NewsUCIPEM n. 630 – 01 gennaio 2017

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AFFIDO CONDIVISO Natale: Gassani, 30mila figli “pendolari” tra i genitori

Il principio della “maternal preference” e il consulente tecnico

AMORIS LÆTITIA I dubbi dei 4 cardinali, come Bacci e Ottaviani nel 1969

L’eventuale correzione fraterna al Papa avviene in camera caritatis

Il papa non risponde ai quattro cardinali.

CHIESA CATTOLICA Se la fantasia della misericordia è «rivoluzione».

Una riforma spirituale.

Festa Santa Famiglia. Belletti: una scommessa che si può vincere!

CONSULTORI FAMILIARI UCIPEMBelluno. Sul suo sito web il codice di Trattamento dei dati personali

Cremona.A Caravaggio corso sull’Amoris Lætitia.

Padova. Il potere della lettura.

Trento. 50 di Consultorio familiare UCIPEM a Trento (1965-2015).

CORTE COSTITUZIONALE I figli avranno il cognome della madre.

DALLA NAVATADivina maternità di Maria, Circoncisione, Santo Nome di Gesù

Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).

DIVORZIO Figlia 12enne va affidata ai Servizi Sociali se contrasti tra i genitori.

FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Accusa: “Lo Stato trova i soldi per le banche, non per le famiglie”

SEPARAZIONE La separazione dei coniugi.

La separazione “di fatto”

UNIONI CIVILI Una guida legale completa sull’istituto delle unioni civili.

Via libera alla reversibilità della pensione.

Unioni civili e matrimonio: differenze e analogie

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AFFIDO CONDIVISO

Natale: Gassani, 30mila figli “pendolari” tra i genitori

La denuncia dei matrimonialisti italiani sulla situazione dei bambini contesi tra i genitori separati o divorziati. Sono circa 30mila i figli che ogni anno durante le feste fanno i “pendolari” tra i genitori che non stanno più insieme, diventando, loro malgrado, “oggetto di ricatto” con un aumento esponenziale (pari al 50%) delle querele e denunce contro il genitore dove il figlio risiede. Lo denuncia il presidente dei matrimonialisti italiani, l’avv. Gian Ettore Gassani che sottolinea “puntuale come a ogni festività, soprattutto quelle del periodo natalizio, torna il fenomeno dei figli con il trolley. In un Paese nel quale le separazioni con figli in affido condiviso sono circa l’89% di tutte le separazioni con affido – in base ai dati Istat relativi al 2015- e solo l’8,9% dei figli è affidato esclusivamente alla madre, il Natale diventa l’evidenziatore di tanti bambini e ragazzi che trascorrono questo periodo con l’uno o con l’altro genitore”.

Le contese tra gli ex partner, inoltre, spiega il presidente dell’Associazione Avvocati Matrimoniali Italiani, “spesso culminano con chiamate alle Forze dell’Ordine perché il genitore ha ostacolato il diritto di visita dell’altro”. E allora via con i vari escamotage, tra i quali il più usato, in quasi il 60% dei casi “resta quello del certificato medico che attesta la malattia del figlio e giustifica la mancata ‘consegna’ di quest’ultimo all’altro genitore”.

Questo slalom degli affetti agghiacciante – prosegue Gassani – “spesso, si trasforma in un incubo per gli stessi figli: genitori collocatari che fuggono con loro per una vacanza imprevista, che non si fanno trovare a casa quando dovrebbero. Ma d’altra parte il Natale, insieme al mese di agosto, è il periodo durante il quale viene presentato il maggior numero di ricorsi per separazioni e divorzi. Il motivo è sempre lo stesso, nelle coppie fragili: più tempo trascorso insieme, maggiori criticità che affiorano e la coppia scoppia”.

Così con l’avvicinarsi delle feste, “per molti figli con la valigia si presenta il dilemma di dover trascorrere un Natale diverso rispetto a quello degli altri loro coetanei”. Negli ultimi 10 anni, conclude il presidente Ami, “oltre 1,5 milioni di figli di separati/divorziati ha subito questa sorte” e il dato non riguarda soltanto i minori. Anche i figli maggiorenni, infatti, “sebbene adulti, vivono l’imbarazzo di dover scegliere con quale dei due genitori trascorrere il Natale”.

Marina Crisafi News Studio Cataldi 27 dicembre 2016

www.studiocataldi.it/articoli/24479-natale-gassani-30mila-figli-quotpendolari-quot-tra-i-genitori.asp

 

Il principio della “maternal preference” in relazione agli accertamenti del consulente tecnico

Corte di Appello di Ancona 27.12.2016

Il Tribunale di Ascoli Piceno, nel procedimento per il collocamento di un minore contesto tra i genitori, aveva decretato, per la madre e per il figlio, l’obbligo di dimorare fino al compimento del sesto anno di età del figlio in San Benedetto del Tronto, luogo di residenza del padre del minore. La madre interponeva reclamo lamentando lesione dei propri diritti costituzionali e la mancata valutazione delle necessità del bambino. Sotto il profilo della tutela dei diritti fondamentali esponeva la opportunità di perseguire il proprio “diritto al lavoro” (Cost. art. 4) adempiere “il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (Cost. art. 4) e per tale via realizzare “il pieno sviluppo della persona” (Cost. art. 3) che costituiva il presupposto affinché potesse svolgere serenamente ed efficacemente, nell’interesse del figlio, il proprio ruolo di madre anche dal punto di vista del reperimento delle risorse finanziarie necessarie al mantenimento proprio e del figlio. La Procura Generale presso la Corte di Appello esprimeva pare favorevole all’accoglimento del ricorso.

La Corte di appello ribadiva i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. ex plurimis Cass. n. 18087/2016) secondo cui stabilimento e trasferimento della propria residenza e sede lavorativa costituiscono oggetto di libera e non conculcabile opzione dell’individuo, espressione di diritti fondamentali, sicché, in casi del genere, il giudice è tenuto esclusivamente a stabilire quale sia la soluzione più opportuna per la prole. Il diritto del genitore di determinarsi liberamente in ordine al luogo di ubicazione della propria sede domiciliare e familiare, garantito, come detto, dalla normativa costituzionale, non è suscettibile di essere valutato negativamente se non quando se ne ponga l’assoluta necessità ai fini della tutela del superiore interesse del minore e, cioè, quando il mutamento della residenza e della collocazione del minore stesso siano concretamente e comprovata mente incompatibili con le esigenze fondamentali personali di quest’ultimo, oltre che con l’interesse alla conservazione di un equilibrato e proficuo rapporto anche con il genitore che non sia prevalente collocatario.

Sulla base di questa premessa, la Corte aggiungeva che nel caso di specie il minore era da ritenere bisognoso della presenza materna, pur sempre apportatrice di quella carica affettiva tutta speciale, capace di trasmettere sostegno, senso di protezione e sicurezza, che, al momento, si atteggiano come elementi insostituibili per garantire un corretto e armonico sviluppo psicofisico in relazione alla delicata fase di crescita. Tale criterio relativo alla c.d. maternal preference era comunque da porre in relazione agli accertamenti compiuti dal CTU nella fase innanzi al Tribunale, e non già apoditticamente ancorato al ruolo materno. La Corte afferma infatti che non può prescindersi dalla considerazione che la posizione dei genitori non si configura come diritto ma come “munus”, occorrendo privilegiare quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore: l’individuazione di tale genitore deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo, giudizio che, ancorandosi ad elementi concreti, potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, elementi, tutti, che l’ausiliare nominato dal Tribunale non ha mancato di esaminare giungendo sotto gli aspetti considerati – attraverso ampia ed accurata disamina, corretta sul piano logico, oltre che su quelli giuridico e scientifico – ad una valutazione positiva in favore della madre.

Avv. Bruno Nigro il caso it 27 dicembre 2016

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AMORIS LÆTITIA

I dubbi dei 4 cardinali, come Bacci e Ottaviani nel 1969

In un bilancio di più ampio respiro, a fine anno, una riflessione intorno alla lettera con cui 4 cardinali sollevano dubbi su AL non può non cogliere una sorprendente analogia con quanto accaduto quasi 50 anni fa, dopo la chiusura del Concilio Vaticano II e la elaborazione del nuovo Ordo Missæ. Oggi i 4 cardinali, come allora 2 cardinali (Bacci e Ottaviani), cadono nella stessa trappola di un grave fraintendimento, che capovolge il senso della dottrina ecclesiale.

Vorrei provare ad offrirne un rapido parallelo, spero utile alla coscienza comune:

  1. Un paralogismo di fondo: AL e il Vaticano II come “cause” e non come “effetti”. Tra le forme più evidenti di errore dobbiamo anzitutto considerare il “giochetto” di confondere la causa con l’effetto. Come hanno fatto allora Bacci e Ottaviani, e come alla loro scuola hanno ripetono da decenni Messori e Bux, De Mattei e Langone, ora anche i 4 cardinali capovolgono cause ed effetti. Allora e oggi si diceva: prima del Vaticano II c’era una chiara esperienza ecclesiale della messa e del prete, mentre con il Concilio ha rovinato tutto questo e lo ha compromesso gravemente; prima di AL c’era una chiara dottrina sulla famiglia, dopo AL c’è dubbio e confusione. Qui troviamo in atto un errore storico e un pregiudizio ideologico. Il Concilio 50 anni fa e il Sinodo negli ultimi tre anni hanno affrontato una situazione che viveva da decenni una profonda crisi, della Chiesa e della famiglia. La crisi è stata la causa e non l’effetto: Concilio e Sinodo sono effetti di una crisi, non cause di una crisi. Può permettersi di capovolgere causa ed effetto sono chi vive senza alcun rapporto con la realtà, immerso in una gelosa autoreferenzialità. Concilio e Sinodo rispondono a questioni preesistenti. Possono diventare non risposte, ma “problemi”, solo per chi ignora tali questioni preesistenti. Per questo è singolare notare la somiglianza tra i dubbi di Bacci e Ottaviani nel 1969 e quelli di Burke e Caffarra nel 2016. Le passioni tristi di questi cardinali dimenticano che il loro oggetto di dubbio è la risposta a condizioni ecclesiali e familiari che da decenni sollevavano dubbi reali, questioni profonde e disagi inaggirabili. I “dubia” presuppongono una evidenza aproblematica che esiste solo come “pregiudizio”. E idealizzano un passato che non è mai esistito. Come ha detto papa Francesco, anche in AL, in ogni idealizzazione si nasconde una aggressione. E il dubbio diventa aggressivo: non verso il papa, ma verso la realtà.

