newsUCIPEM n. 627 – 11 dicembre 2016

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ADDEBITO Le conseguenze dell’addebito nella separazione tra coniugi.
ADOZIONE INTERNAZIONALE Dopo vittoria ‘No’, che succederà nell’adozione internazionale?
ADOZIONI INTERNAZIONALI CAI non risponde: la delegazione boliviana annulla la visita.
AFFIDO CONDIVISO Lo studio. Separazioni meno conflittuali, bambini più garantiti.
AMORIS LÆTITIA I dubbi dei cardinali e la pretesa del Prefetto.
Ermeneutica della continuità. Al Cap. VIII: Dritti al Sodo.
ANONIMATO Il diritto della madre permane anche dopo la sua morte.
ASSISTENZA Il figlio che non aiuta i genitori commette reato.
CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 25/2016, 7 dicembre 2016.
CONFLITTI TRA GENITORI Se i genitori litigano e il figlio soffre è necessario lo psicologo?
CONSULENZA FAMILIARE “Il Consulente familiare” n. 4\2016
CONSULTORI FAMILIARI “Consultori familiari oggi” n. 2\2016
CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Milano 1. Istituto La casa. Proposte 2017.
DALLA NAVATA 35° Domenica tempo dell’Avvento-anno A–11 dicembre 2016.
Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
DEMOGRAFIA Troppe culle vuote l’Europa non investe sul capitale umano.
DIVORZIO La sentenza straniera è sul divorzio, il processo è sulla separazione
GOVERNO Politiche per l’infanzia, Quarto Piano nazionale di azione.
MINORI NON ACCOMPAGNATI Minori stranieri soli: le novità della legge approvata dalla Camera.
Ai.Bi. Emergenza: rilancio dell’accoglienza in famiglia.
PASTORALE FAMILIARE Albano Laziale, le indicazioni sull’assoluzione del peccato d’aborto.
POLITICHE FAMILIARI I dati sulla sussidiarietà familiare in Trentino.
Crescere un figlio in Italia oggi costa poco più di 8.300 euro l’anno.
UCIPEM Nel sito web sono pubblicate 8 relazioni del Congresso di Oristano.
VIOLENZA La Chiesa rompe il silenzio sulle responsabilità del maschio.
Aumento dei maltrattanti che chiedono aiuto.
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ADDEBITO
Le conseguenze dell’addebito nella separazione tra coniugi
Una breve analisi dei principali risvolti patrimoniali della pronuncia di addebito in sede giudiziale.
Nel giudizio di separazione tra coniugi l’addebito in capo ad uno di essi richiede un’apposita domanda di parte tendente a dimostrare che la moglie o il marito, avendo assunto una condotta contraria ai doveri nascenti dal matrimonio, abbia determinato la crisi della coppia.
Giova sinteticamente ricordare che, per fondare una dichiarazione di addebito occorre la prova di un effettivo collegamento tra la trasgressione ai doveri matrimoniali da parte del coniuge e la intollerabile prosecuzione della convivenza. In assenza di tale nesso causale il giudice non potrà pronunciarsi sull’addebito e sarà altresì irrilevante ogni condotta assunta dal coniuge successivamente al verificarsi della crisi coniugale.
La Cassazione, infatti, nel ribadire detto criterio di connessione, esclude l’addebito della separazione addirittura in casi di acclarata infedeltà coniugale, qualora si accerti che quest’ultima non rappresenti la causa diretta della crisi matrimoniale. Pertanto, malgrado l’addebito della separazione possa apparire una conseguenza quasi naturale nelle ipotesi di tradimento, per la giurisprudenza ciò non è sempre così scontato.
Nello specifico, infatti, per la declaratoria di addebito nel giudizio di separazione, il giudice conduce un’indagine sull’intollerabilità della convivenza effettuando una valutazione di carattere globale e comparando le condotte assunte da entrambi i coniugi. In altri termini, ogni opportuno riscontro o valutazione giudiziaria non potrà fondarsi esclusivamente sul comportamento adottato dal coniuge “trasgressore”, poiché soltanto dalla predetta complessiva valutazione potrà evincersi la rilevanza ed il peso reale che le rispettive condotte hanno avuto nella crisi coniugale. In ragione di quanto sopra, il presunto tradimento non assume alcuna rilevanza ai fini dell’addebito della separazione, laddove il coniuge “colpevole” dimostri in giudizio che la propria infedeltà sia intervenuta in realtà quando la situazione di coppia si palesava già del tutto compromessa.
Senza pretesa di esaustività si osserva, inoltre, che le conseguenze di una pronuncia di addebito coinvolgono in particolar modo l’ambito patrimoniale del coniuge tacciato di “colpevolezza”. L’effetto primario dell’addebito infatti è certamente rinvenibile nella perdita, da parte del coniuge che lo subisce, del diritto all’assegno di mantenimento eventualmente riconosciutogli in sede di separazione. In altri termini, quand’anche il coniuge responsabile della crisi coniugale manifesti una condizione economica tale da giustificare il riconoscimento dell’assegno soprindicato, esso non ne avrà comunque diritto. Ne deriva pertanto che il riconoscimento all’assistenza materiale scaturente dal matrimonio si conserverà soltanto in favore del coniuge cui non è addebitabile la separazione. Quest’ultimo infatti, a seguito di un accertamento sulla propria situazione reddituale, potrà giovarsi dell’assegno di mantenimento garantendosi lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio.
Ciononostante è importante chiarire che l’eventuale declaratoria di addebito in capo al coniuge trasgressore non impedirà a quest’ultimo, ricorrendone i presupposti di legge, di godere del diritto agli “alimenti” nei confronti dell’altro coniuge. Vale a dire che l’assegno “alimentare” dovrà comunque essere versato a prescindere dalla responsabilità in ordine alla separazione, stante la differente funzione degli “alimenti” rispetto a quella dell’assegno di “mantenimento”. Giova infatti ricordare che, mentre l’assegno di mantenimento persegue lo scopo di garantire, al coniuge che ne beneficia, il godimento e la conservazione delle medesime condizioni economiche esistenti durante il corso del matrimonio, l’assegno alimentare viene riconosciuto invece al fine di consentire al coniuge economicamente più debole i mezzi necessari e sufficienti per far fronte alle esigenze economiche legate al soddisfacimento dei propri bisogni primari.
È di palmare evidenza quindi come il diritto agli alimenti abbia quale suo imprescindibile presupposto l’acclarata impossibilità, da parte del coniuge interessato, di poter provvedere autonomamente al proprio sostentamento economico in quando sprovvisto di un reddito personale. La prestazione alimentare potrà poi essere adempiuta mediante un assegno da corrispondersi periodicamente o finanche accogliendo e mantenendo nella propria abitazione colui che ne beneficia. Ad ogni modo l’autorità giudiziaria potrà, a seconda delle circostanze, determinare modalità e tempi della somministrazione.
Di notevole rilevanza sono poi gli effetti della pronuncia di addebito della separazione in ambito successorio. Il coniuge separato con addebito perde infatti i diritti di successione inerenti allo stato coniugale, conservando tuttavia soltanto il diritto ad un assegno vitalizio qualora, all’apertura della successione dell’altro coniuge, egli già godeva dell’assegno alimentare a carico di quest’ultimo. Preme al riguardo aggiungere che pur in assenza di un formale provvedimento di riconoscimento del diritto agli alimenti, l’assegno indicato potrebbe essere giudizialmente disposto in favore del coniuge bisognoso qualora, all’apertura della successione, egli palesi un oggettivo stato di bisogno.
Benché non pacificamente si sostenga in dottrina e giurisprudenza la sua natura alimentare, il descritto vitalizio di cui gode il coniuge superstite con addebito ha chiaramente natura assistenziale e successoria. Esso costituisce in particolare un legato ex lege da commisurarsi sia in relazione alle sostanze ereditarie sia al numero degli eredi ed il cui adempimento grava su questi ultimi in proporzione alle rispettive quote ereditarie. Infine preme ricordare che il suo ammontare non potrà eccedere l’importo dell’assegno alimentare percepito prima della morte del coniuge alimentante.
Ulteriore effetto dell’addebito della separazione lo si rinviene in tema di prestazioni previdenziali riconosciute al coniuge defunto, quali ad esempio il diritto alla pensione di reversibilità ed altre indennità previste dalla legge. Mentre infatti al coniuge separato “senza addebito” spetterà certamente il diritto a tali prestazioni previdenziali, il coniuge separato “con addebito” conserverà ugualmente il diritto a percepire dette corresponsioni soltanto sul presupposto dell’effettivo godimento, in vita dell’altro coniuge, dell’assegno alimentare.
Infine, preme sottolineare che l’eventuale pronuncia di addebito non condiziona in alcun modo l’adozione di provvedimenti da parte dell’autorità giudiziaria sull’affidamento dei figli. L’interesse morale e materiale di questi ultimi è infatti del tutto disancorato dall’accertamento sulla responsabilità in ordine alla separazione e alla consequenziale declaratoria di addebito. Tuttavia qualora si dimostri che l’atteggiamento del coniuge colpevole possa esercitare una qualche influenza negativa sull’educazione e sulla morale dei figli, la pronuncia di addebito non sarebbe sgombra da interferenze rispetto ai provvedimenti di affidamento dei figli stessi. Per approfondimenti vai alla guida legale “L’addebito della separazione”
www.studiocataldi.it/guide_legali/separazione/addebito-separazione.asp
Avv. Pino Cupito Newsletter giuridica studio Cataldi.it 9 dicembre 2016
www.studiocataldi.it/articoli/24262-le-conseguenze-dell-addebito-nella-separazione-tra-coniugi.asp
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
Dopo vittoria ‘No’, ora che succederà nell’adozione internazionale?
“Il mondo delle adozioni internazionali conta poco, che rilevanza politica possono avere quelle poche migliaia di famiglie che cercano di dare una famiglia a dei bambini abbandonati? “. Deve essere stato questo il pensiero del premier Renzi (in quanto Presidente del Consiglio ha la diretta responsabilità sull’adozione internazionale) da quando si è insediato a Palazzo Chigi, quasi 3 anni fa.
Infatti come è stata incomprensibile la scelta di affidare a Silvia Della Monica, già vicepresidente anche la delega di Presidente della CAI (Commissione Adozioni internazionali), creando così le premesse di una gestione assolutamente monocratica, autoreferenziale e non collaborativa, così del tutto inspiegabili sono stati i successivi comportamenti del Premier, inossidabile e sordo agli appelli che quotidianamente si levavano dalle famiglie adottive, associazioni familiari ed enti autorizzati.
Tre anni “costellati” da oltre 60 interpellanze parlamentari di denuncia dello stallo e dell’inefficienza della Commissione; articoli pubblicati sui maggiori quotidiani, servizi tv, programmi di approfondimento giornalistico e di inchiesta sui circuiti nazionali e internazionali; proteste di piazza e incatenamenti davanti Montecitorio nel tentativo disperato di fare sentire la propria voce che invece è rimasta per tutti questi anni inascoltata.
In un clima surreale si è assistito ad una paralisi progressiva: la Commissione non si è mai riunita; non si sono mai espletate riunioni con gli enti autorizzati; non sono stati convocati dei tavoli operativi; qualsiasi comunicazione con le famiglie è stata interrotta; la linea verde sospesa; i rimborsi per le adozioni internazionali destinati alle famiglie non sono stati più dati; delegazione dei Paesi esteri annullate, crediti per progetti di Cooperazione internazionale non pagati agli enti; e ancora, personale della CAI che va riducendosi sempre più senza essere sostituito: ne è un esempio il caso del Dirigente generale, Anna Siggillino, il cui mandato è scaduto e, fino a questo momento, non è stato affidato a un’altra persona.
Tre anni in cui si è assistito ad una situazione da tutti definita surreale: una “zona franca” all’interno della nostra Repubblica dove democrazia e legalità sono state sospese.
Ma soprattutto questo stato di cose ha portato alla nascita di una assurda stagione di veleni da cui è scaturito un clima odio, mai conosciuto prima: fazioni di enti contro altri enti, famiglie contro famiglie, di schieramenti “pro” e “contro” la CAI, di vera e propria caccia alle streghe, di accuse infondate e non verificate, dinamiche e meccanismi da vera e propria macchina del fango.
Eppure il sistema dell’adozione internazionale dovrebbe essere – e così è stato per alcuni periodi fortunati – il “luogo” della massima collaborazione fra Stato, Enti e famiglie in cui l’obiettivo finale è quanto di più meraviglioso si possa immaginare: ovvero dare una famiglia ad un bambino abbandonato, il più grande atto di giustizia che sulla terra un uomo e una donna possano fare.
Con il risultato che sempre meno famiglie si sono avviate all’adozione internazionale che in questo modo ha iniziato la sua fase “calante” verso una lunga e lenta agonia.
Un improvviso entusiasmo ha rianimato tutti quando lo scorso 21 giugno 2016 il governo Renzi ha nominato presidente della Cai, il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi: sembrava essere un momento di svolta e soprattutto di presa di consapevolezza che bisognasse mettere ordine in questo delicato settore e fare ripartire le adozioni internazionali in nome della legalità e trasparenza con le famiglie e con gli enti autorizzati.
Incoraggiati da quanto la stessa Boschi aveva dichiarato in audizione in commissione Giustizia lo 20 luglio 2016, che non solo avrebbe convocato la CAI già in settembre 2016, ma avrebbe dato il via ad un concreto programma di ripresa. Anche qui un’altra cocente delusione: i mesi sono passati invano e nulla è successo. Anzi uno scontro istituzionale fra Presidente e Vicepresidente ha fatto piombare la CAI in una paralisi totale.
Che potevano fare quindi le famiglie adottive? Da povere Cenerentole hanno fatto sentire la loro flebile voce: fra le tante questioni del referendum così importanti come, la legge elettorale o l’abolizione del bicameralismo perfetto, ci sono anche le deboli voci di migliaia di bambini abbandonati che chiedono in silenzio una chance nella loro vita.
E ora che succederà? Noi rivolgiamo in primo luogo a colui che in questo difficile frangente dovrà garantire il passaggio da un governo ad un altro (se sarà questo che dovrà avvenire) il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, chiunque sarà alla guida della CAI, si ponga innanzitutto un primario obiettivo: porre fine a questa stagione di veleni e di odio, ristabilendo un clima di reciproco rispetto e collaborazione per gettare le basi di una rifondazione del sistema adozione internazionale.
Archivio News Ai. Bi. 5 dicembre 2016
www.aibi.it/ita/dopo-vittoria-no-ora-che-succedera-nelladozione-internazionale-porre-fine-al-clima-di-odio-e-veleni-di-questi-3-anni-per-gettare-le-basi-di-una-rifondazione-del-sistema
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ADOZIONI INTERNAZIONALI
Dalla CAI nessuno risponde: la delegazione boliviana annulla la visita istituzionale in Italia
Dopo il Vietnam si aggiunge alla lista un’altra occasione mancata: la Bolivia. Una delegazione dell’Autorità centrale boliviana per le adozioni internazionali sarebbe dovuta arrivare in visita istituzionale in Italia nei prossimi giorni, ma in realtà nessun aereo con i rappresentati del Paese sudamericano partirà mai alla volta dell’Italia. E a farne le spese saranno ancora i bambini in attesa di essere accolti dalle famiglie italiane.
Il motivo? Il silenzio della Cai (Commissione adozioni internazionali) italiana. Da quanto, infatti, si apprende da fonti ufficiose, le autorità boliviane non hanno ricevuto alcun risposta alle proprie richieste di appuntamento e incontro (risalenti a settembre e ottobre scorsi) alla CAI e nello specifico a Silvia della Monica. Richieste cadute nel vuoto.
E così un altro Paese estero non toccherà suolo italiano. Ad ottobre scorso è stata la volta della delegazione vietnamita: scopo della visita sarebbe stato il rinnovo degli accreditamenti degli enti autorizzati da parte della autorità centrale del Paese: sarebbero rimasti nel nostro Bel Paese alcuni giorni, fino al 21 ottobre. Ma non avendo ottenuto alcun riscontro da parte della CAI hanno dovuto rinunciare. E il tutto si è concluso con un nulla di fatto.
