newsUCIPEM n. 616 – 25 settembre 2016

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ADOZIONI INTERNAZIONALI Perù- Entro 30 giorni sarà riorganizzata l’Autorità Centrale.
Romania. Entrate in vigore le nuove procedure: iter più veloce.
AMORIS LAETITIA Papa Francesco ha fatto opera di tradizione
Ius in corpus” e “come tra fratello e sorella”.
“Amoris laetitia” tradotta dal cardinale vicario di Roma.
L’Associazione Teologica per lo Studio della Morale e le sue sfide.
Nell’AL Francesco offre a tutti un’avvincente visione dell’amore.
ASSEGNO DIVORZILE Mantenimento alla donna che decide di dedicarsi alla casa.
CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 16/2016, 21 settembre 2016.
CENTRO ITALIANO SESSUOLOGIA Settimana del Benessere Sessuale 2016.
CHIESA CATTOLICA Il nuovo Dicastero dedicato alla Famiglia muove i suoi primi passi.
CONSULTORI FAMILIARI Alberobello. Seminario sulla consulenza familiare.
CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Belluno. Per affrontare quei problemi che molti uomini nascondono
Parma. La famiglia nell’arte, tra passato e presente.
Tu che mi manchi – Tu che mi sorridi.
Varese. Gli eventi per celebrare 50 anni di presenza.
CONVIVENZE DI FATTO Principali novità della normativa introdotta.
DALLA NAVATA 26° Domenica del tempo ordinario – anno C – 25 settembre 2016.
Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
DIACONATO I tre silenzi sulle diacone
EUROPA Ue sul calo demografico e il diritto alla conciliazione vita-lavoro.
FERTILITÀ Gli italiani, popolo fertile?
FERTILITY DAY Hanno problemi di comunicazione, ma la campagna è ambigua.
Sul Fertility day.
Fertility day, una rivoluzione culturale?
Fecondazione: Fertility Day, le raccomandazioni degli andrologi.
FRANCESCO VESCOVO DI ROMA 13 consigli di papa Francesco per un buon matrimonio.
GARANTE PER L’INFANZIA Investire nelle adozioni e dare sostegno alle famiglie che adottano
GESTAZIONE PER ALTRI Maternità surrogata: come regolare gli accordi transnazionali?
MINORI Emergenza Misna. Accoglienza familiare ai minori in arrivo.
PENSIONE DI RIVERSIBILITÀ Pensione al coniuge superstite.
POTESTÀ GENITORIALE Provvedimenti limitativi durante separazione o divorzio.
Divorzio e decadenza da potestà paterna: basta un solo processo.
SINGLE Perché i single in Italia sono aumentati del 46%?
UCIPEM La famiglia crocevia di relazioni e di fecondità.
UNIONI CIVILI Adottiamo le unioni civili? Un mondo al contrario.
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ADOZIONI INTERNAZIONALI
Perù- Entro 30 giorni sarà riorganizzata l’Autorità Centrale
Il ministro della Donna e delle Popolazioni vulnerabili (MIMP), Ana Maria Romero-Lozada, ha comunicato che nei prossimi giorni il Ministero rilascerà i risultati di un audit interno che si sta svolgendo all’interno della Direzione Generale di Adozioni (DGA). La risoluzione ministeriale (256-2016) ha istituito una Commissione che si occuperà di riorganizzare la DGA, alla luce della preoccupazione del ministero per lo stato in cui si trovano i minori che sono stati adottati negli anni precedenti alla sua gestione.
“Saranno necessari 30 giorni per riorganizzare la DGA del Ministero – dice il ministro nel comunicato ufficiale pubblicato sul sito del MIMP – Questo il termine che ci siamo proposti grazie alla creazione di una Commissione che valuterà, farà raccomandazioni e gestirà la riforma interna (di questa istituzione). Riteniamo che non sia stato seguito un procedimento molto chiaro nei processi di adozione (svoltisi) in passato e ciò sarà oggetto dell’audit interno”. Più nello specifico il ministro Romero-Lozada spiega che fino ad oggi non hanno ritrovato le rispettive relazioni rispetto ai minori che sono stati adottati negli ultimi anni ed è preoccupante: “non avere a disposizione le relazioni delle post adozioni – aggiunge – non sapere dove sono questi bambini“. “La questione è molto delicata trattandosi di minori che sono sotto la cura dello Stato – precisa – e non possiamo avere informazione sulla loro situazione e dove si trova ciascuno dei bambini che sono sotto la nostra tutela”.
L’obiettivo della riorganizzazione della DGA è garantire il diritto dei minori dichiarati legalmente in stato di abbandono, a vivere in una famiglia al fine di preservare la loro integrità e garantire il loro interesse superiore. Il comitato di riorganizzazione è composto da un rappresentante dell’ufficio ministeriale; la direttrice generale della sezione Bambini e adolescenti del MIMP o un suo rappresentante; la direttrice generale della sezione Famiglia e Comunità o il suo rappresentante; la direttrice esecutiva del programma nazionale globale per il benessere familiare o un suo rappresentante; e il direttore generale della Direzione Generale della Programmazione e Bilancio o il suo rappresentante.
Nella risoluzione non si evince alcuna decisione in merito alle attività per le adozioni internazionali a differenza delle voci che circolavano nelle scorse settimane secondo cui il Vice Ministro del MIMP, ministero della Donna e delle Popolazioni vulnerabili (a cui fa capo l’Autorità Centrale per le adozioni in Perù), avesse comunicato alla stampa locale la decisione di sospendere le procedure di adozione dei bambini peruviani da parte di cittadini stranieri. Alla base di questa presa di posizione ci sarebbero principalmente gravi violazioni nella gestione del monitoraggio post adottivo relativo a minori adottati da coppie degli Stati Uniti.
news Ai. Bi. 21 settembre 2016
www.aibi.it/ita/adozioni-internazionali-peru-risoluzione-del-ministero-mimp-entro-30-giorni-sara-riorganizzata-lautorita-centrale-ma-le-attivita-non-sono-sospese

Romania. Entrate in vigore le nuove procedure: iter più veloce
Tempi più brevi per l’adozione di bambini rumeni da parte delle coppie che vivono all’estero. Lo ha stabilito il Parlamento di Bucarest che, a partire dal mese di agosto 2016, ha introdotto, delle novità alla legge in materia.La più importante delle modifiche riguarda la riduzione del periodo di tempo che può trascorrere dall’apertura della verifica di adottabilità dello status giuridico del minore alla dichiarazione di adottabilità. Si passa da 2 anni a 1. In sostanza un bambino rumeno potrà essere dichiarato adottabile all’estero se dopo 12 mesi, e non più dopo 24, non è stato ancora adottato da una coppia residente in Romania.
Si riducono anche i tempi dell’iter adottivo. La data della prima udienza dovrà essere fissata entro 15 giorni dal momento in cui il dossier della coppia verrà depositato al Tribunale rumeno. Alla seduta giudiziaria potrà partecipare anche solo uno degli aspiranti genitori adottivi, purché presenti una procura del coniuge assente con cui quest’ultimo autorizza il consorte a fare le sue veci in occasione dell’udienza.
Ridotti a un terzo anche i tempi per il ricorso in istanza giudiziaria: il termine di appellabilità della sentenza scende infatti da 30 a 10 giorni.
Cambia inoltre il termine ultimo per presentare i documenti integrativi al dossier della coppia, eventualmente richiesti dall’Autorità Centrale di Bucarest, ovvero l’Autorità nazionale per la Protezione dei diritti del minore e per l’adozione (Anpda). In questo caso c’è un leggero prolungamento, da 3 a 4 mesi.
Dopo l’emissione dell’abbinamento da parte dell’Anpda, ci sarà meno tempo a disposizione – 30 giorni e non più 45 – per l’invio alla stessa Autorità Centrale dell’Autorizzazione al Proseguimento dell’iter e della Lettera di Garanzia prodotta dalla Commissione adozioni internazionali. Quest’ultima, che non dovrà più essere inviata al Tribunale rumeno assieme al dossier amministrativo, è un documento con cui la Cai garantisce alla sua corrispondente rumena che il minore, una volta adottato in Italia, avrà gli stessi diritti di qualsiasi figlio biologico delle coppie italiane.
Qualche cambiamento anche nella modulistica da produrre. Nella richiesta di adozione non verrà più indicato quanti bambini, di che età e sesso la coppia vorrebbe adottare. Queste informazioni dovranno essere riportate nella parte finale della relazione psicologica redatta dall’Ente Autorizzato a cui gli aspiranti genitori si rivolgeranno. Viene inoltre richiesta la traduzione certificata, e non più legalizzata, dei documenti. Quelli emessi da un’Autorità o legalizzati da un agente pubblico non avranno più bisogno di sovra legalizzazioni.
Infine, cambia anche il format delle relazioni di post adozione, per le quali viene però confermato il numero: saranno sempre 4 all’anno per un biennio.
news Ai. Bi. 22 settembre 2016
www.aibi.it/ita/rromania-entrate-in-vigore-le-nuove-procedere
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AMORIS LAETITIA
Papa Francesco ha fatto opera di tradizione.
Frate Jean-Paul Vesco, domenicano, è vescovo di Orano [avvocato sino a 33 anni]. È l’autore di Tout amour véritable est indissoluble (Cerf, 2015) in cui insiste sul carattere definitivo di una vera seconda unione matrimoniale. Ha partecipato al secondo sinodo sulla famiglia. E insiste qui sul formidabile progresso che Amoris laetitia offre: basta volerlo vedere.
L’esortazione apostolica Amoris laetitia è accolta in un silenzio assordante. Tutto si svolge come se tale esortazione fosse un non-avvenimento, come se nella Chiesa non ci sarà un prima e un dopo Amoris laetitia in materia di pastorale familiare. Coloro che temevano una rivoluzione nella disciplina dell’accoglienza sacramentale delle persone dette “divorziate risposate” sono tentati di cancellarla dal paesaggio più col silenzio che con la sua messa in discussione. Dato che papa Francesco ha detto che non aveva inteso cambiare la dottrina cattolica in materia, allora non sarebbe cambiato niente, e si fa come se questa esortazione apostolica non fosse stata alla fine nient’altro che un brutto sogno. C’è stata più paura che danno, l’esortazione Familiaris Consortio può quindi restare il punto di riferimento. È un silenzio sotto forma di blackout.
Quanto a coloro che speravano in un vero cambiamento di direzione della posizione magisteriale sulla questione, non gridano vittoria. Sembrano come in attesa dell’interpretazione che sarà fatta di questa esortazione da parte dei vescovi. Il loro silenzio suona come un’ammissione di impotenza di forte al “potere gerarchico della Chiesa”, come se questa esortazione non portasse in se stessa il fermento del cambiamento tanto atteso, ma richiedesse un’esegesi supplementare fuori dalla loro portata. In una reazione in fondo molto clericale, aspettavano una parola di autorità che esplicitamente abolisse la posizione magisteriale anteriore e enunciasse una nuova regola.
Invece, papa Francesco avverte fin da subito che non tutte le discussioni dottrinali devono essere risolte con interventi del magistero (3). Aggiunge che a causa delle innumerevoli varietà di situazioni concrete, si può comprendere che non ci si dovesse aspettare dal sinodo o da questa esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico applicabile a tutti i casi (300). Questo significa che papa Francesco non ha parlato con autorità? Certamente no. Ma la forma di autorità a cui si riferisce è quella di Gesù nel Vangelo e non quella dei dottori della Legge. Era sconvolgente al tempo di Gesù, e continua ad esserlo anche oggi.
Papa Francesco insiste sul fatto che un pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono delle situazioni “irregolari” (305). È entrando nel cuore delle storie di ciascuno, con per sola arma la misericordia di colui a cui è stata usata misericordia (310) che i pastori saranno a servizio della verità del Vangelo. Ci invita, noi pastori, a rinunciare a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza (308).
