconda. Ma dalla terza in poi, quando un coniuge dice all’altro che di avere un rapporto sessuale non se ne parla per colpa dell’emicrania, la cosa già diventa sospetta. Se poi c’è anche la quarta, la quinta e così via, dal sospetto si passa alla certezza: questo matrimonio non s’ha da consumare.

In un rapporto di coppia si tollerano molte cose. Ma la mancanza di un rapporto sessuale è dura da mandare giù. E’ più facile che il coniuge respinto finisca per perdere la pazienza e optare tra una delle due possibilità che gli restano: farsi un’amante (e non sempre è un affare) o decidere per il divorzio. Un divorzio immediato, perché il matrimonio non consumato prevede questa ipotesi. L’assenza di rapporti sessuali, insieme al cambio di sesso di uno dei coniugi, è uno dei rari casi in cui è possibile divorziare senza prima separarsi. Si può dire, insomma, che, come l’amore, anche il divorzio scatta a prima vista. Come si può avere un divorzio immediato per un matrimonio non consumato?

Ciascuno dei coniugi può rivolgersi al giudice per chiedere il divorzio quando il matrimonio non è stato consumato. Magari uno può denunciare il fatto che, appunto, non c’è mai stato un rapporto sessuale. E l’altro può allegare che non può o non desidera averli e che, quindi, tanto vale dirsi addio. Attenzione a questo passaggio: “Non può o non li desidera”. Un matrimonio non consumato, infatti, non equivale soltanto al rifiuto di uno dei coniugi (o di tutti e due) di avere dei rapporti sessuali ma anche all’impossibilità di fare sesso per un problema fisico (una malattia o una disfunzione come l’impotenza) o per un problema emotivo (una questione psicologica che impedisce a uno dei due di completare un rapporto intimo) [Trib. S.M. Capua Vetere, sent. del 15.04.1999 – Trib. Napoli, sent. del 28.04.1998 e del 16.05.1984].

Il giudice, con una sentenza, scioglie in modo definitivo, e in un unico atto, gli “effetti civili del matrimonio”. Ma solo da un punto di vista civile. Che cosa vuol dire? Significa che se il matrimonio è stato celebrato davanti ad un sacerdote, per la Chiesa cattolica l’unione è ancora valida. Ma la stessa Chiesa, in caso di matrimonio non consumato, può provvedere ad annullarlo tramite il tribunale ecclesiastico o la Sacra Rota. Il rifiuto di uno solo dei coniugi ad avere dei figli, infatti, è motivo più che sufficiente, secondo i princìpi della Chiesa, per dichiarare nullo un matrimonio.

Quanto è immediato il divorzio per un matrimonio non consumato? Lo dice la parola stessa: immediato. I coniugi, cioè, possono chiederlo senza limiti di tempo, vale a dire senza aspettare che decorra alcun termine [Trib. Napoli, sent. del 28.04.1998].

Si può provare che il matrimonio non è stato consumato? Provare che il matrimonio non è stato consumato per ottenere il divorzio immediato può essere estremamente semplice o assai difficile. Certo, il modo migliore è quello di provare la verginità della moglie tramite una visita ginecologica che verifichi la mancanza totale di rapporti sessuali. Metodo al quale si poteva pensare qualche decennio fa: oggi immaginare che una donna arrivi vergine al matrimonio (o che non abbia avuto dei rapporti con qualche fidanzato precedente) è piuttosto arduo.

Altro modo per provare che il matrimonio non può essere stato consumato è quello di dimostrare l’impossibilità del marito ad avere un rapporto sessuale completo, cioè che lui è impotente alla penetrazione. Da non confondere con l’impotenza a generare dei figli: quest’ultima non esclude il rapporto sessuale e, di conseguenza, non dimostra che il matrimonio non sia stato consumato.

Ci possono essere altri metodi di prova, più che altro indiziari. Quello che, sicuramente, il giudice non otterrà mai (anche se il mondo è bello perché e vario, quindi di gente strana in giro se ne trova) è una testimonianza diretta del fatto che il matrimonio non è stato consumato. In assenza di testimoni oculari (trovarne uno sarebbe il colmo), è possibile ascoltare un altro tipo di testimonianza, quella cosiddetta indiretta o de relato, basata sui racconti dei coniugi ad una persona fidata. La prova ha il peso che ha, perché deve essere, comunque, avvalorata da altri elementi. Ad esempio che chi ha raccolto la confidenza di uno dei coniugi confermi che la coppia ha vissuto separata sin dall’inizio [Trib. Palermo, sent. del 08.05. 1996 – Trib. Modena, sent. del 05.04.1973].