  2. L’incapacità di valorizzare i percorsi conciliari e sinodali. Il secondo punto di vicinanza singolare tra lo stile cardinalizio di oggi e quello di 50 anni fa sta nella indifferenza – e nella insofferenza – verso gli stili conciliari e sinodali. Un Concilio e un Sinodo non sono considerati in alcun modo come luoghi autorevoli. Il principio di autorità, che anima le parole e i gesti anche clamorosi dei cardinali di oggi assomiglia alla mancanza di riconoscimento che Ottaviani e Bacci riservarono, nel 1969, al lungo e accurato lavoro conciliare e post-conciliare sulla liturgia eucaristica. Assemblee plenarie, commissioni, confronti, dibattiti, mediazioni: tutto viene ridotto al “sì” o “no” alla tradizione, irrigidito in una logica quasi referendaria. La “fedeltà alla tradizione” diventa così tradizionalismo quando risulta ormai incapace dell’arte del tradurre, al servizio di nuove esperienza di culto e di famiglia. Questo dobbiamo riconoscere come un errore tipicamente tardo-moderno. Se si dice – in modo forzato e caricaturale – che esiste solo la “messa di sempre” e la “famiglia di sempre”, ci si trova immediatamente al di fuori della lunga e articolata tradizione ecclesiale, che ha assicurato, con mille mediazioni, uno “sviluppo” della tradizione eucaristica e familiare, fatta di tante piccole e grandi traduzioni, tra culture diverse, tra lingue diverse, tra teorie diverse, al fine di assicurare alla Chiesa la autorità di poter parlare ancora agli uomini di questo nostro tempo.

  3. La negazione “antimodernistica” della autorità ecclesiale. In terzo punto in comune tra antiche e recenti esitazioni dubbiose sta nella matrice “antimodernistica” della lettura proposta dai cardinali: ogni novità viene percepita e vissuta come scacco, smentita, perdita di evidenza e arretramento della tradizione cristiana. Qui tocchiamo un punto particolarmente delicato: esso tiene insieme due aspetti che di solito pensiamo non solo separati, ma opposti. Ossia la “lotta al modernismo” e la “negazione della autorità”. Nella lettera del 1969 e in quella del 2016 appare invece chiaramente la pretesa verso uno “stile magisteriale” in cui, al fine di combattere le “scivolate modernistiche” si arriva a paralizzare totalmente la autorità della Chiesa. A loro avviso, per essere autorevoli si può solo ripetere il passato. In questo modo, la “fedeltà alla tradizione” viene identificata con la immodificabilità dei dettagli disciplinari ricevuti dalla prassi recente. Perciò l’altare verso oriente nella celebrazione eucaristica o la definizione del matrimonio del codice del 1917 diventano “articuli stantis aut cadentis ecclesiae”. I cardinali, di allora come di oggi, sono talmente spaventati dalla evoluzione della tradizione che sono disposti a negare la autorità della Chiesa – del papa, del Concilio o del Sinodo – pur di restare attaccati alle loro tranquillizzanti abitudini, teoriche e pratiche. I veri dubbi che queste “buone abitudini” sollevano da decenni nel popolo di Dio agli orecchi dei cardinali non hanno parola, mentre essi danno voce col megafono soltanto alle difficoltà certo sinceramente avvertite, ma da uomini di chiesa irrigiditi nelle loro pratiche autoreferenziali. Una scrivania bene ordinata – o una pratica bene protocollata – vengono confuse con la obbedienza alla volontà di Dio. Il nuovo anno, che sarà anche l’anno anniversario del primo Codice di Diritto Canonico nella storia della Chiesa, dovrà indurci a riflettere su queste analogie, per liberarci dai fantasmi del passato. Come ha detto Francesco, facendo gli auguri alla Curia romana il 22 dicembre 2016 scorso, occorre che la Curia romana sia caratterizzata da “modernità (aggiornamento), ossia dalla capacità di leggere e di ascoltare i segni dei tempi”. Proprio questo sembra mancare nelle lettere cardinalizie del 1969 e del 2016. Solo con la speranza di questa attenta lettura dei segni del nostro tempo potremo evitare quella presunzione e quella disperazione, che sono precisamente i due vizi opposti: vizi proprio perché di speranza non hanno più alcun bisogno.

Andrea Grillo blog Come se non 30 dicembre 2016

www.cittadellaeditrice.com/munera/la-recezione-di-amoris-laetitia-8-i-dubbi-dei-4-cardinali-come-bacci-e-ottaviani-nel-1969

 

L’eventuale correzione fraterna al Papa deve avvenire in camera caritatis.

Ha fatto molto discutere l’ultima intervista del cardinale Raymond Leo Burke, che preannunciando una «correzione formale» al Pontefice – istituto che peraltro non si rintraccia nell’ordinamento canonico – è sembrato dare una sorta di ultimatum a Francesco dopo la pubblicazione dei cinque «dubia» riguardanti l’interpretazione dell’esortazione Amoris Lætitia. Uno degli altri tre firmatari dei «dubia», il cardinale tedesco Walter Brandmüller, interpellato da Vatican Insider tiene a precisare che un’eventuale «correzione fraterna» del Papa dovrebbe avvenire «in camera caritatis», cioè non in pubblico attraverso atti o scritti messi in circolazione. Come si ricorderà, i cinque «dubia» su Amoris Lætitia sono stati resi di pubblico dominio alcuni giorni prima dell’ultimo concistoro, a meno di due mesi dall’essere stati presentati. «I dubia – ha dichiarato Brandmüller – intendono promuovere nella Chiesa il dibattito, come sta avvenendo. Il cardinale Burke nell`intervista originale in inglese (non come hanno riportato i media italiani) non ha indicato una scadenza, ma ha solo risposto che ora dobbiamo pensare a Natale e poi si affronterà la questione». Brandmüller tiene inoltre a precisare: Burke «non ha detto che una eventuale correzione fraterna – come quella citata in Galati 2,11-14 – debba avvenire pubblicamente». Il brano ricordato dal porporato tedesco è quello della Lettera ai Galati nel quale Paolo descrive la sua divergenza con Pietro perché quest’ultimo voleva imporre ai pagani le pratiche giudaiche. «Devo, invece, ritenere – aggiunge Brandmüller – che il cardinale Burke sia convinto che in prima istanza una correzione fraterna debba avvenire in camera caritatis». Dunque non pubblicamente. «Devo dire – spiega – che il cardinale ha espresso – in piena autonomia – la sua opinione, che, senz`altro potrebbe essere condivisa pure da altri porporati». Brandmüller lascia quindi intendere che nelle interviste successive alla pubblicazione dei «dubia» Burke non ha parlato come «portavoce» dei quattro cardinali firmatari. Il porporato tedesco conclude: «Noi cardinali attendiamo la risposta ai dubia, in quanto una mancata risposta potrebbe essere vista da ampi settori della Chiesa come un rifiuto dell`adesione chiara e articolata alla dottrina definita».

Andrea Tornielli Vatican Insider 26 dicembre 2016

www.lastampa.it/2016/12/26/vaticaninsider/ita/vaticano/leventuale-correzione-fraterna-al-papa-deve-avvenire-in-camera-caritatis-f5GX6xH3rJjjQqfx1wBdDM/pagina.html

 

Il papa non risponde ai quattro cardinali.

Poco prima di Natale erano diciotto i cardinali e i vescovi che si erano pronunciati pro o contro i cinque dubbi resi pubblici il 14 novembre 2016 da quattro cardinali a proposito dei punti controversi di Amoris Lætitia con la richiesta a papa Francesco di “fare chiarezza”, richiesta tuttora inesaudita.

(…) Quella a sostegno del papa è del cardinale Walter Kasper, in un’intervista del 22 dicembre 2016 alla Radio Vaticana in lingua tedesca: a giudizio di Kasper, “naturalmente si possono presentare dubbi e domande al papa, ogni cardinale può farlo. Ma sul fatto che fosse una buona idea rendere pubblica questa richiesta di chiarimento, ho delle perplessità. A mio parere l’esortazione apostolica è chiara; ci sono anche dichiarazioni successive dello stesso papa, la lettera ai vescovi argentini, o dichiarazioni del cardinale vicario di Roma. Si è reso chiaro ciò che il papa dice e come lo vede. Non vi è alcuna contraddizione con le dichiarazioni di Giovanni Paolo II. È uno sviluppo omogeneo. Questa è la mia posizione, come la vedo io. A questo proposito non esistono per me dubbi”.

Se poi si estende la rassegna al di là dei soli cardinali e vescovi, c’è almeno un intervento che è doveroso segnalare. È l’ampia intervista con il teologo brasiliano Leonardo Boff apparsa in Germania il giorno di Natale sul quotidiano “Kölner Stadt-Anzeiger”: ai “dubiaBoff dedica questo passaggio: “Il papa sente l’asprezza dei venti contrari che provengono dalle alte gerarchie, specie da quelle degli Stati Uniti. Questo cardinale Burke che ora – assieme al vostro cardinale in pensione Meisner di Colonia – ha scritto una lettera al papa, è il Donald Trump della Chiesa cattolica (risata). Ma, a differenza di Trump, Burke in curia è stato neutralizzato. Grazie a Dio. Questa gente crede per davvero che spetta a loro correggere il papa. Come se essi fossero al di sopra del papa. Una cosa del genere è inusuale, se non senza precedenti nella storia della Chiesa. Uno può criticare il papa, può avere una discussione con lui. Questo è ciò che io ho fatto spesso. Ma che dei cardinali accusino pubblicamente il papa di diffondere errori teologici o addirittura eresie, questo penso che è troppo. È un affronto che il papa non può consentire. Il papa non può essere giudicato, questo è l’insegnamento della Chiesa”.

Salvo poi, nella stessa intervista, mettersi lui, Boff, ad accusare di “grave errore teologico” e di “terrorismo religioso” la dichiarazione “Dominus Iesus” pubblicata nel 2000 dall’allora cardinale Joseph Ratzinger con l’approvazione piena di papa Giovani Paolo II.

Ma ci sono anche altri passaggi interessanti dell’intervista. Ad esempio dove Boff spiega perché papa Francesco dovette cancellare l’udienza che gli aveva accordato all’inizio del sinodo del 2015: “Avevo ricevuto un invito ed ero già atterrato a Roma. Ma proprio quel giorno, immediatamente prima dell’inizio [dei lavori] del sinodo sulla famiglia del 2015, tredici cardinali – fra i quali il cardinale tedesco Gerhard Müller – organizzarono una rivolta contro il papa con una lettera indirizzata a lui che poi fu pubblicata, guarda caso, su un giornale. Il papa era furente e mi disse: ‘Boff, non ho tempo. Devo ristabilire la calma prima che il sinodo cominci. Ci vedremo in un altro momento'”. Oppure dove dice di “aver sentito che il papa vuole accogliere l’esplicita richiesta dei vescovi brasiliani e specialmente del suo amico cardinale Cláudio Hummes di impegnare di nuovo nella cura pastorale i preti sposati, almeno per un certo periodo sperimentale”.

