UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
newsUCIPEM n. 622 – 6 novembre 2016
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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ADOLESCENZA Il diritto all’adolescenza, il diritto dell’adolescenza
ADOZIONE INTERNAZIONALE Un corso di specializzazione per professionisti dell’adozione inter.
ADOZIONI INTERNAZIONALI In Kyrgyzstan entra in vigore la Convenzione de L’Aja.
Haiti. Urge salvare i bambini dal rischio colera nel post-uragano.
AFFIDAMENTO Affidamento dei minori al comune di residenza.
AFFIDO CONDIVISO Genitori separati e affido, la rivincita dei padri compie 10 anni
La madre rifiuta di far vedere la figlia al padre.
CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 21/2016, 26 ottobre 2016.
CHIESA CATTOLICA Clericali e liberisti contro Francesco.
La comunione e la donna Vescovo. Questione ecumenica e cattolica
CONSULTORI FAMILIARI Bergamo. Iniziative dei Consultori Fondazione Angelo Custode.
Torino. Newsletter Punto Familia novembre 2016.
CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Milano 1. Istituto La Casa. 20 anni dalla morte di don Paolo Liggeri.
Parma. Famiglia più. Prossimi appuntamenti e pagina pubblicata.
Senigallia. Corso per la conoscenza del ciclo della fertilità femminile
Trento. Percorsi di Formazione per la Coppia.
Treviso. Le iniziative.
CONVIVENZA Pensione reversibilità: spetta al convivente?
DALLA NAVATA 32° Domenica tempo ordinario-anno C–6 novembre 2016.
Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
EUROPA Uno di noi per la vita e la dignità dell’uomo.
FAMIGLIE La Bibbia, una storia di famiglie.
FESTIVAL DELLA FAMIGLIA Il mondo giovani protagonista della quinta edizione del Festival.
FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI La Puglia si attivi per la prevenzione degli aborti.
GOVERNO Arriva il codice unico europeo per cellule e tessuti umani.
GRAVIDANZA Il feto «previene» la depressione materna.
MINORI Quelli stranieri non accompagnati affidati a famiglia, non stipati.
PARLAMENTO Senato. 2 C. Giustizia Disposizioni sul cognome dei figli.
Accesso del figlio alle informazioni sull’identità dei genitori.
Camera. Assemblea Carta della famiglia
PASTORALE FAMILIARE Come sono aiutati i fidanzati nella preparazione al matrimonio.
VIOLENZA Maltrattamenti in famiglia: quando c’è reato?
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ADOLESCENZA
Il diritto all’adolescenza, il diritto dell’adolescenza
Un’analisi dell’età adolescenziale attraverso fonti giuridiche internazionali e testi letterari. “Possiamo definire la personalità come l’organizzazione della condotta adattiva di un individuo all’interno di un ambiente sociale, o come il risultato finale del processo di individuazione psicologica in una determinata cultura. La personalità può venire analizzata attraverso il comportamento e il suo variare in circostanze differenti, in ruoli e stati comportanti scelte collettive e individuali”: ciò che scriveva la grande psicologa Angiola Massucco Costa è ancor più osservabile e fondamentale nell’adolescenza durante la quale si verificano proprio le crisi di adattamento per divenire, poi, adulti. Crisi di cui si parla ma non sempre congiuntamente tra i vari esperti e non sempre con i diretti interessati, gli adolescenti. Sarebbe opportuno un approccio olistico come per tutto quello che riguarda la persona.
Le parole dello scrittore Simone Perotti sono eloquenti: “Quello che non torna, merita rispetto. Come era già successo per la mia adolescenza”. L’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza, la vita sono uniche e, per questo, belle ed esigono, pertanto, massimo rispetto, concetto molto più profondo di quello che può essere stabilito giuridicamente. “Rispetto”, da “guardare indietro, guardare di nuovo”: ogni relazione esige educazione dello sguardo, educazione allo sguardo.
I bambini hanno diritto al rispetto, ma al tempo stesso devono portare rispetto, come si ricava dall’art. 29 (relativo all’educazione) lettera c della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia: “inculcare al fanciullo il rispetto”. Adultizzare o infantilizzare un bambino è mancanza di rispetto e tutto ciò non fa altro che generare un circolo vizioso che si può e si deve spezzare. Anticipi o prolungamenti sono una mancanza di rispetto. Duccio Demetrio, filosofo dell’educazione, spiega: “Ormai assistiamo ad anticipi e prolungamenti di ogni genere. I ragazzi, quando non addirittura i bambini, si proiettano precocemente nel mondo degli adulti, i quali a loro volta fanno di tutto per non abbandonare i privilegi dell’infanzia e dell’adolescenza. Il risultato è la mancanza, sempre più drammatica, di un contesto che sia educativo in senso globale, nel quale le differenze vengano rispettate e valorizzate. L’immagine più evidente è fornita dall’industria della moda, che ha ormai abolito ogni distinzione fra l’abbigliamento dei ragazzi e quello degli adulti. Così sono venuti meno quei passaggi iniziatici che, in passato, rappresentavano un elemento simbolico forte e condiviso. Nel momento in cui smetteva di indossare i pantaloni corti, per esempio, il bambino sentiva di essere incamminato verso il mondo dei grandi. Allo stato attuale una simile ritualità sociale appare inconcepibile, così come ogni altro indizio di asimmetria fra chi educa e chi viene educato. E questo perché, semplicemente, ci si è voluti persuadere che educare non sia necessario. Il bambino può e deve fare quello che vuole, ogni distanza nei confronti degli adulti è caduta”.
Nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia sono presenti espressioni come “suo benessere” (art. 3), “sue capacità evolutive” (art. 5), “sua età” (art. 12), “suo grado di maturità” (art. 12), “suo sviluppo” (art. 27) per sottolineare che ogni bambino ha diritto alla propria infanzia e alla propria adolescenza quali fasi incancellabili e imprescindibili della propria vita, come in una corsa a staffetta in cui ogni passaggio è unico, irripetibile e, perciò, necessario. Nella Convenzione, inoltre, si ripetono più volte gli aggettivi possessivi riferiti al fanciullo per rimarcare ancora tutto ciò che appartiene al bambino e che fa la sua unicità. Durante l’adolescenza si verificano le crisi anche perché il ragazzo non si riconosce in come o in quello che hanno voluto sino a quello stadio i genitori (o altri) e va alla ricerca della sua specificità. Quel processo descritto da Fulvio Scaparro, psicologo e psicoterapeuta: “Come nel finale di Pinocchio, il ragazzino «di ciccia» si erge trionfante davanti alle spoglie inanimate del burattino di legno. Affinché Pinocchio sia accettato nel mondo dei grandi, gli si chiede di abiurare. Nessuno di noi ha mai fatto questo per scelta, ma solo per piegarsi alle esigenze della «maturità» e diventare come i grandi volevano”.
Michele Visentin, educatore, precisa “[…] ciò di cui i ragazzi hanno bisogno, oggi più che mai: spazi e momenti di appropriazione personale (e solitaria) di ciò che accade dentro la mente, fuori di sé, lontano da sé, attorno a sé. Lavoro oscuro, personale, intimo che deve avvenire in momenti non prescritti dall’esterno; momenti in cui si decide di tirarsi via. I preadolescenti, infatti, si trovano a loro agio in uno spazio simbolico che li isola dal mondo, e che, nel segreto della loro cameretta, li mette allo stesso tempo in contatto con il mondo”. Nell’art. 12 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si legge: “Gli Stati parti devono assicurare al fanciullo capace di formarsi una propria opinione il diritto di esprimerla liberamente e in qualsiasi materia, dando alle opinioni del fanciullo il giusto peso in relazione alla sua età ed al suo grado di maturità. A tal fine, verrà in particolare offerta al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in qualsiasi procedimento giudiziario o amministrativo che lo riguardi, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un’apposita istituzione, in conformità con le regole di procedura della legislazione nazionale”. Bisogna tutelare il diritto all’ascolto delle persone minori di età non solo in alcune sedi o quando questo diritto è violato, ma soprattutto in alcune fasi della vita come quella particolare di transizione della preadolescenza, spesso trascurata e “saltata”.
“[…] la solitudine non è un albero in mezzo alla pianura, dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra le foglie e la radice” (dal pensiero di Fernando Pessoa). Non si deve trascurare il silenzio e la solitudine dei figli, soprattutto adolescenti, davanti a televisore, computer, tablet o altro, perché silenzio e solitudine possono frapporre una distanza sempre maggiore tra genitori e figli e da inquietudine può diventare disagio e devianza dei figli.
Oggi i bambini e gli adolescenti sono a rischio di ogni povertà, a cominciare da quella relazionale, perché, pur circondati da tante persone, sono poche quelle che si fermano per parlare loro e con loro. Come spiega lo psichiatra Eugenio Borgna: “La coscienza della fragilità è propria solo delle persone «etiche». Avere coscienza del valore della fragilità significa non compiere azioni, gesti che possano fare del male agli altri. Se non si ha coscienza della fragilità degli altri, si creano disastri nelle scuole, nelle famiglie… Un conto, lo ribadisco, è riconoscere la nostra fragilità, ma ancora più importante è cogliere quella degli altri, cosa però difficile se non abbiamo in noi almeno qualche scheggia di fragilità”. Nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si parla due volte di “comprensione” e “tolleranza” (Preambolo e art. 29): occorre educare alla comprensione e alla tolleranza di se stessi, soprattutto durante l’adolescenza e, poi, alla comprensione e alla tolleranza degli altri.
Lo psichiatra Borgna aggiunge: “Innanzitutto la fragilità è un elemento costitutivo di ogni adolescenza e di ogni giovinezza; anche se queste vivono in un clima culturale che guarda alla fragilità come a una esperienza di vita inutile che rallenta la realizzazione delle cose. Meno vita interiore e meno consapevolezza della nostra debolezza abbiamo, e più siamo portati ad agire istintivamente, senza grandi riflessioni”. “Sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale”: questo è il percorso di crescita delineato nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia (in particolare è richiamato in questa successione di aggettivi negli articoli 27 e 32). Questo deve essere il percorso dell’adolescente, “colui che cresce”, attraverso le sue fragilità e con le sue fragilità, per divenire “adulto”, colui che è cresciuto, senza rimanere “adultescente”.
Il sociologo Vittorio Filippi sostiene: “[…] curare una delle grandi infelicità della nostra epoca: il non saper amare o essere amati. Educando sin dall’adolescenza all’affettività, enorme motore psichico che richiede equilibrio e conoscenza di sé”. I bambini e ancor di più i ragazzi non hanno bisogno di educazione sessuale (che si riduce a sterili lezioni o nozioni di anatomia), di educazione gender, di educazione sentimentale (di quel che si sente e, poi, non si può sentire più), ma di educazione all’amore, vivendo e condividendo amore: “[…] il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).
Nello spettacolo teatrale “Bones” (sulle difficoltà adolescenziali) si sente dire: “Ho paura dell’indifferenza e dell’ignoranza; ho paura per gli adolescenti che crescono con le orecchie piene di suoni, gli occhi pieni di immagini e che non sentono quasi mai le parole utopia, ideale, sogno”. Gli adolescenti (participio presente) non hanno bisogno delle parole utopia, ideale, sogno, ma di ascolto, attenzione, in una sola parola di amore. Hanno bisogno degli adulti (participio passato), che non siano apparenti o sedicenti.
Già Quintiliano, avvocato e educatore dell’antica Roma, diceva: “Non pretenda il maestro da un fanciullo ciò che solo l’adolescente può dare, né da un adolescente quanto ci si aspetta da un adulto. Gli dica, quando ha bene imparato: «Sei già qualcuno!». E aggiunga: «Il meglio di te è di là da venire!». Così lo incoraggia, lo stimola e gli spalanca le vie della speranza”. I genitori e gli educatori in generale devono saper distinguere le caratteristiche dell’infanzia da quelle dell’adolescenza, saper stimolare la giusta autostima e coltivare infinita speranza: “[…] impartire a quest’ultimo [il fanciullo], in modo consono alle sue capacità evolutive, l’orientamento e i consigli necessari” (art. 5 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).
Adolescenza: età “turbo-lenta” (connaturalmente contraddittoria), sfera di diritti personalissimi e relazionali, assimilabile alla sfera di cristallo usata nella divinazione. Gli adulti devono essere chiaroveggenti sinceri e veri: devono aiutare a vedere chiaro nelle cose future senza ingannare, devono interpretare senza mistificare, senza aggiungere qualcosa di proprio. Affinché bambini e adolescenti siano tali e non piegati o ripiegati a divenire “adulti involontari” (locuzione dello scrittore Erri De Luca).
Margherita Marzario studio Cataldi 4 novembre 2016
www.studiocataldi.it/articoli/23875-il-diritto-all-adolescenza-il-diritto-dell-adolescenza.asp
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
Un corso di specializzazione per professionisti dell’adozione internazionale
L’adozione internazionale nel corso degli anni si è via via trasformata richiedendo agli addetti ai lavori maggiori risorse conoscitive e relazionali. A lato di variabili tecniche in continua trasformazione (procedure più complesse, rigidi requisiti e profili più complessi dei minori), gli operatori dei servizi sono chiamati ad affrontare aspetti squisitamente afferenti all’organizzazione del proprio lavoro che si interseca necessariamente, e in più fasi, con interlocutori di altre realtà innalzando esponenzialmente le complessità gestionali e richiedendo specifiche competenze per il governo della rete.
Preparare gli addetti ai lavori in maniera adeguata significa assicurare un servizio di qualità alle coppie che decidono di affrontare la sfida adottiva attraverso un mix di competenze professionali, tecnico-metodologiche ed etiche.
Per questo Ai.Bi, Amici dei Bambini, organizza un corso di formazione specifico rivolto a Assistenti Sociali dei Servizi Pubblici e Privati (Enti Autorizzati, Associazione di Genitori). Il percorso è in fase di accreditamento al Cnoas (Consiglio Nazionale Assistenti Sociali) al fine di ottenere almeno 14 crediti formativi e 2 crediti deontologici. Il percorso è altresì aperto a Psicologi ed Educatori Professionali ma senza crediti formativi
Lo scopo della formazione è offrire specifiche competenze su fondamentali aspetti del lavoro di un operatore implicato nei percorsi adottivi e fornirà: la fotografia dei Paesi di provenienza dei minori adottabili (con tutto ciò che ne consegue in termini culturali, procedurali, di ascolto e comunicazione interculturale); gli strumenti del lavoro con particolare attenzione alla fase dello studio di coppia e del post adozione e l’organizzazione del proprio lavoro e del lavoro in rete nelle diverse fasi dell’iter.
