newsUCIPEM n. 623 – 13 novembre 2016

newsUCIPEM n. 623 – 13 novembre 2016

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AFFIDO CONDIVISO Il padre può vedere i figli nel weekend se in altri giorni non può.
AMORIS LAETITIA Che cosa si rimprovera a papa Francesco?
Amoris laetitia”, la legge, la libertà. Risposta al padre Sorge (Valli)
ANONIMATO Adozioni: diritto a conoscere il nome della madre, se è morta.
ASSEGNO DI MANTENIMENTO Spese per i figli, pro quota per i genitori: documentare le spese.
CENTRO ITALIANO DI SESSUOLOGIA Educazione Sessuale. Corso di Formazione.
CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 22/2016, 9 novembre 2016.
CHIESA CATTOLICA È vero che San Pietro era sposato?
In cammino nella Chiesa, il messaggio Forum dei Cristiani LGBT.
Al Convegno CEI si parla delle famiglie con figli LGBT.
COGNOME DEI FIGLI Via libera al cognome della madre.
CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Faenza. Corso di autoconsapevolezza.
Padova. Il potere della lettura.
CONVIVENZA Coppia di fatto, affido condiviso per il cane.
CORTE COSTITUZIONALE La Corte decide sul cognome del figlio
DALLA NAVATA 33° Domenica tempo ordinario-anno C–13 novembre 2016.
Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
DIACONIA Diaconesse?
DIVORZIO Divorzio “straniero” e separazione consensuale italiana.
FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Osservatorio sulla famiglia: un buon inizio. Ora concretizziamo.
GESTAZIONE PER ALTRI Utero in affitto. Surrogati o legali: chi sono i veri genitori?
GOVERNO Neanche un euro per l’adozione internazionale.
ONLUS – NON PROFIT Voucher
OSSERVATORIO SULLA FAMIGLIA Riparte l’Osservatorio della Famiglia, fisco al primo posto.
PARLAMENTO Senato 1°C. Aff. Costit. Protezione dei minori stranieri non accompagnati.
Camera 2°C. Giustizia DL Disposizione su unioni civili.
PASTORALE FAMILIARE Fidanzati. 10 domande da porvi prima di sposarvi!
PIANO PER L’INFANZIA Tavolo CAI, Regioni, Enti Autorizzati e Associazioni Familiari.
SESSUOLOGIA Fertilità e Sessualità: una fragile alleanza.
L’importanza della prevenzione.
UCIPEM La famiglia crocevia di relazioni e di fecondità. Relazioni.
UNIVERSITÀ CATTOLICA S. CUORE Corso per Esperto nelle relazioni educative familiari.
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AFFIDO CONDIVISO
Il padre può vedere i figli nel weekend se in altri giorni non può.
Tribunale di Milano, nona Sezione civile
Il Tribunale di Milano accoglie la richiesta del genitore non collocatario. L’affido condiviso va garantito in concreto: ciò significa che deve essere accolta la richiesta del padre separato che desidera vedere i bambini a weekend alternati, dal sabato mattina alla domenica sera, in quanto non è per lui possibile incontrarli in altri giorni.
Lo ha precisato il Tribunale di Milano, in un’ordinanza pubblicata dalla nona sezione civile (giudice Buffone), chiarendo che in caso di contrasto tra i genitori, derivanti da semplici inconvenienti di fatto, il giudice dovrà preferire la proposta del non collocatario. Tra le priorità del giudicante a seguito dell’intervenuto scioglimento del vincolo coniugale, infatti, emerge in particolare il dover garantire al minore di crescere in un ambiente sano, assicurandogli rapporti continuativi con la famiglia tranne nel caso in cui questi siano controproducenti.
Poiché il genitore collocatario trascorre con i figli gran parte dei momenti della loro quotidianità, ad esempio il risveglio, il ritorno da scuola, i pasti e il tempo libero, l’altro genitore ha possibilità di godersi i bambini solo in momenti sparsi, con incontri programmati. Queste modalità di frequentazione appaiono deteriori rispetto a quelle dell’ex, pertanto, il giudice in caso di contrasto deve intervenire con una regolamentazione rigida sotto l’egida del principio di bigenitorialità: questo, osserva il Tribunale, non può esaurirsi in astratto nella clausola formale dell’affido condiviso, ma deve consistere nello “stare insieme” in concreto.
Pertanto, deve essere accolta la richiesta del padre di trascorrere con i figli il fine settimana, non avendo possibilità nei giorni feriali.
Lucia Izzo StudioCataldi.it 7 novembre 2016
www.studiocataldi.it/articoli/23903-separazione-il-padre-puo-vedere-i-figli-nel-weekend-se-in-altri-giorni-non-puo.asp
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AMORIS LAETITIA
Che cosa si rimprovera a papa Francesco?
Recentemente, in particolare in occasione della pubblicazione dell’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia, sono state rivolte a papa Francesco alcune critiche. Ne è seguito un certo dibattito, che offre l’opportunità di approfondire meglio il pensiero del Papa.
Le sue innovazioni sono davvero in rottura con il Magistero precedente? È la domanda chiave a cui cerca di rispondere padre Bartolomeo Sorge, gesuita, direttore emerito di Aggiornamenti Sociali, in un intervento sul numero di novembre della rivista. Lo stesso testo compare nel volume Abbiamo bisogno di te. Ventisette lettere a papa Francesco, a cura di Maria Cristina Poma (Imprimatur, 118 pp. 12 euro), in libreria dal 10 novembre.
«L’elezione di papa Francesco – premette Sorge – è stata accolta dappertutto e da tutti con speranza ed esultanza. Era inevitabile che, prima o poi, con gli applausi e i consensi, venissero anche le critiche. Alcune di queste sono sciocche e insipienti, e non vale la pena neppure di raccoglierle. Altre riguardano lo stile di vita del nuovo Papa ed erano più o meno scontate. (…) Altre critiche sono più serie e si concentrano sul modo di governare del Papa o sulle ripetute “bacchettate” rivolte ai sacerdoti». Infine, «vi sono altre critiche, piuttosto serie, venute specialmente dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia. Sono critiche che vengono da persone illuminate e fedeli, fatte senza arroganza e lasciano trapelare un’evidente o malcelata contrarietà».
Nel suo articolo Sorge si concentra su due voci critiche qualificate, quelle di Robert Spaemann, professore di filosofia all’Università di Monaco di Baviera, ritenuto uno dei maggiori filosofi e teologi cattolici tedeschi, amico di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, e di Aldo Maria Valli, giornalista cattolico e apprezzato vaticanista del TG1.
Il primo afferma che l’Amoris laetitia costituisce una palese frattura con tutto il precedente Magistero della Chiesa, in particolare con la Familiaris consortio di Giovanni Paolo II; il secondo evidenzia che la logica del cristiano è sempre stata quella dell’et et, non dell’aut aut, mentre non è più così con papa Francesco. E accusa: «la Chiesa del “ma anche” sposa esattamente la logica del mondo».
www.aldomariavalli.it/2016/05/28/la-chiesa-e-la-logica-del-ma-anche
Rispondendo a queste critiche, padre Sorge afferma che «papa Francesco – in fedeltà al Concilio Vaticano II – ha affrontato fin dall’inizio del pontificato in modo innovativo tre tensioni che interpellano il servizio apostolico nel nostro tempo: quelle tra dottrina e pastorale, tra coscienza soggettiva e obiettività della legge e tra misericordia e giustizia. In sostanza, il modo in cui sono vissute queste tensioni e le posizioni critiche assunte al riguardo rivelano le resistenze o le difficoltà di comprendere l’invito di papa Bergoglio a una “Chiesa in uscita”, preferendo rimanere ancorati alle certezze tradizionali, ben custodite dalle vecchie e solide “mura del tempio”».
E dopo avere analizzato più in profondità queste tre “tensioni”, il gesuita conclude: «Ecco, dunque, dove sta la vera novità del pontificato di papa Francesco: non nella rottura con il precedente Magistero della Chiesa, ma nel suo ulteriore approfondimento, alla luce del realismo di Dio. È il Vangelo della misericordia a chiedere che si prenda atto della complessità dei condizionamenti che, nella società di oggi, limitano la capacità di decisione di molte coscienze».
Articolo integrale
www.aggiornamentisociali.it/easyne2/LYT.aspx?Code=AGSO&IDLYT=769&ST=SQL&SQL=ID_Documento=15513

“Amoris laetitia”, la legge, la libertà. Risposta al padre Sorge
Nell’ultimo numero di «Aggiornamenti sociali» (n. 11, novembre 2016), storica rivista dei gesuiti, il padre Bartolomeo Sorge, che della rivista è direttore emerito, pubblica un articolo, intitolato «A proposito di alcune critiche recenti a papa Francesco» (pagg. 751 – 756) nel quale si occupa di «critiche, piuttosto serie, venute specialmente dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia» e si propone di confutarle. Precisato che fra tali critiche ce ne sono alcune preconcette mentre altre, che «vengono da persone illuminate e fedeli», sono «fatte senza arroganza, e lasciano trapelare un’evidente o malcelata contrarietà», il padre Sorge sceglie, come esemplificativi della seconda categoria, i casi del professor Robert Spaemann, «uno dei maggiori filosofi e teologi cattolici tedeschi», e del sottoscritto, «giornalista cattolico, apprezzato vaticanista del Tg1».
Beh, grazie, caro padre! Devo dire che mai mi sarei aspettato di meritare la sua attenzione, e ancor meno di essere accostato, sotto il titolo «Due voci critiche qualificate», a un pensatore del calibro del professor Spaemann.
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/06/17/spaemann-anche-per-la-chiesa-c%E2%80%99e-un-limite-di-sopportabilita
https://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Spaemann
Comunque, eccomi al tema: sia nel caso di Spaemann (secondo il quale «Amoris laetitia» costituisce una palese frattura con il precedente magistero della Chiesa) sia nel mio articolo «La Chiesa e la logica del “ma anche”» 28 maggio 2016, in www.aldomariavalli.it/2016/05/28/la-chiesa-e-la-logica-del-ma-anche
secondo Sorge siamo di fronte a «tensioni che interpellano il servizio apostolico del nostro tempo». Quali sono? Eccole: «Quelle tra dottrina e pastorale, tra coscienza soggettiva e obiettività della legge e tra misericordia e giustizia».
In sintesi, secondo il padre Sorge papa Francesco sta seguendo la strada giusta quando sostiene che la dottrina non deve e non può mai essere fredda e distante, perfetta in se stessa ma lontana dalla realtà delle persone, perché deve avere una natura e una finalità pastorale. Sta seguendo la strada giusta anche quando raccomanda che le persone non siano rese schiave da una legge che, nella sua pretesa obiettività, non sa fare i conti con le situazioni soggettive, e infine ha ragione quando ricorda che la misericordia non è contraria alla giustizia, non è buonismo o sentimentalismo, ma è un andare oltre la giustizia con il perdono. Secondo il padre Sorge, «alla luce del realismo di Dio», Francesco è a sua volta realista quando chiede che «si prenda atto della molteplicità dei condizionamenti» a cui l’uomo di oggi è sottoposto.
Capisco bene lo sforzo di Francesco, e di pastori come il padre Sorge, di calare il Vangelo nella realtà dell’uomo del nostro tempo. Tuttavia ritengo che lungo questa via, a forza di prendere in considerazione i condizionamenti a cui l’uomo è sottoposto, si finisca con l’operare un ribaltamento: anziché aiutare l’uomo a mettersi in ascolto di Dio, c’è il rischio di porre Dio alle dipendenze dell’uomo e delle sue giravolte. Il che rende l’uomo non più libero, ma più schiavo.
La dottrina stessa, oltre che la pastorale, può essere piegata a questo ribaltamento. Succede ogni volta che, con il proposito di andare un po’ «incontro all’uomo», viene ammorbidita o, per dirla con Francesco, resa meno fredda. Ma qual è il prezzo di questa operazione? È che non si sa più di che cosa si sta parlando. La dottrina perde la sua chiarezza e la Verità si offusca. E in questo modo l’uomo non diventa più libero di scegliere o non scegliere la Verità. Diventa solo più confuso. E quindi meno libero. Come spiega Spaemann, scegliere senza sapere bene di che cosa si sta parlando non è un aiuto per l’uomo: è la forma più estrema di mancanza di libertà.
Quando, come a tratti succede in «Amoris laetitia», emerge la tendenza non a mettere al centro Dio e la sua Verità oggettiva, ma l’uomo con le sue esigenze e i condizionamenti a cui è sottoposto, non si aiuta l’uomo a essere più libero: lo si illude di esserlo. Quando, come pure vediamo a tratti in «Amoris laetitia», viene spiegato che l’importante non è tanto il contenuto della norma, quanto il modo in cui una determinata situazione è vissuta, in coscienza, dall’individuo, rischiamo di lasciare campo aperto al dilagare del soggettivismo e del relativismo. Non abbiamo più l’uomo in ascolto di Dio, perché consapevole che Dio è Verità e che tale Verità è oggettivamente buona, ma abbiamo Dio adattato alla soggettività umana. Non abbiamo più i diritti di Dio e i doveri dell’uomo, ma i diritti dell’uomo e i doveri di Dio. Ebbene, dirà qualcuno, dov’è il problema? Il problema è che questa non è la strada della liberazione, ma la strada della schiavitù: l’uomo schiavo di se stesso.
