NewsUCIPEM n. 620 – 23 ottobre 2016

NewsUCIPEM n. 620 – 23 ottobre 2016
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ADDEBITO Quando il coniuge tradito ha diritto al risarcimento del danno.
ADOZIONE INTERNAZIONALE Il mistero dei dati non pubblicati dalla Cai. L’Aja bacchetta l’Italia.
AFFIDO CONDIVISO Il “boicottaggio” dell’altro genitore costa il risarcimento.
AMORIS LAETITIA La recezione di AL: il decalogo dei vescovi di Buenos Aires.
ASSEGNO DIVORZILE Ex moglie casalinga al sud: il mantenimento è più alto.
CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 20/2016, 19 ottobre 2016.
CHIESA CATTOLICA I numeri della Chiesa Cattolica nel mondo.
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Consiglio Episcopale per la 39a Giornata Nazionale per la vita.
CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Roma 1- via della Pigna 13° Laboratori esperienziali.
CONVIVENZA Come ci si separa da una convivenza?
Convivenza blocca espulsione.
CORTE COSTITUZIONALE Diritto del genitore “sociale” a mantenere rapporti con il minore.
DALLA NAVATA 30° Domenica del tempo ordinario – anno C – 23 ottobre 2016.
Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
DEMOGRAFIA Italia. Nuovo calo demografico nei primi sei mesi del 2016.
DIVORZIO Quali diritti si perdono con il divorzio?
OBIEZIONE DI COSCIENZA Medici cattolici: No obiezione quando la donna è in pericolo di vita
POLITICHE FAMILIARI Collaborazione Governo e Autorità garante infanzia e adolescenza-
SEPARAZIONE Come separarsi.
6 consigli per i genitori separati, per il bene dei figli.
TRIBUNALE PER I MINORENNI Il ruolo del giudice onorario minorile.
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ADDEBITO
Ecco quando il coniuge tradito ha diritto al risarcimento del danno
Casi e presupposti in cui al tradimento può seguire una condanna per risarcimento danni. Fiumi di pagine hanno alimentato nel corso degli anni la giurisprudenza in tema di infedeltà e addebito della separazione: il codice civile, all’art. 143, prevede espressamente quali sono “I diritti e doveri reciproci dei coniugi”. In base a tale norma i coniugi sono tenuti non solo a collaborare nell’interesse della famiglia, a vivere sotto uno stesso tetto e a garantirsi una reciproca assistenza morale e materiale, l’art. 143 pone a carico delle parti anche un obbligo reciproco alla fedeltà.
Cosa accade in caso di comportamenti contrari al dovere di fedeltà? Innanzitutto in sede di separazione, il giudice, se accerta che il comportamento di un coniuge è stato contrario ai doveri che derivano dal matrimonio (art. 151 c.c.), dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi questa sia addebitabile. Naturalmente l’addebito non consegue automaticamente alla mera presa d’atto dell’avvenuto tradimento: è, infatti, necessario accertare se la violazione del dovere di fedeltà abbia assunto specifica efficienza causale nella determinazione della crisi coniugale, ovvero se la relazione extra coniugale sia intervenuta quando la coppia era già in crisi per altri motivi.
Diverse le pronunce in cui si è ricordato che al coniuge infedele non è addebitabile la separazione se il tradimento non è stato la causa scatenante della crisi matrimoniale, crisi che, invece, era già in atto ed era stata provocata da altre ragioni. In sostanza solo quando la relazione è naufragata per colpa del coniuge fedifrago e del suo comportamento infedele, allora il tradimento può essere davvero motivo di addebito della separazione.
Il risarcimento del danno in favore del coniuge tradito. La Cassazione, tuttavia, si è spinta oltre, arrivando a riconoscere al coniuge tradito addirittura il diritto al risarcimento del danno, in quanto la violazione degli obblighi coniugali è idonea a integrare un vero e proprio illecito civile, vista la natura giuridica, oltre che morale, dei doveri derivanti dall’unione. In una sentenza del 2005 (n. 9801/2005) la Corte aveva fatto notare che i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio non sono di carattere esclusivamente morale, ma hanno natura giuridica, come si desume dal riferimento, contenuto nell’art. 143 c.c., alle nozioni di dovere, di obbligo e di diritto nonché dall’espresso riconoscimento, nell’art. 160 c.c., della loro inderogabilità e dalle conseguenze di ordine giuridico che l’ordinamento fa derivare dalla loro violazione. Cosicché deve ritenersi che l’interesse di ciascun coniuge nei confronti dell’altro alla loro osservanza abbia valenza di diritto soggettivo.
Prendendo spunto da questa posizione, nella nota sentenza n. 18853/2011, la prima sezione civile della Cassazione ha precisato che la violazione di quei doveri non trova necessariamente la propria sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma può anche, ove ne sussistano tutti i presupposti secondo le regole generali, integrare gli estremi di un illecito civile.
Presupposti per ottenere il risarcimento. Per la Corte, però, non è sufficiente in tal senso la mera violazione dei doveri matrimoniali, e neppure la pronuncia di addebito della separazione: questi non possono di per sé e automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria, dovendo, in particolare, quanto ai danni non patrimoniali, riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i presupposti per cui viene riconosciuta detta responsabilità ossia la concreta violazione del dovere coniugale, la sussistenza del danno ingiusto e la prova del nesso causale tra violazione commessa e danno procurato. Nel caso dell’infedeltà va dimostrato, precisa il Collegio, che questa “per le sue modalità e in relazione alla specificità della fattispecie, abbia dato luogo a lesione della salute del coniuge (lesione che dovrà essere dimostrata anche sotto il profilo del nesso di causalità)” oppure se “l’infedeltà per le sue modalità abbia trasmodato in comportamenti che, oltrepassando i limiti dell’offesa di per sé insita nella violazione dell’obbligo in questione, si siano concretizzati in atti specificamente lesivi della dignità della persona, costituente bene costituzionalmente protetto”.
La Cassazione aggiunge che l’azione non è impedita dal fatto che i coniugi siano addivenuti a separazione consensuale e la separata azione per il risarcimento dei danni prodotti dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e riguardanti diritti costituzionalmente protetti è esperibile anche in mancanza di addebito della separazione. L’indirizzo innovativo della Cassazione ha trovato conferma in diverse pronunce recenti: nell’ordinanza 19193/2015 la Suprema Corte ha confermato la condanna al risarcimento dei danni di un ex marito che aveva, con un atteggiamento equivoco e mistificatorio, indotto la moglie a ritenere superata la pregressa crisi coniugale mentre, per anni, aveva portato avanti una convivenza con altra donna di cui erano a conoscenza almeno i parenti dell’uomo. Tale comportamento aveva provocato uno stato di depressione grave nella moglie, oltre che una grave lesione della dignità personale, ponendosi come produttivo di danni risarcibili.
Da questo indirizzo ha preso le distanze, di recente, il Tribunale di Roma (sentenza 25 giugno 2015), affermando che non può essere accolta la domanda di risarcimento danni per violazione dei doveri coniugali, se non c’è stata una pronuncia di addebito della separazione. Per il Tribunale capitolino non può escludersi un rapporto di accessorietà tra addebito e domanda risarcitoria: trattandosi di danno derivante dalla violazione di specifici obblighi coniugali il medesimo dovrebbe essere necessariamente azionato nell’ambito del giudizio di separazione, con conseguente preclusione di un’azione successiva che potrebbe astrattamente porsi in contrasto con il giudicato già in precedenza formatosi sulla separazione.
Lucia Izzo studio Cataldi 17 ottobre 2016
www.studiocataldi.it/articoli/23699-ecco-quando-il-coniuge-tradito-ha-diritto-al-risarcimento-del-danno.asp
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
Il mistero dei dati non pubblicati dalla Cai. L’Aja bacchetta l’Italia e le famiglie si attivano da sole
Lo scorso 12 ottobre 2016 nel corso della sua audizione alla Camera, la vicepresidente della Cai (Commissione Adozioni internazionali), Silvia Della Monica a proposito della mancata pubblicazione degli annuali report statistici sulle adozioni internazionali realizzate in Italia nel 2014 e 2015, ha dichiarato: “la tabella pubblicata sul sito della Cai è anche sul sito del segretariato de L’Aja, mi riesce difficile comprendere come sia possibile mettere in discussione dei dati che sono certificati da L’Aja”.
Pochi minuti prima aveva precisato che “non c’è obbligo per la Cai di fornire i dati” e che quella sulla mancata pubblicazione degli stessi è “una polemica strumentale attorno a un falso problema che nulla ha a che fare con l’inadempienza”.
Bene tutte dichiarazioni facilmente smentibili. Il Permanent Bureau de L’Aja non ha fra i propri compiti quello di certificare, ma semplicemente quello di raccogliere e pubblicare sul proprio sito i dati inviati dalle varie Autorità Centrali. Come dimostra, infatti il sito ufficiale de L’Aja dove è pubblicato il rapporto statistico dal 2004 al 2014 dei principali Paesi di origine e di accoglienza dei minori adottati, realizzato da Peter Selman, dell’Università di Newcastle. Quindi un ente esterno che si “limita” a raccogliere i dati forniti dalle Autorità centrali e/o competenti dei vari Paesi senza pretesa di totale esaustività tanto è vero che lo stesso Selman precisa “Comments, corrections and suggestions by e-mail are welcome”.
https://assets.hcch.net/docs/3bead31e-6234-44ae-9f4e-2352b190ca21.pdf
Nasce allora spontanea una domanda. Se fosse, come affermato da Della Monica, che L’Aja certifica i dati, che bisogno ci sarebbe da parte dell’Università di Newcastle nel precisare che sono ben accetti “commenti, correzioni e suggerimenti?”. Sulla situazione italiana, inoltre, nello specifico L’Aja rileva che i dati relativi al 2014 non sono completi: precisa infatti che “Detailed statistics for Italy (total only available) awaited’. Evidentemente la CAI non ha fornito i numeri dei bambini adottati Paese per Paese limitandosi a fornire semplicemente e riduttivamente il dato complessivo dei minori accolti, pari a 2206. Tanto è vero che nella seconda tabella una nota specifica “Based on 23 states (excluding Italy)”
Che fare allora? Di fronte a questa situazione di totale mancanza di trasparenza e legalità, le famiglie italiane non hanno altra strada che attivarsi direttamente chiedendo di conoscere i dati che dovrebbero essere pubblici da tempo. Da qui l’iniziativa di famiglie esasperate per la latitanza di un’istituzione come la CAI (anche la nuova presidente Maria Elena Boschi sembra essere scomparsa prima ancora di iniziare a lavorare) che si attivano divulgando via social dei moduli con cui chiedere l’accesso agli atti, ovvero di potere conoscere i dati relativi alle adozioni internazionali effettuate dall’Italia.
Questo nella speranza di ricevere un riscontro perché, come evidenziato nei tweet delle stesse coppie, #unpaesecivilerisponde.
https://twitter.com/fabioselini/status/787946100070252544?lang=it
News Ai. Bi. 21 ottobre 2016
www.aibi.it/ita/adozioni-internazionali-il-mistero-dei-dati-non-pubblicati-dalla-cai-laja-bacchetta-litalia-e-le-famiglie-si-attivano-da-sole
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AFFIDO CONDIVISO
Il “boicottaggio” dell’altro genitore costa il risarcimento
Tribunale di Roma, prima Sezione civile, sentenza n. 18799, 11 ottobre 2016.