Il corso si svolgerà l’1 e il 2 dicembre 2016, avrà una durata complessiva di 16 ore, (9.00-13.00 e 14.00-18.00) e può essere seguito in Aula (presso la sede dell’Associazione Amici dei Bambini in Via Marignano 18, Mezzano di San Giuliano Milanese) oppure on line. La metodologia del corso è interattiva e integrata. Alle lezioni teoriche frontali si alterneranno discussione di casi, situazioni di problem-solving, simulate e role-playing. La formazione avverrà in forma mista (blendend learning) con presenza di discenti in aula e a distanza.
Informazioni http://www.aibi.it/ita/adottare-per-bene-percorso-formazione/
News Ai. Bi. 3 novembre 2016
www.aibi.it/ita/milano-al-via-adottare-per-bene-un-corso-di-specializzazione-per-professionisti-delladozione-internazionale
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ADOZIONI INTERNAZIONALI
In Kyrgyzstan entra in vigore la Convenzione de L’Aja.
Anche in Kyrgyzstan entra in vigore la Convenzione de L’Aja sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale. Dal 1 novembre 2016 il Kyrgyzstan, che ha aderito alla Convenzione lo scorso 25 luglio 2016, si è adeguato dunque a quanto previsto da L’Aja.
https://it.wikipedia.org/wiki/Kirghizistan
A ricordarlo il sito del dipartimento di Stato degli USA (nello spazio dedicato all’Intercountry adoption) che sul proprio sito fornisce una serie di informazioni pratiche ed operative ai futuri genitori adottivi americani.
Una buona notizia che fa ben sperare le coppie che vogliano adottare in Kyrgyzstan. Un Paese quest’ultimo da cui finora (come si evince dai rapporti statistici della Cai) non è arrivato nessun minore in Italia.
News Ai. Bi. 2 novembre 2016
www.aibi.it/ita/adozioni-internazionali-in-kyrgyzstan-entra-in-vigore-la-convenzione-de-laja
Haiti. Urge salvare i bambini dal rischio colera nel post-uragano.
Amici dei Bambini potrà continuare ad aiutare le famiglie italiane che vorranno accogliere i minori di Haiti, restituendo loro l’amore di un papà e di una mamma e portandoli via da un Paese sempre più afflitto dalla miseria e dalle catastrofi naturali. Il 24 ottobre 2016 Ai.Bi. ha infatti ricevuto il riaccreditamento a operare nell’isola caraibica come ente autorizzato per le adozioni internazionali. Il rinnovo dell’autorizzazione ha valore biennale, fino al 30 settembre 2018.
Il relativo documento porta la firma di Arielle Jeany Villedruin, direttrice generale dell’Istituto del Benessere Sociale e delle Ricerche (Ibesr), Autorità Centrale di Haiti, che, tra le altre cose, impegna Ai.Bi. “ad agire nel migliore interesse dei bambini adottati e delle famiglie che rappresenta, nel rigoroso rispetto della legislazione applicabile in materia di adozione internazionale sia in Italia che in Haiti”.
Come previsto dal Memorandum sottoscritto dalla stessa direttrice generale dell’Ibesr lo scorso 5 ottobre, ogni ente autorizzato operativo ad Haiti potrà depositare 2 dossier al mese fino a settembre 2018 a cui potranno essere aggiunti al massimo 6 dossier all’anno per l’adozione di minori con bisogni speciali.
Con il rinnovo dell’accreditamento, Ai.Bi. diventa uno dei 59 enti stranieri autorizzati a operare ad Haiti: di questi, 8 sono italiani, 20 statunitensi, 12 francesi, 6 canadesi, 4 spagnoli, 3 belgi, 2 tedeschi e altrettanti svizzeri, 1 olandese e 1 della Repubblica d’Irlanda. La decisione dell’Autorità Centrale di Port-au-prince di rinnovare l’autorizzazione ad Ai.Bi. si configura come un riconoscimento della solidità, dell’efficienza e delle potenzialità del nostro ente, presente ad Haiti dal gennaio 2013.
Attualmente Ai.Bi. ha 4 coppie adottive italiane abbinate a minori di Haiti. Ricordiamo che il 3 e 4 ottobre 2016 il Paese è stato devastato dal terribile uragano “Matthew” che ha provocato la morte di oltre 1000 persone e la distruzione di città, case, campi e allevamenti. A quasi un mese di distanza, gran parte della popolazione, in particolare nel sud del Paese, non ha accesso ai beni di prima necessità e il rischio del colera, dopo l’epidemia del 2010 seguita al terremoto, è tornato altissimo. Già nei giorni immediatamente successivi all’uragano, Ai.Bi. scrisse alla presidente della Commissione Adozioni Internazionali Maria Elena Boschi e al ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, chiedendo di attivarsi con l’Ibesr e il Ministero degli Esteri haitiano “al fine di concordare e mettere in atto tutte le azioni necessarie per salvaguardare in particolare l’incolumità dei minori che si trovano in istituti locali abbinati a nostri connazionali”.
Sulla stessa linea, il 20 ottobre, è stata aperta una petizione in cui si chiede alla Cai e alla Farnesina di portare al più presto in Italia i bambini haitiani abbinati a famiglie del nostro Paese. “Non sarebbe difficile concedere a queste famiglie adottive – si legge nella petizione che, al 31 ottobre, ha già raccolto 723 firme – di prendere i bambini a loro abbinati in affido, in modo tale che, nel tempo in cui tutte le pratiche adottive vengono completate, possano almeno stare in un contesto sicuro”. Molti di questi bambini, infatti, vivono in “strutture che, dopo l’uragano, hanno subito ingenti danni”. “Sarebbe importante portare via almeno quei bambini da Haiti – dice ancora la petizione -, per garantire la loro sopravvivenza, perché abbiano accesso a cibo e acqua, per essere sicuri che non vengano contagiati”
News Ai. Bi. 31 ottobre 2016 www.aibi.it/ita/haiti-ai-bi-riaccreditata-fino-al-2018
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AFFIDAMENTO
Affidamento dei minori al comune di residenza
Tribunale di Milano, nona Sezione civile, decreto 14 aprile 2016
La designazione dell’ente pubblico, per l’esercizio della responsabilità genitoriale, in sostituzione dei genitori, in applicazione dell’art. 333 c.c., comporta che è l’ente di riferimento ad avere la facoltà di decidere per il fanciullo, anche dirimendo contrasti insorti tra i genitori. E, invero, l’applicazione dell’art. 333 c.c. ha proprio questa funzione: si affida il minore all’ente perché la conflittualità tra i partner è talmente patologica che, in difetto di intervento permanente del Comune, vi sarebbero continuamente controversie, litigi, processi pendenti (per la salute, l’istruzione, la residenza, etc.: per ogni questione travolta dal conflitto).
L’affidamento all’ente, con delega all’esercizio della responsabilità genitoriale, istituisce, dunque, un modulo extra giudiziario di risoluzione del conflitto: insorge la lite sulla decisione, i genitori non pervengono ad un accordo, il Comune decide al posto di padre e madre. Stando così le cose, è palesemente inammissibile una domanda del genitore rivolta al Tribunale affinché intervenga prendendo una decisione in un ambito che è già stato giudizialmente rimesso all’ente affidatario. Eventualmente, sussiste uno spazio per la valutazione delle deleghe e le questioni esecutive: ma la competenza è del giudice tutelare, ex art. 337 c.c.
Massima a cura di Giuseppe Buffone. Il caso.it – news 194, 04 novembre 2016
news.ilcaso.it/news_1930
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AFFIDO CONDIVISO
Genitori separati e affido condiviso, la rivincita dei padri compie dieci anni
Nel 2006 la legge sull’affidamento condiviso. Promossa dai giudici, ma l’applicazione è in salita. La legge 54\2006 sull’affidamento condiviso dei figli nelle separazioni e nei divorzi compie 10 anni, è largamente applicata (89,8% nelle separazioni, un po’ meno nei divorzi) ma anche criticata. L’obiettivo era quello di tutelare la bigenitorialità, ossia il principio per cui padri e madri devono mantenere pari diritti e pari doveri nella cura e nell’educazione dei figli. Ma il cambiamento culturale è lento e le madri continuano ad essere il punto di riferimento principale per i figli sia nel caso di matrimoni felici che finiti. I giudici continuano a preferirle per la collocazione dei figli. E i padri protestano. Nel frattempo se ne discute, oggi a Roma, in un convegno, «I dieci anni della legge 54/2006 su affidamento condiviso: tutela della bigenitorialità e del diritto ai legami familiari» presso la corte di Appello.
Gli avvocati esperti in diritto di famiglia sanno che nella vita reale la «condivisione» della crescita dei figli non è un principio facile da applicare quando vi è un conflitto aperto tra i due coniugi e il terreno di scontro diventa proprio la cura dei figli. E a rimetterci sono sempre loro.
Secondo Pompilia Rossi, esperta di diritto di famiglia e minori, che parteciperà al convegno, «molto spesso le decisioni non vengono assunte proprio per l’impossibilità di arrivare a un accordo con grave danno per i figli, e non di rado i genitori si rivolgono al giudice per dirimere delle controversie che potrebbero essere risolte con buon senso o semplicemente con la continuazione di una prassi da sempre esistente nel nucleo familiare». Decisioni come la scelta della scuola, di uno sport, l’autorizzazione per una gita, la firma per l’emissione di un passaporto si trasformano in dispute infinite.
«Inizialmente le sentenze della Corte di Cassazione avevano stabilito che in caso di accesa conflittualità, il giudice potesse non affidare i figli con modalità condivisa e disporre un affidamento monogenitoriale sul presupposto che il condiviso, in quel caso, fosse contrario all’interesse del minore – spiega la Rossi – poi però si è sempre più consolidato l’indirizzo, che il conflitto tra i genitori non deve e non può rappresentare un elemento di ostacolo alla determinazione del condiviso».
Così aumentano i ricorsi da parte di madri e padri che reclamano l’affido esclusivo. E capita anche che in mezzo a una guerra i giudici decidano di affidare i minori ai servizi sociali. Per far tornare in se i genitori. «La vittima è solo il minore che, non avendo una rappresentanza processuale, rimane in sostanza inascoltato», spiega la Rossi.
Un avvocato del minore potrebbe essere utile, come sollecita l’Europa. Fino al 2005, l’affidamento esclusivo dei figli minori alla madre era la norma. Al padre la possibilità di frequentare i figli qualche giorno durante la settimana, nei week end alternati, durante le vacanze. Nessuna voce in capitolo su decisioni importanti come la scuola e gli sport. Dall’approvazione della legge 54 le cose sono cambiate, ma i padri separati, riuniti in forti e bellicose associazioni, pretendono pari trattamento e chiedono che i tribunali diano loro maggior fiducia anche quando si tratta di bambini piccoli. Un cambiamento culturale che i giudici stanno iniziando a imporre. Il Tribunale di Milano, con decreto del 14 gennaio 2015, ha chiarito che occorre tutelare i padri anche in presenza di minore in tenera età, poiché «la genitorialità si apprende facendo i genitori».
E nell’ultima proposta di riforma della legge 54 si parlava di «doppio domicilio», ossia di un affidamento paritario dove il bambino passa metà del tempo con il padre e metà con la madre. Ipotesi che l’Aiaf – Associazione Italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori – ha criticato perché non tiene conto non solo della conflittualità degli ex coniugi ma anche delle esigenze di stabilità dei figli.
Maria Corbi La stampa 3 novembre 2016
www.google.it/?gws_rd=ssl#q=Genitori+separati+e+affido+condiviso%2C+la+rivincita+dei+padri+compie+dieci+anni+
www.lastampa.it/2016/11/03/italia/i-tuoi-diritti/famiglia-e-successioni/genitori-separati-e-affido-condiviso-la-rivincita-dei-padri-compie-dieci-anni-e7EUdU1vLGUJGe2VcnT7SI/pagina.html
La madre rifiuta di far vedere la figlia al padre.
Corte di Cassazione, sesta Sezione penale sentenza n. 46240, 3 novembre 2016
Il rifiuto della madre di far vedere la figlia al padre non basta a far scattare la sottrazione di minore.
Studio Sugamele 3 novembre 2016 Sentenza
www.divorzista.org/sentenza.php?id=12802
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CHIESA CATTOLICA
Clericali e liberisti contro Francesco
È atto nella Chiesa un passaggio assai delicato, forse non da tutti avvertito nella sua reale dimensione. All’interno della comunità cristiana convivono, per ora, posizioni che rischiano di diventare inconciliabili. Se all’epoca del Concilio il dissenso riguardava la critica a una Chiesa gerarchica non aperta alle condizioni di povertà ed emarginazione dei popoli del mondo, ora, al contrario, il dissenso si accentra sulla figura di papa Francesco, per la sua costante attenzione alle condizioni disumane in cui versano le periferie del mondo. L’attacco proviene da fronti diversi, ma accomunati da una matrice reazionaria e conservatrice.
I primi ad accusarlo di essere comunista sono stati i propugnatori del liberismo economico senza regole di marca statunitense, appoggiati da comunità evangeliche fondamentaliste e da settori del cattolicesimo conservatore, che non gradiscono la sua linea, giudicata troppo sensibile ai temi della giustizia sociale. In pratica, il papa deve occuparsi di anime; il capitalismo finanziario non può essere messo in discussione: le sue regole sono assolute e intangibili. Anche l’enciclica Laudato si’ ha suscitato reazioni contrastanti. Accolta favorevolmente dalle organizzazioni cattoliche impegnate, in nome del Vangelo, a difendere territori distrutti e comunità umane depredate, è stata contrastata dai potentati economici che traggono profitto dalla devastazione di popoli e risorse. Ma l’attacco al papa argentino non si limita ad avversari esterni.
Anche all’interno della Chiesa la situazione è tutt’altro che tranquilla. Le truppe ultra-tradizionaliste dei seguaci di Marcel Lefebvre e dei movimenti anticonciliari, feroci oppositori dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, manifestano la loro ostilità alla linea bergogliana non riconoscendo, di fatto, il ruolo – si parla di sede vacante – e addirittura la validità dell’elezione (come si intestardisce a fare il confuso Antonio Socci, al quale peraltro Francesco ha personalmente scritto una lettera). In pratica, l’accusa di queste frange oltranziste è che il papa attuale non è cattolico, anzi è praticamente un eretico, perché si allontana dalla dottrina secolare della Chiesa.
L’opposizione al papa si estende anche a gruppi e movimenti ancor più interni alla compagine ecclesiale, alcuni dei quali non hanno ancora metabolizzato la mancata elezione al soglio di Pietro del loro candidato. Non è gradito il modello di Chiesa che papa Francesco ha in mente, in cui il popolo di Dio è il protagonista. Un cambio di paradigma in linea con le acquisizioni del Vaticano II, ma osteggiato da quanti vagheggiano un ritorno alla Chiesa medievale o tridentina, con le sue liturgie, riti, latino, pratiche religiose devozionali di fatto lontane dal Vangelo. Sono fautori del clericalismo più assoluto, anche se spesso si tratta di laici immaturi, in cerca della rassicurante figura clericale da cui dipendere: Gesú Cristo evidentemente non basta.