Il dramma della modernità è tutto in questo ribaltamento, che è penetrato anche nella Chiesa e in base al quale l’uomo diventa l’idolo di se stesso. E così si condanna alla schiavitù e quindi, alla fin fine, all’infelicità. Quando non c’è più la libertà di seguire il vero bene, ma solo la libertà di interpretare la Verità di Dio a seconda dei propri bisogni e di ciò che è bene in base a una valutazione soggettiva, semplicemente non c’è alcuna libertà. E se non c’è la libertà c’è la schiavitù. E se c’è la schiavitù non c’è la felicità.
Stupisce che uomini di Dio mostrino la tendenza a considerare la legge, nella sua oggettività e chiarezza, quasi come un ostacolo sulla strada che porta a Dio, quando invece la legge oggettiva e chiara è l’unico strumento che permette la scelta responsabile e quindi l’autentica libertà e quindi la felicità.
Tutti gli attacchi di questi giorni contro il padre Giovanni Cavalcoli, che a Radio Maria ha osato accennare al castigo divino come conseguenza del peccato originale, nascono in buona parte dalla difficoltà, ormai manifesta anche fra tanti buoni credenti, di rapportarsi a Dio in quanto legislatore. Colpa e castigo sono categorie troppo nette. Non ci siamo più abituati. Ci sentiamo più a nostro agio nel giustificazionismo, dove tutto è vago e indeterminato, dove non si sa bene quale sia lo spazio della responsabilità. Non ci stiamo costruendo un Dio misericordioso e che perdona, ma un Dio comprensivo e che giustifica. Sono due cose diverse.
Come ho già ricordato, il mio articolo citato dal padre Sorge si intitola «La Chiesa e la logica del “ma anche”». E che cosa scrive a un certo punto l’amico Sorge? Scrive così: «Va tenuta presente non solo l’obiettività della legge, ma anche la complessità delle situazioni». Eccolo lì il «ma anche», cavallo di Troia del relativismo. Cioè della confusione. Cioè della mancanza di libertà. Cioè dell’infelicità (anche se camuffata da libertà e felicità). L’articolo del padre Sorge si conclude così: «In sostanza, il modo in cui sono vissute queste tensioni e le posizioni critiche assunte al riguardo rivelano le resistenze o le difficoltà di comprendere l’invito di papa Bergoglio a una “Chiesa in uscita”, preferendo rimanere ancorati alle certezze tradizionali, ben custodie dalle vecchie e solide “mura del tempio”».
A parte il fatto che l’espressione «Chiesa in uscita» mi sembra a sua volta generica e indeterminata, voglio dire all’amico padre Sorge che ho afferrato il messaggio in codice. «Oltre le mura del tempio» è il titolo di un libro che abbiamo scritto insieme nel 2012. Ma non mi sento in contraddizione. Resto convinto che la testimonianza, specialmente da parte del laico credente, vada portata ovunque, ben oltre le mura del tempio. Ma quale testimonianza? Di un Dio genericamente comprensivo o di un Dio autenticamente misericordioso? Di un Dio che cancella la colpa dell’uomo o di un Dio che la assume in Gesù, suo mediatore e mio redentore? Di un Dio che mi offre una consolazione superficiale o di un Dio che mi libera dal peccato? Di un Dio che si è fatto uomo o di un uomo che vuole farsi Dio?
Aldo Maria Valli 10 novembre 2016
www.aldomariavalli.it/2016/11/10/amoris-laetitia-la-legge-la-liberta-risposta-al-padre-sorge
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ANONIMATO
Adozioni: il figlio ha diritto di conoscere il nome della madre naturale, anche se è morta
Corte di Cassazione – prima Sezione civile, sentenza n. 22838, 9 novembre 2016.
Per la Cassazione, in sostanza, il diritto all’oblio non può essere perenne. – La morte della madre biologica non può tradursi, per il figlio adottato, nella perdita definitiva della speranza di conoscere le sue origini biologiche. Questo il succo della sentenza n. 22838/2016 depositata ieri dalla Corte di Cassazione (qui sotto allegata), che, a seguito di un lungo ragionamento ha riconosciuto il diritto di una donna venticinquenne di accedere alle informazioni sulla madre naturale, nonostante la stessa avesse chiesto di mantenere l’anonimato.
Ad avviso dei supremi giudici, non potendo il figlio adottivo azionare la procedura dell’interpello (nel caso in cui la madre biologica muoia, come nel caso di specie), il silenzio può essere comunque rotto senza attendere che passino 100 anni (limite temporale fissato dall’art. 93 del d.lgs. n. 196/2003 per la rivelabilità dell’identità della madre) dalla formazione del certificato di nascita perché cessi l’anonimato.
Andando contro le decisioni di merito che avevano bocciato la richiesta della donna di conoscere l’identità della vera madre, morta durante l’istruttoria, gli Ermellini hanno affermato che “deve perseguirsi un’interpretazione della norma compatibile con il diritto a conoscere le proprie origini che, pur conservando il vincolo temporale, ne attenui la rigidità quando non sia possibile per irreperibilità o morte della madre naturale procedere all’interpello e alla verifica della volontà di revoca dell’anonimato”. L’assolutezza e “l’irreversibilità del segreto sulle origini – infatti – sono irrimediabilmente contrastanti con il diritto all’identità personale dell’adottato, nella declinazione costituita dal diritto a conoscere le proprie origini”. Tuttavia, è pur vero che tale diritto del figlio, “non esclude la protezione dell’identità “sociale” costruita in vita” dalla madre, per cui, il trattamento delle informazioni va eseguito “in modo corretto e lecito senza cagionare danno anche non patrimoniale all’immagine, alla reputazione, ed ad altri beni di primario rilievo costituzionale eventuali terzi interessati (discendenti e/o familiari)”.
Da qui l’accoglimento del ricorso con l’affermazione del seguente principio di diritto: “Il diritto dell’adottato – nato da donna che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata ex art. 30, comma 1 Dpr n. 396 del 2000 – ad accedere alle informazioni concernenti la propria origine e l’identità della madre biologica sussiste e può essere concretamente esercitato anche se la stessa sia morta e non sia possibile procedere alla verifica della perdurante attualità della scelta di conservare il segreto, non rilevando nella fattispecie il mancato decorso del termine di cento anni dalla formazione del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica di cui all’art. 93, commi 2 e 3 del D. Lgs. n. 196 del 2003, salvo il trattamento lecito e non lesivo dei diritti di terzi dei dati personali conosciuti”.
Marina Crisafi Studio Cataldi 10 novembre 2016
www.studiocataldi.it/articoli/23961-adozioni-il-figlio-ha-diritto-di-conoscere-il-nome-della-madre-naturale-anche-se-e-morta.asp
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO
Spese per i figli, pro quota a carico dei genitori: clausola esecutiva, ma occorre documentare le spese
Corte di Cassazione – terza Sezione civile, sentenza n. 21241, 20 ottobre 2016.
Il provvedimento con il quale, in sede di separazione, si stabilisce che il genitore non affidatario paghi pro quota le spese ordinarie per il mantenimento dei figli costituisce idoneo titolo esecutivo e non richiede un ulteriore intervento del giudice in sede di cognizione ma ciò solo a condizione che il genitore creditore “possa allegare e documentare l’effettiva sopravvenienza degli esborsi indicati nel titolo e la relativa entità” (Sez. 3, Sentenza n. 11316 del 23/05/2011, Rv. 618151). “Allegazione e documentazione” che va compiuta rispetto all’atto di precetto, e non già nel successivo e solo eventuale giudizio di opposizione all’esecuzione, per l’ovvia considerazione che il debitore deve essere messo in condizioni di potere sin da subito verificare la correttezza o meno delle somme indicate nell’atto di precetto. Massima a cura di Giuseppe Buffone sentenza
Il Caso.it, 16148 – 11 novembre 2016
www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fmi.php?id_cont=16148.php
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CENTRO ITALIANO DI SESSUOLOGIA
Educazione Sessuale. Corso di Formazione
Il corso inizia il 27 gennaio 2017 e continua sino a giugno. È rivolto a professionisti e laureati in ambito medico, psicologico, pedagogico, socio-antropologico, socio-assistenziale e operatori del settore.
L’iniziativa intende fornire strumenti operativi per l’individuazione e l’attuazione di strategie e tattiche di una educazione sessuale che favorisca la costruzione dell’identità e la promozione della salute sessuale.
Il corso è in collaborazione con Servizio di Sessuologia Clinica del Dipartimento di Psicologia Università di Bologna.
Informazioni: Scuola CIS Via Regnoli, 74 40138 Bologna Tel: 338-6615228 scuolacisbo@cisonline.net
www.cisonline.net/index.php?option=com_content&view=featured&Itemid=101
www.cisonline.net
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CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF
Newsletter n. 22/2016, 9 novembre 2016.
Franco Garelli, Piccoli atei crescono. Davvero una generazione senza Dio? Bologna, Il Mulino, 2016
Atei, non credenti, increduli: è la rappresentazione che sempre più spesso viene data delle nuove generazioni. In effetti, il volume Piccoli atei crescono, curato da un sociologo della religione da sempre attento anche all’universo giovanile come Franco Garelli, dimostra con ricchezza di dati come la negazione di Dio e l’indifferenza religiosa tra i giovani stiano crescendo sensibilmente, anche per il diffondersi di un «ateismo pratico» tra quanti mantengono un legame labile con il cattolicesimo.
Legame che spesso passa ancora per la famiglia, e in particolare attraverso le madri, ma in misura sempre più debole e residuale. Infatti, scrive Garelli, «la grande maggioranza dei giovani che oggi sono “senza Dio” o “senza religione” ha genitori che aderiscono a una fede religiosa», ma si tratta di un’adesione meramente culturale, per tradizione sociale. Nello stesso tempo, impressiona anche il dato che riguarda i percorsi seguiti fin dall’infanzia da questa “generazione senza Dio”: il 76,5% di coloro che si dichiarano non credenti ha seguito il catechismo, il 52,8% la parrocchia o l’oratorio.
Sono considerazioni che non possono non interessare gli operatori di pastorale, in primis della pastorale giovanile e familiare. Anche perché Garelli non si limita ad evidenziare quanto della tradizionale “trasmissione della fede” tra le generazioni non funziona più, ma molto opportunamente mette in luce il fatto che, malgrado tutto, la domanda di senso è vivace. Per molti il sentimento religioso si esprime nella propria interiorità personale, passando da una dimensione verticale, trascendente, ad una orizzontale, di ricerca di un’armonia personale. Tenendo presente questo profondo mutamento, il volume offre un profondo spaccato non solo sul “passato che se ne va”, ma anche sul “nuovo che avanza”. Pietro Boffi – CISF
640 mila pensioni italiane pagate dai contributi dei migranti. Dal nuovo rapporto annuale della Fondazione Leone Moressa emerge il positivo apporto economico-fiscale dei “nuovi italiani”. Fosse un’azienda unica produrrebbe il Pil della Fiat e un fatturato superiore a quello della General Eletric.
Fratelli sani di bambini disabili. Un convegno sui siblings a Torino. Il Cisf ha partecipato al recente convegno internazionale “hey brother!”, organizzato da Fondazione Paideia a Torino a fine settembre. E’ stata una preziosa occasione per discutere del ruolo e delle specificità dei fratelli di persone disabili, condizione spesso trascurata. In particolare sono state presentate alcune innovative esperienze dagli Stati Uniti e dall’Australia (i cosiddetti “sibshop”), che anche in Italia sono ormai una realtà.
Sono in rete i video delle principali relazioni.
www.fondazionepaideia.it/2016/10/06/online-i-video-del-convegno-hey-brother
Il nuovo Isee: bene i dati dal Ministero, ma qualche dubbio di equità rimane. Sono finalmente disponibili i preziosi dati sul primo anno di applicazione del nuovo ISEE. Il report è ricco di informazioni, e costituisce un esempio virtuoso di trasparenza, nella rendicontazione documentata ai cittadini delle misure di politica sociale. Manca però, nel report, il dato sull’equità familiare; in particolare non sono forniti i dati secondo il numero di figli (ma solo “presenza di figli minori”). Questo impedisce di capire se davvero la scala di equivalenza familiare sia equa, oppure se sia troppo avara, e penalizzi le famiglie con più figli, come sostenuto da molti nei lunghi mesi di discussione sulla riforma dell’ISEE [problema ricordato anche dal Forum Associazioni Familiari]
www.forumfamiglie.org/comunicati.php?comunicato=824
Un documento della alleanza contro la povertà (settembre 2016) I finanziamenti per i sussidi alle persone in povertà stanno lentamente avviandosi. Attualmente i nuovi stanziamenti finanziano due misure transitorie, il Sostegno per l’Inclusione Attiva (Sia) e l’Assegno per la Disoccupazione (ASDI), che nel corso del 2017 saranno assorbite nel Rei (Reddito di Inclusione), la misura definitiva. Un segnale positivo, anche se si attende la concreta attuazione.
