newsUCIPEM n. 626 – 4 dicembre 2016

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ABORTO Responsabilità medica a delinquere se il tentato aborto è pilotato.
ADOZIONE E AFFIDO ANFAA. Relazioni: percorsi scolastici.
Un altro importante passo avanti per la Campagna Donare Futuro.
ADOZIONE INTERNAZIONALE Non è dovere dell’Ente autorizzato svolgere attività di indagine.
AMORIS LÆTITIA Bartolomeo: Amoris Lætitia ricorda la compassione di Dio.
Card. Müller: “Non rinnega il magistero precedente”
ASSEGNO DI MANTENIMENTO Carcere e 60mila euro a chi si disinteressa totalmente del figlio.
CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 25/2016, 30 novembre 2016.
CHIESA CATTOLICA Un nuovo concilio, come sedici secoli fa.
CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Frosinone. Primato della Coscienza: tra Etica umana e Morale religiosa.
Trento. Il consultorio ha firmato l’accordo x una comunità educante
Varese. Il card. Scola al Convegno per i 50 anni della Fondazione.
Itinerari di preparazione al matrimonio e alla famiglia.
DALLA NAVATA 2° Domenica tempo dell’Avvento-anno A–4 dicembre 2016.
Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
DEMOGRAFIA ISTAT. Natalità e fecondità della popolazione residente (2015).
Belletti: «Le famiglie abbandonate. Si tradisce la Costituzione».
In calo la natalità. Demografo Rosina: manca un salto culturale.
FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Fare un figlio è una delle prime cause di povertà.
CENSIS. Oggi in Italia conviene separarsi.
FRANCESCO VESCOVO DI ROMA Divorziati risposati. Dubbi e risposte su AL. Il Papa ha già chiarito.
GESTAZIONE PER ALTRI Un altro processo all’utero in affitto.
MATERNITÀ Presupposti e iter per richiedere la maternità anticipata.
NULLITÀ DEL MATRIMONIO No solo perché lui non crede nel matrimonio.
PASTORALE FAMILIARE Imparare ad amare con il Cantico dei Cantici
UCIPEM Nel sito web sono pubblicate 8 relazioni del Congresso di Oristano.
WELFARE Famiglia. La lezione svedese per far rifiorire la natalità
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ABORTO
Responsabilità medica: associazione a delinquere per il medico se il tentato aborto è pilotato
Corte di Cassazione, quinta Sezione penale, sentenza n. 50060, 24 novembre 2016
Associazione a delinquere per il medico che per circa un biennio ha visitato presso il proprio studio donne nigeriane, reclutate tramite due connazionali, al fine di interrompere la gravidanza. Così ha stabilito la Corte di Cassazione, confermando la condanna ex art. 416 commi 1, 2, 3 c.p. a carico del sanitario imputato.
Il medico aveva proposto ricorso contro l’accusa di aver tentato di procurare l’aborto nella quasi totalità di casi sottopostigli (8 su 9) sostenendo la mancata sussistenza dell’elemento soggettivo del reato associativo vista anche l’inesistenza di un programma criminoso che si evince dall’assoluzione da quasi la totalità dei reati-fine. Diversa, invece, è l’idea della Suprema Corte la quale ha ritenuto che determinate condotte quali telefonate frequenti e ripetute tra il medico ricorrente e i complici nigeriani coimputati, fossero sufficienti a testimoniare “la stabilità dell’accordo, la sua perduranza e le modalità operative, dirette verso connazionali dei coimputati di nazionalità nigeriana, a dimostrazione della specificità dell’area di provenienza dell’utenza “. A suffragare ulteriormente la tesi della Corte vi è la disponibilità dello studio medico utilizzato dal ricorrente che conferisce carattere strutturale all’accordo con i ricorrenti. Oltretutto, ciò è ulteriormente confermato dal fatto che il medico svolgesse la sua attività solo nei confronti delle donne reclutate dai complici. Si riscontra quindi la “sussistenza dell’elemento psicologico del delitto”.
In ultimo, sottolineano gli Ermellini, rispetto alla doglianza relativa all’inidoneità (a procurare l’aborto) di una siringa di dimensioni di 5 cm di lunghezza, che il giudice di merito ha condannato il medico, limitatamente all’unico caso accertato dalla polizia a seguito di una irruzione nello studio dello stesso, ossia in presenza di “un riscontro oggettivo in grado di dimostrare, in concreto, che la condotta dell’imputato avesse superato la soglia degli atti preparatori – e avesse acquisito – i caratteri di univocità ed idoneità richiesti dall’art. 56 c.p.”. Negli altri casi, invece, la mancanza di elementi probatori univoci ha portato “all’assoluzione per le imputazioni concernenti i reati-fine”. Ad essere incongrua “ed erroneamente calcolata”, invece, per i giudici di piazza Cavour che hanno accolto il ricorso solo sullo specifico punto, la pena determinata dalla Corte territoriale poiché ha ignorato le assoluzioni dai reati-fine per i casi non supportati da elementi probatori (8 casi su 9).
Gioia Fragiotta News studio Cataldi 28 novembre 2016 Sentenza
www.studiocataldi.it/articoli/24160-responsabilita-medica-associazione-a-delinquere-per-il-medico-se-il-tentato-aborto-e-pilotato.asp
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ADOZIONE E AFFIDO
ANFAA. Relazioni: percorsi scolastici.
L’articolo con tutte le relazioni del Convegno di Torino del 22 novembre 2016 scorso sul tema Per stare insieme e bene a scuola. Strategie di apprendimento per una didattica inclusiva e percorsi scolastici degli alunni adottati e affidati è consultabile dal sito dell’Anfaa
Oltre a offrire informazioni sulla situazione attuale, in tema di raccordi istituzioni-scuole- famiglie, partendo da una riflessione sulle specificità delle storie dei minori adottati e in affidamento familiare, importante obiettivo del Convegno è stato quello di presentare proposte per l’emanazione di Linee di indirizzo sull’inserimento scolastico dei minori affidati, a seguito di quelle già emanate sul diritto allo studio degli allievi adottati.
Le Linee di indirizzo per l’affidamento familiare preparate dalla Cabina di Regia del Progetto nazionale “Un percorso nell’affido” e approvate dalla Conferenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’ottobre 2012 prevedono espressamente al punto 128 specifiche Raccomandazioni ed Azioni dirette all’individuazione di percorsi condivisi fra Istituzioni, Servizi ed Associazioni interessate e alla valorizzazione del ruolo e dell’apporto della scuola per favorire l’inclusione sociale dei minori affidati, ma vanno approfondite ed elaborate. Su questo punto l’Assessore regionale all’istruzione Gianna Pentenero si è impegnata d’intesa con il Direttore dell’Ufficio scolastico regionale Franco Calcagno ad attivare al più presto un Tavolo di lavoro per elaborare proposte specifiche in merito da proporre e rilanciare a livello nazionale. Il Comune di Torino ha assicurato la sua collaborazione e l’Anfaa ha confermato la sua piena disponibilità a partecipare.
In preparazione del Convegno era stato inoltre stato predisposto dai componenti del Tavolo sull’affido Comune di Torino-Associazioni un questionario on line sull’inserimento scolastico dei minori affidati, realizzato con la collaborazione di Paola Ricchiardi, affidataria e professore associato presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’educazione dell’Università degli studi di Torino agli affidatari. Il questionario è stato inviato nei giorni scorsi da CASAFFIDO del Comune di Torino ed è rivolto agli affidatari con un affidamento in corso (o concluso negli anni 2015/2016) di un minore che sta frequentando la scuola dell’infanzia o qualunque grado della scuola dell’obbligo.
Al Convegno hanno partecipato oltre 200 insegnanti, diversi di loro anche genitori adottivi o affidatari.
Molto interessante anche la Tavola rotonda, introdotta e coordinata da Marisa Faloppa, presidente del Comitato per l’integrazione scolastica, pomeridiana incentrata sul diritto al benessere a scuola, alla riflessione e condivisione di alcune strategie educative con esempi di modalità e strumenti.
Donata Nova Micucci, presidente Anfaa, Emilia Pistoia, referente scuola 28 novembre 2016
www.anfaa.it
www.anfaa.it/blog/2016/11/20/__trashed-2

Un altro importante passo avanti per la Campagna Donare Futuro.
In occasione dell’anniversario della Convenzione Onu sui diritti dei bambini e ragazzi (20 novembre 1989), la campagna “Donare Futuro – Misure urgenti per la tutela del diritto alla famiglia al centrosud d’Italia” segna un’altra tappa importante nella regione Lazio.
L’Assessora Regionale alle Politiche Sociali Rita Visini ha infatti annunciato, nel corso di un incontro con alcuni rappresentanti della Campagna che si è svolto il 18 novembre 2016, l’avvio del percorso di costituzione del tavolo regionale sull’affido, attraverso l’istituzione di un gruppo di lavoro ad hoc, che ne definirà in tempi relativamente brevi obiettivi, caratteristiche e modalità di partecipazione.
Parallelamente, si concluderà nelle prossime settimane il processo di elaborazione del Piano Sociale regionale, che dovrebbe essere approvato entro la metà di dicembre 2016.
Tutti i partecipanti all’incontro hanno accolto con grande soddisfazione la notizia, che rappresenta un’ulteriore conferma dell’impegno della Regione Lazio per il benessere dei minori e delle famiglie.
Per la Regione erano presenti, accanto all’Assessora Rita Visini, anche Antonio Vannisanti Segreteria Assessore Politiche Sociali, Sport e Sicurezza e Antonio Mazzarotto Dirigente dell’Area Politiche per l’Inclusione della D.R. Salute e Politiche Sociali, mentre in rappresentanza della Campagna hanno partecipato all’incontro Maria Grazia Viganò (referente segreteria del Lazio e Associazione Insieme), Olivia Pagano (CISMAI), Francesca Savarino (Movimento Famiglie Affidatarie e Solidali – Borgo Ragazzi Don Bosco) e Maresa Berliri (Coordinamento CARE).
Attualmente sono tre le Regioni che stanno costituendo i tavoli regionali sull’affido, così come richiesto dalla Campagna Donare Futuro: Lazio, Puglia e Abruzzo.
Comunicato stampa CNCA Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza 28 novembre 2016
www.cnca.it/lazio/news/2790-nel-lazio-al-via-il-percorso-per-la-costituzione-del-tavolo-regionale-per-l-affido
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
Tribunale di Lodi: “Non è dovere dell’Ente autorizzato svolgere attività di indagine diretta sul minore”.
Richiamata la Convenzione de L’Aja: “L’ente riceve dall’Autorità straniera attestazione delle condizioni di adottabilità”. Con sentenza, divenuta ormai definitiva, pubblicata nell’agosto 2016, il Tribunale di Lodi si è pronunciato in merito agli obblighi degli Enti autorizzati per l’adozione internazionale nei confronti delle coppie adottanti. Il caso riguardava una coppia che lamentava un inadempimento dell’ente per avere violato gli obblighi informativi contrattualmente previsti e che sosteneva che l’ente avrebbe dovuto attivarsi nella ricerca di informazioni ulteriori rispetto a quelle fornite dalle autorità del Paese di origine.
Il Tribunale, dopo attenta valutazione dei documenti e delle leggi che regolano la materia delle adozioni internazionali, ha rigettato la domanda della coppia chiarendo tutto quanto segue.
“..occorre premettere – ha scritto il giudice – che, sulla scorta delle previsioni di cui all’art. 31 L. n. 184/1983, gli enti autorizzati alla cura della procedura di adozione sono tenuti, tra l’altro, a raccogliere ‘dall’autorità straniera la proposta di incontro tra gli aspiranti all’adozione ed il minore da adottare, curando che sia accompagnata da tutte le informazioni di carattere sanitario riguardanti il minore, dalle notizie riguardanti la sua famiglia di origine e le sue esperienze di vita’ (co. 3 lett. C)”.
Una volta raccolte dall’Autorità straniera, tali “informazioni e tutte le notizie riguardanti il minore” devono essere trasferite “agli aspiranti genitori adottivi, informandoli della proposta di incontro tra gli aspiranti all’adozione ed il minore da adottare”. “L’obbligazione in esame non ricomprende tuttavia – prosegue il giudice – la segnalazione di patologie non descritte nella cartella sanitaria del minore e che non vengano comunicate dall’Autorità al momento dell’abbinamento”.
E conclude: “…attività di indagine ulteriore esula dalle previsioni legislative sopra richiamate, che, nel richiamare l’obbligo di cura della completezza della documentazione di carattere sanitario, non attribuiscono alla associazione stessa alcuna facoltà di indagine diretta sul minore, né di valutazione di merito in ordine alla correttezza delle diagnosi mediche formulate, ovvero di attivazione per la ricerca di informazioni ulteriori”.
Sullo specifico aspetto delle informazioni provenienti dalle competenti autorità straniere e sulla responsabilità di queste ultime in ordine alla documentazione fornita è del resto fin troppo chiaro il testo della Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale, firmata a L’Aja il 29 maggio 1993. A norma dell’articolo 31 (comma 3 lettere f) e i) della legge 184/1083), infatti, “L’ente autorizzato che ha ricevuto l’incarico di curare la procedura di adozione riceve dall’autorità straniera attestazione della sussistenza delle condizioni di cui all’articolo 4 della Convenzione” che prevede che le adozioni “possono aver luogo soltanto se le autorità competenti dello Stato d’origine hanno stabilito che il minore sia adottabile” escludendo quindi qualsiasi dovere in capo all’ente autorizzato circa la verifica della adottabilità del minore proposto per l’abbinamento”.
Come se non bastasse, gli articoli 16 e 17 della Convenzione chiariscono in dettaglio le responsabilità dei Paesi coinvolti e, in particolare, dell’Autorità centrale dello Stato d’origine del minore: è quest’ultima che, “se ritiene che il minore è adottabile… redige una relazione contenente informazioni circa l’identità del minore, la sua adottabilità, il suo ambiente sociale, la sua evoluzione personale -e familiare, l’anamnesi sanitaria del minore stesso e della sua famiglia, non che circa le sue necessità particolari”; “si assicura che i consensi previsti dall’art. 4 sono stati ottenuti” e “trasmette all’Autorità Centrale dello Stato di accoglienza la relazione sul minore”.
Successivamente, nei paesi in cui le Autorità centrali di accoglienza delegano gli Enti Autorizzati sono questi a ricevere le relazioni avendo unicamente l’obbligo di trasmetterle alle coppie, come visto, e “immediatamente al tribunale per i minorenni e alla Commissione” (art. 31 comma 3 lett. I).