Senza peraltro che Boff stia ad aspettare dal papa questo via libera. Nell’intervista, infatti, egli racconta, pur essendo sposato e formalmente impedito di esercitare il ministero: “Io già faccio quello che ho sempre fatto, e quando capito in una parrocchia senza il prete celebro io la messa assieme al popolo, e nessun vescovo me l’ha mai contestato o proibito. Anzi, i vescovi sono felici e mi dicono: ‘La gente ha diritto all’eucaristia. Continua a fare così!’. Il mio maestro teologico, il cardinale Paulo Evaristo Arns – che è morto pochi giorni fa – era, per esempio, di grande apertura. Arrivava al punto che quando vedeva dei preti sposati seduti nella navata durante la messa, li faceva salire all’altare e concelebrava l’eucaristia con loro”.

Sandro Magister blog 28 dicembre 2016 passim

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it

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CHIESA CATTOLICA

La Lettera apostolica di Francesco. Se la fantasia della misericordia è «rivoluzione»

«Non crediamo più che qualcuno in questo mondo possa aiutarci», ecco le parole che venivano da Aleppo fino a pochi giorni dal Natale. Il tono del giovane uomo era rassegnato, ma lo sguardo altèro, tipico della gente di Siria e di chiunque denunci la verità. La scena tragica dell’attualità richiama una ‘gemella’ antica, famosa nella Bibbia: quella degli ebrei schiacciati dalla schiavitù e dalla morte dei loro bambini, nell’Egitto dei Faraoni. Anch’essi compresero, a un certo punto, che sulla terra nessuno potesse più aiutarli, per questo alzarono al cielo il loro grido. Qualcuno, forse, da lassù avrà compassione per noi, dovettero pensare. E così fu. Nell’ubbidienza e nella fedeltà a una simile querela, è scritta la meravigliosa Lettera apostolica Misericordia et misera che papa Francesco ha consegnato alla Chiesa, alla fine dell’anno giubilare. «Come un vento impetuoso e salutare, la bontà e la misericordia del Signore si sono riversate sul mondo intero», egli constata con soddisfazione, per cui adesso è: «tempo di guardare avanti» di incarnare, di metabolizzare un dono così grande. È l’ora, insomma, che la Chiesa si faccia strada di cielo, per coloro che gridano, in tanti e da tante parti ancora sulla terra. Dopo la rugiada del dono della Misericordia, la Chiesa adesso deve arare il campo su cui quella è caduta, mettendo anche il proprio sudore, affinché «la steppa fiorisca».

 

Veramente esigente è il ‘compito a casa’ che Francesco assegna alla Chiesa del post-Giubileo: ciò che deve mettere in atto si chiama conversione pastorale, un concetto già espresso nella Evangelii Gaudium (cf EG 25-33). Di che si tratta? Di un lavoro che la Chiesa deve fare, anzitutto, con sé stessa. Un impegno che protegga il Giubileo, dalla deriva di essere un mero atto devozionale, o un rito esteriore che lascia il tempo che trova, e lo riconosca, invece, come un’esperienza che «cambia la vita». E ancor più il Giubileo della Misericordia, il quale ha riversato su ogni cristiano «lo sguardo amoroso di Dio in maniera così prolungata che non si può rimanere indifferenti». L’impegno è, dunque, ad intra, coinvolge il soggetto ‘Chiesa’ nella sua capacità di muoversi davvero, di entrare in precise prospettive, di assumere dirette responsabilità; nei suoi metodi, nei suoi linguaggi, nei suoi fondamenti teologici e spirituali. Il maestro che assegna un compito tanto difficile e importante, non si sottrae, però, al dovere di spiegarlo e di accompagnare l’allieva/sorella con gli strumenti necessari per farlo.

La conversione pastorale – indispensabile per condurre la nuova evangelizzazione – ha, innanzitutto, una linfa vitale da cui ogni esperienza di fede attinge ed è la gioia. Fiore raro e affatto diverso dalla felicità, o dal benessere, la gioia è figlia del perdono. Essa è come la spuma che si ricama sull’onda del mare della misericordia di Dio! Lo splendore che apre il sorriso di chi sa di essere (stato) amato. Senza questa gioia non c’è Vangelo, non c’è modo, cioè, di «celebrare la misericordia». Ed ecco il primo grande capitolo dei compiti a casa: l’attenzione alla liturgia eucaristica e – al suo interno – specialmente, alla liturgia della Parola. «La Bibbia è – infatti – il grande racconto che narra le meraviglie della misericordia di Dio», una narrazione che attesta un «dialogo costante di Dio con il suo popolo», e non consiste, al contrario, in un codice astratto di regole cui si debba semplicemente sottostare.

Occorre che la Chiesa re-impari a leggere, ad ascoltare, a meditare, a interpretare, a ‘spezzare’ la Parola biblica. «È mio vivo desiderio che la Parola di Dio sia sempre più celebrata, conosciuta e diffusa, perché attraverso di essa si possa comprendere meglio il mistero di amore che promana da quella sorgente di misericordia». Un compito già assegnato dal Concilio e che viene riproposto con forza e grande slancio da Francesco, poiché individuato come essenziale per «vivere la carità». Dalla Scrittura, infatti, non solo trova «sostegno e crescita» la vita spirituale, ma si alimenta anche la vita per così dire corporale della Chiesa che è tema del secondo grande capitolo dei compiti a casa per il dopo-Giubileo. Esso riguarda lo spazio e, soprattutto, il tempo, in un impegno radicale e costante che articoli il presente al futuro. Tanti sono i fronti su cui si esprime questa inevitabile e urgente messa in gioco della Chiesa.

Molte cose si raccomandano ai sacerdoti: innanzitutto di preparare bene l’omelia, in modo che tutti possano accedere al messaggio dello Spirito, che è il seme di ogni testo biblico. Poi di trasmettere la bontà del cuore di Dio nel Sacramento della Riconciliazione. Perché «nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio» Francesco concede anche a tutti i sacerdoti «la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto»: segno di un Amore più grande dei più grandi delitti. E infine il servizio di assolvere al ministero della Consolazione: fatto di carezza e di silenzio, di mani che asciugano le lacrime, parole che spezzano le solitudini, presenze che sciolgono la disperazione.

Anche per le coppie cristiane i compiti non mancano: innanzitutto quello di «far emergere il grande valore propositivo della famiglia»: indicarla come un luogo di bellezza e di una più autentica e alta umanità, senza minimizzare sulle tante complessità da affrontare per custodirla e fasciarne le ferite. E poi il compito della carità verso i casi e le età della vita, la pietas verso i morenti e i defunti, l’invito a «chinarci sui fratelli» per essere testimoni della tenerezza divina, in ogni circostanza. «La fantasia della misericordia» insomma, non è un tema a scelta, ma creatività che ogni cristiano è chiamato a liberare. Inventando forme sempre nuove e opportune di risposta a chi ha fame e sete, a chi non ha un lavoro, a chi si trova costretto ad emigrare, a chi è in cerca di casa e di pace. A chi è ammalato, a chi è carcerato, a chi è analfabeta.

Contro «la cultura dell’individualismo» e contro l’idea assurda che la fede sia un’istanza privata, Francesco ricorda che compito di tutta la Chiesa è una «rivoluzione culturale» in cui la «misericordia come valore sociale» deve rispondere a «costruire una città affidabile». Deve collaborare al servizio della politica che l’Evangelii Gaudium aveva già ricordato, con parole sorelle di quelle di Paolo VI, come «una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune» (205). Impegno, condivisione, partecipazione, solidarietà, cura, sono le parole evocate, innanzitutto, verso i poveri, gli scartati, quelli che sono nudi come il Signore sulla Croce e come ogni creatura che esca dalle fragili viscere di Adamo. «Lo Spirito Santo ci aiuti a essere pronti ad offrire in maniera fattiva e disinteressata il nostro apporto, perché la giustizia e la vita dignitosa non rimangano parole di circostanza, ma siano impegno concreto» chiede con forza, a tutti, la Lettera Apostolica. Per far ciò si deve «uscire dall’indifferenza» e dalla tentazione di fare «una vita comoda senza problemi».

Grande e oneroso è il doppio compito a casa. Colma di speranza, di passione e convinzione dev’essere la fede e la fantasia della Chiesa in quello che Francesco chiama «il tempo della misericordia». Il tempo, cioè, di poter essere «liberi e felici» come le due donne incontrate da Gesù, con cui si apre la Misericordia et misera (cf n.3). Un monito davvero deciso e che non permette più dilazioni. Specialmente per quel «resto» di umanità che ancora ci guarda dalle macerie di Aleppo.

Rosanna Virgili Avvenire 27 dicembre 2016

relatrice al congresso UCIPEM di Vicoforte (maggio 2003)

www.avvenire.it/opinioni/pagine/la-fantasia-della-misericordia-rivoluzione-in-questo-mondo

 

Una riforma spirituale

Papa Francesco, appena varcata la soglia degli ottant’anni, ha segnato con la serenità che lo contraddistingue i momenti tradizionalmente legati alla fine di un anno civile: l’incontro con la curia romana e i messaggi di Natale e per la giornata mondiale della pace di Capodanno. Vigilante e visionario, il Pontefice appare un uomo forte, in buona salute, un cristiano che si nutre di fede convinta, un pastore che conosce la sollecitudine per ogni pecora a cominciare da quella smarrita, per la Chiesa che presiede, per le Chiese cristiane tutte.

Presto si compiranno quattro anni dall’inizio del suo servizio papale e forse possiamo decifrare cosa abbia significato e significhi nella Chiesa e nel mondo la successione all’apostolo Pietro di un vescovo che proviene non solo, come si ripete, dalle periferie del mondo, ma anche e soprattutto dagli interiora ecclesiae. Occorre ascolto del suo magistero, ascolto della società e della storia nella consapevolezza che gli effetti di un pontificato sono la conseguenza non solo del Papa, ma anche dei collaboratori, chiamati a corrispondere alle sue intenzioni profonde.

Il primo elemento sottolineato da molti è che, con l’avvento di Francesco, si è sviluppato un clima nuovo, nel quale si sono sopite paure e inibizioni, un clima di maggiore libertà, come aveva auspicato Paolo VI nell’udienza generale del 9 luglio 1969: «Avremo quindi un periodo nella vita della Chiesa, e perciò in quella d’ogni suo figlio, di maggiore libertà, cioè di minori obbligazioni legali e di minori inibizioni interiori. Sarà ridotta la disciplina formale, abolita ogni arbitraria intolleranza, ogni assolutismo; sarà semplificata la legge positiva, temperato l’esercizio dell’autorità, sarà promosso il senso di quella libertà cristiana, che tanto interessò la prima generazione cristiana».