Fertility day: è utile non dimenticare. In riferimento al breve commento Cisf sul Fertility Day (Newsletter n.18/2016), la Confederazione Italiana dei Centri per la Regolazione Naturale della Fertilità ci ha inviato la segnalazione di un loro comunicato.
www.confederazionemetodinaturali.it/fertility-day-2016-le-ragioni-di-un-adesione/sbe533743
Regno Unito: diminuiscono le adozioni, crescono gli affidi. (The Guardian, 29 settembre 2016). Il numero di bambini adottati in Gran Bretagna diminuisce, nel 2015 e nel 2016. Esse non sono più prioritarie, come aveva invece indicato Cameron qualche anno fa. Soprattutto a partire dal 2013, a livello di scelte operative dei tribunali e degli enti locali emerge una priorità per altre forme di accoglienza. Il tutto sempre con la prospettiva del “superiore interesse del minore”: Da questo breve ma documentato articolo emerge un dibattito interessante anche nelle sue risonanze con il contesto italiano, pur nella forte differenza tra i due sistemi; ad esempio l’affidamento eterofamiliare in Gran Bretagna è soprattutto di “famiglie professionali”, fino a diventare “quasi totalmente retribuito” per le famiglie.
Save the date
Nord “Un posto sicuro dove guarire la ferita dell’aborto volontario”, ritiro spirituale presso la Vigna di Rachele, Bologna, 4-5 novembre 2016.
Quando il gioco non è più gioco, Un ciclo di appuntamenti per sensibilizzare sul tema della ludopatia, una grave minaccia per l’ecosistema familiare, Centro della famiglia, Treviso, 28-29 ottobre 2016.
Centro Percorsi di luce, ciclo di incontri spirituali per separati, divorziati e risposati, Diocesi di Livorno, Ufficio per la pastorale familiare, Livorno, da ottobre 2016 a giugno 2017.
Sud Disabilità e siblings. Occuparsi del bambino sano, corso di formazione, I.A.C.P., Napoli, 25-26 novembre 2016.
Estero Reforming the Common European Asylum System: Towards a Unified, Fair and Effective Policy, un incontro sull’Agenda UE sul diritto di asilo per i rifugiati, Public Policy Exchenge, Bruxelles, 16 novembre 2016.
http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/novembre/22/index.html
Iscrizione alle newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx
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CHIESA CATTOLICA
È vero che San Pietro era sposato?
In tanti si saranno chiesti se davvero l’apostolo Pietro fosse sposato, visto che nei Vangeli si parla della guarigione della sua suocera. Ho scoperto che tra i miracoli compiuti da Gesù c’è anche la guarigione della suocera di San Pietro. Questo significa che aveva una moglie? Mi chiedo se in questo caso ha dovuto lasciarla al momento della chiamata di Gesù. Oppure era vedovo? Scusate per questa domanda ma è una cosa che mi ha incuriosito. Lettera firmata
Sì Pietro era sposato: Gesù guarì sua suocera febbricitante, un sabato, appena uscito dalla sinagoga e lei, una volta guarita, si mise subito a servirli (Mc 1,29-31). È l’unica volta che i Vangeli parlano della famiglia di Pietro. Sappiamo che agli evangelisti non interessavano dettagli biografici né di Gesù esù, né dei suoi discepoli, ma ogni fatto scelto tra quelli che si tramandavano sul Signore, doveva servire a raccontare l’evento storico della sua Incarnazione, culminato nella sua morte e resurrezione.
La domanda del lettore quindi, riguarda un particolare a cui i Vangeli non sono direttamente interessati. Tuttavia qualcosa di interessante si può trovare sulla questione proposta, soprattutto se teniamo presente due aspetti implicitamente citati dal nostro lettore: Pietro era davvero sposato e questa condizione è stata comunque il punto di partenza della sequela degli apostoli.
La domanda allora è la seguente: il primo apostolo ha dovuto lasciare la moglie per seguire il Signore? Come si poteva conciliare eventualmente il matrimonio con le esigenze della sequela del Signore? La domanda è lecita, meno accettabile l’affermazione della sua vedovanza, di cui i vangeli non dicono nulla; quest’ipotesi sappiamo invece che nasce da una tradizione posteriore, preoccupata di colmare un vuoto narrativo e di rispondere ad una domanda simile a quella del lettore. Prima però di dare una risposta, credo sia interessante fare una piccola digressione dicendo che difficilmente Gesù avrebbe potuto chiamare uomini celibi alla sequela, dal momento che l’essere sposati nella tradizione giudaica corrispondeva agli insegnamenti della S. Scrittura. Geremia ad esempio, profeta celibe, fa presente di essere un’eccezione paradossale e persino «scandalosa» in mezzo al suo popolo (Ger16,2). Gesù quando chiama i primi discepoli a seguirlo, sa molto bene che sono uomini sposati come era normalità. Il matrimonio, quindi, non era certo un impedimento per la sequela del Signore. Qualcuno ha giustificato la cosa dicendo che il modello di vita familiare del tempo era molto meno sedentario di quello che ci possiamo immaginare, ma credo che la sequela non comportasse solo lo spostamento logistico del movimento missionario, ma un cambiamento radicale di prospettiva.
Andare dietro a Gesù toccava gli aspetti più intimi delle persone chiamate, dando nuovo orientamento a tutta la loro vita relazionale; esse sperimentavano una nuova appartenenza alla grande famiglia di Gesù che si era riunita a causa della buona notizia. Quindi la domanda su come si conciliasse matrimonio e sequela è centrata. Per avvicinarsi alla questione si può partire da un’affermazione molto interessante di Paolo. Mettendo la sua vita apostolica a confronto con quella di altri apostoli dice: «Non abbiamo il diritto di portare con noi una sposa credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa?» (1Cor 9,5). La domanda è retorica e si riferisce al fatto che Paolo ha rinunciato a questo diritto come a quello di essere mantenuto dai destinatari del suo annuncio. Con questa domanda di Paolo, veniamo a conoscenza del fatto che gli altri apostoli e il gruppo nazaretano, giudeo-cristiano, cosiddetto dei «fratelli del Signore», non solo erano sposati, ma portavano le loro consorti in missione, a differenza di Paolo e Barnaba. I Vangeli danno qualche altro indizio importante sui rapporti degli apostoli con le loro famiglie.
Sono riferimenti che a volte paiono andare uno nel senso contrario dell’altro, dicendoci chiaramente che vivere le relazioni familiari dentro la sequela portava talvolta al conflitto, altre volte a maggior unione; insomma, l’argomento mostra la sua complessità. Vi sono dunque due linee da seguire. Da una parte quanto ha affermato Paolo può corrispondere alla consuetudine giudaica di far dipendere la famiglia dalle decisioni del padre- marito, per cui le donne avrebbero dovuto seguire i propri mariti ovunque. All’inizio ciò fu sicuramente semplice: fino a quando il ministero di Gesù si svolse in Galilea, egli insieme ai suoi discepoli era sicuramente ospitato nelle case dei discepoli, come ci ricorda proprio l’episodio della suocera di Pietro, che si mise a servirli. Quindi si può supporre che gli apostoli rimasero legati alle loro famiglie. La «casa» di Pietro, che gli scavi archeologici di Cafarnao hanno riportato alla luce, è memoria di questa di questa assiduità di rapporti tra Gesù, i dodici e le loro rispettive famiglie. Quando Gesù si sposta in Giudea allora questa frequentazione fu certamente impossibile.
Luca però ci ricorda che anche in Giudea ci furono alcune donne che servivano Gesù e gli apostoli «dai loro beni» (Lc 8,1-3). In questo seguito femminile è probabile fossero presenti anche alcune mogli degli apostoli, che aiutavano Gesù e gli apostoli, custodendoli nelle loro necessità. Accanto a questa linea nel vangelo ve n’è un’altra che, secondo gli studiosi, potrebbe scaturire proprio dalle prime difficoltà della sequela del Signore, sempre più esigente e radicale. Espressione di questo passaggio è la frase di Pietro, riportata da Luca: «Noi abbiamo lasciato tutte le nostre cose e ti abbiamo seguito. Gesù rispose: In verità vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà» (18,28-30). Quest’affermazione di Gesù fa pensare ad un certo distacco dalla famiglia, ma certamente non si accenna a nessun tipo di divorzio tra gli apostoli e le proprie consorti, forse si tratta di lunghi periodi di assenza dalle loro case.
Vi sono espressioni anche più forti, con cui Luca ricorda le divisioni che si potevano verificare in una famiglia ebrea a causa della conversione di qualche membro alla fede cristiana: «D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera» (Lc 12,52-53). Forse proprio in questo contesto particolare maturano i detti di Gesù sulla sequela, che gli evangelisti formulano in modo iperbolico: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26).
Il linguaggio è assoluto, ma certamente Gesù non può aver invitato nessuno all’odio. Con questo modo di dire si vuol affermare l’esigenza radicale del vangelo: Gesù, la fede in lui, non può essere una realtà tra le altre; amarlo di più, persino più della propria vita, vuol dire amare tutto in lui. Di questo atteggiamento diviene espressione, nella tradizione cristiana, il celibato per il Regno dei cieli, (Mt19,12;1Cor 7) un dono e un segno per tutti, ma non l’unica condizione di vita per seguire il Signore che volle avviare il proprio ministero terreno con dodici uomini, quasi sicuramente, tutti sposati. La condizione migliore di sequela, poi, i Vangeli e gli Atti degli apostoli, dicono sia quella del «martire», del testimone disposto a dare la vita per i fratelli, in forza dell’amore del Signore. Né l’esser sposato impedisce la sequela, né l’essere celibe la garantisce, solo l’essere «martire», cruento o incruento, testimone del vangelo con tutta la vita la rende autenticamente possibile.
Suor Giovanna Cheli, docente di Sacra Scrittura alla Facoltà Teologica dell’Italia centrale.
Toscana oggi 6 novembre 2016
www.toscanaoggi.it/Rubriche/Risponde-il-teologo/E-vero-che-San-Pietro-era-sposato/(language)/ita-IT

“In cammino nella Chiesa”, il messaggio del IV Forum dei Cristiani LGBT italiani
Documento finale del IV Forum dei Cristiani LGBT italiani (Albano Laziale, 15-17 aprile 2016)
Nell’anno giubilare della Misericordia, a 50 anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, e a pochi mesi dalla chiusura del Sinodo della Famiglia, più di 150 persone cristiane lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (LGBT), con i loro genitori e gli operatori pastorali (laici, sacerdoti e religiosi), giunti da tutta Italia, si sono incontrati in occasione del IV Forum dei Cristiani LGBT italiani (Albano Laziale 15-17 aprile 2016) per domandarsi:
Cosa possiamo fare per favorire l’integrazione delle persone LGBT nella comunità cristiana?
Quali carismi possiamo spendere? Come possiamo farlo insieme?
Per tre giorni ci siamo confrontati e ascoltati reciprocamente. Questo è il frutto del nostro incontrarci, che vogliamo offrire alla riflessione delle nostre comunità di fede.
Dai cristiani lgbt. Come cristiani LGBT abbiamo compreso che tutti noi vogliamo essere parte viva di una comunità cristiana che riflette, prega e si pone al servizio; una parte che vuole ascoltare ed essere ascoltata. Perciò invitiamo tutti i cristiani LGBT ad essere visibili con la testimonianza della loro vita concreta, i loro genitori a portare finalmente la loro esperienza nelle comunità cristiane e gli operatori pastorali ad essere sempre più nostri compagni di cammino nella fede.
Come cristiani abbiamo compreso che è ora di bussare alle porte delle nostre chiese per costruire ponti, aprire porte e demolire muri; è giunto il tempo di mettere a disposizione delle nostre comunità di fede i nostri talenti, di essere testimoni con coerenza, coraggio ed entusiasmo dell’amore responsabile col quale ci amiamo, nella fedeltà reciproca e nel dono altruistico di sé.
Siamo consapevoli di essere nel popolo di Dio e che siamo chiamati a favorire un cambiamento di prospettiva nel quale non sia solo la Chiesa a prendersi cura di noi, ma anche noi ad aiutarla ad essere più accogliente con le persone omosessuali, bisessuali e transessuali ed i loro familiari. Per questo è importante che sappiamo tessere una rete di dialogo, aggiornamento, testimonianza, ascolto e sostegno reciproco, perché la solitudine non appartiene al nostro Dio.
Dai genitori con figli lgbt. Noi, genitori cristiani con figli LGBT, abbiamo condiviso come sia per noi fondamentale porci sempre in un atteggiamento di ascolto ed accoglienza, per scoprire il disegno d’amore tracciato da Dio per i figli che ci sono stati affidati. Come genitori dobbiamo lasciarci interrogare dal Signore che parla al nostro cuore, anche attraverso il coming out dei nostri figli e figlie; questo evento irrompe spesso con dolore nelle famiglie cristiane, ma ci offre nel contempo la possibilità di diventare genitori due volte, accogliendo con occhi nuovi i figli nel loro mistero d’amore.
Per noi genitori è fondamentale ritrovarci ed incontrarci per poterci raccontare, sostenerci ed accoglierci vicendevolmente nel nostro cammino di consapevolezza, ed inoltre collaborare con gli operatori pastorali nel sostegno alle altre famiglie con figli omosessuali, bisessuali e transessuali. E’ giunto il tempo per noi genitori di fare coming out (uscire allo scoperto) per amore dei figli.
Dagli operatori della pastorale. Noi operatori pastorali (laici, sacerdoti e religiosi) abbiamo testimoniato al IV Forum il nostro impegno per l’inclusione, per superare ogni esclusione, e per la promozione della dignità di tutte le persone. Dal nostro confronto è emersa la convinzione che la pastorale per le persone omosessuali, bisessuali e transessuali cristiane, abbia il dovere di aiutarle a “conservare la speranza” [Evangelii Gaudium: Esortazione Apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, 2013, n. 109] in Dio, nella Chiesa, nella Comunità.