Archivio News Ai. Bi. 29 novembre 2016
www.aibi.it/ita/non-e-dovere-dellente-svolgere-attivita-di-indagine-diretta-sul-minore
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AMORIS LÆTITIA
Bartolomeo: Amoris Lætitia ricorda la compassione di Dio
Continua a suscitare numerosi commenti l’Esortazione apostolica di Papa Francesco “Amoris Lætitia “. L’ultimo importante intervento è quello del Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, che ha scritto un articolo sull’Osservatore Romano del 3 dicembre. Il Patriarca riflette sulla domanda che si fanno alcuni: in Amoris laetitia la dottrina su matrimonio e famiglia è stata sviluppata o difesa? Le norme sono state rafforzate o mitigate? La lettera del Papa – osserva Bartolomeo – ricorda anzitutto la misericordia e la compassione di Dio e non soltanto le regole canoniche degli uomini. Il punto di partenza è la grazia amorevole e salvifica di Dio, che risplende su ogni persona senza discriminazione.
Notiziario Radio vaticana -3 dicembre 2016 http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

Il patriarca ecumenico legge l’«Amoris Lætitia »
Quando parliamo di Dio, il linguaggio descrittivo che adottiamo è quello dell’amore. E quando parliamo di amore, la dimensione fondamentale attribuitagli è quella divina. Per questo l’apostolo dell’amore definisce Dio come amore (cfr. 1 Giovanni 4, 8).
Quando all’inizio dell’anno il nostro caro fratello e vescovo di Roma, Sua Santità Francesco, ha pubblicato l’esortazione apostolica Amoris Lætitia, era più o meno il periodo in cui ci siamo recati insieme nell’isola di Lesbo, in Grecia, per manifestare la nostra solidarietà con i rifugiati perseguitati provenienti dal Medio oriente. Il documento papale sulla «gioia dell’amore», sebbene si occupi di questioni pertinenti alla vita familiare e all’amore, riteniamo che non sia scollegato da quella storica visita ai campi profughi. Di fatto, ciò che è subito apparso chiaro a entrambi mentre guardavamo i volti tristi delle vittime ferite della guerra è stato che tutte quelle persone erano singoli membri di famiglie, famiglie spezzate e lacerate dall’ostilità e dalla violenza. Ma come nostro Signore ci ha detto esplicitamente riguardo al rapporto tra potere e servizio (cfr. Matteo 20, 26), non dovrebbe essere così tra noi! L’immigrazione non è altro che il rovescio della stessa medaglia dell’integrazione, che certamente è responsabilità di ogni credente sincero.
Naturalmente Amoris Lætitia tocca il cuore stesso dell’amore e della famiglia, proprio come tocca il cuore di ogni persona vivente nata in questo mondo. Ciò accade perché le questioni più delicate della vita familiare rispecchiano le questioni più fondamentali dell’appartenenza e della comunione. Sia che riguardino le sfide del matrimonio e del divorzio, sia che riguardino la sessualità o l’educazione dei figli, sono tutti frammenti delicati e preziosi di quel sacro mistero che chiamiamo vita.
Negli ultimi mesi sono stati numerosi i commenti e le valutazioni su questo importante documento. Le persone si sono chieste in che modo la dottrina specifica è stata sviluppata o difesa, se le questioni pastorali sono state modificate o risolte, e se norme particolari sono state rafforzate o mitigate. Tuttavia, alla luce dell’imminente festa dell’Incarnazione del Signore — tempo in cui commemoriamo e celebriamo il fatto che «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Giovanni 1, 14) — è importante osservare che Amoris Lætitia ricorda anzitutto e soprattutto la misericordia e la compassione di Dio, e non soltanto le norme morali e le regole canoniche degli uomini.
Indubbiamente, ad avere soffocato e ostacolato le persone è stata in passato la paura che un “padre celeste” in qualche modo detti la condotta umana e prescriva le usanze umane. È vero esattamente l’opposto e i leader religiosi sono chiamati a ricordare a loro stessi, e poi agli altri, che Dio è vita e amore e luce. Di fatto, sono queste le parole ripetutamente sottolineate da Papa Francesco nel suo documento, che discerne l’esperienza e le sfide della società contemporanea al fine di definire una spiritualità del matrimonio e della famiglie per il mondo attuale.
I padri della Chiesa non hanno paura di parlare apertamente e onestamente della vita cristiana. Tuttavia, il loro punto di partenza è sempre la grazia amorevole e salvifica di Dio, che risplende su ogni persona senza discriminazione o disprezzo. Questo fuoco di Dio — diceva nel VII secolo Abba Isacco il Siro — porta calore e consolazione a quanti sono abituati alla sua energia, mentre brucia e consuma quanti si sono allontanati dal suo fervore nella loro vita. E questa luce di Dio — aggiungeva nel X secolo san Simeone il Nuovo Teologo — serve da salvezza per quanti l’hanno desiderata e permette loro di vedere la gloria divina, mentre porta condanna a chi l’ha rifiutata e preferito la propria cecità.
Nei primi mesi dell’anno giubilare della misericordia, è stato davvero opportuno che Papa Francesco abbia sia incontrato le famiglie dei rifugiati sconfortati in Grecia sia abbracciato le famiglie che sono sotto la sua cura pastorale in tutto il mondo. Così facendo ha non solo invocato l’infinita carità e la compassione incondizionata del Dio vivente sulle anime più vulnerabili, ma ha anche suscitato una risposta personale da parte di chi ha ricevuto e letto le sue parole, nonché di tutte le persone di buona volontà. Di fatto egli ha invitato la gente ad assumersi la responsabilità personale per la propria salvezza, cercando modi in cui poter seguire i comandamenti divini e maturare nell’amore spirituale.
La conclusione dell’esortazione papale è dunque anche la nostra conclusione e riflessione: «Quello che ci è stato promesso è più grande di quanto possiamo immaginare. Non scoraggiamoci mai a causa dei nostri limiti, e non cessiamo mai di cercare quella pienezza di amore e di comunione che Dio ci mostra».
Bartolomeo 2 dicembre 2016
www.osservatoreromano.va/it/news/compassione-del-dio-vivente
Card. Müller: “Non rinnega il magistero precedente”
Il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede esorta a non “polarizzare” e surriscaldare il dibattito sull’ultima esortazione apostolica. Il dibattito sulla Amoris Lætitia, che va avanti ormai dalla sua pubblicazione avvenuta nell’aprile 2016, si è arricchito di un ulteriore contributo del cardinale Gerhard Ludwig Müller. In un’intervista all’agenzia austriaca Kathpress, il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha risposto ai dubbi sollevati nei giorni scorsi da quattro cardinali, in modo particolare sul capitolo 8, dedicato al discernimento delle situazioni “irregolari”.
Premettendo di parlare “con l’autorità del Papa” e di non poter “partecipare alla diatriba delle opinioni”, il cardinale Müller specifica anche che il Santo Padre potrebbe “incaricare” il suo dicastero di risolvere la controversia. “In questo momento – ha detto il porporato tedesco – è importante che ognuno di noi rimanga obiettivo e non si lasci trascinare in una sorta di polarizzazione e meno ancora contribuisca a rinfocolarla”.
In merito all’interrogativo stimolato dalla Amoris Lætitia, ovvero se i divorziati risposati possano, in casi eccezionali, essere riammessi all’eucaristia, e quindi i pronunciamenti dei pontefici precedenti non siano più validi, Müller fa presente che il magistero precedente è ancora valido e cita, a tal proposito, il veto posto nel 1994 dall’allora cardinale Joseph Ratzinger, suo predecessore, alla lettera pastorale dei vescovi Kasper, Lehman e Saier, che annunciavano la permissione dell’eucaristia ai divorziati risposati. Il cardinale Müller ha quindi ribadito che “l’indissolubilità del matrimonio deve essere il fondamento dottrinale incrollabile per l’accompagnamento pastorale”, mentre il principale obiettivo di papa Francesco, con la Amoris Lætitia, è quello di aiutare le famiglie e i matrimoni in crisi a trovare “una via che sia in corrispondenza con la volontà sempre misericordiosa di Dio”. In conclusione il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede esprime l’auspicio che le vere o presunte lotte dottrinali all’interno del Vaticano si risolvano con la “vittoria della verità” e non con il “trionfo del potere”.
Non è la prima volta che Amoris Lætitia non è affatto in contrasto con la Familiaris consortio di San Giovanni Paolo II, che indicava ai divorziati risposati, come unico modo per ricevere la comunione, il vivere castamente, “come fratello e sorella” (cfr FC 84). “Se la Amoris Lætitia avesse voluto cancellare una disciplina tanto radicata e di tanta rilevanza l’avrebbe detto con chiarezza e presentando ragioni a sostegno – aveva dichiarato Müller in quell’occasione -. Invece non vi è alcuna affermazione in questo senso; né il papa mette in dubbio, in nessun momento, gli argomenti presentati dai suoi predecessori, che non si basano sulla colpevolezza soggettiva di questi nostri fratelli, bensì sul loro modo visibile, oggettivo, di vita, contrario alla parole di Cristo”. “Cambiare la disciplina in questo punto concreto- aveva aggiunto il cardinale tedesco – ammettendo una contraddizione tra l’eucarestia e il matrimonio, significherebbe necessariamente cambiare la professione di fede della Chiesa, che insegna e realizza l’armonia tra tutti i sacramenti, tale e quale l’ha ricevuta da Gesù. Su questa fede nel matrimonio indissolubile, non come ideale lontano ma come realtà concreta, è stato versato sangue di martiri”.
Luca Marcolivio Zenit 3 dicembre 2016
https://it.zenit.org/articles/amoris-laetitia-card-muller-non-rinnega-il-magistero-precedente
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO
Carcere e 60mila euro di provvisionale al padre che si disinteressa totalmente del figlio
Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza n. 50075, 25 novembre 2016
Per la Cassazione la sanzione monstre è giustificata dal persistente mancato versamento del mantenimento e dalla minore età del figlio. Carcere e non pena pecuniaria per il padre che si è disinteressato completamente del figlio senza mai versare l’assegno in favore del minore. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un padre confermando la condanna comminatagli dalla Corte d’Appello a sette mesi di reclusione, 600 euro di multa e risarcimento del danno in favore della parte civile, con provvisionale di 60mila euro.
Il ricorrente, imputato del reato di cui all’art. 570 (Violazione degli obblighi di assistenza familiare), è accusato di aver fatto mancare i mezzi di sussistenza al figlio minore, non avendo mai corrisposto la somma mensile stabilite per il suo mantenimento, né l’importo a titolo di contributo per le spese sostenute dalla madre del ragazzo, così privando lo stesso anche della dovuta assistenza morale “non essendosi mai interessato a lui e avendolo visto solo due volte nel corso del primo anno di vita”.
Il ricorso, tuttavia, è solo una pedissequa ripetizione delle identiche doglianze poste a base dell’impugnazione formalizzata innanzi alla Corte territoriale e dalla stessa motivatamente disattese. Conferma l’attendibilità della parola della teste (la ex) costituitasi parte civile, i giudici di Cassazione precisano che essendo stato il reato ascritto in danno di soggetto minorenne, lo stato di bisogno di quest’ultimo è in re ipsa, salva la sussistenza di elementi concreti idonei a consentire il superamento della relativa presunzione. 
Ne discende che la deposizione della madre del minore, circa il ricorso all’aiuto di terzi per far fronte alle esigenze del figlio, lungi dall’essere insufficiente, come sostiene il ricorrente, altro non fa che corroborare ulteriormente la presunzione anzidetta.
Quanto alla mancata sostituzione della pena detentiva inflitta con la corrispondente pena pecuniaria, si precisa che, ai fini della sostituzione, “il giudice ricorre ai criteri previsti dall’art. 133 c.p.; tuttavia, ciò non implica che egli debba prendere in esame tutti i parametri contemplati nella suddetta previsione, potendo la sia discrezionalità essere esercitata motivando sugli aspetti ritenuti decisivi in proposito, quali l’inefficacia della sanzione”. Neppure trova spazio la censura relativa alla quantificazione della provvisionale, poiché la giurisprudenza di Cassazione rammenta che “il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva, non è impugnabile per Cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento”. 
Lucia Izzo News studio Cataldi 28 novembre 2016
Sentenza www.studiocataldi.it/articoli/24161-carcere-e-60mila-euro-di-provvisionale-al-padre-che-si-disinteressa-totalmente-del-figlio.asp
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CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF
Newsletter n. 25/2016, 30 novembre 2016.
Continua il calo delle nascite. Un intervento su Avvenire. “Siamo innanzi alla sconfitta della rilevanza pubblica del fare famiglia e questa è indubbiamente la gravissima responsabilità da attribuire alla mancanza di investimenti sociali e di politiche per la famiglia nel nostro Paese” [Leggi l’intervista a Francesco Belletti, Cisf www.avvenire.it/attualita/pagine/le-famiglie-abbandonate-si-tradisce-la-costituzione].