In anni non lontani, e spesso in Italia, si registrava una situazione dove prosperavano, determinando contrapposizioni e divisioni, quanti arrivavano ad accusare altri fedeli di scarsa fede cattolica, di eresia, in una logica sempre più esclusivista. Un clima che inibiva chi, avendo opinioni diverse, non aveva il coraggio di parlare. Questo clima è ormai memoria del passato. Papa Francesco non fa nulla che possa ispirarsi a una logica di contrapposizione ma, al contrario, cerca instancabilmente di destare comunione. Esistono sì gruppi e componenti della Chiesa che non si limitano a una critica rispettosa, ma si spingono fino a delegittimare il Pontefice con accuse grottesche e polemiche insistenti. Tuttavia non intaccano il clima generale che favorisce quella “opinione pubblica” nella Chiesa di cui già Pio XII nel 1951 lamentava la mancanza, clima che stimola il confronto e rende la Chiesa una comunione rispettosa delle diversità, e per questo spiritualmente più ricca, e vi è maggiore libertà teologica e pastorale nell’annuncio dell’unico Vangelo.

Questa diversità di doni è più evidente anche grazie alla mutata posizione dei movimenti nella Chiesa, favorita da Papa Francesco. Di alcuni si constatava una certa aggressività, narcisismo e autoreferenzialità che portavano a giudicare gli altri cristiani come mediocri e a percepirsi come la parte migliore della Chiesa: una realtà carismatica, che tuttavia rischiava di favorire posizioni da Chiesa parallela. La stessa Pentecoste, compimento del mistero pasquale, sembrava declassata a festa dei movimenti. Il Pontefice, senza alcun gesto di ostilità, ha accolto queste nuove realtà non chiedendo loro se non di resistere alle tentazioni del proselitismo, della testimonianza muscolare, del volersi contare, del professare la fede “contro”, ma di porsi invece nella sinfonia ecclesiale, proprio in obbedienza allo Spirito santo che li ha suscitati. Così la Chiesa si mostra oggi più che mai “popolo di Dio”, espressione cara a Francesco non solo per la matrice conciliare, ma perché capace di indicare la qualità quotidiana, “popolare”, non elitaria della comunità cristiana.

Ma ciò che in modo più evidente è accaduto in questo pontificato è il nuovo slancio conferito all’ecumenismo. Pareva stagnante, al punto che alcuni parlavano di “inverno ecumenico”, ma il Papa, con gesti inattesi e impensabili più ancora che con parole, ha ridestato quel desiderio di unità che aveva accompagnato la stagione postconciliare nella Chiesa cattolica e parallelamente nelle altre Chiese.

Mosso dalle convinzioni, ribadite più volte, che l’ecumenismo si fa innanzitutto camminando insieme e che il martirio di tanti fratelli e sorelle cristiani realizza un “ecumenismo del sangue”, il Pontefice ha fatto dei suoi viaggi delle pietre miliari del dialogo con le altre Chiese. A Torino ha voluto incontrare la comunità valdese, sempre rimasta nel cono d’ombra dell’ecumenismo cattolico. Cuba è stata la tappa imprevista e irrituale che ha coronato la sua tenacia nel ricercare l’incontro, come fratello, con Cirillo, patriarca di Mosca. La visita in Georgia si è rivelata capace di superare anche la non reciprocità nell’accoglienza ecclesiale. La presenza a Lund ha significato fare memoria, con le comunità protestanti, dei cinque secoli della Riforma: non per festeggiare una rottura della comunione ecclesiale, ma per rileggere quegli eventi cercando di evidenziarne le intenzioni evangeliche e per riconoscere di fronte all’unico Signore le rispettive colpe. Nessun Papa dopo Paolo VI ha osato quanto Francesco nell’andare incontro a un’altra Chiesa, a costo di umiliarsi nella propria persona purché il servizio papale potesse essere vissuto come un misericordioso presiedere nella carità.

Va poi evidenziato lo sforzo di Francesco per portare a compimento il concilio Vaticano II nel suo progetto di dialogo con il mondo e la modernità. La Chiesa è stata sovente tentata di esercitare il ministero della condanna, dell’intransigenza per il bene delle anime cattoliche; il Pontefice, per il bene di tutti, cristiani o meno, vuole instaurare una cultura del dialogo, un esercizio dell’ascolto della società e della storia, un discernimento per poter camminare insieme. Ecco perché la Chiesa è stata invitata con l’anno della misericordia, sigillo dei due sinodi, a essere inclusiva e non escludente, ad andare incontro a chi ha peccato, accordandogli il perdono di Dio e annunciando la misericordia senza confini.

Ma è significativo che proprio sullo stile e la prassi della misericordia il Papa abbia conosciuto e conosca l’opposizione più dura, una vera contestazione. Non si può tacere che ciò avvenne anche nei confronti di Gesù, come testimoniano i vangeli. Cosa lo ha portato alla condanna? L’annuncio del volto misericordioso di Dio, null’altro: Gesù non ha contraddetto la Torah, ma l’ha posta sotto il primato dell’amore fraterno e della misericordia di Dio. Sempre all’insegna della misericordia, “cuore per i miseri”, va compresa la sua passione per i poveri, gli ultimi, gli scartati della storia, le vittime della società: tutti figli di Dio, con la stessa dignità. Una «Chiesa povera e per i poveri» e dunque una Chiesa di “beati” secondo il Vangelo: questo desidera Francesco ed è ciò a cui si sente impegnato dal nome del santo di Assisi che ha voluto assumere. I suoi viaggi nel Mediterraneo, attraversato da migranti, la sua sollecitudine per loro anche nell’ammonire i potenti e i governanti del mondo svelano cosa gli brucia nel cuore.

Ora, se questi sono i segni distintivi del pontificato di Francesco, cosa attende ancora il popolo di Dio ascoltando le sue parole? Attende che la riforma della Chiesa, in capite et in membris, continui e si manifesti con chiarezza. Di riforma della Chiesa si parla da quasi dieci secoli e la Chiesa è semper reformanda. Il Papa è animato da questa intenzione e lo dichiara sovente: anche nel quarto discorso natalizio alla curia romana ha ribadito questo impegno.

Ma, come monaco che legge spesso il De consideratione di san Bernardo, mi permetto di avanzare alcune osservazioni. Innanzitutto non ci può essere riforma della curia senza riforma della Chiesa e, in primo luogo, della vita dei presbiteri e dei vescovi: è un rinnovamento urgente che tuttavia richiede molto tempo. Francesco ha ragione quando dice che la riforma della curia non può essere ridotta a rimozioni e sostituzioni di persone, ma deve essere conversione personale, cambiamento spirituale, fede in Gesù Cristo che è il Vangelo. Per questo una riforma della curia darà frutti duraturi solo se il Papa riuscirà ad attuarla con la curia stessa e la curia con il Papa, altrimenti non sarà possibile operare mutamenti efficaci in una realtà così complessa. Riforma della Chiesa significa una Chiesa meno mondana, che sa opporre resistenza alle tentazioni del potere, della ricerca del successo, che sa non solo servire i poveri ma anche imparare dalla loro cattedra.

Francesco, come riconoscono tutti, ha destato molte speranze e anche entusiasmi nelle Chiese, di cui non possiamo che rallegrarci. Ma bisogna ricordare ancora una volta che più la Chiesa brilla della luce del risorto più si scatenano le potenze demoniache che si rivoltano contro di essa, più la Chiesa è Vangelo vissuto e più troverà opposizione e persecuzione, come il suo Signore. Quando ascolto tanti semplici fedeli raccolgo la speranza che il Papa riformi poche cose essenziali, ma tali che non si possa tornare indietro.

Enzo Bianchi Osservatore Romano 30 dicembre 2016

www.monasterodibose.it/priore/articoli/articoli-su-quotidiani/11114-una-riforma-spirituale
 
Festa Santa Famiglia. Belletti: una scommessa che si può vincere!

Festa oggi della Santa Famiglia, che seppe accogliere in Terra il figlio di Dio. Un istituzione la famiglia nei millenni diversamente promossa e tutelata ma anche attraversata specie negli ultimi decenni da ondate di avversione e di attacchi alla sua identità di unione fondata sul matrimonio di un uomo e una donna. Dunque, quale significato sociale riveste oggi questa festa?

Intervista al prof. Francesco Belletti, sociologo, direttore del Centro internazionale di studi sulla famiglia (Cisf).

R. – Festeggiare la Santa Famiglia significa partire da quella accoglienza di Maria ad una chiamata incomprensibile. In fondo, oggi tutti i giovani si trovano in questa situazione, è come se davanti alla scelta del matrimonio e dell’impegno tutti si dicessero: “Ma perché? Come faccio a farlo? Come faccio a scommettere sulla famiglia?”. Eppure tutti hanno un grande desiderio, infinito, di essere in un posto dove si appartiene, in un posto dentro cui le persone sono legate da un vincolo che è quello del dono reciproco, della solidarietà, del dare la vita per gli altri. Ecco, credo che nell’esperienza umana sapere da dove si viene e il potere essere in un posto che è casa propria sia decisivo. Quindi al di là dei cambiamenti culturali, degli attacchi degli ultimi decenni, la famiglia rimane un valore che ogni uomo e ogni donna oggi ancora desiderano.

D. – Si dice spesso che la famiglia tradizionale sia in crisi ma quanto di questa crisi si può imputare alla mancata tutela sociale di questa istituzione?

R. – Questo è proprio un frutto degli ultimi decenni, di quella che in sociologia si definisce la “postmodernità”. Sta vincendo un paradigma individualista e anche Papa Francesco ci ricorda questa deriva di un narcisismo, di un uomo che pensa di poter bastare a se stesso. Invece la famiglia è proprio il luogo dell’altro, è proprio il luogo in cui io desidero stare con l’altro, voglio stare negli stessi spazi per tutta la vita. Ed è questa la grande domanda, del non essere soli, quello che risuonava nel linguaggio biblico: ‘non è bene che l’uomo sia solo’. Ecco, la famiglia è la risposta, il dono che Dio ci ha dato perché non siamo soli. A me parlare di famiglia tradizionale quasi disturba, nel senso che oggi la parola ‘tradizionale’ è come se rimandasse a una cosa già passata, non più valida. Invece oggi la famiglia è l’esperienza più nuova che un giovane possa inventarsi. E’ proprio la scommessa della vita. E, moltissime storie di famiglie, di coppie che stanno insieme da 50, 60 anni, dicono che questa scommessa si può vincere.