Più che una legge generale applicabile a tutti, sono elementi di valutazione che vengono dati. Ma sono molto chiari e vanno tutti nella stessa direzione: La strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione […]. La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero. Perché la carità vera è sempre immeritata, incondizionata e gratuita! (296). Difficile trovare materia da interpretazione sul senso di queste parole. Inutile anche andare a cercare in una nota a piè di pagina ciò che papa Francesco ha voluto dire.
Per quanto riguarda la pastorale specifica dei divorziati risposati e delle persone in situazioni coniugali “irregolari”, papa Francesco non si pone in primo luogo in rottura con le disposizioni disciplinare enunciate dall’esortazione apostolica Familiaris Consortio. Paradossalmente, fa al contrario opera di tradizione. Citando molto questa esortazione apostolica, ne riprende tutto l’insegnamento della Chiesa relativo all’indissolubilità del matrimonio cristiano, riflesso dell’unione tra Cristo e la sua Chiesa (292). Al seguito di san Giovanni Paolo II, papa Francesco incita a discernere bene le diverse situazioni, comprese quelle delle persone che hanno la certezza soggettiva che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido (298). Dopo aver ricordato tutto questo insegnamento, viene introdotto un elemento assolutamente innovativo: il prendere in considerazione il carattere irreversibile di situazioni matrimoniali e familiari che non permettono di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa (301). Dato che nessuno può essere condannato per sempre perché questa non è la logica del Vangelo (297), quel carattere definitivo di una situazione non può più essere de facto un ostacolo insormontabile al sacramento della riconciliazione.
C’è qui una vera evoluzione/rivoluzione rispetto all’esortazione apostolica Familiaris Consortio: una persona può trovarsi in una situazione oggettiva di peccato, e poter tuttavia ricevere il sacramento della riconciliazione a condizione, certo, che il carattere oggettivamente irregolare della situazione sia da lei riconosciuto, che un lavoro di verità sia stato fatto, e che la contrizione sia reale. La tradizione non è la ripetizione in maniera identica di “verità” intangibili indipendentemente dal tempo e dallo spazio. Quello è fondamentalismo. Non è neppure fonte di rigidità ma è un elemento essenziale di flessibilità tra, da un lato, un mondo in perpetuo movimento e, dall’altro, una verità che trascende le contingenze umane.
Partendo da una posizione magisteriale venuta dalla tradizione della Chiesa e sulla quale si basa, dopo aver convocato due sinodi per permettere un dibattito più ampio possibile, papa Francesco fa legittimamente opera di tradizione prolungando l’incitamento di San Giovanni Paolo II a distinguere tra le situazioni individuali fino a permettere ad alcune di esse l’apertura al sacramento della riconciliazione e quindi all’accesso alla comunione eucaristica. E questo senza l’obbligo di separazione preliminare o di vita “da fratello e sorella”.
Avendo fatto legittimamente opera di tradizione, l’insegnamento magisteriale in materia di pastorale familiare è oggi ripreso interamente nell’esortazione apostolica Amoris laetitia che segue l’esortazione apostolica Familiaris Consortio che sostituisce, prima di essere a sua volta sostituita, un giorno, da una nuova esortazione apostolica che la riprenderà e forse la supererà. Non si tratta quindi di interpretare questa esortazione apostolica a partire da un “altrove” né di attendere che essa revochi esplicitamente disposizioni anteriori. Poiché papa Francesco ha fatto opera di tradizione,
Amoris laetitia basta a se stessa. Allora, dopo la lettura di questa esortazione, non sarà più possibile a un prete rispondere in coscienza ad una persona divorziata-risposata: “Mi scusi, ma a causa della sua situazione matrimoniale non sono autorizzato ad ascoltarla in confessione”. Ora gli toccherà entrare con questa persona nella singolarità della sua storia, vedere la coscienza che essa ha delle sue responsabilità nella sua situazione specifica, considerare le possibilità eventuali di far evolvere questa situazione, tener conto del lavoro di riconciliazione e, eventualmente, di riparazione che è stato intrapreso. Al termine di un tale percorso, io come prete, e non solo come vescovo, mi sentirò autorizzato a dare in coscienza il sacramento della riconciliazione a delle persone che sarebbero in una situazione matrimoniale oggettivamente “irregolare” divenuta definitiva, ma che fanno appello in verità alla misericordia di Dio che, sola, ci solleva e ci salva.
In fondo, più che la dottrina in se stessa, quello che cambia radicalmente è il posto della dottrina nella relazione tra un uomo e il suo Dio. Nell’episodio della donna adultera, Gesù non rimette in discussione la legge sull’adulterio (“va e non peccare più!”). Ma, rimettendo questa legge al suo giusto posto, fa sì che una donna, che stava per essere lapidata da degli uomini in nome di Dio, abbia salva la vita. Niente di meno.
In Amoris laetitia, come in tutto il suo insegnamento, papa Francesco riafferma che la Chiesa non è prima di tutto dottrinale e questo cambia molto nel suo rapporto con il mondo. Chiama ad una rivoluzione dello sguardo e ci invita a rivolgere anche noi quello sguardo che Gesù rivolgeva alle persone che incontrava. È qualcosa di molto semplice. E anche di molto esigente.
+ fr. Jean-Paul Vesco op
“www.baptises.fr” 14 settembre 2016 (traduzione: www.finesettimana.org)
www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=numaut6289

Ius in corpus” e “come tra fratello e sorella”.
La svolta di Amoris Laetitia e la riduzione fisica delle seconde nozze
Per comprendere gli sviluppi – e anche gli sconcerti – che AL determina nel corpo ecclesiale, può essere molto utile tornare a quella definizione di “matrimonio” che abbiamo ereditato da una lunga tradizione medievale e moderna: essa compare significativamente anche come “definizione kantiana” del matrimonio nella “Metafisica dei costumi” e brilla in quanto definizione del Codex di diritto canonico del 1917. Eccone la definizione: “Il consenso matrimoniale è l’atto di volontà con il quale ciascuna delle due parti trasmette e riceve il diritto sul corpo (ius in corpus), perpetuo ed esclusivo, in ordine agli atti di loro natura adatti alla generazione della prole” (can. 1081, § 2 – CJC 1917).
In quanto contratto tra uomo e donna, esso consisterebbe nel “diritto sul corpo del coniuge”, da esercitare in vista della generazione. E’ evidente che la “tutela” di questa esclusiva in perpetuo del matrimonio monogamico – un solo coniuge per ogni corpo – determina una sanzione drastica da parte della società e anche della Chiesa. La società sanziona l’adulterio, e altrettanto fa la Chiesa. Ciò che la società può pensare solo “a propria tutela”, la Chiesa pensa anche e anzitutto a garanzia del “segno” che il matrimonio rappresenta, e che supera l’ambito della vita dei singoli e della comunità, agganciando un livello fondamentale di “comunione tra Dio e il suo popolo, tra Cristo e la sua Chiesa”. Il segno più diretto ed esplicito della comunione con Dio è il matrimonio.
Ora, non è difficile notare come il linguaggio biblico e tradizionale abbia sicuramente ispirato la “concretezza” della definizione medievale dello “ius in corpus”. Ma è altrettanto evidente che questa definizione opera una riduzione quasi insopportabile della “ricchezza simbolica” che il matrimonio rappresenta nella tradizione ecclesiale e sociale. Ecco dunque il rischio al quale esponiamo la tradizione quando pretendiamo di salvaguardarla soltanto con “strumenti giuridici” non aggiornati.
Oggi nessuno osa più dare una definizione di matrimonio in termini di “ius in corpus”. Ma la resistenza di questa “riduzione giuridica” appare ancora molto utilizzata “a contrario”, ossia non per definire il (primo) matrimonio, ma per escludere la rilevanza ecclesiale del secondo. In effetti è sorprendente che ciò che non si utilizza in nessun caso come “definizione del matrimonio”, sia diventato – in una lunga e recente stagione – “il” criterio per escludere la rilevanza del secondo matrimonio. In effetti la disciplina secondo cui i divorziati risposati possono accedere alla pienezza della comunione ecclesiale se promettono di vivere “in continenza” – “come fratello e sorella” – costituisce una “soluzione” che risponde perfettamente alla definizione che ho citato all’inizio. Se non eserciti lo “ius in corpus” di fatto svuoti il matrimonio (secondo) della sua realtà e salvaguardi la “unicità” dell’unico ius sull’unico corpus.
Ora è certo che Amoris Laetitia ha compiuto un passo molto importante nel “ridimensionare” le prerogative di questa “soluzione”. Essa, pur restando nel quadro delle possibilità, non gode più della esclusiva. Ma è altrettanto chiaro che i criteri con cui giudichiamo la “identità” delle famiglie allargate risente ancora molto pesantemente di questa “riduzione fisica” del sacramento. Se il matrimonio non è più comprensibile semplicemente come “ius in corpus”, anche la rilevanza delle “seconde nozze” non può essere scongiurata semplicemente con la “sospensione dello ius in corpus”. Una antropologia troppo rozza e inadeguata può pensare che si possa “essere genitori” senza “usare del matrimonio”: la identità del soggetto sessuale e del soggetto educatore non si può separare se non sulla base di una visione semplicistica e astratta, spesso solo frutto di una proiezione “in re aliena”, così tipica di una lettura clericale. Ma per capire questa evoluzione occorre mettersi – con tutta la possibile lucidità – di fronte al sorgere e allo svilupparsi della “sessualità” lungo il XIX e XX secolo. Che il sesso sia divenuto sessualità – e che quindi la riduzione materialistica del matrimonio sia anche frutto del nostro linguaggio ecclesiale non aggiornato – costituisce un cambiamento che costringe il diritto, la società e la Chiesa ad una nuova e più complessa comprensione del matrimonio. Il matrimonio comporta sempre anche l’esercizio dei una certa continenza. Ma ridurre un matrimonio reale all’esercizio esclusivo della continenza è un modo di “non riconoscerlo” e di “negarlo” – una sorta di “nichilismo pastorale” – che il linguaggio teologico e la prassi pastorale devono rielaborare e correggere quanto prima.
Non solo per accompagnare e integrare le seconde nozze come forme reali della comunione, ma anche per onorare e far desiderare più fedelmente le prime nozze, senza ridurle a stereotipi classici, spesso divenuti irrimediabilmente fuorvianti.
Andrea Grillo blog: Come se non 21 settembre 2016
www.cittadellaeditrice.com/munera/ius-in-corpus-e-come-tra-fratello-e-sorella-la-svolta-di-amoris-laetitia-e-la-riduzione-fisica-delle-seconde-nozze

“Amoris laetitia” tradotta dal cardinale vicario di Roma.
Anche a lui il papa scriverà una lettera di encomio?
Chissà se anche al suo vicario per la diocesi di Roma papa Francesco scriverà una bella lettera di encomio come ai suoi amici vescovi argentini, per come ha saputo anche lui dare la giusta interpretazione – l’unica, cioè quella dello stesso Francesco, perché “non ce ne sono altre“ – di Amoris laetitia, sul punto cruciale della comunione ai divorziati risposati. Il cardinale vicario Agostino Vallini, infatti, il suo compito l’ha svolto. E molto più diligentemente dei suoi sbrigativi colleghi della regione di Buenos Aires, a giudicare dalla dimensione del suo testo, diciassette pagine, dalla bella scrittura e dalla articolata argomentazione.
“La letizia dell’amore: il cammino delle famiglie a Roma”: è questo il titolo che Vallini ha dato alla sua relazione al convegno pastorale della diocesi di Roma del 19 settembre, nella basilica di San Giovanni in Laterano. Il cardinale applica alla diocesi sua e del papa vari passaggi di Amoris laetitia Ma è soprattutto sul fatidico capitolo ottavo che si sofferma, quello che riguarda, appunto, i divorziati risposati “legati da un precedente vincolo sacramentale”.