In tal senso si è pronunciata la Cassazione nel valutare il caso di una coppia già in crisi il giorno stesso delle nozze [Cass. sent. n. 2815 del 08.02.2006]. La moglie aveva respinto il marito a letto quella notte e le altre successive. Lui si era confidato con un paio di persone amiche. Provare l’illibatezza della donna era assai improbabile, visto che era già stata sposata altre due volte. Ecco perché il giudice decise di sentire i confidenti del marito, i quali testimoniarono quanto l’uomo aveva detto a loro. Nel dubbio, fu chiamato in Tribunale il precedente marito della donna. E’ curioso: anche lui dichiarò di essere stato respinto da lei sin dal primo giorno. E ottenne il divorzio.

Che la donna avesse preso questo vizio per puntare all’assegno di mantenimento, sapendo che il matrimonio non consumato comporta il divorzio immediato? Se così è stato, forse ha fatto bene i conti. Perché la mancata consumazione del matrimonio non comporta l’invalidità dello stesso, ma solo il suo scioglimento. Nel primo caso non è possibile richiede un assegno di mantenimento, mentre nel caso di divorzio per mancata consumazione, qualora uno dei due coniugi guadagni molto meno rispetto all’altro e, quindi, si ponga in una condizione di maggiore debolezza economica, il giudice può attribuire un assegno periodico di mantenimento [Cass. sent. n. 2721/2009 e n. 9442/19985].

Matrimonio non consumato: è possibile chiedere i danni? In qualche caso, il marito o la moglie che si vede sistematicamente rifiutare dal coniuge quando vuole avere un rapporto sessuale può chiedere il risarcimento dei danni. Così si è pronunciata la Cassazione con una sentenza [Cass. sent. n. 6276 del 23 marzo 2005] con la quale ha condannato un uomo per essersi opposto ad avere dei rapporti con la moglie per ben sette anni. Lui di tenacia ne ha avuta. A lei, però, la pazienza non è mancata. Così facendo, secondo la Suprema Corte, il marito ha gravemente offeso la dignità e l’onore della moglie, violando i doveri morali e materiali sancito dal codice civile [L’art. 143 comma 2 c.c dispone: “Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione”].

Diverso il caso della donna che, dopo cinque anni di convivenza, si era rivolta al Tribunale di Roma per lo stesso motivo (matrimonio non consumato) chiedendo un risarcimento di 500.000 euro. Il marito si era difeso sostenendo che entrambi avevano avuto dei rapporti sessuali prima del matrimonio, ma che poi lei l’aveva sistematicamente respinto per un motivo ben preciso: secondo l’uomo, la moglie aveva un amante. Lui voleva il divorzio immediato, lei mezzo milione di euro. Il Tribunale rigettò entrambe le richieste [Trib. Roma, sent. n. 6829/2015] perché “non possono avere valore probatorio le dichiarazioni, pur concordi, dei coniugi in quanto, trattandosi si diritti e di obblighi sottratti dalla disponibilità delle parti, la circostanza del matrimonio non consumato non può costituire oggetto di confessione né di giuramento”. Inoltre, conclude la sentenza, dopo cinque anni la causa dell’inesistenza dei rapporti sessuali, al di là delle reciproche accuse, non poteva essere individuata neanche dai coniugi stessi.

Carlos Arija Garcia LPT 8 gennaio 2017

www.laleggepertutti.it/144138_matrimonio-non-consumato-divorzio-immediato

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MINORI

Minori stranieri: i dati del Rapporto sulle migrazioni 2016 della Fondazione Ismu

Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza. Aumentano i minori stranieri non accompagnati giunti via mare: al 31 ottobre 2016 se ne contano 23mila contro i 12.360 dell’intero anno 2015. Negli ultimi anni la natalità degli stranieri è scesa gradualmente: dagli 80mila nati del 2012 (massimo raggiunto) si è passati infatti a 78mila nati del 2013, ai 75mila del 2014 fino ai 72mila del 2015. I dati, tratti dal Ventiduesimo Rapporto sulle migrazioni 2016 della Fondazione Ismu (Iniziative e Studi sulla Multietnicità), fanno riflettere su un fenomeno in continua crescita, che pone l’Italia e gli altri Paesi dell’Unione europea di fronte a sfide molto complesse. www.ismu.org/2016/11/xxii-rapporto-sulle-migrazioni

La pubblicazione è stata presentata il primo dicembre scorso, a Milano, in un convegno a cui sono intervenuti, fra gli altri, Vincenzo Cesareo e Gian Carlo Blangiardo, rispettivamente segretario generale e responsabile del Settore monitoraggio dell’Ismu, e Mario Morcone, capo Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno.