D. – Dunque, i diritti individuali e i diritti della famiglia: gli uni stanno scalzando gli altri, con quali conseguenze?

R. – L’individualismo è il vero nemico oggi della famiglia: cioè, che le persone oggi pensino di bastare a se stesse, come se il legame familiare fosse un nemico della propria libertà. E invece attraverso i legami tra le persone, la famiglia restituisce senso all’esperienza della vita e restituisce solidarietà, legami significativi. E’ la prima risorsa. Infatti, le persone più in difficoltà sono quelle che non hanno legami familiari. Invece davanti anche a povertà, davanti a grandi shock, perdite di lavoro, ecc. se la famiglia tiene la persona è tenuta insieme. Quindi veramente la festa della Santa Famiglia è una grande occasione per ripensare alla famiglia e anche per rendersi conto che la famiglia è una grande risorsa di ogni società. Quindi l’assenza di politiche per la famiglia, l’indifferenza dei pubblici poteri, che spesso si nota di fronte alla famiglia, è una grave colpa, una grave mancanza: sostenere le famiglie significa investire sulla coesione, investire sulla solidarietà, tenere insieme il Paese.

Roberta Gisotti Notiziario radio vaticana -30 dicembre 2016 http://itradiovaticana.va/radiogiornale

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Belluno. Il consultorio pubblica sul suo sito web il codice di Trattamento dei dati personali.

Ai sensi del D.Lgs. n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali).

26 dicembre 2016http://consultorio.belluno.it/privacy.html

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Cremona.A Caravaggio corso sull’ Amoris Lætitia.

Dal 3 al 5 gennaio si terrà a Caravaggio il tradizionale corso residenziale di formazione. Fin dallo scorso anno si è ritenuto utile aprire questa occasione anche ai laici per permettere quella condivisione tra tutte le componenti della Chiesa diocesana che crea le premesse di un autentico cammino ‘sinodale’.

Il tema scelto per il minicorso di gennaio – «Come costruire la chiesa dell’Amoris Lætitia– indica che non verrà semplicemente offerta una lettura della esortazione apostolica per mettere in luce i tratti di una pastorale famigliare, ma un individuare i passi concreti per crescere in una dimensione di Chiesa con tutte le sue componenti ad immagine di una famiglia di famiglie. Tutto quanto il Papa presenta dell’amore umano vissuto nella relazione di coppia e in famiglia, trova la sua dimensione più ampia nella Chiesa chiamata ad essere luogo dove il Vangelo è vissuto e annunciato.

A condurre i lavori è stato invitato don Enrico Parolari, prete e psicoterapeuta della diocesi di Milano. L’ultima mattinata sarà dedicata al tema del ‘discernimento del territorio’ e del cammino intrapreso verso le Unità Pastorali con la presenza e l’aiuto di mons. Cesare Polvara provicario generale di Brescia.

www.diocesidicremona.it/blog/a-caravaggio-corso-sullamoris-laetitia-preti-e-laici-21-12-2016.html

 

Padova. Il potere della lettura a cura di Silvia Crippa

In questo mese parliamo di coppia.

  • Relazione di coppia efficace, di Patty Howell – Ralph Jones, edizioni la Meridiana. Scritto da due formatori, ha una struttura ben chiara che ne permette la lettura a tutti, anche se con un po’ di attenzione in più per chi si avvicina per la prima volta a questo tipo di saggistica.

  • Gli Uomini Vengono da Marte, le Donne da Venere. Imparare a parlarsi per continuare ad amarsi, di John Gray, edizioni Rizzoli. Troppe coppie arrivano in consultorio quando risulta essere “troppo tardi”, poiché si è superato quello che potremmo chiamare il “punto di non ritorno”. Eppure sarebbero davvero un buon numero i rapporti che potrebbero risanarsi prima di arrivare a una rottura. La fatidica domanda è: “Come capire quando è necessario chiedere un aiuto?”. La lettura di questi libri potrebbe essere un primo passo, o, più probabilmente, uno dei tanti passi, per capire se quel momento è arrivato.

  • Wonder di R.J.Palacio, edizioni Giunti. Libro di recente pubblicazione, ha riscosso un grandissimo successo di pubblico, sia tra adulti che tra ragazzini degli ultimi anni della scuola primaria e secondaria, per il linguaggio semplice, eppure profondo, che arriva direttamente al cuore.

  • Il libro di Julian di R.J.Palacio, edizioni Giunti. Consigliamo questo libro sia per il tono non giudicante con cui si cerca di capire il comportamento scorretto di questo ragazzo, sia per l’efficace ritratto dell’atteggiamento tenuto dai genitori di un “bullo”; la lettura può essere utile anche a chi, per lavoro o come genitore, si trova a scontrarsi con questa amara realtà.

www.consultorioucipem.padova.it/index.php/letture-proposte/letture-dicembre-2016.html

 

Pordenone: Ringraziamenti ed auguri.

A te che ci sei stato vicino, a te che hai condiviso i nostri ideali di solidarietà e di rispetto dell’altro, a tutti coloro che, nella sofferenza, hanno avuto fiducia in noi, (…) e a gli enti che hanno creduto in noi e ci hanno sostenuto, a tutti coloro che ci saranno ancora vicini e che parteciperanno con passione al nostro impegno, a nome di tutti i Collaboratori del Consultorio…auguro un sereno Natale!

www.facebook.com/consultoriononcello/?hc_ref=PAGES_TIMELINE&fref=nf

 

Trento. Cinquant’anni di Consultorio familiare UCIPEM a Trento (1965-2015)

In libreria: Quadri di famiglia. Cinquant’anni di Consultorio familiare UCIPEM a Trento 1965-2015 di Monica Ronchini (costo ridotto per acquisto on line).

www.lafeltrinelli.it/libri/monica-ronchini/quadri-famiglia-cinquant-anni-consultorio/9788871972060?utm_source=Ciao&utm_campaign=comparatori&utm_medium=cpc&utm_term=9788871972060

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CORTE COSTITUZIONALE

I figli avranno il cognome della madre.

Sentenza n. 286, 21 dicembre 2016

La Corte ha depositato la sentenza pronunciata l’8 novembre 2016 che dichiara l’illegittimità dell’automatica attribuzione ai figli del cognome paterno. In particolare, il giudice delle leggi accogliendo la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’Appello di Genova (relativa al cognome del figlio di una coppia italo-brasiliana) ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale della norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 c.c., 72, comma 1, R.D. n. 1238/1939; e 33 e 34 D.P.R. n. 396/2000 nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno”.

Conseguenzialmente è incostituzionale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’art. 299, terzo comma, cod. civ. “nella parte in cui non consente ai coniugi, in caso di adozione compiuta da entrambi, di attribuire, di comune accordo, anche il cognome materno al momento dell’adozione”.

La decisione, com’è chiaro, segna una svolta su una materia che vede la prima proposta parlamentare di dare ai figli il cognome materno risalire a circa 40 anni fa.

La Corte stessa era già intervenuta due volte (nel 1998 e nel 2006), definendo l’attribuzione automatica del cognome paterno il “retaggio di una concezione patriarcale della famiglia” ormai superato, rimettendosi all’intervento del legislatore.

In Parlamento, intanto giace il disegno di legge di riforma che prevede la possibilità di scegliere tra i cognomi dei genitori o di attribuire il doppio cognome, oggi fermo al palo dopo il sì della Camera nel settembre del 2014.

www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2016&numero=286

Marina Crisafi News Studio Cataldi 27 dicembre 2016

www.studiocataldi.it/articoli/24472-consulta-i-figli-avranno-il-cognome-della-madre.asp

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DALLA NAVATA

Divina maternità di Maria, Circoncisione, Santo Nome di Gesù – 1 gennaio 2017

 

 

Numeri 06, 27. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò.

Salmo 67, 02. Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia risplendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti.

Galati 04. 07. Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, sei anche erede per grazia di Dio.

Luca 02, 20. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.

 

Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).

Gesù Cristo, la nostra pace.

Purtroppo negli ultimi decenni la semplicità del calendario liturgico è smentita da una ressa di feste, ricorrenze, giornate dedicate anche a realtà cristianissime, il che – va denunciato – causa una perdita di quel filo rosso profondo che consentirebbe di vivere l’anno liturgico in modo più coerente e meno faticoso. E così la giornata di oggi, 1° gennaio, è dedicata alla giornata mondiale della pace: quella pace che può solo essere dono di Dio e compito obbediente degli uomini e delle donne della terra; quella pace che Cristo, il Messia re di pace (cf. Is 9,5-6; Lc 2,14; Ef 2,14-18), ha portato, e che ancora e sempre può portare, se lo invochiamo e ci impegniamo a osservare i suoi comandi. Cercheremo dunque semplicemente di dare il primato al messaggio del Vangelo e lasceremo che da esso scaturisca il messaggio della pace, senza offuscare con le nostre parole sulla pace l’annuncio evangelico schietto e chiaro.

A Natale il testo del vangelo secondo Luca ci ha narrato come avvenne la nascita di Gesù a Betlemme e come questo evento così umano e poco appariscente fu rivelato a poveri pastori che quella notte vegliavano sulle loro greggi (cf. Lc 2,1-14). Ebbene, quei pastori, che non hanno ascoltato passivamente l’annuncio dell’angelo ma l’hanno accolto in “un cuore capace di ascolto” (1Re 3,9), si mettono in cammino per verificare ciò che hanno udito. Senza indugio, in una fretta escatologica, vanno e trovano, contemplano quell’umile “segno” (Lc 2,12) comunicato loro dall’angelo: “Maria, Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia”. Avendo constatato la veridicità dell’annuncio, diventano essi stessi annunciatori perché ridicono, proclamano che quel neonato è il Salvatore, il Messia, il Signore: tutto questo in un’umanità reale, nella debolezza di un infante che giace non in una culla regale, ma in una greppia di una stalla della campagna di Betlemme. È impossibile per noi seguire il processo della fede dei pastori, ma è certo che essi hanno compreso che l’annuncio dell’angelo andava letto “al contrario”, non seguendo cioè l’immaginazione sollecitata dalle sue parole. Un liberatore, infatti, è un uomo forte; un Messia è un re pieno di potere e circondato da una corte; un Kýrios è un Signore, nome di Dio ma anche titolo dell’imperatore romano regnante, Cesare Augusto: tutto il contrario di ciò che appare agli occhi di questi pastori!