La prima indicazione che Vallini dà è di “mettere a loro disposizione un servizio d’informazione e di consiglio in vista di una verifica della validità del matrimonio”, avvalendosi delle nuove e più rapide procedure che il papa ha introdotto nei processi canonici di nullità. Ma se “la via processuale non è percorribile, perché il matrimonio è stato celebrato validamente ed è naufragato per altre ragioni, dunque la nullità matrimoniale non può essere né dimostrata, né dichiarata”, ecco aprirsi i percorsi tratteggiati da Amoris laetitiam. Il primo passo da compiere – dice il cardinale – è “un lungo ‘accompagnamento’ nella linea del principio morale del primato della persona sulla legge”.
Dopo di che Vallini prosegue così, nei punti quinto e sesto del capitolo quarto della sua relazione: “Il passo successivo è un ‘responsabile discernimento personale e pastorale’ (AL, 300). Per esemplificare: accompagnare con colloqui periodici, verificare se matura la coscienza di ‘riflessione e di pentimento’, l’apertura sincera del cuore nel riconoscere le proprie responsabilità personali, il desiderio di ricerca della volontà di Dio e di maturare in essa. “Qui ogni sacerdote ha un compito importantissimo e assai delicato da svolgere, evitando il ‘rischio di messaggi sbagliati’, di rigidità o di lassismo, per concorrere alla formazione di una coscienza di vera conversione e ‘senza mai rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio’ (AL, 307), secondo il criterio del bene possibile. “Questo discernimento pastorale delle singole persone è un aspetto molto delicato e deve tener conto del ‘grado di responsabilità’ che non è uguale in tutti i casi, del peso dei ‘condizionamenti o dei fattori attenuanti’, per cui è possibile che, dentro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o non lo sia in modo pieno – si possa trovare un percorso per crescere nella vita cristiana, ‘ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa’ (AL, 305).
“Il testo dell’esortazione apostolica non va oltre, ma nella nota 351 si legge: ‘In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti’. Il papa usa il condizionale, dunque non dice che bisogna ammettere ai sacramenti, sebbene non lo escluda in alcuni casi e ad alcune condizioni [la sottolineatura è nel testo della relazione – ndr]. Papa Francesco sviluppa il magistero precedente nella linea dell’ermeneutica della continuità e dell’approfondimento, e non della discontinuità e della rottura. Egli afferma che dobbiamo percorrere la ‘via caritatis’ di accogliere i penitenti, ascoltarli attentamente, mostrare loro il volto materno della Chiesa, invitarli a seguire il cammino di Gesù, far maturare la retta intenzione di aprirsi al Vangelo, e ciò dobbiamo fare avendo attenzione alle circostanze delle singole persone, alla loro coscienza, senza compromettere la verità e la prudenza che aiuteranno a trovare la giusta via.
“È importantissimo stabilire con tutte queste persone e coppie una ‘buona relazione pastorale’. Vale a dire, dobbiamo accoglierle con calore, invitarle ad aprirsi a partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, ai gruppi di famiglie, a svolgere qualche servizio, es. caritativo o liturgico (coro, preghiera dei fedeli, processione offertoriale). Per sviluppare questi processi è quanto mai preziosa la presenza attiva di coppie di operatori pastorali e gioverà molto anche il clima della comunità. Queste persone – dice il papa – “non devono sentirsi scomunicate, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa” (AL, 299).
“Non si tratta di arrivare necessariamente ai sacramenti, ma di orientarle a vivere forme di integrazione alla vita ecclesiale. Ma quando le circostanze concrete di una coppia lo rendono fattibile, vale a dire quando il loro cammino di fede è stato lungo, sincero e progressivo, si proponga di vivere in continenza; se poi questa scelta è difficile da praticare per la stabilità della coppia, Amoris laetitia non esclude la possibilità di accedere alla penitenza e all’eucarestia. Ciò significa una qualche apertura, come nel caso in cui vi è la certezza morale che il primo matrimonio era nullo ma non ci sono le prove per dimostrarlo in sede giudiziaria; ma non invece nel caso in cui, ad esempio, viene ostentata la propria condizione come se facesse parte dell’ideale cristiano, ecc.
“Come dobbiamo intendere questa apertura? Certamente non nel senso di un accesso indiscriminato ai sacramenti, come talvolta avviene, ma di un discernimento che distingua adeguatamente caso per caso. Chi può decidere? Dal tenore del testo e dalla ‘mens’ del suo Autore non mi pare che vi sia altra soluzione che quella del foro interno. Infatti il foro interno è la via favorevole per aprire il cuore alle confidenze più intime, e se si è stabilito nel tempo un rapporto di fiducia con un confessore o con una guida spirituale, è possibile iniziare e sviluppare con lui un itinerario di conversione lungo, paziente, fatto di piccoli passi e di verifiche progressive. “Dunque, non può essere altri che il confessore, ad un certo punto, nella sua coscienza, dopo tanta riflessione e preghiera, a doversi assumere la responsabilità davanti a Dio e al penitente e a chiedere che l’accesso ai sacramenti avvenga in maniera riservata. In questi casi non termina il cammino di discernimento (AL, 303: ‘discernimento dinamico’) al fine di raggiungere nuove tappe verso l’ideale cristiano pieno”.
Sì a una possibile “apertura”, dunque, ai sacramenti per i divorziati risposati, anche quando non praticano la continenza perché “difficile per la stabilità della coppia”. È questa la novità che il cardinale Vallini individua in Amoris laetitia, rispetto al precedente magistero.
Ma nello stesso tempo il cardinale sostiene che la dottrina della Chiesa “rimane quella di sempre”, perché – dice – papa Francesco non se ne distacca, ma la “sviluppa nella linea dell’ermeneutica della continuità e dell’approfondimento, e non della discontinuità e della rottura”. Il papa infatti – dice Vallini sottolineando queste sue parole – anche nella famosa nota 351 si esprime con cautela: “usa il condizionale, dunque non dice che bisogna ammettere ai sacramenti, sebbene non lo escluda in alcuni casi e ad alcune condizioni”.
Insomma, è un sì condizionato ciò che il cardinale vicario spreme da “Amoris laetitia”, nell’istruire i sacerdoti della diocesi sua e del papa. Tanto condizionato da essere quasi impraticabile, se non in casi rarissimi e che forse non si presenteranno mai. Un sì in teoria che è quasi un no nei fatti. Troppo spinta questa lettura di “Amoris laetitia”? Troppo restrittiva? A papa Francesco la sentenza. Perché solo lui sa che cosa ha voluto dire, in questa sua esortazione che è la croce di tutti gli interpreti.
Sandro Magister Settimo Cielo 23 settembre 2016
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it

L’Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale e le sue sfide.
La tesi di partenza per guardare al futuro dell’ATISM (L’Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale) è che la Teologia morale (TM) in Italia sia gravemente malata. La diagnosi del caso può essere formulata alla luce di Amoris laetitia 311-312, ovvero la difficoltà di elaborare una riflessione etica che sia veramente all’altezza del compito ecclesiale affidatole, con al centro i valori più alti del Vangelo, tra i quali deve emergere sempre la misericordia e l’amore incondizionato di Dio. Non è difficile constatare la marginalità culturale ed ecclesiale della TM in Italia, ovvero la (quasi totale) irrilevanza dei suoi risultati, quando essi non giungano a provocare violente reazioni di rigetto, perché viene percepita come indebita ingerenza di controllo nella sfera personale e pubblica.
La sfida in generale consiste, allora, nell’osare un radicale ripensamento della disciplina, per riorientarla in senso veramente pastorale, come suggerito dal concilio Vaticano II. In particolare, ritengo urgente assumere come presupposti alcune note fondamentali dello stile di Amoris laetitia.
L’apporto di Amoris laetitia per riorientare la Teologia Morale. Prima di tutto, la TM deve prendere sul serio la complessità del reale tenendo presente che non è possibile ingabbiare la vita all’interno di schemi rigidi che non prendano in considerazione le molteplici sfaccettature dell’esistenza, dove prevalgono le sfumature di grigio (cf. AL 305). A motivo della necessità di rimanere a contatto con l’esperienza concreta delle persone bisognerà sforzarsi di superare ogni approccio distaccato e teorico (cf. AL 234), senza limitarsi a una sterile ripetizione dei contenuti certi, e proporre modalità di inculturazione della fede, indagando con coraggio le interpretazioni ancora aperte della dottrina per dibattere con franchezza le conseguenze etiche che ne possono legittimamente derivare.
Una seconda sfida che la TM dovrà assumere è quella di rivolgersi alla soggettività adulta dei cristiani, rinunciando a ogni forma di controllo, per concentrarsi in un’opera di formazione delle coscienze, abilitando i credenti alla ricerca della volontà di Dio all’interno delle situazioni esistenziali, alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana. Infatti, i moralisti per primi «siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» (AL 37). E in quanto formatori questa «opzione fondamentale» mette in questione anche il modo di insegnare, preoccupato di trasmettere contenuti cognitivi, più che di promuovere atteggiamenti personali profondi e di favorire la capacità di ricerca autonoma. Per fare questo, risulta indispensabile coltivare un credito di fiducia nei confronti delle persone e il coraggio di un’impresa educativa a lungo termine, impegnata ad avviare processi che si sviluppano nel tempo attraverso logiche di gradualità e di progressiva responsabilizzazione (EG 222-225). Solo così sarà possibile annunciare in forma attrattiva e persuasiva il messaggio evangelico e le sue esigenze etiche (AL 58).
Ne consegue una terza opzione da assumere: quella di una profonda revisione del linguaggio, che non solo deve diventare più comprensibile, ma che dovrà sforzarsi di aderire all’esperienza pratica delle persone «normali», per venire incontro alla fatica quotidiana di quanti, nel mezzo di problemi, difficoltà e contraddizioni, si sforzano di compiere tutto il bene loro possibile. Ciò implica l’abbandono di un discorso involuto e altisonante, per privilegiare toni discorsivi e narrativi che lo rendano più comprensibile e vicino alla sensibilità della gente comune. Attualizzando il comandamento dell’amore cristiano «tra le pieghe» del vissuto personale e comunitario, con l’attenzione rivolta alle dinamiche psicologiche, relazionali e sistemiche nelle quali il soggetto morale si trova inserito, sarà possibile valorizzare anche il più piccolo degli elementi positivi nel tentativo di condurlo a maturazione nel rispetto dei tempi e delle caratteristiche originali delle persone (AL 76-79).
Infine, una quarta sfida riguarda la modalità con cui solitamente conduciamo la nostra ricerca teologica: credo che sia venuto il tempo di abbandonare il «lavoro in solitaria» per assumere forme di elaborazione del sapere cooperative e realmente interdisciplinari. Si tratta di assumere anche in TM uno stile sinodale, che non solo costringa «gli esperti» a uscire dagli studi affollati di libri per guardare in faccia le persone, mettendoci in ascolto profondo del popolo di Dio e delle voci minoritarie e periferiche. Tra queste, ormai è divenuto urgente dare attenzione alla voce delle donne che molto hanno da dire anche in ambito morale (dopo secoli di silenzio forzato), ma che trovano ancora troppo poco spazio nelle nostre istituzioni. Nel corso del V Convegno ecclesiale nazionale (Firenze, 9-13 novembre 2015) le riflessioni più fresche e originali, coinvolgenti e stimolanti siano state offerte da alcune delle figure femminili cui è stato concesso di parlare: da un simile ascolto non può che provenire un arricchimento della riflessione etica, tenendo anche conto che alcune delle categorie tradizionalmente impiegate in TM sembrano configurate quasi esclusivamente «a misura maschile»!