«Nonostante l’abbassamento della natalità», si spiega nel comunicato stampa diffuso dalla fondazione in occasione del lancio del rapporto, «il contributo della popolazione straniera allo svecchiamento della popolazione rimane comunque importante, quand’anche non risolutivo. D’altra parte gli immigrati infatti si stanno sempre più adattando al modello riproduttivo della società italiana. Basti ricordare che mentre nel 2008 il valore medio della fecondità tra le donne straniere era stimato in 2,65 figli per donna, nel 2012 si era ridotto a 2,37 ed è scivolato nel 2014 sotto la soglia dei due figli (1,97), scendendo poi a 1,93 nel 2015. I dati quindi dimostrano che la prevista rivoluzione delle culle, che qualcuno teorizzava, si è rivelata una falsa aspettativa».

Altri dati evidenziano che i minori stranieri non accompagnati rappresentano circa il 14% di tutti gli arrivi via mare, mentre costituivano l’8% nel 2015 e il 7,7% nel 2014.

Nel volume si parla anche di studenti stranieri (elaborazioni sugli ultimi dati Oecd ed Eurostat). Il rapporto considera vari aspetti, fra i quali la dispersione scolastica e il fenomeno dei cosiddetti Neet (giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano né frequentano percorsi di istruzione e formazione).

L’abbandono dei percorsi scolastico-formativi, un problema particolarmente grave nell’Ue28, è molto diffuso fra i ragazzi di origine immigrata. Si registra un trend di riduzione dei giovani Esl (Early school leavers), ovvero di coloro in età tra i 18 e i 24 anni che non sono in possesso di un titolo di istruzione secondaria superiore o di una qualifica professionale e non sono inseriti in percorsi scolastico-formativi. Nonostante il miglioramento progressivo, la percentuale di Esl fra gli stranieri è ancora doppia rispetto ai nativi: nel 2014 nei Paesi dell’Ue28 tra gli autoctoni si riscontra l’11,2% di Esl, dato che sale al 23,4% fra gli stranieri. Fra i Paesi considerati, la situazione più grave è quella spagnola con oltre il 40% di Esl fra i giovani immigrati di 18-24 anni, seguita dall’Italia (35% circa, contro il 15% degli autoctoni), e su livelli simili (intorno al 26%) da Grecia e Portogallo. «Più che dalle condizioni del mercato del lavoro, dagli alti livelli di disoccupazione giovanile e dagli effetti drammatici della crisi, l’abbandono scolastico in Italia è spiegato da fragilità interne del sistema scolastico-formativo, legate all’alta selettività delle scuole secondarie di secondo grado, alla significativa differenziazione degli indirizzi e alla mancanza di adeguati strumenti di orientamento scolastico».

Dal 2010 al 2014 il fenomeno dei Neet è rimasto piuttosto stabile per quanto riguarda il valore medio Ue, sia per gli autoctoni (attorno al 14%), sia per gli stranieri (23%). Nel 2014 ad avere il tasso più elevato di Neet migranti tra i Paesi del Sud è la Grecia (36%), seguita dall’Italia (34,7%) e dalla Spagna (33,2%), con valori molto più alti della media Ue (23%). «Il dato rilevante non riguarda però tanto l’andamento nel tempo, quanto la forte consistenza dei giovani stranieri in questa categoria a rischio, a fronte di una percentuale più contenuta fra gli autoctoni».

(bg) Newsletter Minori – Numero 12 – Dicembre 2016 04 gennaio 2017

www.minori.it/it/news/minori-stranieri-i-dati-del-rapporto-sulle-migrazioni-della-fondazione-ismu

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POLITICHE FAMILIARI

Famiglia: ecco le misure in vigore dal 1° gennaio 2017.

Dal premio “Mamma Domani” al Buono Nido alla riconferma delle misure dello scorso anno, gli interventi illustrati dal ministro Costa. A partire dal primo gennaio 2017, prendono il via tutte le misure del “pacchetto famiglia” stanziato con l’ultima legge di bilancio. Ad annunciarlo in una nota è il ministro Enrico Costa, che ricorda la “sezione specifica destinata alla famiglia con uno stanziamento di 600 milioni di euro per il 2017 e di 700 milioni a partire dal 2018” introdotto con la manovra.

  • Premio Mamma Domani. Così, tra due giorni entrerà in vigore il premio alla nascita “Mamma Domani”, ossia l’assegno di 800 euro destinato soprattutto “alle prime spese che, perciò, potrà essere richiesto già a partire dal settimo mese di gravidanza”. Sarà l’Inps ad occuparsi di comunicare le modalità operativa e di erogare la prestazione.