Vivono i rapporti personali in modo tribale: il movimento e il gruppo stanno al primo posto, tutto il resto è funzionale a questa priorità assoluta. Altri punti che hanno suscitato reazioni non sempre positive da parte di tali formazioni: l’attacco del papa alla corruzione nella Chiesa, come anche la richiesta di pastori che stiano in mezzo al popolo, la scomunica dei mafiosi, la riforma delle finanze vaticane. Poco gradita è risultata la sconfessione di ogni criterio gerarchico nelle nomine cardinalizie ed episcopali, contro ogni forma di carrierismo, come testimoniano quelle di Bologna e Palermo. La stessa scelta di vivere non nelle stanze pontificie, ma nei locali semplici di Santa Marta è stata interpretata sfavorevolmente, perché indegna del vicario di Cristo. Un fattore che ha scatenato la reazione anche nelle alte sfere ecclesiastiche è stato il sinodo sulla famiglia: a lungo l’ala conservatrice più intransigente ha coltivato l’obiettivo di mandare a monte il progetto riformista del papa che metteva fuorigioco la dottrina concepita come ideologia. Bergoglio ha dato indicazione, senza cambiare la dottrina, di aprire le porte a tutti: divorziati, conviventi, omosessuali. Non un’assenza di regole, ma il ritorno al fondamento della fede cristiana: il perdono e l’accoglienza. E su questo si è aperta una battaglia cruciale nella Chiesa che ha scatenato la reazione dell’integralismo più ostinato, rappresentato da alcuni cardinali curiali e diocesani, abili nel non usare il linguaggio aggressivo e feroce di certi gruppi e siti internet, ma più felpato secondo lo stile clericale. Non meraviglia più di tanto allora che nel sottobosco del web, di gruppi e associazioni fondamentaliste, il papa diventi una specie di anticristo, un diavolo che si è infiltrato al vertice della Chiesa cattolica; ambienti marginali dai quali trapela però un clima pesante, una pericolosa aggressività mal repressa. Si tratta spesso di gruppi e movimenti che trovano la loro identità solamente se esiste l’avversario da combattere: non a caso amano definirsi crociati, legionari, militi, sentinelle. Solo che in questo caso rivolgono i loro strali non solo al nemico esterno ma anche a quello interno alla Chiesa. Sono il sintomo di un malumore crescente contro Francesco e i suoi collaboratori.
Questa linea reazionaria e fanatica deve comunque fare i conti con il diffuso consenso che accompagna il papa argentino, in cui le folle di scartati, di marginali, ritrovano una guida e un riferimento in un mondo regolato dal potere di una economia disumana, come anche da una diffusa cultura che privilegia il successo, il potere e l’immagine. In questa linea di rinnovamento va inserita la dichiarazione di papa Francesco sulla riabilitazione di Oscar Arnulfo Romero, il vescovo assassinato da gruppi armati di estrema destra in Salvador nel 1980 e divenuto un simbolo della lotta evangelica contro l’oppressione dei più poveri. Il suo martirio, ha detto il papa, è proseguito anche dopo la morte: Una volta morto – ero giovane sacerdote e ne fui testimone – fu diffamato, calunniato, infangato. Il suo martirio continuò anche da parte di suoi fratelli nel sacerdozio e nell’episcopato. Non parlo per aver sentito dire. Ho ascoltato queste cose. Una dichiarazione chiara, ma anche sofferta, che riassume le difficoltà a riconoscere, anche nella Chiesa, la linea profetica della fedeltà a Cristo, osteggiata da chi usa il Vangelo per i propri interessi.
Mauro Felizietti Il gallo – novembre 2016
www.ilgallo46.it/clericali-e-liberisti-contro-francesco
{Reazione istintiva: sunt mini habentes de Christo ovvero ripetiamo Matteo 5,11 «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorte di male contro di voi per causa mia.»
Lund, la comunione e la donna Vescovo. Questione ecumenica e questione cattolica
Come è evidente, il gesto storico che papa Francesco ha compiuto il giorno 31 ottobre 2016 è molto più avanti delle parole con cui tutti noi possiamo commentarlo. La fraternità e la sororità che ha saputo esprimere e far sperimentare sta molto oltre i concetti e le rappresentazioni che possiamo utilizzare per descriverlo e per valutarlo.
Due esempi possono farci capire che cosa significa questa “distanza”.
In primo luogo, nella Dichiarazione congiunta, si auspica un rinnovato impegno ecumenico anche a livello teologico sul piano della eucaristia. Le differenze tra luterani e cattolici non possono più essere comprese semplicemente sulla base dei “canoni tridentini di condanna”. La prassi liturgica del cattolicesimo, nella sua storia recente, ha conosciuto un grande rinnovamento che contribuisce ad avvicinare le parti. La riscoperta della “comunione” come luogo centrale della celebrazione eucaristica permette di rileggere la nostra tradizione in una nuova sintonia con quella protestante. Ma ciò esige un “lavoro profondo” di comprensione e di spiegazione della “presenza di Cristo” che esca dalle contrapposizioni storiche tra “transustanziazione” e “consustanziazione”. Poter dire, oggi, una comunione possibile tra cattolici e luterani nella Santa Cena richiede un lavoro accurato sulle categorie teologiche e sulle loro premesse e conseguenze pratiche, spirituali e oranti.
Allo stesso modo possiamo dire del discorso sul ministero ordinato. In questo campo alla esperienza differenziata e articolata della tradizione protestante corrisponde una “esperienza bloccata” in campo cattolico. Noi non riusciamo ad uscire da un “blocco” che riguarda ogni altra “figura” di ministro che sia diversa dall’ “uomo maschio celibe”. Da un lato una elaborazione diversa della necessità della “vita celibataria” e la rilettura di una possibilità del “ministero uxorato” – non solo a livello diaconale – potrà avere un suo spazio di obiettivo sviluppo.
D’altro canto, una reale integrazione della donna nel ministero ecclesiale, deve superare blocchi molto più radicali e pregiudiziali, che si alimentano di una serie di “indistinzioni” sulle quali sarebbe giusto – almeno ecumenicamente – soffermare lo sguardo. Provo ad elencarli qui, per favorire un dialogo più sereno sul tema:
Ministero ecclesiale è più che “donna-prete”: il dibattito che di recente si è aperto, su impulso di papa Francesco, circa la opportunità di “ordinazione diaconale” per le donne costituisce un tema delicato e decisivo. Purché si comprenda che il diacono è “ministro ordinato” e che in questo senso la donna entrerebbe, così, nell’ambito dell’ordine sacro.
L’autorità della Chiesa implicata nella decisione: che la ordinazione diaconale delle donne, quando fosse ritenuta possibile e opportuna, non intaccherebbe minimamente quanto stabilito da “Ordinatio Sacerdotalis”, la Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II, che non riconosce alla Chiesa la autorità di estendere alle donne la ordinazione “sacerdotale” (ossia al presbiterato e all’episcopato);
La non irreformabilità di Ordinatio Sacerdotalis: che, in una prospettiva più lunga, la autorità ecclesiale potrebbe riconoscere domani di avere la autorità di estendere la ordinazione sacerdotale anche alla donna. Infatti il testo del 1994 è “definitive tenendum”, ma non in modo assoluto. Solo finché la Chiesa non riterrà di avere quella autorità che nel 1994 ha ritenuto di escludere. Mancando dei requisiti di “infallibilità”, il documento è solo relativamente irreformabile.
Il Viaggio a Lund, tra andata e ritorno, ha mostrato che accanto a una questione ecumenica rimane una questione cattolica, su cui papa Francesco è alle prese da quasi 4 anni. Non si affronta la prima senza affrontare anche la seconda. E il papa è il primo ad essere consapevole di tutto ciò. Senza una teologia della eucaristia e del ministero all’altezza della sfida, non si farà molta strada.
Andrea Grillo blog: Come se non 2 novembre 2016
www.cittadellaeditrice.com/munera/lund-la-comunione-e-la-donna-vescovo-questione-ecumenica-e-questione-cattolica
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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI
Cai sempre più paralizzata: da inizio ottobre non c’è più nemmeno un dirigente generale
Ormai anche chiedere la sostituzione di un computer guasto, autorizzare le ferie dei funzionari e coordinare le attività dei vari servizi, in Commissione Adozioni Internazionali, è diventata un’impresa. Dall’inizio di ottobre, infatti, la Cai non ha più un dirigente generale. Il mandato triennale ricoperto fino a circa un mese fa dalla dottoressa Anna Siggillino è scaduto e, fino a questo momento, non è stato affidato a un’altra persona.
Siamo di fronte quindi a un’ulteriore sintomo della paralisi in cui la nostra Autorità Centrale per le adozioni internazionali è sprofondata ormai da quasi 3 anni, sotto la vicepresidenza (e, fino a giugno 2016, anche la presidenza) di Silvia Della Monica. Alle mancate riunioni della Commissione, ai ritardi di rimborsi per le coppie adottive e all’assenza pressoché totale di comunicazione con le famiglie e di pubblicazione dei dati sulle adozioni realizzate, si è quindi aggiunto un nuovo tassello in questo scenario di totale malfunzionamento della Cai.
A Villa Ruffo, quindi, da quasi un mese non c’è più una dirigente della segreteria tecnica. Quest’ultima è una figura di supporto al presidente, al vicepresidente e ai membri della Commissione. Essi infatti, come riportato anche dal sito stesso della Cai, “si avvalgono di un ufficio dirigenziale generale denominato ‘Segreteria Tecnica’, che si articola in un servizio per le adozioni e in un servizio per gli affari amministrativi e contabili”. A coordinare tutte le attività di questi servizi è appunto il dirigente generale, ruolo che attualmente, però, non è ricoperto da nessuno.
Viene a mancare, tra l’altro, anche un’ulteriore possibilità di confronto tra la Cai e gli altri attori del sistema. Quasi ogni anno, infatti, il direttore generale predisponeva anche una propria relazione in vista della pubblicazione dell’annuale report statistico sulle adozioni internazionali. Ma anche di quello, come noto, non c’è più traccia ormai dal 2013.
News Aibi 2 novembre 2016 www.aibi.it/ita/cai-non-ce-neanche-piu-un-direttore-generale
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CONSULTORI FAMILIARI
Bergamo. Iniziative dei Consultori Diocesani Fondazione Angelo Custode.
Calendario degli eventi e delle iniziative organizzate dai Consultori Familiari Diocesani della Fondazione Angelo Custode Onlus. www.consultoriofamiliarebg.it/eventi
Torino Newsletter Punto Familia novembre 2016
9 novembre e 6 dicembre alle ore 18,00 al Punto Familia il dott. Armando Gabriele terrà un incontro sul tema
“Curarsi con la testa: mente e salute nella prevenzione delle malattie”. Spesso pensiamo alle malattie o ai disturbi di salute in genere come a eventi che capitino senza una ragione chiaramente identificabile e comunque limitata al cattivo funzionamento del nostro corpo. Sarebbe invece opportuno imparare a riconoscere l’importanza e l’impatto che alcune situazioni di vita possono causare sul nostro organismo, e comprendere come poter influire sulla nostra salute in modo positivo e attivo. Durante la serata presenterà gli Stress Lab, laboratori di gruppo per ridurre gli effetti di traumi e stress.
In novembre e dicembre insieme al Centro Relazioni e Famiglie del Comune di Torino e altre Associazioni della Rete riproponiamo “La mediazione familiare nella gestione del conflitto separativo”.
Silvia Bandoli, counselor, mediatrice, Centro Consulenza Familiare CCF UCIPEM
Sonia Rossato, psicologa, mediatrice, Centro per le Relazioni e le Famiglie-Asl To2
Andrea Salza, psicoterapeuta, mediatore, Associazione Punto Familia
Vedi pure newsUCIPEM n. 621 pag. 12
www.puntofamilia.it/newsletter-punto-familia/listid-3/mailid-56-segnalazione-attivita.html
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Milano 1. Istituto La Casa. 20 anni dalla scomparsa di don Paolo Liggeri.
1996-2016. Quest’anno ricorrono vent’anni dalla scomparsa di don Paolo Liggeri, fondatore dell’Istituto La Casa, del Consultorio familiare, dell’UCIPEM, precursore di tanti servizi a favore della famiglia.
Per ricordare don Paolo, sabato 12 novembre alle ore 17:00, verrà celebrata una Santa Messa nella Cappella dell’Istituto La Casa. Inoltre sarà allestita una mostra di pittura e fotografia. “Esposizione d’arte” dal 12 al 16 novembre 2016 nella Sala Moroni – Istituto La Casa Via Lattuada 14 – Milano
www.istitutolacasa.it/showPage.php?template=news&id=138&id_field=news-eventi
Parma. Famiglia più. Prossimi appuntamenti e pagina pubblicata.
08 novembre L’incontro con l’altro nella Web society. Giovani e adulti alla prova del Web
La misericordia nella città. Come la misericordia interroga la gestione della cosa pubblica.
13 novembre Convegno diocesano delle famiglie. Per mano verso la pienezza dell’amore.
18 novembre L’incontro con l’altro nella Web society. Le narrazioni del corpo e dell’identità in Rete.
24 novembre L’incontro con l’altro nella Web society. Cyberbullismo
02 dicembre L’incontro con l’altro nella Web society. Per un’ecologia digitale.
La pagina della famiglia a cura di Famiglia più www.famigliapiu.it/articoli/articoli.htm
Stress da crescita, spazio di ascolto. Per i genitori di figli adolescenti un aiuto nella reciprocità.
Margherita Campanini
Vivere il lutto attraversandolo insieme. Un percorso per persone ferite da una perdita Cecilia Sivelli
01 novembre 2016 www.famigliapiu.it
Senigallia. Corso per la conoscenza del ciclo della fertilità femminile
L’associazione Iner – Marche (Istituto per l’educazione alla sessualità ed alla fertilità), in collaborazione con il Consultorio Familiare Ucipem Villa Marzocchi, organizza un nuovo corso base per la conoscenza del ciclo della fertilità femminile (metodo sintotermico Röetzer) e della sessualità umana, che si terrà nei giorni 4, 11, 18 e 25 novembre alle ore 21,15 presso il Centro sociale “Casa della Gioventù” di Senigallia (via Testaferrata 13).
Scopo del corso, rivolto a donne e a coppie, è insegnare a saper riconoscere i propri tempi di fertilità e sterilità durante il corso del ciclo femminile, attraverso l’osservazione dei segni che il corpo della donna naturalmente mostra. Verranno approfondite le basi biologiche della fertilità, il metodo sintotermico del dott. Röetzer, dagli aspetti applicativi alle ricadute sulla vita di coppia, tematiche come la relazione tra sessualità e procreazione responsabile, ma anche nozioni relative all’igiene intima personale e alla prevenzione delle malattie dell’apparato riproduttivo e di quelle sessualmente trasmissibili.