Giovanni del Missier ebook Il Regno 15 settembre 2016
www.dehoniane.it/control/ilregno/dialogoMoralia?idDialogo=988511

Nell’Amoris Laetitia papa Francesco offre a tutti un’avvincente visione dell’amore
Sia i conservatori che i progressisti stanno piangendo lacrime di coccodrillo per l’occasione perduta dell’Amoris Laetitia: si dice infatti che aggiunge ben poco a ciò che si sapeva già. Mentre non ha incontrato le aspettative di nessuno dei due gruppi, essa articola una teologia del matrimonio per un mondo desideroso d’amore, ma sospettoso delle tradizionali dichiarazioni in proposito.
Per quelli conservatori, papa Francesco dice troppo poco delle norme della famiglia eterosessuale e bigenitoriale, della minaccia del matrimonio omosessuale, dell’immoralità della contraccezione e dell’inaccettabilità di un secondo matrimonio. Gruppi di tradizionalisti hanno fatto pressione sul papa durante il sinodo del 2014/2015, chiedendo chiarezza. Secondo l’editorialista del New York Times Ross Douthat, il papa non ha contraddetto la dottrina, ma proponendo gli insegnamenti ufficiali “con toni di modestia e autocritica” ha imposto una tregua, ma ha lasciato la Chiesa più debole.
Alcuni progressisti criticano il documento per la sua visione limitata ed esclusiva dell’amore. Secondo la teologa femminista Mary Hunt, che ha scritto per Religion Dispatches, “C’è solo un ideale – il sesso monogamo, matrimoniale, eteronormato e senza contraccettivi – in relazione al quale tutto il resto ha meno valore, è mancante di qualcosa e/o proibito”.
È deludente, anche se non stupisce l’esclusione delle coppie omosessuali e il giudizio sfavorevole della contraccezione, peraltro trattate solo marginalmente. Molti avevano sperato che un papa che aveva usato un tono diverso su argomenti come questi, in questa lettera alla fine si muovesse in una direzione migliore. Non l’ha fatto.
Ma il decentramento dell’etica sessuale che è diventato il simbolo di questo papato rimane. Mentre i cattolici progressisti continuano a puntare giustamente su un’inclusione maggiore e su un ripensamento di entrambe le questioni, è importante notare cosa non c’è nel documento. Diversamente dalla lettera pastorale del 2010 della Conferenza Episcopale Statunitense, “Marriage: Love and Life in the Divine Plan”, qui non vediamo il matrimonio omosessuale come minaccia a quello etero. Mentre i vescovi statunitensi avevano fatto della lotta contro le unioni gay il punto centrale della loro difesa del matrimonio, Francesco ha altre preoccupazioni. Diversamente dall’esortazione apostolica post-sinodale del 1981 di Giovanni Paolo II, la Familiaris Consortio, l’Amoris Laetitia di Francesco non dice che chi fa uso della contraccezione “degrada” e “manipola” la sessualità umana, se stessi e il proprio partner. La pianificazione famigliare naturale non è definita come essenziale in un matrimonio cristiano. La preoccupazione principale dell’Amoris Laetitia è quella di presentare una teologia del matrimonio credibile. Prima dell’incontro mondiale del Sinodo sulla Famiglia del 2014/2015, gli stessi vescovi hanno saputo, grazie a sondaggi tra i cattolici laici, che per molti gli insegnamenti su matrimonio e famiglia risultavano oscuri e non convincenti.
Con un’umiltà che non è comune nei documenti papali, Francesco riconosce il fallimento della Chiesa nella comunicazione, dicendo: “A volte abbiamo proposto un ideale del matrimonio troppo astratto e teologicamente artificiale, molto lontano dalle situazioni concrete e dalle possibilità pratiche delle famiglie reali. Questa eccessiva idealizzazione, specialmente quando ha mancato di ispirare fiducia nella grazia di Dio, non ha aiutato a rendere il matrimonio più affascinante e desiderabile. Anzi, il contrario”. Invece Francesco dice di voler offrire una visione del matrimonio “come un cammino verso lo sviluppo e il completamento di sé”. Cerca di seguire Gesù nell’offrire un “ideale esigente” che però sia sensibile alla “fragilità” degli esseri umani. Mentre giustappone l’ideale cristiano a certe correnti culturali problematiche, il papa evita generalizzazioni semplicistiche sull’individualismo e il consumismo. Ancora, teme la “cultura dell’effimero”, nella quale le persone saltano da una relazione all’altra, paventando un impegno a lungo termine che limiterebbe necessariamente le loro scelte. Inoltre associa la lotta per l’indipendenza con una difficoltà nel sostenere la comunità che alla fine lascia sole molte persone.
Francesco è anche consapevole che la congiuntura economica attuale rende il matrimonio più difficile da scegliere, sia per i poveri, cui mancano possibilità per il futuro, sia per i privilegiati, che ne hanno troppe. Esse fanno diventare il matrimonio anche difficile da portare avanti. Esprime poi particolare preoccupazione per le famiglie destabilizzate o divise dall’immigrazione, e per quelli che vivono in estrema povertà. Dopo aver descritto le molte sfide a cui la famiglia deve far fronte, il papa conclude dicendo: “Non c’è alcuno stereotipo della famiglia ideale, ma piuttosto un mosaico impegnativo formato da molte realtà diverse, con le loro gioie, le loro speranze e i loro problemi”. Ed è proprio dalla visione d’insieme delle diverse esperienze delle famiglie che il papa cerca di riformulare la visione cattolica.
Nelle parti del documento che sono innegabilmente sue, Francesco cerca di comunicare la bellezza di un matrimonio che duri tutta la vita. Molto vicino e visibile nell’enciclica c’è un’acuta consapevolezza di quanto a molti questo ideale sia sospetto. Nella sua visione la fedeltà è il punto centrale – fedeltà che è radicata nell’“esperienza di appartenere completamente ad un’altra persona” e nella sfida di “aiutarsi l’un l’altro, diventando vecchi insieme”. Sebbene sia apparentemente in contrasto con la passione, Francesco afferma che lo stesso amore chiede fedeltà. Non c’è il romanticismo naïve del “solo lui/lei”, e nemmeno il senso che una persona sola ci completi e ci renda interi.
Il papa insiste che ogni persona ha comunque la sua autonomia, e non deve vedere l’altro come “suo/sua”. Cita il teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer, che afferma che ogni coniuge deve essere realistico su quanto l’altra persona può dare e dice di “non aspettarsi da lui/lei qualcosa che è proprio solo dell’amore di Dio”.
Francesco non cerca di stabilire che la procreazione sia una condizione indispensabile del matrimonio, ma afferma che, comunque, l’amore è di per sé generoso. Le famiglie non sono “un rifugio dalla società”. Piuttosto, l’impegno nei confronti degli altri accresce il loro amore. Francesco cita i versi del poema “Te Quiero” dell’uruguaiano Mario Benedetti: “Ti amo, è perché tu sei/Il mio amore, il mio compagno e il mio tutto,/ E per la strada, fianco a fianco,/ Siamo molto di più che solo due”.
Conscio di come le persone possono ferirsi e deludersi a vicenda, il papa torna diverse volte sul tema del perdono. L’ammonimento di Martin Luther King di amare i propri nemici perché anche “chi ti odia di più ha del buono in sé” vale anche per il matrimonio, perché il papa esorta gli sposi a vedere Dio nei loro coniugi imperfetti, non importa cosa abbiano fatto. La pratica del perdono è solo il tassello di una realtà più ampia: l’amore è gioia, ma la gioia “ha bisogno di essere coltivata”. L’amore è quello per cui siamo fatti, quello che desideriamo, e ciò che ci dà la felicità più grande, ma inevitabilmente significa anche “soffrire e lottare insieme” e “un impegno condiviso per crescere ancora di più in armonia”.
Non è un messaggio annacquato, o solamente la difesa di un modello patriarcale e eteronormato. Non è inclusivo come dovrebbe essere, ma letto in modo approfondito è un’esigente e avvincente visione d’amore.
Julie Hanlon Rubio, professore di etica cristiana, alla St. Louis University (Stati Uniti).
National Catholic Reporter, (USA), 19 aprile 2016 Pope offers compelling vision of love
traduzione di Silvia Lanzi 20 settembre 2016 www.gionata.org/page/4
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ASSEGNO DIVORZILE
Mantenimento alla donna che decide di dedicarsi alla casa.
Corte di Cassazione, Sesta Sezione civile, ordinanza n. 18542, 21 settembre 2016.
Separazione e divorzio: se la scelta della donna di non lavorare e dedicarsi alla famiglia è condivisa da entrambi i coniugi, a quest’ultima spetta l’assegno di mantenimento anche se ha un potenziale lavorativo.
Non basta un titolo professionale in capo all’ex moglie per evitare di versarle il mantenimento. L’assegno mensile alla donna, conseguente alla separazione dei coniugi, spetta anche se questa abbia un potenziale lavorativo (perché dotata di laurea e iscritta in un albo professionale) se, per una scelta condivisa con il marito, abbia deciso di dedicarsi alla casa e rinunciare alla libera professione. È quanto chiarito dalla Cassazione con una ordinanza.
Secondo la Corte, in caso di separazione non serve appellarsi al fatto che la donna abbia titoli per esercitare una determinata professione (nella specie, quella di commercialista per via dell’iscrizione al relativo albo) per escludere il pagamento, da parte dell’ex marito, dell’assegno di mantenimento: se «l’impiego» delle competenze della donna per il ménage quotidiano della casa e della famiglia è stato frutto di «una scelta condivisa» durante il matrimonio, scelta «finalizzata a limitare il tempo dedicato al lavoro e a non svolgere l’impegnativa attività professionale» proprio per «non sottrarre ulteriore tempo alla vita familiare», allora quest’ultima ha diritto a essere mantenuta. La rinuncia a una carriera professionale, fatta anche nell’interesse dell’ex marito, ha diritto a un compenso dopo la separazione. E questo compenso si chiama assegno di mantenimento. Che spetta almeno finché non si metta in proprio e guadagni almeno quanto l’ex marito.
Redazione Lpt 22 Settembre 2016 ordinanza
www.laleggepertutti.it/133643_mantenimento-alla-donna-che-decide-di-dedicarsi-alla-casa
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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA
Newsletter CISF N. 16/2016, 21 settembre 2016
Tagli IRPEF rinviati al 2018? Va bene, ma proviamo a darli solo per chi ha figli
Francesco Belletti, Direttore Cisf
Finanziaria 2017 già in dirittura d’arrivo, ma per i tagli sull’IRPEF, cioè sulle tasse per persone e famiglie, si rinvia al 2018.[…] forse sull’IRPEF il Governo potrebbe impegnarsi già oggi. Non sarebbe una brutta idea, ma servirebbe che […] ogni ipotesi di riduzione dell’IRPEF per il 2018 venga destinata in modo selettivo ed esclusivo al sostegno delle famiglie con figli (segue)
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Conferenza nazionale sulla disabilità – Firenze, 16-17 settembre 2016
Si è appena conclusa la Quinta Conferenza Nazionale sulle Politiche della Disabilità. Scarsa copertura mediatica, ma occasione di confronto tra gli addetti ai lavori, soprattutto per discutere sulla bozza del secondo Programma di Azione Biennale sulla disabilità. Intanto in questi giorni ci sono state, per fortuna, altre occasioni per confrontarsi con il tema in modo non superficiale.
La grande vetrina delle paralimpiadi di Rio. Molto più di tanti discorsi, le splendidi immagini dei giochi paraolimpici di Rio 2016 appena conclusi, a testimoniare la tenacia e la bellezza di tante storie personali, che attraversano la disabilità E le 39 medaglie italiane ci fanno piacere, così come il nono posto nel medagliere, ma ancora di più ogni atleta che abbiamo visto è una testimonianza di resistenza dell’umano, da cui ciascuno di noi può imparare molto di più che non da decine di libri, articoli e discorsi…. Alla faccia delle passioni tristi!!!