  • Buono Nido. Sempre dal 1° gennaio, scatterà il “Buono Nido, un contributo per il pagamento delle rette dei nidi pubblici e privati fino a un massimo di 1.000 euro annui che, anche in questo caso, sarà versato dall’Inps”. In merito, conferma, “entro poche settimane verrà emanato il provvedimento attuativo”. Anche tale misura, riguarderà tutte le famiglie senza limiti di reddito ed è riferita “all’intera durata massima di tre anni di frequenza del nido”. Potranno beneficiarne i nati dal primo gennaio 2016 e l’aiuto sarà destinato “anche alle famiglie con bambini di meno di tre anni che, a causa di gravi patologie croniche, sono impossibilitati a frequentare un nido”.

  • Bonus Bebè. Le nuove misure si affiancheranno al Bonus Bebè già esistente, ossia l’assegno mensile di 80 euro versato per un triennio alle famiglie aventi Isee inferiore ai 25mila euro (raddoppiato, se l’Isee è al di sotto della soglia di 7mila), ma a differenza di tale bonus, gli interventi che prenderanno il via dal 1° gennaio “non prevedono limitazioni di reddito e sono state introdotte in maniera strutturale e definitiva: il welfare italiano guadagna così due nuove prestazioni che esisteranno, da quest’anno in poi, per tutti”.

  • Voucher Babysitter. Con la manovra, inoltre, sono state aumentate le risorse per il Voucher Babysitter, alternativo al congedo parentale. Nello specifico, raddoppiate quelle per le lavoratrici dipendenti (da 20 a 40 milioni di euro) e portate da 2 a 10 milioni quelle per le lavoratrici autonome. Inoltre, rispetto agli anni precedenti “il rinnovo e l’aumento delle risorse è stato stabilito per un biennio, anziché per un solo anno”.

  • Fondo Credito Nuovi Nati. Un’ultima misura che diventerà operativa però entro la fine di marzo è infine il “Fondo Credito Nuovi Nati”. Si tratta di uno strumento, spiega il ministro “destinato a fornire garanzie sui piccoli prestiti alle famiglie che avranno o adotteranno un figlio a partire dal 2017”. Un primo passo “importante e molto consistente anche dal punto di vista finanziario in un percorso pluriennale di sostegno alle famiglie – perché conclude – la necessità di sostenere i genitori non si esaurisce nei primi anni di vita dei figli, pur molto gravosi dal punto di vista economico e sul piano della conciliazione con il lavoro, ma riguarda tutto il percorso di crescita dei ragazzi”.

Per approfondimenti, leggi la guida “Bonus Famiglia 2017: tra conferme e novità”

www.studiocataldi.it/articoli/24546-bonus-famiglia-2017-tra-conferme-e-novita.asp

Newsletter Giuridica Studio Cataldi 02 gennaio 2017

www.studiocataldi.it/articoli/24568-famiglia-ecco-le-misure-in-vigore-dal-1176-gennaio.asp

Famiglia. Tutti gli aiuti in sostegno della natalità: unica assente l’adozione internazionale

Con il 2017 entrano in vigore i nuovi assegni in sostegno della natalità previste dalla legge di Bilancio: da “mamma domani” al buono per l’asilo nido alla conferma del bonus bebè. Il nuovo anno porta, insomma, buone notizie per le famiglie: entrano in vigore una serie di misure in sostegno della natalità previste dalla legge di Bilancio approvato a inizio dicembre.

Provvedimenti, spiega il ministro con la delega alla Famiglia Enrico Costa, “strutturali, stabili, molto ben riconoscibili e per tutti, senza andare a fare classificazioni“.

Il bonus ‘mamma domani’ è un assegno di 800 euro pensato per affrontare le prime spese della maternità. Potrà essere richiesto già a partire dal settimo mese di gravidanza e l’Inps si occuperà di erogare la prestazione e di comunicare le modalità operative. In più viene confermato il ‘Bonus Bebè’ già esistente, l’assegno mensile di 80 euro versato per un triennio alle famiglie con un Isee inferiore ai 25.000 euro, raddoppiato al di sotto della soglia di 7.000 euro. Il bonus è a favore di tutte le famiglie che hanno messo al mondo o adottato un bambino.

L’erogazione del bonus però non è automatica. Per ottenerlo è necessario presentare un’apposita domanda all’Inps, dopo aver ottenuto la Dsu, ovvero la Dichiarazione sostitutiva unica dalla quale si ricava l’Isee. Due le modalità per richiedere l’assegno mensile. La prima, per chi è in possesso di Pin dispositivo o identità digitale unica Spid: collegandosi al sito www.inps.it e accedendo alla sezione “servizi per il cittadino”. La seconda: contattando il contact center integrato Inps ai numeri 803.164 da rete fissa o 06.164164 da rete mobile.