Il corso sarà tenuto dagli insegnanti diplomati del metodo naturale Sintotermico Röetzer dell’Iner Marche e da un’ostetrica del Consultorio Asur Vasta 2.
www.csv.marche.it/web/index.php/notizie/ultime-notizie/item/15852-educazione-alla-fertilit%C3%A0,-al-via-domani-nuovo-corso-dell%E2%80%99iner-marche
Trento. Percorsi di Formazione per la Coppia
Sappiamo che spesso è difficile trovare un po’ di tempo per pensare a come “siamo” genitori e dedicarci alla nostra formazione di educatori, sappiamo però anche quanto sia importante ritagliarsi uno spazio per riflettere sulle nostre scelte, sui nostri comportamenti: trovare questo tempo vuol dire migliorare la nostra capacità di fare quello che da tutti è chiamato il “difficile mestiere di genitore”, vuol dire investire per i nostri figli e per la nostra famiglia.
Di seguito troverete varie proposte di condivisione e confronto sulle scelte educative. Al di là delle differenze etniche, culturali, ideologiche, l’obiettivo generale è quello di aiutare ogni genitore a “leggere” la sua esperienza familiare e capire le sue trasformazioni.
Ci sono diverse sessioni di percorso, alcune più generali, alcune più definite rispetto all’età dei figli od alla situazione particolare dei genitori e/o della famiglia:
Formazione genitori
Formazione genitori figli adolescenti e preadolescenti
Formazione genitori figli speciali
Formazione genitori separati/divorziati
Il Centro Formazione Genitori Ucipem è disponibile anche a progettare percorsi personalizzati a seconda delle esigenze dei partecipanti del l’ente di riferimento.
www.ucipem-tn.it/formazione-e-prevenzione/percorsi-di-formazione-per-la-coppia
Treviso. Le iniziative
Corsi con genitori di bambini di età 0-3 anni. “Genitori si diventa” attività di formazione sulle tappe evolutive del bambino e sul sostegno alla genitorialità con coppie di genitori di bambini di quattro scuola d’infanzia
Corsi con genitori di bambini di età 3-6 anni.
“Il nostro bambino” incontri condotti da psicologo e pediatra con in neo-genitori.
“La tv guarda i bambini” incontro rivolto a genitori sul buon uso dei media
Corsi con coppie sposate o che convivono. “Vivere in coppia” intervento realizzato da psicologi, mediatore familiare e avvocato sugli aspetti relazionali e legali del vivere in coppia
Attività per coppie separate. “Gruppo dei separati” attività di mutuo sostegno per persone separate
Corsi di preparazione al parto e alla nascita di un figlio, con la presenza di un’ostetrica, una psicologa, un ginecologo e un pediatra.
Attività con figli di genitori separati. “Gruppo di parola”: innovativa modalità di intervento con figli di genitori separati
Attività con adolescenti. “Spazio giovani” punto di ascolto con minori dell’Istituto Canossiano di Treviso
www.consultoriofamiliareucipem.it/siteon/index.php/iniziative
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CONVIVENZA
Pensione reversibilità: spetta al convivente?
Corte di Cassazione, Sezione lavoro, Sentenza n. 22318, 3 novembre 2016
L’attuale sistema previdenziale non prevede una pensione di reversibilità in favore del compagno convivente; il convivente more uxorio non è come un coniuge.
Al convivente non spetta la pensione di reversibilità. Anche se la legge italiana sta equiparando, poco alla volta, la figura del convivente di una coppia di fatto a quella del coniuge, riconoscendo al primo tutti i diritti e la dignità di una persona sposata, resta, sul piano sostanziale, una differenza di fondo tra le due figure (marito o moglie da un lato, compagno convivente dall’altro). Ciò impedisce un’assimilazione totale tra il convivente ed il coniuge. Con la conseguenza che solo a quest’ultimo spetta la pensione di reversibilità in ragione di un effettivo rapporto giuridico preesistente, ossia il matrimonio. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recentissima sentenza.
Discriminate le coppie di fatto, almeno nei confronti dell’Inps e della pensione di reversibilità, rispetto a quelle sposate. Nel caso, infatti, di morte di uno dei due componenti della coppia non sposata, il superstite non può pretendere la pensione di reversibilità dall’Istituto di Previdenza sociale, neanche se la convivenza era stabile ed è durata numerosi anni (cosiddetta convivenza more uxorio). Difatti l’attuale sistema previdenziale non prevede la pensione di reversibilità in favore del convivente more uxorio.
Secondo i giudici della Suprema Corte non è neanche possibile un’interpretazione estensiva della norma che attribuisce la reversibilità al coniuge superstite, in modo tale da concedere tale opportunità anche al convivente. I giudici sono chiari nel ricordare, ancora una volta, che per la pensione di reversibilità ci vuole il matrimonio. E non fa niente se questo sembra cozzare con il principio di uguaglianza, principio che, però, a ben vedere, non impone di disciplinare tutte le situazioni allo stesso modo, ma obbliga a disciplinare in maniera analoga situazioni analoghe ed in maniera diversa situazioni diverse.
La nostra legge non prevede una pensione di reversibilità in favore del convivente, poiché la Costituzione come più volte interpretato dalla Corte Costituzionale, impedisce un’assimilazione totale tra il convivente ed il coniuge, cui solo compete la reversibilità, in virtù di un preesistente rapporto giuridico. Convivente e coniuge sono soggetti diversi, che per alcuni limitati aspetti possono essere assimilati l’uno all’altro, ma non per il diritto alla pensione di reversibilità. Tale principio non può essere scardinato nemmeno attraverso l’operazione di interpretazione conforme del diritto interno (nazionale) con quello dell’Unione Europea.
Redazione Lpt 6 novembre 2016
Sentenza www.laleggepertutti.it/138641_pensione-reversibilita-spetta-al-convivente
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DALLA NAVATA
32° Domenica tempo ordinario-anno C–6 novembre 2016
2Maccabei 11, 09.… ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna.
Salmo 17, 15. Io nella giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua immagine
2Tessalonicesi 03, 05. Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo.
Luca 20, 38. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui.
Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
Un Dio dei viventi, non dei morti!
Giunti quasi al termine della lectio cursiva del vangelo secondo Luca prevista dall’annata liturgica C, oggi ascoltiamo un brano evangelico che riguarda la morte, tema decisivo e inevitabile per tutti gli umani, quindi anche per i discepoli di Gesù.
Gesù è ormai entrato nella città santa di Gerusalemme (cf. Lc 19,28-38) e nei suoi ultimi giorni durante la sua predicazione è interrogato da quelli che lo ascoltano. Nel nostro testo è il caso di alcuni appartenenti al movimento dei sadducei, una porzione del popolo di Israele essenzialmente clericale, legata al sacerdozio. Profondamente conservatori e tradizionalisti, essi praticavano una lettura fondamentalista delle Scritture sante, tra le quali privilegiavano la Torah (il Pentateuco), mentre non consideravano rivelativi i profeti e gli scritti sapienziali. E proprio perché nella Torah, mediante una sua interpretazione letterale, non si trova la resurrezione dei morti quale verità da credere, i sadducei la rigettavano, a differenza dei farisei e degli esseni, che invece la professavano come destino ultimo dei giusti.
Per mostrare l’assurdità di tale fede nella resurrezione del corpo dalla morte, questi sadducei pongono a Gesù un esempio ridicolo e assurdo, che pare demolire la convinzione che anche Gesù e i suoi discepoli condividevano con gli altri figli di Israele. Essi fanno ricorso alla legge del levirato, presente nella Torah (cf. Dt 25,5-10), che autorizzava un uomo a sposare la cognata rimasta vedova e senza figli. Lo scopo di questa normativa è evidente: ai figli che nasceranno sarà imposto il nome della famiglia del padre, sicché la discendenza sarà assicurata al fratello defunto. In base a tale legge – dicono i sadducei – una donna diventa moglie di sette fratelli, perché questi muoiono uno dopo l’altro. “Da ultimo” – concludono – “morì anche la donna. Alla resurrezione, dunque, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie”.
È buona cosa sapere che al tempo di Gesù era dominante una concezione materiale del Regno messianico e delle realtà a esso connesse, perciò si credeva che la resurrezione avrebbe permesso ai morti del passato di prendere parte al Regno per essere giudicati e ritrovare nella beatitudine una fecondità straordinaria. Affermava, per esempio, rabbi Gamaliele: “Verrà un tempo in cui la donna partorirà ogni giorno una volta”. La resurrezione era pensata come rianimazione del cadavere, ritorno alla vita corporea precedente: una concezione a dir poco enigmatica, che aprirebbe numerosi problemi.
Gesù invece risponde con autorevolezza, interpretando diversamente l’idea della resurrezione: egli rivela che questo mondo passa e che la novità del regno dei cieli non conterrà più la necessità inscritta nella vita biologica di uomini e donne. Per Gesù, tra questo mondo e il mondo che viene c’è un contrasto radicale, non perché questa terra e questo cielo debbano essere distrutti e tornare al nulla, ma nel senso che l’assetto e la necessitas inscritti in essi non saranno più presenti. Il mondo che viene è una realtà altra da quella che conosciamo: vi entreranno quanti, in base al giudizio universale da parte di Dio (cf. Mt 25,31-46), saranno ritenuti degni, i “benedetti dal Padre” (Mt 25,34). Il giudizio provocherà una crisi e una cernita: quelli che sulla terra hanno vissuto secondo la volontà di Dio – la conoscessero o meno –, prenderanno parte al Regno. Su quelli che invece hanno contraddetto questa volontà che è l’amore, nient’altro che l’amore verso gli altri, ovvero sui “maledetti” (Mt 25,41), non c’è alcuna parola nel vangelo secondo Luca: su di loro un silenzio totale, come se non fossero degni di essere rialzati dal nulla della morte. Ecco come Gesù alza il velo sulla realtà dell’altro mondo, nella quale vi sarà una ri-creazione inimmaginabile, una trasfigurazione radicale che possiamo solo intravedere pensando agli angeli, ai messaggeri di Dio, creature non mortali, non corruttibili. Gesù aggiunge inoltre che nel Regno cesserà ogni attività di prosecuzione della specie, dunque ogni attività sessuale, perché non si morirà più.
Confessiamo onestamente che su questa realtà che non conosciamo e che ci è annunciata in modo allusivo non sappiamo dire, non sappiamo immaginare. A noi dovrebbe bastare l’essere convinti che la realtà dopo la resurrezione della carne sarà comunione con Dio e con tutti gli umani e che in questa comunione nulla andrà perduto dell’amore che abbiamo vissuto, amando e accettando di essere amati. Questo ci dovrebbe bastare: un’eterna comunione d’amore, una condizione in cui non ci saranno più il pianto, il lutto, la separazione, il dolore, la morte (cf. Is 25,16; Ap 7,17; 21,4), perché saremo “figli di Dio”.
Quanto alle parole di Gesù: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito, ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito”, non possiamo dimenticare che per secoli sono state lette come un invito a vivere già qui il celibato per il Regno. Né dimentichiamo che, proprio a partire da quest’affermazione, i monaci hanno parlato del proprio stato come della “vita angelica”. Oggi invece leggiamo tali parole con un’ermeneutica diversa, non ritenendole più un fondamento alla condizione del celibato per il Regno. Sappiamo infatti che Gesù si serviva delle immagini della sua cultura, comprensibili al suo uditorio, per porre l’accento sull’annuncio della resurrezione della carne quale speranza per i suoi discepoli.
Ma a mio avviso il punto teologico e rivelativo culminante di questa discussione con i sadducei sta in un’affermazione di Gesù contenuta nel brano parallelo di Marco e di Matteo: “Voi vi ingannate, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio” (Mc 12,24; Mt 22,29), quella dýnamis che può operare, creare e ri-creare… Accusa terribile, rivolta a quei sacerdoti ai quali competeva dare al popolo la conoscenza di Dio (cf. Os 4,6)! Ed ecco, nelle parole conclusive di Gesù, la correzione di questa non-conoscenza: “Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: ‘Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe’ (Es 3,6). Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché in lui tutti vivono”. L’alleanza tra Dio e il suo popolo, tra Dio e gli umani tutti, è tale che nulla e nessuno potrà romperla: non certo la morte, perché egli è fedele e nella morte si presenta a noi con le braccia aperte, in attesa di prenderci con sé come figli e figlie amati per sempre.
Ecco l’ignoranza dei sadducei, la loro incapacità di leggere le parole dette da Dio a Mosè, dunque la loro non fede nella potenza di Dio. I credenti invece sono convinti che, essendo in alleanza con Dio, quando muoiono vivono per Dio e in Dio, perché Dio è fedele e non viene mai meno alla sua promessa e alla sua alleanza. Siamo posti di fronte al grande mistero dell’esodo pasquale: moriamo a questo mondo per essere rialzati mediante una trasfigurazione della nostra intera persona, spirito e corpo, alla vita in Cristo, nel Regno eterno dell’amore.
www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/10961-un-dio-dei-viventi-non-dei-morti
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EUROPA
Uno di noi per la vita e la dignità dell’uomo
Il 19 ottobre2016 la Federazione Europea “Uno di noi per la vita e la dignità dell’uomo” ha deciso di prorogare fino al 9 maggio 2017 la conclusione della seconda fase dell’Iniziativa “Uno di noi”. Il 9 maggio si celebra la festa dell’Europa perché la data ricorda il discorso con cui il 9 maggio 1950 Schumann con un suo discorso avviò il processo dell’unità europea. È parso che in un momento di disaffezione riguardo all’unità Europea sia importante ricordare che alla origine del processo di integrazione furono posti i valori della uguale dignità di ogni essere umano tra cui è primario il diritto alla vita fin dal concepimento.
Il rinvio non deve far differire l’impegno per raccogliere le adesioni, anzi deve dargli un immediato e grande impulso. Il nome stesso di Scienza e vita, il suo statuto, la sua storia, impongono di credere nella collaborazione di tutte le persone che in Scienza e Vita si riconoscono.