Anche al cinema… “Alla ricerca di Dory”, sequel di “Alla ricerca di Nemo”, indaga in maniera non scontata il tema della disabilità. Per dire che anche chi ha qualche difetto può compiere grandi imprese. Leggi su www.famiglicristiana.it
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Più nonne in pensione, più mamme al lavoro? Un intervento da lavoce.info
In un’Italia dove i nidi sono pochi, le nonne garantiscono alle mamme che lavorano un servizio di cura dei figli affidabile e a basso costo. Le riforme pensionistiche potrebbero perciò avere effetti negativi sull’occupazione delle donne con bambini piccoli. E il bonus bebè non basta a compensarli
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Istituito il nuovo dicastero pontificio per i laici, la famiglia e la vita.
“La Chiesa, madre premurosa, ha sempre, lungo i secoli, avuto cura e riguardo per i laici, la famiglia e la vita, manifestando l’amore del Salvatore misericordioso verso l’umanità[…]” Sono le prime parole del Motu Proprio con cui Papa Francesco ha riorganizzato gli organismi che seguono la famiglia, la vita e il laicato. E’ stato contestualmente approvato lo Statuto del nuovo Dicastero.
Prefetto del nuovo Dicastero è Kevin Joseph Farrel, vescovo di Dallas. Il Papa ha nominato monsignor Vincenzo Paglia – presidente uscente del Pontificio Consiglio per la Famiglia – nuovo presidente della Pontificia Accademia per la Vita e Gran Cancelliere del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per Studi su Matrimonio e Famiglia, istituto di cui Mons. Pierangelo Sequeri è stato nominato Preside. =======================================================================
Dall’estero.
Il Parlamento Europeo ha approvato il 13 settembre 2016 una risoluzione per promuovere un miglior rapporto tra vita familiare e lavoro. Creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e vita professionale.
Regno unito: Una ricerca sulle persone con demenza e sul ruolo positivo che il racconto biografico può avere per migliorare la qualità della vita e delle cure per le persone malate e per le persone che hanno cura di loro.
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Ultimi arrivi dalle case editrici.
Di Nicola Giulia Paola, Danese Attilio, Il buio sconfitto. Cinque relazioni speciali tra eros e amicizia spirituale, Effatà Editrice, Cantalupa (TO), 2016, pp. 333, € 16,00
Alcune coppie hanno assecondato il fascino dell’attrazione reciproca e al contempo si sono impegnate in un cammino verso la perfezione dell’amore fedele e donativo. Hanno percepito la bellezza unica di quel “tu” incontrato sulla loro strada e aderito alla promessa di ulteriorità implicita in quel richiamo, accettando il travaglio dell’unità, oltre le differenze di temperamento, di cultura, di sensibilità spirituale e anche oltre i pregiudizi e i moralismi dell’ambiente. La vita non ha risparmiato loro conflitti e sofferenze, ma non hanno ceduto alla tentazione di mollare; hanno creduto nell’amore, custodendo il dono del misterioso legame. Percorrendo itinerari diversi, hanno attraversato, singolarmente e insieme, la notte dei sensi, dell’anima, della disunità, fino a sconfiggere il buio e vivere quell'”estasi” che non è sinonimo di ebbrezza, ma esodo dall’io per ritrovarsi uniti nella luce del Cristo. Le cinque coppie presentate in questo denso volume sono: Charlotte Baudoin e Charles Péguy; Raïssa Oumançoff e Jacques Maritain; Francesca Romani e Alcide De Gasperi; Mya Salvati e Igino Giordani; Adrienne von Speyr e Hans Urs von Balthasar.
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Save the date.
Nord: La sociologia relazionale alla prova: questioni metodologiche e di ricerca, VIII Seminario nazionale di Sociologia Relazionale, Centro di Ateneo Ricerche sulla Famiglia e Dipartimento di Sociologia, Università Cattolica, Milano, 20 ottobre 2016.
Nord: Volontariato per la salute mentale. Come, quando, dove, perché fare il volontario in psichiatria, corso di formazione, ALFaPP, Genova, incontri dal 30 ottobre 2016 al 30 novembre 2016.
Centro: La famiglia, piccola Chiesa. Dialogo su alcune pagine di Amoris laetitia, Istituto Superiore di Scienze Religiose all’Appollinare, Pontifica Università Sanata Croce, Roma, 8 ottobre 2016.
Centro: Maria, balsamo di misericordia per le ferite dell’umanità, XXXII Convegno nazionale dell’Associazione Italiana di Pastorale Sanitaria, Assisi, 10-13 ottobre 2016.
Centro: Festival delle generazioni 2016, Federazione Nazionale Pensionati CISL, Firenze, 13-15 ottobre 2016.
Sud: La scuola del presente tra educazione e didattica. Promuovere l’inclusione valorizzando le differenze, Centro Studi Erickson, Salerno, 1, 2 e 3 dicembre 2016.
Estero: The impact of Digitalisation on 21st Century Families. Coface & AGF-Germany, Berlino, 7-8 novembre 2016.
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Iscrizione alle newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx
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CENTRO ITALIANO DI SESSUOLOGIA
Settimana del Benessere Sessuale 2016
Nell’ambito della Settimana del Benessere Sessuale 2016 promossa dalla FISS alcuni Soci organizzano eventi patrocinati dal CIS:
“Ancona – 8 Ottobre Corso di Formazione: “Con…sesso informato, il sesso e la malattia: verso una nuova consapevolezza”
“Bologna – 8 Ottobre: Seminario su: “Disforia di Genere: il percorso di transizione”
“La Spezia – 8 Ottobre Tavola Rotonda su: “L’età del passaggio. Sessualità e salute femminile nella maturità”
“Pescara – 8 Ottobre Presentazione del Libro: “Come vivere bene anche se in coppia”
www.cisonline.net
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CHIESA CATTOLICA
Il nuovo Dicastero dedicato alla Famiglia muove i suoi primi passi.
Istituito da Papa Francesco il nuovo Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, dal 1° settembre us il Pontificio Consiglio per la Famiglia ha cessato le sue attività: le sue competenze e funzioni sono state assunte dal nuovo organismo presieduto dal prefetto S.E. Mons. Kevin Joseph Farrell.
Mons. Farrell ha recentemente dichiarato che l’Esortazione del Papa Amoris Laetitia sarà al centro della sua agenda. Intervistato da Charles Collins per Radio Vaticana mons. Farrell ha detto: “sono onorato che il Santo Padre mi abbia chiesto di andare a svolgere un così importante lavoro. (…) Non vedo l’ora di cominciare. Mi sembra che sia una grande sfida, soprattutto considerando il fatto che l’Esortazione del Santo Padre, Amoris Laetitia, sia così importante e così ben accolta dal mondo intero; ed essendo stato nominato a capo di quello che era il Pontificio Consiglio per la Famiglia, ovviamente sarà al primo posto della mia agenda”.
Stiamo seguendo il rilancio delle attenzioni nei confronti sia dei bambini abbandonati o in difficoltà familiare, sia delle famiglie adottive e affidatarie, generato nel rinnovato profilo del magistero ecclesiale dedicato alla famiglia e alla vita il cui cammino è consegnato dal Santo Padre anche al nuovo Dicastero.
Ciò è progressivamente emerso lungo l’articolato cammino del Sinodo sulla famiglia. Con attenzione abbiamo visto crescere e sempre più precisarsi l’interesse dei Padri sinodali al tema di chi non ha più famiglia ed alle forme familiari di accoglienza; qui richiamiamo in tal senso i testi della Relatio Synodi dell’ottobre 2014 (n. 58) e dell’Instrumentum Laboris del maggio 2015 (n. 136 e n. 138).
Premure, attenzioni e sollecitazioni ritrovate nell’Esortazione Apostolica Amoris laetitia, in particolare nei punti dedicati all’accoglienza adottiva e affidataria quali peculiari forme di apostolato e di fecondità (n. 82; n. 166; nn. 172-173; nn. 178-180).
Papa Francesco ha voluto affidare al nuovo Dicastero (per la promozione della vita e dell’apostolato dei fedeli laici, per la cura pastorale della famiglia e della sua missione) l’opera e l’intraprendenza della Chiesa, madre premurosa, che ha sempre avuto cura e riguardo per i laici, la famiglia e la vita, manifestando l’amore del Salvatore misericordioso verso l’umanità. Siamo sicuri che anche il nuovo Dicastero, chiamato a raccogliere le tante sfide che concernono il valore della Vita, degli aspetti che riguardano la cura della dignità della persona umana, non trascurerà di considerare i temi connessi alla dignità filiale dei bambini in stato di abbandono, e quelli relativi alla prova della sterilità, vissuta da molte coppie troppo spesso come smentita della propria fecondità e vocazione sacramentale.
Infatti secondo il proprio Statuto (art. 9, §4) il Dicastero è esplicitamente chiamato da Papa Francesco ad operare per favorire l’apertura delle famiglie all’adozione e all’affidamento dei bambini.
News Ai. Bi. 19 settembre 2016
www.aibi.it/ita/il-nuovo-dicastero-dedicato-alla-famiglia-muove-i-suoi-primi-passi
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CONSULTORI FAMILIARI
Alberobello. Seminario sulla consulenza familiare.
Pubblicato il Programma del 21° Seminario triennale sulla consulenza familiare che avrà inizio al Convento di Castellana Grotte (BA) il 5 ottobre prossimo, organizzato dal CFC di Alberobello e Consultorio familiare diocesano “Conversano-Monopoli”.
www.cfc-italia.it/cfc/index.php/federazioni-regionali/regione-puglia/74-federazioni-regionali/regione-puglia/articoli-puglia/394-seminario-triennale-sulla-consulenza-familiare
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Belluno Un luogo per affrontare quei problemi che molti uomini ancora nascondono
A seguito della serie di appuntamenti “Dopo i 50” organizzata a cavallo degli scorsi mesi di febbraio e marzo dal Consultorio, in partenariato con la LILT, l’ADOS e con il contributo del CSV Belluno, si è costituito, presso la Sede un gruppo di scambio e sensibilità, guidato da una psicoterapeuta oncologa, per chi è stato colpito da tumore della prostata ed ai suoi familiari.
Affrontare la consapevolezza di avere un tumore alla prostata non è facile per nessun uomo. È qualcosa che colpisce l’identità maschile, l’autostima, il senso di competenza e che cambia la quotidianità nel suo svolgersi più pratico. Ogni uomo reagisce a suo modo, con le sue difese, il suo grado di ottimismo, le sue speranze e il sostegno delle persone su cui può contare. Ma tutti sono messi a dura prova quando incontrano questo tumore. È un’esperienza ardua da gestire e dolorosa sia per chi la vive, sia per chi è vicino.
E poi ogni storia è diversa. Ogni esperienza di cura è un percorso a sé. Diventa allora assai utile unirsi, mettere a confronto vissuti differenti, creare un dialogo fra i pazienti. È importante per il loro benessere ed estremamente interessante per gli specialisti, al fine di migliorare l’accoglienza, la comunicazione, la cura ed il supporto nell’ambito del proprio contesto lavorativo e di diffondere informazioni approfondite a livello di comunità scientifica.
Consci di tutto questo e forti del successo di esperienze simili organizzate a Milano ed all’estero dall’associazione “Europa Uomo”, il Gruppo intende far nascere anche a Belluno “I Venerdì di Europa Uomo”. Si tratta di uno spazio quindicinale, fisico e per così dire mentale, dedicato sia a coloro che hanno fatto esperienza di diagnosi di tumore alla prostata sia ai loro familiari, spazio in cui conoscersi, confrontarsi, scambiarsi informazioni, darsi sostegno reciproco e incontrare dei professionisti a cui chiedere aiuto. Ci si può incontrare anche per chiacchierare liberamente, fare conoscenza e organizzare anche delle attività ricreative.