Quando presentare domanda? Entro 90 giorni dalla nascita o dall’ingresso in famiglia del bambino, ricordandosi di allegare l’autocertificazione dei requisiti che danno diritto al bonus. Ma niente paura per i ritardatari. Sarà possibile presentare la domanda anche dopo il termine di 90 giorni: si potrà sempre percepire l’assegno, ma non si avrà diritto agli arretrati.

Sempre nel 2017 scatta anche il ‘buono nido’ un contributo per il pagamento delle rette dei nidi pubblici e privati fino a un massimo di 1.000 euro annui che, anche in questo caso, sarà versato dall’Inps. Anche questa misura riguarda tutte le famiglie senza alcuna limitazione di reddito e si riferisce all’intera durata massima di tre anni di frequenza del nido.

Infine, con la recente manovra sono state anche aumentate le risorse destinate al ‘voucher babysitter’ alternativo al congedo parentale: da 20 a 40 milioni di euro l’anno per le lavoratrici dipendenti e da 2 a 10 milioni per le lavoratrici autonome.

Tutte misure necessarie e che si attendevano con ansia: peccato che per quello che sembra finora, non siano estendibili anche ai bambini adottati. Se così fosse, ancora una volta, l’adozione internazionale sarebbe l’unica assente.

Fonte: il mattino.it, quotidiano.net www.quotidiano.net/economia/bonus-bebe-2017-1.2788922

www.nostrofiglio.it/bonus-bebe/bonus-bebe-e-aiuti-alla-famiglia-per-il-2017

News Ai. Bi. 4 gennaio 2017

www.aibi.it/ita/famiglia-tutti-gli-aiuti-in-sostegno-della-natalita-bonus-bebe-mamma-domani-voucher-per-gli-asili-nido-unica-assente-l-adozione-internazionale

Bonus e famiglie, il ministro rilancia

‘Mamma domani’ per affrontare le prime spese della maternità (800 euro), quello per l’asilo nido (1.000 euro all’anno a prescindere dal reddito) e la conferma del bonus bebè (80 euro mensili per le famiglie con Isee inferiore a 25mila euro). Sono queste le tre principali voci del pacchetto famiglia diventato operativo da ieri. «Non più misure una tantum, ma interventi strutturali e duraturi, con una dote di 600 milioni per il 2017 e di 700 per il 2018», avverte subito Enrico Costa, ministro per gli Affari regionali con la delega proprio alla famiglia. Un menù di «aiuti» con l’obiettivo di contrastare il male italiano delle culle vuote, colmando il divario tra quei due figli a testa desiderati, in media, dalle donne italiane e 1’1,3 della loro realtà. Con la prospettiva di arrivare a costruire un Sistema nazionale di sostegno, anche attraverso la definizione di un Testo unico ad hoc, e a creare una rete di Sportelli unici per la famiglia nei Comuni.

Partiamo dal «Bonus bebè» e da «Mamma domani». Come funzionano e chi ne ha diritto? «Sono entrambi interventi che servono per supportare le prime spese e sono complementari tra di loro. Mamma domani’ è un premio di 800 euro alla nascita che si può richiedere già durante la gravidanza, senza limite di reddito. Il bonus bebè, di 960 euro, è legato all’Isee, che deve essere al di sotto di 25.000 euro. Se l’Isee è inferiore a 7mila euro l’importo è raddoppiato. C’è poi il Fondo di credito per i nuovi nati, per supporta-re, attraverso una garanzia, le richieste di accesso al credito».

Arriviamo al «buono nido» e al voucher babysitter. «Il buono-nido arriva a mille euro l’anno ed è una misura anch’essa per tutti, per la frequenza di nidi pubblici o privati. E poi previsto il cosiddetto voucher babysitter di 600 euro al mese per sei mesi per chi non si avvale del congedo parentale. È una misura già esistente a livello sperimentale che ha riscosso grande adesione. Noi l’abbiamo riproposta per quest’anno e il prossimo raddoppiando lo stanziamento (da 20 a 40 milioni di euro) per le lavoratrici dipendenti, mentre abbiamo quintuplicato i fondi per le autonome, da due a dieci milioni».

Rimane bloccato, però, il capitolo dell’introduzione del cosiddetto fattore-famiglia nel calcolo dell’Irpef [promosso da tempo dal Forum Associazioni Familiari].