E’ preciso onere di ogni genitore attivarsi per recuperare e mantenere l’immagine dell’altro genitore nei confronti del figlio. In caso di “boicottaggio”, scatta la sanzione del risarcimento del danno ex articolo 709-ter del Codice di procedura civile in favore del genitore “alienato”. Lo stabilisce il Tribunale di Roma.
Accertato che il genitore collocatario (la mamma) non aveva in alcun modo tentato di riavvicinare il figlio al padre “risanandone il rapporto nella direzione di un sano e doveroso recupero necessario per la crescita equilibrata del minore, ma al contrario continuando a palesare la sua disapprovazione in termini screditanti nei confronti del marito”, il Tribunale ha viceversa affermato che la ex moglie avrebbe dovuto attivarsi per “consentire il giusto recupero del ruolo paterno da parte del figlio, che nella tutela della bigenitorialità cui è improntato lo stesso affido condiviso postula il necessario superamento delle mutilazioni affettive del minore”. Occorreva spingere il figlio verso il padre, invece di prendere tutti i pretesti per sfuggire agli incontri programmati, cercando di recuperare “la positività della concorrente figura genitoriale nel rispetto delle decisioni da costui assunte”.
In buona sostanza per il Tribunale di Roma entrambi i genitori – in quanto preciso onere del corretto esercizio della responsabilità genitoriale – devono aver rispetto dell’ex, che va salvaguardato nei confronti dei figli. Cosa non avvenuta nel caso di specie, tanto che il giudice ha poi “ordinato” al genitore collocatario di condurre il figlio da un terapeuta per aiutarlo a riprendere i rapporti con il padre.
Ma non è finita lì. Alla luce della “condotta genitoriale, volta ad ostacolare il funzionamento dell’affido condiviso con gli atteggiamenti sminuenti e denigratori della figura paterna”, il giudice – seguendo la costante giurisprudenza della sezione Famiglia del Tribunale di Roma – ha applicato il meccanismo sanzionatorio previsto dall’articolo 709-ter Cpc, ammonendo la madre e stabilendo a suo carico un risarcimento danni di 30mila euro, liquidato in via equitativa (si tratta di persone più che benestanti).
L’obiettivo dichiarato dal Tribunale è anche dissuasivo: evitare il protrarsi delle condotte pregresse, “minacciando” in caso contrario “sanzioni ancor più gravi compresa la revisione delle condizioni dell’affido”.
La sentenza ribadisce poi un principio consolidato, rigettando la richiesta di revisione delle condizioni economiche. L’assegno divorzile è legato alle condizioni del coniuge onerato e a quelli che sono i ragionevoli sviluppi delle situazioni preesistenti: quindi niente da fare se l’incremento patrimoniale dell’ex-coniuge obbligato deriva da un lascito ereditario successivo alla cessazione della convivenza. Si tratta infatti di miglioramenti “scaturiti da un evento autonomo per altro di natura straordinaria ed una tantum”, che mai potrebbero costituire l’evoluzione di aspettative dell’altro coniuge quando il vincolo matrimoniale è definitivamente sciolto con il divorzio.
Franca Deponti Il Sole 24 Ore 19 ottobre 2016
www.oua.it/sentenze-il-boicottaggio-dellaltro-genitore-costa-il-risarcimento-il-sole-24-ore
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AMORIS LAETITIA
La recezione di “Amoris Laetitia”: il decalogo dei vescovi di Buenos Aires
Il 5 settembre 2016 i vescovi di Buenos Aires hanno preparato per il loro presbiteri un testo esplicativo di Amoris Laetitia dal titolo “Criteri di base per l’applicazione del capitolo VIII di Amoris Laetitia”. Il testo era stato inviato al Papa e, con la stessa data, cioè il medesimo giorno 5 settembre 2016, il vescovo di Roma rispondeva con una lettera nella quale scrive: “Il testo è molto buono e spiega in modo eccellente il capitolo VIII di Amoris laetitia. Non c’è altra interpretazione. Sono sicuro che farà molto bene”.
Questo testo di approvazione da parte di papa Francesco attribuisce al “decalogo” dei vescovi argentini un valore di “interpretazione autentica” del cap. VIII della Esortazione. In tal modo crea un importante precedente per la recezione del testo. L’esame della situazione ecclesiale e gli orientamenti che i Vescovi offrono ai loro presbiteri costituiscono una autorevole testimonianza della serietà con cui il testo della Esortazione Apostolica può essere recepito e messo in grado di incidere sulla realtà familiare ed ecclesiale. Accogliere, accompagnare, discernere e reintegrare delineano – nella prudenza e nella lucidità – una svolta nella pastorale familiare. Il criterio dello scandalo non è più il criterio sovrano: si fa spazio il discernimento e il bene possibile. Soprattutto la autocoscienza episcopale e presbiterale deve maturare un conversione non piccola: acquisire la esigenza di “comprendere un punto di vista diverso”. Questo significa che la “legge oggettiva” resta necessaria, ma non è più sufficiente. Se quella visione pretendesse di restare sufficiente – come poteva esserlo prima – rischierebbe di deformare irrimediabilmente il profilo del Vangelo e di impedire un convincente annuncio della misericordia di Dio.
Qui di seguito si legge una traduzione del testo dei vescovi. Di seguito c’è l’originale sia del testo che della lettera di approvazione da parte del Papa: questa lettera è stata pubblicata anche su L’Osservatore Romano.
Criteri di base per l’applicazione del capitolo VIII di Amoris Laetitia
Cari sacerdoti, abbiamo ricevuto con gioia l’esortazione Amoris Laetitia che ci spinge in primo luogo a far crescere l’amore degli sposi e a motivare i giovani affinché scelgano il matrimonio e la famiglia. Questi sono i grandi temi che mai dovrebbero essere trascurati né dimenticati a causa di altri problemi. Francesco ha aperto diverse porte nell’ambito della pastorale familiare e siamo chiamati ad approfittare di questo tempo di misericordia e a farlo nostro come Chiesa. Di seguito ci soffermeremo solo sul capitolo VIII poiché fa riferimento ad “orientamenti del vescovo” (300) in ordine al discernimento sul possibile accesso ai sacramenti di qualche “divorziato che vive una nuova unione”. Pensiamo opportuno, come vescovi di una medesima regione pastorale, avere in comune alcuni criteri di massima. Senza togliere nessuna autorità ai competenti vescovi delle diocesi, che possono precisarli, completarli o adeguarli.
Innanzitutto vogliamo ricordare che non è opportuno parlare di “permesso” per accedere ai sacramenti, ma di un processo di discernimento accompagnati da un pastore. Questo discernimento è «personale e pastorale» (300).
In questo percorso, il pastore deve porre l’accento sull’annuncio fondamentale, il kerygma, che stimoli all’ incontro personale con Gesù Cristo vivo o a rinnovare tale incontro (cfr. 58).
L’accompagnamento pastorale è un esercizio dalla «via caritatis». È un invito a seguire «la via di Gesù, che è quella della misericordia e dell’integrazione» (296). Questo itinerario appella alla carità pastorale del sacerdote che accoglie il penitente, lo ascolta attentamente e gli mostra il volto materno della Chiesa, mentre, contemporaneamente, accetta la sua retta intenzione e il suo buon proposito di leggere la propria vita alla luce del Vangelo e di praticare la carità (cfr. 306).
Questo cammino non finisce necessariamente nell’accesso ai sacramenti, ma può anche orientarsi ad altre forme di integrazione proprie della vita della Chiesa: una maggior presenza nella comunità, la partecipazione a gruppi di preghiera o di meditazione, l’impegno in qualche servizio ecclesiale, etc. (cfr. 299)
Quando le circostanze concrete di una coppia lo rendono fattibile, in particolare quando entrambi sono cristiani con un cammino di fede, si può proporre l’impegno di vivere la continenza sessuale. Amoris laetitia non ignora le difficoltà di questa scelta (cfr. nota 329) e lascia aperta la possibilità di accedere al sacramento della Riconciliazione quando non si riesca a mantenere questo proposito (cfr. nota 364, secondo gli insegnamenti di san Giovanni Paolo II al Cardinale W. Baum, del 22/03/1996).
In altre circostanze più complesse, e quando non si è potuta ottenere la dichiarazione di nullità, l’opzione appena menzionata può di fatto non essere percorribile. Ciò nonostante, è ugualmente possibile una percorso di discernimento. Se si giunge a riconoscere che, in un determinato caso, ci sono dei limiti personali che attenuano la responsabilità e la colpevolezza (cfr. 301-302), particolarmente quando una persona consideri che cadrebbe in ulteriori mancanze danneggiando i figli della nuova unione, Amoris laetitia apre la possibilità dell’accesso ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucarestia (cfr. nota 336 y 351). Questi, a loro volta, disporranno la persona a continuare il processo di maturazione e a crescere con la forza della grazia.
Ma bisogna evitare di capire questa possibilità come un semplice accesso “allargato” ai sacramenti, o come se qualsiasi situazione giustificasse questo accesso. Quello che viene proposto è un discernimento che distingua adeguatamente caso per caso. Per esempio, speciale attenzione richiede «una nuova unione che viene da un recente divorzio» o «la situazione di chi è ripetutamente venuto meno ai propri impegni familiari» (298). O, ancora, quando c’è una sorta di apologia o di ostentazione della propria situazione «come se facesse parte dell’ideale cristiano» (297). In questi casi più difficili, i pastori devono accompagnare le persone con pazienza cercando qualche cammino di integrazione (cfr. 297, 299).
È sempre importante orientare le persone a mettersi in coscienza davanti a Dio, e a questo fine è utile l’«esame di coscienza» che propone Amoris laetitia (cfr. 300), specialmente per ciò che si riferisce a «come ci si è comportati con i figli» o con il coniuge abbandonato. Quando ci sono state ingiustizie non risolte, l’accesso ai sacramenti risulta di particolare scandalo.
Può essere opportuno che un eventuale accesso ai sacramenti si realizzi in modo riservato, soprattutto quando si possano ipotizzare situazioni di disaccordo. Ma allo stesso tempo non bisogna smettere di accompagnare la comunità per aiutarla a crescere in spirito di comprensione e di accoglienza, badando bene a non creare confusioni a proposito dell’insegnamento della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio. La comunità è strumento di una misericordia che è «immeritata, incondizionata e gratuita» (297).
Il discernimento non si conclude, perché «è dinamico e deve rimanere sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno» (303), secondo la «legge della gradualità» (295) e confidando sull’aiuto della grazia.
Siamo innanzitutto pastori. Per questo vogliamo fare nostre queste parole del Papa: «Invito i pastori ad ascoltare con affetto e serenità, con il desiderio sincero di entrare nel cuore del dramma delle persone e di comprendere il loro punto di vista, per aiutarle a vivere meglio e a riconoscere il loro proprio posto nella Chiesa» (312). Con affetto in Cristo. I vescovi della Regione 5 settembre 2016
La traduzione è tratta dal sito:
https://mauroleonardi.it/2016/09/09/il-papa-avvalla-come-lunica-possibile-linterpretazione-che-i-vescovi-argentini-danno-di-amoris-laetitia
Andrea Grillo blog: Come se non 18 ottobre 2016
www.cittadellaeditrice.com/munera/la-recezione-di-amoris-laetitia-4-il-decalogo-dei-vescovi-di-buenos-aires
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ANONIMATO DEL PARTO
Diritto a conoscere le proprie origini biologiche e interesse alla segretezza della madre.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, Sentenza n. 15024, 21 luglio 2016
A seguito della morte della madre che ha partorito mantenendo segreta la propria identità, l’interesse alla segretezza diventa recessivo di fronte al diritto della figlia adottiva di conoscere le proprie origini biologiche ed ha, pertanto, accolto l’istanza di accesso alle informazioni relative all’identità del genitore biologico, precedentemente rigettata dal giudice del merito.