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“In mezzo alla gente”. Sesta edizione del Festival della Dottrina sociale della Chiesa, Verona, 24-27 novembre 2016. E’ particolarmente significativo che il Festival sulla DSC di Verona si sia concluso, domenica 27 mattina, con una tavola rotonda sulla “Famiglia soggetto. Proposte di politiche familiari e risvolti economici”. Il tema è stato affrontato da punti di vista diversi: quello descrittivo ed interpretativo, proposto dal Cisf (Francesco Belletti); quello di una concreta esperienza associativa di famiglie (l’AFI, Associazione delle Famiglie-Italia, www.afifamiglia.it tramite il suo Presidente Daniele Udali), e quello di un amministratore di un Comune che ha investito con continuità (e con oggettivo successo) su politiche e scelte amministrative “a misura di famiglia” (l’esperienza più che decennale del Comune di Castelnuovo del Garda, attraverso Maurizio Bernardi, già Sindaco per due mandati e ora Consigliere comunale). Tra i punti rilevanti è emersa l’importanza dell’aggregazione tra famiglie, che diventa strumento di auto aiuto per le singole famiglie, ma anche voce e rappresentanza davanti agli amministratori, ai media, agli altri soggetti della società civile. In tal modo la cittadinanza della famiglia, prima ancora che diritto da rivendicare. Diventa un concreto esercizio di responsabilità e di generazione di bene comune. Importante anche il riferimento a due strumenti di programmazione, che hanno avuto ben diverso destino: da un lato, a livello micro, il “Piano Integrato di politiche familiari” del Comune di Castelnuovo del Garda, strumento che ha orientato con coerenza, concretezza, durata ed efficacia le scelte amministrative. Dall’altro, in negativo, a livello macro, il destino ancora ignoto del “Piano nazionale della famiglia”, approvato il 7 giugno 2012 dal Governo nazionale e tuttora in attesa di attuazione concreta.
www.politichefamiglia.it/media/1055/piano-famiglia-definitivo-7-giugno-2012-def.pdf
pag. 32 Servizi consultoriali e di informazione (consultori, mediazione familiare, centri per le famiglie)
Da segnalare anche la più volte richiamata urgenza di una riforma del fisco che finalmente inserisca l’equità fiscale e la “misura famiglia” come criterio di riforma. Magari utilizzando il FattoreFamiglia, tuttora proposto dal Forum delle associazioni familiari. www.forumfamiglie.org/tema/Fattorefamiglia/116
L’appuntamento, di Verona è anche il primo passo di un percorso che condurrà alla 48.a Settimana Sociale dei Cattolici in Italia (Cagliari, 26-29 ottobre 2017 – Leggi la Lettera invito di Mons. Filippo Santoro, Presidente del Comitato Organizzatore), ed è stata preziosa, in questo percorso, la conferma che l’attenzione alla famiglia rimane un punto decisivo della Dottrina Sociale della Chiesa, soprattutto se si vuole costruire una società capace di coniugare sussidiarietà e solidarietà. In questo infatti la famiglia può e deve giocare un ruolo insostituibile. www.settimanesociali.it/siti/allegati/13202/2016.11.18%20Lettera%20invito.pdf
Francesco Belletti – Cisf
Vedi anche le conclusioni del Festival, da parte di Mons. Adriano Vincenzi: “Carichi di grande energia, torniamo a casa capaci di fare qualsiasi cosa”.
http://festival.dottrinasociale.it/2016/11/28/mons-vincenzi-chiude-il-6-festival-dsc-carichi-di-grande-energia-torniamo-a-casa-capaci-di-fare-qualsiasi-cosa
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Dall’Italia. “Quello che non so di te… mi piace, mi incuriosisce, mi interessa, mi fa paura…” E’ il titolo del XX concorso artistico-letterario per gli studenti delle scuole di tutta Italia, gli insegnanti e i genitori promosso dall’Istituto Toniolo, ente fondatore dell’Università Cattolica, incentrato sul dialogo e sulla valorizzazione delle differenze, con particolare attenzione al confronto tra diverse culture e religioni. Al concorso si affianca un corso di formazione per insegnanti sulle tre grandi religioni monoteistiche, con accredito dal MIUR presso la sede dell’Università Cattolica di Milano e modulo residenziale in una città da definirsi; la pubblicazione di materiali audio-visivi e didattici su un sito dedicato; la realizzazione di un e-book con brani di interviste a 150 giovani tra i 19 e i 32 anni di tutta Italia sul tema del rapporto con le altre religioni.
[Vai al sito per tempi, regolamento e premi.] www.concorsoamiciuc.it
Il Cisf ha partecipato alla presentazione del progetto “Value@Work”, avvenuta nei prestigiosi locali del Museo Romano di Palazzo Massimo alle Terme, a Roma. Il progetto, promosso dall’ISSD (Istituto di Studi Superiori della Donna) e dall’Istituto Fidelis di Etica Sociale ed Economica (entrambi operanti all’interno dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum), intende “portare la centralità della persona nel nuovo paradigma del lavoro verso cui stiamo andando. Questo principio è l’unico che può portare ad uno sviluppo sostenibile, e a superare la crisi economica e sociale che oggi affrontiamo” (così la neo-presidente, Marta Rodriguez, nel suo appassionato intervento). In effetti l’incontro ha raccolto esperti, imprenditori, famiglie e lavoratori, tutti accomunati dall’idea che per ogni persona sia oggi possibile – e anche necessario – affrontare positivamente anche le difficili circostanze della crisi economica, uscendo dal paradigma della rivendicazione e del lamento. Perché la persona, soprattutto oggi, è il capitale più prezioso di un Paese – anche in economia. Da segnalare poi l’esplicita attenzione al ruolo della famiglia, sia come insostituibile spazio di educazione della persona a valori a attitudini che anche nel sociale e nel lavoro sono preziosi, sia come dimensione che interroga il mondo del lavoro e le regole organizzative e giuridiche, alla ricerca di una flessibilità capace di rispettare i tempi sociali e della famiglia, oltre che i progetti di vita e i compiti di cura delle donne e degli uomini coinvolti.
www.upra.org/news/valuework-la-persona-al-centro-venerdi-25-novembre-presso-palazzo-massimo-alle-terme
Ancona. Anziani “in cattedra” per dare lezioni d’impresa ai più giovani. Progetto INRCA promuove scambio tra generazioni. Favorire il confronto tra imprenditori anziani e ragazzi fuori dal mercato del lavoro per trasmettere ai più giovani le competenze necessarie ad avviare un’impresa. È l’obiettivo dell’innovativo progetto “be the change” (“sii tu il cambiamento”), www.inrca.it/inrca/News2.asp?ID=222
avviato dall’INRCA di Ancona e finanziato dal progetto europeo Erasmus Plus per valorizzare l’esperienza imprenditoriale degli anziani acquisita nel corso della vita, e al contempo fornire ai giovani un’occasione di formazione per aprirsi al mercato del lavoro.
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Dall’estero. Minori e web. Un rapporto internazionale. “GlobalKids online è un progetto di ricerca internazionale che ha lo scopo di generare e promuovere una rigorosa fonte informativa comparativa internazionale con dati empirici relativa all’utilizzo di Internet da parte dei bambini, tramite la creazione di una rete di ricercatori ed esperti”. In particolare sono stati recentemente pubblicati, nel Rapporto di sintesi 2015-2016, i dati relativi ad Argentina, Filippine, Serbia e Sudafrica. Il Report è stato curato dal Dipartimento Media and Communication della London Schools of Economics e dall’Unicef – Ufficio per la ricerca-Istituto Innocenti (presso l’Istituto degli Innocenti di Firenze). [Leggi la sintesi del Report]
http://blogs.lse.ac.uk/gko/wp-content/uploads/2016/11/Synthesis-report_07-Nov-2016.pdf
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CHIESA CATTOLICA
Un nuovo concilio, come sedici secoli fa
I conflitti messi in moto oggi da “Amoris Lætitia” hanno un precedente nelle controversie cristologiche del tardo impero romano. Le risolse il concilio ecumenico di Calcedonia. Dal Cile, uno studioso propone di rifare lo stesso cammino
Con l’atto stesso di non rispondere all’appello dei quattro cardinali di fare chiarezza sui punti più controversi di “Amoris Lætitia” papa Francesco almeno una cosa l’ha fatta capire. Ed è la sua incrollabile certezza della bontà del processo da lui messo in moto con l’esortazione postsinodale, proprio grazie alla calcolata ambiguità del testo, che ha aperto la strada a una molteplicità di interpretazioni e di applicazioni, alcune delle quali decisamente nuove rispetto al plurisecolare insegnamento della Chiesa.
Non è la prima volta, nella storia cristiana, che si verifica un caso del genere. Che cioè dei pronunciamenti del magistero, volutamente non chiari, lascino convivere più interpretazioni contrastanti, anche su punti centrali del dogma. È capitato così nella prima fase delle controversie trinitarie e cristologiche del quarto secolo.
Nel saggio che si cita, un esperto di quelle antiche controversie mostra quanto la loro dinamica somigli al conflitto oggi in corso nella Chiesa cattolica sui sacramenti del matrimonio e dell’eucaristia. Allora, l’eresia che dilagava era quella di Ario, che minava la divinità di Gesù. Mentre oggi ad essere in pericolo è l’indissolubilità del matrimonio cristiano.
L’autore del saggio, Claudio Pierantoni, ha studiato a Roma filologia classica e storia del cristianesimo all’Università “La Sapienza” e all’Augustinianum, con suo maestro l’insigne patrologo Manlio Simonetti, specializzandosi nelle controversie cristologiche del quarto secolo e in sant’Agostino.
Sposato e con due figlie, dal 1999 Pierantoni vive a Santiago del Cile. Ha insegnato storia della Chiesa e patrologia alla Pontificia Universidad Católica e attualmente insegna filosofia medievale alla Universidad de Chile. In Cile ha stretto amicizia con altri studiosi cattolici emigrati in quel paese, quali l’austriaco Josef Seifert e il venezuelano Carlos Casanova, entrambi impegnati nell’attuale controversia su “Amoris Lætitia”. È tra i firmatari del cosiddetto “documento dei 45”, la petizione inviata la scorsa estate ai cardinali e ai patriarchi perché domandassero al papa di chiarire i punti più controversi dell’esortazione.
Il suo testo integrale è: La crisi ariana e la controversia attuale su “Amoris Lætitia”: un parallelo
Qui di seguito sono riprodotti l’esordio e la parte finale del saggio. Il quadro che vi è tratteggiato è drammatico, ma non privo di speranza in un positivo superamento della crisi odierna. Magari con un nuovo concilio ecumenico, come a Calcedonia tanti secoli fa
Estratto http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351423
Le riflessioni che seguono traggono origine da una coincidenza abbastanza curiosa. Ai primi di aprile di quest’anno infatti, nella facoltà di teologia della Pontificia Universidad Católica di Santiago del Cile ha preso le mosse un gruppo di studio sulla controversia ariana. Nella prima riunione del gruppo riflettevamo sulla straordinaria rapidità con cui la controversia suscitata dal presbitero alessandrino Ario nel 318 o 319, apparentemente sedata con la condanna di questi da parte del vescovo della metropoli Alessandro, si diffuse invece in Palestina e di lì a pochi anni infiammò tutto l’Oriente romano, spingendo l’imperatore Costantino a convocare addirittura un concilio ecumenico per risolverla. Apparentemente si trattava solo di un paio di frasi imprudenti sulla relazione del Figlio con il Padre, che però misero allo scoperto profonde differenze dottrinali esistenti nell’episcopato, e scatenarono una polemica evidentemente latente da molto tempo.
Ebbene, proprio in quegli stessi giorni di aprile del 2016 veniva pubblicata l’esortazione apostolica “Amoris Lætitia” e di lì a poco […] vennero le reazioni del Card. Burke e quelle del Card. Müller, e incominciò la polemica. Non ci volle molto tempo per capire che l’incendio che si stava rapidamente propagando, proprio come ai tempi di Ario, era di vaste proporzioni, nonostante le modeste apparenze di basarsi solo su un paio di imprudenti note a piè di pagina, che il papa affermava di non ricordare neppure.
Mi venne quindi naturale cominciare a fare un paragone fra le due crisi. […] I due momenti, infatti, possono essere visti in analogia, perché in entrambi i casi un intervento importante del magistero è percepito da molti cattolici come in conflitto con la dottrina precedente. E inoltre, in entrambi i casi, si percepisce un assordante silenzio della gerarchia della Chiesa cattolica, naturalmente con delle eccezioni.
Quanto al contenuto, le due crisi sono certamente diverse: nel primo caso l’argomento del contendere è prettamente teologico, riguardando il fondamento della dottrina cristiana su Dio uno e trino, mentre nel secondo è teologico-morale, riguardando in modo centrale il tema del matrimonio.
Tuttavia, l’elemento principale che avvicina le due crisi è, mi pare, il fatto che entrambe interessano un pilastro del messaggio cristiano, distrutto il quale il messaggio stesso perde la sua fisionomia fondamentale. […]
I. Parallelo tra le due crisi, nei documenti dottrinali. Dal punto di vista dei documenti dottrinali, l’elemento parallelo che maggiormente richiama l’attenzione è il carattere di ambiguità presente nelle formule filoariane degli anni 357-360.In effetti, […] la minoranza filoariana, pur essendo al potere, non si azzarda a proporre una posizione che troppo chiaramente si opponga alla visione tradizionale. Non dice espressamente che il Figlio è inferiore al Padre, ma usa un’espressione generica, “simile” al Padre, che poteva prestarsi a diversi gradi di subordinazionismo. In breve, pur essendo al potere, essa cerca di nascondersi.
In modo analogo, l’attuale esortazione apostolica “Amoris Lætitia”, nel famoso capitolo VIII, non nega apertamente l’indissolubilità del matrimonio, anzi l’afferma esplicitamente. Nega però in pratica le conseguenze necessarie che discendono dall’indissolubilità matrimoniale. Ma lo fa attraverso un discorso sinuoso e involuto, con formulazioni che coprono una gamma di posizioni diverse, alcune più estreme, altre più moderate. Per esempio, dice che “in alcuni casi” potrebbe darsi alle persone in unioni “cosiddette irregolari” l’“aiuto dei sacramenti”. Quali siano questi casi non viene detto, per cui del testo possono darsi almeno quattro interpretazioni, di cui le più restrittive sono ovviamente incompatibili con le più ampie. Per chiarezza interpretativa, è quindi utile classificarle in base al diverso grado di ampiezza, partendo dalla più restrittiva fino alla più estesa:
In base al principio di continuità ermeneutica, l’espressione “in alcuni casi” dovrebbe interpretarsi come riferentesi ai casi specificati nei documenti del magistero vigente, come “Familiaris consortio”, che dice che si può dare l’assoluzione e la comunione eucaristica in quei casi in cui i conviventi facciano promessa di convivere come fratello e sorella. Questa interpretazione ha dalla sua un principio ermeneutico fondamentale, che potrebbe sembrare irrefutabile, ma è contraddetta dalla nota 329, che afferma esplicitamente che proprio questo comportamento (cioè la convivenza come fratello e sorella) potrebbe essere potenzialmente dannoso e quindi da evitare.
“In alcuni casi” può interpretarsi in senso più ampio come riferito alla certezza soggettiva della nullità del precedente matrimonio, supponendo che per motivi particolari non sia possibile provarla in un tribunale.
In tali casi potrebbe certo darsi che, nel segreto della coscienza, non vi sia colpa nella nuova unione: questo potrebbe essere visto, sul piano della dottrina morale, in accordo con “Familiaris consortio”. Ma rimane una differenza fondamentale sul piano ecclesiologico: l’eucaristia è un atto sacramentale, pubblico, in cui non può prendersi in considerazione una realtà in sé stessa invisibile e incontrollabile pubblicamente.