«Col governo Renzi c’era una grande apertura su questo tema, nell’ambito di una riforma organica dell’Irpef. È un aspetto di importante equità, non una concessione né un privilegio, ma il riconoscimento dei sacrifici che le famiglie fanno in relazione al numero dei figli. Si tratta di riconoscere un trattamento fiscale progressivamente di favore. La famiglia deve essere un soggetto non neutro di fronte al fisco». È un po’ la madre di tutte le riforme pro-famiglia, ma possiamo ancora sperare che il dossier venga ripreso anche con questo governo? «Una decisione di questo genere non può essere improvvisata e costruita nell’imminenza della legge di Bilancio. Va fatto prima un lavoro di preparazione, di confronto, di comparazione e di consultazione. Ma per quel che mi riguarda, se avrò la responsabilità di affrontare il tema nell’ambito della prossima legge di Bilancio, e per quel che riguarda il mio partito, questo è un tema prioritario».

Tra le novità in cantiere, è stata ipotizzata anche l’importazione da noi dell’«assistente materna» francese. Che cosa dobbiamo imparare dall’estero in tema di welfare familiare? «Da un dialogo con la mia omologa francese ricordo un aspetto. Mi disse che è la stabilità il fattore che garantisce l’efficacia delle misure. Non è possibile fare una misura e l’anno dopo farne un’altra sganciata e non in un disegno complessivo. Quanto ai modelli virtuosi, abbiamo una grande scuola anche nel nostro Paese. Guardiamo alla provincia di Trento che ha avviato politiche familiari importanti da cui prendere utili spunti. Ad esempio l’esperienza delle tagesmutter (le educatrici di condominio, ndr) che in quella zona è ben organizzata e disciplinata».

Claudia Marin – QN www.miowelfare.it/news/bonus-e-famiglie-il-ministro-rilancia

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PSICOPEDAGOGIA

La resilienza, dalla psicologia al diritto.

L’educazione dei figli alla resilienza come dovere giuridico educativo dei coniugi. L’Autrice indica come “dovere giuridico educativo” l’aiuto ai bambini a diventare adulti nella consapevolezza di quanto è dura ma ricca di possibilità, un’esistenza vissuta con la capacità di rialzarsi.

Lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro spiega: “La parola «resilienza» fa parte di quel gruppo di termini che indicano da secoli, talvolta da millenni, fenomeni ben noti sotto altro nome o in contesti diversi da quelli delle scienze umane, ma che, per essere relativamente nuovi, finiscono col richiamare l’attenzione perfino dell’opinione pubblica, arrivando a diffondere la convinzione che una parola «nuova» indichi un fenomeno nuovo. In realtà, non si tratta di una novità, ma di una qualità umana alla quale si faceva riferimento, tra gli altri sinonimi, con l’espressione «forza d’animo». Se volete mostrarvi al passo con i tempi, usate pure «resilienza», l’importante è sapere di cosa stiamo parlando. Il termine «resilienza» è ben noto in campo metallurgico per indicare la capacità di resistenza di un metallo alle forze che a esso vengono applicate. Se la resilienza manca o è scarsa, il metallo è fragile. Si capisce così la fortuna di questa parola, se è applicata agli esseri umani. Pietro Trabucchi ne dà questa definizione: «La resilienza psicologica è la capacità di persistere nel perseguire obiettivi sfidanti, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà e gli altri eventi negativi che si incontreranno sul cammino. Il verbo “persistere” indica l’idea di una motivazione che rimane salda». Abbiamo trovato un altro sinonimo: «persistenza».

In questo rapporto mutualistico tra linguistica, metallurgia e psicologia è interessante passare anche dalla psicologia al diritto per vedere quali siano i possibili riferimenti giuridici per la tanto richiamata resilienza.

Quello che scrive il geografo Franco Michieli, riferendosi all’esplorazione o alle scalate di montagne, si addice anche all’esplorazione e alla scalata della vita: “Vivere ore, ma anche minuti di dubbi, eppure andare avanti, è un’esperienza ponte che ci mette nei panni degli esseri viventi di ogni tempo e luogo. Se la leggiamo in positivo, aiuta a sentirci più vicini all’infinità di vite che per i più svariati motivi si trovano disperse. La bellezza di un luogo sta nell’infinità di storie che, là dentro, potrebbero avvenire e coinvolgerci. In fondo, l’evoluzione della vita si fonda sulle deviazioni: la natura stessa usa l’errore per generare la meravigliosa varietà dei viventi e la biodiversità. Oggi la vocazione di perdersi invita a superare quel tenersi ai margini per sentirsi al sicuro. Le scoperte a cui ci portano l’esperienza, la fatica fisica, il contatto con i piccoli fatti della vita, l’incertezza su dove porti un sentiero, sono forse più preziose del sentimento sublime elaborato al chiuso del pensiero. L’immersione nel corso della vita ci porta a sentirci più piccoli, anche nell’animo, e non più grandi. E forse questa forma di umiltà a cui conducono i cammini non pianificati, in cui avvengono tante cose che non dipendono dall’uomo, rivela qualcosa di più autentico sul sacro”. Per affrontare la varietà e le difficoltà della vita (che ne fanno la bellezza) è sempre più necessario educarsi e educare alla resilienza.