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 15968 – 19 ottobre 2016
www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/per.php?id_cont=15968.php
Sentenza http://www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=13145
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ASSEGNO DIVORZILE
Ex moglie casalinga al sud: il mantenimento è più alto.
Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, Ordinanza n. 20937, 17 ottobre 2016
Confermato dalla Cassazione l’assegno monstre a carico dell’ex marito. Decisive le difficoltà della donna nel trovare occupazione. Per la ex moglie che si è dedicata a tempo pieno alla famiglia e che si ritrova, a matrimonio finito, con una certa età e con poche possibilità di trovare lavoro, per giunta al Sud dove il mercato è più difficoltoso, il mantenimento ha ragione di essere elevato. A stabilirlo è la Cassazione, confermando l’assegno mensile di 1.400 euro a favore di una ex moglie, casalinga e con evidenti difficoltà nel trovare un’occupazione.
A nulla rilevano le doglianze dell’uomo che sottolineava, tra l’altro, come la donna non avesse dimostrato di essersi attivata per la ricerca di una occupazione lavorativa. Per gli Ermellini, il ragionamento della Corte d’Appello di Palermo non fa una piega. La donna, infatti, non ha mai lavorato nel corso del matrimonio al di fuori dell’attività di casalinga. La sua età, la mancanza di una qualche formazione professionale e le particolari condizioni del mercato del lavoro del Mezzogiorno consentono, inoltre, di ritenere inesistente per la stessa una concreta possibilità di reperire un’occupazione lavorativa.
Per contro invece, la posizione dell’uomo è solida, con un reddito annuo netto di più di 40mila euro che gli consente sia di mantenere l’ex moglie sia di provvedere “in maniera libera e dignitosa” alla nuova famiglia che ha costruito. Per cui, ricorso rigettato ed ex marito condannato a pagare anche le spese processuali.
Marina Crisafi Studio Cataldi 19 ottobre 2016 Ordinanza
www.studiocataldi.it/articoli/23736-ex-moglie-casalinga-al-sud-il-mantenimento-e-piu-alto.asp
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CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF
Newsletter n. 20/2016, 19 ottobre 2016.
L’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha recentemente bocciato per l’ennesima volta le richieste del Rapporto De Sutter, una senatrice belga dei Verdi, sulla maternità surrogata. La votazione giunge dopo due anni di dibattito, dopo altre quattro votazioni negative, e appare un segnale forte di una netta volontà politica a dire no a qualunque forma di “utero in affitto”: Editoriale di Famiglia cristiana. 18 ottobre 2016
www.famigliacristiana.it/articolo/maternita-surrogata-leuropa-ha-detto-un-netto-no-allutero-in-affitto.aspx?
Questo importante pronunciamento bi-partisan conferma la forte consapevolezza che siano in gioco valori antropologici decisivi, come l’assoluta indisponibilità del corpo delle donne per qualsiasi commercializzazione della maternità. Che non sia solo una “questione dei cattolici” lo conferma la campagna mondiale #stopsurrogacynow – www.stopsurrogacynow.com/the-statement/statement-italiano
ma anche il recente appello promosso in Italia, Lesbiche contro la GPA: Nessun regolamento sul corpo delle donne. www.danieladanna.it/wordpress/?cat=1
Vedi anche il Comunicato stampa della Federazione Europea delle Associazioni Familiari Cattoliche (FAFCE).
www.fafce.org/index.php?option=com_content&view=article&id=352:press-release-surrogacy-stopped-again-at-the-council-of-europe&catid=69:council-of-europe&Itemid=234&lang=en
La questione della maternità surrogata può quindi essere anche un punto di incontro tra culture differenti, su altri temi magari contrapposte, ma qui “alleate” contro la disumanizzazione tecnocratica delle relazioni fondative del vivere.
Segnaliamo infine un recente articolo sulla situazione indiana, dove invece è frequente la pratica dell’utero in affitto. Virginie Rozee, Sayeed Unisa, Elise de La Rochebrochard, La gestation pour autrui en Inde, Population et Sociétés, n° 537, Octobre 2016. Francesco Belletti, Cisf
www.ined.fr/fr/actualites/presse/12-10-2016-la-gestation-pour-autrui-en-inde
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Dall’estero. Marriage Care: un servizio per la preparazione al matrimonio, la coppia e la famiglia, diffuso in Inghilterra e nel Galles. “Marriage Care aiuta le coppie e gli individui a costruire e sostenere relazioni forti, soddisfacenti e sane. Offre inoltre servizi di consulenza a fronte di difficoltà relazionali. E lo facciamo da oltre 70 anni! […]” Sito molto interessante, per una rete di centri di consulenza/consultori che cercano di intervenire prima che la crisi generi la rottura della relazione di coppia. Interessante anche la lista di siti/altre organizzazioni che operano sullo stesso ambito di azione nel Regno Unito.
Uno di noi -One of us. Prosegue la campagna di sensibilizzazione per la tutela del concepito. La campagna europea (n. 5) di iniziativa dei cittadini europei “UNO DI NOI. Dignità e diritti umani fin dal concepimento” non si è conclusa con la consegna di 1.894.693 adesioni certificate da 28 Paesi dell’Unione, né tantomeno con l’insoddisfacente presa d’atto della Commissione Europea. La rete europea di “Uno di noi” rilancia una “Petizione-Appello-Testimonianza”, per difendere i diritti dell’embrione, il riconoscimento della sua dignità, il divieto di qualsiasi suo uso come materiale biologico per sperimentazioni.
Save the date
Nord: “In mezzo alla gente”. Sesto Festival della Dottrina Sociale, Verona, Fondazione Segni Nuovi, 24-27 novembre 2016.
Affido e adozione: aspetti clinici, sociali e giuridici nel lavoro con le famiglie accoglienti, Master Universitario di secondo livello, a.a. 2016/2017 – IV edizione, ASAG (Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli), Università Cattolica, Milano, Marzo 2017 – Dicembre 2018.
Centro: Aborto… e poi? Le evidenze scientifiche relative alla salute mentale nel post-aborto, aggiornamento scientifico promosso dalla APPC (Associazione Psicologi e Psichiatri Cattolici) della Toscana, Firenze, 3 dicembre 2016.
Sud: Povertà e deprivazione infantile. Barriere alla speranza di crescere, TFIEY-Italia/Fondazione Zancan, Napoli, 27 ottobre 2016.
Estero: Les unions, la fécondité et la parentalité du point de vue des hommes (Men’s perspective in unions, fertility and parenthood), 42nd Quetelet Conference, Centre de recherche en démographie, Louvain-la-Neuve (B), 9-10 november 2016
http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/ottobre2016/20/index.html
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CHIESA CATTOLICA
I numeri della Chiesa Cattolica nel mondo
Pubblicato da Fides il rapporto sulle statistiche 2016, in occasione della Giornata mondiale missionaria. Crescono i cattolici nel mondo, diminuiscono in Europa. La buona notizia è che continua a crescere il numero di cattolici nel mondo, quella meno buona, almeno per gli europei, è che l’unico continente in cui va diminuendo la presenza dei cattolici è proprio l’Europa. Sono i dati che emergono dal rapporto sullo situazione della Chiesa cattolica nel mondo pubblicato, come di consueto, dall’agenzia Fides in occasione della Giornata Missionaria Mondiale del 23 ottobre 2016, che quest’anno giunge alla sua 90° celebrazione.
Il rapporto è aggiornato ai dati dell’Annuario Statistico della Chiesa al 31 dicembre 2014 e riguardano i membri della Chiesa, le sue strutture pastorali, le attività nel campo sanitario, assistenziale ed educativo.
Secondo quanto riportato da Fides al 31 dicembre 2014 la popolazione mondiale era pari a 7.160.739.000 persone, ed i cattolici 1.272.281.000 unità, pari al 17,77%. Della popolazione mondiale, con un aumento complessivo di 18.355.000 persone.
I cattolici sono cresciuti in Africa (+8.535.000) in America (+6.642.000), in Asia (+3.027.000) in Oceania (+208.000). Sono diminuiti in Europa (-57.000). Il numero totale dei Vescovi nel mondo è aumentato di 64 unità, raggiungendo quota 5.237. Aumentato il numero totale dei sacerdoti nel mondo. + 444 unità rispetto all’anno precedente, raggiungendo quota 415.792.
L’Europa perde (-2.564) sacerdoti, l’America (-123) e l’Oceania (-86), mentre gli aumenti si registrano in Africa (+1.089) e Asia (+2.128). I diaconi permanenti nel mondo sono aumentati di 1.371 unità, raggiungendo il numero di 44.566. L’aumento più consistente si conferma in America (+965) e in Europa (+311), cui si aggiungono quest’anno Africa (+25), Asia (+65) ed Oceania (+5).
I religiosi non sacerdoti crescono in Africa (+331) e in Asia (+66), mentre diminuiscono in America (-362), Europa (-653) e Oceania (-76). Le religiose, che nel complesso sono 682.729, crescono in Africa (+725) e in Asia (+604), diminuiscono in America (–4.242), Europa (-7.733) e Oceania (–200).
Il numero dei Missionari laici nel mondo è pari a 368.520, con un aumento globale di 841 unità ed aumenti in Africa (+9), Europa (+6.806) e Oceania (+41). Diminuiscono invece in America (-5.596) e Asia (-419).
I Catechisti nel mondo sono aumentati complessivamente di 107.200 unità, raggiungendo quota 3.264.768. Anche quest’anno consistenti aumenti si registrano in Africa (+103.084), in Asia (+6.862), in misura più contenuta in Oceania (+271). Diminuzioni in America (-2.814) e in Europa (-203).
I seminaristi maggiori, diocesani e religiosi, sono diminuiti, precisamente di 1.312 unità, raggiungendo il numero di 116.939. Gli aumenti si registrano solo in Africa (+636), mentre diminuiscono in America (-676), Asia (-635), Europa (-629) ed Oceania (-8).
I seminaristi minori, diocesani e religiosi, crescono ovunque +1.014 unità, raggiungendo il numero di 102.942. Ad eccezione dell’Oceania (-42) crescono in Africa (+487), in America (+1), in Asia (+174) ed anche in Europa (+394). La Chiesa cattolica è fortissima nei campi dell’educazione e della sanità, dove non rivali.
Nel campo dell’istruzione e dell’educazione, la Chiesa gestisce nel mondo 73.580 scuole materne frequentate da 7.043.634 alunni; 96.283 scuole primarie per 33.516.860 alunni; 46.339 istituti secondari per 19.760.924 alunni. Inoltre segue 2.477.636 alunni delle scuole superiori e 2.719.643 studenti universitari.