Una paralisi totale dimostrata anche dal fatto che, tra l’altro, dall’inizio di ottobre, la CAI non ha più un dirigente generale. Il mandato triennale ricoperto fino a circa un mese fa dalla dottoressa Anna Siggillino (colei che fra l’altro presiede alla organizzazione delle delegazioni estere) è scaduto e, fino a questo momento, non è stato affidato a un’altra persona. Un vero peccato soprattutto alla luce della decisione di novembre 2015 quando la Bolivia decise di riaprire le adozioni internazionali dopo ben 7 anni di chiusura, accreditando 5 enti italiani, tra cui Amici dei Bambini [e l’Istituto La casa di Milano (UCIPEM], ed un ente spagnolo ad operare per i prossimi anni nel Paese sudamericano con l’obiettivo di ridare una famiglia a tanti bambini abbandonati.
L’importanza dell’operato degli enti autorizzati era stata sottolineata dal ministro degli Esteri boliviano David Choquehuanca che aveva fatto notare come, proprio grazie agli enti, le adozioni internazionali avessero regole più chiare e si potesse garantire una maggiore sicurezza ai minori: da qui la richiesta di approfondire la conoscenza del sistema Italia tramite l’invio di un’apposita delegazione. A quanto si apprende la delegazione delle autorità boliviane visiterà alcuni paesi europei, saltando ahinoi, lo scalo di Roma Fiumicino.
Archivio News Ai. Bi. 5 dicembre 2016
www.aibi.it/ita/adozioni-internazionali-dalla-cai-nessuno-risponde-la-delegazione-boliviana-annulla-la-visita-istituzionale-in-italia
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AFFIDO CONDIVISO
Lo studio. Separazioni meno conflittuali, bambini più garantiti
Una riflessione sul diritto alla co-genitorialità in caso di divorzio che rilancia la strada dell’affido materialmente condiviso. Anche i dati Istat mostrano l’inefficacia della legge n. 54/2006.
Perdere i genitori. Una tra le prospettive peggiori che possano toccare a bambini e ragazzi. Sempre più spesso non è solo la morte che allontana le madri e, soprattutto, i padri dai loro figli. Divorzi e separazioni conflittuali hanno frequentemente l’effetto di determinare una conflagrazione a catena che rende impossibile il diritto-dovere della genitorialità. Non si tratta di casi eccezionali. Soltanto in Europa ci sono dieci milioni di minori che vivono la tragedia di una separazione non “dei” genitori, ma “dai” genitore, o almeno da uno di loro.
In Italia, i figli coinvolti nelle disgregazione familiari sono oltre un milione, solo nell’ultimo decennio. Un evento doloroso, che si incide profondamente nel cuore di bambini e ragazzi. Una svolta esistenziale che anche dopo 10, 20 o 30 anni dall’episodio determina danni psico-biologici gravi. Le ricerche sul tema sono numerose. Negli Usa la correlazione tra divorzio conflittuale e salute dei bambini coinvolti è accertata fin dagli anni Ottanta. Anche in Europa tanti studi, dopo gli anni Novanta, sono giunti alla medesima conclusione.
Non era mai stata realizzata però una ricerca che prendesse in esame le conseguenze sui figli in base alla “qualità” della separazione. Tanto più lacerante risulta l’addio, tanto più la sofferenza dei figli sfocia in situazione patologiche. L’autore dello studio, pubblicato qualche giorno fa sulla rivista Health Psicology Open, è il pediatra italiano Vittorio Vezzetti, presidente dell’associazione di genitori separati “Figli per sempre” e membro del Comitato Scientifico dell’International Council on Shared Parenting che si batte per l’introduzione dell’affido “materialmente” condiviso.
Una differenza sostanziale rispetto all’affido “nominalmente” condiviso come esiste in Italia. Proprio l’inefficacia della nostra legge, la n. 54 del 2006, rende particolarmente urgente riflettere sui risultati a cui è approdato Vezzetti. Sia per valutare possibili interventi preventivi sul piano sociale e culturale che possano contribuire a contenere la crescita delle separazioni. Sia per sollecitare modifiche a una legge che, come confermato dall’Istat nell’ultimo dossier sul tema, ha lasciato di fatto invariati, o addirittura ha finito per peggiorare, gli indicatori determinati dalla scelta dell’affido condiviso all’italiana. Quello cioè che non modifica i comportamenti educativi dei genitori e non stabilisce accordi preventivi sulle modalità con cui occuparsi in modo congiunto e condiviso dei figli. L’affido “materialmente” condiviso, definito appunto shared parenting, prevede infatti che in sede giudiziaria venga stabilito e sottoscritto un protocollo dettagliato su come andranno gestiti tempi e scelte, spese e altri dettagli riguardanti la giornata del minore che vive la separazione dei genitori.
La differenza tra le due impostazioni è sostanziale. Nei Paesi europei dove l’affido “materialmente” condiviso è entrato nella legislazione – esemplare il caso svedese – la condizioni di salute dei figli sono nettamente migliori.
Lo studio di Vezzetti è partito da questa constatazione. «La premessa d’obbligo – spiega – è che fino a pochi anni fa la ricerca in questa area si è concentrata sugli effetti del divorzio “tout court”, considerando i figli del divorzio come un gruppo omogeneo e senza valutare la coesistenza di altre situazioni avverse». L’errore collegato è stato di attribuire alla semplice separazione conseguenze legate invece alla perdita genitoriale o al conflitto familiare di lunga durata. «Tutte quelle situazioni – prosegue l’esperto – sono assai meno frequenti in caso di affido materialmente condiviso». La ricerca elenca nel dettaglio le conseguenze che possono verificarsi nei minori in caso di conflitto familiare persistente. «Inimmaginabili fino a poco tempo fa e assai gravi. Si sono accertati – osserva Vezzetti – disturbi ormonali, del sistema immunitario, danni a livello cromosomico per usura della parte protettiva terminale, aumento di fattori come le citochine che hanno influenza negativa sullo sviluppo di tumori e malattie infiammatorie croniche. Si è poi constatata una influenza negativa sulla statura: nelle femmine solo per causa della morte paterna, nei maschi sia in caso di morte che di perdita susseguente a rottura familiare».
Al contrario, quando l’affido è “materialmente” condiviso e si sono stabiliti tempi pari o equipollenti per quanto riguarda la presenza dei genitori con i figli, non solo si riduce il conflitto ma si apre la strada ad un maggior benessere generale dei minori. «Certo – ammette Vezzetti – al momento si tratta di dati statistici e non si riesce a definire scientificamente un rapporto causale diretto». Ma il principio di precauzione dovrebbe indurre a prendere in esame questi risultati con tutta l’attenzione dovuta al futuro dei nostri figli.

Diritto al co-genitorialità. Italia fanalino di coda. Bambini più garantiti in Svezia, Belgio e Danimarca
In Svezia oltre il 30% dei bambini possono contare sul diritto alla co-genitorialità in caso di divorzio. Questo diritto, nella ricerca realizzata dal pediatra Vittorio Vezzetti “Nuovi approcci al divorzio con i bambini: un problema di salute pubblica”, viene misurato sulla base del tempo effettivamente trascorso con i genitori. Più la suddivisione è equa, sulla base di un protocollo educativo condiviso da papà e mamma e sottoscritto davanti al giudice, più il punteggio è elevato. Al secondo posto, nella classifica che tutela questi diritti, c’è il Belgio (oltre 20%). Al terzo Francia, Danimarca e Spagna, con differenze tra il meno 20% e il più 8%. Sotto al 3% – fanalino di coda – troviamo l’Italia in compagnia di Grecia, Portogallo, Romania, Slovacchia e Austria. I dati sono in stretta correlazione alla presenza nei vari Paesi di leggi sull’affido “materialmente” condiviso. Dove esistono buone leggi (Svezia, Belgio, Danimarca), meno conflittuale è il divorzio e meno conseguenze si registrano sui figli.
Affido condiviso, legge da rivedere. La legge 54 del 2006 sull’affido condiviso? Un fallimento. Lo spiega il rapporto “Matrimoni, separazioni e divorzi 2015” che l’Istat ha diffuso lo scorso 14 novembre 2016.
www.istat.it/it/files/2016/11/matrimoni-separazioni-divorzi-2015.pdf?title=Matrimoni%2C+separazioni+e+divorzi+-+14%2Fnov%2F2016+-+Testo+integrale.pdf
«A distanza di dieci anni dall’entrata in vigore della legge è possibile verificare in che misura la sua introduzione abbia modificato alcune caratteristiche delle sentenze emesse dai tribunali». Il dossier prende in esame alcuni parametri. Nel 2005 (prima cioè dell’introduzione della legge) i figli affidati esclusivamente alla madre erano l’80,7%. Nel 2015 sono diventati solo 8,9%. Un successo, sembrerebbe, se non si dicesse che la nostra legge prevede il cosiddetto “genitore collocatario”, quello cioè dove il minore stabilisce la sua residenza. Ebbene, in quasi il 90% dei casi, questo genitore è sempre la madre. Nel 2005 la casa coniugale veniva assegnata alle moglie nel 57,4% dei casi.
Nel 2015 la percentuale è addirittura aumentata, toccando il 60% dei casi. Pressoché identica anche la quota di separazioni con assegno ai figli corrisposto dal padre. Erano il 95,4% nel 2005. E il 94,1% nel 2015. Non è cambiata neppure la quota media dell’assegno. Ammontava a 483 euro dieci anni fa e – probabilmente complice la crisi e il progressivo impoverimento dei padri separati – 485,43 euro nel 2015. Numeri significativi da cui si evince che «ad accezione della drastica riduzione della proporzione di figli minori affidati in modo esclusivo alle madri, tutti gli altri indicatori non hanno subito modificazioni di rilievo». Inutile sottolineare che questa situazione dipende in larga parte da un’applicazione discrezionale della legge. I giudici, in altri termini, hanno continuato a comportarsi come se la legge non esistesse.
«Ci si attendeva – osserva ancora il dossier Istat – una diminuzione della quota di separazioni in cui la casa coniugale è assegnata alle mogli e invece si registra un lieve aumento». Va anche detto che, con il Decreto legge 132 del 2014 sugli accordi extragiudiziali, una parte della procedura amministrativa, relativa soprattutto alle separazioni consensuali, vede coinvolti direttamente o indirettamente anche gli ufficiali di Stato civile. Le osservazioni sulla sostanziale inefficacia della legge n. 54 del 2006 rimangono comunque inalterate. Si tratta di una norma che non ha inciso né sull’atteggiamento culturale dei magistrati, né sul benessere dei figli coinvolti nella separazione. E non ha ridotto in alcun modo neppure il tasso di conflittualità tra gli ex coniugi che, come più volte ribadito, è determinato in buona parte dalle divergenze legate all’assegno di mantenimento
Luciano Moia Avvenire 10 dicembre 2016
www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/separazione-famiglia
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AMORIS LÆTITIA
I dubbi dei cardinali e la pretesa del Prefetto.
Negli ultimi giorni due interventi diversi, ma entrambi assai significativi, hanno permesso di comprendere meglio la fase della “recezione” di Amoris Lætitia Da un lato abbiamo letto una intervista in cui il Cardinale Prefetto G. L. Mueller (di cui riferisce Radio Vaticana il 2 dicembre 2016)
http://it.radiovaticana.va/news/2016/12/02/intervista_al_card_m%C3%BCller_sulla_lettera_di_4_cardinali/1276440
esprime alcune idee su AL e sui dubbi dei 4 Cardinali di cui è utile parlare con una breve riflessione di chiarificazione. D’altro canto un bravo teologo come Pietro Cantoni ha scritto un prezioso commento ad AL – e in particolare al capitolo VIII
http://alleanzacattolica.org/riflessioni-a-proposito-dellesortazione-apostolica-post-sinodale-amoris-laetitia-di-papa-francesco
– che getta luce sugli spazi di recezione illuminata e lungimirante che attendono la pastorale familiare ed ecclesiale dei prossimi anni. Cerco di presentare anzitutto la posizione espressa dal card. Mueller e di rispondere ad essa anche attraverso lo scritto del prof. Cantoni.
Prima di arrivare alla presentazione di queste posizioni voglio però anticipare una bella conclusione, che traggo subito dal lucido scritto di Cantoni. Egli osserva con acume, concludendo il suo ragionamento: “Il contro-rivoluzionario deve stare attento a non cadere in quella che può essere definita la sua «malattia infantile»: l’estremismo. Non si è più contro-rivoluzionari di altri perché si trasforma tutto in dogma o perché si è favorevoli a un rigorismo sempre più radicale. I dogmi fondamentali della nostra fede sono i dodici articoli del Credo. I comandamenti sono dieci, non undici o dodici, e nemmeno nove. L’entusiasmo del contro-rivoluzionario sta nella sua disponibilità alla lotta per la Verità e la santità. La sua «esagerazione» sta sul versante della fede, della speranza e dell’amore, per i quali non esiste un «troppo». Neppure il minimalismo nella lettura del magistero lo deve conquistare.”
Come vedremo, proprio in questa “esagerazione contro-rivoluzionaria” – o di resistenza ad ogni riforma – sta un aspetto assai delicato della recezione di AL.
La “pretesa contro-rivoluzionaria” del Card. Mueller Un sito internet bene informato riferisce con precisione l’espressione utilizzata dal Cardinale Prefetto di fronte non tanto alla lettera dei 4 cardinali – su cui di per sé non si pronuncia – quanto sul suo contenuto: “il porporato ha risposto che «questo documento [Amoris Lætitia, ndr] non deve essere interpretato in modo tale da indicare che le precedenti dichiarazioni dei papi e della Congregazione della Dottrina della fede non sono più valide». Poi, in modo esplicito, il cardinale ha fatto riferimento alla risposta ufficiale che la Dottrina della fede diede, nel 1994, a 3 vescovi tedeschi (Kasper, Lehman e Saier) che in una lettera pastorale annunciavano la permissione all’accesso all’eucaristia per i divorziati risposati. Quella lettera, firmata dall’allora prefetto cardinale Joseph Ratzinger, stigmatizzava chiaramente la fuga in avanti dei tre vescovi.” Un prima osservazione sorge immediata: è singolare che, a fronte del testo di AL (2016), il Prefetto citi una risposta ufficiale del 1994, che tuttavia non poteva tener conto di Amoris Lætitia, ma solo del testo di Familiaris Consortio. Questa sfasatura temporale appare molto più significativa di quanto possa sembrare.
Una posizione sorprendente, ma non troppo. La sorpresa che sorge di fronte alla posizione espressa da Mueller è duplice:
Da un lato, egli parla come se vi fosse una regola che prevede che un documento magisteriale, espressione del Sinodo dei Vescovi e fatto proprio da un papa nei termini di una Esortazione Apostolica, possa parlare soltanto all’interno dello spazio concesso dai documenti precedenti. Su questo punto Mueller avrebbe forse dovuto dubitare prima rilasciare questa dichiarazione. I 4 cardinali dubitano su ciò che è chiaro, ma un quinto cardinale non dubita su ciò che non è affatto chiaro. Anzi, a me pare francamente infondato sostenere che una Esortazione Apostolica sia vincolata da una precedente Esortazione Apostolica. Come Familiaris Consortio ha innovato rispetto alla disciplina precedente, così Amoris Lætitia può innovare rispetto alla disciplina di Familiaris Consortio. Questo dice non solo la tradizione magisteriale della Chiesa, ma anche la semplice logica comune.