Educare figli e bambini alla resilienza nella quotidianità: facendo toccare tutte le superfici, facendoli uscire anche quando fa freddo o piove. Tutto serve, tutto si conserva e torna quando necessario. Come si ricava dalle parole dello scrittore Aldo Nove: “La vita dura poco. È dura, estremamente dura, sempre. Lo impari da subito, quando le tue mani insicure toccano il legno per la prima volta e sentono che non è accogliente come il corpo di tua madre, ma è duro, e lo senti quando il freddo riempie le case”. E anche dalle parole dello psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro: “Fallimenti, sofferenze, insuccessi. La vita è una sfida continua e dobbiamo allenarci, fin dall’infanzia, ad affrontare le difficoltà il nostro effettivo potenziale”. Una potenzialità da educare e cui educare sin dalla nascita è la resilienza, la capacità di alzarsi dopo le cadute, di risalire dal fondo, di superare gli ostacoli (e non di aggirarli). Educare è far sì che le potenzialità diventino capacità o, meglio, competenze (e di certo la resilienza rientra tra le otto competenze chiave per l’apprendimento permanente richieste a livello europeo dal 2006), come previsto nell’art. 29, par. 1, lettera a Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia: “[…] promuovere lo sviluppo della personalità del fanciullo, dei suoi talenti, delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutto l’arco delle potenzialità”.

Già nel Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si legge che: “[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società, ed allevarlo nello spirito degli ideali”. Come spiega Fulvio Scaparro: “Occorre che chi ci accoglie in questo mondo ci insegni – meglio se lo fa con l’esempio – che il coraggioso ha paura come il vile. La differenza sta nel fatto che il coraggioso tenta di dominare la propria paura, e il vile ne è dominato. Di fronte alle difficoltà non dobbiamo dimenticare i nostri limiti. Dobbiamo essere abbastanza umili da non esporci a situazioni che non possono essere affrontate con i nostri mezzi limitati, confondendo il coraggio con la temerarietà. Il resiliente non è incosciente, ma scava dentro se stesso per trovare un modo realistico di superare gli ostacoli. Resilienza è sia fare i conti con la propria impotenza sia vincere la paura del domani”.

La resilienza viene insegnata dalla vita stessa sin dalla nascita e dal modo di nascere, infatti il primo vagito, il primo impatto con l’aria, simboleggia la prima fatica e la prima frustrazione da sostenere. “Il mondo alla rovescia è quello che ci siamo trovati davanti alla nascita, e il nostro sforzo dovrebbe essere quello non di ri-rovesciarlo, ma di rimetterlo in paro” (il saggista Goffredo Fofi). Quando si cade si va a testa in giù e si vede il mondo in modo diverso: essere resilienti è rinascere dopo una caduta dandosi una spinta per riuscirci. E questo deve essere compreso dai genitori che devono educare alla resilienza per il bene dei figli e di tutti. L’accettazione sana del limite che inerisce alla vita umana consente di riconoscere che c’è altro da sé e, quindi, di ricomprendere l’idea della libertà. Il bambino va educato al limite, a riconoscere e accettare i propri limiti: anche questa è educazione alla resilienza. Come nella fiaba di Hansel e Gretel e in tante altre fiabe didascaliche. “La deponenza – precisa il sociologo Mauro Magatti – è il riconoscimento che, oltre la nostra azione, c’è qualcos’altro che non è un limite in senso negativo […], ma un limite sano che ci consente di stare al mondo”.

“Come ci insegna la psicologia dell’età evolutiva, tutto lascia pensare che non siamo nati per soffrire e semplicemente sopravvivere, ma per vivere e sfuggire, per quanto possibile, al dolore. «La vita è l’insieme delle funzioni che resistono alla morte» (Bichat Xavier [fisiologo francese]). Ma il dolore c’è, gli ostacoli, i fallimenti, le frustrazioni ci sono. Non possiamo evitarli. Talvolta sono di tale portata che non possiamo che soccombere senza che qualcuno ci aiuti. È per questo che l’educazione alla resilienza deve iniziare fin dalla più tenera età. L’individuo resiliente non si arrende facilmente anche di fronte alle prove più dure; quello fragile (è il termine opposto a «resiliente») alza subito bandiera bianca” (F. Scaparro). Educare alla resilienza è educare all’autonomia, quell’autonomia di cui si parla espressamente solo nell’art. 23 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia in cui sono disciplinati i diritti dei bambini con disabilità. Questo deve indurre i genitori a riflettere che, se un bambino deve saper affrontare una forma di disabilità, ancor di più deve saper reagire di fronte ad ostacoli, fallimenti o altre esperienze negative.