La trasmissione delle parole ascoltate dall’angelo, ridette dai pastori a quanti incontravano, compresi Maria e Giuseppe, desta grande stupore (cf. anche Lc 2,33). E Maria, che aveva ricevuto la stessa buona notizia dall’angelo (cf. Lc 1,26-38), ora se la sente ripetere a voce alta dai pastori. Nel suo cuore, dunque, parole ed eventi si intrecciano, vengono pensati e contemplati, vengono interpretati con l’aiuto della sua fede-fiducia nel Dio che compie la sua parola (cf. anche Lc 2,51). Anche alla nascita di Gesù, Maria ha dovuto ripetere quell’“amen”, quel “sì” pronunciato al momento del concepimento (cf. Lc 1,38) e ha dovuto ridirlo nella fede e nell’amore per Dio, perché non capiva pienamente tutto ciò che avveniva e che stava trasformando la sua vita.

Il Vangelo, la buona notizia, sta facendo la sua corsa sulla terra (cf. 2Ts 3,1), e i pastori che fanno ritorno alle loro greggi compiono le stesse azioni degli angeli, quando li avevano visitati nella notte (cf. Lc 2,13-14): “glorificavano e lodavano Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”. Per loro è chiaro che la parola del Signore è efficace e si realizza sempre (cf. Is 55,10-11; Eb 4,12-13): se la si ascolta e a essa si aderisce, allora si può vedere, constatare la sua puntuale realizzazione!

La narrazione evangelica prosegue raccontando ciò che accade per ogni figlio nella discendenza di Abramo (cf. Gen 17,9-14; Lc 1,59): al compimento dell’ottavo giorno dalla nascita, il bambino viene circonciso, cioè riceve nella carne del proprio corpo un taglio indelebile, che testimonia l’essere in alleanza con Dio. Purtroppo noi cristiani non diamo importanza a questo evento riguardante Gesù, al punto che la riforma liturgica post-conciliare ha stabilito di togliere dal titolo della festa la menzione della circoncisione. Eppure questo atto è importante, perciò va ricordato e sottolineato. Non farlo significa non riconoscere lo spessore della storia e, in definitiva, non accogliere la piena umanità di Gesù, ebreo nato da ebrei nel popolo santo di Israele. La circoncisione è il segno dell’alleanza, un segno permanente nella carne, e proprio perché i cristiani non saranno più tenuti a praticarla, Gesù Cristo ha invece voluto assumerla in fedeltà alla comunione con il suo popolo, portatore delle promesse e delle benedizioni.

La chiesa, nell’occultare o svuotare di significato la circoncisione di Gesù (la Lettera di Barnaba giunge addirittura ad affermare che Maria e Giuseppe circoncisero Gesù su istigazione di un angelo maligno; cf. 9,4!), dimentica che Gesù non è stato un uomo qualsiasi o ideale, ma è stato sárx, carne, in un corpo discendente della stirpe di Abramo: Gesù era un ben Jisra’el, un figlio di Israele! Nel libro dell’Esodo sta scritto che nessun incirconciso può partecipare alla Pasqua, in quanto è fuori dall’alleanza (cf. Es 12,48): per questo Gesù è inserito nell’alleanza, per poter portare a compimento la Pasqua. Noi cristiani, venuti dalle genti, proprio “in lui”, in Cristo, “siamo stati circoncisi non mediante una circoncisione fatta da mano d’uomo con la spogliazione del corpo di carne, ma con la circoncisione di Cristo” (cf. Col 2,11). Dunque Gesù fu circonciso e noi lo ricordiamo innanzitutto a noi stessi, ma anche agli ebrei, perché Gesù appartiene a loro e perché “la salvezza viene dai giudei” (Gv 4,22). Gesù unisce per sempre la chiesa e Israele e, nello stesso tempo, su di lui la chiesa e Israele si separano! Questa ferita non dovrà mai essere taciuta, e chi è sentinella sulle mura della chiesa dovrà sempre gridarla, in obbedienza alle Scritture e al loro compimento.

Insieme alla circoncisione viene anche dato il Nome “Gesù” a quel neonato: Nome che è la sua vocazione, Jeshu‘a, “il Signore salva” (cf. anche Mt 1,21). Sì, il Signore salva, perché “ha visitato e riscattato il suo popolo e ha suscitato per noi una forza di salvezza nella casa di David, suo servo” (Lc 1,68-69). È il Nome datogli dall’angelo (cf. Lc 1,31), nell’ora del concepimento da parte di Maria, Nome che esprime la vocazione e dunque la missione di Gesù. Quel neonato salva Israele e le genti della terra, i pagani: è lui che farà dei due un popolo solo; è lui che farà cadere il muro di separazione, è lui che sarà la pace (cf. Ef 2,14), perché fino a quando durerà il conflitto tra Israele e le genti non vi sarà pace sulla terra.

Chi oggi celebra la giornata mondiale della pace si ricordi di questa buona notizia e non la offuschi con le proprie iniziative o con trovate pastorali sempre nuove, che impediscono al Vangelo di assumere la sua assoluta centralità ed egemonia nella vita personale ed ecclesiale.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/10121-gesu-cristo-la-nostra-pace

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DIVORZIO

Anche la figlia 12enne va affidata ai Servizi Sociali se i contrasti tra i genitori non si placano

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, sentenza n. 27258, 28 dicembre 2016

Per la Cassazione è preminente l’interesse della minore che giustifica l’affidamento ai Servizi Sociali e la limitazione della responsabilità dei genitori. Se la grave conflittualità tra gli ex resta immutata dopo il divorzio, è giustificato l’affidamento ai Servizi Sociali della bambina quasi dodicenne, con collocamento presso la madre e limitazione della responsabilità dei genitori.

Nel procedimento di divorzio di una coppia, la sentenza del Tribunale aveva disposto l’affidamento della figlia ai Servizi Sociali del Comune, con prevalente collocazione presso la madre, limitando la responsabilità dei genitori e attribuendo all’affidatario la facoltà di intervenire nelle scelte mediche, di istruzione ed educative della bambina e di autorizzare i viaggi all’estero di essa. Queste ultime facoltà di intervento venivano però revocate dalla Corte d’Appello che, tuttavia, conferma la parte in cui il giudice di primo grado aveva rigettato l’assegno per la moglie.

La Corte di Cassazione, chiamata dalla madre a esprimersi sulla vicenda, accoglie il ricorso quanto all’assegno alla moglie e all’ascolto della minore. Circa l’assegno di divorzio, per il Collegio il giudice a quo avrebbe errato a non fare riferimento alcuno al tenore di vita pregresso, né al raffronto fra le condizioni economiche delle parti che, come noto, possono costituire indice del predetto tenore di vita. Il giudice di merito si era, infatti, limitato a indicare la professione della moglie, docente universitaria, e la circostanza che ella fosse proprietaria di immobili, senza fare alcun riferimento alle condizioni economiche del marito.

Per quanto riguarda il regime di affidamento della figlia, quasi dodicenne, va sicuramente confermato al Servizio Sociale. Come osservato dal giudice a quo, tale regime è iniziato con il procedimento di separazione, anche a seguito di una C.T.U., stante il grave conflitto fra i genitori, e si è mantenuto anche in sede di divorzio perché la situazione non si era modificata.

Nessun elemento di novità viene segnalato dalla sentenza impugnata: il conflitto perdura, mentre, invece, la bambina, grazie all’intervento dei servizi sociali, si è ben inserita nella scuola e in un circuito di relazioni positive, sviluppando anche rapporti con il padre. L’unica preoccupazione del giudice, come rammentano gli Ermellini, è quella di proteggere l’interesse del minore.

Tuttavia, va precisato che la bambina non è mai stata sentita dai giudici di primo e secondo grado, senza che sul punto la Corte d’Appello abbia fornito alcuna motivazione, anche solo per escludere l’opportunità di un ascolto collegato all’età. Da qui l’accoglimento del ricorso con cassazione della sentenza impugnata sul punto e rinvio al Giudice a quo che dovrà esaminare le condizioni economiche delle parti, provvedere al predetto incombente (ascolto della minore) e valutare anche la circostanza, asserita dal padre controricorrente, circa il nuovo matrimonio della ex moglie.

Lucia Izzo Studio Cataldi 31 dicembre 2016

www.studiocataldi.it/articoli/24553-divorzio-anche-la-figlia-12enne-va-affidata-ai-servizi-sociali-se-i-contrasti-tra-i-genitori-non-si-placano.asp

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Il Forum accusa: “Lo Stato trova i soldi per le banche, non per le famiglie”

Il presidente De Palo: “20 miliardi per le banche si trovano sempre, per una riforma fiscale a dimensione familiare che rilancerebbe il Paese sempre e solo pochi spicci”. “Siamo stanchi di assistere ormai da anni a questo gioco delle parti: 20 miliardi per le banche si trovano sempre, per una riforma fiscale a dimensione familiare che rilancerebbe il Paese sempre e solo pochi spicci”.

Questo il pensiero di Gigi De Palo, presidente nazionale del Forum delle Famiglie. Dei giorni scorsi la notizia che il Governo ha istituito un fondo salva-risparmio di 20 miliardi per la ricapitalizzazione della banca Monte dei Paschi di Siena.

“È veramente un mistero: per salvare le banche si trovano risorse insospettabili, per salvare le famiglie che sono la vera ricchezza del Paese sempre rinvii o scuse. L’anno giusto è sempre il prossimo e intanto viviamo l’inverno demografico più lungo della nostra storia e i nostri giovani emigrano all’estero per realizzare i loro sogni lavorativi e familiari”.

De Palo rileva infine che “le famiglie sono stanche delle promesse, delle belle parole e delle rassicurazioni: prima vengono le persone e le famiglie e poi il resto”

Zenit 30 dicembre 2016

https://it.zenit.org/articles/il-forum-denuncia-lo-stato-trova-i-soldi-per-le-banche-non-per-le-famiglie

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SEPARAZIONE

La separazione dei coniugi.

La separazione personale dei coniugi è un istituto di carattere tendenzialmente transitorio, sia sotto il profilo giuridico che sotto quello “psicologico”, dato che, pur non essendoci divieti al mantenimento sine die della condizione di “separati”, il rapporto di regola evolve o nella riconciliazione tra le parti oppure nella constatazione dell’irreversibilità della crisi, con la possibilità di addivenire alla sentenza di divorzio.

Come vedremo in questa guida, quando una coppia in crisi, si possono verificare tre distinte situazioni:

  1. I coniugi si separano senza che vi sia un intervento giudiziale (c.d. separazione di fatto),

  2. I coniugi presentano ricorso per la separazione consensuale;

  3. i coniugi presentano un ricorso per la separazione giudiziale.