D’altro lato, vi è qui una condizione particolarmente delicata del Prefetto, che presiede alla Congregazione che dovrebbe vigilare perché i dubbi infondati siano superati, mentre i dubbi fondati siano riconosciuti e presi in carico. E’ sorprendente che il Card. Mueller enunci un principio del tutto arbitrario, secondo il quale una nuova Esortazione Apostolica sarebbe strutturalmente e necessariamente tenuta a mantenere valide le discipline del magistero precedente. Tuttavia la sorpresa non diminuisce se si tiene conto che per risolvere l’imbarazzo si ritorna al 1994. Bisogna riconoscere che la posizione espressa dalla Congregazione nel 1994 è inevitabilmente superata proprio dalla evoluzione della disciplina portata da AL. Il principio espresso dal Cardinale Prefetto, assunto nella sua rigidità, annullerebbe ogni cambiamento del magistero ecclesiale e non riuscirebbe a spiegare non tanto AL, ma l’intera evoluzione della disciplina matrimoniale, dal IV secolo in poi. Esso sembra rispondere ad una “strategia di immunizzazione dalla autorità”, che si è diffusa nel corpo ecclesiale a partire dagli anni 80 del secolo scorso e che risulta funzionale ad una “conservazione ad oltranza” rispetto alle istanza di riforma che il Concilio Vaticano II aveva introdotto nel corpo ecclesiale. Per recepire la Riforma bisogna riconoscere di averne il potere. Se la Chiesa si spoglia di ogni autorità, risulta bloccata nelle discipline acquisite dal passato, senza alcune possibilità di mutamento. Ciò che si è utilizzato per numerosi altri casi precedenti (sul ministero diaconale, sul ministero femminile, sulla unzione dei malati, sulla riforma del messale, sulla traduzione in lingua volgare…), oggi si vorrebbe applicare anche a AL. Se ogni nuovo documento è vincolato dalla validità indiscutibile dei precedenti, la Chiesa non ha storia. Se c’è una “storia della salvezza” è perché lo sviluppo storico è in grado di elaborare riletture della tradizione che possono trovare nuove strade di attuazione del vangelo che riducono o superano la validità di strade precedenti. Se i Vescovi pre-tridentini spesso non erano residenti, e il concilio di Trento ha preteso la loro residenzialità nelle diocesi di cui erano titolari, questo non è avvenuto con la preoccupazione che restasse valido ciò che prima era stato osservato e realizzato.
La pacata considerazione del prof. Don Pietro Cantoni. Negli stessi giorni in cui abbiamo letto questa intervista, la sorpresa che abbiamo provato nel leggere gli scritti e i detti cardinalizi si è mitigata grazie alla “fides quaerens intellectum” espressa con particolare lucidità dal teologo Pietro Cantoni. Nel rinviare alla lettura di tutto il suo testo, che è documento di pacata ed esigente riflessione teologica, vorrei sottolinearne solo alcuni aspetti decisivi:
Qualcosa è cambiato ed è necessario un approccio “critico” alla tradizione: “Riformare vuol dire cambiare. Non cambiare tutto, passando da un tutt’altro a un tutt’altro, perché questa sarebbe una rottura, ma certamente sviluppando. «È proprio in questo insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi che consiste la natura della vera riforma». Quando vi è una riforma vi è un «insieme di continuità e discontinuità»”.
-Dopo aver individuato nella “confessione” il luogo della soluzione “nuova” e dopo aver passato in rassegna i limiti delle soluzioni classiche (nullità, astinenza, morte morale) Cantoni scrive: “Il Papa a questo punto apre una nuova via: quella di astenersi dal considerare come obbligo tassativo la separazione dalla persona con cui si condivide una seconda unione, perché potrebbe coincidere in concreto con il tentativo di risolvere un male con un altro male.”
-A ciò aggiunge, con molta chiarezza: “una persona legata a un matrimonio canonicamente valido che ha contratto una nuova unione nella quale ha avuto dei figli. Poniamo il caso che la rottura precedente sia colpevole: da questo peccato può essere perdonato. Ora rimane nell’unione irregolare per il bene dei figli. Questo fatto non è soggettivamente peccaminoso, lo rimane solo oggettivamente. Benché la questione sia dibattuta fra teologi e canonisti, si può sostenere — era la posizione del grande teologo Melchior Cano (1509-1560) — che un matrimonio puramente civile contratto fra battezzati, se da una parte non coincide in modo assoluto con il sacramento, dall’altra non è un semplice concubinato (16). Consigliare a un divorziato risposato, che ha già sulla coscienza la rottura di una unione, di frantumare anche la nuova unione irregolare o di viverla «come fratello e sorella», non si rivela sempre un buon consiglio.”
Con ancora maggior chiarezza, analizzando la posizione sul matrimonio del Concilio di Trento, Cantoni afferma: “Che il sacramento del matrimonio sia indissolubile è una verità di fede, che in concreto non possano esistere situazioni in cui una nuova unione non possa essere tollerata non lo è.”
Dopo aver considerato sia il livello della autorità sia il livello della “missionarità” della Esortazione, egli conclude: “Il contro-rivoluzionario deve stare attento a non cadere in quella che può essere definita la sua «malattia infantile»: l’estremismo. Non si è più controrivoluzionari di altri perché si trasforma tutto in dogma o perché si è favorevoli a un rigorismo sempre più radicale. I dogmi fondamentali della nostra fede sono i dodici articoli del Credo. I comandamenti sono dieci, non undici o dodici, e nemmeno nove”.
Le parole sagge di questo teologo suonano molto lontane dal rigido “estremismo controrivoluzionario”, al quale sembra inclinare non solo la lettera dei 4 cardinali, ma anche una parte della intervista dal Card. Mueller.
d) La tradizione è una lampada. Vorrei concludere con una frase, che in questi giorni è circolata sul “web” e che risulta particolarmente adeguata al complesso processo di recezione di AL. Essa interpreta la “tradizione” con la immagine di una lampada e suona così: “Tradition is a lantern. The fool will hold on to it and the clever will let it lead the way” (G. B. Shaw): “La tradizione è una lanterna: lo stolto si aggrappa ad essa, mentre il saggio si fa guidare lungo la via”
Una idea statica di tradizione è il problema sotteso sia alla lettera dei 4 cardinali sia al commento del Cardinale Prefetto. La dinamica introdotta da papa Francesco – non da solo, ma sulla base dell’ampio confronto sinodale – è lo sblocco di un irrigidimento recente, e tutt’altro che classico. Esso risale alla reazione di diffidenza rivolta dapprima verso il mondo tardo-moderno – tra XIX e XX secolo – e poi verso il Concilio Vaticano II. La recezione di AL implica perciò il superamento di un concetto statico di tradizione: in altri termini di quella “eresia moderna” che si chiama tradizionalismo. Amoris Lætitia realizza un atto di traduzione della tradizione: in una forma tradizionale e apertamente non tradizionalistica
Andrea Grillo in “Come se non” – 5 dicembre 2016
www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non

Ermeneutica della continuità. Amoris Laetitia. Cap. VIII: Dritti al Sodo
È chiaramente apparso nel quadro delle discussioni sul blog con alcuni interlocutori che c’è bisogno di fare un Bignami del Capitolo VIII di Amoris Lætitia (AL VIII) così da avere sotto mano la proposta del Magistero del 2016 riguardo alle situazioni dette irregolari.
Domanda 1: ad oggi (10 maggio 2016) esiste per la Chiesa anche un solo caso che preveda che a una coppia di divorziati risposati si possa concedere di essere riammessi alla eucarestia? (Ovviamente parliamo di persone con il primo matrimonio non nullo, e che hanno regolari rapporti sessuali e non sono disposti a smettere di averli). La risposta possibile è SI (esiste una fattispecie). NO (non esiste)? Risposta: Sì, esistono alcuni casi particolari in cui la Chiesa preveda da un punto di vista di efficacia pastorale che una persona (non per forza la coppia in quanto tale) divorziata risposata possa accedere all’Eucarestia. (Cf. Anche le domande 2, 3 e 9).
Domanda 2: In caso positivo (SI) tale situazione è variata in positivo a valle della AL VIII, oppure era così anche prima della AL VIII stessa? Risposta: No, questa situazione NON è variata rispetto a quel che è avveniva prima nella Chiesa: Amoris Lætitia Cap. VIII ha semplicemente reso pubblicamente conosciuta da tutti una pratica che è sempre stata il modo ordinario di procedere di qualunque confessore e persona in carica di anima.
Domanda 3: Quali sono i casi in cui la Chiesa oggi 10 maggio 2016 prevede l’ammissione all’Eucarestia? Risposta: Concretamente quelli descritti nel capitolo VIII della A.L. nella sezione intitolata “Le circostanze attenuanti nel discernimento pastorale” che si possono anche ritrovare riassunte nel post Arcana Amoris Laetitiae. Questi casi sono quelli da sempre descritti nel Catechismo e sono validi per l’imputabilità o no (che è quel che conta per non avere o avere accesso all’Eucarestia) di qualunque peccato e sono al numero di 8:
a) eventuale ignoranza della norma;
b) pur conoscendo bene la norma, l’avere grande difficoltà nel comprendere ” valori insiti nella norma morale”;
c) condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa (cioè assenza oggettiva di libertà, visto che solo la libertà può fondare la qualità di un atto morale);
d) più generalmente dal timore (ad esempio rischio di non sostentamento);
e) dalle (cattive) abitudini (le quali necessitano una particolare pedagogia per liberarsene);
f) dagli affetti smodati (che necessitano una particolare maturazione umana);
g) da altri fattori psichici (une persona squilibrata non può essere tenuta pienamente responsabile);
h) da fattori sociali (asseconda dei luoghi e delle leggi civili).
Domanda 4: Chi valuta il grado di applicazione di queste 8 circostanze attenuanti? Risposta: Resta al confessore valutare questi elementi e vedere se concedere o no l’assoluzione al caso per caso (per questo non è una faccenda di coppia ma individuale) e se la coppia di divorziati in questione veramente partecipa per altro attivamente alla vita della loro Chiesa.
Domanda 5: È vero che ALVIII intende ridurre le esigenze evangeliche sul matrimonio e l’adulterio? Risposta: NO! Al punto 301 A.L. sottolinea con forza che “c’è una questione di cui si deve sempre tenere conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo. “.
Domanda 6: Nella eccezione (b) di cui sopra, (“pur conoscendo bene la norma, l’avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale»”) rientra una casistica potenzialmente infinita di persone (forse una larga fetta del mondo odierno). Dare al confessore la possibilità di giudicare sulla stessa è una contraddizione in termini, perché è evidente che chi si presenta al confessionale pretendendo di essere assolto per un peccato che comunque tornerà a commettere, lo fa perché non si rende conto della gravità morale dello stesso? Risposta: Non sarà il punto (b) sia quello il più “in voga” tra queste circostanze attenuanti: infatti nel caso specifico dei divorziati risposati non ci troviamo davanti ad un peccato una tantum ma di fronte a una persona che permane in una situazione oggettiva di peccato mortale. Frequentando la Chiesa e il sacramento della riconciliazione, la comprensione di questa persona sull’insegnamento della Buona Novella per forza aumenterà con il tempo e con la grazia di Dio ricevuta appunto dall’assoluzione stessa: lo vediamo, a titolo di esempio e mutatis mutandis, anche nel caso dei membri dirigenti della FSSPX (Fraternità Sacerdotale San Pio X) i quali, da quando ricevono validamente l’assoluzione durante quest’anno della Misericordia, cominciano di nuovo ad aprirsi all’idea di ritornare in piena unione con la Chiesa cattolica, anche se non capiscono ancora che sono nell’errore. Su questo punto (b) anche Mons. Livi, abbastanza critico sull’opportunità pastorale della AL VIII riconosce che, in fin dei conti, siamo di fronte ad un caso praticamente meramente teorico.
Domanda7: Quale sarà la circostanza attenuante la più considerata nel quotidiano pastorale? Risposta: Il circostanza attenuante veramente importante dal punto di vista pastorale è il punto (c) di cui sopra e cioè “quando le condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa”: sarà su questa valutazione che la maggioranza dei sacerdoti dovranno affrontare e cioè valutare presso il divorziato risposato la sua effettiva libertà di poter vivere pienamente e concretamente l’ideale evangelico e decidere se sì o no dare l’assoluzione e permettere l’accesso al sacramento dell’Eucarestia.
Domanda 8: Quando lo scandalo (la pietra d’inciampo) è pubblico si può o non si può comunicarsi pubblicamente? (Cioè paragonando Familiaris Consortio 84 con AL VIII, c’è o non c’è contraddizione dottrinale?). Risposta: La Familiaris Consortio nel suo paragrafo 84 fa esattamente come AL, cioè ricorda la dottrina e dispiega una pastorale che il Magistero pensa la meglio adattata per quei tempi. Essa afferma infatti che “La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. “Esattamente quel che insegna Amoris Lætitia.
Domanda 9: Ma è vero che in AL VIII chi chiunque sia divorziato risposato potrà ormai essere ammesso alla comunione in opposizione alla Familiaris Consortio 84? Risposta: In nessuno punto di A.L. vi è scritto che chi è divorziato risposato possa essere ammesso all’Eucarestia, casomai vi è sottolineato, in perfetta coerenza con il CIC dello stesso San Giovanni Paolo II, può essere ammesso all’Eucarestia solo chi beneficia di circostanze attenuanti (ed è al confessore di valutarle non al singolo individuo) in quanto fortemente inciampanti la loro libertà di scelta (e quindi la possibilità di agire moralmente).
Domanda 10: Ma c’è contraddizione tra AL VIII e la seconda parte del paragrafo 84 di Familiaris Consortio dove fa un’osservazione di puro stampo pastorale e non dogmatico: “C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio.“ e dove per soddisfare questa preoccupazione pastorale ai fedeli era dunque richiesto di ricevere la comunione sia privatamente sia in una chiesa dove non erano conosciuti? Risposta: Qui, nella A.L., c’è un cambiamento oggettivo di prospettiva pastorale, nel senso in cui (a torto o a ragione) il Magistero del 2016 pensa:
(a) che il fatto che i divorziati risposati limitati nell’espressione pratica della loro libertà individuale (a causa delle proprie circostanze attenuanti) possano lo stesso ricevere l’eucarestia pubblicamente non possa indurre in errore i fedeli circa al Dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio;
(b) si passa pastoralmente di fronte ad un peccato pubblico da una presunzione di colpevole responsabilità fondata sulla oggettiva distorta situazione familiare a quella di una presunzione di innocenza fondata sulle possibili soggettive circostanze attenuanti, basandosi sul fatto che, ad ogni modo, il foro interno è quello che primeggia nella relazione con Dio e che le circostanze attenuanti non sono date essere conosciute da terzi con perfetta oggettività.
Domanda 11: Ma cosa ci chiede Papa Francesco a noi cattolici fedeli che facciamo di tutto per seguire la Via Stretta indicataci da N. S. Gesù Cristo e che desideriamo formare i nostri figli, nipoti e pronipoti a non ingaggiarsi nella Via Larga che porta alla sicura perdizione? Risposta: il Magistero di Papa Francesco, sempre inerrabile, chiede ai cattolici che vedono un divorziato risposato comunicarsi di non pensare che il divorzio e l’adulterio possano essere ormai cosa buona per l’insegnamento cattolico in certe circostanze(quel che vorrebbero i progressisti di turno), ma che pensino, molto più semplicemente e cattolicamente, che quella persona è innocente della situazione nella quale si trova in virtù di varie circostanze attenuanti non per forza apparenti e quindi non porta colpa.
By Simon de Cyrène on 10 maggio 2016
https://pellegrininellaverita.com/2016/05/10/amoris-laetitia-cap-viii-dritti-al-sodo
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ANONIMATO
Il diritto della madre permane anche dopo la sua morte
Tribunale per i Minorenni di Venezia, sentenza n. 16, 20 settembre 2016.
Diritto all’anonimato della madre permane anche dopo la sua morte – tutela del diritto all’anonimato non solo della madre, ma anche della realtà familiare ed affettiva connessa alla stessa. E’ interessante segnalare, accanto alla sentenza della Corte di Cassazione n. 15024 del 2016 (riportata), questa pronuncia del Tribunale per i Minorenni di Venezia, intervenuta successivamente, che si colloca in radicale contrasto rispetto alla prima.