Nella sua visita di saluto ai partecipanti al IV Forum mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano, ci ha ricordato che anche per le persone LGBT “non si tratta di dentro o fuori dalla Chiesa, ma di accompagnare ed integrare le persone a partire dalla condizione di ciascuno” Per questo crediamo che la pastorale con le persone e le famiglie con figli LGBT non possa più essere considerata straordinaria o di frontiera, ma debba anzi divenire ordinaria, per evitare le inutili sofferenze causate da una verità senza misericordia. Per questo auspichiamo una pastorale che, nella comunione, sappia promuovere le differenze come “manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune” (1 Corinzi 12,7).
Conclusioni. Tutti noi offriamo con gioia alle nostre comunità di fede queste riflessioni scaturite dal nostro incontrarci al IV Forum dei Cristiani LGBT, certi che “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (Gaudium et Spes 1).
Per le realtà associative ei cristiani lgbt. Le prospettive emerse al Forum si possono così riassumere:
• Essere visibili: è giunto il tempo della testimonianza verso l’esterno dei cristiani LGBT e dei loro genitori.
• Fare rete: è importante che i cristiani LGBT, i loro genitori e gli operatori pastorali continuino ancor più concretamente ad ascoltarsi, a confrontarsi e a camminare insieme.
• Interrogarsi: va incoraggiata una ricerca teologica che sappia aprire nuove strade e promuovere una cultura cristiana del rispetto e dell’integrazione nella diversità.
• Costruire ponti, aprire porte, demolire muri: tutti siamo chiamati a testimoniare in prima persona la fede e la pienezza dell’amore, che vivono anche le persone LGBT.
• Cambiare prospettiva: non chiediamoci cosa debba fare la Chiesa per noi, ma aiutiamo la nostra Madre Chiesa ad aprirsi ad una maggiore integrazione delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali.
Il Forum dei Cristiani LGBT è una rete informale che riunisce, dal novembre 2009, i singoli, i gruppi e le varie realtà locali e nazionali dei cristiani omosessuali, bisessuali e transessuali italiani, per aiutarli a facilitare la comunicazione tra loro, favorendo la realizzazione di iniziative comuni e promuovendo l’accoglienza concreta nelle varie comunità e nelle chiese cristiane italiane.
www.gionata.org/in-cammino-nella-chiesa-il-messaggio-lanciato-dal-iv-forum-dei-cristiani-lgbt-italiani

Al Convegno CEI sulla pastorale familiare si parla di accompagnamento delle famiglie con figli LGBT
Vi segnaliamo un interessante novità al Convegno nazionale dell’ufficio famiglia della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) “Vi occuperete di pastorale familiare” (Assisi, 11-13 novembre 2016), diretto ai sacerdoti e alle coppie di sposi responsabili degli uffici diocesani di pastorale familiare sulle sollecitazioni pastorali contenute nell’Esortazione post-sinodale Amoris Laetitia.
Molto ricco il programma dei lavori che prevedeva relazioni, testimonianze e laboratori di condivisione e dove, per la prima volta, troviamo tra i temi affrontati quello “dell’esperienza delle famiglie che hanno al loro interno persone con tendenza omosessuale (AL 250). Quale formazione per sacerdoti e accompagnatori?” che è stato presentato dal gesuita padre Pino Piva, coordinatore nazionale per i Gesuiti degli esercizi Ignaziani in Italia e dell’equipe di “spiritualità delle frontiere”, ed ha visto una testimonianza di Edoardo, un giovane gay cattolico, e di Corrado e Michela due genitori cattolici con un figlio gay, accompagnati da una riflessione a due voci di suor Anna Maria Vitagliani e di don Christian Medos sempre dell’equipe di “spiritualità delle frontiere” sul tema dell’accoglienza e dell’ascolto.
Allegato il video degli interventi www.gionata.org/25666-23
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COGNOME DEI FIGLI
Consulta. Via libera al cognome della madre.
Corte costituzionale. Accolto il ricorso di una coppia di Genova: bocciato l’automatismo in presenza di una diversa volontà dei genitori. L’attribuzione automatica del cognome paterno ai figli “legittimi” viola la Costituzione, «in presenza di una diversa volontà dei genitori». Secondo la Consulta, intervenuta ieri 8 novembre 2016 per la terza volta in 18 anni sul tema del doppio cognome, i tempi oggi sono maturi per rimuovere un vincolo che già nel 2006 la Corte stessa aveva definito «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia» – ma fermandosi allora davanti «all’intervento manipolativo» necessario sulla legge.
A proporre nuovamente la questione di costituzionalità è stata la Corte di appello di Genova nell’ambito di una causa promossa da una coppia dopo il diniego dell’ufficiale di stato civile di apporre al loro figlio, nato nel 2012, anche il cognome della mamma. Di qui la bocciatura tout court dell’obbligo di cognome paterno. Questo diktat, per quanto sinora intangibile, non è previsto da una norma specifica ma è desumibile indirettamente dal Codice civile (in materia di figli nati fuori dal matrimonio), da un regio decreto del 1939 e da un decreto del presidente della Repubblica del 2000, che determinano l’attribuzione automatica del cognome paterno. Già nel 1998 la questione era arrivata alla Consulta, che l’aveva respinta in modo radicale, una scelta molto attenuata 8 anni più tardi – ma ancora non decisiva – fino alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che nel gennaio di due anni fa aveva bollato come «discriminatoria» la «visione patriarcale della famiglia» riflessa dalla esclusività del cognome paterno. A seguito di quella sentenza il legislatore si era mosso arrivando – il 24 settembre del 2014 – alla prima lettura alla Camera del Testo unico della famiglia, che prevedeva anche il doppio cognome (o meglio, la possibilità di scegliere alternativamente o entrambi i cognomi dei genitori). La legge, tuttavia, si è poi arenata in Senato per i contrasti in seno alla stessa maggioranza sulla prospettata “deregulation” familiare.
Uno stallo normativo davanti a cui la Consulta si era fermata due volte, ma non la terza. In attesa di conoscere le motivazioni – ieri la causa è stata solo discussa in aula – affidate al giudice Giuliano Amato, la Corte ha anticipato in via ufficiale la dichiarazione di incostituzionalità legata – a quanto si deduce dalla trattazione – alla violazione degli articoli 2 (diritto all’identità personale), 3 (diritto di uguaglianza e pari dignità sociale dei genitori nei confronti dei figli), 29 (diritto di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi), e anche dell’articolo 117 della Costituzione in relazione a principi contenuti in convenzioni e risoluzioni internazionali – su tutte quella del 1979 dell’Onu sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne. Ma già 10 anni fa la Corte considerava ormai superata quella visione patriarcale della famiglia, «che affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna». Parole che il legislatore aveva preferito non cogliere.
Alessandro Galimberti 9 novembre 2016
www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2016-11-09/via-libera-cognome-madre-082207.shtml?uuid=ADpnOkrB
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Faenza. Corso di autoconsapevolezza.
In collaborazione con la Scuola Italiana Consulenti Familiari di Roma SICOF, il consultorio organizza da novembre 2016 a giugno 2017 un Corso di autoconsapevolezza per migliorare la conoscenza di se stessi e le proprie relazioni. E’ rivolto a tutti coloro che intendono fare un percorso di conoscenza, crescita personale ed approfondimento del loro modo di relazionarsi con gli altri. In particolare, è poi consigliato a tutti coloro che si occupano di relazione: animatori di gruppi, insegnanti, educatori e persone che lavorano a stretto contatto con utenti e clienti. Il percorso mira, attraverso l’utilizzo di dinamiche esperienziali, a favorire la capacità di auto-ascolto e l’esplorazione di sé e del proprio mondo interiore, per acquisire maggiore consapevolezza di ciò che siamo. La metodologia di apprendimento è teorico-esperienziale. Attraverso esercitazioni tecnico-pratiche si vuol favorire lo sviluppo e l’integrazione di abilità comunicative e di ascolto utili a migliorare la relazione con l’altro sia in ambito professionale che personale.
Per informazioni inviare una e-mail a ucipemfaenza@alice.it o visionare il sito web
www.pastoralefamiliarefaenza.it/wp/?page_id=1038

Padova. Il potere della lettura.
Biblioterapia, la lettura come benessere, a cura di Barbara Rossi, ed. La Meridiana.
Un libro da “addetti ai lavori”, che richiede un po’ di concentrazione, ma scritto comunque con un linguaggio semplice e piacevole che lo rende fruibile da chiunque. In 120 agili pagine si ritrovano riflessioni, esperienze pratiche di applicazione di “biblioterapia” (in carcere, nelle scuole, in ospedale) e molti testi consigliati: una buona parte li abbiamo letti per voi e ve li consiglieremo un po’ alla volta.
Curarsi con i libri, rimedi letterari per ogni malanno, di Ella Berhoud e Susan Elderkin, ed. Sellerio. Ironico, divertentissimo, dissacrante, ma senza volgarità e grossolanità, è già una “terapia” contro il malumore leggerlo. In ordine alfabetico sono riportate molteplici situazioni e i titoli relativamente consigliati per “curarsi”. Da leggere e poi tenere sul comodino per periodiche consultazioni.
A mio giudizio questi libri non riguardano un ambito preciso, ma spaziano tra i bisogni, i desideri e le aspettative delle persone. Possono aiutare a chiarirsi in quale direzione si vuole andare, oppure se è il momento di fermarsi per riflettere sulla propria vita. E, con semplicità, il secondo serve anche per divertirsi: un sorriso è sempre un toccasana per tante difficoltà.
Silvia Crippa insegnante, psicologa, psicoterapeuta, mediatore familiare in consultorio opera come
www.consultorioucipem.padova.it/index.php/letture-proposte/letture-novembre-2016.html
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CONVIVENZA
Coppia di fatto, affido condiviso per il cane
Tribunale di Roma. Sentenza n.5322, 15 marzo 2016.
Per il Tribunale di Roma anche i cani hanno un’anima e il loro interesse «spirituale-affettivo» va tutelato. Nel caso di Spilla, un meticcio di nove anni, a tutelarlo ci ha pensato il giudice Antonio Fraioli che ha imposto l’affido condiviso ai due proprietari dell’animale, in lotta da anni per l’affidamento del cane che avevano adottato durante il loro periodo di convivenza. «Dal punto di vista del cane – scrive il giudice – che è l’unico che conta ai fini della tutela del suo interesse, non ha assolutamente alcuna importanza che le parti siano state sposate o meno». Equiparando – con un paragone forse eccessivo – il cane a un figlio il giudice sottolinea che «il suo affetto per entrambe (le parti che compongono la coppia, ndr) prescinde assolutamente dal regime giuridico che le legava». Ecco che, quindi, scatta la tutela dell’interesse materiale-spirituale-affettivo dell’animale che ha diritto a passare lo stesso tempo con il padrone e con la padrona, anche in nome di una «ben nota memoria affettiva dei cani».
Nella sentenza il giudice richiama due precedenti pronunce (Tribunale di Cremona e Tribunale di Foggia) relative all’affido di cani in cause di separazione e ricorda che in Parlamento «giace da molti anni» una proposta di legge con la quale si vorrebbe introdurre nel Codice civile l’affido degli animali familiari in caso di separazione dei coniugi. «La proposta di legge – spiega il giudice di Roma – estende la competenza del Tribunale a decidere dell’affido dell’animale anche alla cessazione della convivenza more uxorio».
In base a queste considerazioni e a un’istruttoria approfondita il giudice ha stabilito che Spilla trascorrerà sei mesi con il suo padrone e sei mesi con la sua padrona, in quali dovranno pagare al 50% le spese relative a cibo, cure mediche e «quanto altro eventualmente necessario al benessere» del cane. Nei sei mesi in cui una delle due parti non starà con il cane potrà comunque «vederlo e tenerlo due giorni la settimana, anche continuativi, notte compresa». La sentenza arriva quattro anni dopo l’avvio della lite e condanna inoltre il proprietario alle spese del giudizio di circa 6mila euro.
Francesca Milano Il Sole 24 Ore 8 novembre 2016
www.oua.it/sentenze-coppia-di-fatto-affido-condiviso-per-il-cane-il-sole-24-ore
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CORTE COSTITUZIONALE
Via libera al cognome della madre per i figli.
La Corte costituzionale ha accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di appello di Genova sul cognome del figlio. La Corte ha dichiarato l’illegittimità della norma che prevede l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa volontà dei genitori.
Comunicato stampa 8 novembre 2016
www.servizidemografici.com/la-corte-decide-sul-cognome-del-figlio.html
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DALLA NAVATA
33° Domenica tempo ordinario-anno C–13 novembre 2016
Malachia 03, 20. Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di
giustizia.
Salmo 98, 09. Giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine.
2Tessalonicesi 03, 11. Sentiamo infatti che alcuni di voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e
sempre in agitazione.
Luca 21, 19. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.