Gli istituti di beneficenza e assistenza gestiti nel mondo dalla Chiesa comprendono: 5.158 ospedali con le presenze maggiori in America (1.501) ed Africa (1.221); 16.523 dispensari, per la maggior parte in Africa (5.230), America (4.667) e Asia (3.584); 612 lebbrosari distribuiti principalmente in Asia (313) ed Africa (174); 15.679 case per anziani, malati cronici ed handicappati, per la maggior parte in Europa (8.304) ed America (3.726); 9.492 orfanotrofi per la maggior parte in Asia (3.859); 12.637 giardini d’infanzia con il maggior numero in Asia (3.422) e America (3.477); 14.576 consultori matrimoniali, per gran parte in Europa (5.670) ed America (5.634); sono 928 in Asia, 2.088 in Africa, 256 in Oceania; 3.782 centri di educazione o rieducazione sociale e 37.601 istituzioni di altro tipo. il testo completo delle Statistiche
Redazione Zenit 22 ottobre 2016
https://it.zenit.org/articles/i-numeri-della-chiesa-cattolica-nel-mondo
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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
Messaggio del Consiglio Episcopale per la 39a Giornata Nazionale per la vita (5 febbraio 2017.)
Donne e uomini per la vita Nel solco di Santa Teresa di Calcutta. Il coraggio di sognare con Dio
Alla scuola di Papa Francesco s’impara a sognare. Spesso nelle udienze fa riferimento ai sogni dei bambini e dei giovani, dei malati e degli anziani, delle famiglie e delle comunità cristiane, delle donne e degli uomini di fronte alle scelte importanti della vita. Sognare con Dio e con Lui osare e agire! Quando il Papa commenta la Parola di Dio al mattino o quando tiene discorsi nei vari viaggi apostolici, non manca di incoraggiare a sognare in grande. È nota la sua devozione a san Giuseppe, che considera uomo del “sogno” (Cfr. Mt 1,20.24). Quando si rivolge alle famiglie, ricorda loro che il sogno di Dio “continua a realizzarsi nei sogni di molte coppie che hanno il coraggio di fare della loro vita una famiglia; il coraggio di sognare con Lui, il coraggio di costruire con Lui, il coraggio di giocarci con Lui questa storia, di costruire un mondo dove nessuno si senta solo, nessuno si senta superfluo o senza un posto”.
I bambini e i nonni, il futuro e la memoria. Per Papa Francesco il sogno di Dio si realizza nella storia con la cura dei bambini e dei nonni. I bambini “sono il futuro, sono la forza, quelli che portano avanti. Sono quelli in cui riponiamo la speranza”; i nonni “sono la memoria della famiglia. Sono quelli che ci hanno trasmesso la fede. Avere cura dei nonni e avere cura dei bambini è la prova di amore più promettente della famiglia, perché promette il futuro. Un popolo che non sa prendersi cura dei bambini e dei nonni è un popolo senza futuro, perché non ha la forza e non ha la memoria per andare avanti”.
Una tale cura esige lo sforzo di resistere alle sirene di un’economia irresponsabile, che genera guerra e morte. Educare alla vita significa entrare in una rivoluzione civile che guarisce dalla cultura dello scarto, dalla logica della denatalità, dal crollo demografico, favorendo la difesa di ogni persona umana dallo sbocciare della vita fino al suo termine naturale. È ciò che ripete ancora oggi Santa Teresa di Calcutta con il famoso discorso pronunciato in occasione del premio Nobel 1979: “Facciamo che ogni singolo bambino sia desiderato”; è ciò che continua a cantare con l’inno alla vita: “La vita è bellezza, ammirala. La vita è un’opportunità, coglila. La vita è beatitudine, assaporala. La vita è un sogno, fanne una realtà. … La vita è la vita, difendila”.
Con Madre Teresa. La Santa degli ultimi di Calcutta ci insegna ad accogliere il grido di Gesù in croce: “Nel suo ‘Ho sete’ (Gv 19,28) possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace”. Gesù è l’Agnello immolato e vittorioso: da Lui sgorga un “fiume di vita” (Ap 22,1.2), cui attingono le storie di donne e uomini per la vita nel matrimonio, nel sacerdozio o nella vita consacrata religiosa e secolare. Com’è bello sognare con le nuove generazioni una Chiesa e un Paese capaci di apprezzare e sostenere storie di amore esemplari e umanissime, aperte a ogni vita, accolta come dono sacro di Dio anche quando al suo tramonto va incontro ad atroci sofferenze; solchi fecondi e accoglienti verso tutti, residenti e immigrati. Un tale stile di vita ha un sapore mariano, vissuto come “partecipazione alla feconda opera di Dio, e ciascuno è per l’altro una permanente provocazione dello Spirito. I due sono tra loro riflessi dell’amore divino che conforta con la parola, lo sguardo, l’aiuto, la carezza, l’abbraccio”.
Il Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana.
Roma, 22 ottobre 2016 – Memoria di San Giovanni Paolo II
www.chiesacattolica.it/documenti/2016/10/00018042_messaggio_del_consiglio_episcopale_perman.html
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CONSULTORI FAMILIARI
Seminari della Rete Toscana dei Consultori CFC e UCIPEM
Il ciclo dei Seminari organizzato dalla Rete Toscana dei Consultori, che hanno spaziato ‘Intorno al genere’ da ottobre 2015 ad oggi, si conclude con l’approfondimento della questione genere in relazione alle attività di coloro i quali, al di fuori dei contesti familiari, vengono a contatto con tali problematiche in relazione alla propria attività lavorative. L’introduzione alla giornata è affidata al prof. Carlo Conti.
Testi e documenti http://retetoscana.blogspot.it
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Roma 1- via della Pigna 13° Laboratori esperienziali.
Laboratorio Esperienziale “Autostima – Consapevolezza – Cambiamento”. Il laboratorio è aperto a tutti e inizierà sabato 5 novembre 2016, dalle 09.00 alle 13.30, proseguendo per un totale di 5 incontri nelle date: 26 novembre e 3 dicembre 2016, 21 gennaio e 4 febbraio 2017. Ogni incontro prevede una parte didattica esplicativa ed una parte esperienziale che permetterà ad ogni singolo partecipante di diventare co-protagonista dell’incontro. Gli incontri sono condotti dalle Consulenti familiari Gabriella Bonanno e Maria Garuffi e dalle Consulenti familiari in tirocinio Cecilia Falcetti e Barbara Ferlito.
www.centrolafamiglia.org/laboratorio-esperienziale-autostima-consapevolezza-cambiamento
Atelier pedagogico-esperienziale “La giusta distanza”. L’atelier si propone come percorso di consapevolezza, non solo teorico ma anche esperienziale, all’esplorazione di questo mondo attraverso training Group, esercizi dinamici e interattivi e confronto con i trainers. Il laboratorio è aperto a tutti coloro che vogliono intraprendere un’avvincente esplorazione della propria interiorità per conoscere meglio se stessi ed instaurare una più fluida comunicazione e relazione con gli altri. L’atelier è guidato dai Consulenti familiari del Consultorio “Centro La Famiglia” e dai trainers della Scuola Italiana di Formazione per Consulenti Familiari (S.I.CO.F.).
www.centrolafamiglia.org/atelier-pedagogico-esperienziale-la-giusta-distanza
Materiali XXX Seminario annuale ”La strada per il perdono. Dalla consapevolezza dei nostri limiti all’accettazione attraverso la relazione d’aiuto”, 5-6 marzo 2016, in cui si è celebrato i 50 anni della nostra attività e ricordato il nostro Fondatore, Luciano Cupia, mettiamo qui a disposizione i materiali gentilmente preparati dai relatori (cui è la proprietà intellettuale dei testi e presentazioni) delle due giornate. Cliccare su qui www.centrolafamiglia.org/materiali-xxx-seminario-2016
www.centrolafamiglia.org
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CONVIVENZA
Come ci si separa da una convivenza?
Convivenza di fatto e contratto di convivenza: che cosa si deve fare per cessare il rapporto e quali sono le conseguenze? Dopo l’entrata in vigore della legge sulle unioni civili, sono state riconosciute nuove tutele alle coppie di fatto conviventi: in particolare, la normativa prevede ora determinati effetti sia per le semplici convivenze, che per le convivenze regolamentate da un apposito contratto. Tuttavia, la coppia convivente non è totalmente equiparata a quella sposata: per questo, in caso di cessazione della convivenza non si apre alcuna procedura di separazione o divorzio, come invece avviene per le unioni civili e per le coppie coniugate.
La cessazione della convivenza, tuttavia, può avvenire con modalità differenti e avere conseguenze diverse, a seconda che l’unione sia, o meno, regolamentata da un contratto di convivenza.
Risoluzione del contratto di convivenza. In particolare, il contratto di convivenza termina al verificarsi di una delle seguenti cause:
Accordo di risoluzione del contratto di convivenza. I due conviventi possono decidere, d’accordo tra loro, di terminare il contratto di convivenza. L’accordo di risoluzione deve avere la stessa forma del contratto di convivenza: deve essere cioè redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato. Il contratto, per essere opponibile a terzi, deve poi essere trasmesso al Comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe.
Recesso unilaterale. Il recesso unilaterale si verifica quando uno dei conviventi dichiara di volere cessare unilateralmente il contratto di convivenza: anche in questo caso, l’atto di recesso deve essere redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato. Per essere opponibile a terzi, il recesso deve poi essere trasmesso al Comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe e notificato all’altro contraente all’indirizzo indicato dal recedente o risultante dal contratto. Se chi recede ha la disponibilità esclusiva della casa di abitazione, deve lasciare al convivente almeno 90 giorni di tempo per trovare un’altra sistemazione.
Matrimonio o unione civile Il contratto di convivenza cessa anche nel caso in cui i due conviventi si sposino o contraggano un’unione civile, o uno dei due si sposi o contragga un’unione civile con un’altra persona. In questo caso, il convivente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all’altro convivente, nonché al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l’estratto di matrimonio o di unione civile.
Morte. Il contratto cessa, ovviamente, in caso di morte di uno dei due conviventi: in questo caso, il superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare l’estratto dell’atto di morte al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto. Il professionista deve provvedere ad annotare a margine del contratto di convivenza l’avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all’anagrafe del comune di residenza.
Cessazione della convivenza e comunione dei beni. Se il contratto di convivenza prevedeva il regime patrimoniale della comunione dei beni, alla sua cessazione la comunione si scioglie e si applicano le disposizioni relative allo scioglimento della comunione dettate dal codice civile.
Cessazione della convivenza di fatto. Nel caso in cui non vi sia un contratto in merito, gli interessati possono terminare la convivenza quando vogliono, di comune accordo o unilateralmente. Non è prevista alcuna formalità, né è necessario un procedimento giudiziario. Se i conviventi, però, hanno dei figli, la cessazione comporta nei loro confronti effetti simili a quelli derivanti dalla separazione o dal divorzio. In particolare, i genitori conviventi che hanno riconosciuto il figlio hanno entrambi il diritto all’affidamento condiviso e l’obbligo di mantenimento, cura, istruzione ed educazione. Solo in casi particolari l’affidamento può essere esclusivo: è il tribunale ordinario a decidere sui provvedimenti riguardanti i figli.
Diritto agli alimenti. Se un convivente versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento, il giudice può obbligare l’altro convivente a corrispondere gli alimenti. Gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata dalla legge.
Diritto al mantenimento. Una volta terminata la convivenza, il soggetto più debole economicamente non ha invece diritto al mantenimento, a meno che non sia stato previsto, nel contratto di convivenza, il pagamento di una somma di denaro (periodicamente o in un’unica soluzione) a favore del soggetto più bisognoso.