Il Tribunale veneziano mostra, infatti, di non aderire al principio espresso dalla Suprema Corte: secondo i giudici veneziani il diritto della madre all’anonimato non deve essere inteso ad esclusiva tutela della stessa, bensì anche di una “possibile realtà familiare ed affettiva a lei connessa”, che permane, dunque, anche dopo la sua morte. Accanto all’interesse della donna potrebbe sussistere un interesse più ampio della famiglia “legittima” e dei suoi componenti, atto a giustificare la permanenza e quella “cristallizzazione”, tanto scongiurata dalla Corte, del diritto all’anonimato materno anche post mortem.
In realtà, tale pronuncia appare legata ad un contesto sociale, di vita e di costumi appartenente all’epoca passata e si mostra disancorata rispetto all’evoluzione del diritto nazionale e, soprattutto, sovranazionale che, quale inevitabile specchio dell’evolversi dei costumi sociali, delle recenti e rilevanti scoperte scientifiche, è teso sempre più a dare riconoscimento e tutela al diritto dell’individuo a conoscere le proprie origini biologiche, come espressione e sviluppo della persona nella sua realizzazione individuale e sociale.
Stando alla pronuncia dei giudici veneziani, tale diritto dell’individuo si troverebbe ad essere sacrificato non solo in favore di un diritto all’anonimato materno (che, come si è detto, è ed è stato oggetto di una delicatissima e scrupolosa operazione di bilanciamento), ma anche in favore di un non meglio identificato interesse di “una realtà familiare ed affettiva” collegata alla madre, rispetto al quale non si comprende la ragione di conferire una tutela così “rafforzata”, tanto da farlo prevalere sul diritto dell’individuo a conoscere le proprie origini.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 15024, 21 luglio 2016
Diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini biologiche – diritto all’anonimato della madre è inoperante oltre il limite della vita della stessa – il decesso della madre comporta un affievolimento delle ragioni di protezione della donna – reversibilità del segreto. La Suprema Corte, richiamando la decisione della Corte Costituzionale n. 278 del 18.11.2013 (che aveva dichiarato l’incostituzionalità con gli artt. 2 e 3 della Cost. dell’art. 117, 2 comma D. Lgs. 196/2003 nella parte in cui non prevedeva la possibilità per il giudice di interpellare, su richiesta dell’adottato, la madre biologica per verificare la persistenza della sua volontà di non essere nominata), nonché plurime fonti normative europee ed internazionali, che conferiscono.
Sentenza www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=13145
Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori. AIAF – Newsletter 6 dicembre 2016
www.aiaf-avvocati.it/l-aiaf
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ASSISTENZA
Il figlio che non aiuta i genitori commette reato
Tribunale di Firenze – Sentenza n. 3964/2016.
Corte di Cassazione, quinta Sezione penale, sentenza 44089, 18 ottobre 2016.
Scatta l’abbandono di persone incapaci per il figlio che omette di prestare cura e assistenza al genitore in difficoltà. Se il figlio non aiuta il genitore che si trova in difficoltà scatta il reato di abbandono di persone incapaci. Lo ha affermato il tribunale di Firenze (con la recente sentenza n. 3964/2016) confermando la condanna nei confronti di un uomo che si era disinteressato totalmente della propria madre, affetta da psicosi cronaca con deficit cognitivo, e lasciata a vivere isolata e in stato di degrado sia morale che materiale.
Per il giudice, il disinteresse mostrato dall’uomo era da ritenersi volontario, per cui nessun dubbio sul fatto che l’omissione di prestare cura e assistenza al genitore in difficoltà, pur sapendo che egli non avrebbe potuto provvedere a se stesso, fosse idonea a far scattare l’ipotesi di reato ex art. 591 c.p.
La giurisprudenza in materia. La pronuncia della sezione penale fiorentina si pone, del resto, perfettamente in linea con l’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, per la quale, il delitto di cui all’art. 591 del codice penale è integrato allorquando un soggetto tenga condotte contrarie all’obbligo giuridico di cura sullo stesso gravante e si verifichi un pericolo per la persona trascurata.
Proprio di recente, ciò è stato affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 44098/2016, confermando la condanna, per abbandono di persone incapaci, nei confronti di una figlia che aveva lasciato il padre anziano da solo
www.studiocataldi.it/articoli/23762-cassazione-lasciare-il-padre-anziano-da-solo-e-reato.asp
A nulla è valso, nel caso di specie, la lamentela della donna che l’obbligo di assistenza al genitore non gravasse sulla stessa, in quanto il padre non era affidato alla sua custodia.
Il figlio, infatti, riveste una posizione di garanzia nei confronti del genitore. Il dovere giuridico, oltre che morale, di cura ravvisabile in capo al primo nei confronti del secondo, deriva anzitutto dalla “corretta interpretazione sistematica delle norme di livello costituzionale riguardanti il riconoscimento della famiglia come società naturale (art. 29 Cost.), il suo inquadramento tra le formazioni sociali ove si svolge la personalità dei singoli e l’adempimento dei doveri di solidarietà sociale (art. 3 Cost.) – nonché – da quelle del codice civile che impongono il dovere di rispetto dei figli verso i genitori, che diventa concretamente stringente in caso di stato di bisogno ed incapacità del singolo a provvedere al proprio mantenimento (art. 433 c.c.)”. A tali principi si aggiungono le norme contenute nel codice civile sull’amministrazione di sostegno, dirette ai figli, per l’attivazione di meccanismi giuridici di protezione dei genitori non autonomi.
Il tutto in chiara armonia con l’antico ma chiaro indirizzo della giurisprudenza in materia, che ha ritenuto “il valore etico sociale della sicurezza personale come bene/interesse tutelato dalla norma incriminatrice (591 c.p.), senza porre limiti nell’individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di assistenza e cura” (cfr. Cass. n. 290/1993).
La norma di cui all’art. 591 c.p. tutela, infatti, il valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo e in questa prospettiva “nessun limite si pone nella individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di custodia e di assistenza che realizzano la protezione di quel bene e che si desumono dalle norme giuridiche di qualsivoglia natura, da convenzioni di natura pubblica o privata, da regolamenti o legittimi ordini di servizio, rivolti alla tutela della persona umana, in ogni condizione ed in ogni segmento del percorso che va dalla nascita alla morte”.
Ad ogni situazione che esige detta protezione fa riscontro uno stato di pericolo che esige un pieno attivarsi, sicché ne deriva che ogni abbandono diventa pericoloso e l’interesse risulta violato anche quando sia solo relativo o parziale.
Marina Crisafi news studio Cataldi 2 dicembre 2016
www.studiocataldi.it/articoli/24232-il-figlio-che-non-aiuta-i-genitori-commette-reato.asp
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CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF
Newsletter n. 26/2016, 7 dicembre 2016.
Quinto festival della famiglia di Trento. I giovani raccontano agli adulti tutti i loro desideri. Quest’anno il tema dei tre giorni di convegno era “Denatalità, giovani e famiglie: le politiche di transizione all’età adulta”. E la novità principale è stata l’idea di far parlare i ragazzi, a partire dal progetto STRIKE!, bando che in poche settimane ha raccolto storie di giovani che si sono costruiti un futuro, e che attraverso difficoltà e fallimenti hanno inventato una professione, un progetto di vita, un sito, un mestiere.
Link per
Commento di Francesco Belletti, direttore Cisf e moderatore della tre giorni trentina.
Articolo di presentazione di STRIKE, su Famiglia Cristiana on line.
Ricerca sui giovani in Trentino, con dati locali e confronti internazionali, presentata durante il Festival.
Dalla rivista famiglia domani. Nei giorni 12-13 novembre 2016 si è svolta a Codogno (Lodi) la 28a “Redazione Allargata” di Famiglia Domani, Convegno annuale della rivista. “Partendo dai racconti evangelici delle tentazioni di Gesù, i relatori del Convegno hanno tentato di collegare le prove che il Maestro ha dovuto sostenere nel deserto, dopo 40 giorni di digiuno, con le prove a cui le famiglie sono sottoposte nella loro vita quotidiana”. Questi temi verranno trattati nei quaderni nell’annata 2018.
Link per gli Atti.
Un sito europeo per tutelare i bambini su Internet (Better Internet for Kids – BIK). Si tratta di una piattaforma on-line che, su mandato dell’Unione Europea, offre servizi differenziati, con l’obiettivo primario di far dialogare provider, industrie del settore, utenti, associazionismo e enti pubblici, per migliorare la qualità e la sicurezza dei contenuti per bambini presenti sulla rete.
link per Better Internet for Kids – BIK.
ULTIMI ARRIVI DALLE CASE EDITRICI: Scarmagnani Marco, Maschile & Femminile. Domande e risposte per la coppia di oggi, Editore Sempre, Rimini, 2016, pp. 224, €. 10,00. Il volume è costruito con una selezione di domande e risposte nella rubrica “Stato di famiglia”, che l’autore tiene da diversi anni su SEMPRE, mensile della Comunità Papa Giovanni XXIII; l’autore è quindi “messo alle strette”, da domande precise, esplicitate in non più di dieci righe (“un uomo in carriera”, “perché essere fedeli”, “mio marito mi picchia”…), cui occorre dare risposte precise, non evasive né tantomeno teoriche. Si respira, nelle domande e nelle risposte, il profumo della quotidianità della vita di coppia, nelle sue fatiche, nelle sue difficoltà, e nel coraggio, da parte di uno o di entrambi i partner, di riuscire a chiedere un parere a un terzo. Un libro che si può leggere tutto d’un fiato, oppure centellinare pagina per pagina, soffermandosi sulle risposte a situazioni che tantissime coppie possono tranquillamente riconoscere nella propria quotidianità. Il continuo riferimento alle differenze tra maschile e femminile è poi particolarmente prezioso in un momento storico in cui questa differenza (e ogni differenza, a dire il vero) sembra dare scandalo, e quindi viene ferocemente negata, anche contro ogni riscontro di realtà. In ogni caso ha ragione Costanza Miriano, nella prefazione al volume, quando dice che “rimane il rammarico di non sapere come andrà a finire ognuna di queste storie. Vorrei invitare a cena metà degli autori delle lettere, farmi dire come stanno, farmi spiegare se e perché hanno mollato oppure deciso di non arrendersi”. Ma soprattutto, il pregio del volume, sempre con le parole di Costanza Miriano, è il tono delle risposte, che hanno “…la prodigiosa, quasi stupefacente capacità di rovesciare sempre il punto di vista, di trasformare i problemi in opportunità, di trovare un angolo da cui ribaltare la situazione, un modo creativo e coraggioso di non arrendersi di fronte ai problemi”. Un volume che dà speranza e fiducia, perché, come dice l’Autore nella breve introduzione, “come sposi, come fidanzati, anche come single in attesa, abbiamo bisogna di nutrimento, non di veleno. Di annusare fiducia, non diffidenza … [serve] creatività per dire una parola buona, creatività nel rilanciare ad oltranza, creatività nell’incoraggiare dove c’è scoraggiamento, per dare speranza dove c’è disperazione”.
Francesco Belletti – Cisf
Save the date
Nord. Coltivare e promuovere contesti sicuri per bambini e ragazzi. Nuove traiettorie per la prevenzione e il contrasto del maltrattamento, VII Congresso nazionale CISMAI; Bologna, 10-11 febbraio 2017.
Centro. Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali (BES), Corso di alta formazione, IGEA-Centro di Promozione Salute, Roma, 25-26 marzo, 1-2 aprile 2017.
Sud: Crisi familiare: problema o opportunità? Disagio familiare, deontologia e vissuto dell’operatore sociale, metodo delle Family Group Conference. Incontri di formazione promossi da progetto Famiglia in varie città della Campania: San Giuseppe Vesuviano (6 dicembre 2016), Salerno (16 dicembre 2016), Napoli (22 dicembre 2016), Pompei (17 gennaio 2017), Torre del Greco (7 febbraio 2017).
Estero: New Social Issues – The Child in the Center of the Debate, First International Conference on Childhood and Adolescence, Social Pediatrics Section of the Portuguese Pediatrics Society, Porto, 26-28 gennaio 2017.
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CONFLITTI TRA GENITORI
Se i genitori litigano e il figlio soffre è necessario lo psicologo?
Tribunale di Roma, prima Sezione civile, Decreto 7 ottobre 2016.
Il genitore che non segue il sostegno psicologico indicato dai servizi sociali, esasperando i litigi con l’ex coniuge, e scaricando su questi tutte le colpe, provoca sofferenze nel figlio e perciò può perdere l’affidamento.
È vero: non si può imporre a nessuno un trattamento medico, tantomeno psicologico, ma se in mezzo ci sono i figli e questi soffrono per via dei continui litigi dei genitori, il giudice può consigliare loro di frequentare un percorso di sostegno, con la “minaccia” che, se non lo faranno, il loro comportamento sarà poi valutato ai fini della decisione sulla causa di separazione o divorzio. È quanto chiarito dal Tribunale di Roma con un recente decreto che ricalca un orientamento già percorso in passato dallo stesso foro.
È obbligo dei genitori, in conflitto tra loro, seguire un idoneo percorso di sostegno tutte le volte in cui il figlio mostri una evidente sofferenza emotiva. Ciò vale sia per il padre sia per la madre. Il genitore può sempre rifiutarsi di seguire il sostegno psicologico indicato dal giudice, su suggerimento dei servizi sociali, ma tale comportamento potrà essere considerato ai fini dell’eventuale revoca dell’affidamento. Si tratta infatti di una condotta che impedisce una corretta crescita del figlio.
Il principio di bigenitorialità – che vuole che ogni bambino possa gioire dei rapporti con entrambi i genitori e non di uno soltanto – impone che mamma e papà vadano d’accordo almeno quando si tratta di far stare bene i propri figli, e quindi non creino conflitti esacerbati – anche se c’è già stata la separazione o il divorzio – che potrebbero allontanare i minori dall’uno o dall’altro genitore. O, peggio, da entrambi.
Nel caso di specie, il consulente tecnico, nominato dal giudice, non aveva rilevato difficoltà del minore di riferirsi né al padre né alla madre, ma erano stati rilevati comunque gravi e diretti danni alla sua crescita. Nella perizia veniva evidenziate, nel bambino, «capacità grafiche inferiori alla sua età cronologica». Dai suoi disegni emergeva «una realtà psicologica segnata da … rabbia, bisogno di stabilità e sensazione di vuoto, difficoltà di identificazione». C’è «l’immagine di un bambino lacerato dalla conflittualità esistente tra i due genitori, i quali vivono il proprio ruolo in modo competitivo e soprattutto fanno passare le comunicazioni (tra loro ndr) attraverso il figlio medesimo, secondo quindi una evidente simmetricità, sia nei conflitti che nel coinvolgimento del figlio».
I litigi tra genitori fanno crescere male i figli. La sofferenza emotiva di un minore discende, principalmente, dai litigi dei genitori. Spesso la conflittualità si manifesta in un continuo attribuire all’altro le colpe di tutto. Il tutto induce nel bambino un conflitto di lealtà ed autorepressione.
Per questo il Tribunale può disporre, come onere di entrambi i genitori, di seguire il percorso di sostegno che verrà suggerito dai servizi sociali, disponendo che questi ultimi debbono «vigilare sulle condotte dei genitori» segnalando poi alla Procura presso il Tribunale per i minorenni quelle condotte che siano contrarie all’interesse del minore rispetto alle disposizioni impartite.
Redazione Lpt 8 dicembre 2016 n.
Decreto www.laleggepertutti.it/142314_se-i-genitori-litigano-e-il-figlio-soffre-e-necessario-lo-psicologo
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CONSULENZA FAMILIARE
“Il Consulente familiare” n. 4\2016
E’ in distribuzione la rivista trimestrale di ottobre/dicembre 2016 – anno 27, organo dell’Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari(AICCeF).
Lettera della Presidente Rita Roberto e Assemblea ordinaria dei Soci. Bologna 9 ottobre 2016.
Il corso abilitante al livello di consulente supervisore.
Linee guida per il tirocinio dei consulenti familiari AICCeF.