Fulvio Scaparro aggiunge: “Troppo frequenti sono i casi di fragilità che osserviamo nei ragazzi e nelle ragazze. Di fronte alle inevitabili difficoltà che la vita presenta loro, non è rara la tendenza ad arrendersi, a piangersi addosso o a scaricare sugli altri le responsabilità personali. Chi ha la fortuna di essere stato educato alla resilienza, tende a rialzarsi dopo una caduta, a riprendere il cammino e a non perdere di vista la meta. A me sembra un aspetto di grande importanza nella formazione del carattere, ma ho qualche perplessità su molti esempi di adulti che predicano bene e razzolano male, perché so bene quanto i nostri figli siano sensibili alla coerenza tra il dire e il fare”. “I genitori o le altre persone aventi cura del fanciullo hanno primariamente la responsabilità di assicurare […] le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo” (art. 27 par. 2 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Sviluppo è il contrario di avviluppamento e di questo sono “responsabilissimi” i genitori.

Per lo sviluppo, che sia tale, di un figlio occorre anche il codice paterno perché così lo richiede la vita. Quel codice paterno che è necessario pure per l’educazione alla resilienza, come esplicato dallo psicologo e psicoterapeuta Osvaldo Poli: “La ferita inferta dal padre riguarda esattamente questo: costringe il figlio a smettere di pensare la vita in termini infantili, quasi fosse un paradiso terrestre dove tutto è facile, senza fatica, dove nulla è richiesto per poter vivere e per avere un buon rapporto con gli altri. Anche i figli infatti debbono amare i genitori, accettando le condizioni che rendono possibile un rapporto ispirato a tale sentimento. Il padre chiede al figlio di “sacrificare” il modo infantile di affrontare la vita, rinunciando alle condizioni favorevoli o poco impegnative garantite sin a quel momento dalla famiglia e dalla mamma in particolare. Egli intende dire al figlio: renditi conto che la vita non dà tutto senza chiedere niente, non tutto il mondo “gira intorno a te” al solo scopo di renderti felice, e non puoi pensare che gli aspetti difficili e impegnativi semplicemente “non esistano”, o che qualcun altro si debba sentire incaricato di rimuoverli”.

Mai causare dolore ai bambini, ma abituarli al dolore, educarli al dolore, perché la vita è anche dolore (che, spesso, è l’altra faccia dell’amore): educarli alla resilienza è uno dei doveri educativi, è una delle esigenze della vita. “Chi provoca il pianto dei bambini non sarà perdonato. Ogni bimbo che nasce è una morte nuova sotto il cielo, è una strada possibile che il male può percorrere. […] Ma il pianto di un bambino è un assoluto” (la scrittrice Mariapia Veladiano).

Margherita Marzario News Studio Cataldi.it 05 Gennaio 2017

Testo e citazioni www.studiocataldi.it/articoli/24582-la-resilienza-dalla-metallurgia-al-diritto.asp

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI ONLUS

Notiziario UCIPEM n. 235- novembre 2016

Il Notiziario contiene in 80 pagg. gli Atti del XXIV Congresso nazionale – Oristano 2-4 settembre 2016

La famiglia Crocevia di Relazioni e di Fecondità

  • Presentazione del Congresso

  • Francesco Lanatà. La Famiglia, la disabilità, l’intervento degli operatori: la differenza si può trasformare in risorsa.

  • Giuseppe Anzani. La famiglia che cambia in una società che cambia.

  • Beppe Sivelli. Cercarsi, perdersi, ritrovarsi: il cammino della coppia fra lontananza e vicinanza.

  • Emilio Tribolato. Figli in difficoltà tra legami familiari fragili e pressione sociale e mediatica.

  • Alice Calori. Le nuove famiglie immigrate tra identità e integrazione.

  • Elena Santini. Un gruppo di donne immigrate.

  • Rosalisa Sartorel. Il diritto di famiglia oggi: dalla potestà alla responsabilità genitoriale, dall’affido congiunto nelle separazioni all’accesso all’origine nelle adozioni.

  • Domenico Simeone. Educare alla generatività le coppie e le famiglie.

  • p. Alfredo Feretti OMI. Amoris laetitia: una road map per le relazioni familiari.

Per le richieste inviare a ucipem@istitutolacasa.it

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