Cessazione della convivenza e casa familiare. Terminata la convivenza, la casa familiare spetta:
Al genitore con il quale i figli convivono o al quale sono affidati, in caso di figli minori o bisognosi di protezione (lo stesso vale per la successione nel contratto di locazione);
Al convivente proprietario esclusivo della casa, nelle altre ipotesi; questi ha il diritto di ottenere il rilascio dell’immobile da parte dell’altro convivente, che non ha alcun titolo per continuare a utilizzarlo; se il convivente non è proprietario ma è intestatario esclusivo del contratto di locazione, ha diritto di rimanere nell’abitazione, mentre il convivente non intestatario del contratto non ha il diritto di subentrare.
Ad ogni modo, al convivente non proprietario o non intestatario del contratto deve essere assegnato un congruo termine per il rilascio dell’immobile.
Risarcimento dei danni. La convivenza è un rapporto libero, che può venir meno in qualsiasi momento: per questo motivo, chi cessa la convivenza non può essere condannato al risarcimento dei danni. Lo stesso principio vale nei confronti del soggetto che ha determinato col suo comportamento la cessazione della convivenza.
Restituzione di spese e donazioni. La convivenza, anche se non ha la stessa valenza del matrimonio, è considerata una formazione sociale da cui derivano doveri che influiscono anche sui rapporti patrimoniali: per questo motivo, il convivente non può chiedere indietro le somme elargite per spese e acquisti effettuate durante la convivenza. Esiste difatti una giusta causa alla base delle attribuzioni patrimoniali, idonea a negare qualsiasi pretesa di restituzione. Tuttavia, se un convivente effettua un notevole sacrificio economico, senza avere intenzione di arricchire la controparte e senza ricevere altrettanto in cambio, può esercitare l’azione di arricchimento senza causa.
Beni mobili. Terminata la convivenza, i beni mobili facenti parte dell’arredamento dell’abitazione restano nella proprietà esclusiva di chi ne è titolare: pertanto, il convivente che li detiene senza titolo deve restituirli.
Noemi Secci Lpt 20 ottobre 2016 www.laleggepertutti.it/author/noemi-secci
Convivenza blocca espulsione.
Corte di Cassazione, prima Sezione penale, Sentenza n. 44182, 18 ottobre 2016
La convivenza di uno straniero con una cittadina italiana, riconosciuta con “contratto di convivenza” di cui alla recente Legge n. 76/2016, è ostativa all’espulsione dello straniero medesimo, a titolo di misura alternativa alla detenzione. E detta causa ostativa deve essere valutata se sussistente o meno al momento in cui l’espulsione viene messa in esecuzione.
A stabilirlo la Corte di Cassazione, annullando l’ordinanza con cui veniva disposta l’espulsione dal territorio italiano di un cittadino straniero – quale misura sostitutiva da applicarsi nell’ultimo biennio di pena ai condannati privi di titolo di soggiorno – che aveva tuttavia opposto lo stato di convivenza more uxorio con una cittadina italiana.
Parificazione coniuge/persona civilmente unita. Il Supremo Collegio ricorda in proposito la recente emanazione della Legge 76/2016, accolta dall’opinione pubblica e dagli operatori e teorici del diritto come disciplina epocale, con la quale sono state riconosciute e disciplinate positivamente nel nostro ordinamento sia le unioni tra persone dello stesso sesso che quelle di fatto tra eterosessuali. La finalità con detto provvedimento perseguita, è quella di parificare – pur distinguendo le discipline specifiche – la nozione di coniuge con quella di persona unita civilmente. E ciò, specificamente, attraverso l’introduzione del c.d. “contratto di convivenza”.
Il Provvedimento in questione ha inoltre avuto cura di stabilire il principio generale secondo cui, ove nelle leggi dello Stato compaia il termine “coniuge”, questo deve intendersi riferito anche alla persona civilmente unita mediante contratto di convivenza. Ed analoga parificazione è esplicitamente contenuta in riferimento alle facoltà riconosciute al coniuge dall’ordinamento penitenziario.
Tutto ciò non può non riverberarsi – conclude la Corte – sulla regolamentazione della fattispecie in esame, non potendosi negare al cittadino straniero la possibilità di acquisire lo status familiare riconosciuto dalla legge ai fini in discorso. Da qui la necessità di annullare l’ordinanza di espulsione con rinvio al Tribunale di sorveglianza.
Eleonora Mattioli eDotto 19 ottobre 2016
www.edotto.com/articolo/convivenza-blocca-espulsione?newsletter_id=58075494fdb94d1a6095f76d&utm_campaign=PostDelPomeriggio-19%2f10%2f2016&utm_medium=email&utm_source=newsletter&utm_content=convivenza-blocca-espulsione&guid=85fb6207-494b-4974-8d86-1b45ba4b6ae9
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CORTE COSTITUZIONALE
Diritto del genitore “sociale” a mantenere rapporti con il minore
Sentenza n. 225/2016, Decisione del 05/10/2016, Deposito del 20/10/2016.
Norme impugnate: Art. 337-ter del codice civile, aggiunto dall’art. 55, c. 1°, del decreto legislativo 28/12/2013, n. 154.
Oggetto: Filiazione – Provvedimenti del giudice riguardo ai figli – Possibilità di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del figlio minore conservare rapporti significativi con l’ex partner del genitore biologico [in specie, a seguito di cessazione della convivenza omo-affettiva tra questi].
Vedi newsUCIPEM n. 618 pag. 14
www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2016&numero=225
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DALLA NAVATA
30° Domenica tempo ordinario-anno C–23 ottobre 2016
Siracide 35, 15. Il Signore è giudice e per lui non c’è preferenza di persone.
Salmo 34, 19. Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato, egli salva gli spiriti affranti.
2 Timoteo 01, 17. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, …
Luca 18, 09. In quel tempo Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri
Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
“O Dio, abbi pietà di me peccatore”. La parabola che oggi la liturgia ci fa ascoltare è collocata da Luca al capitolo 18, ancora in relazione alla preghiera. Quando pregare? Sempre e con intensità, risponde la parabola del giudice iniquo e della vedova insistente (cf. Lc 18,1-8), ascoltata domenica scorsa. Come pregare? Come il pubblicano e non come il fariseo, risponde la parabola odierna. Ma in questo testo è in gioco qualcosa di più. O meglio, Gesù tratta sì di due atteggiamenti diversi nella preghiera, ma in realtà attraverso di essi allarga l’orizzonte: ci insegna che la preghiera rivela qualcosa che va oltre se stessa, riguarda il nostro modo di vivere, la nostra relazione con Dio, con noi stessi e con gli altri.
Tutto ciò è già contenuto nell’incipit: “Disse questa parabola ad alcuni che confidavano in se stessi perché erano giusti”. Il peccato di questi uomini religiosi non è la presunzione di essere giusti ma il mettere fede-fiducia in se stessi e non in Dio. La loro osservanza delle leggi e la loro scrupolosa pratica religiosa li convincono di potersi fidare di sé, senza più attendere nulla da Dio. Tale atteggiamento ha come ovvia conseguenza il ritenere gli altri nulla, il disprezzarli. Gesù sa, proprio perché anch’egli è un credente e conosce bene i rischi della religione, che non basta essere figli di Abramo per essere dei veri credenti. Lo aveva già detto il Battista: “Non cominciate a dire tra voi: ‘Abbiamo Abramo per padre!’. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo” (Lc 3,8). Gesù sa che ci sono barriere create dagli umani che non sono tali per Dio. Gesù sa che ci sono dei credenti che in realtà sono increduli, abitati dall’idolatria, che ostentano la loro fede, ma poi non realizzano la volontà di Dio.
Ecco allora il racconto della parabola: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano”. Il tempio è il luogo in cui si adora il Dio vivente, il luogo dell’incontro con lui, attraverso il culto stabilito dalla Torah. Entrambi sono nello spazio riservato ai figli di Israele, davanti al Santo, riservato ai sacerdoti. Entrambi invocano il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio rivelatosi come Signore a Mosè, il Dio che ha fissato la sua dimora nel tempio di Gerusalemme. Ma le somiglianze finiscono qui. Uno dei due è un militante del movimento dei farisei, l’altro un esattore delle tasse {per i Romani occupanti}, uno che esercita un mestiere disprezzato, appartenente a una categoria di corrotti. Di più, l’esattore è detto “pubblicano” in quanto “pubblicamente peccatore”, “corrotto manifesto”, perciò maledetto da Dio e dagli uomini.
Il fariseo, ritenendosi conforme alle attese di Dio, sta in piedi, nella posizione consueta dell’orante ebreo, e fa nel suo cuore una preghiera che vorrebbe essere un ringraziamento a Dio. Ma in realtà è concentrato su di sé e mentre vanta i suoi meriti si autocompiace, fa il paragone tra sé e gli altri, giudicandoli. Nessun dubbio in lui, ma uno stare in piedi sicuro di stare davanti a Dio, a fronte alta, ignaro del fatto che può stare in piedi solo per grazia, perché reso figlio di Dio. Il suo monologo dichiara lontananza dagli altri uomini ma anche lontananza da Dio, non conoscenza di lui, dal quale aspetta solo un “amen” alle sue parole. Annota con finezza Agostino: “Era salito per pregare; ma non volle pregare Dio, bensì lodare se stesso”. È evidente che in una simile preghiera l’intero rapporto con Dio è pervertito: la chiamata alla fede è un privilegio, l’osservanza della Legge una garanzia, l’essere in una condizione morale retta un pretesto per sentirsi superiore agli altri.
Si faccia però attenzione: ciò che Gesù stigmatizza nel fariseo non è il suo compiere opere buone, ma il fatto che egli, nella sua fiducia in sé, non attende nulla da Dio. Il problema è che si sente sano e non ha bisogno di un medico, si sente giusto e non ha bisogno della santità di Dio (cf. Lc 5,31-32): ha dimenticato che la Scrittura afferma che il giusto pecca sette volte al giorno (cf. Pr 24,16), cioè infinite volte! Sì, quanti, essendo osservanti e dunque giusti, confidano in sé, ringraziano Dio per ciò che sono e non pensano di dover chiedere a Dio misericordia, di dover mutare qualcosa nella propria vita, ma sono trascinati dall’autocompiacimento a disprezzare gli altri! Per questo il fariseo nel suo ringraziamento enumera i peccati altrui, dai quali si sente esente: “Sono ladri, ingiusti, adulteri”, per non parlare del pubblicano che è insieme a lui nel tempio.
Ma ecco, di fronte a questa preghiera, quella del peccatore pubblico. All’inizio del vangelo Gesù aveva chiamato a essere suo discepolo proprio un pubblicano, Levi, e si era recato a un banchetto nella sua casa, scandalizzando scribi e farisei (cf. Lc 5,27-32); alla fine, subito prima del suo ingresso a Gerusalemme, sarà un altro pubblicano, Zaccheo, ad accogliere Gesù nella sua casa, suscitando ancora la riprovazione degli uomini religiosi (cf. Lc 19,1-10). In tal modo l’annuncio del Battista secondo cui “Dio può suscitare figli ad Abramo dalle pietre” (Lc 3,8) si fa evento in Gesù; non chi dice di avere Abramo per padre è suo figlio (cf. ibid.), ma uno come Zaccheo, pubblicano, è dichiarato da Gesù “figlio di Abramo”, raggiunto nella propria casa dalla salvezza (cf. Lc 19,9).