“In alcuni casi” può essere interpretato, più ampiamente ancora, come riferito a una minore o anche nulla responsabilità soggettiva, dovuta a ignoranza della norma, oppure a incapacità di comprenderla; o anche a “forza maggiore”, in cui qualche speciale circostanza può essere così forte da “costringere” a una convivenza “more uxorio”, che quindi non costituirebbe colpa grave; anzi, addirittura, secondo il documento, l’abbandono della convivenza potrebbe far incorrere in colpa più grave. Qui abbiamo già seri problemi anche di teologia morale. Ignoranza e incapacità di comprendere possono in effetti limitare la responsabilità personale: ma appare incongruo, per non dire contraddittorio, invocarle in questo discorso, in cui si parla di un itinerario e di un discernimento “accompagnato”: processi che appunto dovrebbero essere finalizzati al superamento di tale ignoranza e incapacità di comprendere. In quanto alla forza maggiore, non è affatto ovvio, anzi è contrario a tutta la tradizione e a importanti pronunciamenti dogmatici che essa possa giustificare la mancanza nell’adempimento della legge divina. È vero che non si può escludere a priori che possano esservi particolari circostanze in cui la situazione può cambiare la specie morale di un atto esternamente uguale, anche cosciente e volontario: per esempio, l’atto di sottrarre un bene a qualcuno può non configurarsi come furto, ma come un atto di pronto soccorso a una persona, o un atto diretto ad evitare un male peggiore. Ma anche ammesso, e non concesso, che questo possa applicarsi all’adulterio, ciò che qui osta decisamente a una giustificazione di questo genere è il carattere di permanenza del comportamento oggettivamente negativo: quello che è giustificabile in un momento puntuale, di emergenza, non può esserlo in una situazione stabile, coscientemente scelta. In ogni modo, rimane fermo anche qui il principio ecclesiologico per il quale in nessun caso può essere reso magicamente visibile al livello pubblico quello che per sua natura appartiene al segreto della coscienza.
In alcuni casi”, nell’interpretazione più estesa di tutte, può essere ampliato a includere tutti quei casi – che sono poi quelli reali, concreti e frequenti, che tutti abbiamo in mente – in cui si dà un matrimonio poco felice, che fallisce per una serie di malintesi e incompatibilità e a cui segue una convivenza felice, stabile nel tempo, con reciproca fedeltà, ecc. (cf. AL 298). In questi casi, parrebbe che il risultato pratico, in particolare la durata e la felicità della nuova unione contro la brevità e infelicità della precedente, possa interpretarsi come una specie di conferma della bontà e quindi legittimità della nuova unione. In questo contesto (AL 298) si tace qualsiasi considerazione sulla validità del matrimonio precedente, nonché sull’incapacità di comprendere e sulla forza maggiore. E in effetti, quando poco più sotto (AL 300) si passa a considerare il tipo di discernimento che dovrà farsi in questi casi, risulta ancora più chiaro che i temi in discussione nell’esame di coscienza, e nel relativo pentimento, non saranno altri che il buono o cattivo comportamento a fronte dell’insuccesso matrimoniale e la buona riuscita della nuova unione. È chiaro, qui, che il “pentimento” di cui deve trattarsi non riguarda affatto la nuova unione in presenza di una precedente unione legittima; riguarda invece il comportamento durante la precedente crisi e le conseguenze (non meglio precisate) della nuova unione sulla famiglia e la comunità. È quindi manifesto che il documento intende spingersi al di là tanto dei casi in cui si abbia certezza soggettiva dell’invalidità del precedente vincolo, come anche dei casi di ignoranza, di difficoltà di comprendere e di forza maggiore o di presunta impossibilità di adempiere la legge. Ora, è sufficientemente chiaro che se il metro valido per giudicare della liceità della nuova unione è, alla fine, il suo successo pratico, la sua felicità visibile, empirica, di contro all’insuccesso e all’infelicità del matrimonio anteriore – liceità che è ovviamente presupposta per ricevere l’assoluzione sacramentale e l’eucaristia –, la conseguenza inevitabile è che il precedente matrimonio implicitamente si considera, anche pubblicamente, ormai senza effetto e quindi sciolto: quindi, che il matrimonio è dissolubile. E così nella Chiesa cattolica, mentre a parole si continua ad affermare l’indissolubilità, di fatto viene introdotto il divorzio. È anche sufficientemente chiaro che, se il successo del nuovo matrimonio basta per stabilire la sua liceità, questo include la giustificazione praticamente di tutti i casi di nuova unione, In effetti, se la nuova unione dovesse dimostrarsi priva di successo, non sussisterà lo stimolo per giustificarla e si passerà piuttosto a un’ulteriore unione, nella speranza di un maggior successo. Ora questa, e non altra, è appunto la logica del divorzio. Da ciò si può ulteriormente dedurre che la discussione sui casi che possiamo chiamare “intermedi”, cioè quelli situati fra la posizione tradizionale e quella più ampia – che come abbiamo mostrato include di fatto tutti i casi –, se da una parte permette a molti, più moderati, di riconoscersi nell’una o nell’altra gradazione e quindi può avere un valore di “tranquillante”, invece dal punto di vista pratico finisce con l’essere ben poco rilevante. In sostanza, infatti, il documento, nella sua genericità, fornisce carta bianca per risolvere la gran maggioranza delle situazioni reali con un criterio assai più semplice e in linea con la mentalità dominante nella nostra civiltà: in una parola, perfettamente in linea con l’ideologia del divorzio.
Tornando al nostro parallelo, tutto ciò ricorda assai da vicino la politica dell’imperatore Costanzo, nel ricercare un’espressione sufficientemente generica, che si proponesse di accontentare molteplici posizioni diverse. La genericità, nella controversia ariana, dell’espressione “simile al Padre secondo le Scritture” trova perfetto riscontro nella genericità dell’espressione “in alcuni casi” che troviamo in “Amoris Lætitia”. In teoria, quasi ogni posizione vi si può riconoscere. Di conseguenza, le situazioni risultano analoghe anche quanto al risultato pratico. Allo stesso modo in cui quasi tutto l’episcopato dell’impero accettò la formula di Rimini-Costantinopoli del 359-60, così anche oggi la stragrande maggioranza dell’episcopato ha accettato senza fiatare il nuovo documento, pur sapendo che esso di fatto legittima una serie di posizioni fra loro incompatibili, alcune delle quali manifestamente eretiche. Oggi molti vescovi e teologi acquietano la propria coscienza affermando, sia in pubblico sia a se stessi, che il dire che “in certi casi” i divorziati risposati possono ricevere i sacramenti non è di per sé erroneo e può interpretarsi, in un’ermeneutica della continuità, come in linea con il magistero precedente. Proprio allo stesso modo gli antichi vescovi pensavano che non era di per sé erroneo dire che “il Figlio è simile al Padre secondo le Scritture”.
Ma, in entrambi i casi, sebbene un’ampia gamma di posizioni si possano riconoscere nell’una e nell’altra formula presa isolatamente, invece nel contesto dei rispettivi documenti è assai chiaro che la posizione ortodossa, veramente in linea con il magistero precedente, è proprio quella che viene nettamente esclusa. […]
Nel caso di “Amoris laetitia”, ciò si realizza:
Con la smentita della formulazione di “Familiaris consortio” sull’astensione dalla convivenza “more uxorio” come condizione dell’accesso ai sacramenti;
Con l’eliminazione dei precedenti netti confini fra certezza della coscienza e norme ecclesiologiche sacramentali;
Con la strumentalizzazione dei precetti evangelici della misericordia e del non giudicare, usati per sostenere che nella Chiesa non sarebbe possibile l’applicazione di censure generali a determinati comportamenti oggettivamente illeciti;
E infine, ma non per ultimo, censurando duramente quanti avessero la “meschina” e “farisaica” pretesa di invocare precise norme giuridiche per giudicare di qualsiasi caso singolo, che invece dev’essere rigorosamente lasciato al discernimento e all’accompagnamento personale.
Così, pur nella buona volontà di rispettare un principio ermeneutico certamente valido, quello della continuità con i documenti precedenti, si rischia di dimenticarne un altro ancora più importante ed evidente: quello del contesto immediato in cui una proposizione viene formulata.
Se si leggono le singole affermazioni di ” Amoris laetitia” non isolatamente, ma nel loro contesto, e il documento a sua volta nel suo contesto storico immediato, si scopre facilmente che la “mens” generale che lo guida è sostanzialmente l’idea del divorzio, oltre all’idea oggi diffusa di non porre chiari confini tra un matrimonio legittimo e un’unione irregolare. […]
II. Parallelo tra le due crisi, nello sviluppo storico. Anche dal punto di vista dello sviluppo storico dell’eresia ariana si può notare un evidente parallelo. Si assiste alla sua preparazione durante la seconda metà del terzo secolo; venuta allo scoperto, è condannata dal concilio di Nicea, che però in Oriente riceve un diffuso rifiuto; tuttavia, il rifiuto di Nicea è in una prima fase più moderato, e l’arianesimo vero e proprio è solamente tollerato come un male minore, ma a poco a poco questa tolleranza gli permette di riprendere vigore, finché, datesi le favorevoli circostanze politiche, arriva al potere. Giunto al potere, sente tuttavia il bisogno di mascherarsi: non si esprime in modo franco e diretto, ma in modo indiretto, e appoggiandosi sulla pressione e l’intimidazione politica. Però, il fatto stesso di imporsi, pur essendo l’arianesimo una minoranza, su una maggioranza pavida e indecisa, lo espone comunque a una confutazione molto più forte e chiara della parte più ortodossa e cosciente dell’episcopato, che gradualmente ma inesorabilmente, nei due decenni che seguono, ne prepara la sconfitta definitiva. Analogamente, nel caso dell’eresia attuale {??? ndr}, che dal nome del suo esponente principale possiamo chiamare “kasperiana”, abbiamo assistito a una sua lenta preparazione, a partire dalla seconda metà del XX secolo. Venuta allo scoperto, è poi condannata nei documenti di Giovanni Paolo II, soprattutto in “Veritatis splendor” e “Familiaris consortio”. Ma da una parte dell’episcopato e della teologia colta questi documenti sono rifiutati in modo più o meno aperto e radicale, e la prassi ortodossa è disattesa in ampie e importanti zone della cattolicità. Questo rifiuto è ampiamente tollerato, sia a livello teorico che pratico; e da lì acquista forza, finché, datesi le circostanze favorevoli, politiche ed ecclesiastiche, arriva al potere. Ma, pur arrivato al potere, l’errore non si esprime in modo franco e diretto, bensì attraverso non del tutto chiare attività sinodali (2014-2015); e sbocca poi in un documento apostolico esemplare per la sua tortuosità. Però, il fatto stesso di essere arrivato ad affacciarsi in un documento magisteriale suscita uno sdegno morale e una reazione intellettuale assai più forte e dinamica, e obbliga chiunque ne abbia gli strumenti intellettuali a ripensare la dottrina ortodossa, per una sua ancor più profonda e chiara formulazione, per preparare una condanna definitiva non solo dell’errore puntuale in esame, ma anche di tutti gli errori con esso collegati, che vanno ad incidere su tutta la dottrina sacramentale e morale della Chiesa. Permette, inoltre, e non è poco, di mettere alla prova, riconoscere, e anche riunire, coloro che veramente e solidamente aderiscono al deposito della fede.
Questa è appunto la fase in cui possiamo dire di trovarci noi in questo momento. È appena cominciata e si preannuncia non priva di ostacoli. Non possiamo prevederne la durata, ma dobbiamo avere la certezza della fede, che Dio non permetterebbe questa gravissima crisi se non fosse per un bene superiore delle anime. Sarà certo lo Spirito Santo a donarci la soluzione, illuminando questo papa o il suo successore, forse anche attraverso la convocazione di un nuovo concilio ecumenico. Ma nel frattempo, ciascuno di noi è chiamato, nell’umiltà e nella preghiera, a dare la sua testimonianza e il suo contributo. E a ciascuno di noi il Signore certamente chiederà conto.
Testo integrale del saggio http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351421
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351423
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Frosinone X Convegno Annuale
“Il Primato della Coscienza: tra Etica umana e Morale religiosa”
Sabato 10 dicembre 2016 (ore 10,30-17,30) auditorium Terme Pompeo, via Casilina km 76 Ferentino (FR)
Estratto del programma relazioni
Aurelio Cesaritti Relazione introduttiva.
prof. don Gonzalo Miranda Eutanasia: responsabilità di una scelta.
don Ermanno D’Onofrio L’accoglimento di una nuova vita: dono o insidia?
prof. don Francisco Ballesta La fecondazione artificiale: opportunità o accanimento?
dr Orietta Cecconi Testimonianza.
www.consultorioanatole.it/site/index.php

Trento. Il consultorio ha firmato l’accordo che getta le fondamenta di una “comunità educante”.
La legge provinciale n. 1/2011 recante “Sistema integrato delle politiche strutturali per la promozione del benessere familiare e della natalità”, è il riferimento con il quale si intende perseguire una politica di valorizzazione e di sostegno delle diverse funzioni che la famiglia assolve nella società, nell’ambito di una strategia complessiva capace di innovare realmente le politiche familiari e di creare i presupposti per realizzare un territorio sensibile e amico della famiglia. (…). Obiettivo primario di questa politica è l’individuazione e lo sviluppo di un modello di corresponsabilità territoriale che si realizza attraverso una comunità educante, in risposta ai bisogni che caratterizzano il complesso contesto attuale e in coerenza con le indicazioni della politica europea e nazionale. In attuazione di queste finalità la Provincia autonoma di Trento, l’Agenzia per la famiglia, la natalità e le politiche giovanili e il Comune di Trento hanno sottoscritto un accordo con l’obiettivo di mettere in rete le risorse del territorio in ambito educativo, con il coinvolgimento di tutti coloro che sono coinvolti nell’esperienza educativa, promuovendo un comune ambito di riflessione e progettualità per la realizzazione di una “comunità educante”.
L’idea alla base dell’accordo è quella di offrire una “cornice” comune in cui proporre le iniziative educative, costruire e rafforzare relazioni positive e alleanze educative, mettendo in rete il capitale relazionale, le risorse e le esperienze dei soggetti interessati, per offrire un confronto dinamico, costruttivo e in continua evoluzione sui temi dell’educazione, rispondere ai bisogni di confronto e formazione sul tema dell’educazione che emergono dalle famiglie, dagli educatori e dai giovani della città, offrendo percorsi formativi, dibattiti pubblici, momenti di confronto, promuovere e sostenere nei diversi territori reti autorganizzate tra famiglie, docenti, genitori, studenti, educatori, istituzioni, associazioni, enti, aziende pubbliche e private. (…).
www.comune.trento.it/Comunicazione/Il-Comune-informa/Ufficio-stampa/Comunicati-stampa/Da-Trento-citta-per-educare-al-Distretto-famiglia-dell-educazione

Varese Il cardinale Scola è intervenuto al Convegno per i 50 anni della Fondazione “La Casa di Varese”.