Il tempo della fine. Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
L’anno liturgico volge al suo termine e il nostro cammino riprenderà con il tempo di Avvento, inizio di un nuovo anno. Eccoci dunque in contemplazione delle realtà ultime, alle quali tende la nostra attesa: il Signore Gesù apparirà nella gloria come il Veniente. È Gesù stesso che sul finire dei suoi giorni terreni prima della sua passione e morte, mentre si trova a Gerusalemme per la celebrazione della Pasqua, di fronte al tempio, stimolato da una domanda dei suoi discepoli delinea “il giorno del Signore” (jom ’Adonaj) quale giorno della sua venuta.
Il tempio di Gerusalemme, la cui ricostruzione da parte di Erode era iniziata circa cinquant’anni prima, appariva come una costruzione sontuosa, che impressionava chi giungeva a Gerusalemme. Essa non era come le altre città capitali: era “la città del gran Re” (Sal 48,3; Mt 5,35), il Signore stesso, meta dei giudei residenti in Palestina o provenienti dalla diaspora (da Babilonia a Roma), la città sede (luogo, maqom) della Shekinah, della Presenza di Dio. Il tempio nel suo splendore ne era il segno per eccellenza, tanto che si diceva: “Chi non ha visto Gerusalemme, la splendente, non ha visto la bellezza. Chi non ha visto la dimora (il Santo), non ha visto la magnificenza”.
Anche i discepoli di Gesù nella valle del Cedron, di fronte a Gerusalemme, o sul monte degli Ulivi erano spinti all’ammirazione. Ma Gesù risponde: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”, parole che per i giudei suonavano come una bestemmia, al punto che saranno uno dei capi di accusa contro Gesù nel processo davanti al sinedrio (cf. Mc 14,58; Mt 26,61). Gesù non vuole negare la bellezza del tempio, né decretarne la distruzione, ma vuole avvertire i discepoli: il tempio, sebbene sia casa di Dio, sebbene sia una costruzione imponente, non deve essere oggetto di fede né inteso come una garanzia, una sicurezza. Purtroppo, infatti, il tempio di Gerusalemme era diventato destinatario della fede da parte di molti contemporanei di Gesù: non al Dio vivente ma al tempio andava il loro servizio, e la loro fede-fiducia non era più indirizzata al Signore, ma alla sua casa, là dove risiedeva la sua Presenza.
Gesù, del resto, non fa altro che ammonire il popolo dei credenti, come aveva fatto secoli prima il profeta Geremia: “Non basta ripetere: ‘Tempio del Signore, tempio del Signore, tempio del Signore! ’, e pensare che esso possa salvare, ma occorre vivere secondo la volontà di Dio, praticare la giustizia” (cf. Ger 7,1-15). Più in generale, le parole di Gesù erano fedeli all’annuncio dei profeti, che più volte avevano ammonito i credenti, mettendoli in guardia dal rischio di trasformare uno strumento per la comunione con Dio in un inciampo, un luogo idolatrico, una falsa garanzia di salvezza. E Gesù con il suo sguardo profetico vede che il tempio andrà in rovina, sarà distrutto, non sarà capace di dare salvezza a Israele.
Di fronte a questo annuncio del loro Maestro, i discepoli hanno una reazione di curiosità: “Quando accadrà questo? Ci sarà un segno premonitore?”. A questi interrogativi Gesù non risponde puntualmente, non formula predizioni, ma piuttosto avverte i discepoli su come è necessario prepararsi per “quel giorno” che viene. Nessuna data, nessuna risposta precisa alle febbri apocalittiche sempre presenti nella storia, tra i credenti, nessuna immagine terroristica come segno, ma delle indicazioni affinché i credenti vadano in profondità, leggano i segni dei tempi e vivano con vigilanza il proprio oggi, mai dimenticando, ma al contrario conservando la memoria della promessa del Signore e attendendo che tutto si compia.
Il primo avvertimento di Gesù è una messa in guardia di fronte a quelli che si presentano come detentori del Nome di Dio: “Egó eimi, Io sono”. Tale pretesa coincide con l’arrogarsi una centralità, un primato e un’autorità che appartengono solo al Signore. Mai il credente discepolo di Gesù può affermare: “Io sono”, ma piuttosto deve sempre proclamare: “Io non sono” (cf. Gv 1,20-21) e fare segno, indicare il Cristo Signore (cf. Gv 1,23-36). Purtroppo gli umani cercano sempre un idolo in cui mettere fede, una sorta di tempio che li garantisca e – come insegna tristemente la storia – finiscono per trovarlo o in persone che vengono nel nome di Gesù ma in realtà sono contro di lui, o in istituzioni umane: istituzioni liturgiche, teologiche, giuridiche, politiche, che magari si proclamano volute da Cristo stesso, mentre in realtà sono scandalo e contraddizione alla fede autentica! Gesù avverte: “Non andate dietro (opíso) a loro”, perché l’unica sequela è quella indicata da Gesù stesso e testimoniata dal Vangelo. Senza dimenticare che quando Luca, verso l’80 d.C., mette per iscritto queste parole di Gesù, conosce quante volte falsi profeti e impostori si sono presentati al popolo (cf. At 5,36-37; 21,38).
I cristiani, inoltre, devono saper distinguere la parousía, la venuta finale, accompagnata da eventi che mettono fine a questo mondo, da avvenimenti sempre presenti nella storia: guerre, rivoluzioni, terremoti, carestie, cadute di città, tra cui la stessa Gerusalemme. Oltre a ciò, vanno messe in conto le violente persecuzioni che i discepoli di Gesù conosceranno fin dai primi giorni della vita della chiesa (cf. At 4,1-31). Come Gesù è stato perseguitato fino alla morte, così pure avverrà per i suoi discepoli e le sue discepole, perché le autorità religiose non possono accogliere la buona notizia del Vangelo, la fine dell’economia del tempio, la fine del primato della Legge e del vincolo della discendenza giudaica; e le autorità politiche non possono sopportare la giustizia vissuta e predicata da Gesù! Ma cosa sono le persecuzioni se non un’occasione di rendere testimonianza a Cristo? Il discepolo lo sa: guai se tutti dicono bene di lui (cf. Lc 6,26), ma beato quando lo si insulterà, lo si accuserà e lo si calunnierà dicendo ogni male di lui, solo perché egli rende eloquente nella sua vita il Nome di Cristo (cf. Lc 6,22; Mt 5,11). E questo non accadrà solo nell’ordinarietà dei giorni, ma ci saranno anche dei tempi e dei luoghi in cui i cristiani saranno arrestati e condotti a giudizio davanti alle autorità religiose, gettati in prigione e trascinati davanti ai governanti e ai potenti di questo mondo, quelli che esercitano il potere e opprimono i popoli, ma si fanno chiamare benefattori (cf. Lc 22,25).
Ma il discepolo sa che nulla potrà separarlo dall’amore di Cristo, né la persecuzione, né la prigione, né la morte (cf. Rm 8,35). Anzi, Gesù gli assicura che nell’ora del processo gli saranno date parola e sapienza per resistere ai persecutori, che non potranno contraddirlo. In ogni avversità, anche da parte di parenti, familiari e amici, il cristiano non deve temere nulla. Deve solo continuare a confidare nel Signore Gesù, accogliendo la sua promessa: “Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”. Ecco la virtù cristiana per eccellenza, l’hypomoné, la perseveranza-pazienza: è la capacità di non disperare, di non lasciarsi abbattere nelle tribolazioni e nelle difficoltà, di rimanere e durare nel tempo, che diviene anche capacità di supportare gli altri, di sopportarli e di sostenerli. La vita cristiana, infatti, non è l’esperienza di un momento o di una stagione della vita, ma abbraccia l’intera esistenza, è “perseveranza fino alla fine” (cf. Mt 10,22; 24,13), continuando a vivere nell’amore “fino alla fine”, sull’esempio di Gesù (Gv 13,1). Ecco perché questa pagina evangelica non parla della fine del mondo, ma del nostro qui e ora: la nostra vita quotidiana è il tempo della difficile eppure beata (cf. Gc 5,11) e salvifica perseveranza.
www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/10977-il-tempo-della-fine
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DIACONIA
Diaconesse?
Si chiamano collaboratrici apostoliche diocesane e sono la forza silenziosa delle parrocchie. Dopo l’apertura del Papa al clero femminile, ho avuto modo di incontrare una donna appartenente a questa vasta schiera silenziosa e quasi assente sui media, che lascia intravvedere uno spiraglio di rinnovamento: la parità di genere nella comunità cattolica.
“Noi donne la mano sull’altare per presiedere i sacramenti non la possiamo mettere”. All’estero le diaconesse sono una realtà consolidata, qui sono semplicemente donne consacrate che operano al servizio della chiesa locale in modo discreto. Parla sempre al plurale Sonia Bigi, 29 anni, trevigiana, che si sta avvicinando alla formazione per diventare una collaboratrice pastorale. Come lei, altre ragazze hanno deciso di intraprendere questa strada, pur consapevoli che al momento non è previsto nessun tipo di equiparazione ai sacerdoti. Tuttavia la loro presenza è un dato di fatto e conferma quanto la componente femminile nelle fila della Chiesa cattolica, seppur con parecchi limiti, sia già realtà. Non si parla di suore, né tantomeno di perpetue o di chierichette.
Anche a Treviso esistono le collaboratrici apostoliche diocesane. Una comunità laboriosa, suddivisa in piccole fraternità inserite nell’organigramma diocesano con numerosi compiti. Vantano una formazione teologica e vengono impiegate nell’insegnamento del catechismo, nella pastorale, nell’annuncio della Parola. Eclettiche e preparate queste figure poco conosciute sono forse quelle che più si avvicinano al profilo della diaconessa ipotizzato dal Pontefice. A Treviso le collaboratrici apostoliche si dicono “sconvolte in senso buono dalle parole di Papa Francesco, che he recentemente annunciato di voler istituire una commissione di studio sul diaconato femminile. Aprire quindi le porte della Chiesa cattolica alle donne? Una questione che si intreccia con i principi del diritto canonico, ma che lascia intravvedere uno spiraglio di rinnovamento: la parità di genere in ambito ecclesiastico. “Un’apertura al diaconato femminile potrebbe vorrebbe poter celebrare i sacramenti, cosa che oggi non è consentita a una donna” aggiunge Sonia.
Il papa si è lasciato sfuggire qualcosa di più: “Questo crescente ruolo delle donne nella Chiesa non è femminismo. Ma diritto di tutti i battezzati. Maschi e femmine “. Parole che hanno fatto il giro del mondo. Per diventare collaboratrici diocesane è previsto un triennio chiamato di dedizione temporanea passato il quale si arriva a esprimere la propria dedizione definitiva al vescovo. Un sì consapevole a Cristo facendo voto di castità, obbedienza e povertà, ma senza essere chiuse in un convento. Anzi questi laboriosi pastori del gentil sesso svolgono una vita assolutamente normale. Hanno un lavoro e contemporaneamente s’immergono nella fede. A Padova è nata una piccola comunità formativa, un centro di spiritualità in cui l’identità di ogni donna che desidera diventare collaboratrice apostolica diocesana viene rispettata e valorizzata in linea con il Vangelo. E se l’esito fosse positivo, la rivoluzione sarebbe epocale e la Chiesa Cattolica finirebbe per avvicinarsi a quella anglicana, dove operano già preti e vescovi di sesso femminile. “L’apertura del Papa è una gran bella cosa – sottolinea don Gobbi della periferia di Padova – queste signore offrono una collaborazione preziosa e potrebbero essere ottime guide di una comunità di fedeli con ruoli di responsabilità. La loro preparazione le rende possibili candidate anche a presiedere i sacramenti. Sarebbe un ulteriore riconoscimento all’attività che già svolgono egregiamente”.
Catia Iori, ricercatrice universitaria noi donne 08 novembre 2016
www.noidonne.org/blog.php?ID=07636
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DIVORZIO
Nessun contrasto di giudicati tra divorzio “straniero” e separazione consensuale italiana.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, Sentenza n. 21741, 27 ottobre 2016
Nessun contrasto tra giudicati tra pronuncia di divorzio resa all’estero e decreto di omologazione della separazione consensuale in Italia. Via libera, quindi, al riconoscimento in Italia, in linea con l’articolo 64 della legge n. 218/1995, della sentenza di divorzio pronunciata a Cuba anche se gli ex coniugi hanno concluso una separazione consensuale. E’ la Corte di Cassazione a stabilirlo.
All’origine della vicenda, la decisione di una coppia di divorziare. Il Tribunale di Palma Soriano (Cuba) aveva pronunciato il divorzio, ma la donna si era opposta alla richiesta di riconoscimento della pronuncia, avanzata dall’ex marito in Italia, sostenendo che l’uomo si era impegnato con separazione consensuale omologata dal giudice italiano a rinunciare a far valere la sentenza dei tribunali cubani. La Corte di appello di Perugia aveva proceduto al riconoscimento parziale e, quindi, l’ex marito si è poi rivolto alla Cassazione contestando la delimitazione del riconoscimento ai soli profili attinenti allo scioglimento del vincolo, senza che si tenesse conto delle questioni di affidamento dei minori e di assegnazione dei beni. Ad avviso del ricorrente, si era così profilata una violazione dell’articolo 64 della legge n. 218/1995. La Cassazione ha dato ragione all’uomo. E’ evidente – osserva la Suprema Corte – che i due provvedimenti (sul divorzio e sulla separazione) non sono assimilabili e che sussiste una differenza circa la causa petendi, il petitum e gli effetti delle pronunce che non sono così comparabili. Impossibile, quindi, valutare un eventuale contrasto tra giudicati, con la conseguenza che il riconoscimento della sentenza straniera di divorzio deve essere completo.