Come è noto nella seconda fase dell’iniziativa è chiesta la testimonianza di tutti gli Operatori Sanitari (Medici, Infermieri, Farmacisti, Ostetriche), dei Giuristi (Avvocati e Magistrati), dei Politici (di qualsiasi livello). Il modo di aderire è semplice: basta cliccare sul sito internazionale:
www.oneofusappeal.eu oppure su quello italiano: www.unodinoi.org
L’esperienza dimostra che un modo efficace di ottenere le adesioni è anche quello di chiedere la firma sui moduli scaricati dai suddetti siti poi facilmente fotocopiabili. L’iniziativa è particolarmente importante perché:
Collegata con la prima fase, domanda il rispetto della democrazia;
Chiede qualcosa che ha la possibilità di essere ottenuto in quanto domanda la cessazione dei finanziamenti europei di attività che distruggono la vita;
Svolge un ruolo di sensibilizzazione riguardo al valore della vita;
Conseguentemente può salvare concretamente vite umane;
Difende efficacemente l’obiezione di coscienza;
Impedisce la vittoria della congiura contro la vita, la cui tattica consiste nel censurare ogni discussione sulla vita prenatale inducendo così l’opinione pubblica a dimenticare il concepito fino a negarne la sua stessa esistenza.
Ringrazio tutti coloro che vorranno sostenere questa importante iniziativa.
On. Carlo Casini 2 novembre 2016
http://www.scienzaevita.org/rassegna
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FAMIGLIE
La Bibbia, una storia di famiglie
Le orge di Samaria. Spesso in molte nazioni la ricchezza è posseduta da un numero limitato di persone. Nelle famiglie di livello alto si moltiplicano gli sprechi, si ostentano i segni del lusso, ci si dedica a manifestazioni provocatorie del proprio benessere e non si ha pudore neppure di mostrare i vizi. Questa atmosfera regnava anche nell’VIII secolo a.C. nelle classi al potere nel regno di Israele, la cui capitale era Samaria. A creare scompiglio in quella città con la sua voce forte e chiara era giunto il profeta Amos, un pastore e coltivatore di sicomori di Teqoa, un villaggio a margine del deserto di Giuda, nel territorio dell’altro regno ebraico, quello di Gerusalemme. Egli aveva fatto irruzione come un vento impetuoso; le sue parole, intrise di immagini realistiche desunte dalla campagna, rivelavano la nausea che egli provava per l’aristocrazia gaudente di Samaria che ignorava la miseria della gente e si abbandonava a orge e a feste costose.
In una pagina del suo libro profetico egli sembra spalancare la porta di uno dei saloni – tappezzati di avorio lavorato (3,15) – delle residenze estive o invernali. Il suo sguardo abbraccia un clan familiare nobile che sta banchettando coi suoi ospiti. Non sa più trattenersi e in un linguaggio veemente urla alle donne ubriache: «Vacche di Basan che siete sul monte di Samaria, ascoltate questa parola, voi che opprimete i deboli e schiacciate i poveri, voi che dite ai vostri mariti: Porta qua, beviamo!» (4,1). Abbiamo in queste parole, al negativo, il ritratto che abbiamo cercato di delineare in quest’Anno giubilare mostrando come famiglia e misericordia si debbano abbracciare tra loro, così che padri e madri testimonino ai loro figli il dovere della giustizia e della carità.
Ecco, invece, nella scena tracciata da Amos proprio l’antitesi: ignorare chi soffre, anzi, sfruttare la povera gente per ottenere un livello di benessere sfrenato, possedere palazzi, consumare beni costosi, corrompere la magistratura, praticare una religiosità ipocrita, assumere il piacere come regola di vita. Il profeta fa balenare davanti ai loro occhi il giudizio di un Dio che è morale e non è indifferente di fronte a questo sfascio della giustizia. Amos, infatti, immagina già ciò che accadrà durante la conquista di Samaria da parte degli Assiri: «Sarete portate via con uncini e le rimanenti di voi con arpioni da pesca, uscendo per le brecce delle mura, una dopo l’altra», per essere avviate all’esilio (4,2-3).
La rappresentazione è realistica perché gli Assiri per impedire ai prigionieri di agitarsi e ribellarsi li arpionavano tra loro con ami da pesca sulle labbra. Dio irromperà con il suo giudizio attraverso chi non ha mai avuto pietà dei deboli e dei miseri. Il monito di Amos è chiaro e merita di diventare la base di un esame di coscienza anche per le nostre famiglie, non scandalosamente ricche come quelle di Samaria ma comunque benestanti. Le feste, le preghiere, le devozioni non bastano se non c’è la misericordia: «Piuttosto come le acque scorra il diritto e la giustizia come un torrente perenne!» (5,24). È quello che ribadiranno tutti i profeti, a partire da Osea, contemporaneo di Amos: «Misericordia io voglio e non sacrificio», dice il Signore (6,6).
Gianfranco Ravasi, Cardinale arcivescovo e biblista 03 novembre 2016
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FESTIVAL DELLA FAMIGLIA
Il mondo giovani protagonista della quinta edizione del Festival della famiglia
E’ stato reso noto dall’Agenzia per la famiglia il programma generale della quinta edizione del Festival della famiglia che si terrà nelle giornate dell’1, 2 e 3 dicembre 2016 a Trento. A breve sarà pubblicato anche il programma definitivo. Le iscrizioni online sono obbligatorie e sono già attive sul sito
www.trentinofamiglia.it
“Festival della famiglia”, quinta edizione: l’evento, che quest’anno prenderà in esame i giovani e le loro istanze, avrà come tema “Denatalità, giovani e famiglia. Le politiche di transizione all’età adulta” e si terrà in varie sedi della città di Trento. La manifestazione è ideata ed organizzata dall’Agenzia per la famiglia, la natalità e le politiche giovanili della Provincia autonoma di Trento con il patrocinio del Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
L’Agenzia per la famiglia apre le porte all’annuale appuntamento con la kermesse del Festival della famiglia, che quest’anno giunge alla sua quinta edizione. Il Festival sarà preceduto da circa una settimana di eventi Prefestival a partire dal 24 novembre, mentre sabato 3 dicembre l’Agenzia per la famiglia, in collaborazione con “Il Trentino dei bambini”, offrirà alle famiglie e ai bambini laboratori creativi e momenti ludici e di intrattenimento gratuiti, che si terranno in una ventina di sedi nella città di Trento.
L’evento è coordinato dall’Agenzia per la famiglia in partnership con Animazione Sociale, Associazione Nazionale Famiglie Numerose (ANFN), Centro Internazionale Studi Famiglia (CISF), Educa, Forum delle Associazioni Familiari, Il Trentino dei bambini, Piani giovani di Zona e di Ambito & Centri Giovani del Trentino e con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia.
L’edizione 2016 del Festival si articolerà in tre giornate – rispettivamente presso l’Auditorium Santa Chiara, la Sala Depero nel palazzo della Provincia, il Muse – ognuna delle quali sarà dedicata ai protagonisti di questa quinta edizione, interpreti principali della transizione all’età adulta:
1 dicembre: i giovani, portatori di desideri e di istanze;
2 dicembre: le istituzioni, che hanno la responsabilità di rispondere ai loro bisogni;
3 dicembre: le famiglie, che hanno il ruolo di assisterli e sostenerli verso l’emancipazione.
Questi tre soggetti sono interpreti fondamentali chiamati a dialogare e confrontarsi su questi nuovi scenari tra proposte, idee ed esperienze, al fine di costruire insieme nuovi futuri possibili e guidare così il Paese verso la crescita e la piena condivisione del benessere collettivo.
Programma generale in allegato in pdf
www.trentinofamiglia.it/Attualita/Archivio-2016/Novembre/Il-programma-generale-del-Festival-della-famiglia
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
La Puglia si attivi per la prevenzione degli aborti.
Apprendiamo dalla stampa l’avvenuta approvazione, da parte della Giunta regionale, di nuove linee guida sulla interruzione volontaria della gravidanza, inerenti la modalità di somministrazione della RU 486, che da essere finora assumibile in regime di ricovero, diventa somministrabile in day hospital. Come si sa la Ru 486 è e un pillola a base di mifepristone in grado di indurre un aborto volontario con modalità medica, anziché chirurgica. La sua assunzione entro la 49° giornata di amenorrea provoca il distacco dell’embrione dalla parete uterina e la conseguente interruzione di gravidanza, la somministrazione di una prostaglandina entro le 48 ore successive provocherà l’espulsione spontanea dell’embrione. Finora, la dispensazione di queste sostanze avveniva, come da linee guida ministeriali, in regime di ricovero ordinario, per la prevenzione, il monitoraggio e la terapia di eventuali effetti collaterali, come emorragie o complicanze settiche. In realtà, le donne spesso firmavano la dimissione volontaria dopo l’assunzione del farmaco, rientrando in ospedale solo per l’assunzione della prostaglandina m grado di espellere il bambino.
Questa decisione ci sembra grave, sia per il merito che per il metodo. Parlando di metodo, infatti, non e accettabile che nuove linee guida sulla IVG in Puglia vengano discusse ed approvate senza un adeguato coinvolgimento del Consiglio regionale e, prima ancora delle associazioni familiari e di quelle delle donne e dei medici coinvolti nella vicenda. Circa il merito, se la decisione è stata presa con l’intento di ridurre i carichi di lavoro dei medici non obiettori, ci sembra giusto ricordare quanto esplicitato nell’ultima Relazione al Parlamento del Ministro della Salute sullo stato di attuazione della legge 194\1978, che letteralmente recita “considerando le IVG settimanali a carico di ciascun ginecologo non obiettore, considerando 44 settimane lavorative in un anno, a livello nazionale ogni non obiettore ne effettua 1,6 a settimana, un valore medio fra il minimo di 0,5 della Sardegna e il massimo di 4, 7 del Molise. Questo stesso parametro, valutato a livello sub regionale, (…) mostra che si tratta comunque di un numero di IVG settimanali sempre inferiore a dieci, cioè con un carico di IVG per ciascun non obiettore che non dovrebbe impegnare tutta la sua attività lavorativa”.
In merito invece alle problematiche delle donne che chiedono l’IVG, ci appare davvero assurdo un intervento regionale limitato alla modalità di somministrazione del farmaco abortivo, il cui utilizzo ci sembra peraltro in totale contraddizione con il dettato della legge 194. Se infatti il fine degli amministratori regionali è l’applicazione della legge, non possiamo non sottolineare, ancora una volta, quanto disposto dagli artt. 2 e 5 della legge secondo cui i consultori o la struttura sanitaria cui la donna si rivolge per ottenere il documento per abortire, devono assisterla sia sul piano prettamente ginecologico che informandola sui diritti, anche lavorativi, della gestante, sui servizi cui far riferimento per la loro tutela, sulle cause che inducono la donna a richiedere 1′ IVG, contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza.
Addirittura, recita la legge, “I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”. Dove avviene tutto questo in Puglia? E come potrà avvenire, se la Regione, piuttosto che in prevenzione, investe nell’utilizzo della RU 486, farmaco notoriamente somministrabile entro il 49° giorno di amenorrea? 49 giorni dall’ultima mestruazione sono spesso il tempo necessario perché la donna si renda conto di aspettare un bambino Come è possibile realizzare quanto previsto dalla 194 in chiave preventiva, e restituire alle donne pugliesi la libertà di diventare madri? In Puglia si registrano circa 9000 IVG 1’anno Un dato costante negli anni, se non in crescita, a fronte di una riduzione delle donne in età fertile Vuoi dire che in questa Regione non ci siamo mai confrontati sul tema della prevenzione degli aborti. Ci sembra grave. Particolarmente ora, che la crisi della natalità in Italia è tema di assoluta emergenza, in una Regione, come la Puglia con una natalità nettamente inferiore alla già bassissima media nazionale.
II Forum delle Famiglie di Puglia chiede quindi alla Giunta ed al Consiglio regionale l’avvio di un dibattito serio sulla prevenzione degli aborti in Puglia, sulla attuazione completa della legge 194 e sull’affronto del la gravissima denatalità regionale.
Gazzetta del Mezzogiorno 04 novembre 2016 www.forumfamiglie.org/rassegna.php
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GOVERNO
Arriva il codice unico europeo per cellule e tessuti umani.
Arriva il codice unico europeo per cellule e tessuti umani. Il titolo – «Prescrizioni tecniche relative alla codifica di tessuti e cellule umani» – rimanda a una materia complessa, ma le applicazioni di questa importante direttiva dell’Unione europea (la 2015/565 approvata dalla Commissione l’8 aprile 2015) sono rilevanti per più di un profilo. Recependo ieri la norma europea con un decreto legislativo adottato dal Consiglio dei ministri su proposta del premier Matteo Renzi e del ministro della Salute Beatrice Lorenzin, il nostro Paese non solo ha ottemperato dopo una lunga attesa a un obbligo derivante dalla sua appartenenza alla Ue ma ha anche scelto di mettere sotto la più stretta sorveglianza tutto ciò che attiene ai tessuti e alle cellule «utilizzati per l’applicazione sull’uomo», come si legge nel comunicato finale del Consiglio.
L’adozione della direttiva, destinata a entrare in vigore l’anno prossimo in tutta l’Unione, consentirà di «assicurare in modo uniforme nella Ue la tracciabilità» di parti dell’organismo umano – tutti i tipi di cellule e tessuti – che sempre più spesso transitano da un ospedale a un centro di ricerca, da un laboratorio a una clinica per la procreazione assistita, scavalcando i confini tra i Paesi membri, e anche quelli dell’Unione. Trattandosi di corpo umano è evidente la necessità di monitorarne in ogni momento provenienza, destinazione, percorso, stato, conservazione e uso. Una necessità che si rivela indispensabile quindi per tutte le cellule e i tessuti che si muovono dentro e fuori l’Unione nel loro percorso fra donatori e riceventi, dalle cellule staminali ematopoietiche a quelle riproduttive per rispondere alla domanda in rapida crescita di procreazione assistita eterologa. Ogni campione di cellule o tessuti donati da una persona e destinati a essere usati da un’altra dovrà avere un codice di riconoscimento che lo rende tracciabile da parte di tutte le autorità preposte (in Italia il Centro nazionale trapianti) grazie all’ «applicazione del Codice unico europeo». Un deciso limite contro ogni abuso su materiale biologico così delicato.
Francesco Ognibene Avvenire 2 novembre 2016 www.scienzaevita.org/rassegna
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GRAVIDANZA
Il feto «previene» la depressione materna.
Il vero bing bang esistenziale, come alcuni autori hanno già fatto notare, è il concepimento di un nuovo essere umano: è in quel momento che s’intrecciano i fili della genetica con i fili della provvidenza creatrice di Dio. È in quel momento che ogni vita riceve l’imprinting della sua evoluzione cellulare, da uno zigote a miliardi e miliardi di cellule. Pensare che un figlio così piccolo possa dare la vita alla madre è una realtà che rasenta il paradosso, ma è proprio così: il figlio è medico della madre e la medicina prenatale e la biologia della procreazione riporta molti esempi di cura sul piano clinico di affezioni materne del fegato e della tiroide «curate» dalle cellule staminali «guaritrici » del figlio che erano passate attraverso la placenta alla madre e dopo «transdifferenzazzione» si erano portate nei tessuti malati per operare una rigenerazione.