. Il cardinale Scola, è intervenuto il 25 novembre 2016 al Convegno per i 50 anni della Fondazione “La Casa di Varese”. L’Arcivescovo spiega, «nella vostra istituzione avete la forza della storia e l’energia del presente» e ricorda monsignor Manfredini «grande sacerdote e Vescovo, capace di una fede e di una dedizione cristalline, che mi ha molto aiutato anche in momenti non facili». “Non contribuiamo alla crescita della società se non diciamo cosa è, per noi, la famiglia”
In un articolato dialogo, ha delineato il senso della differenza sessuale e della centralità della famiglia come chiesa domestica. «Dal punto di vista del cambiamento di epoca così imponente, indicato da papa Francesco e nella confusione in cui versa oggi il sentimento dell’amore, sembrerebbe che la famiglia, come l’abbiamo sempre intesa, non abbia molto spazio», sottolinea il Cardinale. Laddove Claude Levi-Strauss osservava che in tutte le culture si possono rintracciare modi diversi di esprimere l’amore, ma vi è sempre un dato ultimo che ha iscritta in sé la dimensione del “per sempre” e resta strutturalmente aperto alla vita, «nel giudicare la famiglia, oggi, è più che mai necessario tornare alle cose, alla realtà, nella consapevolezza che l’esito del nostro impegno per la verità nel campo dell’amore, dell’affezione e della famiglia, non è nelle nostre mani, ma appartiene al Signore». Al di là delle forme culturali che possono essersi evolute, c’è, infatti, una tenuta del nucleo sostanziale, «prova ne sia che tutti vogliono sposarsi e fare famiglia anche gli omosessuali. A essere in crisi non è la famiglia, ma la coppia». Semmai il dovere è, suggerisce Scola, una testimonianza vissuta che pone «la famiglia come chiesa domestica e cellula vitale della società». Appunto perché, in una società plurale, tendenzialmente conflittuale, in cui coesistono mondovisione diverse, occorre narrare e lasciarsi narrare, proponendo ciò che riteniamo essere la verità: in questo caso, la famiglia come rapporto stabile, fedele e aperto alla vita tra uomo e una donna. Se, come cristiani, non lo facciamo ci sottraiamo all’edificazione della società». Come a dire, «la verità di un contributo ecclesiale e sociale si vede testimoniando, nell’azione, la realtà di famiglie in cui l’ideale evangelico viene vissuto e comunicato in chiave propositiva e non egemonica». (…)
Annamaria Braccini ChiesadiMilano 25 novembre 2016
Video integrale https://www.youtube.com/watch?v=SY_Axk35lCw&feature=youtu.be
www.chiesadimilano.it/news/chiesa-diocesi/scola-non-contribuiamo-alla-crescita-della-società-br-se-non-diciamo-cosa-è-per-noi-la-famiglia-1.137092
www.lacasadivarese.it
Itinerari di preparazione al matrimonio e alla famiglia dal 23 gennaio al 3 marzo 2017
www.lacasadivarese.it/wp-content/uploads/2015/05/Corsi-fidanzati-3.pdf
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DALLA NAVATA
2° Domenica tempo dell’Avvento-anno A–4 dicembre 2016
Isaia 11, 04. …ma giudicherà con giustizia i miseri e prederà decisioni eque per gli umili della terra.
Salmo 72, 13. Abbia pietà del debole e del misero e salvi la vita dei miseri.
Romani 15, 07. Accoglietevi perciò gli uni agli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio
Matteo 03, 01. Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!

Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
Prima della venuta del Signore, del giorno del Signore, secondo alcuni esperti delle sante Scritture sarebbe venuto il profeta Elia per preparare il popolo all’incontro con Dio, Salvatore e Giudice. Questa speranza è confermata da Gesù, che però invita a discernere tale presenza profetica in Giovanni il Battezzatore, venuto tra quelli che non l’hanno riconosciuto ma hanno fatto di lui ciò che hanno voluto (cf. Mt 17,10-13). Proprio perché nell’Avvento si attende la venuta del giorno del Signore, e dunque del Figlio dell’uomo, la chiesa ci fa sostare sul ministero di Giovanni: ministero di preparazione della strada per la manifestazione di Gesù a Israele. La sua predicazione, infatti, è più che mai attuale in questo tempo “ultimo”, in cui il Signore viene.
“Giovanni sopraggiunge” (paraghínetai) come predicatore nel deserto della Giudea, a sud-est di Gerusalemme, nelle terre attorno al Giordano, affluente del mar Morto. Sembra un profeta dell’antica alleanza, e lo è dopo almeno cinque secoli di silenzio della profezia nel popolo di Dio. Ha i tratti del profeta Elia: un vestito di peli di cammello (cf. 2Re 1,8; Zc 13,4), una cintura di cuoio, un nutrimento ascetico fornitogli dai frutti del deserto. Come Elia, chiama il popolo alla conversione, a ritornare al Signore prima del suo giorno: “Convertitevi, perché il regno dei cieli si è avvicinato!”. A questo annuncio nuovo le folle accorrono da Gerusalemme e dalla Giudea, accogliendo l’invito del profeta: confessano i loro peccati, si fanno responsabili davanti a Dio del male operato, si pentono e con un’azione decisa e vissuta, l’essere immersi da Giovanni nelle acque del Giordano, testimoniano la loro purificazione e il loro mutamento di vita. È come un nuovo inizio, anche perché Giovanni appare come il profeta designato da Isaia quale annunciatore della definitiva liberazione, del nuovo esodo, della creazione di cieli nuovi e terra nuova (cf. Is 40,1-11).
Giovanni dunque è ascoltato dalle folle, ma sa anche discernere al loro interno quanti ricorrono a lui solo per soddisfare la propria religiosità: sono persone che in realtà non si convertono, non cambiano vita e modo di pensare, ma sono sempre disponibili a vivere riti e a compiere ciò che la religione richiede. Matteo identifica queste persone in farisei e sadducei (attenzione a non tipizzare, soprattutto il primo gruppo!), cioè negli uomini religiosi esperti della dottrina e zelanti nel loro comportamento secondo la Legge. Ecco allora l’invettiva del Battista: “Razza di vipere (cf. Sal 139,4)! Chi è il vostro vero suggeritore? È colui che vi ispira di sfuggire alla passione per la giustizia di Dio, fingendo e aumentando le azioni rituali?”. Sono credenti che non ascoltano le parole di Giovanni, non riconoscono in lui le parole del Signore, eppure vengono al suo battesimo… Per loro il rito va benissimo, mentre fare la volontà di Dio e vivere ciò che il rito dovrebbe significare, no! Hanno dentro di sé certezze: sono figli di Abramo, hanno il senso dell’appartenenza al popolo eletto e scelto da Dio, sanno invocare Dio come il Dio con loro. Giovanni però con la sua predicazione manda in frantumi queste certezze e garanzie: “Non crediate di poter dire dentro di voi: ‘Abbiamo Abramo per padre!’, perché Dio può creare figli di Abramo dalle pietre del deserto”. Ormai il giorno del Signore è vicino e il Giudice si sta manifestando come una scura che abbatte alla radice l’albero che non dà frutti buoni, destinandolo al fuoco.
Le immagini della predicazione del Battista sono dure, destano timore, ma in realtà sono quelle tipiche di tutti i profeti, che hanno annunciato il giorno del Signore a quanti contraddicevano la sua volontà vivendo invece formalmente (cioè da ipocriti!) l’alleanza con Dio. Giovanni mette in luce quella rottura che sarà portata a pienezza da Gesù: rottura con i legami di sangue, con l’appartenenza etnica. Figli di Abramo lo si è non per appartenenza carnale, ma perché si vive l’obbedienza e l’adesione a Dio da lui vissute, dirà Paolo (cf. Rm 4,1-3; Gal 3,6).
Giovanni però non vuole che l’attenzione si concentri su di sé e tanto meno vuole apparire lui come il Giudice: costui è veniente, anzi sta dietro (opíso) a lui ed è più forte di lui. Il Battista non si sente nemmeno degno di essere suo servo, portandogli i sandali. Colui che viene è il Giudice che immerge non in acqua, ma nel fuoco escatologico dello Spirito di Dio: non più un rito, ma un evento ultimo e definitivo. Giovanni fa dunque l’ultima chiamata alla conversione, prima della venuta del regno dei cieli ormai imminente; nello stesso tempo, manifesta la sua fede in Gesù, già presente tra i suoi discepoli, che presto sarà manifestato a Israele come “il Veniente” (ho erchómenos: Mt 11,3; 21,9; 23,39). Solo a lui spetta il giudizio definitivo, descritto dal suo precursore con un’immagine apocalittica: “Tiene in mano il ventilabro, per separare la pula dal buon grano. Al passaggio del vento la pula sarà portata via e poi bruciata, mentre il grano sarà raccolto nei granai”.
Sì, di fronte a questi annunci e a queste immagini è doveroso provare sentimenti di timore. Il giudizio è un evento serio ma, quando avverrà, sarà nient’altro che la manifestazione di ciò che ciascuno di noi ha operato ogni giorno, scegliendo il bene o il male. Siamo noi stessi a darci il giudizio, ora e qui: il giudizio non è una spada di Damocle che pende sulla nostra testa, ma un evento che decidiamo oggi. Ecco come la chiesa ci attualizza la predicazione di Giovanni il Battista sulla venuta gloriosa del Figlio dell’uomo.
www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11032-in-attesa-del-veniente
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DEMOGRAFIA
ISTAT. Natalità e fecondità della popolazione residente nel 2015.
Nel 2015 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 485.780 bambini, quasi 17 mila in meno rispetto al 2014, a conferma della tendenza alla diminuzione della natalità (-91 mila nati sul 2008).
Il calo è attribuibile principalmente alle coppie di genitori entrambi italiani. I nati da questa tipologia di coppia scendono a 385.014 nel 2015 (oltre 95 mila in meno negli ultimi sette anni). Ciò avviene perché le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno numerose e allo stesso tempo mostrano una propensione ad avere figli sempre più bassa.
La flessione dei nati è in parte effetto del forte calo della nuzialità registrato nello stesso periodo (circa 52 mila nozze in meno tra il 2008 e il 2015). I nati all’interno del matrimonio continuano a diminuire sensibilmente, nel 2015 sono 346.169 (quasi -120 mila in soli 7 anni).
I nati da genitori non coniugati (quasi 140 mila nel 2015) sono, invece, sempre in crescita. Rappresentano il 28,7% del totale delle nascite superando il 31% al Centro-Nord.
Per il secondo anno consecutivo scende il numero di nati con almeno un genitore straniero: sono quasi 101 mila nel 2015, pari al 20,7% del totale dei nati a livello medio nazionale (circa il 29% nel Nord e solo l’8% nel Mezzogiorno).
Continua il calo dei nati da genitori entrambi stranieri, nel 2015 scendono a 72.096 (quasi 3 mila in meno rispetto al 2014). In leggera flessione anche la loro quota sul totale delle nascite (pari al 14,8%).
L’8,3% dei nati nel 2015 ha una madre di almeno 40 anni, il 10,3% una sotto i 25 anni di età. La posticipazione della maternità è molto accentuata per le madri italiane: il 9,3% ha più di 40 anni, quota che supera quella delle madri under 25 (8,2%).
Prosegue la diminuzione della fecondità in atto dal 2010. Il numero medio di figli per donna scende a 1,35 (1,46 nel 2010). Le donne italiane hanno in media 1,27 figli (1,34 nel 2010), le cittadine straniere residenti 1,94 (2,43 nel 2010).
L’Istat mette a disposizione il contatore dei nomi per anno di nascita per scoprire quanti sono i bambini che si chiamano nello stesso modo, nati e iscritti nelle anagrafi italiane dal 1999 al 2015 e quali sono i più diffusi tra i 60 mila nomi diversi scelti dai genitori.
Comunicato stampa 28 novembre 2016
Infografica Natalità e fecondità 2015 www.istat.it/it/files/2016/11/NATI.pdf
Testo integrale e nota metodologica www.istat.it/it/files/2016/11/Statistica-report-Nati.pdf?title=Natalit%C3%A0+e+fecondit%C3%A0++-+28%2Fnov%2F2016
www.istat.it/it/archivio/193362

Istat e denatalità. Belletti: «Le famiglie abbandonate. Si tradisce la Costituzione»
Il direttore del Centro internazionale studi famiglia (Cisf): «Se il matrimonio non ha più attrattiva è segno che lo Stato lo ha privato d’ogni valore e tutela. E ha fallito».
Nel gelido inverno demografico fotografato nuovamente dall’Istat, tra i dati più che mai allarmanti sulla fecondità, c’è anche quello sui figli che nascono da coppie di genitori non sposati. Oltre uno su quattro. Segno di una crisi del sistema famiglia che non accenna ad arrestarsi. «Eppure, a mio avviso, si tratta di un dato ambivalente, che porta con sé un volto positivo del Paese e uno negativo» spiega Francesco Belletti, direttore del Centro internazionale studi famiglie.
Cosa può dirci di buono il fatto che sempre più bambini nascano al di fuori di un progetto familiare definito e a lungo termine, che l’istituto del matrimonio dovrebbe – almeno nei principi – garantire?
Ci dice che una parte del Paese ha ancora voglia di figli, grazie al Cielo. E che la condizione giuridica di una famiglia non è più considerata essenziale per accogliere una vita. O, per essere più chiari, che il desiderio di avere un figlio prescinde sempre di più da un inquadramento istituzionale del progetto famiglia.
Perché?
Qui si pongono i problemi, perché al di là delle difficoltà economiche e della crisi la verità è che la forma istituzionale sembra non saper aggiunge più niente al progetto famiglia. Essere sposati non viene più considerato una forma di protezione e di tutela dei bambini. Siamo innanzi alla sconfitta della rilevanza pubblica del fare famiglia e questa è indubbiamente la gravissima responsabilità da attribuire alla mancanza di investimenti sociali e di politiche per la famiglia nel nostro Paese. In Italia le famiglie sono state lasciate sole a risolvere i propri problemi e li risolvono affidandosi a se stesse, individualmente e privatamente.