Marina Castellaneta 8 novembre 2016
www.marinacastellaneta.it/blog/nessun-contrasto-di-giudicati-tra-divorzio-straniero-e-separazione-consensuale-italiana.html
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
Osservatorio sulla famiglia: un buon inizio. Ora concretizziamo le cose dette
«Finalmente la famiglia viene riconosciuta come una risorsa del Paese e non come un problema» è il commento di Gigi De Palo, presidente del Forum delle famiglie alla conclusione dell’assemblea di insediamento dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia.
«Non possiamo che esprimere la nostra soddisfazione per le cose che abbiamo ascoltato oggi. E non solo per l’ufficializzazione della data per la Conferenza della famiglia che da tempo attendeva di essere convocata, ma anche per la riforma dell’Irpef sul modello del FattoreFamiglia che il ministro Costa ha tenuto a ribadire più volte ed anche per l’impegno del ministro di arrivare ad un testo unico per la famiglia per superare la contraddittorietà e le troppa “sperimentalità” delle norme che riguardano la famiglia.
«Affinché le parole di oggi diventino testi di legge e riforme strutturali» conclude De Palo «faremo di tutto per “incastrare” il governo».
Comunicato stampa 08 novembre 2016
www.forumfamiglie.org/comunicati.php?filtro=ultimi_30_giorni&comunicato=833
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GESTAZIONE PER ALTRI
Utero in affitto. Surrogati o legali: chi sono i veri genitori?
In Inghilterra una madre in affitto rompe con la coppia che ha prenotato due gemelli. Non firma l’atto legale ma i bimbi restano ai committenti. Una situazione surreale. Surrogati o legali: chi sono i veri genitori?
Chi sono i genitori di un bambino? È sempre più difficile rispondere nel Nuovo Mondo delle infinite varianti della fecondazione in vitro. L’ultimo fattaccio è successo in Gran Bretagna, dove una madre surrogata nel 2015 ha partorito due gemelli, dati subito in custodia alla coppia che li ha commissionati, e che in questo caso ha fornito anche i gameti. Una delle situazioni più “semplici”: i futuri genitori legali sono entrambe legati geneticamente ai bambini, e la madre surrogata non ha ricevuto compenso esplicito, come previsto dalla legge britannica, che vieta la “surroga commerciale”. Non è dato sapere l’entità dei “rimborsi” ricevuti dalla donna che ha partorito conto terzi. Tutto liscio, allora? Neanche un po’. Per la legge inglese la mamma è chi partorisce. La norma prevede che entro sei mesi dalla nascita venga emesso un parental roder, un atto cioè in cui la madre cede il bambino a chi glielo ha commissionato secondo gli accordi stipulati in precedenza. Si tratta di un percorso diverso da quello adottivo, “cucito” su misura per l’utero in affitto, dopo di che i committenti diventano a tutti gli effetti genitori legali del nato. Nel caso in questione la madre surrogata non ha voluto concedere il parental order, e suo marito (padre legale dei gemelli) è d’accordo. Ma non c’è stato un ripensamento: i due non vogliono i bambini, che nel frattempo vivono con l’altra coppia. Il no è per la convinzione di aver subìto una grande ingiustizia.
Le due coppie hanno rotto i rapporti durante la gravidanza: al terzo mese i medici avevano espresso forti preoccupazioni per la salute della gestante, che aveva già compiuto 51 anni, e non era alla sua prima esperienza di surroga. Ma i committenti non erano stati sufficientemente empatici: pare non si siano interessati granché ai problemi di salute cui stava andando incontro la donna che si era prestata alla gravidanza, e il loro atteggiamento aveva offeso la donna incinta e suo marito, che hanno limitato al minimo i contatti con l’altra coppia, fino a non volerne più sentir parlare. La gravidanza poi è stata portata a termine e i committenti hanno cercato di riallacciare i rapporti, inviando più volte foto dei gemelli alla madre surrogata, che però ha fatto sapere di non volerne più ricevere e che, al dunque, si è rifiutata di avviare le pratiche per concedere il parental order «per senso di ingiustizia, e non per il miglior interesse dei bambini», ha spiegato la giudice Justice Theis, della Family Court di Canterbury. La conseguenza è un inedito limbo giuridico in cui si trovano i due gemelli: per la legge inglese continueranno a vivere con la coppia committente, i “genitori biologici e psicologici”, che ne avranno la responsabilità fino ai 18 anni, mentre la madre surrogata e suo marito ne sono i genitori legali anche se non vogliono occuparsene, e lo resteranno per sempre, in assenza di parental order (che comunque teoricamente dovrebbe essere concesso entro sei mesi dalla nascita). La mamma surrogata e suo marito non si opporrebbero invece a cedere i gemellini in adozione, ma questa strada non è percorribile legalmente proprio perché le norme sono costruite per due percorsi diversi – adozione e utero in affitto – che non si incrociano.
L’atto di adozione prevede di trattare i bambini adottati come se fossero figli biologici dei genitori che ne chiedono l’adozione, ma in questo caso i gemelli sono effettivamente figli biologici (nel senso genetico) degli aspiranti adottivi, e la legge, come si può intuire, non prevede che siano i genitori biologici ad adottare il proprio figlio. D’altra parte il parental order rimuove il legame creatosi nella gestazione fra madre e figlio, cosa che non accade con l’atto adottivo. I giudici sperano in un ripensamento della madre surrogata, in mancanza del quale si può solo modificare la legge. La verità è che una volta cambiato il paradigma, e stabilito che si è madri (e padri) perché se ne è manifestata l’intenzione stipulando un apposito contratto, e non per aver concepito e partorito un figlio, bisogna essere pronti ad accettarne le conseguenze, tutte quante: la questione da risolvere adesso è quella dell’identità dei nati nel Mondo Nuovo. Di chi sono figli?
Assuntina Morresi Avvenire 10 novembre 2016
www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/surrogati-o-legali-chi-sono-i-veri-genitori
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GOVERNO
Neanche un euro per l’adozione internazionale.
Legge di bilancio 2017: neanche un euro per l’adozione internazionale. Famiglie adottive lasciate sempre più sole: un altro passo verso la rottamazione dell’accoglienza. La grande assente della manovra finanziaria predisposta dal nostro governo è, ancora una volta, l’adozione internazionale. Nella legge di bilancio per il 2017, infatti, non c’è neanche una riga che preveda la pur minima misura a sostegno delle famiglie adottive.
Dopo il via libera ottenuto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il testo del provvedimento passa ora all’esame del Parlamento. La discussione comincerà alla Camera e proseguirà al Senato. L’obiettivo dell’Esecutivo è di ottenere entro il 4 dicembre, data del referendum costituzionale, l’approvazione almeno da parte dell’Aula di Montecitorio. Ma, a scanso di colpi di scena, purtroppo i danni sono ormai stati fatti. Nessuna forma di sostegno specificamente pensata per chi vuole adottare un minore straniero e neppure per rilanciare le attività della Commissione Adozioni Internazionali, del tutto ferma e inefficiente ormai da quasi 3 anni. Ulteriore prova del disinteresse del premier Matteo Renzi per una realtà che fino a pochi anni fa era “il fiore all’occhiello” dell’Italia e che ora, evidentemente, non è considerata degna neppure di un minimo di attenzione nella manovra finanziaria.
Gli unici accenni all’adozione contenuti nel testo della legge si ritrovano agli articoli 47 e 48. Ma non si tratta né di novità assolute né tantomeno di provvedimenti specifici a favore dell’accoglienza adottiva. Il primo sancisce la nascita del Fondo di sostegno alla natalità che intende favorire l’accesso al credito per le famiglie con figli, nati o adottati, mediante il rilascio di garanzie dirette alle banche: 14 milioni per il 2017, destinati a salire a 24 nel 2018 e poi a scendere gradualmente fino ai 6 milioni previsti dal 2021 in avanti. L’articolo 48 è invece relativo al “premio alla nascita”: un contributo una tantum di 800 euro corrisposto dall’Inps previa presentazione della relativa domanda da parte della madre durante la gravidanza o, per le famiglie adottive, all’atto dell’adozione. Per le misure a sostegno della natalità, resta quindi la parificazione tra nuovi nati e adottati. Ma si tratta di una “conquista” acquisita ormai da anni, tutt’altro che una novità.
Nessuna modifica o aggiunta invece al Fondo per le adozioni internazionali, creato con la legge di stabilità per il 2016 con una dotazione di 15 milioni a decorrere dallo stesso anno 2016.
Nella sfera del sociale, del resto, l’adozione sembra essere l’unica realtà totalmente dimenticata. La legge di bilancio prevede infatti, tra le altre cose, diverse forme di sostegno per gli asili nido, l’assistenza ai non autosufficienti, gli studenti universitari, le scuole paritarie, l’immigrazione, il lavoro giovanile. Tutti provvedimenti necessari, certo, ma perché escludere l’adozione internazionale? Forse per compiere un ulteriore passo verso la sua definitiva rottamazione?
È durata davvero poco dunque la speranza suscitata, tra maggio e giugno scorsi, di una rinascita dell’adozione internazionale in Italia. La nomina del ministro Boschi al vertice della Cai era stata salutata come un positivo “segnale di svolta” dopo anni di paralisi del sistema, ma a distanza di pochi mesi possiamo affermare che nulla in realtà sia migliorato. E l’assenza di stanziamenti specifici nella finanziaria 2017 non è che un ulteriore pietra tombale per un settore in totale agonia.
Fonte: Vita 09 novembre 2016
www.aibi.it/ita/legge-di-bilancio-2017-neanche-un-euro-in-piu-per-ladozione-internazionale
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ONLUS – NON PROFIT
Voucher: le onlus devono fare solo la comunicazione all’Inps
La Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato la Nota n. 20137 del 2 novembre 2016, con la quale fornisce alcune risposte a quesiti inerenti il nuovo obbligo di comunicazione delle prestazioni lavoro accessorio.
In particolare, le onlus non devono fare la comunicazione sulla prestazione lavorativa all’Ispettorato nazionale del lavoro. Devono soltanto fare la comunicazione all’Inps su luogo e data della prestazione lavorativa. www.nonprofitonline.it/default.asp?id=466&id_n=7046
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OSSERVATORIO SULLA FAMIGLIA
Riparte l’Osservatorio della Famiglia, fisco al primo posto.
Si è insediato ieri l’Osservatorio nazionale per la famiglia. Avrà, in stretta correlazione con il Ministero preposto, un ruolo spiccatamente propositivo. Ben 36 i membri, una sorta di parlamentino, che si occuperà di tutti gli aspetti inerenti – spiega il ministro degli Affari regionali con delega alla Famiglia Enrico Costa – dalla violenza nell’ambito familiare, alla crisi demografica, della conciliazione fra tempi del lavoro e vita familiare, all’assistenza agli anziani e non autosufficienti, al tribunale della famiglia. Ma soprattutto si occuperà dei temi fiscali». Una priorità che trova riscontro anche nella composizione del nuovo organismo. «Vogliamo dare concretezza», dice Simonetta Matone, il magistrato minorile che presiede il Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio, ricordando che accanto alle figure istituzionali coinvolte vi sono competenze tecniche al suo interno («tributaristi, esperti di scienza della finanza, economisti») che saranno di supporto proprio per mettere in campo delle precise proposte.
«Non approverà documenti, ma proposte di legge che poi verranno elaborate», promette Costa. Bollono già molte cose in pentola. Un testo unico per fare chiarezza sulle proposte in campo, per lasciarsi alle spalle proposte sperimentali: «Sulla family card ci si è accorti evidentemente che non c’era il carburante», ammette Costa, pur ricordando che non si tratta di un provvedimento messo in campo dal suo dicastero. Una Conferenza nazionale della famiglia il 15 maggio, in occasione della Giornata internazionale ad essa dedicata.
Ma in cima agli obiettivi c’è il fisco: «Nell’ambito della riforma dell’Irpef prevista per il 2018 verranno individuate delle modalità per far sì che la famiglia non sia un soggetto neutro di fronte al fisco», annuncia il ministro. Sarà quello, nelle intenzioni annunciate ieri, il punto di approdo definitivo per il decollo – finalmente – del fattore famiglia. Positivo il commento delle associazioni. «Finalmente la famiglia viene riconosciuta come una risorsa del Paese e non come un problema», commenta Gigi De Palo, presidente del Forum delle famiglie e componente dell’Osservatorio – a conclusione dell’assemblea di insediamento.
«Non possiamo che esprimere la nostra soddisfazione per le cose che abbiamo ascoltato. E non solo per l’ufficializzazione della data per la Conferenza della famiglia che da tempo attendeva di essere convocata, ma anche per la riforma dell’Irpef sul modello del Fattore Famiglia che il ministro Costa ha tenuto a ribadire più volte. E anche per l’impegno del ministro di arrivare ad un testo unico per la famiglia per superare la contraddittorietà e le troppa ‘sperimentalità’ delle norme che riguardano la famiglia». Tutto giusto, tutto auspicabile. Ora sono attesi i fatti, dopo molte delusioni antiche e recenti, «affinché le parole di oggi diventino testi di legge e riforme strutturali», conclude De Palo, «faremo di tutto per ‘incastrare’ il governo».