Dossier La documentazione del proprio lavoro nel rapporto tra Consulente e struttura (a cura di Claudia Monti).
La terapia famigliare negli Stati Uniti. Jeremy Pierce.
“L’albero della coppia”. Uno strumento per la consulenza di coppia. Ivana de Leonardis.
www.aiccef.it
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CONSULTORI FAMILIARI
“Consultori familiari oggi” n. 2\2016
E’ in distribuzione il periodico semestrale di luglio/dicembre 2016 – anno 24, della rivista Organo della Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione cristiana (CFC).
Livia Cadei Editoriale: La cura delle esperienze ordinarie e straordinarie in famiglia.
Antonio Bellingreri: Breve fenomenologia del dialogo.
Mariella Bombardieri e Alessandra Zanelli: La consulenza genitoriale.
Jean-Claude Kalubi, Céline Chatenoud, Caroline Samson: Évaluation par les parentes du développement de l’enfant et d’age scolaire.
Sergio Passeri: “Un corpo mi hai dato”. Appunti per un’etica teologica della sessualità.
Daniela Notarfonso: Valorizzare la differenza sessuale. Antidoto e prevenzione della ideologia del Gender.
Silvio Premoli, Camilla Perseu: L’affido familiare attraverso gli occhi dei figli naturali.
Emanuela La Fede: “Disomologare” la cura.
www.cfc-italia.it/cfc/index.php/articolo-2
www.ancoralibri.it/index.php?route=information/information&information_id=33
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Milano 1. Istituto La casa. Proposte 2017.
Percorsi nell’attesa. Cicli di 3 incontri per coppie in attesa di adozione: dr Chiara Righetti.
P1 – Se prima eravamo in due… Il passaggio da coppia coniugale a coppia genitoriale.
P2 – Mamma e papà ditemi no! Il bisogno di regole e confini.
P3 – Tanto non sono capace! Come aiutare i bambini che non hanno fiducia in loro stessi.
P4 – Finalmente insieme…ma che fatica! I primi mesi insieme.
P5 – Adozione e famiglia allargata: istruzioni per l’uso.
P6 – Uno per tutti, tutti per uno. L’adozione di fratelli.
Laboratori: Cicli di 2 incontri per coppie in attesa di adozione: dr Viviana Rossetti
L1 – Raccontami la mia storia: le parole per parlare di adozione.
L2 – E se c’era il lupo cattivo? Storie di abuso e maltrattamenti.
Post adozione.
AD – Gruppo adozione nazionale. Ciclo di 6 incontri per genitori con figli 0-3 anni: dr Chiara Righetti
A – Adolescenti e adozione. Ciclo di 2 incontri per genitori adottivi di adolescenti: dr Daniela Sacchet
AC – Il bimbo adottato in classe. Gruppo per insegnanti: dr Daniela Sacchet
Proposte di gruppi (non adozione)
GC – Genitori a confronto. Ciclo di 3 incontri per riflettere insieme, mettere in comune esperienze, sentirsi meno soli nell’accompagnare la crescita dei figli preadolescenti e adolescenti: dr Laura Scibilia
NET- Internet, smartphone e social network. Nuove abitudini che possono preoccupare o interrogare i genitori
Ciclo di 3 incontri per genitori di figli preadolescenti e adolescenti: dr Matteo Ciconali
G – Genitori e DSA. Ciclo di 2 incontri per genitori di figli con certificazione di Disturbo Specifico dell’Apprendimento: come aiutare i ragazzi, come relazionarsi con gli insegnanti: dr Viviana Rossetti
TA – La trasgressività in adolescenza: quale significato darle, come si manifesta, come affrontarla. Ciclo di 3 incontri per genitori di figli preadolescenti e adolescenti: dr Matteo Ciconali
CC – Costruire la coppia. Spazio di confronto e di riflessione di gruppo sulla relazione di coppia. Ciclo di 5 incontri per coppie: dr Maria Gabriela Sbiglio e dr Francesca Neri
GA – Gruppo di parola. Gruppo per bambini che hanno vissuto o stanno vivendo la separazione o il divorzio dei genitori: dr Daniela Sacchet
DMT mamma-bambino (7-10 anni). Per migliorare il rapporto, gioire di un momento di confronto con altre mamme e bambini adottati: dr Maria Gabriela Sbiglio
SM – Spazio Migranti. Gruppo di attività di arte terapia e danza/movimento terapia e sostegno alle relazioni interpersonali aperto a tutte le nazionalità: dr Maria Gabriela Sbiglio
Il calendario degli incontri verrà fissato sulla base delle richieste pervenute. Gli interessanti possono scrivere a info@istitutolacasa.it
Incontri informativi di presentazione dell’ente e del percorso adottivo
L’Istituto La Casa organizza periodicamente incontri di presentazione dedicati alle coppie in attesa di adozione che vogliano conoscere meglio il nostro modo di operare e lo svolgimento del percorso adottivo tramite il nostro Ente. Gli incontri sono gratuiti e aperti a tutti, previa iscrizione
Sede: Istituto La Casa. Via Lattuada 14 Milano. Zona Porta Romana (M3 fermata Porta Romana)
Per informazioni e iscrizioni, contattare la Segreteria Adozioni al numero 02 55 18 92 02
oppure via e-mail all’indirizzo adozioni@istitutolacasa.it
Corso pre-adozione – Formazione alla genitorialità adottiva da frequentare prima del conferimento di incarico. 6 incontri di 2 ore, lunedì o mercoledì – ore 21.00. Corso a pagamento: € 250 a coppia.
(Non è possibile iscriversi online, telefonare alla segreteria: 02 55 18 92 02)
Gruppi di lingua per coppie adottive. Corso a pagamento: € 100 a persona. Cicli di 8 incontri di 2 ore.
S1 – Spagnolo – Lunedì: ore 19.00 – 21.00.
B1 – Bulgaro – Sabato: ore 10.30-12.30.
Date da definire. Chi fosse interessato, può scrivere all’indirizzo: info@istitutolacasa.it
Altri dati http://www.istitutolacasa.it/showPage.php?template=istituzionale&id=7
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DALLA NAVATA
3° Domenica tempo dell’Avvento-anno A–11 dicembre 2016
Isaia 35, 04. Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi.”
Salmo 146, 06. Il Signore rimane fedele per sempre.
Giacomo ..05. 10. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.
Matteo 11, 06. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!

Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
In questi tempo dell’attesa del Veniente le tentazioni sono molte: perché continuiamo ad attendere, mentre passano i millenni? Chi è il Veniente che sarà manifestato da Dio? In questa attesa non ci sbagliamo? Anche chi ha una fede salda può conoscere queste tentazioni e non è esentato dall’attraversare ore di desolazione e di oscurità, chiedendosi se non si è sbagliato, se non ha frainteso la promessa del Signore. Perché anche una vita che vuole essere convinta risposta a una chiamata di Dio, anche una vita impegnata nella sequela di Gesù, può giungere a chiedersi se tutta l’avventura non sia stata un’illusione… Soprattutto quando si cerca di valutare i frutti della fatica fatta e l’esito del cammino percorso, tutto può apparire deludente, non all’altezza di ciò che si era sperato e perseguito.
Nel vangelo secondo Matteo questa prova viene vissuta anche da Giovanni il Battista. Si era sentito chiamato da Dio al deserto, aveva radunato una piccola comunità di discepoli in attesa del Messia e per rivelazione di Dio aveva visto in un proprio discepolo, Gesù, il Veniente al quale egli doveva preparare la strada. Fedele alla parola di Dio contenuta nella profezia e da lui meditata e assimilata, nell’annunciare quella venuta e quella presenza Giovanni si era servito delle immagini tradizionali: sarà un uomo forte, ripieno della forza dello Spirito santo, sarà il Salvatore e il Giudice con la scure in mano per tagliare gli alberi infruttuosi e con il ventilabro per separare la pula, degna del fuoco, dal buon grano. Aveva predicato l’urgenza della conversione, del ritorno al Signore, per sfuggire dalla collera, passione di giustizia di Dio che viene a visitare il suo popolo (cf. Mt 3,1-12). Dopo aver anche immerso Gesù nel Giordano e averlo indicato a Israele (cf. Mt 3,13-17), Giovanni era stato arrestato da Erode (cf. Mt 4,12): allora Gesù aveva abbandonato il deserto della Giudea per dare inizio al suo ministero di predicazione del Regno in Galilea (cf. Mt 4,17).
Proprio mentre è in prigione nella fortezza di Macheronte, presso il mar Morto, Giovanni riceve notizia dell’attività e dello stile di Gesù: è l’ora della prova. In carcere, abbandonato da tutti, prigioniero tra quattro mura, in attesa della propria condanna da parte di Erode, consapevole che la sua fine non può essere diversa da quella dei profeti, Giovanni si interroga sconcertato e forse anche confuso: chi aveva annunciato? Il Messia? Ma il Messia libera i prigionieri, mentre lui marcisce in carcere, in catene. Aveva annunciato l’Inviato di Dio? Ma Gesù non sembra compiere il giudizio dei malvagi e dei giusti. Non succede nulla di ciò che era stato previsto dai profeti per il giorno del Signore. Giovanni aveva forse compreso male la parola del Signore che gli era stata indirizzata, oppure si era illuso di sentirla nel proprio cuore? C’è un evidente contrasto tra ciò che aveva annunciato e ciò che si sta realizzando attraverso Gesù! E poi alcuni tra i discepoli di Giovanni sono anche scandalizzati dal comportamento di Gesù, che non digiuna più, come essi fanno (cf. Mt 9,14-17), che non disdegna di mescolarsi ai peccatori (cf. Mt 9,9-13). Separazione dai peccatori e vita ascetica nel deserto non sembrano essere tratti distintivi di Gesù.
Per queste ragioni Giovanni dal carcere manda alcuni suoi discepoli a interrogare Gesù stesso: “Sei tu colui che deve venire (ho erchómenos) o dobbiamo aspettare un altro?”. Ecco la grandezza di Giovanni: nel buio della prova non decide da sé, non si dà una risposta, ma lascia che sia Gesù a dargliela. Anche se non riesce a vedere una corrispondenza tra la propria visione del Veniente e la sua realizzazione pratica da parte di Gesù, in mezzo ai propri dubbi lascia che sia Gesù stesso a spiegarsi e a decidere. E Gesù non risponde direttamente: “Sono io”, ma replica con la testimonianza del suo operare, in conformità alla missione del profeta anonimo annunciato da Isaia (cf. Is 61,1-3). Scegliendo alcuni testi profetici a preferenza di altri (cf. Is 25,19; 29,18-19; 35,5-6), indica quale tipo di Messia veniente egli sia, non un giustiziere, non un potente trionfante, ma uno che guarisce, fa il bene, consola e soprattutto si rivolge ai poveri: “Andate e annunciate (apanghéilate) a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo, la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo”.
Gesù può solo dire a Giovanni che le sue opere sono realizzazione delle promesse di Dio, ma pur vedendo queste opere è possibile restare delusi da chi le compie: per questo è beato chi riesce ad aver fede nella sua umile, mite, povera persona. Ma se il profeta Giona era stato deluso da Dio, Giovanni non lo è dalle parole di Gesù e aderisce a esse, riconoscendo a lui l’ultima e decisiva autorità. Gesù a questo punto sente il dovere di dire alla folla una parola su Giovanni. Chi era veramente costui? Un uomo saldo e convinto, che non tremava davanti ai poteri di questo mondo (cf. Ger 1,17-19): il contrario di una canna sbattuta a ogni soffio di vento. Un uomo roccioso, con una postura diritta, che non si piegava davanti a nessuno se non al Signore. Un uomo rimasto sempre lontano dai palazzi dei re e dei sacerdoti. Un uomo che non conosceva le vesti sfolgoranti, preziose o morbide: non frequentava salotti e sapeva tenersi lontano da quelli che usano il loro potere per contaminare e rendere schiavi gli altri. Giovanni era un profeta, un portavoce di Dio, il messaggero e precursore del Signore. Davvero – come testimonia Gesù – “fra i nati da donna non è sorto nessuno più grande di lui”, per i suoi doni e la sua qualità umana ed etica. Tuttavia “il più piccolo”, cioè Gesù stesso, abbassatosi fino all’ultimo posto, rifiutato fino alla condanna della croce, giudicato non martire ma scomunicato, “nel regno dei cieli è più grande di lui”. E se Giovanni non trova in Gesù motivo di inciampo, di ostacolo, allora è beato!
Per questo – come Gesù conclude con una parola dai tratti anche misteriosi – “dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 11,12). È la pacifica violenza di Giovanni, è il suo sofferto ma saldo discernimento la chiave per accedere al Regno e per accogliere colui che è il Regno fatto persona: Gesù, il Veniente, la cui buona notizia è così lontana dai nostri schemi religiosi!
www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11051-il-piu-grande-fra-i-nati-da-donna
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DEMOGRAFIA
Troppe culle vuote l’Europa non investe sul capitale umano
Nessun paese europeo, a eccezione della Francia, ha un tasso di fecondità tale da consentire il mantenimento dell’attuale volume della popolazione, pari a 2 figli per donna. Vi è prossima anche l’Irlanda, che ancora negli anni Novanta aveva il tasso di fecondità più alto tra tutti i paesi dell’Europa occidentale, ma è oggi in fase discendente, con un tasso di 1,96. La distanza dalla soglia che garantisce la stabilità della popolazione è tuttavia molto diversa tra Paesi. Ci sono quelli, come Regno Unito e Svezia, che hanno tassi superiori all’1,8 figli per donna e soprattutto stabili, se non in aumento, rispetto agli anni Novanta. Lo stesso vale per paesi, come l’Olanda, con un tasso più basso, attorno all’1,7, ma sempre superiore a quello degli anni Novanta e Duemila. All’estremo opposto ci sono i paesi che i demografi definiscono a bassa fecondità, inferiore a 1, 5 figli per donna, tra cui vi sono quasi tutti i Paesi mediterranei, escluso Cipro e inclusa l’Italia, e un buon numero dei Paesi dell’Est europeo, ma anche, benché vicina alla soglia dell’1,5, la Germania.
Va osservato che si deve spesso agli immigrati se questi tassi non sono ancora più bassi, dato che in generale le popolazioni immigrate hanno tassi di fecondità mediamente più alti di quelli degli autoctoni, anche se nel tempo tendono a convergere con questi. Si può discutere se la popolazione europea abbia bisogno di crescere o almeno di rimanere stabile, o invece se una diminuzione sia opportuna, se non altro per ridurre il consumo di risorse ambientali. Ma non si può ignorare che una popolazione con una fecondità al di sotto del livello di riproduzione è una popolazione che inesorabilmente invecchia, provocando squilibri nella spesa sanitaria e pensionistica che gravano sempre più sui giovani. Inoltre, con tutta la saggezza e competenza che possiamo riconoscere agli anziani, se questi prevalgono nella popolazione è più difficile che una società sia capace di innovazione culturale, scientifica, tecnologica. Infine, non va dimenticato che in società democratiche le scelte di fecondità sono scelte di libertà. Ciò significa offrire l’opportunità di avere o non avere figli e di averne nel numero desiderato.
Il fatto che in tutte le società europee, e in modo accentuato in quelle a più bassa fecondità, ci sia uno scarto tra numero dei figli desiderati e numero di figli effettivamente avuti segnala che vi sono vincoli alle scelte di fecondità che potrebbero essere allentati dalle politiche. In questa prospettiva, le differenze tra Paesi offrono indizi importanti. Confermando un trend già emerso alla fine del secolo scorso, e contrariamente a quanto avveniva fino agli anni Settanta, i tassi di fecondità più alti si riscontrano nei paesi in cui il tasso di occupazione femminile è più alto, modificare il proprio impegno lavorativo più facile e reversibile, i sostegni al costo dei figli tramite servizi e/o trasferimenti monetari più generosi. Viceversa, nei Paesi, come l’Italia, in cui un basso tasso di occupazione femminile si accompagna a un sostegno al costo dei figli ridotto, frammentato e a servizi insufficienti, la fecondità non solo è bassa, ma tende a diminuire. Allo stesso tempo, l’incidenza della povertà minorile è elevata. Lo stesso avviene in alcuni Paesi dell’Est Europa, dove l’occupazione femminile è comparativamente alta, ma servizi e trasferimenti economici sono ridotti. Nella misura in cui oggi la maggior parte delle donne si aspetta, e desidera, stare nel mercato del lavoro e investire in una professione, la possibilità di avere strumenti per conciliare questo con la maternità diventa decisivo per le scelte di fecondità.