La privatizzazione della famiglia che distrugge la famiglia…
La privatizzazione della famiglia che, innanzitutto, certifica l’abbandono della famiglia da parte dello Stato. E che, sì, rischia anche di distruggere la famiglia come istituzione pubblica: un fatto che nel nostro Paese sarebbe ancora certificato da un certo articolo della Carta costituzionale, il 29.
Niente tutele, pochi sostegni, il problema del lavoro e della casa. Oltre a non sposarsi, gli italiani diventano genitori sempre più avanti con l’età.
Questo è un punto a mio avviso davvero allarmante. Conoscevamo già l’avanzare del fenomeno, ma non in termini così dirompenti dal punto di vista delle statistiche. E non per cause così eterogenee: l’aumento delle mamme quarantenni riguarda regioni lontanissime per caratteristiche come il Trentino e la Sardegna, segno che il dato non è legato solo a fattori culturali, ma anche economici, occupazionali, abitativi. Le cause più diverse agiscono tutte insieme nella stessa drammatica direzione: significa che strategie diverse vanno messe in atto per cambiare rotta. Genitori più vecchi, poi, vuol dire meno fecondi, con meno energie da investire nei figli, con meno capacità di comprenderli e accompagnarli in un percorso di “vicinanza”. Caratteristiche che vediamo e vedremo rispecchiarsi, in qualche modo, anche nelle nuove generazioni.
Viviana Daloiso Avvenire 29 novembre 2016
www.avvenire.it/attualita/pagine/le-famiglie-abbandonate-si-tradisce-la-costituzione

ISTAT: in calo la natalità. Demografo Rosina: manca un salto culturale
Ancora un calo della natalità in Italia nel 2015: lo comunica l’Istat specificando che nell’ultimo anno i bambini iscritti all’anagrafe sono 485.780, quasi 17mila in meno rispetto al 2014, e che sommato ai precedenti il dato compone un totale di 91mila bimbi in meno a partire dal 2008. Il calo, attribuibile principalmente alle coppie di genitori entrambi italiani, è dovuto al fatto che le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno numerose e mostrano una propensione sempre più bassa ad avere figli, e coincide con un calo della nuzialità relativo allo stesso periodo (circa 52mila nozze in meno tra il 2008 e il 2015) e la conseguente diminuzione dei nati all’interno del matrimonio.
Intervista al demografo e docente dell’Università Cattolica di Milano Alessandro Rosina.
R. – Sì, le cause sono quelle di un quadro che si definisce in maniera sempre più chiara anche in coerenza con i dati: una difficoltà del sistema del Paese ad incoraggiare i giovani a conquistare una propria autonomia e a formare famiglia. Ricordiamoci che abbiamo il tasso più alto di giovani “Neet” dopo la Grecia – ossia giovani che non studiano né lavorano, perché non riescono ad inserirsi adeguatamente nel mondo del lavoro, e quindi sono anche bloccati nella formazione di nuovi nuclei familiari – e di politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia per le coppie con figli, in particolare con molte coppie che, dopo il primo figlio, con difficoltà riescono ad andare oltre. E il quadro è poi ulteriormente arricchito dal fatto che le coppie che invece vanno oltre il secondo figlio si trovano con rischi di povertà maggiori rispetto alla media degli altri Paesi europei. Quindi c’è una forte difficoltà delle famiglie italiane, conseguenza di una carenza cronica di politiche adeguate, e su cui ha inciso, in maniera molto pesante, la crisi economica.
D. – Ci sono anche altri fattori oltre alla crisi economica: cioè, c’è anche un tema antropologico alla base di queste difficoltà? Un bisogno di riorientarsi con speranza verso il futuro?
R. – Le difficoltà delle politiche familiari che non forniscono strumenti solidi per le proprie scelte di vita, insieme con la crisi economica, non hanno un impatto solo sugli aspetti materiali ma vanno a consolidare, da un lato, un clima di sfiducia rispetto alla possibilità di essere un contesto supportivo rispetto alle proprie scelte; e dall’altro, di scarsa visione di un futuro positivo verso cui tendere, e che quindi porta a un’implosione indifesa sul presente anziché mettersi in campo positivamente per costruire un futuro migliore facendo scelte incoraggianti e virtuose. Quindi è uno scenario di difficoltà che si somma, di incapacità di un welfare attivo che supporti giovani famiglie e giovani coppie, che schiaccia poi i cittadini in difesa, e quindi erode la possibilità di vedere un futuro positivo da costruire. E questa incertezza forse pesa ancora di più degli aspetti materiali in sé.
D. – Da dove si potrebbe iniziare per investire sulle politiche familiari?
R. – Quello che dobbiamo assolutamente fare è cominciare a cambiare il clima culturale italiano. E cioè pensare alle nuove generazioni come bene principale del Paese su cui investire, e non invece pensare che i figli siano semplicemente un costo a carico delle coppie e delle famiglie. Questo passaggio culturale non l’abbiamo ancora fatto, e quindi non abbiamo un contesto supportivo rispetto alle scelte familiari che blocca la possibilità di mettere in campo queste scelte. E per farlo, servono però anche punti di riferimento solidi: ovvero non bastano soluzioni estemporanee, ma servono politiche concrete, realizzate, che continuino nel tempo, e che quindi mettano una base solida e diano anche un segnale consistente di un Paese che ha interesse ad investire anche su una propria crescita solida, investendo sulle nuove generazioni e sulla loro consistenza quantitativa e qualitativa come pilastro per costruire un futuro migliore. Ecco, questo salto qualitativo – questo salto culturale – ancora manca, e queste politiche di supporto solido e continuo nel tempo le stiamo, di fatto, ancora aspettando.
Francesco Gnagni Notiziario Radio vaticana 28 novembre 2016
http://it.radiovaticana.va/radiogiornale
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
Fare un figlio è una delle prime cause di povertà
«Oggi l’Istat, nel rapporto su Natalità e fecondità della popolazione residente, è tornato a dare l’allarme sul crollo della natalità: abbiamo 17mila nascite in meno rispetto al dato già preoccupante dello scorso anno. Il crollo demografico sembra non appassionare la politica, ma se mettessimo tutte le energie che stiamo mettendo su questioni ideologiche che spaccano il Paese, su questo tema forse riusciremmo ad invertire questa tendenza». Queste le parole di Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari.
«Meno bambini oggi vuol dire il crollo del sistema pensionistico e il collasso del sistema sanitario domani. Cosa stiamo aspettando? Tra l’altro la ricerca di una soluzione per invertire questo crollo demografico è un argomento capace di unire tutto il Paese, al di là dei partiti o dalle visioni ideologiche perché è un’emergenza oggettiva.
«Come se non bastasse aggiungiamo che 8,3 nati su 100 hanno una madre ultraquarantenne. Insomma: i figli sono pochi e arrivano anche fuori tempo massimo. Cosa deve accadere ancora? Vogliamo ritrovarci qui il prossimo anno ad analizzare dati ancora più negativi? Perfino l’Ocse, nel nuovo Economic Outlook, tira le orecchie all’Italia per la quale “dovrebbe essere prioritario un programma nazionale mirato per contrastare la povertà delle famiglie con bambini”.
«Lo ripetiamo da tanti anni: abbiamo bisogno di politiche fiscali a dimensione familiare» conclude De Palo. «Se oggi fare un figlio è diventata una delle prime cause di povertà, come possiamo pensare di invertire questa tendenza?»
Comunicato stampa 28 novembre 2016
www.forumfamiglie.org/comunicati.php?filtro=ultimi_30_giorni&comunicato=836

CENSIS. Oggi in Italia conviene separarsi
«Oggi in Italia se ti separi hai più vantaggi: casa, asilo nido, refezione scolastica, meno tasse sulla prima casa, assegni di mantenimento… Come ci possiamo stupire se aumentano i divorzi, diminuiscono i matrimoni e crescono le convivenze?» riflette Gigi De Palo, presidente del Forum famiglie commentando i dati del Censis.
«E dal Censis arriva oggi una nuova conferma. I dati parlano chiaro: 1,2 milioni di libere unioni (+108%), con un decollo verticale di quelle tra celibi e nubili (+155,3%) e delle famiglie ricostituite non coniugate (+66,1%), mentre nello stesso arco di tempo diminuiscono le coppie coniugate (-3,2%) e più ancora quelle coniugate con figli (-7,9%)”.
«Ma è così difficile comprendere che se diminuiscono i matrimoni diminuisce la coesione sociale del Paese e di conseguenza la fiducia delle coppie che non se la sentono di mettere al mondo un figlio in una situazione di precarietà? Dobbiamo avere il coraggio di dire che, oggi, in Italia chi si sposa e mette al mondo un figlio viene abbandonato dalle istituzioni.
«Eppure dalla ricerca emerge chiaramente che se migliorassero gli interventi pubblici su vari fronti (sussidi, asili nido, sgravi fiscali, orari di lavoro più flessibili, permessi per le esigenze parentali), la scelta di sposarsi e di avere un figlio sarebbe più facile. Ogni giorno al Forum riceviamo mail e messaggi di coppie sposate che ci chiedono come fronteggiare le difficoltà economiche senza dover ricorrere alla finta separazione”.
Comunicato stampa 2 dicembre 2016
www.forumfamiglie.org/comunicati.php?filtro=ultimi_30_giorni&comunicato=837
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Divorziati risposati. Dubbi e risposte sull’Amoris Lætitia. Il Papa ha già chiarito
Le cinque questioni sollevate da quattro cardinali sui divorziati risposati sono già risolte dai testi. I documenti sinodali bastano a spiegare i percorsi da seguire. Qualche mese fa quattro noti porporati che per ragioni d’età sono ormai liberi da incarichi ufficiali – Walter Brandmüller, Raymond Burke, Carlo Caffarra e Joachim Meisner – hanno inviato al Papa una lettera in cui esprimono quelli che in linguaggio canonico si definiscono dubia – cioè dubbi – a proposito dell’Amoris laetitia.
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia.html
In particolare sul capitolo VIII dell’Esortazione, intitolato Accompagnare, discernere e integrare le fragilità. Le cinque questioni affrontano da aspetti diversi lo stesso tema, quello appunto della comunione ai divorziati risposati, coinvolgendo il delicato rapporto tra magistero della Chiesa, moralità degli atti e coscienza personale.
E, secondo tradizione e normativa ecclesiastica, le domande sono formulate in modo tale che il Papa possa rispondere con un sì o con un no. Non si tratta, evidentemente, di un obbligo. E infatti Francesco, almeno per ora, decide di non rispondere. I quattro cardinali intendono la mancata risposta come «invito a continuare la riflessione e la discussione, pacata e rispettosa». Così rendono tutto pubblico e alimentano, soprattutto su alcuni siti dove sembra che lo sport preferito sia il tiro al bersaglio all’Amoris lætitia, una ridda di interpretazioni fantasiose (poco) e strampalate (tanto).
Nessuno però che si sia posto le domande che sembrano contare davvero. Ma davvero il Papa non ha già risposto alle questioni poste dai quattro cardinali? Le domande poste investono un tema che negli ultimi tre anni è stato affrontato da due Sinodi dei vescovi, da due consultazioni universali e, da ultimo – ma solo da ultimo – da un’Esortazione postsinodale: è l’intera Chiesa ad aver affrontato e discusso anche il tema della riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati. E le risposte sono arrivate, eccome.
Abbiamo individuato almeno quattro fonti (Relazioni dei circoli minori, Relazione finale 2015, la stessa Amoris lætitia e la lettera dei vescovi di Buenos Aires con relativa risposta del Papa). Sintetizziamo qui sotto per chi abbia voglia di leggere e di rendersi conto che non solo il Papa, ma la Chiesa tutta, con un respiro sinodale, ha già indicato con chiarezza la strada da percorrere. E anche i quattro cardinali, che sono persone di grande intelligenza e cultura, non possono non aver capito. E coloro che hanno usato l’iniziativa dei porporati per ingiuste polemiche contro il Papa e la Chiesa potrebbero, con un piccolo sforzo e un minimo di onestà intellettuale, documentarsi. Ecco le risposte ai “dubbi” dei quattro porporati attraverso i documenti.
Le relazioni dei circoli minori. Nove su 13 favorevoli all’opzione discernimento. Il tema dei divorziati risposati è stato affrontato dai Circoli minori nella terza parte della discussione, durante il Sinodo dello scorso anno. In modo molto sintetico, possiamo dire che nove circoli – la netta maggioranza – si sono detti favorevoli alla possibilità di approfondire la proposta della cosiddetta via penitenziale o di mettere comunque a punto percorsi finalizzati all’integrazione nelle comunità dei divorziati risposati. Due hanno espresso contrarietà. Due hanno visto prevalere una posizione interlocutoria. Il circolo “francese A” ha sottolineato che, sulla questione «i vescovi, ognuno nella sua diocesi e nella comunione di tutta la Chiesa, sono chiamati a un discernimento responsabile» (che è quanto poi dice AL 300). Nessuna apertura dal circolo “francese B”, favorevole «al mantenimento della disciplina attuale». Contrarietà anche dal circolo “inglese C”, mentre inglese “A” e inglese “D” non hanno espresso posizioni chiare. Posizioni più dialoganti, nettamente caratterizzate dalla volontà di non chiudere la porta ai divorziati risposati, sono venute dal circolo “francese C, dai tre circoli italiani, dai due spagnoli e dal circolo di lingua tedesca. In particolare è il caso di mettere in luce quanto emerso nel circolo “Italiano C” (moderatore Bagnasco, relatore Brambilla), dove è stata sottolineata l’esigenza «di discernere in foro interno sotto la guida del vescovo le singole situazioni con criteri comuni secondo la virtù di prudenza, educando le comunità cristiane all’accoglienza». Sottolineature quasi identiche nel circolo “Italiano A” (moderatore Montenegro, relatore Arroba Conde) e nell’”Italiano B” (moderatore Menichelli, relatore Piacenza).
La relazione finale 2015. Anche per la “via penitenziale” ottenuta la maggioranza dei due terzi. La Relazione finale 2015, espressione della volontà dell’assemblea – oltre 300 tra cardinali, vescovi nominati da tutte le conferenze episcopali del mondo, esperti e coppie di sposi – ha consegnato al Papa un documento composto da 94 proposizioni, tutte approvate con almeno la maggioranza dei due terzi. I numeri 84, 85 e 86 affrontano il tema del discernimento e dell’integrazione delle situazioni familiari complesse.