Bisogna considerare che la separazione di fatto, benché possa essere considerata la forma più semplice per separarsi, potrebbe comportare sgradite conseguenze sul piano giuridico (si pensi al caso in cui ad esempio un coniuge faccia mancare i mezzi di sostentamento all’altro coniuge o i figli, esponendosi in tal caso ad iniziative anche di carattere penale). E’ quindi sempre opportuno che la coppia che scelga la strada di una separazione di fatto, lo faccia di comune accordo determinando anche la misura del sostegno economico che un coniuge deve dare all’altro anche per il mantenimento dei figli.

Le forme più comuni di separazione sono però la separazione consensuale e la separazione giudiziale.

La separazione consensuale è caratterizzata da un accordo tra le parti che deve essere omologato dal tribunale.Il procedimento inizia con un ricorso in cui le parti definiscono i loro rapporti anche sotto il profilo patrimoniale. I coniugi si accordano anche in merito al mantenimento all’affidamento dei figli anche se il tribunale dovrà compiere un controllo sulla legittimità della separazione per verificare che il reciproco consenso e si sono date le parti sia legittimo e non leda gli interessi dei figli minori.

La separazione giudiziale. La separazione giudiziale segue un iter più complesso. Il ricorso generalmente viene presentato da uno dei coniugi. Non è necessario, per richiedere una separazione giudiziale, che ci sia stata una violazione degli obblighi che derivano dal matrimonio essendo sufficiente che sussistono circostanze di fatto che rendono intollerabile la prosecuzione del rapporto.

Dopo la separazione. Come detto in partenza la separazione dei coniugi ha un carattere temporaneo. Solo il divorzio è in grado di sciogliere il vincolo matrimoniale, facendo venir meno lo status giuridico di coniuge. Gli effetti che conseguono alla separazione “legale” (che differisce da quella c.d. “di fatto”) comportano solo la sospensione di molti obblighi inerenti ai rapporti personali tra i coniugi (in primis quello di coabitazione e di assistenza morale) e la modifica di alcuni degli obblighi di carattere patrimoniale (basti pensare all’eventuale versamento dell’assegno di mantenimento o alimentare). Come a seguito di divorzio o di annullamento del matrimonio, peraltro, restano invariati i doveri di mantenere, istruire ed educare la prole, tematica che sarà approfondita nella sede specifica.

A cura di: Avv. Valeria Zatti e Dr Licia Albertazzi

www.studiocataldi.it/guide_legali/separazione/separazione-personale-coniugi.asp

 
La separazione “di fatto”.

La principale distinzione che può essere operata all’interno dell’istituto della separazione è quella che contrappone la separazione “legale”, a sua volta di due tipi (giudiziale e consensuale), alla separazione “di fatto”. Per la separazione legale è previsto comunque un vaglio dell’autorità giudiziaria, che interviene stabilendo le condizioni da imporre ai coniugi con sentenza (separazione giudiziale) oppure con l’emanazione di un decreto di omologazione degli accordi raggiunti dai coniugi (separazione consensuale).

La separazione “di fatto”, di converso, rappresenta sicuramente il modo più agevole e rapido per manifestare l’esistenza di una crisi e consiste nell’effettiva interruzione, da parte di uno o di entrambi i coniugi, del proprio apporto “psicologico” e/o patrimoniale alla famiglia.

Il modo più comune di porla in essere è attraverso il dichiarato abbandono del tetto coniugale da parte di almeno uno dei due e l’eventuale accordo circa un sostegno economico alla parte meno agiata. Questa forma di separazione non solo non costituisce valido presupposto per far iniziare a decorrere il termine di tre anni per ottenere il divorzio, ma non produce alcun effetto giuridico, dato che il nostro codice civile, di per sé, non la disciplina affatto.

E’ da precisare, tuttavia, che, in via indiretta, essa può provocare delle conseguenze anche sul piano giuridico: innanzitutto, pur non essendo vietata dall’ordinamento, potrebbe essere addotta quale elemento di addebito ai danni del coniuge che abbia palesemente violato gli obblighi di assistenza morale e materiale e/o di fedeltà.

Si noti però che il Tribunale Milano con sentenza del 12/04/2013 n. 5114 ha stabilito che “La violazione dell’obbligo di fedeltà che risulti successiva alla separazione di fatto dei coniugi non può costituire da sola il presupposto di una dichiarazione di addebito della separazione”.

La separazione “di fatto”, inoltre, è presa in considerazione da alcune normative settoriali, come quella in tema di successione nel contratto di locazione o quella che la indica come una delle cause ostative all’adozione.

E’ da precisare che, proprio per il carattere ontologicamente transitorio della separazione, gli effetti della stessa possono essere fatti cessare tramite l’istituto della riconciliazione (ex art. 154 c.c.). Al fine di favorire al massimo il recupero della sintonia all’interno della famiglia, il legislatore ha previsto che per garantire piena efficacia alla riconciliazione non sia necessaria alcuna formalità particolare, risultando sufficiente, all’uopo, un comportamento di entrambe le parti incompatibile con lo status di “separati”.

Quanto detto vale, è bene precisare, non solo in caso di separazione di fatto, bensì anche in caso di separazione legale. In quest’ultima ipotesi, tuttavia, l’ordinamento prevede due modalità alternative per rendere formale la riconciliazione medesima: l’accertamento giudiziario ovvero, più semplicemente, il rilascio di una dichiarazione congiunta da parte dei coniugi presso il Comune di appartenenza.

E bene anche sapere che secondo la cassazione (sentenza 7369/2012) la cessazione della convivenza anche a seguito di una semplice separazione di fatto “non influisce sulla sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’articolo 572 del codice penale dato che rimangono integri i doveri di rispetto, di assistenza morale e materiale e di solidarietà che nascono dal rapporto coniugale”.

www.studiocataldi.it/guide_legali/separazione/separazione-di-fatto.asp

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UNIONI CIVILI

Una guida legale completa sull’istituto delle unioni civili.

Le unioni civili sono quelle unioni fondate su vincoli affettivi ed economici, alle quali l’ordinamento riconosce uno status giuridico che per molti versi è analogo a quello attribuito al matrimonio. In Italia, esse hanno fatto l’ingresso ufficiale all’interno dell’ordinamento giuridico con l’emanazione della legge numero 76 del 20 maggio 2016 (cd. Legge Cirinnà). Tale legge, più nel dettaglio ha permesso alle coppie dello stesso sesso di stipulare delle unioni civili e alle coppie conviventi, a prescindere dal sesso dei loro componenti, di regolare formalmente la loro convivenza da un punto di vista economico.

Unioni civili: costituzione del vincolo. Le unioni civili possono essere costituite solo tra persone maggiorenni, dello stesso sesso. Queste, a tal fine, devono effettuare una dichiarazione all’ufficiale di stato civile, da rendere alla presenza di due testimoni. Nel documento che attesta la costituzione del vincolo, oltre ai dati anagrafici della coppia, vanno indicati la loro residenza, il regime patrimoniale prescelto tra la comunione dei beni e la separazione dei beni e l’identità, la residenza e i dati anagrafici dei testimoni. L’atto di unione civile è registrato nell’archivio dello stato civile.

Cause impeditive all’unione. Tuttavia, non sempre è possibile costituire un’unione civile. Essa, infatti, trova degli ostacoli insormontabili nell’incapacità di una delle due parti e nella sussistenza di un rapporto di affinità o di parentela tra le stesse. Non è poi possibile costituire tale vincolo se una delle parti è stata condannata in via definitiva per omicidio, anche solo tentato, nei confronti del coniuge o di soggetto già unito civilmente con l’altra o se una delle parti è comunque già sposata o ha un’unione civile con un altro soggetto. Ognuna delle predette cause impeditive genera la nullità dell’unione.

Diritti e doveri. Dall’unione civile, ciascun componente della coppia assume nei confronti dell’altro l’obbligo alla coabitazione e all’assistenza morale e materiale. Ognuno di essi, inoltre, è tenuto a contribuire ai bisogni comuni in relazione alle proprie sostanze e alla rispettiva capacità di lavoro, sia professionale che casalingo. Più in generale, con un’unione civile i partner acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri. Si segnala, tuttavia, che la legge Cirinnà non fa alcun riferimento né all’obbligo di fedeltà né a quello di collaborazione, che invece scaturiscono dal matrimonio.

Regime patrimoniale. Come detto, al momento della costituzione di un’unione civile la coppia è chiamata a scegliere il regime patrimoniale del vincolo tra quello della comunione e quello della separazione dei beni. A ciò si aggiunge che, così come avviene per il matrimonio, il regime ordinario è quello della comunione dei beni e la separazione dei beni resta una possibilità della quale avvalersi in maniera espressa. Sempre con riferimento al regime patrimoniale va poi specificato che anche i soggetti uniti da un’unione civile possono costituire un fondo patrimoniale, dato che a tale vincolo si applica la relativa disciplina, così come quelle dell’impresa familiare, della comunione legale e della comunione convenzionale.

Unione civile e matrimonio. Oltre a tutto quanto visto, l’unione civile si differenzia dal matrimonio per numerosi altri aspetti. Innanzitutto, il cognome di famiglia viene scelto dalla coppia tra i loro, dichiarandolo all’ufficiale di stato civile e fatta salva la possibilità di ognuno di anteporre o posporre il cognome dell’altro al proprio (nel matrimonio civile, invece, è la moglie che aggiunge sempre al proprio cognome quello del marito). Inoltre, se l’unione civile si scioglie, gli effetti sono immediati e non è previsto, come per il matrimonio, un periodo di separazione antecedente al divorzio.

Stepchild adoption. Altra fondamentale differenza rispetto al matrimonio tra coppie eterosessuali è rappresentata dai figli. Oggi in fatti non è riconosciuta la possibilità che il figlio minore di un componente della coppia (nato da fecondazione eterologa o da gestazione per altri) instauri un rapporto di genitorialità sociale con l’altro a seguito di adozione (cd. Stepchild adoption). Bisogna dar conto, tuttavia, del fatto che tale questione è stata molto dibattuta nel corso dell’approvazione della legge, tanto che, contenuta nell’originario disegno di legge, è stata stralciata nella fase che ha portato all’emanazione del testo normativo.

Istituti civilistici. Alle unioni civili si applicano, poi, numerosi istituti tipicamente civilistici, in forza del rinvio contenuto nella legge numero 76/2016. In particolare, alle coppie dello stesso sesso unite con tale vincolo si applicano le discipline relative all’amministrazione di sostegno, all’inabilitazione, all’interdizione e all’annullamento del contratto a seguito di violenza. Si applicano, inoltre, gli ordini di protezione in caso di grave minaccia all’integrità fisica o morale di una delle parti.