Angelo Picariello Avvenire 9 novembre 2016
www.avvenire.it/attualita/pagine/riparte-losservatorio-della-famiglia-fisco-al-primo-posto
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PARLAMENTO
Senato. 1°Commissione Affari Costituzionali Protezione dei minori stranieri non accompagnati
9 novembre 2016 con la relazione del sen. Mazzoni ha incardinato il Ddl n. 2583, già approvato dalla Camera dei Deputati C1658 il 26 ottobre 2016, in materia Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati.
www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=993856
Camera dei Deputati. 2° Commissione Giustizia DL Disposizione su unioni civili
8 novembre 2016. In sede di Atti del Governo ha concluso, esprimendo parere favorevole con condizioni, l’esame degli Schemi di decreto legislativo recanti disposizioni, rispettivamente, per l’adeguamento delle norme dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni alle previsioni della legge sulla regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, nonché modifiche ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la medesima legge sulla regolamentazione delle unioni civili delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti (Atto n. 344 – Rel. Campana, PD); di modifica e riordino delle norme di diritto internazionale privato in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso (Atto n. 345 – Rel. Giuseppe Guerini, PD);
pag.41www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2016&mese=11&giorno=08&view=filtered&commissione=02&pagina=#data.20161108.com02.bollettino.sede00020.tit00010
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PASTORALE FAMILIARE
Fidanzati. 10 domande da porvi prima di sposarvi!
Ci sono conversazioni che non possono essere rimandate al futuro. Quando papa Francesco ha affermato che gran parte dei matrimoni sacramentali è nulla, non pochi cattolici hanno ammesso di pensarci già da tempo. Lavorando nel campo della consulenza familiare, intervistando coppie in crisi e valutando come e perché si sono sposate, constato spesso che molte volte marito e moglie considerano il sacramento una semplice benedizione, più un costume sociale che una realtà soprannaturale. Di fronte all’enorme quantità di matrimoni in crisi, è il caso di chiedersi se tutte quelle coppie sono davvero “sposate come Dio comanda”. La risposta alla crisi può risiedere proprio in questo, nella mancanza di una comprensione reale degli effetti del sacramento per i coniugi e i figli.
Oltre a non sapere cosa sia il matrimonio, un altro problema generalizzato alla base delle crisi matrimoniali è la mancanza di conoscenza reciproca tra i coniugi. Si sposano perché sono innamorati, e quando la passione svanisce vogliono “disposarsi”. Non sanno semplicemente che fare di quel rapporto diventato “strano”. Per tutto questo, insieme a un denso rafforzamento della catechesi prematrimoniale e successiva al matrimonio, gli sposi hanno bisogno di dialogare per prevenire e minimizzare il rischio delle crisi. In questo senso, ci sono domande da porre chiaramente prima del matrimonio, che altrimenti potrebbe essere addirittura nullo! Eccone 10:
Comprendiamo davvero il dono e il mistero del sacramento del matrimonio? Il matrimonio è un sacramento, ovvero un segno sensibile ed efficace della grazia. E qual è la grazia propria del sacramento? Il perfezionamento dei coniugi! Ciò non vuol dire che l’obiettivo di un coniuge sia perfezionare l’altro, ma che ogni coniuge conta sull’aiuto di una grazia speciale di Dio, che è la grazia propria del sacramento del matrimonio, per perfezionare se stesso in relazione al coniuge. Tutti vogliono sposarsi con il partner perfetto, ma pochissimi sono disposti a trasformarsi nel partner perfetto per il proprio coniuge. È proprio in questo che aiuta la grazia sacramentale!
Siamo davvero impegnati? Il fidanzamento è il periodo privilegiato di preparazione al matrimonio, e questa preparazione è per essere fedeli, amare e rispettare nella salute e nella malattia, nella prosperità e nell’avversità, per sempre (o almeno “per tutti i giorni della mia vita”). Questa ferma volontà di assumere l’impegno per sempre dev’essere un tema di conversazione obbligatoria prima di prendere la decisione di sposarsi. Poi, quanto arriveranno le difficoltà (e arriveranno), ci sarà forza per affrontarle grazie alle basi su cui è stata presa quella prima decisione: “Le supereremo, perché siamo determinati a perseverare nel nostro matrimonio per sempre”.
Com’è la nostra amicizia? Sembra incredibile, ma poca gente vede il proprio futuro coniuge come il suo “migliore amico”. Ci sono molte idee superficiali e infondate sul presunto “rischio” che l’amicizia “spenga la passione”. È evidente che l’amicizia coniugale sia un tipo di amicizia particolare, ma ha molte caratteristiche in comune con l’amicizia intesa in senso “comune”: anch’essa ha bisogno di essere arricchita tutti i giorni, coltivata mediante il dialogo, l’attenzione, la gentilezza, la fiducia. E dopo il matrimonio bisogna coltivare questa amicizia ancor più intensamente!
Quanti figli avremo? Tema fondamentale! E ancor di più: come li educheremo? Come li formeremo nella vita cristiana? E se non riuscissimo ad avere figli? Li adotteremo? Quanti? Queste domande portano a un’altra ugualmente essenziale: la visione della sessualità matrimoniale.
Comprendiamo la sessualità all’interno del matrimonio? Può essere una questione difficile da affrontare per alcuni fidanzati prima del matrimonio, ma è fondamentale! Bisogna studiare, comprendere e saper spiegare gli insegnamenti della Chiesa relativamente alla trasmissione della vita. La serie di catechesi di San Giovanni Paolo II che compone la cosiddetta “Teologia del Corpo” è straordinaria. Se non è possibile conoscerla a fondo, è necessario almeno leggere cosa dice il Catechismo della Chiesa Cattolica sulla sessualità. Il suo rapporto diretto con la virtù della castità è un altro elemento essenziale da comprendere, perché è molto comune cadere nell’errore di interpretare la castità come assenza di una sessualità attiva, mentre in realtà la castità è il modo cristiano di orientare e vivere la dimensione sessuale umana, e non la negazione del sesso. Questa comprensione è imprescindibile perché non solo si sappia aspettare fino al matrimonio per esercitare cristianamente la sessualità coniugale, ma anche perché si capisca come e perché aspettare.
Come proteggeremo il nostro matrimonio dall’infedeltà, dalla pornografia e dalle altre tentazioni collegate al vivere la sessualità? La castità coniugale può e dev’essere scoperta e coltivata prima del matrimonio, e parlare di queste minacce contro di lei aiuterà a prevenire e perfino a “blindare” il matrimonio. Viviamo in un’epoca ipersessualizzata, che banalizza i rapporti affettivi e attacca il matrimonio con una valanga di pornografia dalla quale è praticamente impossibile allontanarsi completamente. Il ricorso frequente ai sacramenti e la conversazione aperta e trasparente come coppia aiutano ad affrontare gli attacchi con meno rischi.
Come rapportarsi alle proprie famiglie? Nella Genesi, nei Vangeli e nella Lettera di San Paolo agli Efesini, la Bibbia ripete questa idea almeno tre volte: “Per questo, l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie”. Mantenendo sempre il dovuto rispetto e l’affetto per i genitori e i familiari, una distanza salutare ed equilibrata è necessaria per cementare la pace coniugale. Non si tratta, ovviamente, di abbandonare i genitori, ma di difendere l’intimità della coppia da eventuali intromissioni.
E le finanze? È un altro tema delicato, ma che proprio per questo va affrontato prima del matrimonio per evitare conflitti. Se i fidanzati vogliono vivere un progetto in comune, devono stabilire insieme a cosa vogliono dare priorità con le loro risorse materiali. Le risorse che verranno dedicate alla famiglia sono della famiglia, non di ogni coniuge: ciascuno, quindi, dovrà rinunciare a certe abitudini della vita da single.
Come reagiremo quando avremo delle discussioni? È importante conoscere il temperamento e il grado di autocontrollo sia proprio che del futuro coniuge. Bisogna sapere quali sono gli “indici” di rancore, violenza, capacità di perdono. I disaccordi sorgeranno quasi inevitabilmente nella vita da sposati, e per superarli i due coniugi devono saper cedere, ascoltando e comprendendo l’altro – e comprendendo anche le circostanze che possono portare ai disaccordi.
Come vivremo la nostra vita di preghiera? “La famiglia che prega unita rimane unita”. Il dialogo tra i coniugi sarà tanto più solido quanto più è solido il loro dialogo con Dio, sia personale che di coppia. Ed è molto importante abituarsi fin dal fidanzamento a conversare insieme con Dio. Più staremo vicini a Dio, più i coniugi saranno vicini l’uno all’altro. Promuovendo la vita di preghiera, la partecipazione alla Santa Messa e una vita piena di integrazione nella Chiesa, la casa della nuova famiglia si trasforma in “Chiesa domestica” in cui i figli consolidano una fede sicura e forte – e anche i loro genitori!
Traduzione dal portoghese di Roberta Sciamplicotti Aleteia 7 novembre 2016
http://it.aleteia.org/2016/11/07/10-domande-porre-fidanzati-prima-matrimonio
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PIANO PER L’INFANZIA
Tavolo permanente CAI, Regioni, Enti Autorizzati e Associazioni Familiari.
Attivazione di un tavolo permanente sull’adozione, accompagnamento delle coppie adottive, promozione del diritto allo studio per i minori adottati, regolamentazione dei costi dell’adozione internazionale, distinzione tra case famiglia e comunità educative, affido dei minori fino ai 6 anni, accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.
Sono questi alcuni dei punti cardine per quanto riguarda la tutela e le misure di accoglienza dei minori previsti dal IV Piano Nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva. Il documento, meglio noto come “piano infanzia”, è stato reso noto sul sito del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e attende ora di essere pubblicato anche sulla Gazzetta Ufficiale. Approvato dall’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza il 28 luglio 2015, il Piano ha ottenuto il via libera del Consiglio dei Ministri il 10 agosto 2016 ed è stato adottato il successivo 31 agosto 2016.
Per quanto riguarda il tema adozioni, il Piano prevede l’attivazione di un tavolo permanente sull’adozione nazionale e internazionale. Esigenza certamente avvertita alla luce dell’esperienza negativa di questi ultimi 3 anni di assoluta mancanza di confronto tra i vari attori del sistema. Al tavolo permanente previsto dal Piano saranno quindi chiamati a partecipare la Commissione Adozioni Internazionali, i ministeri rappresentati nella stessa Cai, i Tribunali per i Minorenni, gli Enti Autorizzati, le organizzazioni del Terzo Settore, le associazioni famigliari, la Conferenza Stato Regioni e gli ordini professionali interessati. Scopo del tavolo è quello di promuovere un confronto “sullo stato di attuazione, sulla valutazione e su eventuali necessità di aggiornamento della L. 184/83 e s. m. i.”
Accompagnamento alle coppie adottive prima, durante e dopo l’adozione, valorizzando l’associazionismo famigliare. Sempre a proposito di adozioni, un altro punto fondamentale contenuto nel Piano è quello relativo a una vera e propria svolta culturale in materia di formazione delle aspiranti coppie adottive. L’attenzione non è più posta esclusivamente sulla face precedente all’adozione, ma anche su quella successiva. Si viene a configurare dunque una nuova modalità di accompagnamento delle coppie adottive, prima, durante e dopo l’adozione, valorizzando l’associazionismo famigliare.
Il documento, infatti, prevede in primo luogo “il rafforzamento dell’accessibilità alla formazione (e del sostegno da parte dei servizi socio-assistenziali e sanitari previsti dalla normativa vigente) per le coppie/famiglie adottive prima durante e dopo l’adozione, con particolare attenzione all’adozione di minorenni con disabilità o ultradodicenni, e all’accompagnamento durante la fase adolescenziale, prevedendone l’inclusione come uno dei livelli essenziali delle prestazioni sociali (o sociosanitarie integrate)”.
Ma non solo. Il Piano introduce anche la “promozione delle esperienze di auto-mutuo-aiuto tra famiglie adottive che favoriscano la creazione di una rete di confronto tra pari, valorizzando l’associazionismo di tipo familiare come generatore di innovazione e buone prassi di reciprocità tra pari”.
Accompagnamento alle coppie adottive prima, durante e dopo l’adozione, valorizzando l’associazionismo famigliare, Per un efficace accompagnamento delle coppie adottive, il Piano auspica l’istituzione di un sistema integrato tra soggetti pubblici e privati che operi “attraverso l’adozione dei Poc (protocolli operativi regionali, predisposti con la partecipazione di rappresentanti dell’Autorità giudiziaria minorile, servizi socio-sanitari, Enti Autorizzati, scuola e associazioni familiari), ponendo attenzione al sostegno a partire dalla fase dell’affidamento preadottivo ì, durante l’affidamento ‘a rischio giuridico di adozione’ o ‘collocamento provvisorio’, fino alla fase post-adottiva, con particolare attenzione alla fase adolescenziale”.
Favorire il diritto allo studio degli alunni adottati. Uno dei momenti più complessi del post-adozione è tradizionalmente l’inserimento scolastico dei minori accolti. Il Piano interviene anche per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati. Lo fa attraverso due provvedimenti specifici. Il primo consiste nel “sostegno all’applicazione delle linee guida Miur (ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca)” e la “valorizzazione dei Protocolli di intesa adottati a livello locale tra servizi pubblici, scuola e terzo settore per l’iscrizione, l’inserimento e l’inclusione dei bambini adottati”. Inoltre, il Piano prevede la “promozione di luoghi di confronto a livello nazionale regionale e locale a cadenza regolare per favorire il dialogo tra amministratori e soggetti addetti ai lavori e la partecipazione della rappresentanza del terzo settore nei tavoli di coordinamento”.