La cosa ancora più sorprendente però è che la cura del figlio verso la madre avviene anche sul piano psicologico, quel piano cioè di complessità relazionale che tocca la psiche di un essere adulto con la competenza di un altro essere fortemente immaturo, piccolo, ma adatto, sembrerebbe dalle evidenze degli studi analitici, a rivestire un ruolo psicoterapeutico e di percorso «guarigione» verso la madre, scientificamente dimostrati dalla storia naturale e il lungo follow-up. I canali biologici e psicologici non sono del tutto conosciuti, ma ci sono evidenze che dimostrano che esistono e funzionano: percorsi di «empatia» percettiva tra figlio e madre sin da subito sono molto noti. Mi riferisco alla capacità della madre di riconoscere la presenza del figlio prima del test di gravidanza (capacità diagnostica del 100%), di dire esattamente se la gravidanza è singola o gemellare (37 casi personalmente seguiti), di indovinare il sesso del proprio bambino nell’88% dei casi. Inoltre, se confrontiamo un gruppo di mamme che hanno una giusta preveggenza del sesso del proprio figlio (88%) con un gruppo di mamme che la sbagliano e/o sono incerte (12%) e le seguiamo sino al parto e al post-parto abbiamo dimostrato che la gravità del maternity blue (una sorta di lieve depressione che ha il 40% delle donne che partoriscono) è maggiore nelle donne che sbagliavano rispetto a quelle che lo azzeccavano, confermando che il legame di empatia percettiva protegge le mamme anche contro i fenomeni depressivi del post-partum.
Questa simbiosi viaggia con tempi gestazionali biunivoci: quando il figlio ha bisogno, la madre provvede e viceversa, come si può notare nell’altra importante collaborazione che la diade madre-figlio opera attraverso l’unità feto-placentare per completare la costruzione delle funzioni nutritive e ossigenative della placenta. Queste conoscenze si pongono su un crinale di responsabilità psico-sociale e antropologica oltre che scientifica, perché hanno il coraggio di portare alla luce evidenze che tutti osservano ma pochi valorizzano. Il pregio di questi studi consiste nel far guardare la persona umana e la relazione madre-figlio con maggiore responsabilità e onestà intellettuale, chiarendo quali siano veramente gli attacchi alla salute psicologica delle donne, senza l’indice dell’accusa ma fornendo evidenze affinché le ragioni scientifiche, etiche, psicologiche possano prevalere e rendere consapevoli.
Giuseppe Noia, docente di Medicina dell’età prenatale Università Cattolica-Roma
E’ vita – Avvenire 3 novembre 2016 www.scienzaevita.org/rassegna
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MINORI
Gli stranieri non accompagnati devono essere affidati a una famiglia, non stipati in centro di assistenza
È finalmente arrivata l’ora di maggiori tutele per i minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia. Dopo un iter durato più di 3 anni, mercoledì 25 ottobre 2016 la Camera dei Deputati ha approvato a larga maggioranza il disegno di legge presentato dalla deputata del Partito Democratico Sandra Zampa (C. 1658 presentato il 4 ottobre 2013). Il Ddl ora passa all’esame del Senato (S2583),
www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/993026/index.html
con l’obiettivo dichiarato dai firmatari di arrivare entro la fine del 2016 al via libera definitivo alla legge che, da parte delle nostre istituzioni, vorrebbe dire anche accogliere gli appelli di papa Francesco, a cominciare da quello lanciato al termine del recente viaggio ecumenico in Svezia. Il testo del Ddl, unico a livello europeo, contiene diverse novità, a cominciare dalla priorità, in materia di accoglienza, data all’affido famigliare rispetto alle strutture e alle comunità.
Come accennato, viene introdotto un criterio di preferenza dell’affidamento familiare rispetto al collocamento presso le comunità o i grandi centri di assistenza. Il Parlamento ha quindi recepito l’appello di numerose organizzazioni di Terzo Settore, tra cui Amici dei Bambini con la sua campagna Bambini in Alto Mare, che hanno più volte chiesto di prendere in considerazione quella preziosa risorsa rappresentata dalle migliaia di famiglie italiane che hanno già dato disponibilità ad aprire le porte delle loro case ai minori stranieri non accompagnati. In questo modo si potrà quantomeno limitare il fenomeno della fuga dei giovanissimi migranti dai grandi centri, perennemente al collasso, in cui fino a oggi venivano collocati in condizioni di promiscuità con gli adulti. Si stima, infatti, che solo nel 2015, almeno 5mila minori stranieri soli abbiano fatto perdere in questo modo le proprie tracce. L’affido famigliare permetterà invece di garantire loro un’accoglienza davvero a misura di minore, con l’affetto e il calore che solo una famiglia può assicurare, con ricadute positive anche sul processo di integrazione dei giovani migranti in Italia. Sempre in quest’ottica, il Ddl assegna agli enti locali il compito di sensibilizzare e formare le famiglie affidatarie e prevede l’istituzione presso ogni Tribunale per i Minorenni di appositi elenchi di tutori volontari disponibili ad assumere la tutela dei piccoli migranti soli. Confermata, inoltre, la possibilità di affidamento ai servizi sociali fino ai 21 anni.
Sempre in materia di accoglienza, viene ridotto da 60 a 30 giorni la durata massima del trattenimento dei minori strutture di prima accoglienza e viene introdotto un termine di 10 giorni entro il quale effettuare le operazioni di identificazione. Queste si svolgeranno con una procedura unica e con modalità non invasive, basate su colloqui con personale qualificato ed eventuali esami socio-sanitari. Nel caso permangano dubbi sulla situazione anagrafica del migrante, varrà la presunzione della minore età.
La legge approvata alla Camera introduce poi il divieto assoluto di respingimento alla frontiera dei minori stranieri non accompagnati, salvo motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato e solo a condizione che non comporti “un rischio di danni gravi per il minore”.
Le minori possibilità di rimpatrio portano con sé un probabile aumento dei giovanissimi migranti. Si dovrà necessario incrementare il numero di posti disponibili: sarà quindi la capienza del sistema a doversi adeguare alle effettive presenze dei minori nel Paese e non il contrario. A questo scopo, il Ddl istituisce, presso il ministero del Lavoro, il “Sistema informativo nazionale dei minori stranieri non accompagnati” nel quale confluiranno tutti i dati dei minori stessi. Viene inoltre esteso anche a questi ultimi l’accesso ai servizi Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati).
Saranno infine rafforzati alcuni diritti già garantiti ai minori non accompagnati, in materia di sanità, scuola e giustizia. In primo luogo, viene estesa la piena garanzia dell’assistenza sanitaria con l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale. Le istituzioni scolastiche e formative regionali, dal canto loro, dovranno incentivare specifiche misure idonee a favorire l’assolvimento dell’obbligo scolastico. Infine sarà garantita l’assistenza affettiva e psicologica dei minori in ogni stato e grado dei procedimenti giudiziari e il diritto di essere informati dell’opportunità di nominare un legale di fiducia.
La speranza, ora, è che anche il Senato approvi in tempi brevi una legge che garantisca finalmente un’accoglienza giusta, di tipo famigliare, ai migranti più fragili. Un tale provvedimento rappresenterebbe anche una costruttiva risposta da parte dell’Italia all’appello lanciato da papa Francesco sul volo di ritorno dalla Svezia. “Se un Paese ha una capacità di integrazione, faccia quanto può – ha detto il Pontefice -. Non è umano chiudere le porte e il cuore. Il rifugiato viene da situazioni di fame e di guerra terribile e il suo status ha bisogno di maggiore cura. Il rischio è che un migrante o un rifugiato che non viene integrato si ghettizzi”.
Archivio News Ai. Bi. 2 novembre 2016
www.aibi.it/ita/minori-non-accompagnati-ecco-che-cosa-prevede-il-ddl-zampa
www.aibi.it/ita/minori-non-accompagnati-le-associazioni-soddisfazione-per-approvazione-alla-camera
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PARLAMENTO
Senato. 2 Commissione Giustizia Disposizioni sul cognome dei figli
S1628 Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli
2 novembre 2016. Il senatore Palma (FI-PdL XVII), intervenendo sull’ordine dei lavori, osserva che nel corso dell’esame dei disegni di legge nn. 1628 e connessi, in materia di diritto comparato, si è fatto riferimento solo alla disciplina relativa al cognome dei figli in alcuni paesi dell’Unione europea, quali in particolare Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. Sarebbe opportuno invece avere un quadro generale di riferimento anche per gli altri Paesi dell’Unione europea; chiede pertanto che venga redatta quanto prima una scheda illustrativa nel senso sopra indicato. Inoltre, avendo appreso che il senatore Lo Giudice, relatore del provvedimento in esame, intende presentare un nuovo testo, chiede che questo stesso sia messo a disposizione al più presto della Commissione, affinché la discussione possa essere incentrata sul nuovo testo e non già, inutilmente, sul testo C 360 approvato dalla Camera dei deputati (il 24 settembre 2014 ndr). Si riserva pertanto di intervenire più approfonditamente in discussione generale, dopo che queste sue richieste saranno esaudite.
www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=993421
2 Commissione Giustizia Accesso del figlio alle informazioni sull’identità dei genitori
S1978 Modifiche all’articolo 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184, e altre disposizioni in materia di accesso alle informazioni sulle origini del figlio non riconosciuto alla nascita
2 novembre 2016 Seguito dell’esame congiunto sospeso nella seduta del 25 ottobre 2016 e rinvio.
www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=993421
3 novembre 2016 Seguito dell’esame congiunto sospeso nella seduta del 2 novembre 2016 e rinvio.
Il senatore Lo Giudice (PD) sottolinea che l’intervento oggetto del disegno di legge n. 1978 si rende necessario sia alla luce della giurisprudenza costituzionale testé citata, sia in considerazione della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, dalle quali si desume la necessità di assicurare in via legislativa quanto meno il diritto da parte del figlio biologico, una volta compiuta la maggiore età, di interpellare la madre biologica che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica del 3 novembre 2000, n. 396, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione. A suo avviso è necessario individuare un punto di equilibrio che consenta, per un verso, alla madre biologica di mantenere l’anonimato in presenza di una richiesta da parte del figlio e, per altro verso, al figlio di poter interpellare la madre circa le informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei suoi genitori biologici. Poiché un obiettivo dovrebbe anche essere quello di evitare il rischio di limitare il ricorso ai parti anonimi, il senatore Lo Giudice ritiene sbagliato qualsiasi intervento che possa legittimare azioni di stato o a rivendicazione di carattere patrimoniale o successorio da parte del figlio e condivide l’impostazione di fondo sottesa al disegno di legge approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati.
(…) In secondo luogo, esprime perplessità per la previsione contenuta nel comma 7 dell’articolo 28 della legge n. 184 del 1983 – così come sostituito dall’articolo 1, comma 1, lettera b), del disegno di legge in titolo – che consente comunque l’accesso alle informazioni nei confronti della madre dopo che questa è deceduta. A quest’ultimo riguardo ritiene che una siffatta anticipazione del termine per l’accesso a tali informazioni rispetto alla normativa vigente rischia di condizionare la decisione della madre di ricorrere al parto in anonimato.
www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=993517
Camera dei Deputati. Assemblea Carta della famiglia
3 novembre 2016. Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.
(Iniziative di competenza per l’adozione del decreto attuativo delle norme della legge di stabilità per il 2015 riguardanti la carta della famiglia – n. 3-02604)
Presidente. L’onorevole Sberna ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02604, per un minuto.
Sberna e Gigli. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
La legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), al comma 391, ha istituito la carta famiglia, uno degli strumenti concreti pensati per sostenere le famiglie con almeno tre figli minori (430 mila circa su un totale di quasi un milione di famiglie numerose, l’8,5 per cento dei nuclei in Italia);
La carta consente l’accesso legato all’Isee a sconti sull’acquisto di beni o servizi ovvero a riduzioni tariffarie concessi dai soggetti pubblici o privati che intendano contribuire all’iniziativa;
Le disposizioni attuative della misura sono state demandate ad un successivo decreto del Ministro interrogato, da adottarsi, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze ed il Ministro dello sviluppo economico;
La carta famiglia avrebbe dovuto avere attuazione entro fine marzo 2016, ma ad oggi nessun decreto è stato emanato, nonostante risulti agli interroganti che le associazioni familiari abbiano offerto agli uffici del Ministero il testo di una bozza di regolamento;
Trattandosi di una misura che non comporta costi per i bilanci pubblici e che è invece di sostegno ai cosiddetti nuclei familiari «deboli», quelli cioè che si «fanno carico» di opporsi a quella desertificazione generativa con cui l’Italia segna da tempo i propri dati demografici, e che proprio per questo sono maggiormente esposti al rischio povertà – basta leggere i dati dell’ISTAT al riguardo – sembra agli interroganti che non si possa attendere oltre –:
Quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere affinché il decreto di cui in premessa sia al più presto adottato.
http://www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0701&tipo=documenti_seduta&pag=allegato_a#si.3-02604
Mario Sberna. (…). Signor Ministro, ormai quasi non ci si stupisce più tra le dichiarazioni del «faremo» e il tempo che passa con l’«ho fatto». Eppure è stupefacente che, dopo dieci mesi, ancora la carta famiglia che pure il Governo aveva con una certa enfasi proclamato su tutti i giornali all’indomani dell’approvazione della legge di stabilità dell’anno scorso, grazie proprio ad un nostro emendamento che avevamo presentato conoscendo la storia delle famiglie, conoscendo l’importanza della carta famiglia, di questa carta famiglia ad oggi, dopo dieci mesi, non si vede nemmeno l’ombra. Le chiedo di farci vedere non l’ombra ma la carta famiglia.
Presidente. Il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, ha facoltà di rispondere per tre minuti.
Giuliano Poletti (…) In premessa rappresento che il tema qui proposto non rientra oggi nelle competenze del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in quanto dal 10 febbraio 2016 la delega all’attuazione delle politiche familiari è stata affidata al Ministero degli affari regionali e le autonomie con delega alla famiglia. Tuttavia in considerazione del fatto che la norma prevista dalla legge di stabilità per il 2016 prevede l’emanazione di un decreto del Ministro del lavoro di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero del lavoro ha da subito avviato le interlocuzioni con i competenti uffici del Ministero per gli affari regionali e le autonomie. A questo proposito segnalo che si rilevano notevoli difficoltà attuative della norma la quale, infatti, non prevede una copertura a carico del bilancio dello Stato nemmeno dei cosiddetti costi di start-up per la predisposizione degli strumenti e della procedura per l’emissione e la distribuzione della carta da mettere a disposizione dei comuni erogatori, prevedendo solo che in un secondo tempo i costi di emissione siano a carico delle famiglie. Poiché questi oneri in prima battuta non possono essere posti a carico del bilancio dello Stato dovrebbero essere supportati da operatori economici che eventualmente fossero interessati alla produzione e distribuzione della carta. Inoltre, posto che la carta non consiste in uno strumento di pagamento che già veicoli per norma un dato ammontare di risorse finanziarie, potrebbe non risultare appetibile né per le famiglie né per gli operatori economici dal momento che sono già presenti sul mercato numerosi strumenti di pagamento dal costo modesto e aventi le medesime caratteristiche con sconti alle famiglie presso gli esercizi convenzionati. Peraltro, atteso che la norma a copertura del bilancio pubblico non prevede un apposito stanziamento, salvo diversa determinazione degli esercizi convenzionati, la carta non dà diritto a sconti aggiuntivi rispetto a quelli già ordinariamente praticati. Queste problematiche sono al centro di un confronto con il Ministero con delega alla famiglia con la finalità di riuscire a trovare possibili soluzioni che possono rendere attuabile questa misura che diversamente rischia di rimanere sulla carta.