Successioni. Una particolare attenzione la merita la disciplina delle successioni, estesa dalla legge Cirinnà anche alle unioni civili. Da tale estensione, infatti, deve farsi discendere innanzitutto che tutta la disciplina della successione legittima riguarda anche la parte dell’unione civile nella medesima maniera del coniuge, con la conseguenza che al partner omosessuale del de cuius spetterà l’intera eredità in mancanza di figli, fratelli, sorelle e ascendenti del defunto; i due terzi dell’eredità in presenza di ascendenti, fratelli o sorelle del defunto; metà dell’eredità in caso di concorso con un solo figlio o un suo terzo in caso di concorso con più figli del defunto. Lo stesso dicasi per la successione ereditaria: anche con riferimento alla relativa disciplina, infatti, il coniuge e la parte di un’unione civile sono interamente equiparati. Di conseguenza, quest’ultima ha sempre il diritto di abitazione sulla casa familiare e di uso sui mobili che l’arredano. Inoltre, al partner omosessuale unito dal de cuius dal vincolo in analisi è riservato un terzo del patrimonio se concorre con un figlio del defunto, un quarto del patrimonio se concorre con più di un figlio del defunto, la metà del patrimonio se concorre con gli ascendenti del defunto. Resta fuori solo la disciplina dettata per la successione del coniuge separato.

Indegnità. L’ingresso delle unioni civili nel nostro ordinamento ha inciso anche sulla disciplina dell’indegnità, idonea a sancire l’esclusione dalla successione. È, infatti, indegno anche chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere il partner dell’unione civile del soggetto al quale si succede (salva la sussistenza di cause di esclusione della punibilità) o ha commesso in suo danno un fatto al quale sono applicabili le disposizioni dettate per l’omicidio. È inoltre indegno chi ha denunciato la parte dell’unione civile per un reato punibile con l’ergastolo o con la reclusione non inferiore a tre anni se tale denuncia è stata accertata come falsa all’esito di un giudizio penale.

Istituti di diritto del lavoro. Venendo, invece, all’ambito del diritto del lavoro, la legge Cirinnà riconosce, in caso di morte del lavoratore, il diritto del partner al pagamento di tutte le indennità previste dalla legge. Peraltro, anche se l’unione civile si scioglie, il partner ha diritto al 40% del T.F.R. dell’ex, maturato negli anni in cui il vincolo era in essere, purché non vi sia stato, successivamente, un matrimonio o una nuova unione civile. Alle unioni civili, si applicano, poi le discipline del congedo matrimoniale e del licenziamento in costanza di matrimonio (da considerarsi nullo), nonché le disposizioni in materia di permessi per lutto o per eventi particolari o per assistere il coniuge disabile e quelle in materia di trattamento economico, per massimo due anni, per assistere una persona affetta da disabilità accertata. Anche il componente di un’unione civile ha, infine, la priorità per la trasformazione del rapporto di lavoro da full time a part time nel caso in cui abbia la necessità di assistere il partner malato oncologico.

Istituti di diritto tributario. Per quanto riguarda gli obblighi fiscali, gli atti giuridici inerenti alle unioni civili non sono specificamente normati. In generale si ritiene che sia il professionista a dover valutare i casi in cui alle parole coniuge o coniugi vadano equiparate le parole “membro/membri di un’unione civile dello stesso sesso”, con conseguente confusione in argomento, alla quale si spera sarà presto posto rimedio.

Decreti attuativi. Resta infine da dire che la legge Cirinnà ha rinviato a dei decreti legislativi attuativi la disciplina di adeguamento dell’ordinamento dello stato civile, delle norme di diritto internazionale privato e dei precetti penali alle unioni civili. I decreti sono stati trasmessi dal Ministero della Giustizia al Governo il 7 dicembre 2016 per il sì finale.

Giurisprudenza. Ecco alcune sentenze interessanti in argomento.

Il giudice italiano, chiamato a valutare la compatibilità con l’ordine pubblico dell’atto di stato civile straniero (nella specie, dell’atto di nascita), i cui effetti si chiede di riconoscere in Italia, a norma della L. n. 218 del 1995, artt. 16, 64 e 65, e D.P.R. n. 396 del 2000, art. 18, deve verificare non già se l’atto straniero applichi una disciplina della materia conforme o difforme rispetto ad una o più norme interne (seppure imperative o inderogabili), ma se esso contrasti con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, desumibili dalla Carta costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

Si tratta, in particolare, della tutela dell’interesse superiore del minore, anche sotto il profilo della sua identità personale e sociale, e in generale del diritto delle persone di autodeterminarsi e di formare una famiglia, valori questi già presenti nella Carta costituzionale (artt. 2, 3, 31 e 32 Cost.) e la cui tutela è rafforzata dalle fonti sovranazionali che concorrono alla formazione dei principi di ordine pubblico internazionale” (Cass. n. 19599/2016).

“Poiché all’adozione in casi particolari prevista dall’art. 44, comma 1, lett. d), L. n. 184/1983 possono accedere sia le persone singole che le coppie di fatto, l’esame dei requisiti e delle condizioni imposte dalla legge, sia in astratto (“la constatata impossibilità dell’affidamento preadottivo”), sia in concreto (l’indagine sull’interesse del minore imposta dall’art. 57, comma 1, n. 2), non può essere svolto – neanche indirettamente – dando rilievo all’orientamento sessuale del richiedente e alla conseguente natura della relazione da questo stabilita con il proprio partner” (Cass. n. 12962/2016).

News Studio Cataldi 27 dicembre 2016

www.studiocataldi.it/guide_legali/unioni-civili

 

Unioni civili: via libera alla reversibilità della pensione.

INPS. Messaggio 5171, 21 dicembre 2016

L’Inps recepisce la Cirinnà ed equipara al coniuge, a fini previdenziali e assistenziali, il componente dell’unione civile. Il componente dell’unione civile è equiparato al coniuge anche ai fini previdenziali e assistenziali. Con il messaggio n. 5171 del 21 dicembre 2016 l’Inps ha recepito le indicazioni contenute nella legge Cirinnà (L. 76/2016) estendendo anche alle unioni civili le tutele e diritti previste per i coniugi, in attesa di nuove istruzioni operative.

La legge, entrata in vigore lo scorso 5 giugno 2016, disciplina le unioni civili tra persone dello stesso sesso, nonché le convivenze di fatto. In particolare, il comma 20 dell’unico articolo dispone, con riferimento alle unioni civili, che “Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole ‘coniuge’, ‘coniugi’ o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché’ negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.

Pertanto, a decorrere dal 5 giugno 2016, ai fini del riconoscimento del diritto alle prestazioni pensionistiche e previdenziali e dell’applicazione delle disposizioni che le disciplinano, il componente dell’unione civile è equiparato al coniuge: tra gli istituti ricompresi emergono, a titolo esemplificativo, la pensione ai superstiti, l’integrazione al trattamento minimo, la maggiorazione sociale, la successione iure proprio e quella legittima.

Con effetto dal 1° luglio 2016 tali istituti saranno dunque riconosciuti anche al componente dell’unione civile ora equiparato, per legge e a tutti gli effetti, al coniuge. Questi potrà beneficiare, ad esempio, di quanto previsto dalle disposizioni di legge sulla pensione ai superstiti, prestazione economica che ricomprende sia la pensione di reversibilità che la pensione indiretta.

L’importo spettante ai superstiti è calcolato sulla base della pensione dovuta al lavoratore deceduto ovvero della pensione in pagamento al pensionato deceduto applicando le percentuali previste dalla L. 335/1995 al componente dell’unione rimasto in vita, in caso di decesso dell’altro, spetterà il 60% del trattamento maturato (o goduto) dal soggetto deceduto, come previsto per il coniuge.

Restano applicabili, anche in questo caso, i limiti di reddito e le disposizioni sulla incumulabilità con redditi personali del beneficiario.

www.inps.it/MessaggiZIP/Messaggio%20numero%205171%20del%2021-12-2016.pdf

Licia Izzo News Studio Cataldi 30 dicembre 2016

www.studiocataldi.it/articoli/24518-unioni-civili-via-libera-alla-reversibilita-della-pensione.asp

 

Unioni civili e matrimonio: differenze e analogie

Unioni civili e matrimonio sono due istituti che prevedono il riconoscimento formale davanti alla legge della coppia, caratterizzati da differenze e molti punti in comune. La legge disciplina in modo diverso le unioni civili – che riguardano solamente persone dello stesso sesso e che per tale motivo in Italia non possono sposarsi, ma desiderano regolamentare la loro unione con un vincolo molto simile a quello matrimoniale – e la convivenza di fatto, che è aperta a tutti e comporta solo il riconoscimento di alcuni diritti e doveri.

L’istituto dell’unione civile, così come il matrimonio, è fondato sulla Costituzione ma si tratta di un istituto diverso dal vincolo nuziale, non è equiparata al matrimonio civile negli aspetti formali e non prevede una cerimonia né adempimenti preliminari, ma tende a ricreare una regolamentazione analoga al matrimonio in relazione ai diritti e doveri che devono ispirare la vita di coppia. Per costituire un’unione civile la coppia semplicemente deve rendere una dichiarazione davanti all’ufficiale di stato civile del comune, alla presenza di due testimoni, e l’unione viene iscritta in un apposito registro.

La legge Cirinnà disciplina i diritti e doveri derivanti dall’unione civile omosessuale, riproducendo, con una eccezione, il contenuto codice civile [Art. 143] sul matrimonio. L’eccezione riguarda l’obbligo di fedeltà: tale distinzione è utilizzata per segnare la differenza tra matrimonio e unione civile. L’unione comporta l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione nonché di contribuire ai bisogni comuni.

Analogamente al matrimonio, il regime patrimoniale dell’unione civile consiste nella comunione dei beni, fatta salva la possibilità che le parti formino una convenzione patrimoniale o di optare per la separazione dei beni.

La legge Cirinnà prevede inoltre che la scelta dell’amministratore di sostegno ricada, se possibile, sulla parte dell’unione civile, così come per l’iniziativa di interdizione e di inabilitazione che, al cessare della causa, può essere revocata.

Infine, stabilisce che, in caso di morte del prestatore di lavoro (partner dell’unione civile) vada corrisposta anche all’altra parte dell’unione sia l’indennità dovuta dal datore di lavoro [Art. 2118 codice civile], che quella relativa al trattamento di fine rapporto.

Matrimonio ed unioni civili sono equiparati anche in relazione a quanto previsto dagli per il matrimonio dello straniero nello Stato, l’allontanamento dalla residenza familiare, la costituzione del fondo patrimoniale e separazione dei beni.

Rossella Blaiotta Lpt 31 dicembre 2016

www.laleggepertutti.it/144382_unioni-civili-e-matrimonio-differenze-e-analogie

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