Ma perché Gesù sceglieva di preferenza la compagnia dei peccatori pubblici, fino a dire agli uomini religiosi: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21,31)? Non per stupire o scandalizzare ma per mostrare, in modo paradossale, che queste persone emarginate e condannate sono il segno manifesto della condizione di ogni essere umano. Tutti siamo peccatori – e pecchiamo, finché ci è possibile, in modo nascosto! –, ma Gesù aveva compreso una cosa semplice: i peccatori pubblici sono esposti al biasimo altrui, e perciò sono più facilmente indotti al desiderio di cambiare la loro condizione; essi possono cioè vivere l’umiltà quale frutto delle umiliazioni patite, e di conseguenza possono avere in sé quel “cuore contrito e spezzato” (Sal 51,19) in grado di spingerli a cambiare viti.
Il pubblicano è un uomo non garantito da ciò che fa, anzi i suoi peccati manifesti lo rendono oggetto di disprezzo da parte di tutti. Egli sale al tempio nella consapevolezza, sempre rinnovata a causa del giudizio altrui, di essere un peccatore, mendicante del perdono di Dio. Per questo Luca descrive accuratamente il suo comportamento, opposto a quello del fariseo. “Si ferma a distanza”, non osa avvicinarsi al Santo dei santi, dove dimora la presenza di Dio; “non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo”, ma li tiene bassi, vergognandosi della propria condizione; “si batte il petto”, gesto tipico di chi vuole manifestare il suo pentimento, come le folle di fronte allo “spettacolo” (Lc 23,48) della morte in croce di Gesù.
Le sue parole sono brevissime: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. È l’invocazione che ritorna più volte nei salmi (cf. Sal 25,11; 51,13, ecc.). È il chiedere a Dio che continui sempre ad avere tanta pietà di noi peccatori: quanto ne abbiamo bisogno! È “la preghiera dell’umile che penetra le nubi” (Sir 35,21), che non spreca parole, ma che vive della relazione con Dio, della relazione con se stesso, della relazione con gli altri: chiede perdono a Dio, confessa il proprio peccato e la solidarietà con gli altri uomini e donne. Il pubblicano si presenta a Dio senza maschere, i suoi peccati manifesti lo rendono oggetto di scherno: non ha nulla da vantare, ma sa che può solo implorare pietà da parte del Dio tre volte Santo. Egli prova lo stesso sentimento di Pietro, perdonato fin dal momento della sua vocazione quando, di fronte alla santità di Gesù, grida: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore!” (Lc 5,8; cf. Is 6,5). L’umiltà di quest’uomo non consiste nel fare uno sforzo per umiliarsi: la sua posizione morale è esattamente quella che confessa e dalla quale è umiliato! Non ha nulla da pretendere, per questo conta su Dio, non su se stesso. E ciò vale anche per noi: il nostro nulla è lo spazio libero in cui Dio può operare, è il vuoto aperto alla sua azione; su chi è troppo “pieno di sé”, invece, Dio è impossibilitato ad agire… E si noti: Gesù non elogia la vita del pubblicano, così come non condanna le azioni giuste del fariseo, ma la sua condanna va al modo in cui il fariseo guarda alle sue azioni e, attraverso di esse, a Dio stesso.
Terminata la parabola, ecco il giudizio di Gesù: “Io vi dico che il pubblicano, a differenza dell’altro, tornò a casa sua reso giusto (da Dio), perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”. Quest’ultima sentenza proverbiale, già presente al termine della parabola sulla scelta dei posti a tavola da parte degli invitati a un banchetto (cf. Lc 14,11), echeggia le parole del Magnificat: “Il Signore innalza gli umili” (Lc 1,52). Ma come intendere questo innalzamento e questo abbassamento? E soprattutto, come intendere l’umiltà, virtù ambigua e sospetta? L’umiltà non è falsa modestia, non equivale a un “io minimo”: non chi si fa orgogliosamente umile è innalzato da Dio, perché questo equivarrebbe a replicare l’atteggiamento del fariseo, sarebbe orgoglio mascherato da falsa umiltà. No, è innalzato da Dio chi riconosce il proprio peccato, chi, aderendo alla propria realtà, riconosce il proprio peccato, accoglie dagli altri le umiliazioni quale medicina salutare e, patendo tutto questo, persevera nel riconoscimento della grazia e della compassione di Dio, ossia nella fiducia in Dio, nel contare sulla sua misericordia che può trasfigurare la nostra debolezza.
Attraverso la figura del pubblicano Gesù ci esorta a umiliarci nel senso di lasciarci accogliere e perdonare da Dio, che con la sua forza può curarci e guarirci; a non perdere tempo a guardare fuori di noi, scrutando gli altri con occhio cattivo e spiando i loro peccati; ad accettare di riconoscere la nostra condizione di persone che “non fanno il bene che vogliono, ma il male che non vogliono” (cf. Rm 7,19). Il pubblicano non ha costruito né vantato una sua giustizia davanti a Dio e agli altri, ma ha lasciato a Dio la libertà di giudicare; a Dio si è affidato, invocando come unico dono di cui aveva veramente bisogno la sua misericordia. Con una preghiera così breve e semplice è entrato in comunione con Dio senza separarsi dagli altri, e ora, perdonato, fa ritorno alla vita quotidiana nella compagnia degli uomini.
La parola conclusiva di Gesù, solennemente e autorevolmente introdotta da “Io vi dico”, fa di un giusto un peccatore e di un peccatore un giusto. Il giudizio di Dio, narrato da Gesù, sovverte i giudizi umani: chi si credeva lontano e perduto è accolto e salvato, mentre chi si credeva approvato, accanto a Dio, è umiliato e risulta lontano. Questo può apparire scandaloso, può apparire un inciampo nella vita di fede per gli uomini religiosi, ma è buona notizia, è Vangelo per chi si riconosce peccatore e bisognoso della misericordia di Dio come dell’aria che respira.
www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/10926-o-dio-abbi-pieta-di-me-peccatore
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DEMOGRAFIA
Italia. Nuovo calo demografico nei primi sei mesi del 2016
Prosegue il calo delle nascite in Italia. Dopo aver registrato un ulteriore record al ribasso nei primi tre mesi del 2016, l’Istat rileva che anche nei tre mesi successivi la situazione è peggiorata ancora.
Il calo che si è registrato fino al 30 giugno scorso è del 6%, ossia sono nati 14.600 bambini in meno alla stessa data del 2015. In numeri assoluti significa che i nuovi nati sono stati 221.500 contro i 236.100 dell’anno prima.
Da luglio a dicembre 2016, se si manterrà la tendenza degli ultimi anni, si assisterà a un ulteriore calo. Infatti nel 2015, ad esempio, il calo rispetto al 2014 dopo i primi sei mesi era di circa il 2% e alla fine dell’anno è arrivato a 3, così da portare il dato assoluto a 485mila nati, per la prima volta nella storia d’Italia sotto il mezzo milione.
A fronte dell’inverno demografico, si assiste anche un incremento della mortalità. Sono 49mila i decessi in più rispetto al 2014 (+8,2%). Nel 2016 sembra però esserci una forte diminuzione di morti rispetto all’anno precedente, di 24.600 persone, cioè il 7%. Secondo i demografi, il picco di mortalità nel 2015 sarebbe da attribuire al freddo, all’influenza e poi al gran caldo che hanno insidiato le persone più fragili, specie gli anziani.
Il “saldo naturale”, cioè la differenza tra nati e morti, nel 2015 ha toccato il record negativo di 162mila persone.
Redazione Zenit 22 ottobre 2016
https://it.zenit.org/articles/italia-nuovo-calo-demografico-nei-primi-sei-mesi-del-2016
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DIVORZIO
Quali diritti si perdono con il divorzio?
Divorzio vuol dire scioglimento del matrimonio a seguito del venir meno della comunione materiale e spirituale tra i coniugi. Che significa? Quali diritti si perdono?
Il divorzio è una causa di scioglimento del matrimonio indipendente dalla morte di uno dei coniugi. Vediamo in cosa consiste e quali sono i diritti che l’ex coniuge perde quando sceglie questa strada.
Divorzio: cos’è? Per una corretta definizione di divorzio, occorre fare una distinzione preliminare, quella tra matrimonio civile e matrimonio concordatario:
Nel matrimonio civile (cioè quello contratto in Comune davanti all’Ufficiale dello Stato Civile), il divorzio è lo scioglimento definitivo del vincolo matrimoniale, pronunciato con sentenza da parte del Tribunale competente;
Nel matrimonio concordatario (cioè quello celebrato in Chiesa e poi regolarmente trascritto nei registri dello Stato Civile del Comune), si parla più propriamente di «cessazione degli effetti civili» del matrimonio stesso: permangono infatti gli effetti sul piano del sacramento religioso (a meno che non si ottenga una pronuncia di annullamento o di nullità da parte del Tribunale Ecclesiastico Regionale o della Sacra Rota); ciò in quanto, per la Chiesa, il vincolo matrimoniale è indissolubile e non può venir meno «finché morte non separi» i coniugi.
Divorzio: cause. Perché il matrimonio possa essere sciolto occorrono due condizioni:
L’accertamento della fine della comunione spirituale e materiale tra i coniugi;
La sussistenza di una della cause previste dalla legge [Art. 3, l. n. 898 del 01.12.1970, modificato dalla L. n. 55 del 06.05.2015 sul divorzio breve]:
La separazione legale dei coniugi (intesa come sospensione dei doveri reciproci tra loro intercorrenti); una sentenza penale a carico dell’altro coniuge per reati relativi al contesto familiare (incesto, prostituzione, ecc…);
Situazioni matrimoniali create all’estero dal coniuge cittadino straniero (ad esempio, celebrazione all’estero di nuovo matrimonio);
La non consumazione del matrimonio.
Divorzio: cosa produce? Come anticipato, in caso di matrimonio civile si scioglie il vincolo matrimoniale; in caso di matrimonio religioso, si verifica la cessazione degli effetti civili (permane, invece, il vincolo indissolubile sul piano del sacramento religioso). Ma non è tutto:
La moglie perde il cognome del marito che aveva aggiunto al proprio dopo il matrimonio (ma può mantenerlo se ne fa espressa richiesta e il Giudice riconosce la sussistenza di un interesse della donna o dei figli meritevole di tutela);
Fino a quando il coniuge economicamente più debole non passi a nuove nozze, il Giudice può disporre che l’altro coniuge sia tenuto a corrispondere un assegno periodico (detto assegno divorzile): l’importo è quantificato in base alle condizioni e ai redditi di entrambi i coniugi, tenuto conto della durata del matrimonio;
Viene decisa la destinazione della casa coniugale e degli altri beni di proprietà;
I figli minorenni vengono affidati a uno dei coniugi, con obbligo per l’altro di versare un assegno di mantenimento della prole o a entrambi congiuntamente (si parla, in tal caso, di affidamento condiviso) [Nel rispetto di quanto previsto anche dagli artt. da 337-bis a 337-octies cod. civ. (Così come introdotti dal d.lgs. n. 154 del 28.12.2013 in materia di filiazione];
Ciascuno dei coniugi perde i diritti successori nei confronti dell’altro: in altre parole, nessuna pretesa sull’eredità dell’ex;
Se la sentenza di divorzio aveva a suo tempo riconosciuto a un coniuge il diritto all’assegno di mantenimento (una somma di denaro a favore del coniuge che ne ha più bisogno e ai figli), tale coniuge ha diritto anche alla pensione di reversibilità dell’ex coniuge defunto (o a una sua quota), a condizione che nel frattempo il coniuge rimasto in vita non si sia risposato;
Se uno dei coniugi matura il diritto al trattamento di fine rapporto (Tfr) prima che sia pronunciata la sentenza di divorzio, l’altro coniuge ha diritto a una parte di tale importo;
Si scioglie la comunione legale.