Regolamentazione dei costi dell’adozione internazionale. Altra questione spinosa nel panorama adozioni internazionali è quella relativa ai costi. Al fine di una vera regolamentazione delle spese, il Piano auspica, da parte degli Enti Autorizzati, “l’aggiornamento delle tabelle costi dell’adozione internazionale, garantendo maggiore trasparenza sulla modalità di pagamento dei servizi in Italia e all’estero”.
Case famiglia e comunità educativa non sono la stessa cosa. Passiamo all’affido. Di primaria importanza è il riconoscimento del fatto che case famiglia e comunità educative non sono la stessa cosa. Per la prima volta, infatti, viene evidenziata la fondamentale differenza tra le diverse strutture di collocamento dei minori temporaneamente allontanati dalle proprie famiglie biologiche. Alla base di tale distinzione c’è la presenza o meno di una famiglia. Non a caso il Piano distingue tra case famiglia o comunità familiari (in cui è presente stabilmente una coppia di coniugi con i loro eventuali figli), comunità educativa o socio-educativa (con la presenza di operatori professionali) e comunità socio-sanitarie (con funzioni socio-educative e terapeutiche assicurate da operatori professionali). Un passo sicuramente importante sulla strada che porta alla soluzione dell’attuale confusione tra le diverse tipologie di strutture di accoglienza. La tappa successiva dovrà ora essere il riconoscimento giuridico delle case famiglie: un provvedimento che porterà finalmente a eliminare l’ambiguità contenuta nella legge 184/1983 che definisce genericamente “comunità di tipo familiare” strutture molto diverse tra loro.
Affido dei bambini da 0 a 6 anni. Particolarmente delicato è il tema dell’affido dei bambini più piccoli, quelli di età compresa tra 0 e 6 anni. A tal proposito, il Piano prevede “L’individuazione e la diffusione di prassi comuni per l’accoglienza di minorenni in comunità, avendo cura di garantire, prioritariamente a partire dai bambini 0/6 anni, l’attivazione di progetti di affido familiare e, ove questo non sia possibile, di accoglienza in comunità familiare, garantendo, ove necessario, la segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni per l’accertamento dell’eventuale stato di adottabilità, ai sensi dell’articolo 9 della legge 184/83”. In sostanza, i bambini fino ai 6 anni non dovranno più essere collocati in comunità educativa, ma esclusivamente in affido o in comunità familiare.
In ogni regione un tavolo sui minori fuori famiglia. Restando al problema dei minori fuori famiglia – circa 30mila attualmente in Italia –, il Piano punta all’istituzione di un tavolo permanente tematico in ogni regione “con funzioni di raccordo delle politiche, di coordinamento degli interventi e di monitoraggio e verifica degli esiti”.
Monitoraggio continuo degli affidi. Sempre in fatto di affido, altro obiettivo del Piano è quello di riordinare e qualificare il sistema di accoglienza dei minori fuori famiglia, attraverso la creazione di uno stabile sistema di monitoraggio dei minorenni collocati in comunità di accoglienza. Oltre a questo, il Piano intende anche “valorizzare i principi di qualità e appropriatezza degli interventi per i minorenni allontanati dalla propria famiglia”.
Tavolo per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. Infine, il Piano non dimentica i minori stranieri non accompagnati che sbarcano sulle nostre coste: oltre 20mila quelli approdati nel nostro Paese nel solo 2016. Allo scopo di garantire loro una degna accoglienza, il documento pone l’obiettivo di istituire “un tavolo interministeriale/inter-istituzionale per il raccordo tra le azioni proposte dal Ministero dell’Interno alle Regioni ed agli EELL (Enti Locali, ndr), in collaborazione con il Terzo Settore, con il Volontariato e con l’Associazionismo, finalizzato a coniugare le istanze di protezione con le caratteristiche ed i requisiti delle comunità e a garantire nei confronti di questi ragazzi il principio di non discriminazione”.
http://www.aibi.it/ita/pubblicato-il-iv-piano-nazionale-di-tutela-dellinfanzia/
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SESSUOLOGIA
Fertilità e Sessualità: una fragile alleanza
Centro congressi Museo dell’Automobile Corso Unità d’Italia, 40, Torino 19 novembre 2016
L’evento fa parte del ciclo di incontri “Il Sabato dell’Andrologia”, XXXIII incontro. In Letteratura sono relativamente pochi gli autori che trattano quest’argomento, soprattutto nell’esame delle cause sessuali di infertilità. Nello studio della coppia infertile raramente l’aspetto sessuale viene valutato in maniera approfondita, anche perché sono le coppie stesse che richiedono al medico di occuparsi solo della procreazione, e se ufficialmente sono disponibili ad una valutazione sessuologica, è solo perché è integrata nel percorso necessario per avere un figlio.
Con le tecniche attuali di procreazione, inoltre, l’aspetto sessuale dell’infertilità può essere assolutamente ignorato e spesso l’età avanzata femminile non permette una lunga terapia sessuale che contrasterebbe con l’urgenza della procreazione. L’infertilità stessa può essere causa di disturbi sessuali.
Nel maschio la sessualità e la fertilità sono più strettamente collegate che nella donna. Il meccanismo dell’eiaculazione, infatti, indispensabile per la procreazione, necessita di un orgasmo, mentre la donna può̀ rimanere gravida anche senza provare alcun piacere sessuale. L’obbligo assoluto da parte del maschio di raggiungere un’eccitazione massimale ed un orgasmo a comando sia nella diagnostica (esame seminale) sia nei frequenti rapporti mirati, crea spesso un disturbo del piacere e secondariamente del desiderio. Nei casi più severi si arriva ad un deficit erettile secondario. E’ necessario quindi che chi opera nel campo dell’infertilità abbia anche una competenza sessuologica per riconoscere quei casi in cui è necessaria un’attività di counselling per impedire un peggioramento nel rapporto sessuale.
Programma, informazioni, iscrizioni
www.hdcons.it/evento_dettaglio.php?id=241&ev=1

L’importanza della prevenzione
Italia paese sempre più multietnico, l’8% dei cittadini è di origine straniera. 5 milioni di persone, pari all’8% dell’intera popolazione. Sono questi i numeri degli straniere residenti nel nostro Paese. Una categoria di persone destinata a crescere dal momento che le donne non italiane che partoriscono negli ospedali della Penisola sono il 20%. Di queste madri sette su dieci sono originarie di Stati al di fuori dell’Unione Europea. E il 13% di loro ha difficoltà nello svolgere pratiche burocratiche e amministrative per accedere alle prestazioni sanitarie. Ci sono poi nuove emergenze da affrontare legate alla questione dei profughi. Da inizio anno oltre 15mila donne hanno attraversato il Mediterraneo e sono sbarcate sulle coste della Penisola dopo viaggi pericolosi. Alcune di loro sono in gravidanza e costrette, a volte, a partorire in condizioni estreme.
“E’ fondamentale che a tutte queste donne sia garantita la migliore assistenza sanitaria, soprattutto nel momento del parto ma anche in tutte le altre fasi della vita”. E’ questo l’appello, lanciato la scorsa settimana, dalla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) alle Istituzioni. “In Italia risiedono persone di 200 diverse nazionalità – ha affermato il prof. Giovanni Scambia Direttore del Dipartimento Tutela della Salute della Donna della Cattolica di Roma e Presidente del Congresso di Roma -. Le donne in età fertile sono oltre 1 milione e 700mila. Le difficoltà linguistiche per esempio rischiano di allontanare dai nostri reparti donne che invece avrebbero bisogno di un aiuto. Gli stranieri inoltre provengono nella maggioranza dei casi da Paesi con una diversa concezione della maternità, della sessualità e più in generale del ruolo della donna”.
“Le migranti che risiedono regolarmente in Italia godono in genere di buona salute e prestano attenzione agli stili di vita – ha sottolineato il prof. Enrico Vizza Segretario Nazionale SIGO e Presidente del Congresso di Roma -. L’86% dà un giudizio positivo sul proprio benessere. Tra le extra-comunitarie l’83% non ha mai fumato una sigaretta. Per sei su dieci il peso corporeo rientra nei parametri corretti. Sono quindi persone che corrono meno rischi di insorgenza di gravi malattie. Tuttavia noi siamo gli specialisti che devono affrontare gli aspetti più intimi della salute femminile. Dobbiamo prestare grande attenzione a come ci approcciamo a questa particolare categoria di donne”.
“L’80% delle adolescenti d’origine straniera non è mai andata dal ginecologo. Mentre “solo” il 30% delle loro coetanee italiane ha fatto altrettanto – sottolinea il prof. Paolo Scollo Presidente Nazionale SIGO – Comportamenti sessuali pericolosi e mancato utilizzo di contraccettivi sono due fenomeni molto diffusi che devono essere al più presto contrastati. Infatti nel nostro Paese un’interruzione volontaria di gravidanza su tre è praticata da una straniera. La prevenzione deve cominciare dalle scuole attraverso una maggiore informazione per tutti i ragazzi. Possiamo dare il nostro contributo per esempio formando gli operatori e gli insegnanti che dovranno tenere agli studenti lezioni di educazione alla sessualità e affettività”.
Sigo 8 novembre 2016 www.sceglitu.it/dettagliocontenuto.aspx?c_id=553
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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI
La famiglia crocevia di relazioni e di fecondità
XXIV Congresso Nazionale U.C.I.P.E.M. Oristano, 2-4 Settembre 2016
Nel sito web sono pubblicate alcune relazioni
prof. Giuseppe Anzani La famiglia che cambia in una società che cambia
prof. Beppe Sivelli Cercarsi, perdersi, ritrovarsi: il cammino della coppia fra lontananza e vicinanza
p. Alfredo Feretti OMI Amoris laetitia: una road map per le relazioni familiari
prof. Emilio Tribolato Figli in difficoltà tra legami familiari fragili e pressione sociale e mediatica
dr Alice Calori Le nuove famiglie immigrate tra identità e integrazione
avv. Rosalisa Sartorel Il diritto di famiglia oggi: dalla potestà alla responsabilità genitoriale, dall’affido congiunto nelle separazioni all’accesso all’origine nelle adozioni
www.ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=featured&Itemid=101
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UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE- SEDE DI BRESCIA
Corso per Esperto nelle relazioni educative familiari.
Il Centro Studi Pedagogici sulla Vita Matrimoniale e Familiare (Ce.S.Pe.F.) dell’Università Cattolica di Brescia ha organizzato il Corso di Perfezionamento Esperto nelle relazioni educative familiari, giunto alla IX edizione. Il Corso è rivolto a differenti figure professionali che si interessano di relazioni familiari, sono coinvolti relatori afferenti a diversi settori disciplinari e ad ogni edizione partecipano corsisti provenienti da varie zone d’Italia. La scadenza per l’iscrizione, a differenza di quanto indicato nel pieghevole allegato, è fissata per il 21 novembre 2016.
Il corso di perfezionamento mira alla formazione di esperti negli aspetti pedagogici, educativi e metodologici della consulenza familiare, con particolare attenzione alla comunicazione educativa (coniugale, parentale, filiale, intergenerazionale). Si propone, pertanto, di favorire l’acquisizione di competenze in ordine all’analisi della richiesta, all’osservazione delle problematiche, alla definizione dei bisogni. Inoltre il corso si prefigge lo scopo di formare al lavoro di progettazione-gestione-valutazione di interventi educativi sul territorio.
Il corso di perfezionamento in “Esperto nelle relazioni educative familiari” è finalizzato al raggiungimento dei seguenti obiettivi:
Stimolare i corsisti all’approfondimento dei nodi concettuali della pedagogia della famiglia e delle altre scienze impegnate nello studio delle relazioni familiari. Dinanzi alla crisi del modello psico-socio-sanitario dei servizi alla famiglia, il corso di perfezionamento intende approfondire la dimensione pedagogica. Tutto ciò in una logica di empowerment.
Favorire l’acquisizione di metodologie educative riguardanti l’intervento con la famiglia (osservazione, consulenza, progettazione), nel servizio (lavoro di gruppo, analisi di un servizio educativo) e sul territorio (lavoro di rete, percorsi formativi).
Stimolare il confronto con progetti realizzati da diverse unità di offerta volti a sostenere la famiglia. A tale scopo il corso si avvale della metodologia di e-learning finalizzata a:
integrare e completare i processi di insegnamento e di apprendimento avviati “in presenza” per il tramite di attività riflessive ed esercitative a livello personale e di gruppo di lavoro;
attivare una comunità di pratiche riguardante le relazioni educative familiari a livello nazionale nella quale sviluppare attività di confronto su specifiche esperienze locali.
Informazioni, programma, docenti ed iscrizioni
http://apps.unicatt.it/formazione_permanente/brescia_scheda_corso.asp?id=9994
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Le comunichiamo che i suoi dati personali sono trattati per le finalità connesse alle attività di comunicazione di newsUCIPEM. I trattamenti sono effettuati manualmente e/o attraverso strumenti automatizzati. Il titolare dei trattamenti è Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali Onlus – 20135 Milano-via S. Lattuada, 14. Il responsabile dei trattamenti è il dr Giancarlo Marcone, via Favero 3-10015-Ivrea. newsucipem@gmail.com
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