Presidente. Ha facoltà di replicare l’onorevole Sberna per due minuti.
Mario Sberna. Di stupefacente c’è la sua risposta, signor Ministro. Prima di tutto manca il regolamento che doveva essere emanato entro il 31 marzo, come anche lei ha ricordato, da parte del suo Ministero e tra l’altro le ricordo riguardo a questo regolamento che, avendo fatto più di una di carte famiglie per l’associazionismo familiare nella mia precedente vita, serve pochissimo fare un regolamento e non servono assolutamente soldi: quando vuole le tiro fuori dal portafoglio la carta famiglia per esempio dell’Associazione famiglie numerose, che è fatta di carta stampata e con 100 euro ne fa 10.000 di carte. Quindi il costo dalla carta non c’è. C’è certamente un costo dei funzionari che devono riempire di convenzioni questa carta. Basta averci fatto un regolamento però e, ripeto, l’avevo suggerito e troviamo immediatamente la copertura perché sono funzionari già pagati. Tra l’altro, signor Ministro, vorrei dire che in questo Paese siamo riusciti per gli LGBTQ (che nemmeno sappiamo cos’è questo «Q» finale perché nessuno in Italia sa cosa sono i queer) a trovare finanziamenti, reversibilità, abbiamo trovato di tutto. Siamo riusciti, per quei 42 che dovevano sposarsi nelle anagrafi, a trovare i finanziamenti – per 42! – non siamo capaci di aiutare le famiglie con un ISEE basso, con almeno tre figli, le più povere di questo Paese; ma sa da quanto tempo c’è la carte famille, la carta famiglia in francese, in Francia? È dal 1972 e non credo si siano fatti i problemi che ci sta facendo oggi questo Governo per dare uno strumento in mano alle famiglie che venga riempito di agevolazioni, di servizi e di aiuti che non costano niente allo Stato, non costano niente a chi lo emette. E adesso non mi venga a dire che tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero degli affari regionali e della famiglia non siete capaci di mettere insieme un regolamento. Sa cosa faccio? Le do il mio numero di cellulare – 3296462655 –, mi telefoni – è registrato – e le do il regolamento già fatto, senza costi per lo Stato, e facciamola partire questa «carta famiglia», perché le famiglie ne hanno bisogno; a meno che non debba pensare che ci sia – tra le sue parole c’era, tra le righe – anche un certo conflitto di interesse con le fidelity card degli ipermercati. Io spero che non dobbiamo pensare a questo: dobbiamo pensare che le famiglie hanno bisogno di uno strumento che dia la possibilità, come in Francia, di entrare nei musei, dove pagano il papà e la mamma e i figli no, di salire su un treno, dove pagano il papà e la mamma e i figli no. Perché abbiamo bisogno di questo, le famiglie hanno bisogno di questo.
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PASTORALE FAMILIARE
Come vengono aiutati i fidanzati italiani nella preparazione al matrimonio
Un segno dei nostri tempi è l’interesse e la preoccupazione che gli adulti dimostrano per la preparazione dei giovani alla vita matrimoniale. È ormai chiaro che questa preparazione non può essere affidata solo all’iniziativa personale degli interessati; ma è indispensabile creare dei «servizi» organizzati e a largo raggio per aiutare i fidanzati a maturare il loro amore.
Purtroppo l’interesse non si è ancora tradotto praticamente in iniziative efficienti. Siamo ancora in un tempo in cui si è sensibili al problema, se ne vede la necessità, ma non si è ancora passati all’azione.
Esistono iniziative organizzate; ma sono ancora nettamente insufficienti a coprire la massa di circa 800.000 giovani, che ogni anno si sposano in Italia. Alla mancanza di servizi efficienti fa riscontro l’atteggiamento di troppi giovani che pensano di non aver bisogno di essere aiutati in questo tempo della loro vita. Sono persuasi di essere in grado di affrontare e di risolvere da soli i vari problemi che il fidanzamento crea, e che ritroveranno in modo più acuto nel tempo del matrimonio. Oppure riducono il bisogno di «consulenza» al solo aspetto fisiologico della sessualità, per essere in grado di affrontare il problema delle nascite non desiderate.
Finora solo l’iniziativa privata di enti e di persone, che sentono l’urgenza del problema, ha dato vita a qualche organizzazione che si mette a disposizione dei giovani che si preparano alla vita matrimoniale.
Cerchiamo di elencare alcune di queste organizzazioni laiche e religiose che in Italia stanno operando attivamente per svolgere questa funzione educativa. Ci limiteremo a quelle più rappresentative, così come siamo riusciti a reperirle in base ad una ricerca che è senz’altro incompleta.
Le organizzazioni che presenteremo sono quasi tutte organizzazione che abbracciano il tempo del matrimonio e della preparazione al matrimonio; anche se alcune possono avere una preoccupazione prevalente, ma non esclusiva, per il tempo prematrimoniale.
Movimenti «laici». Sono rappresentati principalmente dai Centri e Associazioni riuniti nell’Unione Italiana Centri Educazione Matrimoniale e Prematrimoniale (U.I.C.E.M.P., Milano, via Pantano 17), associata e sovvenzionata dell’«International Planned Parenthood Federation» (I.P.P.F.) di origine americana, ma con sede europea a Londra (64 Sloan Street). Gli scopi dell’U.I.C.E.M.P. sono: la trattazione dei problemi morali, sociali, igienici, psicologici e giuridici attinenti ai rapporti matrimoniali e familiari; l’educazione sessuale, in particolare dei giovani, in previsione del matrimonio e nel corso della vita coniugale; la lotta contro l’ignoranza e i pregiudizi in campo sessuale; l’educazione a una procreazione consapevole e volontaria; la promozione di iniziative tendenti allo studio e alla proposta in sedi competenti di eventuali modifiche degli istituti giuridici e delle norme attinenti ai punti predetti. La preoccupazione principale o il «taglio «maggiore dell’attività è rappresentato dal problema della pianificazione delle nascite. Nella impostazione delle sue varie attività (consulenza, corsi di educazione sessuale, conferenze, congressi, pubblicazioni) si nota la prevalenza di questo tema, a preferenza di altri riguardanti più propriamente la formazione ai «valori» della vita coniugale e familiare. È significativo che per iniziativa dell’I.P.P.F. vengano ripetutamente organizzati, in diverse città d’Europa, corsi sulla pianificazione familiare riservati a medici, ostetriche e infermieri. Ai partecipanti vengono rimborsate le spese di viaggio e viene riconosciuta una diaria sufficiente alla permanenza nella città straniera per tutta la durata del corso. Per quanto ci risulta, l’Unione non organizza corsi particolari per fidanzati, ma si interessa della preparazione alla vita di famiglia attraverso le consultazioni e i corsi di educazione sessuale.
Attualmente i Centri in Italia associati all’U.I.C.E.M.P. (tutti con la denominazione C.E.M.P., Centro educazione matrimoniale e prematrimoniale) hanno sede a Milano, via Pantano 17; Torino, corso Matteotti 30; Firenze, via Cavour 14; Roma, via Andrea Cesalpina 1-A; Mestre, piazza Leonardo da Vinci 8; Bologna, via Belle Arti 31 (sede provvisoria). L’U.I.C.E.M.P. pubblica un Notiziario trimestrale che può essere richiesto alla segreteria della sede centrale di Milano.
www.consultoriocemp.org/wp-content/uploads/cemp_interno_web.pdf
Movimenti cattolici.
Istituto «Pro Familia», Brescia (sede centrale), via Calatafimi, 8. Il primo movimento organizzato per aiutare i giovani alla vita di famiglia ha avuto origine a Brescia nel 1918 per opera di un sacerdote, don Zuaboni, che creò le «Scuole di vita familiare». Per molti anni si interessò solo delle ragazze, e aveva il compito – in un tempo in cui la donna aveva scarsa importanza nella vita pubblica e nella vita culturale – di preparare la giovane alla vita in genere e in particolare alla vita matrimoniale. Attualmente è costituito in un Istituto, il «Pro Familia», con persone religiose votate a questa attività (le «Missionarie della famiglia «) e con un certo numero di esperti e di coppie legate all’Istituto (gli «Apostoli del focolare»), che prestano la loro opera nelle «Scuole di vita familiare». Ora è un movimento che si interessa non solo alle coppie di fidanzati ma estende la sua attività alla famiglia in genere, e organizza anche corsi per preparare le persone che si vogliono dedicare a questa attività (Scuole di pedagogia). Da Brescia si è esteso anche ad altre città d’Italia: Bolzano, Treviso, Varese, Bari, Roma, e anche in Sicilia, con un numero complessivo di 50 scuole di vita familiare, in cui svolgono la loro opera circa 250 insegnanti. I corsi si svolgono alla domenica e al giovedì per la durata di 12 incontri, da ottobre a maggio; accanto a questi vengono tenuti dei «minicorsi» di tre sere, per tutta la durata dell’anno. Pubblica due rivistine: «Scuola di vita familiare» e «Lettere in famiglia»: la prima dedicata principalmente agli allievi, e la seconda rivolta alle persone che sono legate all’Istituto.
Istituto «La Casa», Milano, via Lattuada, 14. Bisogna aspettare fino al 1943 per trovare un nuovo movimento di proporzioni notevoli. Ed è l’Istituto «La Casa» creato a Milano da un altro sacerdote, don Paolo Liggeri, partito dalla costatazione dei molti gravi problemi in cui erano venute a trovarsi molte famiglie nel dopoguerra. Ben presto la sua opera si ampliò notevolmente, interessandosi alla vasta problematica familiare e prematrimoniale. Nel 1946 iniziano i primi corsi di orientamento familiare prematrimoniale in Milano, e negli anni successivi si estese l’azione in provincia e in altre regioni, ricorrendo anche alla forma dei corsi per corrispondenza. Oltre a questi corsi, attualmente svolge le seguenti attività: assistenza familiare; assistenza ai fanciulli poveri e alle mamme indigenti nel tempo dell’attesa e dell’allattamento del bambino; assistenza alle madri nubili; informazioni sociali; pratiche assistenziali. Il tutto nella misura consentita dagli aiuti che riceve dalla generosità dei benefattori. Inoltre presso «La Casa» esiste il Centro di educazione familiare: informazioni, consultazioni, formazione, studi specifici; e il Consultorio prematrimoniale e matrimoniale: il primo organizzato in Italia, con la collaborazione di psicologi giuristi moralisti genetisti medici delle diverse specialità. Attualmente può essere consultato anche per corrispondenza. Esso può servire a coloro che nella preparazione al matrimonio incontrano difficoltà e problemi che li possono disorientare, determinando decisioni errate e dannose; agli sposi che nella vita matrimoniale devono fronteggiare problemi spesso complessi e imprevisti, che un intervento competente e tempestivo può avviare ad una serena soluzione o almeno ad una soddisfacente attenuazione; a sacerdoti medici genitori educatori, i quali desiderassero affidare allo studio e alle cure delle diverse competenze del Consultorio casi di loro interesse. Centro bibliografico: per la raccolta e la consultazione di pubblicazioni sulla problematica familiare. Pubblicazioni: edizioni di volumetti e libri su preparazione al matrimonio, vita coniugale, educazione dei figli; due riviste «La Casa» mensile culturale di vita e problemi familiari ed educativi; e «Riflessi», rassegna trimestrale di problemi della vita sessuale e matrimoniale; un «Notiziario», periodico informativo sulle attività dell’Istituto. Ospitalità: per le persone che per necessità di consultazioni hanno bisogno di soggiornare temporaneamente a Milano. L’Anello d’oro: iniziativa destinata a favorire la formazione di nuove famiglie.
Un movimento a carattere nazionale che si è affermato e diffuso in molte regioni d’Italia è il Fronte della Famiglia, Roma, Via Cassiadoro, 15. Era sorto come movimento dei Capi-famiglia italiani, per la rappresentanza, la difesa, la promozione degli interessi della famiglia visti alla luce del pensiero cristiano. Oltre all’attività di studio, promozione e difesa dei valori familiari, svolgeva un’azione concreta di formazione dei fidanzati attraverso corsi dell’ampiezza di una dozzina di incontri, in cui si alternavano gli esperti e le coppie. Emanazione del «Fronte della Famiglia» era la rivista trimestrale «La famiglia italiana» che raccoglieva studi e informazioni sui problemi familiari.
Un centro attualmente molto vivo, che agiva col Fronte della Famiglia, è il Movimento Azione Familiare (M.A.F.) di Verona.
Il «Pro Familia» di Brescia, «La Casa» di Milano e il «Fronte della famiglia» sono state per molto tempo le uniche organizzazioni a largo respiro, con solidità di impostazione e continuità di azione, che hanno portato avanti il discorso sui fidanzati e sulla famiglia. Questo non significa che non esistesse presso persone singole e presso associazioni organizzate la preoccupazione di aiutare i fidanzati e la famiglia. Anzi, il discorso era portato avanti in campo cattolico da molte parti. Ma lo sforzo delle persone singole e l’interesse delle associazioni o non hanno avuto seguito e non si sono consolidate in un’azione continuata, o rimanevano degli episodi immersi in un’azione volta esplicitamente ad altre finalità. Intorno al 1960 le iniziative per i fidanzati e la famiglia hanno incominciato a moltiplicarsi. Alcune si sono ispirate a movimenti analoghi esistenti in altre nazioni con grande esperienza in questo campo; altre sono sorte con una loro fisionomia particolare, prendendo spunto dalla situazione italiana ed adeguandosi ad essa.
Centro di preparazione al matrimonio ormai diffuso in molte città d’Italia, si ispira al «Centre de préparation au Mariage», nato a Parigi nel 1952 (rue Dufrenoy, Paris-16). Si propone di aiutare i fidanzati a «prepararsi al matrimonio cristiano, ad accostarsi e a vivere un sacramento». I corsi si svolgono normalmente in sei incontri con tematiche accuratamente scelte, dove si lascia molto spazio al dialogo. Gli incontri vengono guidati da sei coppie (una per sera) che si preparano attraverso una «revisione di vita» per essere in grado di trasmettere non tanto delle nozioni, quanto l’esperienza da loro stessi vissuta nella vita matrimoniale e familiare.