Il gruppo supportivo-espressivo di circa un’ora e mezza, facilitato da psicoterapeuti esterni, vuole rappresentare un contesto protetto, discreto e caratterizzato dalla fiducia e dal rispetto reciproco, in cui le persone possano raccontare la propria esperienza di malattia dando sfogo alle emozioni più intime e negative e trovando conforto negli altri membri. Qui l’oggetto di discussione e confronto sarà esclusivamente l’esperienza di tumore e l’impatto che essa ha avuto sulla vita delle persone direttamente coinvolte e delle loro famiglie.
Qualora emergano quesiti di carattere prettamente medico e il desiderio di incontrare uno specialista, saranno organizzati incontri informativi a tema. Si tratta di momenti a frequentazione libera: la “porta è aperta” e si può accedere e ritirarsi quando si vuole, partecipare da soli o invitare anche i propri partner e i propri figli.
Un’unica condizione di accesso è posta ai gruppi supportivo-espressivi. In questi incontri ciascuno è libero di raccontare la propria storia relativa alla malattia e di esprimere le proprie emozioni. Libero di chiarire a se stesso e al gruppo cos’è cambiato nella propria vita, nella percezione di sé e nella relazione con gli altri, di riferire come vive il rapporto di coppia e la propria sessualità, come vede il futuro. È prevista anche la possibilità di restare in silenzio e limitarsi semplicemente ad ascoltare gli altri, in un’atmosfera di “non giudizio” e di condivisione partecipata. Viene fatto tesoro di ogni singola esperienza e di ogni soluzione efficace sperimentata con successo, che si tratti di un problema pratico o di una difficoltà emotiva.
Dagli altri si possono imparare nuove strategie di fronteggiamento delle difficoltà e modi diversi di reagire. Aprendosi e condividendo i propri stati d’animo si crea subito un positivo senso di appartenenza che contrasta con quello di solitudine, molto frequente in casi di diagnosi di tumore. Già in questi primi mesi l’aiuto e l’incoraggiamento del Gruppo sono serviti a coloro i quali arrivavano con una diagnosi di tumore prostatico e che l’incontro con chi, prima di loro, aveva affrontato questa esperienza: ha trovato informazioni anche sulle diverse terapie, sugli effetti collaterali. Alla fine sono andati via più tranquilli, più consapevoli e con la certezza che, se i componenti di questo Gruppo, sia pur in vari modi e con varie difficoltà, sono riusciti a ritrovare fiducia e a reinserirsi nuovamente nella società, potranno farlo anche loro. Alcuni hanno anche deciso di partecipare al Gruppo.
Questa iniziativa, ribadiamo, ha come scopo principale quello di tutelare e migliorare la qualità di vita degli uomini colpiti da tumore alla prostata e delle loro famiglie, aiutandoli nel contempo a creare una nuova rete sociale di supporto.
Ennio Colferai L’amico del popolo 8 settembre 2016

Parma. La famiglia nell’arte, tra passato e presente: unità o dissoluzione?
La conferenza delineerà un percorso dalle icone antiche fino alle nuove immagini pubblicitarie, mostrando l’evoluzione della forma familiare nei secoli, fino a raggiungere il dibattito contemporaneo.
Dalla nascita del cristianesimo in poi, la rappresentazione della famiglia è vista attraverso quella della Sacra Famiglia. Tutta l’arte dell’Occidente e dell’Oriente cristiani mostrano come la vera famiglia sia quella di Nazareth. Tuttavia, con il passare dei secoli, in concomitanza con un processo di secolarizzazione che investe il mondo europeo, il tema della Sacra Famiglia è sempre più relegato al mondo devozionale per lasciare spazio, dal XIX secolo, a rappresentazioni famigliari immerse nella quotidianità della vita borghese, come nell’Impressionismo. Nelle immagini contemporanee, emergono sempre più le drammatiche problematiche della separazione, dell’aborto, della violenza e nuove forme di “famiglia” vengono presentate. Quale sarà la famiglia del futuro?
Padre Andrea Dall’Asta SJ direttore Galleria san Fedele
Lunedì 3 Ottobre 2016, ore 18.30 – Sede Famiglia Più
Tu che mi manchi – Tu che mi sorridi.
Gruppo di incontro per persone in lutto
La lenta e faticosa elaborazione del lutto per la perdita di una persona cara è un processo squisitamente personale che può manifestarsi in modo del tutto diverso a partire dal “modo di essere” di chi lo vive.
Ciò nonostante il confrontarsi con chi fa esperienza dello stesso vissuto di perdita può aiutare a sviluppare una maggiore autoconsapevolezza e ridurre il sentimento di solitudine.
Scopo del gruppo: offrire a chiunque un luogo protetto e non giudicante in cui approfondire, legittimare ed elaborare i propri vissuti di fronte a Perdite più o meno recenti.
Il gruppo si incontrerà presso la sede di Famiglia Più, e si articolerà in cinque incontri a cadenza settimanale in pausa pranzo o nel tardo pomeriggio, nella giornata del mercoledì o del venerdì a partire dal 21 ottobre 2016. (Giorno e orario verranno fissati sulla base delle esigenze dei partecipanti).
Conduttore: dr Cecilia Sivelli, psicologa psicoterapeuta, si occupa di accompagnamento alla morte e supporto al lutto a Parma e presso l’Azienda Ospedaliera di Cremona.
www.famigliapiu.it/index_eventi.html
Varese. Gli eventi per celebrare 50 anni di presenza.
Il 19 marzo 1966, nella sede di via Bernascone 14, iniziava la sua attività l’Associazione La Casa di Varese. Nata per iniziativa dell’allora prevosto Mons. Enrico Manfredini, in collaborazione con numerosi laici, aveva lo scopo di promuovere l’assistenza e la cura della famiglia.
Nel 2016, 50 anni dopo, la ‘Fondazione-Centro per la Famiglia-Istituto La Casa di Varese’ è una presenza viva in città, capace di accogliere, dialogare, collaborare, mettendosi al servizio della persona, della famiglia e della comunità locale. Questo grazie a persone che negli anni si sono spese, mettendo a disposizione la loro intelligenza e generosità.
Il Cinquantesimo rappresenta quindi un’occasione per riflettere sulla nostra storia, a partire dalle radici, per rilanciare la nostra mission nelle sfide del presente, che ci interpellano.
8 ottobre 2016-ore 08,30 – Collegio De Filippi – Via Brambilla 15 – Varese
Convegno Dono e speranza. Rigenerare i legami familiari.
La famiglia oggi tra crisi e sviluppo prof. Eugenia Scabini
Le famiglie fragili. La risorsa della mediazione familiare e del gruppo di parola prof. Costanza Marzotto
Dialogo con i partecipanti dr Roberta Broggi
25 novembre 2016- ore 21- – Collegio De Filippi – Via Brambilla 15 – Varese
Incontro con l’arcivescovo Card. Angelo Scola
Famiglia, soggetto di evangelizzazione
3 dicembre 2016- – presso la sede del Consultorio Istituto La casa di Varese
Manifestazione concorso: Nell’ascolto sono accolto
Concorso per le classi Quinte scuola Primaria e Terze scuola secondaria di Primo grado- via F. Crispi 4
Produzione di materiale artistico e/o multimediale, a partire dall’esperienza vissuta dai partecipanti all’interno della propria scuola, famiglia, territorio.

Per fare un albero. Genitori e figli adolescenti.
20 ottobre 2016 Ci vogliono radici! Essere genitori di figli adolescenti.
27 ottobre 2016 Ci vuole il fiore! L’adolescenza e i suoi colori.
10 novembre 2016: Ci vuole il seme! Per una sessualità parlata.
17 novembre 2016: Ci vuole lo smartphone! Figli connessi.
24 novembre 2016: Ci vuole …Parola ai genitori

Diamo parola alle emozioni. Gruppo per bambini di genitori separati
È un piccolo gruppo rivolto a bambini con i genitori separati per poter “dar voce” alle loro emozioni: esprimere la rabbia, le speranze, la paura, la tristezza, i dubbi legati alla separazione dei genitori. Attraverso gli incontri i bambini saranno accompagnati a:
Mettere in parola i sentimenti per acquisire più sicurezza in sé;
Esprimere ciò che sentono attraverso i canali della parola e del gioco;
Porre delle domande e ricevere possibili risposte dal gruppo;
Incontrare altri bambini, condividere le loro esperienze, e trovare sostegno;
Trovare il modo per dialogare con i propri genitori.
Sono previsti quattro incontri il giovedì dalle ore 15.00 alle ore 16.45 (27 ottobre, 3 novembre, 10 novembre)
Giovedì 17 novembre, Il quarto incontro prevede, dalle 16.00 la partecipazione dei genitori.
Itinerari di preparazione al matrimonio e alla famiglia (da 24 ottobre a 12 dicembre 2016 ore 21)
1. 24 ottobre: Sposarsi? Sposarsi nel Signore? (sacerdote)
2. 28 ottobre: L’amore nella vita umana (coppie-guida: sottogruppi)
3. 04 novembre: Il “Sacramento grande” (sacerdote)
4. 07 novembre: Matrimonio e legge (avvocato)
5. 11 novembre: Il valore sponsale del corpo (coppie-guida: sottogruppi)
6. 14 novembre: Psicologia e famiglia (psicologo)
7. 18 novembre: “Ogni amore è un’avventura a due” (sacerdote)
8. 21 novembre: Il corpo al servizio dell’amore e della vita (medico)
9. 25 novembre: I metodi naturali di regolazione della fertilità (insegnante metodi naturali)
10. 29 novembre: Quando i figli si sposano “Nascita di una nuova famiglia: vicinanze e distanze da ri-trovare” Serata dedicata ai genitori (psicologo)
11. 02 dicembre: La famiglia tra pubblico e privato (coppie-guida: sottogruppi). Verifica del corso
12. 05 dicembre: Incontro di preghiera (sacerdote e coppie-guida) – il rito del Matrimonio
13. 12 dicembre: Approfondimento sui metodi naturali proposta gruppo familiare
www.lacasadivarese.it
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CONVIVENZE DI FATTO
Principali novità della normativa introdotta.
E’ stata definitivamente varata con via libera dell’Aula della Camera, l’11 maggio 2016, la Legge (c.d. Cirinnà) volta a regolamentare le unioni civili tra persone dello stesso sesso ed a disciplinare le convivenze di fatto. In molte città italiane esistevano già dei registri di coppie di fatto, ma ciò che mancava, era proprio un intervento legislativo che, come il provvedimento di specie nella sua seconda parte, dettasse una regolamentazione univoca e completa a livello nazionale.
Con il presente elaborato si illustrano dunque le principali novità di cui alla neo introdotta normativa, per quanto riguarda la convivenza di fatto.
Conviventi di fatto Chi sono. La Legge in esame stabilisce in primo luogo chi sono i “conviventi di fatto”, ossia due persone maggiorenni (sia eterosessuali che omosessuali) unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, di affinità o di adozione, di matrimonio o unione civile. Per accertare la convivenza si fa riferimento, in particolare, alla coabitazione sulla base della dichiarazione anagrafica resa ai sensi degli art. 4 e 13 comma 1 lett. b) del Dpr n. 223 del 30 maggio 1989.
Diritti pari ai coniugi in caso di detenzione. E’ stabilito che i conviventi di fatto abbiano gli stessi diritti spettanti ai coniugi nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario, ossia, di detenzione di uno dei due.
Diritto di assistenza e rappresentanza in malattia. Anche in ipotesi di malattia o di ricovero, i conviventi acquisiscono reciproco diritto di vista e di assistenza, nonché di accesso alle informazioni personali secondo le regole di organizzazione della struttura sanitaria di competenza, esattamente come nel matrimonio e nelle unioni civili.