Maura Corrado LPT 19 ottobre 2016
www.laleggepertutti.it/133313_quali-diritti-si-perdono-con-il-divorzio
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OBIEZIONE DI COSCIENZA
Medici cattolici: “No obiezione quando la donna è in pericolo di vita”.
“L’Associazione Medici Cattolici Italiani da sempre impegnata a sollecitare i medici ad esercitare l’obiezione di coscienza come esercizio di un diritto di valore costituzionale recepito nel codice di deontologia medica, in relazione a quanto avvenuto a Catania, ritiene doveroso ribadire che non può essere invocata l’obiezione di coscienza quando la donna versa in pericolo di vita, come, peraltro, previsto nell’ultimo comma dell’art. 9 della legge 194\1978. Di fronte al pericolo di morte della madre, invece, deve scattare l’obbligo grave e irrinunciabile per il medico di fare tutto il possibile per salvarla”.
Queste le parole del prof. Filippo Maria Boscia, presidente nazionale dei medici cattolici, in occasione del convegno su “Fragilità e dolore nel contesto giubilare della misericordia” promosso dall’Amci, in corso all’Università Urbaniana in Roma.
Il prof. Boscia fa riferimento alla vicenda della donna al quinto mese di gravidanza morta nel reparto di Ginecologia dell’ospedale “Cannizzaro” di Catania insieme ai due gemellini che portava in grembo. Secondo alcune testimonianze, il medico non sarebbe intervenuto per salvare la vita alla donna.
Sulla questione è intervenuta Beatrice Lorenzin, ministro della Salute, che ha inviato degli ispettori per far luce sui fatti. “L’obiezione di coscienza attiene al profilo deontologico e riguarda la coscienza dei medici, ma non ha a che fare con casi come questo – ha detto -: l’obiezione di coscienza attiene infatti all’interruzione volontaria di gravidanza e non in casi in cui si tratta di salvare la vita di una donna”.
Redazione Zenit 22 ottobre 2016
https://it.zenit.org/articles/medici-cattolici-no-obiezione-quando-donna-e-in-pericolo-di-vita
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POLITICHE FAMILIARI
Protocollo di collaborazione tra Governo e l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza
Il Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza hanno siglato, lo scorso 10 ottobre 2016, un Protocollo di collaborazione, nel rispetto delle proprie specifiche competenze, per realizzare azioni comuni e strategie di intervento condivise.
“Con il Dipartimento per le politiche della Famiglia abbiamo fatto un ulteriore passo verso la costruzione delle alleanze e della cooperazione interistituzionale – commenta la Garante Albano – passi non solo utili ma anche necessari, soprattutto per quanto concerne le persone di minore età e la tutela dei loro diritti, per via della varietà e l’ampiezza degli interventi da porre in essere per rispondere ai principi sanciti dalla Convenzione Onu sui diritti del fanciullo”
A partire dalla sensibilizzazione delle nuove generazioni sul ruolo fondamentale che la famiglia svolge all’interno della società, il Protocollo prevede diverse possibili strategie condivise, che vanno dal confronto per individuare un indicatore nazionale univoco sulle varie tipologie di comunità residenziali che accolgono i minorenni, al monitoraggio dei costi che le riguardano nonché ai minorenni che vi sono accolti; dalla diffusione della conoscenza dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza – anche al fine di prevenire i fenomeni del bullismo e del cyberbullismo – con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza delle famiglie, alla promozione di campagne di sensibilizzazione sulla violenza intra familiare e sul trauma subito dai minori che assistono alla violenza o che sono vittime di maltrattamenti o abusi; dalla mappatura delle strutture e dei Servizi operanti sul territorio nazionale a sostegno delle famiglie i cui figli minori sono costretti a trascorrere lunghi periodi di ricovero e cura ospedaliera in Regioni diverse da quelle di residenza e alla promozione di iniziative, anche di carattere normativo, volte ad assicurare un adeguato percorso di sostegno assistenziale per gli orfani di omicidio perpetrato da un genitore nei confronti dell’altro.
“Proprio nell’ottica di una stretta collaborazione atta a favorire la realizzazione di interventi sinergici finalizzati alla tutela dei minori – osserva il Cons. Ermenegilda Siniscalchi, Capo del Dipartimento per le politiche della famiglia – il nuovo decreto ministeriale costitutivo dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia ha previsto, tra l’altro, la partecipazione del Garante per l’Infanzia e l’adolescenza.”
Dipartimento per le politiche della famiglia 18 ottobre 2016
www.politichefamiglia.it/notizie/2016/ottobre/il-dipartimento-per-le-politiche-della-famiglia-e-l-autorita-garante-per-l-infanzia-e-l-adolescenza-firmano-un-protocollo-di-collaborazione
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SEPARAZIONE
Come separarsi.
Non sempre le vicende di una coppia sono a lieto fine. Infatti, le difficoltà della vita quotidiana, accompagnate alle incomprensioni ed alle esigenze diverse, magari mutate nel tempo, possono condurre i coniugi alla separazione legale: ed allora, come procedere?
In quanti modi posso separarmi?
La legge individua tre modalità per la separazione:
La separazione amichevole e concordata davanti all’ufficiale di stato civile (cioè in comune);
La separazione amichevole e concordata con l’assistenza di un legale per ogni coniuge (separazione assistita);
La separazione in Tribunale (consensuale o giudiziale).
Posso sempre separarmi in comune? È bene sapere che questa possibilità, incontra alcuni limiti.
Se si hanno figli minori oppure maggiorenni, ma incapaci o portatori di handicap o economicamente non autosufficienti, non ci si può separare in comune;
In tutti gli altri casi, nell’accordo che sarà raggiunto davanti all’ufficiale di stato civile, non è consentito includere patti di trasferimento patrimoniale (ad esempio, il trasferimento della quota di appartenenza della casa coniugale all’altro coniuge), ma invece, può essere previsto il versamento di un assegno periodico a titolo di mantenimento. In tal caso, infatti, sorge semplicemente un obbligo giuridico tra i coniugi e non il trasferimento di un bene (come invece, avverrebbe se si stabilisse il versamento di una somma una tantum, ipotesi questa non consentita). Tutto ciò è stato affermato e precisato dal Ministero dell’Interno [Circ. Ministero dell’Interno n. 6/2015].
Per separarmi in comune ho bisogno dell’avvocato? Se ci si separa in comune, non è obbligatoria l’assistenza di un avvocato, ma la consultazione e l’aiuto di un legale di fiducia potrebbero rivelarsi una buona idea, per evitare che l’accordo raggiunto sia privo di «falle» o aspetti mal disciplinati, che possano favorire i «litigi» successivi.
Come mi separo in comune? Bisogna recarsi presso l’ufficio di stato civile del comune di residenza di uno o di entrambi i coniugi oppure presso quello in cui gli stessi hanno contratto matrimonio, con un documento d’identità e l’autocertificazione qui allegata. Fatto ciò, sarà fissato un primo incontro per la preparazione e la realizzazione dell’accordo di separazione, cui seguirà un secondo incontro, a non meno di trenta giorni dal primo, dove i coniugi confermeranno la volontà di separarsi e l’accordo raggiunto dinanzi all’ufficiale di stato civile. Sarà dovuto un costo fisso di 16 euro.
Separazione assistita: come mi separo in questo caso? È una delle tre possibilità riconosciute dalla legge per separarsi legalmente. Anche questa, come la separazione in comune, prevede che tra i coniugi ci sia totale accordo sui termini della stessa, ma in questo caso non ci sono i limiti previsti. Quindi, la presenza, ad esempio, di figli minori o disabili, non impedisce di separarsi, utilizzando questo procedimento.
La separazione assistita impone l’assistenza obbligatoria per entrambi i coniugi. Ognuno, quindi, dovrà essere rappresentato da almeno un avvocato. I legali della parti, procederanno, previa consultazione dei propri clienti, alla preparazione e redazione dell’accordo di separazione. Quest’ultimo, una volta sottoscritto e certificato dagli avvocati, dovrà essere sottoposto al controllo delle autorità competenti (il Procuratore della Repubblica). Se tutto è posto, l’accordo sarà autorizzato (tecnicamente si dice, omologato) ed, a cura delle parti interessate (anche uno solo degli avvocati nominati) sarà trasmesso e registrato presso l’ufficio di stato civile.
In conclusione, come avrete notato, si tratta di un procedimento alquanto snello, simile a quello dinanzi al comune, e sempre senza passare dalle aule di un Tribunale. I costi dipendono molto dall’avvocato a cui ci si rivolge. Fatevi fare un preventivo scritto e non avrete sorprese.
Separazione consensuale: come mi separo in tal caso? Abbiamo visto che la legge consente di separarsi amichevolmente sia in comune (anche se sono previsti dei limiti) sia con l’assistenza di almeno un avvocato per coniuge (separazione assistita). Ebbene, la separazione consensuale consente ugualmente di separarsi amichevolmente, ma con l’assistenza di un solo avvocato per entrambi i coniugi.
Prendiamo l’esempio dei coniugi, con figli minori, che vogliono separarsi. Essi sono d’accordo su tutto, ma non possono rivolgersi al comune, poiché in questo caso la legge non lo consente. Inoltre, per evidenti ragioni economiche, vorrebbero rivolgersi ad un solo legale, che possa assistere entrambi, ma la legge dice che non è possibile per attivare e realizzare la cosiddetta separazione assistita: allora, cosa possono fare?
Ebbene, nell’ipotesi descritta, i coniugi potranno ugualmente separarsi amichevolmente, concordando ogni cosa e facendosi assistere dal proprio legale di fiducia, solo che quest’ultimo dovrà «passare per il Tribunale». L’avvocato incaricato, infatti, dovrà preparare e depositare un ricorso congiunto (cioè, sottoscritto da entrambi i coniugi), in cui si chiede al Tribunale di autorizzare (omologare) la separazione legale consensuale richiesta dalle parti. Ci sarà, quindi, un’udienza in Tribunale, dove si concluderà il tutto.
In buona sostanza, si tratta di raggiungere lo stesso risultato, ma con un percorso diverso e un po’ più lungo, ma la soluzione descritta potrebbe rivelarsi vantaggiosa da un punto di vista economico. Infatti, dovendosi rivolgere ad un solo avvocato, i costi potrebbero e dovrebbero essere più bassi rispetto alla cosiddetta separazione assistita.
Separazione giudiziale: come mi separo se non c’è alcun accordo? Anche in questa ipotesi, la legge consente ai coniugi di raggiungere lo scopo, cioè separarsi. Ovviamente, in tal caso, il procedimento si caratterizza per l’assenza di un accordo tra le parti, per la presenza di almeno due avvocati che «si danno battaglia» (almeno uno per parte) e per la necessità di rivolgersi al Tribunale, per risolvere ogni controversia.