Non è tuttavia possibile individuare un pacchetto omogeneo di politiche efficaci. I Paesi nordici privilegiano la flessibilità lavorativa, con congedi lunghi e ben pagati, coinvolgendo anche i padri, seguiti da servizi per l’infanzia quasi universali. È un modello cui si è ispirata negli ultimi anni anche la Germania. La Francia, invece, privilegia i trasferimenti economici accanto a una buona dotazione di servizi. Il Regno Unito è molto meno generoso, ma il suo mercato del lavoro rende agevoli i rientri dopo le uscite.
Dietro a queste differenze sono all’opera anche modelli culturali diversi relativi ai bisogni dei bambini, alla parità di genere, al ruolo dello Stato. Per questo, e non solo perché non rientra nelle sfere di competenza dell’Unione Europea, è difficile proporre una politica europea a sostegno della fecondità.
Le politiche europee in direzione delle pari opportunità tra uomini e donne, la direttiva sui congedi di maternità e genitoriali (che mentre ha reso obbligatorio il primo in tutti i Paesi membri, ha reso illegittimo riservare il secondo solo alle madri), la definizione di obiettivi di copertura minimi per i servizi per l’infanzia, e l’adozione del discorso sull’investimento sociale hanno contribuito a riformulare le politiche a sostegno della fecondità come politiche insieme di pari opportunità e di investimento sociale. Ma per sviluppare queste politiche occorre che i Paesi abbiano a cuore il proprio capitale umano, maschile e femminile, autoctono o immigrato, investendo su di esso. E occorre che i giovani abbiano prospettive sufficientemente positive. Entrambe queste condizioni sono particolarmente fragili in molti dei paesi a più bassa fecondità.
Chiara Saraceno La repubblica 06 dicembre 2016.
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/12/06/troppe-culle-vuote-leuropa-non-investe-sul-capitale-umano21.html?ref=search
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DIVORZIO
Non scatta la litispendenza se la sentenza straniera è sul divorzio e il processo in Italia è sulla separazione
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 24542, 1 dicembre 2016.
La sentenza straniera in materia di divorzio deve essere riconosciuta in Italia anche se pende un procedimento di separazione. E questo soprattutto nei casi in cui l’ordinamento straniero non prevede l’istituto della separazione. Lo ha chiarito la Corte di cassazione.
Tutto era partito dalla richiesta di una donna che si era rivolta ai giudici italiani chiedendo la separazione dal marito e l’affido condiviso dei figli. I coniugi, entrambi albanesi, si erano sposati in Albania e il marito si era opposto alla separazione sostenendo che in Albania non è previsto tale istituto. Tuttavia, poiché era sopraggiunta la sentenza di divorzio, il Tribunale aveva disposto il riconoscimento della pronuncia straniera. La donna aveva impugnato la decisione adducendo la competenza dei giudici italiani in quanto luogo in cui la vita matrimoniale era prevalentemente localizzata e sostenendo che la pronuncia non poteva essere riconosciuta in quanto il procedimento di divorzio in Albania era stato instaurato successivamente a quello della separazione in Italia. La Corte di appello aveva dato ragione alla donna. Di qui il ricorso in Cassazione dell’ex marito. Prima di tutto, la Suprema Corte parte dall’esigenza di verificare la legge applicabile alla separazione e al divorzio che, ai sensi dell’articolo 31 della legge n. 218/95, è la legge nazionale comune dei coniugi (in questo caso quella albanese) o, in mancanza, la legge dello Stato in cui la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata. Nessun dubbio che in base ai criteri di cui all’articolo 31 dovrebbe essere applicata la legge albanese, ma la Cassazione ritiene indispensabile verificare se la legge richiamata preveda la separazione personale e lo scioglimento del matrimonio, chiarendo che, nel caso in cui così non fosse, dovrebbe essere applicata la legge italiana. Tuttavia, secondo la Cassazione, in forza di una ratio antidiscriminatoria, ciò potrebbe avvenire “solo ove non esista (ndr. In Albania) alcuna forma di dissoluzione del legame matrimoniale o vi siano istituti contrastanti con il principio di uguaglianza tra i coniugi”. Così non era e, quindi, per la Cassazione, la Corte di appello ha erroneamente applicato l’articolo 31, richiamando unicamente il criterio della prevalente localizzazione della vita matrimoniale, mentre andava considerata la legge nazionale comune. Detto questo, la Cassazione è passata a verificare l’esistenza di ostacoli al riconoscimento della pronuncia albanese di divorzio ai sensi dell’articolo 64 della legge n. 218, arrivando alla conclusione che il processo separativo italiano non ha lo stesso oggetto di quello di divorzio. Escluso il criterio della prevenzione temporale, la Cassazione dà il via libera al riconoscimento in Italia della sentenza straniera sul divorzio, non ritenendo applicabile la condizione ostativa della litispendenza. La Suprema Corte ha così cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte di appello di Firenze.
Marina Castellaneta 9 dicembre 2016
www.marinacastellaneta.it/blog/non-scatta-la-litispendenza-se-la-sentenza-straniera-e-sul-divorzio-e-il-processo-in-italia-e-sulla-separazione.html
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GOVERNO
Politiche per l’infanzia, Quarto Piano nazionale di azione.
Forte integrazione tra Amministrazione centrale, Regioni ed enti locali, a un livello politico e tecnico: è questo l’aspetto innovativo del IV Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, approvato dal Consiglio dei Ministri il 10 agosto 2016 scorso, dopo il via libera dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza.
Forte integrazione tra Amministrazione centrale, Regioni ed enti locali, a un livello politico e tecnico: è questo l’aspetto innovativo del IV Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, approvato dal Consiglio dei Ministri il 10 agosto scorso, dopo il via libera dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza.
Il provvedimento, adottato il 31 agosto 2016 con decreto del Presidente della Repubblica, si articola in quattro aree di intervento: linee di azione a contrasto della povertà dei bambini e delle famiglie; servizi socioeducativi per la prima infanzia e qualità del sistema scolastico; strategie e interventi per l’integrazione scolastica e sociale; sostegno alla genitorialità, sistema integrato dei servizi e sistema dell’accoglienza.
Il Piano definisce il panorama degli interventi che l’Italia intende mettere in campo nei prossimi due anni per dare attuazione ai contenuti della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, sottoscritta a New York il 20 novembre 1989. Strumento programmatico e di indirizzo, viene costantemente monitorato con l’obiettivo di verificare i progressi raggiunti e l’impatto delle politiche adottate a favore dei bambini e dei ragazzi.
Per il nuovo Piano, si legge nella premessa del documento, «il Governo ha inteso valorizzare le indicazioni derivanti dalle Osservazioni conclusive all’Italia da parte del Comitato Onu sui diritti del fanciullo – oltre al monitoraggio del 7° e 8° report della CRC – gli esiti del monitoraggio del Terzo Piano di azione e le priorità tematiche delineatesi nel corso della IV Conferenza nazionale sull’infanzia e l’adolescenza, tenutasi a Bari il 27 e 28 marzo 2014, le recenti Raccomandazioni della Commissione Parlamentare per l’infanzia contenute nel documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla povertà e sul disagio minorile e il piano nazionale di prevenzione e contrasto dell’abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori 2015-2017».
Il percorso di stesura del provvedimento «è stato un laboratorio istituzionale che ha impegnato le Amministrazioni, gli enti e gli esperti membri dell’Osservatorio».
http://www.minori.it/sites/default/files/ETR-Piano%20d%27azione.pdf
http://www.minori.it/sites/default/files/Supplemento_3_2015_0.pdf
B.G. Newsletter novembre 2016, inviata il 7 dicembre 2016
www.minori.it/it/news/politiche-per-linfanzia-quarto-piano-nazionale-di-azione
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MINORI NON ACCOMPAGNATI
Minori stranieri soli: le novità della legge approvata dalla Camera
Sistema organico di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e armonizzazione delle procedure di accertamento dell’età: sono alcune delle importanti novità introdotte dalla proposta di legge C1658 (“proposta Zampa”) in materia di accoglienza e protezione dei minori stranieri non accompagnati, approvata dalla Camera il 26 ottobre 2016 scorso. Il provvedimento mira a rafforzare le tutele nei confronti dei minori stranieri soli e garantire un’applicazione uniforme delle norme per l’accoglienza su tutto il territorio nazionale.
Le novità principali riguardano le misure per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e, più in generale, il rafforzamento dei diritti e delle tutele in favore di questi bambini e ragazzi.
La proposta di legge introduce, fra le altre cose, il divieto assoluto di respingimento alla frontiera dei minori stranieri non accompagnati, riduce da 60 a 30 giorni il termine massimo di trattenimento dei minori nelle strutture di prima accoglienza e stabilisce un termine massimo di 10 giorni per le operazioni di identificazione.
Un’altra novità importante introdotta dal provvedimento è la procedura unica di identificazione del minore, che costituisce il passaggio fondamentale per l’accertamento della minore età, da cui a sua volta dipende la possibilità di applicare le misure di protezione in favore dei minori non accompagnati. La procedura prevede: un colloquio del minore con personale qualificato, sotto la direzione dei sevizi dell’ente locale; la richiesta di un documento anagrafico in caso di dubbio sull’età e, eventualmente, di esami sociosanitari, con il consenso del minore e con modalità il meno invasive possibile; la presunzione della minore età nel caso in cui permangano dubbi sull’età anche in seguito all’accertamento.
La proposta di legge, inoltre, estende pienamente l’accesso ai servizi del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati – Sprar a tutti i minori non accompagnati, a prescindere dai posti disponibili, come attualmente previsto. La capienza del Sistema dovrà pertanto essere commisurata alle effettive presenze dei minori sul territorio nazionale.
Altre disposizioni prevedono il rafforzamento degli istituti della tutela e dell’affido familiare, maggiori tutele per il diritto all’istruzione e alla salute e il rispetto dei diritti del minore durante i procedimenti amministrativi e giudiziari.
Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza
www.minori.it/it/node/5864
Ai.Bi. Emergenza dei minori stranieri non accompagnati: rilancio dell’accoglienza in famiglia
Fare rete tra le organizzazioni del settore e condividere le proprie esperienze per sviluppare un autentico modello europeo. L’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati – vera emergenza nell’emergenza migranti di questi anni – passa anche dal confronto tra punti di forza e criticità riscontrati da chi, da anni, fa del garantire un’accoglienza giusta ai migranti più fragili la propria missione. Così come Amici dei Bambini che, in rappresentanza dell’Italia, ha partecipato al corso di formazione “Alternative Family Care” che si è svolto ad Amsterdam nella settimana dal 28 novembre al 2 dicembre 2016 e che ha visto 30 operatori di oltre 20 tra organizzazioni non governative e soggetti pubblici e parastatali confrontarsi sulle modalità del modello olandese di accoglienza famigliare dei giovanissimi migranti.
La delegazione di Ai.Bi. – costituita dalla responsabile della progettazione Monica Barbarotto e dal referente nazionale della campagna Bambini in Alto Mare Diego Moretti – ha avuto quindi modo di conoscere le realtà di 18 Paesi europei in fatto di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, concentrandosi in particolare sull’esperienza di Nidos. Quest’ultima è un’organizzazione olandese che garantisce tutela e protezione ai migranti minorenni senza adulti di riferimento.
La legge olandese, infatti, prevede la tutela per tutti i minori stranieri non accompagnati o separati dai genitori. Quando il giudice accorda ai minori la tutela, di questa se ne può occupare Nidos che provvede alla rappresentanza legale del migrante minorenne, diventando responsabile del suo benessere e della sua protezione. Con Nidos collaborano circa 180 persone che lavorano come tutori, con il supporto dell’ufficio legale e degli esperti di information technology. Grazie a questa organizzazione, negli ultimi anni, Nidos ha stretto intense e produttive relazioni con soggetti europei che si occupano dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. L’obiettivo è quello di realizzare una rete europea impegnata su questo fronte, a partire da un costante e produttivo scambio di buone pratiche.
È in questo quadro che si inserisce la partecipazione di Ai.Bi. all’iniziativa di formazione svoltasi nella capitale olandese. La necessità di aggiornarsi, fare rete con le diverse organizzazioni europee e migliorare le modalità di intervento è quanto mai avvertita, soprattutto alla luce dei dati che ci dicono come il numero di giovanissimi migranti non accompagnati che arrivano nel nostro Paese sia in costante aumento.
Il XXII Rapporto sulle migrazioni dell’Ismu (Iniziative e Studi sulla Multietnicità), recentemente presentato, afferma che i minori stranieri giunti soli sulle coste italiane rispetto al totale degli sbarchi sono passati dal 7,7% del 2014, all’8% del 2015 al 14% del 2016. In termini assoluti, dal 1° gennaio al 27 novembre di quest’anno, i minori stranieri non accompagnati arrivati in Italia sono stati 23mila. Quasi sempre adolescenti, ma con un’età media che si va progressivamente abbassando, i giovanissimi migranti soli, una volta giunti in Italia, troppo spesso non trovano un’accoglienza degna e rischiano di finire nel tunnel dell’illegalità e dello sfruttamento. Per questo è necessario che si occupa di garantire loro un’adeguata tutela faccia rete ed elabori modalità di intervento comuni e condivise. Ai.Bi., sulla base della sua esperienza, rilancia anche a livello europeo il modello dell’accoglienza famigliare, giunta a un passo dalla regolamentazione legislativa, con il Ddl Zampa che attende solo il via libera del Senato per diventare legge.
www.aibi.it/ita/amsterdam-ai-bi-rappresenta-litalia-nel-confronto-europeo-sullemergenza-dei-minori-stranieri-non-accompagnat
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PASTORALE FAMILIARE
Albano Laziale, le indicazioni al clero sull’assoluzione del peccato d’aborto
«Nella lettera apostolica Misericordia et misera firmata il 20 novembre papa Francesco ha esteso nel tempo per tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere quanti hanno procurato il peccato di aborto, già concessa limitatamente al periodo giubilare (n. 12). D’ora in avanti, dunque, di essa ne gode ogni sacerdote che sia già in possesso della necessaria facoltà di ricevere abitualmente le confessioni (cfr CIC cann. 966 §1; 970 e 973). Noi accogliamo cordialmente e con animo grato la disposizione del papa». Con queste parole mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano, introduce la sua lettera al clero diocesano e religioso, attraverso la quale offre alcune indicazioni per meglio comprendere e accogliere la disposizione del papa, dopo la chiusura della Porta Santa.
Il fondamento canonico. È necessario tenere presente la distinzione tra «peccato» e «sanzione penale», che è comportata da alcuni peccati, fra i quali c’è l’aborto procurato ed effettuato. A norma del can. 1398 del CIC, infatti, «chi procura l’aborto ottenendo l’effetto incorre nella scomunica latæ sententiæ», cioè senza che sia necessario pronunciarla formalmente per ogni singolo caso. Da qui, sino ad oggi, la sua «riserva» al Vescovo e ad altri sacerdoti designati da lui, o indicati dallo stesso Diritto Canonico; da qui pure la necessità della remissione di tale censura prima che sia impartita l’assoluzione sacramentale.
Ora, però, con la decisione comunicata nella sua recente Lettera,
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_letters/documents/papa-francesco-lettera-ap_20161120_misericordia-et-misera.html
il papa ha concesso a tutti i confessori la facoltà di rimettere nel «foro sacramentale» (cioè nell’atto della confessione sacramentale) la censura di cui nel citato can. 1398. Altrimenti detto, il papa ha concesso a tutti i confessori la «giurisdizione» per levare la sanzione penale, la censura di scomunica.