Inoltre, ciascun convivente può designare l’altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati – mediante scritto autografo o dichiarazione verbale in presenza di un testimone – nei seguenti specifici casi:
in caso di malattia che comporti incapacità di intendere o volere, per le decisioni inerenti la salute;
in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.
Diritto a restare nella casa comune. In caso di decesso del convivente proprietario della casa di comune residenza, il partner superstite ha diritto di restare nell’abitazione per due anni o per un periodo pari alla convivenza, se superiore ai due anni, e comunque non oltre i cinque anni. Laddove, invece, nella casa comune coabitino figli minori o disabili del convivente superstite, quest’ultimo può rimanervi per un periodo non inferiore a tre anni. Inoltre, in caso di morte del convivente conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, è previsto che l’altro possa succedergli nel contratto. La Legge specifica tuttavia che detti diritti vengono meno se il superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza, in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto.
Preferenze per alloggi popolari. Qualora l’appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o preferenza per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, è previsto che di detti titoli o preferenze possano godere, a parità di condizioni, anche i conviventi di fatto.
Modifiche ai codici. La normativa in esame introduce, inoltre, le modifiche di seguito indicate al codice civile e di procedura civile. In particolare, per quanto concerne le disposizioni sull’impresa familiare, viene introdotto un ulteriore articolo (230 ter) rubricato “Diritti del convivente”, secondo cui, al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa familiare dell’altro convivente, spetta una partecipazione – commisurata al lavoro prestato – agli utili dell’impresa medesima ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento. E’ poi previsto – mediante inserimento dell’espressione “o del convivente di fatto” nel testo dell’art. 712 c.p.c – che nel ricorso per interdizione o inabilitazione debbano essere indicati nome, cognome e residenza non solo del coniuge ma anche del convivente di fatto.
Nomina a tutore e amministratore.E’ contemplata altresì la nomina del convivente di fatto quale tutore o amministratore di sostegno, qualora l’altro partner sia dichiarato interdetto o inabilitato secondo la normativa vigente, ovvero ricorrano i presupposti per l’amministrazione di sostegno.
Danno risarcibile come al coniuge. Secondo altra importante previsione, nel caso di morte del convivente per fatto illecito del terzo, nella determinazione del danno risarcibile al superstite, trovano applicazione i medesimi criteri individuati per il coniuge.
Contratto di convivenza per regolare rapporti patrimoniali. I conviventi possono scegliere di regolamentare i loro rapporti patrimoniali mediante un contratto di convivenza, redatto in forma scritta a pena di nullità (con atto pubblico o scrittura privata), con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attesti la conformità ad ordine pubblico e norme imperative. Il professionista che ha ricevuto l’atto o che ne ha autenticato la sottoscrizione, deve poi provvedere, entro i successivi dieci giorni, a trasmetterne copia al Comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe comunale.
Contenuti del contratto. Il contratto di cui sopra può contenere i seguenti elementi:
l’indicazione della residenza;
le modalità di contribuzione alle necessità della vita comune, in relazione alle sostanze di ciascuno ed alle capacità di lavoro professionale o casalingo;
il regime patrimoniale di comunione dei beni;
con specificazione che il regime patrimoniale scelto dai contraenti può essere modificato in qualsiasi momento della convivenza, con le medesime modalità di redazione del contratto.
Nullità del contratto. Il contratto di convivenza non ammette termini o condizioni (nel qual caso questi si considerano come non apposti) ed è affetto da nullità insanabile che può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse, qualora sia concluso:
in presenza di un vincolo matrimoniale, di un’unione civile o di altro contratto di convivenza;
in violazione del comma 36 art. 1 della presente Legge, che indica per l’appunto i requisiti che due persone devono possedere per essere definite “conviventi di fatto” (maggiorenni, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile);
da persona minore d’età;
da persona interdetta giudizialmente;
in caso di condanna per reato di cui all’art. 88 c.c. (omicidio tentato o consumato nei confronti del coniuge dell’altra parte).
Risoluzione del contratto. Il contratto di convivenza si risolve in caso di:
accordo tra le parti;
recesso unilaterale;
matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona;
morte di uno dei contraenti.
La risoluzione nelle prime due ipotesi (accordo tra le parti, recesso unilaterale) deve intervenire con le stesse modalità previste per la redazione del contratto. Qualora poi l’accordo di convivenza contempli il regime patrimoniale di comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e trovano applicazione, in quanto compatibili, le disposizioni del codice civile che regolano la comunione legale (art. 177 – 197 c.c.). Ed ancora, in caso di recesso unilaterale dal contratto, qualora la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, deve essere concesso al convivente (a pena di nullità della dichiarazione di recesso) un termine non inferiore a 90 giorni per lasciare l’abitazione.
Legge applicabile. Il provvedimento in questione contempla anche una modifica alla Legge 218/1995 di “Riforma del sistema italiano di diritto internazionale”, introducendo un ulteriore articolo (30 bis) – a seguito della disposizione relativa ai rapporti patrimoniali tra coniugi – secondo cui ai contratti di convivenza si applica la legge nazionale comune dei contraenti. Mentre se questi ultimi sono di cittadinanza diversa, trova applicazione la legge del luogo ove la convivenza è prevalentemente localizzata, fatte salve le norme nazionali, europee ed internazionali che regolano i casi di cittadinanza plurima.
Diritto agli alimenti. Infine, in ipotesi di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere gli alimenti dall’altro, qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. Detti alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e secondo i criteri dettati dal codice civile (art. 438 c.c.); mentre per quanto concerne la determinazione dell’ordine dei soggetti obbligati ex art. 433 c.c., il convivente è tenuto agli alimenti con precedenza rispetto a fratelli e sorelle.
Quadro Normativo
Camera dei deputati – Proposta di legge su unioni civili e convivenze di fatto approvata l’11 maggio 2016; art. 88 c.c.; artt. 177 – 197 c.c.; art. 230 ter c.c.; art. 433 c.c.; art. 438 c.c.; art. 712 c.p.c.;
DPR n. 223 del 30.05.1989;
Legge 218/1995.
Eleonora Mattioli eDotto newsletter 22 settembre 2016
www.edotto.com/articolo/regolamentazione-convivenze-di-fatto
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DALLA NAVATA
26° Domenica tempo ordinario-anno C–25 settembre 2016
Amos 06, 07. Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei dissoluti.
Salmo 145, 07. Il Signore rimane fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati.
1 Timoteo 06, 11. Ma tu, uomo di Dio, fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza
Luca 16, 29. Ma Abramo rispose: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro».

Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI). Il ricco e il povero Lazzaro.
Dopo la parabola dell’economo ingiusto ascoltata domenica scorsa (cf. Lc 16,1-8), oggi ci viene proposta una seconda parabola di Gesù sull’uso della ricchezza, contenuta sempre nel capitolo 16 del vangelo secondo Luca: la parabola del ricco e del povero Lazzaro.
“C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e bisso, banchettando splendidamente ogni giorno”. Di costui non si dice il nome, ma viene definito dal suo lusso e dal suo comportamento. I ricchi devono farsi vedere, devono imporsi e ostentare: da allora fino a oggi non è cambiato nulla, e chi pensa di essere potente e ricco, anche nella chiesa, vuole esibire i segni del potere e osa addirittura affermare che la porpora è indossata per dare gloria a Dio.
L’altra dimensione con cui i ricchi nell’antichità si facevano vedere era il loro banchettare con ostentazione. Per gli altri uomini la festa è un’occasione rara, per i poveri è impossibile, mentre per i ricchi ogni giorno è possibile festeggiare. Ma festeggiare cosa? Se stessi e la loro situazione privilegiata, senza mai pensare alla condivisione. Questo ricco, in particolare, mai aveva invitato i poveri, mai si era accorto del povero presente davanti alla sua porta, e dunque mai aveva praticato quella carità che la Torah stessa esigeva. Ma qual è la malattia più profonda di quest’uomo? Quella che papa Francesco, in una sua omelia mattutina, ha definito mondanità: l’atteggiamento di chi “è solo con il proprio egoismo, dunque è incapace di vedere la realtà”.
Accanto al ricco mondano, alla sua porta, sta un altro uomo, “gettato” là come una cosa, coperto di piaghe. Non è neanche un mendicante che chiede cibo, ma è abbandonato davanti alla porta della casa del ricco. Nessuno lo guarda né si accorge di lui, ma solo dei cani randagi, più umani degli esseri umani, passandogli accanto gli leccano le ferite. Questo povero ha fame e desidererebbe almeno ciò che i commensali lasciano cadere dalla tavola o buttano sul pavimento ai cani (cf. Mc 7,28; Mt 15,27). La sua condizione è tra le più disperate che possano capitare a quanti sono nella sofferenza. Eppure Gesù dice che costui, a differenza del ricco, ha un nome: ‘El‘azar, Lazzaro, cioè “Dio viene in aiuto”, nome che esprime veramente chi è questo povero, un uomo sul quale riposa la promessa di liberazione da parte di Dio.
In ogni caso, sia il ricco sia il povero condividono la condizione umana, per cui per entrambi giunge l’ora della morte, che tutti accomuna. Un salmo sapienziale, già citato altre volte, presenta un significativo ritornello: “L’uomo nel benessere non comprende, è come gli animali che, ignari, vanno verso il mattatoio” (cf. Sal 48,13.21). Il ricco della parabola non ricordava questo salmo per trarne lezione e neppure ricordava le esigenze di giustizia contenute nella Torah (cf. Es 23,11; Lv 19,10.15.18, ecc.) né i severi ammonimenti dei profeti (cf. Is 58,7; Ger 22,16, ecc.). Di conseguenza, era incapace di responsabilità verso l’altro, di condivisione. Il vero nome della povertà è condivisione, al punto che Gesù si è spinto fino ad affermare: “Fatevi degli amici con il denaro ingiusto, perché, quando questo verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9). Ma questo ricco non l’ha capito…
Quando muore Lazzaro, il suo nome mostra tutta la sua verità, perché il funerale del povero (che forse non c’è stato materialmente, perché l’avranno gettato in una fossa comune!) è officiato dagli angeli, che vengono a prenderlo per condurlo nel seno di Abramo. La vita di Lazzaro non si è dissolta nel nulla, ma egli è portato nel regno di Dio, dove si trova il padre dei credenti, di cui egli è figlio: colui che era “gettato” presso la porta del ricco, ora è innalzato e partecipa al banchetto di Abramo (cf. Mt 8,11; Lc 13,28). Il ricco invece ha una sepoltura come gli si conviene, ma il testo è laconico, non precisa nulla di un suo eventuale ingresso nel Regno.
Ecco infatti, puntualmente, una nuova situazione, in cui i destini dei due uomini sono ancora una volta divergenti, ma a parti invertite. Ciò che appariva sulla terra viene smentito, si mostra come realtà effimera, mentre ci sono realtà invisibili che sono eterne (cf. 2Cor 4,18) e che dopo la morte si impongono: il povero ora si trova nel seno di Abramo, dove stanno i giusti, il ricco negli inferi. Alla morte viene subito decisa la sorte eterna degli esseri umani, preannuncio del giudizio finale, e le due vie percorse durante la vita danno l’esito della beatitudine oppure quello della maledizione. A Lazzaro è donata la comunione con Dio insieme a tutti quelli che Dio giustifica, mentre al ricco spetta come dimora l’inferno, cioè l’esclusione dal rapporto con Dio: egli passa dall’avere troppo al non avere nulla.
Nelle sofferenze dell’inferno, il ricco alza i suoi occhi e “da lontano” vede Abramo e Lazzaro nel suo grembo, come un figlio amato. Egli ora vive la stessa condizione sperimentata in vita dal povero, ed è anche nella stessa posizione: guarda dal basso verso l’alto, in attesa… Non ha potuto portare nulla con sé, i suoi privilegi sono finiti: lui che non ascoltava la supplica del povero, ora deve supplicare; si fa mendicante gridando verso Abramo, rinnovando per tre volte la sua richiesta di aiuto. Comincia con l’esclamare: “Padre Abramo, abbi pietà di me”, grido che durante la vita non aveva mai innalzato a Dio, “e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché sono torturato in questa fiamma”. Chiede insomma che Lazzaro compia un gesto di amore, che lui mai aveva fatto verso un bisognoso.