Il testo approvato dall’assemblea non può essere frainteso: «I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo» (n.84). Chi deve provvedere al discernimento delle varie situazioni e poi al cammino di integrazione? Anche in questo caso la Relatio è chiarissima: «È quindi compito dei presbiteri accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo gli insegnamenti della Chiesa e gli orientamenti del vescovo. In questo processo sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento» (n.85).
E, allo stesso punto, dopo aver sottolineato la diversità delle situazioni, si dice: «Il discernimento pastorale, pur tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi (ibidem). E quale l’esito finale? «Una più piena partecipazione alla vita della Chiesa» (n.86). Insomma un mandato esplicito al Papa, con la libertà di indicare i passi successivi, arrivato da un’assemblea sinodale ai massimi livelli. Anzi, da una “doppia assemblea”.
L’esortazione. La contestata nota numero 351 è stata una scelta di misericordia. Le proposizioni 84, 85 e 86 della Relatio finalis sull’atteggiamento che la Chiesa deve tenere nei confronti dei divorziati risposati, sono state riprese quasi integralmente in Amoris lætitia, a sottolineare il robusto cordone ombelicale che lega il dibattito sinodale al testo di Francesco. E anche il rispetto con cui il Papa ha considerato i frutti del confronto in assemblea. Sulle argomentazioni dei vescovi il Pontefice ha poi sparso a piene mani la tenerezza della misericordia. Una scelta che spiega perché al primo posto si deve sempre mettere la salvezza delle anime e non i codici della legge: «Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio». In questi percorsi può essere d’aiuto il ricorso ai sacramenti, Riconciliazione e Comunione? Il Papa lo mette in luce in una nota – l’ormai celeberrima 351 – a sottolineare che si tratta di un’opportunità da valutare caso per caso, e non una prassi abituale: «In certi casi, potrebbe anche essere l’aiuto dei Sacramenti. Per questo “ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore” (Esort. ap. Evangelii gaudium 44).
Ugualmente segnalo che l’Eucarestia “non è premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli (ibidem, 47)». E ancora, a sottolineare il primato della misericordia, al numero 308: «Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione. Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alle fragilità». Un’insistenza eloquente.
La lettera dei vescovi di Buenos Aires con relativa risposta del papa. «Capitolo VIII? Non c’è altra interpretazione». Il suggello decisivo per comprendere il pensiero di Francesco e della Chiesa intera su divorziati e risposati è arrivato nel settembre scorso da un documento in dieci punti dei vescovi di Buenos Aires – Criteri fondamentali per l’applicazione del capitolo VIII di Amoris lætitia– a cui il Papa ha dato una risposta che tronca ogni discussione sulla presunta non chiarezza del cammino da percorrere: «Il testo è molto buono e spiega completamente il senso del capitolo VIII di Amoris lætitia. Non ci sono altre interpretazioni. Sono sicuro che farà molto bene». Cosa dicono i vescovi argentini? Che divorziati risposati per accedere ai sacramenti «devono seguire un processo di discernimento accompagnati da un pastore».
Che ogni percorso dev’essere “personale”, cioè modellato sulle esigenze specifiche di ogni situazione. E “pastorale”, finalizzato cioè all’accoglienza della persona per accompagnarla all’incontro con Gesù. Che questo cammino «non termina necessariamente nell’accesso ai sacramenti ma può prevedere altre forme di integrazione». Che non si esclude la possibilità di «proporre l’impegno di vivere la continenza sessuale». Ma quando questa opzione non è percorribile, si può aprire la strada all’accesso ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucarestia. Ma saranno i vescovi che «disporranno la persona a continuare il processo di maturazione e a crescere con la forza della grazia».
In ogni caso «occorre distinguere caso per caso, sempre in un percorso di discernimento, alla luce di un esame di coscienza che possa mettere in evidenza una serie di punti critici». E occorre badare bene «a non creare confusione a proposito dell’insegnamento della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio». Parole chiarissime su cui il Papa ha messo il suo imprimatur.
Luciano Moia Avvenire 2 dicembre 2016
www.avvenire.it/chiesa/pagine/i-dubbi-e-le-risposte-il-papa-ha-gi-chiarito
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GESTAZIONE PER ALTRI
Un altro processo all’utero in affitto
La maternità surrogata chiesta da italiani all’estero è di nuovo sotto la lente di un tribunale. Quello di Bologna, stavolta, è chiamato a pronunciarsi su cittadini che hanno aggirato il divieto italiano “assemblando” un bimbo laddove la pratica è lecita, tornando poi in patria e facendolo registrare come loro figlio. Tre i profili giuridici del nuovo caso. Il primo scaturisce dalla posizione di un ginecologo italiano, che in patria avrebbe collaborato alla commissione del reato, punito dalla legge 40. Fonti d’agenzia riferiscono che la sua posizione sarebbe stata archiviata in quanto «non sono emerse prove che abbia preso parte alla realizzazione della surrogazione». Il secondo profilo riguarda invece sia il medico che la coppia, accusati di alterazione di stato di minore, reato di chi dichiara nell’atto di nascita una filiazione diversa da quella biologica. Anche quest’imputazione sembra però caduta. Il processo continua invece per il reato principale, e cioè la surrogazione di maternità così come punita dalla legge 40, terzo profilo della vicenda.
Il tribunale dovrà chiedersi se la pratica può essere perseguita anche se la clinica che vi ha dato corso ha sede all’estero e là il bimbo è nato. Per la verità, un pubblico ministero ha già chiarito la questione: è Letizia Ruggeri, salita alla ribalta per la tenacia con cui ha condotto le indagini dell’omicidio di Yara Gambirasio, e ora impegnata in un procedimento di surrogazione presso il Tribunale di Bergamo. «Sicuramente la condotta è stata ideata in Italia e finalizzata alla registrazione dell’atto di nascita in Italia», ha spiegato commentando il suo caso, che poi in questo è identico a quello di Bologna.
Intanto, mentre i giudici s’interrogano su come applicare la legge 40, il Parlamento sta pensando di cambiarla. Porta come prima firma quella della senatrice Emilia Grazia De Biasi, presidente Pd della Commissione Sanità del Senato, il Ddl che vorrebbe sostituire l’intera norma, un testo che sulla maternità surrogata abbatte ulteriori paletti prevedendo la non punibilità dei “genitori committenti” e imponendo la trascrizione del certificato di nascita ottenuto all’estero. Lo stesso disegno di legge vorrebbe anche destinare alla ricerca gli embrioni inutilizzabili o abbandonati e aprire ulteriormente le maglie della selezione pre-impianto.
Marcello Palmieri Avvenire 1 dicembre 2016
www.scienzaevita.org/wp-content/uploads/2016/12/E-vita-Avvenire.pdf
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MATERNITÀ
Presupposti e iter per richiedere la maternità anticipata.
La cd. Maternità anticipata è un periodo retribuito di astensione dal lavoro spettante alla lavoratrice in stato di gravidanza che precede la maternità obbligatoria e, pertanto, può essere richiesto nei primi sette-otto mesi di gestazione. Ai sensi dell’art. 16 del D.lgs. n. 151/2001 (cd. Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità), infatti, è fatto divieto di adibire al lavoro le donne durante i due mesi antecedenti la data presunta del parto e per i tre mesi successivi allo stesso, salva la facoltà della lavoratrice di astenersi dal lavoro, ex art 20 del medesimo d.lgs. n. 151/2001, a partire dal mese precedente al parto e per i quattro mesi successivi qualora tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro, come appositamente attestato dal medico specialista e da quello competente in ambito di prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro.
Secondo quanto previsto dall’art. 17 D.lgs. n. 151/2001, il periodo di maternità può essere anticipato di un mese rispetto al termine di astensione obbligatoria per le gestanti occupate in lavori che, in relazione all’avanzato stato di gravidanza, sono da ritenersi gravosi o pregiudizievoli. L’istanza può essere presentata nelle seguenti ipotesi specificamente previste dalla legge:
Nel caso di gravi complicanze della gravidanza o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza (art. 17 c. 2 lett a): l’istanza, corredata da certificato medico di gravidanza, del certificato medico attestante le complicanze e ogni altra documentazione utile a valutare le condizioni della gestante, va inoltrata dalla lavoratrice all’Azienda Sanitaria Locale del luogo di residenza;
Quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino (art. 17 c. 2 lett b): l’istanza va inoltrata dalla lavoratrice o dal datore di lavoro al Servizio Ispezione del Lavoro della Direzione Territoriale del Lavoro;
Quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni (art. 17 c. 2 lett. c): l’istanza va inoltrata lavoratrice o dal datore di lavoro al Servizio Ispezione del Lavoro della Direzione Territoriale del Lavoro.
In ogni caso, l’ufficio competente emette il provvedimento all’esito degli accertamenti medico-sanitari entro sette giorni decorrenti dal giorno successivo alla recezione della domanda; in ipotesi di mancata pronuncia entro il detto termine, la domanda si intende comunque accolta. L’astensione dal lavoro decorre dalla data riportata nel provvedimento e, se alla scadenza del periodo di rischio indicata nel certificato medico della gestante non è ancora stato emesso il provvedimento sulla durata dell’astensione, la lavoratrice deve riprendere il proprio lavoro. Se la condizione di rischio permane oltre il periodo indicato nel certificato, tuttavia, è possibile presentare nuova istanza per richiedere un ulteriore periodo di astensione.
Il beneficio è riconosciuto sia nei rapporti di lavoro subordinato che autonomo. Possono accedere alla maternità anticipata, pertanto, tutte le lavoratrici dipendenti del settore pubblico e privato, a tempo indeterminato e determinato, nonché le prestatrici di lavoro occasionale, le collaboratrici a progetto o con contratti equiparati, le associate in partecipazione e le libere professioniste iscritte alla gestione separata INPS. Con la precisazione che le libere professioniste non possono avanzare istanza motivata per insalubrità delle condizioni di lavoro e pericolosità delle mansioni. Del pari, le lavoratrici in mobilità, in cassa integrazione o stato di disoccupazione possono fruire del beneficio solo per i motivi di cui all’art. 17 c. 2 lett. a) d.lgs. n. 151/2001.
Il congedo di maternità anticipata, al pari di quello obbligatorio, non compromette l’anzianità di servizio, le ferie e il TFR. Il trattamento economico è pari all’80% della retribuzione media giornaliera, calcolata sull’ultima busta paga e corrisposto dall’INPS per le lavoratrici subordinate, e della retribuzione convenzionale, calcolata in base al rapporto 1/365 sul reddito annuo per le lavoratrici in libera professione.
D.lgs. n. 151/2001 www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/01151dl.htm
avv. Laura Bazzan News studio Cataldi 28 novembre 2016
www.studiocataldi.it/articoli/24150-la-maternita-anticipata.asp
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NULLITÀ DEL MATRIMONIO
No alla nullità delle nozze solo perché lui non crede nel matrimonio.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 23640, 21 novembre 2016.
Per la Cassazione la convivenza come coniugi protrattasi per almeno tre anni impedisce che le sentenze ecclesiastiche siano dichiarate efficaci in Italia. La convivenza “come coniugi” protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione di “ordine pubblico italiano” tale da impedire la dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio genetico del “matrimonio – atto”, ad esempio la “riserva mentale” del marito nei confronti del vincolo coniugale.
Lo ha precisato la Corte di Cassazione. Il marito era ricorso in Corte d’Appello per sentir dichiarare l’efficacia in Italia della sentenza ecclesiastica emessa dal Tribunale Ecclesiastico Regionale, confermata in appello e dichiarata esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, con la quale era stata dichiarata la nullità del matrimonio concordatario fra lui e la moglie per “esclusione dell’indissolubilità del matrimonio” da parte del marito. La donna, invece, opponendosi alla richiesta, ha affermato che la convivenza fra i coniugi si era protratta per tutta la durata decennale del matrimonio allietato dalla nascita di una figlia e, in via subordinata, ha chiesto la condanna a una indennità ex art. 129 bis c.c.
La Corte territoriale, nell’accogliere la domanda dell’uomo, riteneva decisiva in tal senso la conoscenza da parte della donna della riserva mentale rispetto al matrimonio che aveva caratterizzato l’atteggiamento e le dichiarazioni del partner, sin dall’epoca in cui i futuri coniugi erano fidanzati.
Il giudice a quo ha altresì ritenuto insussistenti i requisiti quanto alla domanda ex art. 129-bis c.c., per la cui l’applicazione è necessario che la nullità del matrimonio sia imputabile esclusivamente al coniuge tenuto alla corresponsione dell’indennità, e di cui sia riconosciuta la mala fede, mentre, per altro verso, deve essere riconosciuta la buona fede dell’avente diritto. Presupposti inesistenti nel caso in esame in cui la donna, pur a conoscenza delle riserve mentali del marito, aveva accettato il rischio di sposarlo, avendo fiducia che con il matrimonio si sarebbero annullate le tensioni derivanti dal differente atteggiamento dei nubendi.
Da qui la domanda in Cassazione con cui la ricorrente richiama la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 16379 del 17 luglio 2014 secondo cui la convivenza come coniugi, protrattasi per almeno tre anni dalla data di celebrazione del matrimonio concordatario, è ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio genetico del matrimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico nell’ordine canonico nonostante la sussistenza della convivenza coniugale.
La donna fa inoltre rilevare che la Corte di appello ha erroneamente attribuito rilievo alle dichiarazioni del marito circa l’assenza di armonia nella coppia e nella vita matrimoniale che avrebbe impedito l’instaurazione di un effettivo consorzio familiare e affettivo, mentre invece, dall’esame della documentazione e dalle prove acquisite nel corso del giudizio canonico, non si rivelano elementi dai quali evincere l’assenza di una vita coniugale comune, stabile e continuativa, esteriormente riconoscibile in corrispondenti fatti e comportamenti dei coniugi.
In sostanza, si legge nel ricorso, l’istruttoria espletata nel giudizio canonico ha evidenziato l’esistenza di una riserva mentale del marito non conosciuta dalla odierna ricorrente: circostanze queste ostative alla delibazione della sentenza ecclesiastica per contrasto all’ordine pubblico e al principio della tutela della buona fede e dell’incolpevole affidamento del soggetto rimasto estraneo alle riserve mentali del proprio coniuge.