Il procedimento si avvia con un ricorso depositato, insieme agli altri documenti, dall’avvocato della parte che decide di agire per prima. Sarà, quindi fissata una data di comparizione dei coniugi davanti al Tribunale coinvolto, dove saranno presi i primi e temporanei provvedimenti (assegnazione casa coniugale, scelta genitore prevalente per l’affido del o dei minori, misura del mantenimento, ecc). Dopodiché si aprirà un vero e proprio procedimento in contenzioso tra le parti che si concluderà con una sentenza. Questa conterrà tutte le regole che i coniugi dovranno rispettare sino al divorzio.
I costi del procedimento, dipendono essenzialmente dall’avvocato a cui vi rivolgete. Come dico sempre, fatevi fare un preventivo scritto e saprete a cosa andrete incontro. Sicuramente, tra i vari procedimenti che conducono alla separazione legale, questo è potenzialmente il più costoso.
Separazione giudiziale: come mi separo se non c’è accordo ma lo abbiamo raggiunto dopo? La legge ammette che in qualsiasi momento, le parti possano raggiungere una soluzione amichevole e che tale accordo sia fatto valere nel procedimento in corso: in tal caso, la separazione giudiziale si trasforma in separazione consensuale e la causa si conclude. Spesso, questo avviene, quando ancora non si è svolta la prima udienza in Tribunale. Ebbene in questo, come in tutti gli altri casi, alla prima udienza utile, gli avvocati dei coniugi faranno presente l’accordo raggiunto e lo depositeranno. Il Tribunale verificato che tutto è a posto (ad esempio che non ci sono disposizioni contrarie all’interesse dei figli minori), autorizzerà (omologazione) la separazione, non più giudiziale, ma consensuale raggiunta.
Quindi, non bisogna mai disperare: l’accordo è sempre raggiungibile, in ogni momento della separazione giudiziale, per trasformarla in consensuale. Basta solo tanta buona volontà ed anche dei buoni avvocati, che sappiano consigliare ed indirizzare i propri clienti.
Marco Borriello Lpt 21 ottobre 20165 www.laleggepertutti.it/135244_come-separarsi
6 consigli per i genitori separati, per il bene dei figli.
I comportamenti che andrebbero evitati affinché i figli soffrano il meno possibile. A prescindere da quanto sia difficile la situazione di una coppia, la separazione è una decisione che ha conseguenze negative per i figli, quali che sia la loro età.
Di solito in una separazione i figli vengono a trovarsi in mezzo alle due “parti”, subendone le ingiuste conseguenze. L’obiettivo di questo articolo non è rimproverare il comportamento dei genitori che stanno attraversando una separazione, ma invitarli a fare più attenzione al modo in cui stanno gestendo il problema, soprattutto per quanto riguarda i comportamenti tenuti di fronte ai figli. Affinché i figli soffrano il meno possibile in questa situazione, i genitori dovrebbero evitare i seguenti comportamenti:
Nascondere ciò che sta succedendo. I figli hanno il diritto di sapere ciò che sta accadendo in casa, e non devono essere ingannati: prima o poi dovranno comunque affrontare la situazione. Bisogna parlare con loro sin dall’inizio, ascoltarli, comprenderli e rispondere ad ogni loro domanda: che ne sarà di me? Dove andrà a vivere papà? Quando potrò passare del tempo con papà o mamma?
Spingere i figli a prendere una posizione. Usare i figli (consciamente o meno) come un ricatto per dominare, danneggiare o vendicarsi dell’altra persona – o utilizzarli addirittura come un trofeo – è un errore fatale che provoca in loro danni terribili.
Farli diventare messaggeri. È inaccettabile usare i figli per comunicare qualcosa all’ex coniuge, soprattutto se il messaggio ha il solo fine di screditare l’altra persona. Bisogna gestire i conflitti come persone adulte e civili.
Parlare male dell’ex- Quello che succede tra coniugi non deve in alcun modo intaccare il rapporto genitori-figli. Lui continuerà ad essere loro padre, e lei loro madre; il fatto che i due non stiano più insieme non cambierà mai la loro condizione di genitore.
Educare i figli in modo contraddittorio. Per il bene dei figli, padre e madre dovranno mettersi d’accordo su come educarli e prendere decisioni insieme. Se il papà approva qualcosa che la mamma non ha autorizzato (e viceversa) questo creerà tanti danni. Bisogna cercare di avere uno stesso metro di giudizio.
Screditare il matrimonio Tutti vogliamo vivere un buon matrimonio, tuttavia non sempre questo accade. Ecco perché è importante evitare di trasmettere ai figli un’idea sbagliata del matrimonio; non è un incubo, non è negativo. Bisogna enfatizzare che l’unità matrimoniale è un qualcosa per cui vale la pena lottare. Affinché un giorno, quando incontreranno la persona giusta, i figli possano lottare per condividere una vita insieme.
E in ultimo una premessa fondamentale: si può porre fine al matrimonio, ma mai al ruolo di papà o di mamma. Si è genitori per tutta la vita! Il fatto che non si condivida più lo stesso tetto come coppia non vuol dire che siano terminati gli obblighi genitoriali. I figli non devono soffrire le conseguenze dei problemi tra i loro genitori, ma purtroppo spesso sono proprio loro a pagare il prezzo più alto della fine del rapporto… Ecco perché non bisogna mai perdere la speranza di riportare la famiglia all’unione e all’armonia.
http://lafamilia.info/index.php/consejos-para-padres-separados
Traduzione dallo spagnolo di Valerio Evangelista. Aleteia 20 ottobre 2016
http://it.aleteia.org/2016/10/20/consigli-genitori-separati-bene-figli
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TRIBUNALE PER I MINORENNI
Il ruolo del giudice onorario minorile.
Chi è il giudice onorario minorile? Qual è il suo ruolo in tribunale? Come si pone nell’organizzazione della giustizia minorile? Vediamolo in questa breve guida.
Organi giudiziari minorili: chi sono i componenti privati? Il componente privato nei tribunali giudiziari minorili è un esperto tecnico: tale può essere nominato anche uno psicologo [L. n. 1441 del 27.12.1956 (artt. 4 e 5)], mentre in passato esperti erano considerati solo i cultori di biologia, psichiatria, antropologia criminale e pedagogia. La legge stabilisce, inoltre, che i componenti privati degli organi giudiziari minorili debbano essere due, un uomo e una donna, e debbano avere almeno trent’anni.
Il titolo di giudice onorario minorile è riservato proprio e unicamente ai componenti privati del Tribunale per i minorenni, mentre per la sezione della Corte d’Appello per i minorenni il titolo è di Consigliere Onorario; nel Tribunale di Sorveglianza, invece, si parla di Esperto.
Il Tribunale per i Minorenni [R.D. n. 1404 del 20.07.1934, convertito in L. n. 835/1935 e successive modificazioni] ha competenza territoriale su tutto il circondario della Corte di Appello o sezione di Corte d’Appello. A livello nazionale operano 29 Tribunali per i Minorenni, con un organico di circa 782 magistrati, dei quali 600 circa sono onorari.
Si tratta di un organo specializzato dell’amministrazione della giustizia, a composizione collegiale, composto da quattro giudici: due giudici professionali (cosiddetti togati) – tra cui il presidente – e due giudici onorari, un uomo e una donna, detti «cittadini benemeriti dell’assistenza sociale» e «cultori di biologia, psichiatria, antropologia criminale, pedagogia e psicologia». Come si intuisce, si tratta di soggetti scelti in quanto portatori di una specifica competenza, congrua con la specializzazione del Tribunale per i minorenni che esercita la giurisdizione in materia penale, civile ed amministrativa, relativamente a tutte le decisioni che riguardano i minori.
Il giudice onorario resta in carica tre anni, durante i quali è un giudice a tutti gli effetti; significa che, nell’esercizio di tale attività, deve osservare i principi deontologici (le norme di comportamento) del giudice di professione, cioè il giudice togato. Non a caso, in camera di consiglio, al momento di prendere le decisioni, il voto del giudice onorario o del consigliere onorario hanno lo stesso peso di quello del giudice togato.
Il giudice onorario, quindi, non è il consulente tecnico: il suo compito è quello di giudicare, proprio come il giudice togato. La differenza sta nel fatto che il giudizio di quest’ultimo è dato sulla base delle norme giuridiche, mentre quello del giudice onorario si fonda sulle conoscenze tecniche e scientifiche di cui egli è portatore. Dalla loro somma deriva la decisione: quella del tribunale, che è organo specializzato proprio perché a composizione mista.
Preliminare e preparatoria rispetto alla decisione vera e propria è un’attività istruttoria che consiste, tra l’altro, nell’ascolto delle parti interessate (genitori, minore, operatori di comunità, altri attori a vario titolo coinvolti). In questa fase, il giudice onorario agisce al fine di raccogliere tutti gli elementi necessari per la decisione collegiale, confrontandosi con situazioni e ruoli per lui del tutto nuovi. Proprio per questo, può capitare che dimentichi che in quel momento egli è un giudice e non un terapeuta e nemmeno un supervisore; il suo lavoro deve consistere sempre non in un colloquio clinico ma in un atto processuale. I giudici togati si aspettano dai giudici onorari competenza tecnica, professionalità e continuo aggiornamento, in quanto le conoscenze specialistiche sono varie e molteplici, con l’obiettivo di scegliere insieme le soluzioni più idonee a favore del minore.
Organi giudiziari minorili: cos’è la Sezione per i minorenni? In ogni Corte d’appello è presente un’apposita sezione, denominata Sezione per i minorenni, che giudica sugli appelli presentati contro le decisioni del Tribunale per i minorenni e che è presieduta da un presidente di sezione della stessa Corte. Si tratta di un organo specializzato a composizione mista, in cui rientrano giudici togati (che in Corte d’appello si chiamano consiglieri) e da giudici onorari (che qui si chiamano consiglieri onorari).
La Sezione per i minorenni giudica in composizione di cinque consiglieri, di cui tre togati (uno dei quali presiede il collegio giudicante) e due onorari. Pertanto, nei giudizi di appello gli onorari non sono più in parità (come nell’udienza del tribunale per i minorenni), ma sono in minoranza. Ciò comporta la necessità di una loro partecipazione particolarmente attiva alle camere di consiglio e la capacità di spiegare ai consiglieri togati gli aspetti scientifici e tecnici di un determinato problema.
Cos’è il Tribunale di sorveglianza? Il Tribunale di sorveglianza svolge esclusivamente funzioni giurisdizionali a livello distrettuale (in un ambito locale, quindi): è composto da tutti i magistrati degli uffici di sorveglianza del distretto e da professionisti esperti in psicologia, servizi sociali, pedagogia, psichiatria e criminologia nominati ogni tre anni dal Csm Consiglio superiore della magistratura).
Al suo interno è presente un organo decisionale, costituito da quattro componenti: il presidente, uno dei magistrati di sorveglianza in servizio (sotto la cui giurisdizione ricade il condannato o il soggetto sulla cui posizione si deve deliberare) e da due esperti.
Si occupa di decidere sulla concessione della riabilitazione e della liberazione, di applicare o meno misure alternative alla detenzione in carcere (detenzione domiciliare, libertà vigilata e affidamento in prova ai servizi sociali, lavoro esterno); provvede sull’estinzione della pena a seguito dell’esito positivo di tali misure e su una eventuale estinzione della pena stessa.
Maura Corrado LPT 21 ottobre 2016
www.laleggepertutti.it/133585_il-ruolo-del-giudice-onorario-minorile
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