Ritengo importante che almeno noi sacerdoti teniamo ben chiara (e trasmettiamo agli altri fedeli) la distinzione fra i peccati e le sanzioni penali. Giurisdizione e potere di perdonare i peccati sono due realtà «concettualmente» diverse. Ora, però, nel nostro caso con la decisione del papa esse risultano unite nello stesso atto della confessione: qui il confessore esercita la giurisdizione di rimettere la censura di scomunica (che vietava la ricezione di tutti i sacramenti) ed esercita anche il potere sacerdotale che ha di perdonare i peccati.
Nulla, dunque, è stato modificato circa il reato di aborto e circa la pena canonica di scomunica. È stato, però, «semplificato» il sistema di remissione del reato di aborto, affidando ai confessori nel «foro» della confessione la giurisdizione per togliere la pena e poter così assolvere tutti i peccati che possa avere il penitente. Senza avere l’intenzione d’impartire una lezione di diritto canonico, aggiungo solo qualcos’altro sulla dinamica canonica nella quale s’inserisce la decisione del papa. La disciplina canonica, infatti, mette sempre in conto il bonus animarum, anche quando il penitente si trova in condizioni particolari. Perciò essa prevede il cosiddetto «caso più urgente» (casus urgentior), com’era chiamato nel can. 2254 del CIC ’17; quello, cioè, in cui la situazione di peccato e l’impossibilità disposta dalla sanzione penale di accedere ai sacramenti incidono così pesantemente sul fedele ormai pentito, sì da rendergli gravoso attendere per tutto il tempo necessario a ottenere la remissione della pena in foro esterno (cfr CIC can. 1357 §1). Come spiegano i commentatori, è la stessa legge canonica che s’impegna a «superare una possibile contraddizione tra la disponibilità al pentimento del fedele, con il conseguente desiderio di ricevere l’assoluzione sacramentale, e il divieto di accesso ai sacramenti disposto dalla pena canonica» (Codice di Diritto Canonico commentato a cura della Redazione di Quaderni di Diritto Ecclesiale, Ancora, Milano 2001, 1075).
Considerata in questa luce giuridico-canonica, la decisione del papa ha il suo fondamento e la sua radice nello stesso fine ultimo della disciplina canonica, ossia la salus animarum. Questa non è un elemento esterno, sovrapposto alla legge canonica e neppure una semplice clausola-limite per l’ordinamento canonico; è, al contrario una «clausola aperta» e interpretativa; è il principio guida e orientatore, la dimensione costitutiva della stessa realtà soprannaturale dello ius in Ecclesia.
Alla base della decisione del papa c’è, in fin dei conti, proprio questo principio metagiuridico; ecclesiologico, diremo, che informa l’intero ordinamento canonico. Esso oltretutto realizza l’istanza di ragionevolezza della legge medesima.
Ragione teologica e pastorale. Sulla gravità del peccato di aborto il papa non ha fatto nessuno sconto. Ha, invece, dichiarato: «Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente». Su questo punto il Magistero della Chiesa è sempre stato ed è fermo. Lo stesso Francesco lo aveva ribadito già nei primi mesi del suo ministero petrino. Ad esempio, nell’Udienza ai partecipanti all’incontro promosso dalla Federazione Internazionale delle Associazioni dei medici cattolici il 20 settembre 2013 disse: «Nell’essere umano fragile ciascuno di noi è invitato a riconoscere il volto del Signore, che nella sua carne umana ha sperimentato l’indifferenza e la solitudine a cui spesso condanniamo i più poveri, sia nei Paesi in via di sviluppo, sia nelle società benestanti. Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto di Gesù Cristo, ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo. E ogni anziano […], anche se infermo o alla fine dei suoi giorni, porta in sé il volto di Cristo. Non si possono scartare, come ci propone la “cultura dello scarto”! Non si possono scartare!».
Ciò premesso, nella lettera apostolica Misericordia et misera il papa aggiunge: «Con altrettanta forza posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre» (n. 12). Troviamo qui la ragione teologica della decisione del papa.
In proposito, si potrebbe rileggere la bolla (11 aprile 2015) con la quale Francesco ha indetto il Giubileo appena concluso. Io stesso, per l’intero Anno Santo mi sono impegnato ad annunciare il mistero della divina misericordia, sia con la lettera pastorale Prima è la Misericordia (27 novembre 2015), sia con le ventisette Omelie pronunciate nelle diverse occasioni diocesane durante quel tempo davvero straordinario (cfr M. Semeraro, Prima è la Misericordia. Lettera Pastorale e Omelie nel Giubileo Straordinario della Misericordia, MiterThev, Albano Laziale 2016. Qui, invece, l’omelia per l’inizio del Giubileo il 13 dicembre 2015).
D’altra parte, «il tema della misericordia rappresenta lo sfondo interno del diritto canonico (salus animarum suprema lex – c. 1752). La misericordia è pienamente legata con la salvezza delle anime e con gli strumenti per realizzarla. In quanto tale, la misericordia raffigura chiaramente la dimensione pastorale e caritativa del diritto canonico» (R. Lezohupski, Misericordia in Penitenzieria Apostolica, «Peccato Misericordia Riconciliazione. Dizionario Teologico-Pastorale», LEV, Città del Vaticano 2016, 248). Ecco, allora, che in Misericordia ed misera il papa subito esorta: «Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione» (n. 12).
Considerando la prassi sacramentale del confessore il papa tutta la racchiude nel verbo accompagnare. Per fare cosa? Un «cammino di speciale riconciliazione»! Durante tale cammino il ministro della Chiesa deve essere guida, sostegno e conforto. Consideriamo brevemente queste tre singole azioni. Passiamo, così, alle ragioni pastorali. La guida indica il cammino, ma non lo fa con una funzione semplicemente direttiva. Il confessore non è un «segnale stradale»! Quanto già richiesto dalla normativa canonica (cfr CIC can 978: il confessore è giudice, medico e ministro obbediente alla dottrina del Magistero e alle norme dell’autorità competente) Francesco lo esplicita con le parole: sostegno e conforto.
Per sostenere bisogna mettersi accanto all’altro e non starsene sulle gradinate! A balconear, direbbe Bergoglio nel gergo del lunfardo argentino: cioè starsene a guardare dal balcone. Ma c’è di più. Sostenere vuol dire letteralmente tener qualcuno ponendosi sotto di lui, ossia portandone il peso. Cercare una «pecora smarrita» non significa andar per prati e boschi, ma farsi carico, come il pastore di cui il Vangelo scrive: «se la carica sulle spalle rallegrandosi» (Lc 15,5). Confortare, poi, vuol dire aiutare un altro a essere forte, a superare il male, a vincere la propria debolezza. In Filippesi 4,13 Paolo scrive: «Tutto posso in colui che mi dà forza», omnia possum in eo qui me confortat. Paolo sperimenta Gesù accanto a lui come presenza che incoraggia sì da rendere capaci di affrontare ogni situazione. In persona Christi, ogni confessore deve essere come questo Gesù per Paolo: dar coraggio, infondere dinamismo per non scoraggiarsi a motivo della propria debolezza, per andare avanti nella via intrapresa della conversione.
Una decisione «generativa». È importante che tutti, ma noi sacerdoti in particolare, giungiamo a cogliere la dimensione «generativa» della decisione del papa. Domandiamoci: che cosa può far nascere questa scelta? Quali comportamenti promuove e incoraggia nelle nostre comunità? Genera speranza e fiducia in Dio, oppure scoraggiamento e disperazione? Fa maturare responsabilità? Apre delle strade, o immette in un vicolo cieco? Io penso che il papa non ci indica scorciatoie di nessun genere. Egli, anzi, ci addita strade lunghe, impegnative. Per ricorrere ad alcune sue espressioni, Francesco ci domanda di avviare processi di «discernimento, purificazione e riforma»; processi «di crescita» e «azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici» (Cfr Evangelii gaudium nn. 30; 169; 223).
Per rispondere a queste domande, carissimi, vi invito a risentire la trasmissione che la Radio Vaticana ha dedicato ieri al nostro argomento. È possibile ascoltarla trascritta
http://it.radiovaticana.va/news/2016/11/26/aborto,_scelta_papa_favorisce_prevenzione/1275010#
Udremo la voce di fr. Paolo Benanti, il teologo moralista che tutti noi e anche i nostri seminaristi ben conosciamo per averlo spesso ascoltato in fruttuosi incontri di studio e varie lezioni. Egli spiega così la decisione del Papa: «Da una parte c’è la condanna dell’aborto, ma dall’altra, c’è bisogno di qualcuno che sia medico di quelle persone che sono incappate in quell’errore. Il papa dunque non sta declassando questo gravissimo peccato, ma sta sottolineando l’importanza di accogliere la contrizione e il pentimento di chi vuole confessarlo».
A sua volta, Monika Rodman Montanaro, che è coordinatrice nazionale per l’Italia di un percorso di sostegno per guarire le ferite dell’aborto denominato “Vigna di Rachele”, ritiene che la scelta del papa «aiuterà più persone a prendere coraggio e ad avvicinarsi al confessionale e ai sacerdoti. Già tantissimi preti e religiosi avevano questa delega, ma, adesso che si sa che ce l’hanno tutti i sacerdoti, forse molte più persone, non solo donne ma anche uomini, non avranno più paura di incontrare problemi burocratici e saranno spinti a confessarsi».
Interviene anche il prof. Filippo Boscia, presidente nazionale dell’Associazione medici cattolici italiani e presidente onorario della Società italiana di Bioetica, il quale dice: «Considero questa scelta del Papa una grazia incredibile. Perché ciò che era stato concesso durante il tempo giubilare, esteso ora per il resto del tempo, ribadisce non soltanto che l’aborto è un grave peccato perché pone fine a una vita innocente, ma impegna tutti quanti al sostegno delle gravidanze inattese […]. Crediamo che non sarebbe possibile un ulteriore sviluppo di civiltà senza dare una dimostrazione tratta da chi ha aiutato all’aborto e poi se ne è pentito». Ha proseguito: «Ogni nuova parola del papa si leva alta e chiara ed è indispensabile a rompere ogni censura sociale e dichiarare il valore della vita incipiente. È una parola che ridona speranza a chi ha vissuto il trauma dell’aborto, una scelta che lascia cicatrici nella psiche specie delle donne».
Vi esorto, dunque, carissimi sacerdoti, a essere profondamente e sinceramente partecipi di tutte queste istanze, che mettono in gioco la nostra carità e la nostra paternità pastorale. Ho ripreso per questo il termine «generatività», su cui torno così spesso al fine di qualificare il nostro ministero. Sospendendo la censura per quanti hanno procurato il peccato di aborto e, di conseguenza, estendendo a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere i penitenti, il papa, che nella Chiesa è il supremo legislatore, ci aiuta a comprendere meglio il fine stesso della legge della Chiesa che, come sottolineava Benedetto XVI in un discorso del 25 gennaio 2008, «è, anzitutto, lex libertatis: legge che ci rende liberi per aderire a Gesù».
Siamo, carissimi, all’inizio del tempo dell’Avvento. Sia per tutti confortante risentire le parole della Liturgia: «Nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro perché coloro che ti cercano ti possano trovare» (Preghiera Eucaristica IV). Questo annuncio facciamolo risuonare nelle nostre comunità parrocchiali. Siano per tutti l’intercessione della Vergine Madre e la benedizione del Signore.
blogdelregno.it mercoledì 30 novembre 2016
www.ilblogdelregno.it/2016/11/albano-laziale-le-indicazioni-al-clero.html#more
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POLITICHE FAMILIARI
I dati sulla sussidiarietà familiare in Trentino presentati dal Forum delle Associazioni Familiari
Presentati in occasione del Festival della Famiglia i dati sull’associazionismo familiare e la sussidiarietà in Trentino emergenti dalla ricerca del Forum delle Famiglie del trentino condotta dal Centro Internazionale Studi della Famiglia CISF. Un quadro chiaroscuro che dalla parole del prof. Pietro Boffi (Cisf) è descritto come «senza piaggerie e spesso impietoso» che intende rilanciare il lavoro delle associazioni familiari ma che evidenzia come il Forum del Trentino, nelle parole di Emma Ciccarelli vicepresidente del Forum delle Famiglie Nazionale, sia «modello apri-pista per il resto d’Italia» nella relazione tra privato sociale e pubblica amministrazione.
A 10 anni dall’esperienza dello Sportello Famiglia gestito dal Forum delle Famiglie emerge un quadro con luci e ombre sull’associazionismo familiare. Una «ricerca coraggiosa perché rimettere le mani in qualcosa di consolidato e lo ha fatto senza piaggeria e in modo impietoso» queste le parole del prof. Pietro Boffi, ricercatore del Centro Internazionale Studi per la Famiglia (CISF) e curatore della ricerca “Lo Sportello alla Famiglia. Associazionismo, sussidiarietà e politiche familiari”. Il report presentato racconta lo stato di salute della sussidiarietà familiare in Trentino. I dati più preoccupanti che emergono dalla ricerca sono tre:
L’83% delle organizzazioni aderenti al Forum è nata prima del 1997, solo 5 dopo quell’anno;
L’adesione delle organizzazioni associate al valore della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio è in fondo alle preferenze delle associazioni aderenti al Forum che ha indicato altri valori come prioritari;
Le organizzazioni aderenti conoscono poco e hanno scarsi contatti con lo Sportello Famiglia, esperienza concreta di sussidiarietà familiare in trentino e che rimane esperienza unica in Italia.
E’ Emma Ciccarelli, vicepresidente del Forum nazionale che chiarisce come «questa ricerca è una scelta coraggiosa, un segno di maturità. C’è consapevolezza del cammino fatto. C’è da migliorare, ma ciò che è stato fatto è buono. Ringrazio questo Direttivo e i passati. La forza del Forum nazionale è nelle competenze e risorse dei circoli locali, come quello del trentino. La rete è la capacità di uscire dagli steccati di ciascuno. Andare oltre i nostri limiti. Costruire oltre propri confini. La collaborazione del Forum Trentino con la Pubblica Ammirazione è modello apri-pista per il resto d’Italia. Un esempio reale di sussidiarietà. Fare bene e far sapere.»
Il dott. Luciano Malfer dirigente dell’Agenzia per la Famiglia della Provincia indica 4 punti chiave per significare i risultati di questa ricerca:
Il Forum Trentino fa sintesi sul territorio per le politiche familiari sussidiarie;
Lo Sportello Famiglia è un modello non solo per il resto d’Italia, ma anche qui in provincia per esprimere altre aree di sussidiarietà, a breve nascerà lo ‘Sportello Giovani’;
In un contesto sociale mutato, che vede generalmente una minore partecipazione della cittadinanza all’associazionismo, il Forum rimane sopra la media;
È necessario aprire una riflessione sulle adesioni al Forum, ponendo la questione identitaria al centro.
In chiusura, il moderatore Giorgio Lunelli sottolinea come sia “fondamentale, tutelare la relazione tra Forum e Pubblica Amministrazione», Silvia Peraro presidente del Forum Trentino insieme ad Annalisa Pasini, componente del direttivo, ricordano l’importanza di sostenere l’associazionismo familiare per sostenere una reale sussidiarietà familiare, e che per il Forum Trentino questa ricerca è il punto di partenza per innovare e rinnovare l’impegno del Forum e di tutte le associate.
La voce del Nord Est 10 dicembre 2016
www.lavocedelnordest.eu/la-ricerca-la-famiglia-allo-sportello-tra-gli-eventi-del-festival-di-trento

Crescere un figlio in Italia oggi costa poco più di 8.300 euro l’anno.