Ciò è corroborato dal fatto che i coniugi hanno fortemente voluto e volontariamente concepito una figlia, fatto questo non considerato dalla Corte di appello che ne avrebbe dovuto dedurre la piena ed effettiva accettazione del rapporto matrimoniale, tale da implicare la sopravvenuta irrilevanza giuridica dei vizi genetici eventualmente inficianti l’atto di matrimonio
La difesa coglie nel segno e il ricorso è considerato fondato: gli Ermellini evidenziano che, per costante giurisprudenza, la convivenza “come coniugi”, quale elemento essenziale del “matrimonio-rapporto”, ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di ordine pubblico italiano, la cui inderogabile tutela trova fondamento nei principi supremi di sovranità e di laicità dello Stato, e ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del “matrimonio-atto”. Il ricorso va pertanto accolto e la causa decisa nel merito con il rigetto della domanda di riconoscimento della sentenza ecclesiastica.
Lucia Izzo News studio Cataldi 28 novembre 2016
Sentenza www.studiocataldi.it/articoli/24113-no-alla-nullita-delle-nozze-solo-perche-lui-non-crede-nel-matrimonio.asp
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PASTORALE FAMILIARE
Imparare ad amare con il Cantico dei Cantici
In libreria “Il mio amato è mio e io sono sua”: sulla scia di Amoris Lætitia, un aiuto alla riflessione per coppie di sposi o di fidanzati. Imparare ad amare qualcuno non è qualcosa che si improvvisa, scrive Papa Francesco nell’esortazione apostolica Amoris Lætitia. «In questo senso, tutte le azioni tendenti ad aiutare i coniugi a crescere nell’amore e a vivere il Vangelo nella famiglia sono un aiuto inestimabile». I vescovi, nei due sinodi dedicati alla famiglia, hanno fortemente sottolineato l’importanza della preparazione alle nozze ma non hanno sottovalutato la necessità di una formazione continua delle coppie, soprattutto nei primi anni della vita matrimoniale.
Nasce dall’esigenza di protrarre il momento formativo al di là dei corsi pre-matrimoniali il libro edito da EDB che ha come titolo uno dei passi più riconoscibili del Cantico dei Cantici: «Il mio amato è mio e io sono sua». Uno strumento per «accompagnare» i percorsi di coppia «con un approccio insieme biblico, teologico, liturgico ed esperienziale». In 170 pagine viene proposta una lettura non continuativa del Cantico dei Cantici, il libro della Bibbia che più di ogni altro parla dell’amore di coppia. Il testo è stato suddiviso in sette sezioni e su ciascuna di esse si basa un capitolo del libro. Un cammino di riflessione e di crescita spirituale che parte dall’analisi del “desiderio” per poi parlare del “corpo” e dei “sentimenti”, di “identità e alterità” fino a quello che dovrebbe essere lo scopo di ogni matrimonio: “la coppia come immagine di Dio”.
Ogni capitolo, poi, è correlato da una riflessione sul testo biblico, scritta dalla biblista Donatella Scaiola, una riflessione teologica di Serena Noceti, teologa all’Istituto superiore di Scienze religiose di Firenze, una traccia per una riflessione personale e in coppia scritta da una coppia di sposi (Adria Archetti e Pietro Gallo) e infine una traccia per un momento di liturgia coniugale, corredata di testi e segni per una preghiera personale, in coppia e in gruppo, scritta da Marco Bonarini, formatore delle Acli nazionali. Al libro ha collaborato anche Luciano Meddi, professore ordinario di Catechesi missionaria alla Pontificia università Urbaniana.
Nelle intenzioni degli autori, il libro nasce come «strumento duttile», che «si presti a molteplici modalità di utilizzo, in funzione della struttura e delle finalità del gruppo di coppie che vorrà impegnarsi in questa riflessione». Ma non ci sono limiti, il testo può essere utilizzato anche da singoli, dai formatori, da coppie di fidanzati o di sposi «che vogliano riflettere sul Cantico e su ciò che questo libro della Bibbia – si legge nella nota metodologica – può dire a una coppia oggi». In alternativa, il testo si adatta bene come strumento di lavoro per un gruppo di coppie aggregate spontaneamente, o seguite da un consigliere spirituale.
Un sussidio per la preparazione al matrimonio, l’accompagnamento nei primi anni di vita di coppia e oltre, tramite una metodologia comune articolata in tre fasi. La prima è quella della riflessione personale seguita dallo scambio in coppia, «in un clima disteso, senza fretta». Il testo suggerisce di «darsi appuntamento» lontani da distrazioni e dalla presenza di eventuali figli. La terza fase è infine quella della riflessione di gruppo. «Può essere spontanea, autogestita o regolata dalla struttura che il gruppo si è dato».
Francesco, in Amoris Lætitia continua scrivendo che «La missione forse più grande di un uomo e una donna nell’amore è rendersi a vicenda più uomo e più donna». Ma è consapevole che è un cammino che ha bisogno «di tempo. L’amore ha bisogno di tempo disponibile e gratuito, che metta altre cose in secondo piano. Ci vuole tempo per dialogare, per abbracciarsi senza fretta, per condividere progetti, per ascoltarsi, per guardarsi, per apprezzarsi, per rafforzare la relazione». Un tempo per conoscersi e scoprirsi nell’appartenenza vicendevole; un tempo per poter dire consapevolmente, come nel Cantico dei Cantici: «il mio amato è mio e io sono sua».
Christian Giorgio – Roma settembre1 dicembre 2016
www.romasette.it/imparare-ad-amare-con-il-cantico-dei-cantici
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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI
La famiglia crocevia di relazioni e di fecondità
XXIV Congresso Nazionale U.C.I.P.E.M. Oristano, 2-4 Settembre 2016
Nel sito web sono pubblicate 8 relazioni del Congresso.
dr Francesco Lanatà La famiglia crocevia di differenze e opportunità
prof. Giuseppe Anzani La famiglia che cambia in una società che cambia
prof. Beppe Sivelli Cercarsi, perdersi, ritrovarsi: il cammino della coppia fra lontananza e vicinanza
p. Alfredo Feretti OMI Amoris laetitia: una road map per le relazioni familiari
prof. Emilio Tribolato Figli in difficoltà tra legami familiari fragili e pressione sociale e mediatica
dr Alice Calori Le nuove famiglie immigrate tra identità e integrazione
avv. Rosalisa Sartorel Il diritto di famiglia oggi: dalla potestà alla responsabilità genitoriale, dall’affido congiunto nelle separazioni all’accesso all’origine nelle adozioni
prof. Domenico Simeone Educare alla generatività le coppie e le famiglie
www.ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=featured&Itemid=101
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WELFARE
Famiglia. La lezione svedese per far rifiorire la natalità
Lo sviluppo in fiore degli anni migliori del nostro Paese si è arrestato alla fine degli anni ’80, e poi dalla metà degli anni ’90 ha iniziato a deperire: prima ha perso i suoi petali e poi i suoi germogli. Potrebbe riprendere a fiorire, se protetto e nutrito. I germogli dei nuovi nati nel 2015, secondo i dati Istat definitivi, sono diminuiti, per la prima volta dall’Unità d’Italia, sotto quota 500 mila, nonostante il crescente contributo dell’immigrazione. La diminuzione è continuata nel 2016, secondo i primi dati provvisori. Per Paesi a bassa natalità, come l’Italia e la Germania, la dinamica della natalità è diventata una misura del benessere del Paese, molto più attendibile del Pil: in Italia il crollo della natalità dal 2008 è un segnale inequivocabile della stagnazione economica da cui non si riesce a uscire, così come, all’opposto, in Germania il numero di nati per donna è stato nel 2015 il più elevato degli ultimi 33 anni, e, dal 2006, l’aumento costante del numero di nuovi nati si è accompagnato alla piena occupazione e la stabile crescita economica del paese.
L’aumento di nuovi nati in Germania nel 2015 è tuttavia ancora lontano dal livello del 1990, perché nel frattempo è diminuita la generazione di giovani donne e uomini: 6 milioni di giovani ‘petali’ fra i 20 e i 39 anni – la generazione ‘core’ sul piano economico e sociale – sono ‘scomparsi’ fra il 1993 il 2015. Questo vuoto è stato colmato dall’immigrazione, che in Germania ha trovato opportunità favorevoli di occupazione. In Italia il numero di giovani ‘scomparsi’ fra il 1995 e il 2015 è stato analogamente elevato e pari a 4 milioni, essendo le donne in numero un poco maggiore degli uomini. La crisi del 2008 ha bruscamente interrotto una debole ripresa della natalità, inclusiva del crescente contributo dei nuovi nati da immigrati: negli ultimi anni, fra le famiglie immigrate, il numero di nuovi nati si è bruscamente ridotto sotto i 2 figli per donna, condividendo le analoghe difficoltà economiche delle famiglie italiane. In Italia, il numero di figli per donna è sceso a 1,35 nel 2015, poco sopra il livello minimo di 1,19 del 1995, quando tuttavia il numero di donne della generazione ‘core’ era più elevato di 2 milioni. La conseguenza è che, con la crisi economica l’Italia è entrata in un nuovo regime di basso numero di nati, anche se il tasso di nuovi nati per donna dovesse di poco risalire: la futura generazione ‘core’ – 20-39 anni – sta ulteriormente diminuendo, a meno di un aumento del numero d’immigrati di prima generazione.

Le ragioni della crisi demografica della popolazione giovane e dei nuovi nati ha molteplici cause, che la crisi economica riassume in gran parte: il nuovo regime di basso numero di nati, oltre che di nati per donna, ha come causa centrale il rapido deterioramento delle prospettive sul proprio futuro delle giovani coppie, per le quali è sempre più difficile concretizzare i propri piani di vita, nonché la crescente difficoltà delle coppie con figli giovani più grandi ad offrire loro le opportunità di istruzione e crescita culturale oggi necessarie. Dal 2008 si è infatti drasticamente ridotto il tenore di vita delle famiglie. L’aumento della povertà assoluta in Italia ha colpito in particolare i nuclei con figli: il consumo medio annuo, in termini reali, è diminuito sensibilmente dal 2007 e in misura crescente con l’aumentare del numero di figli. Il vincolo economico alla scelta di avere figli, o più di un figlio, è sempre più stringente, perché la crisi economica ha rapidamente prosciugato risparmi e certezze di una quota rilevante di ceto medio. Scriveva Tocqueville quasi due secoli fa che «quando una rivoluzione scoppia, si scoprirà, quasi sempre, che la questione della disuguaglianza era al centro» e per questo egli individua nella classe media un fattore di stabilità sociale, perché «gli uomini la cui esistenza confortevole è ugualmente distante dalla ricchezza e dalla povertà attribuiscono un immenso valore alla loro proprietà: essendo ancora molto vicini alla povertà, conoscono in dettaglio le sue privazioni e ne hanno timore».
Ci si domanda se e come sia possibile fermare la deriva sociale dell’Italia e come questa sia legata alla situazione economia: il caso della Svezia può dare qualche indicazione. La recessione economica svedese degli anni 90 è simile, su scala ridotta, alla più vasta crisi europea dal 2010 in poi: in Svezia la disoccupazione aumentò di molto – in particolare per i giovani, gli immigrati e le famiglie con un solo genitore – mentre tutti i programmi sociali furono ridimensionati o tagliati. La natalità, che era di 2,1 figli per donna nel 1991, crollò a 1,5 nel 1999: nel decennio successivo il tasso di natalità lentamente riprese, fino a raggiungere nuovamente il livello di 2 nel 2011. Un lungo ciclo completo di circa 20 anni, che ha avuto il suo punto di svolta nel momento in cui la Svezia ha cambiamento radicalmente la sua politica economica, e si è riproposta come un paese ‘amico’ della famiglia, con una profonda trasformazione e miglioramento del sistema di welfare.
Tra i punti di forza del modello svedese si possono segnalare, a titolo di esempio: congedo di maternità/paternità di 480 giorni pagati a salario normale; assegno mensile di 100 euro per ogni figlio fino ai 16 anni, più assegni alle famiglie numerose; scuola gratuita, pasti compresi! fino ai 19 anni; permessi retribuiti per le malattie dei figli sotto i 12 anni e fino a 120 giorni in un anno; trasporti pubblici gratuiti con i figli in carrozzina; aree pubbliche baby fiendly… La Svezia, pur con le sue distanze culturali rispetto all’Italia è un esempio del fatto che il ciclo negativo può essere interrotto, ricostruendo un Paese economicamente forte, perché capace di ascoltare e rispondere alla domanda di certezze sul futuro dei suoi cittadini, con un efficace sistema di welfare che ha favorito, anziché bloccato il processo innovativo: oggi la Svezia è un paese paragonabile alla Germania, come forza economica e capacità di innovazione.
Un problema centrale di ogni società è il rapporto fra meriti e bisogni: il mercato può essere il meccanismo che remunera i meriti, e solo in modo subordinato i bisogni, mentre lo Stato dovrebbe essere un centrale meccanismo di risposta al bisogno. Vi sono bisogni senza merito, come nel caso dei molto giovani o dei più deboli; o bisogni legittimati da meriti passati, come nel caso dei pensionati, che hanno a loro volta contribuito nel corso della loro vita lavorativa. La distribuzione primaria del reddito dovrebbe rispondere a criteri di merito, mentre la distribuzione secondaria del reddito, attraverso il meccanismo redistributivo d’imposte e spesa pubblica, dovrebbe rispondere alle ragioni del bisogno delle persone e lo Stato dovrebbe avere il ruolo di garante, sia della libertà dal bisogno sia della tutela della sfera di libertà privata. Ciò non sempre accade, e le riduzioni di spesa pubblica sono spesso, in realtà, riduzione del reddito disponibile delle famiglie.
I sistemi di welfare, pur innovati, sono centrali per far rifiorire un Paese un po’ appassito, come l’Italia. In particolare è importante la loro stabilità, e dove possibile universalità: laddove esistono condizioni per l’accesso ai servizi è cruciale che i criteri utilizzati diventino meccanismi per un’inclusione sempre più larga, piuttosto che di esclusione, come attualmente accade. È necessario dare un ruolo centrale al welfare in natura, come nel caso della sanità e dell’istruzione, perché l’esperienza di molti Paesi, come la Svezia, dimostra che i cittadini sono molto più disponibili a contribuire fiscalmente se vi è trasparenza sull’utilizzo delle risorse e la loro destinazione. È possibile far rifiorire l’Italia, senza contrapposizioni fra efficienza e giustizia sociale: ma occorre fare un primo passo deciso indicando quale meta si intende raggiungere.
Luigi Campiglio Avvenire 30 novembre 2016
www.avvenire.it/opinioni/pagine/welfare-la-lezione-svedese-per-far-rifiorire-la-natalit
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