Centro cattolico di preparazione al matrimonio, via dei Prefetti 26, Roma Il C.C.M.P. di Roma si ispira invece all’esperienza canadese ed è stato iniziato nel 1966 da p. Luciano Cupia. Lo scopo è di mettersi al servizio delle diocesi e delle parrocchie per una sistematica preparazione dei giovani al matrimonio. Organizza corsi per fidanzati (30 corsi annuali nella sola diocesi di Roma) e cura la formazione di quei fidanzati che non possono partecipare ai corsi orali, attraverso speciali corsi per corrispondenza. Si preoccupa di formare anche équipe di persone che svolgono la loro attività come docenti in questi corsi, attraverso corsi particolari di formazione. Svolge attività di consulenza nel proprio consultorio «La famiglia». Ha pubblicato alcune «Guide «per la formazione dei fidanzati e per la formazione delle équipe educatrici per la preparazione dei fidanzati al matrimonio.
Centro di preparazione alla famiglia, via Piave 14, Torino. Questo «Centro» di Torino ha una particolare fisionomia. Nella sua forma attuale risale al 1963, quando sono stati organizzati dei corsi per fidanzati concepiti in modo organico e con una scelta di argomenti che abbracciassero la vasta problematica familiare. Il corso dura quattro mesi, con frequenza trisettimanale (lunedì, mercoledì, venerdì, dalle 21 alle 23) e dà la possibilità di svolgere in modo sufficiente tutti i problemi che i fidanzati incontrano nel tempo del fidanzamento e incontreranno nella vita coniugale (etica, psicologia, ginecologia, nozioni di sociologia e di diritto, pronto soccorso familiare, puericoltura e psicologia infantile, cucina e dietetica, arredamento, convenienze sociali…). I corsi sono impostati in modo da accogliere tutti i giovani a qualunque ideologia appartengano. La formula ha incontrato e continua a incontrare il favore di molti giovani che vogliono prepararsi con serietà alla vita matrimoniale. L’équipe dei docenti è formata da circa 40 esperti nelle varie discipline, scelti col criterio della competenza, della capacità comunicativa e dell’esperienza. I responsabili sono un domenicano: il p. Giordano Muraro e una suora: suor Germana Consolaro del «Famulato cristiano» (una Congregazione che ha tra gli scopi principali l’apostolato familiare). Il C.P.F. di Torino si è diffuso nella regione piemontese e si è esteso anche ad altre città italiane, che ne han ripreso organizzazione e programmi. Oltre i corsi per fidanzati, svolge attività varie a favore della famiglia e dei problemi educativi in genere: corsi per genitori, corsi per insegnanti sul problema dell’educazione sessuale (più di mille insegnanti in due anni di attività); giornate di studio e di ricerca sui problemi familiari; dibattiti pubblici sui problemi attuali; consulenza matrimoniale e prematrimoniale. Il C.P.F. di Torino è fornito di una biblioteca specializzata sui problemi della famiglia e sull’educazione sessuale. Pubblica un mensile: «Costruire in due»; e ha creato, in collaborazione col C.I.S. (Centro italiano di Sessuologia) di Roma delle tavole anatomofisiologiche che saranno completate da un originale corso di educazione sessuale rivolto agli educatori.
Altri centri e movimenti. Esistono molti altri centri a carattere locale, organizzati seriamente con esperti che assicurano una continuità nello svolgimento dei corsi e prestano la loro opera anche per l’attività di consulenza. Tra questi ricordiamo: Centro attività familiari, Cuneo, corso Marconi 1; Centro «la famiglia», Napoli, S. Sebastiano 48; Scuola dì formazione al matrimonio, Vicenza, via Lampertico 16; Centro di preparazione alla famiglia, Bologna, via Garibaldi 3; Centro matrimoniale, Trento, via Mantova 21; «Pro familia», Trieste, via Ananian 5. E inoltre i «Centri famiglia» di Bari, viale Ennio 6; Pescara (viale G. d’Annunzio 60); Messina (via Aurelio Saffi 11); Palermo (via Ugdulena 9); il «Centro studi pavese di Sessuologia» (via D. Sacchi 13, Pavia) che pubblica la rivista bimestrale «La Coppia» per la «soluzione dei problemi della sessualità coniugale». Si sta inoltre diffondendo il costume di organizzare nelle diverse parrocchie e diocesi dei corsi per fidanzati (tre o più sere) che spesso vengono resi obbligatori per chi si presenta per celebrare il matrimonio-sacramento.
Un discorso particolare merita la Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali (U.C.I.P.E.M.), costituito legalmente in Bologna il 24-3-1968, che riunisce la maggior parte dei consultori di ispirazione cattolica (più di trenta diffusi in tutta Italia). Si propone non solo di svolgere una attività di consulenza matrimoniale e prematrimoniale, ma vuole anche promuovere í valori del matrimonio e della famiglia, e approfondire gli studi e le ricerche in questo settore.
Alcune riflessioni e osservazioni. Alla fine di questo lungo elenco di attività si potrebbe avere l’impressione che in Italia, la Chiesa stia svolgendo un’azione che raggiunge la maggior parte dei fidanzati. Infatti in Italia più del 97% dei giovani celebra il matrimonio religioso; per cui si potrebbe arrivare alla quasi totalità dei giovani attraverso una efficiente organizzazione a livello parrocchiale e diocesano.
In realtà le cose non sono così ottimistiche come l’apparenza potrebbe far sembrare. Molte diocesi e moltissime parrocchie non fanno nulla o quasi nulla. In molti luoghi i corsi vengono svolti in modo insufficiente, con persone non adeguatamente preparate a questo compito. Esiste una grande disparità nella scelta dei contenuti e nel metodo.
All’interno dei movimenti cattolici esiste un pluralismo di impostazione, dettato da un concetto diverso dell’intervento della Chiesa nella preparazione dei fidanzati, o da una diversa impostazione metodologica.
Per alcuni la Chiesa dovrebbe limitare la sua azione alla iniziazione al sacramento del matrimonio, e quindi dovrebbe interessarsi di quei giovani che coscientemente e liberamente scelgono il matrimonio cristiano. Ogni altro intervento avrebbe un carattere di «supplenza» alle carenze attuali dello Stato. Per altri, il discorso è diverso. La Chiesa deve mirare alla «salvezza» dell’uomo. Il suo carattere di sacramento di salvezza universale non può farle ignorare la situazione attuale. Moltissimi giovani hanno un atteggiamento di indifferenza o di insensibilità al discorso cristiano dell’amore, ma per questo non devono essere esclusi dalla preoccupazione e dall’azione della Chiesa. Al contrario: la Chiesa, partendo dalla situazione concreta, deve promuovere i valori autentici della vita di amore, sapendo che l’amore vissuto con serietà e impegno ha una naturale apertura a Dio e una forte disposizione al soprannaturale, che – se convenientemente esplicati al giovane – possono lentamente portare ad una sufficiente visione e impostazione cristiana della vita matrimoniale.
Esiste anche un discorso diverso per quel che riguarda i contenuti. Alcuni pensano che la Chiesa debba fare un discorso solo religioso-sacramentale, e concepiscono la preparazione al matrimonio come una pura catechesi. Altri ritengono che la preparazione debba comprendere anche gli aspetti naturali, psicologici e fisiologici, proprio per la particolare natura del sacramento del matrimonio, che assume ed eleva l’amore inteso globalmente in tutti i suoi aspetti.
Anche per quel che concerne il metodo troviamo delle diversità di impostazione. C’è chi punta maggiormente sulla «testimonianza» delle coppie che trasmettono un messaggio di vita.
Altri ritengono insufficiente questo metodo, perché particolaristico; e puntano maggiormente sulla figura dell’esperto che propone dei contenuti e dei valori validi per tutti e che ogni coppia farà propri e vivrà in modo personale. Tanto più che se la preparazione non si limita ad essere la comunicazione di valori religiosi, dovrà necessariamente avvalersi di «esperti «(medici, psicologi…), per comunicare informazioni, nozioni, soluzioni di problemi.
La difficoltà maggiore, però non è costituita da questo pluralismo. Anzi: il modo diverso di concepire l’azione della Chiesa, di scegliere i contenuti e le persone, può essere un’ottima occasione per un dialogo che approfondisca questa problematica.
Il vero ostacolo è costituito da una certa insensibilità che tuttora esiste in pastori di anime, quasi completamente inattivi in questo settore.
Ed è costituito ancor più dalla mancanza di persone preparate per svolgere questa attività. Spesso si ricorre a persone «qualunque»; oppure si invitano degli esperti che conoscono bene la loro professione, ma mancano di conoscenza dei problemi dei fidanzati e ignorano come si deve parlare a dei giovani che stanno vivendo l’amore e non vogliono essere «indottrinati».
Non si può ignorare che nella maggior parte dei casi queste persone dedicano (quasi sempre gratuitamente) i ritagli di una giornata impiegata nell’attività professionale, sottraendoli al riposo della propria famiglia.
Manca ancora in Italia la figura di chi può fare della attività rivolta alla famiglia una professione che gli permetta di vivere svolgendo questa opera in Centri, Consultori, movimenti organizzati. E finché non sì giungerà a questo, le opere rivolte ai fidanzati e alla famiglia dovranno vivere sulla generosità di volontari che dovranno prepararsi a dare la loro opera, impiegando tempo e fatica.
Giordano Muraro, O.P- consultorio familiare CPF Torino agosto 1973
Ripreso da Note di pastorale giovanile novembre 2016
www.notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=11708:come-vengono-aiutati-i-fidanzati-italiani-nella-preparazione-al-matrimonio&catid=336:npg-annata-1973&Itemid=207
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VIOLENZA
Maltrattamenti in famiglia: quando c’è reato?
Tribunale di Ivrea – Sezione penale – Sentenza n. 714, 3 giugno 2016
Niente reato se la condotta non è abituale: ci devono essere stati più episodi lesivi nei confronti della vittima. Un singolo episodio non basta. Subire una violenza all’interno delle mura domestiche – sia che si tratti di violenza fisica che psicologica – è tanto grave che la legge ha voluto prevedere, per questi casi, un apposito reato: quello di maltrattamenti in famiglia. Ma attenzione: non basta un semplice episodio violento per far scattare questo illecito penale, ma è necessaria una condotta abituale e ripetuta nel tempo. È quanto chiarito dal Tribunale di Ivrea con una recente sentenza. Ma procediamo con ordine e vediamo quali sono i presupposti del reato, anche alla luce delle varie pronunce della Cassazione.
Se il singolo episodio violento può integrare il diverso e più lieve reato di violenza privata, per avere il reato di maltrattamenti in famiglia è invece necessario che vi sia una pluralità:
Di atti lesivi dell’integrità, libertà e decoro della vittima;
Oppure di atti di disprezzo e umiliazione che offendano la dignità della vittima.
Con la sentenza in commento, il giudice ha chiarito che, affinché si possa procedere per maltrattamenti in famiglia, non basta il singolo episodio violento che trae origine da situazioni contingenti che possono verificarsi nei rapporti interpersonali di una convivenza familiare. Anche una serie di litigi tra marito e moglie, degenerati di tanto in tanto in violenze fisiche, non è sufficiente a far scattare i «maltrattamenti in famiglia», reato che, invece, richiede un quadro di sopraffazione sistematica e continua.
Difatti, il codice penale [Art. 572 cod. pen.] stabilisce che chiunque maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni. Il delitto comprende tutti quei fatti che possono produrre sofferenze sia fisiche che morali in colui che li subisce e che sono riprovati dalla coscienza pubblica in quanto ritenuti vessatori.
È necessario che nel reo vi sia una grave intenzione di avvilire e sopraffare la vittima: ciò riconduce a unità i vari episodi di aggressione, morale o materiale. Il reato è quindi realizzato da più atti; occorre quindi dimostrare che tutti i singoli fatti sono tra loro connessi e cementati in maniera inscindibile da una volontà unitaria, persistente e volta a una finalità criminosa. Il delitto si consuma col semplice porre in essere l’azione o l’omissione che rappresenta il primo fatto vessatorio, e perdura fino a che i maltrattamenti non siano cessati.
Non è necessario alcun danno. Secondo la giurisprudenza il reato si caratterizza infatti per la sussistenza di una serie di episodi, che acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo. Esso si perfeziona allorché si realizza un minimo di tali condotte (delittuose o meno) collegate da un nesso di abitualità e ciò anche nel caso in cui la serie reiterativa venga interrotta da una sentenza di condanna, o nel caso in cui tra una serie e l’altra, di atti costituenti i maltrattamenti, intercorra un intervallo di tempo sufficiente per ritenerle distinte.
Il reato di maltrattamenti in famiglia scatta non soltanto a seguito di percosse, minacce, ingiurie, privazioni imposte alla vittima, ma anche con atti di scherno, disprezzo, umiliazione e di asservimento idonei a cagionare durevoli sofferenze fisiche, anche solo morali. Lo stato di sofferenza e di umiliazione può derivare, al di là di specifici comportamenti vessatori, anche dal semplice “clima” instaurato all’interno della famiglia o della comunità. È necessario che l’agente eserciti, abitualmente, una forza oppressiva nei confronti di una persona della famiglia mediante l’uso delle più varie forme di violenza fisica o morale. È stato recentemente considerato reato di maltrattamenti anche il comportamento del genitore che riesce ad escludere dalla vita del figlio in maniera assoluta l’altra figura genitoriale e ciò anche nel caso in cui il minore non percepisce tali comportamenti come mortificanti o dolorosi.
La configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia deve essere esclusa se la moglie, presunta vittima del reato, reagisce alle intemperanze del marito e non assume mai un atteggiamento di passiva soggezione nei suoi confronti [Cass. Sent. n. 5258/2016].
Il reato di maltrattamento è integrato non soltanto da specifici comportamenti attivi direttamente opprimenti la persona offesa, ma anche da omissioni, ossia da una deliberata indifferenza verso elementari bisogni esistenziale di una persona disabile [Cass. Sent. n. 9724/2013].
Una legge del 2013 [Dl n. 93/2013 convertito con L. 119/2013] ha stabilito l’obbligo per le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia dei reati suddetti di fornire alla vittima stessa tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio e, in particolare, nella zona di residenza della vittima, e di mettere poi in contatto la vittima con i centri antiviolenza, qualora questa ne faccia espressamente richiesta.
Redazione Lpt 3 novembre 2016 sentenza e altre sentenze
www.laleggepertutti.it/138316_maltrattamenti-in-famiglia-quando-ce-reato
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