È la conclusione cui è arrivata l’Associazione nazionale famiglie numerose (Anfn) grazie a uno studio ad hoc, riportato oggi dal presidente Giuseppe Butturini nell’ultima giornata del Festival della famiglia in corso a Trento. L’indagine prende in esame 18 voci di spesa: dal cibo ai vestiti, dall’acqua al gas per il riscaldamento, dai trasporti agli impegni extrascolastici dei figli, fino alle spese di affitto o di manutenzione della casa. Alla somma delle varie voci di spesa, secondo lo studio Anfn, poi vanno aggiunti oltre 3.000 euro nei primi tre anni di vita del bimbo per baby sitter, carrozzine, pannolini, letti ed accessori.
Le famiglie spendono soprattutto per il cibo (poco meno di 4.000 euro l’anno a testa), per l’affitto, la rata del mutuo o la manutenzione della casa di proprietà (2.500 euro pro-capite) per i vestiti (1.321 euro a figlio), le gite e il materiale scolastico (520 euro) l’attività sportiva o ricreativa (475 euro. Secondo il sondaggio Anfn, la busta paga che entra in una famiglia numerosa ogni mese si svuota, in un caso su sei, entro i primi dieci giorni, e in un caso su due entro i primi 20. In media un introito in una famiglia numerosa basta per 16 giorni del mese.
«Famiglie in transizione. Verso l’autonomia sociale», ovvero il ruolo dei padri e delle madri dei Millennials, la prima generazione globale, è stato invece il tema del dibattito tenutosi oggi a conclusione del Festival della famiglia a Trento. «Se è vero che il compito degli adulti è costruire visioni, sono però i giovani ad indicarci dove andare», ha sottolineato ribadito Michele Marmo di AssociAnimazione, anche se i figli di oggi «sono cresciuti nell’amore ma sono fragilissimi», ha aggiunto Katia Provantini della Cooperativa Minotauro.
Il dirigente dell’Agenzia per la Famiglia, Luciano Malfer, ha affermato che la sfida è quella di «dare strumenti per abbassare l’età in cui si diventa genitori e individuare percorsi che coniughino giovani e famiglie, un percorso su cui l’Agenzia è già al lavoro per intrecciare le politiche rivolte ai ragazzi con quelle per le famiglie». «I percorsi vanno co-progettati», ha concluso Malfer. In sostanza sono i ragazzi che possono «indicarci dove andare», secondo le parole del presidente di AssociAnimazione di Novara Michele Marmo, Remo Job, direttore del Dipartimento di psicologia e scienze cognitive dell’Università di Trento e coordinatore scientifico del Festival Educa, che ha parlato di «educazione come leva strategica per il benessere individuale e collettivo, responsabilità collettiva e perno del futuro del mondo».
Katia Provantini, presidente della cooperativa Minotauro, ha quindi puntato l’indice sulle famiglie di oggi «molto accoglienti» perché «crescono i figli nell’amore», ma «fragili», proprio perché non in grado di affrontare i conflitti che sono stati annullati.
Per Cristina Pasqualini, ricercatrice e docente all’Università Cattolica di Milano, la «famiglia è un valore trasversale», anche se il 40% dei giovani che vive in famiglia ha un lavoro e non riesco comunque a lasciare il nido.
L’imprenditrice di Ponti Spa, Lara Ponti, ha detto poi che il ruolo degli adulti è quello di dare una speranza ai propri figli, perché non si può progettare al ribasso, ovvero «il compito degli adulti è di costruire visione», mentre la presidente del Forum delle associazioni familiari del Trentino, Silvia Peraro, ha parlato di Trentino come «isola felice»
L’Adige.it 3 dicembre 2016
www.ladige.it/popular/lifestyle/2016/12/03/crescere-figlio-costa-oltre-8-mila-euro-lanno-studio-illustrato
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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI
La famiglia crocevia di relazioni e di fecondità
XXIV Congresso Nazionale U.C.I.P.E.M. Oristano, 2-4 Settembre 2016
Nel sito web sono pubblicate 8 relazioni del Congresso.
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prof. Giuseppe Anzani La famiglia che cambia in una società che cambia
dr Alice Calori Le nuove famiglie immigrate tra identità e integrazione
p. Alfredo Feretti OMI Amoris laetitia: una road map per le relazioni familiari
dr Francesco Lanatà La famiglia crocevia di differenze e opportunità
avv. Rosalisa Sartorel Il diritto di famiglia oggi: dalla potestà alla responsabilità genitoriale, dall’affido congiunto nelle separazioni all’accesso all’origine nelle adozioni
prof. Domenico Simeone Educare alla generatività le coppie e le famiglie
prof. Beppe Sivelli Cercarsi, perdersi, ritrovarsi: il cammino della coppia fra lontananza e vicinanza
prof. Emilio Tribolato Figli in difficoltà tra legami familiari fragili e pressione sociale e mediatica
www.ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=featured&Itemid=101
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VIOLENZA
La Chiesa rompe il silenzio sulle responsabilità del maschio. Grazie al Papa.
Chi «parea fioco» per il lungo silenzio, nella Commedia, è Virgilio, presentato con una metafora che associa in maniera interessante il registro visivo e quello uditivo. Entrambi gli aspetti sono comunque utili per approfondire la forma incipiente e ancora a tratti un po’ barcollante con cui Amoris Lætitia si riferisce alla maschilità e in particolare alle responsabilità maschili nella violenza sulle donne. Da più parti, infatti, mi è stato chiesto di spiegare meglio cosa intendessi dire in alcune pagine di Dio. Patrie. Famiglie (Piemme 2016), quelle in particolare dedicate alla maschilità, cui anche 27ora ha dato spazio. In quel contesto scrivevo che il testo di papa Francesco, che legge e rilancia i due anni di consultazione sinodale, iniziava a parlare della maschilità e delle responsabilità maschili anche nella violenza familiare «slittando però un po’ troppo velocemente dalla maschilità alla paternità» (p.105).
Il (troppo) lungo tacere riguarda il lento aprirsi delle Chiese e di quella cattolica in particolare a «vedere» prima di tutto e poi a esecrare la violenza sulle donne, nella larga maggioranza dei casi subita all’interno della coppia o dell’ex nucleo di convivenza. Si potrebbe dire che ci troviamo tra l’opera di Elisabeth Green — pastora della Chiesa battista oggi a Cagliari che a più riprese è intervenuta nel panorama editoriale italiano a mostrare come nella Bibbia ci siano testi di violenza contro le donne e come il fatto che non si commentino faccia da specchio alla scarsa attenzione che i cristiani avevano fin qui dedicato a questo dramma (Lacrime amare, 2000 / Cristianesimo e violenza contro le donne, 2015, Claudiana) — e la recente pubblicazione di una biblista cattolica, Donatella Scaiola (Donne e violenza nella Scrittura, 2016, Messaggero). Oggi se ne parla, si scrive e si interviene su questo tema. Entrambe le amiche e colleghe sono anche rappresentative delle rispettive Chiese; ma solo quando la questione sarà presa a pieno carico dagli uomini delle Chiese potremo dire che il silenzio ecclesiastico è cosa del passato.
Proprio da questo punto di vista, però, i primi passi in questa direzione hanno un valore tutto particolare, perché sono un inizio, forse piccolo, ma promettente. Alcune espressioni di Amoris Lætitia sono proprio per questo sicuramente rilevanti e per niente scontate, anche perché sono in certo modo le prime a questo livello di ufficialità (i documenti nella Chiesa cattolica sono molti, ma non tutti dello stesso livello di autorevolezza e cogenza. Si può paragonare questo sistema a quello civile delle «fonti del diritto», con il rispettivo ordine di importanza o gerarchia). Vale la pena metterle nuovamente in evidenza: «Non sono ancora del tutto sradicati costumi inaccettabili. Anzitutto la vergognosa violenza che a volte si usa nei confronti delle donne, i maltrattamenti familiari e varie forme di schiavitù che non costituiscono una dimostrazione di forza mascolina bensì un codardo degrado. La violenza verbale, fisica e sessuale che si esercita contro le donne in alcune coppie di sposi contraddice la natura stessa dell’unione coniugale […]. C’è chi ritiene che molti problemi attuali si siano verificati a partire dall’emancipazione femminile. Ma questo argomento non è valido, è una falsità, non è vero. È una forma di maschilismo. L’identica dignità tra l’uomo e la donna ci porta a rallegrarci del fatto che si superino vecchie forme di discriminazione, e che in seno alle famiglie si sviluppi uno stile di reciprocità» (Amoris Lætitia n. 54).
Si apre dunque una stagione in un certo senso inedita: ma gli inizi sono anche delicati e vanno in qualche modo rafforzati e protetti. In primo luogo vegliando che nei livelli intermedi — le Conferenze episcopali nonché i singoli vescovi e diocesi, ad esempio — il processo avviato sia recepito e sviluppato. Nel documento, infatti, altre parole abbastanza decise sono riportate attraverso una presa di posizione dei vescovi del Messico (AL n. 51). Si sa che una delle attenzioni di papa Francesco è quella di superare l’idea che la Chiesa cattolica sia eurocentrica e dunque ben venga la citazione messicana: certo che adesso aspettiamo passi altrettanto decisi da parte dell’episcopato italiano, data la frequenza drammatica nel nostro Paese di episodi di grave violenza, fino all’uccisione della compagne o ex compagne. Magari senza perdere troppo tempo a disquisire sulle parole e dunque a fermarsi sull’interrogativo se «femminicidio» e, specularmente, «omofobia» siano i termini più adeguati o meno. Intanto i fenomeni violenti non cessano: questo male antico della violenza è anche il male di oggi e dovrebbe apparire fra le priorità, anche ecclesiali. Non può ad esempio sfuggire che al n. 56, nella stessa sezione, sono presentate due diverse accezioni di gender, aprendo così finalmente lo spazio per una discussione pacata, invece che visioni fantasmatiche, messe troppe volte tra le priorità.
Proprio il passo incerto di chi impara a camminare o la parola impacciata di chi è «piccolo» da questo punto di vista, può anche spiegare lo scarto che segnalavo. Si tratta del n. 55, quasi interamente desunto dal testo che raccoglieva in sintesi le opinioni dell’ultima Assise sinodale (Relatio finalis 2015). L’uomo «riveste un ruolo egualmente decisivo nella vita della famiglia, con particolare riferimento alla protezione e al sostegno della sposa e dei figli. […] Molti uomini sono consapevoli dell’importanza del proprio ruolo nella famiglia e lo vivono con le qualità peculiari dell’indole maschile. L’assenza del padre segna gravemente la vita familiare, l’educazione dei figli e il loro inserimento nella società. La sua assenza può essere fisica, affettiva, cognitiva e spirituale. Questa carenza priva i figli di un modello adeguato del comportamento paterno» (n. 55).
Come si può notare si parla di «uomini», nel senso di «uomini maschi»: può sembrare molto poco, a maggior ragione se quell’ «indole peculiare» può alludere anche a un plesso di stereotipi magari associati alla maschilità, ma per un ambiente in cui troppo spesso ancora dire «l’uomo» equivale a un’espressione universale, a comprendere senza nominare anche le donne, è già molto. Vero anche che l’ottica è quella di parlarne rispetto ai nuclei familiari, però qui si perde — o meglio, appena si inizia — quel lavoro sulla maschilità che è uno degli elementi preziosi della riflessione di questi ultimi decenni. E che trova anche in Italia elaborazioni magistrali, quali quelle di Stefano Ciccone e di Maschile Plurale: si potrebbero certo citare lavori collettivi e anche di donne, ma in questo caso è di vitale importanza il lavoro che gli uomini fanno e devono fare «a partire da sé», in compagnia di donne ma senza supplenze, che sarebbero del resto inefficaci e insufficienti.
Qui si apre probabilmente un ulteriore spazio di riflessione rispetto alla Chiesa cattolica, che è vissuta in larga maggioranza da donne (basta entrare in una qualche chiesa durante la liturgia.), ma che a livello dei suoi «quadri» è inguaribilmente maschile, fatta salva la questione appena riproposta di un’ordinazione diaconale di donne, dall’esito ancora più che incerto. Senza entrare nell’aspetto specifico del ministero, ma rimanendo nel plesso violenza/maschilità, appare chiaramente la seguente questione: dal momento che diaconi/preti/vescovi sono uomini, sta a loro, esattamente come agli altri uomini italiani, imparare a partire da sé, a dire «sono solo questo uomo qui» e per di più (esclusi molti diaconi e preti cattolici di rito diverso da quello latino) pure celibi. In questo senso c’è ancora molta strada da fare. Ma nello stesso momento e per la stessa ragione si può dire che il cammino è iniziato e per esperienza personale, per la conoscenza di tanti uomini compagni non solo fuori ma anche «dentro» la Chiesa a vari livelli, penso che il cammino iniziato non si fermerà: certo va curato, va accompagnato, va protetto, perché è ancora piccolo. Si può a questo punto anche alludere a un passo evangelico: importante sarà non spezzare la canna incrinata, né spegnere la fiammella incerta. Anche se foschi scenari internazionali riportano immagini di potenza economica e violenza xenofoba, non casualmente intrisi anche di sessismo e omofobia, i passi iniziati possono rafforzarsi e le voci incerte possono ancora diventare un cantus firmus a sorreggere voci differenti e convergenti.

Cristina Simonelli corriere della sera 4 dicembre 2016
http://27esimaora.corriere.it/16_novembre_30/violenza-chiesa-rompe-silenzio-responsabilita-maschio-grazie-papa-francesco-amoris-laetitia-ab70a786-b71b-11e6-aa72-c3459305a7ca.shtml

Violenza donne: Cam, aumento maltrattanti che chiedono aiuto
Firenze, bilancio centro di ascolto unico in Italia per uomini. Forte incremento delle richieste di ascolto, e quindi di aiuto, da parte di uomini che maltrattano le donne: è quanto registra negli ultimi sette anni il Cam di Firenze, Centro Ascolto Uomini Maltrattanti, il primo centro – spiega un comunicato – nato a livello nazionale per uomini che agiscono con violenza nelle relazioni di intimità.
Dalle sole nove richieste di aiuto del 2009, spiega la nota, si è passati a 85 nel 2015 e a 66 del 2016 (dato al 30 settembre scorso). Il 72% degli uomini che hanno contattato il Cam sono ancora in relazione con la partner sulla quale hanno agito una qualche forma di violenza. L’intervento del Cam è anche azione di prevenzione della recidiva sulle donne che hanno già subito violenza. In valori assoluti dal 2009 al 30 settembre 2016 ha chiamato un totale di 454 uomini. Questo incremento, spiegano al Cam, è correlato all’inserimento del Centro in una più stretta rete di contatti con servizi, enti pubblici, privati, associazioni, che indirizzano le persone in cerca di aiuto. In maggioranza gli uomini che si rivolgono al Cam lo fanno in maniera volontaria (71%); il 5% sono invii coatti della magistratura di sorveglianza o altre forme di affidamento in prova; altri arrivano da professionisti o altre strutture di intervento.
La maggioranza degli uomini che si sono rivolti al Cam, spiega la dottoressa Alessandra Pauncz, psicologa e presidente del Centro, è italiano (92%), gli altri provengono da Perù (3%), Romania e Marocco (2%), e da altre nazioni, principalmente Sud America e Nord Africa. Il 64% risiede in Toscana, gli altri provengono dal Nord Italia (13%) e dal Centro (14%). Per quanto riguarda la provenienza sociale, i dati del Cam confermano la ‘trasversalità’ del fenomeno di violenza nei confronti delle donne: appartengono alle forze dell’ordine il 5% degli uomini che si sono rivolti al centro, ma il picco è nelle ‘categorie’ dei dipendenti, sia pubblici e privati, che sono il 36% del totale; gli operai sono il 17%, i disoccupati il 13%.
La maggior parte degli accessi, spiegano al Cam, interessa la fascia d’età tra i 31 e i 50 anni. È interessante notare però come siano esponenzialmente aumentati (di circa un terzo) giovani uomini nella fascia di età dai 18 ai 30 anni.
Redazione ANSA Firenze 23 novembre 2016
www.ansa.it/toscana/notizie/2016/11/23/violenza-donne-cam-aumento-maltrattanti-che-chiedono-aiuto_d7d4fad5-38b7-4942-89ca-fb2f555e77f0.html
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