Ma Abramo gli risponde: “Figlio, durante la tua vita hai ricevuto i tuoi beni, mentre Lazzaro i suoi mali; ora egli qui è consolato, tu invece sei torturato”. Un modo schematico ma efficace per esprimere come il comportamento vissuto sulla terra abbia precise conseguenze nella vita oltre la morte: il comportamento terreno è già il giudizio, da esso dipendono la salvezza o la perdizione eterne (cf. Mt 25,31-46). Così la beatitudine rivolta da Gesù ai poveri e il “guai” indirizzato ai ricchi (cf. Lc 6,20-26) si realizzano pienamente. Poi Abramo continua servendosi dell’immagine dell’“abisso grande”, invalicabile, che separa le due situazioni e non permette spostamenti dall’uno all’altro “luogo”: la decisione è eterna e nessuno può sperare di cambiarla, ma si gioca nell’oggi…
Qui il racconto potrebbe finire, e invece il testo cambia tono. Udita la prima risposta di Abramo, il ricco riprende la sua invocazione. Non potendo fare nulla per sé, pensa ai suoi famigliari che sono ancora sulla terra. Lazzaro potrà almeno andare ad avvertire i suoi cinque fratelli, ad ammonirli prospettando loro la minaccia di quel luogo di tormento, se vivranno come l’uomo ricco. Ma ancora una volta “il padre nella fede” (cf. Rm 4,16-18) risponde negativamente, ricordandogli che Lazzaro non potrebbe annunciare nulla di nuovo, perché già Mosè e i Profeti, cioè le sante Scritture, indicano bene la via della salvezza. Le Scritture contenenti la parola di Dio dicono con chiarezza come gli uomini devono comportarsi nella vita, sono sufficienti per la salvezza. Occorre però ascoltarle, cioè fare loro obbedienza, realizzando concretamente quello che Dio vuole!
Ma il ricco non desiste e per la terza volta si rivolge ad Abramo: “Padre Abramo, se qualcuno dai morti andrà dai miei fratelli, saranno mossi a conversione”. Abramo allora con autorità chiude una volta per tutte la discussione: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neppure se qualcuno risorge dai morti saranno persuasi”. Parole definitive, eppure ancora oggi molti cristiani faticano ad accoglierle, perché sono convinti che le Scritture non siano sufficienti, che occorrano miracoli straordinari per condurre alla fede…
No, i cristiani devono ascoltare le Scritture per credere, anche per credere alla resurrezione di Gesù, come il Risorto ricorderà agli Undici: “Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi” (Lc 24,44). Egli stesso, del resto, poco prima aveva detto ai due discepoli in cammino verso Emmaus: “‘Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i Profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?’. E, cominciando da Mosè e da tutti i Profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24,25-27). Non a caso anche nella professione di fede il cristiano confessa che “Cristo morì secondo le Scritture, fu sepolto ed è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (1Cor 15,3-4). Le Scritture testimoniano ciò che si è compiuto nella vita e nella morte di Gesù Cristo, testimoniano la sua resurrezione. Se il cristiano prende consapevolezza delle parole di Gesù (cf. Lc 24,6-7) e ascolta le Scritture dell’Antico Testamento, giunge alla fede nella sua resurrezione.
Questa parabola ci scuote, scuote soprattutto noi che viviamo nell’abbondanza di una società opulenta, che sa nascondere così bene i poveri al punto di non accorgersi più della loro presenza. Ci sono ancora mendicanti sulle strade, ma noi diffidiamo delle loro reale miseria; ci sono stranieri emarginati e disprezzati, ma noi ci sentiamo autorizzati a non condividere con loro i nostri beni. Dobbiamo confessarlo: i poveri ci sono di imbarazzo perché sono “il sacramento del peccato del mondo” (Giovanni Moioli), sono il segno della nostra ingiustizia. E quando li pensiamo come segno-sacramento di Cristo, sovente finiamo per dare loro le briciole, o anche qualche aiuto, ma tenendoli distanti da noi. Eppure nel giorno del giudizio scopriremo che Dio sta dalla parte dei poveri, scopriremo che a loro era indirizzata la beatitudine di Gesù, che ripetiamo magari ritenendola rivolta a noi. Siamo infine ammoniti a praticare l’ascolto del fratello nel bisogno che è di fronte a noi e l’ascolto delle Scritture, non l’uno senza l’altro: è sul mettere in pratica qui e ora queste due realtà strettamente collegate tra loro che si gioca già oggi il nostro giudizio finale.
www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/10871-il-ricco-e-il-povero-lazzaro
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DIACONATO
I tre silenzi sulle diacone
Ha iniziato i propri lavori questa settimana la commissione istituita da papa Francesco sul diaconato femminile: atto interno alla vita della chiesa ma cruciale per la fisionomia del cattolicesimo romano del secolo XX. La commissione, per certi versi, ha un compito “facile”: deve suggerire solo quando e come “restaurare” un ministero femminile attestato nel Nuovo Testamento, là dove Paolo saluta la greca Febe, “diacono della chiesa di Cencre”. “Diacono”, non “diaconessa”, come si farà al concilio di Nicea, indicando figure che non avevano ricevuto l’imposizione delle mani. Nella fluida situazione della prima comunità neotestamentaria c’ è dunque un appiglio lessicale e teologico: che non basterà a chi sta cercando di creare la “maggioranza ostile” al papa che è loro mancata in materia matrimoniale. Tutti, per altro verso, sono consapevoli che una “restaurazione” del diaconato potrebbe ridursi ad una operazione sterile. Il concilio Vaticano II “restaurò” ad esempio il diaconato permanente, come ministero di una chiesa serva e povera che scioglieva il nesso fra celibato e ministero affermatosi solo alla fine del primo millennio. L’ esito è stato modesto: il diacono è rimasto l’unico ministro sposato della chiesa latina (fino alla decisione di Benedetto XVI di ammettere preti e vescovi sposati, ma solo se provenienti dalla chiesa anglicana) e s’ è ridotto al ruolo di un chierichettone nella liturgia e di capufficio dei volontari fuori da essa. La “restaurazione” del diaconato femminile (dunque di “diacone” ordinate e/o di “diaconesse” prive dell’imposizione delle mani) potrebbe fare la stessa fine: una onorificenza per suore e per nonne, senza impatto sulla riforma e sulla missionarietà della chiesa. Eppure la commissione sulle diacone potrebbe segnare anche la rottura di tre assordanti silenzi che soffocano le chiese da decenni.
Il primo è il silenzio sul sacerdozio che tutte le donne e tutti gli uomini battezzati hanno già: quello che la chiesa latina chiama sacerdozio comune (in opposizione al sacerdozio ministeriale che viene dal sacramento dell’ordine). La stantia cultura che rivendicava la promozione dei “laici” – sudditi desiderosi di essere mobilitati e promossi – che si è rigenerata nell’ attivismo e nel clericalismo dei movimenti, non è ancora stata scalzata da una teologia sulla dignità di quelli che il codice di diritto canonico chiama Christifideles. Se santa Febe facesse un miracolo, la commissione o un sinodo sul ministero potrebbero essere l’occasione per interrogarsi su questo.
L’ altro riguarda il ripensamento teologico di una espressione – in persona Christi – grazie alla quale la cultura della subordinazione femminile del mondo antico ha vinto la concezione cristiana del battesimo in Cristo nel quale non c’ è più “né maschio né femmina”. Molte chiese si sono liberate da quel paradigma alla fine del secolo XX ordinando pastore, prete e vescove cristiane in possesso dei doni di Dio necessari alla santità di una comunità: la chiesa cattolica reagì alla accelerazione con una chiusura che voleva essere “definitiva” e dichiarando nel 1994 che il tema era “indisponibile” alla chiesa. La successione apostolica al maschio-Gesù degli apostoli- maschi vincolava la capacità di agire in persona Christi a un solo genere: come se la mascolinità di Gesù non fosse una componente necessaria alla verità dell’incarnazione, ma un privilegio sessista. Ciò che è normativo di Gesù non è la sua mascolinità dichiarata dalla nudità della croce (il velo del crocifisso serve a nascondere la circoncisione non il sesso): ma la croce e la morte di croce alla quale ogni cristiano, maschio o femmina, è unito nel battesimo trinitario. Portare le donne nella sfera dell’unico ordine sacro romperebbe una reticenza e ristabilirebbe un equilibrio necessarissimo alla cristologia.
Il terzo silenzio con cui la commissione sul diaconato femminile si misura è quello sul sacerdozio ministeriale maschile ora in essere, prigioniero di un misero duello di retoriche celibatarie e anticelibatarie. Oggi in larghe parti della chiesa si vive una alternativa fra celibato ed eucarestia: perché in assenza di celibi da ordinare, si condannano le comunità a vivere senza eucarestia: una alternativa in cui un naso sano sente odore di zolfo. E che va affrontato senza furbizie e senza superficialità: non dal papa solo, ma dai vescovi che non possono nascondersi dietro un dito. I non pochi nemici di Francesco, giovani o vegliardi, non sono contrari a che questa discussione si apra: sperano l’arcipelago antibergogliano si palesi, man mano che si avvicinano le due scelte – la nomina dell’ arcivescovo di Milano e del vicario di Roma – dalle quali dipenderà non solo il futuro conclave, ma anche l’ unità presente d’ una chiesa. Che il papa chiama a non essere una federazione pelagiana di attivismi, ma una comunione di quelli che il Vangelo definisce “servi inutili”, e che sono gli unici indispensabili.
Alberto Melloni La Repubblica 24 settembre 2016
http://ilsismografo.blogspot.it/2016/09/vaticano-i-tre-silenzi-sulle-diacone.html#more
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EUROPA
Risoluzione Ue sul il calo demografico e il diritto alla conciliazione vita-lavoro dei suoi cittadini.
Il 13 settembre 2016, il Parlamento europeo ha approvato la Risoluzione “Creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e vita professionale”.
La risoluzione mette in evidenza che l’UE si confronta con mutamenti demografici senza precedenti (la crescita dell’aspettativa di vita, il calo dei tassi di natalità, il mutamento delle strutture familiari con le nuove forme di costruzione delle relazioni e di (co)abitazione, la genitorialità in tarda età e le migrazioni) e con una crisi economica e finanziaria che ha avuto un impatto negativo sulle finanze pubbliche necessarie per le politiche di welfare e in materia di equilibrio tra lavoro e vita privata.
Il Parlamento europeo invita pertanto la Commissione e gli Stati membri a mettere in atto politiche e incentivi positivi per sostenere il rilancio demografico, preservare i sistemi di sicurezza sociale e promuovere il benessere e lo sviluppo delle persone e della società nel suo insieme. A tal fine, il Parlamento sottolinea che la conciliazione tra vita professionale, privata e familiare deve essere garantita quale diritto fondamentale di tutti, nello spirito della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, con misure che siano disponibili a ogni individuo, non solo alle giovani madri, ai padri o a chi fornisce assistenza; chiede l’introduzione di un quadro per garantire che tale diritto rappresenti un obiettivo fondamentale dei sistemi sociali e invita l’UE e gli Stati membri a promuovere, sia nel settore pubblico che privato, modelli di welfare aziendale che rispettino il diritto all’equilibrio tra vita professionale e vita privata; ritiene che tale diritto dovrebbe essere integrato in tutte le iniziative dell’UE che possono avere un impatto diretto o indiretto su tale tema.
26 settembre 2016 www.camera.it/temiap/t/news/post-OCD15-12604
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FERTILITÀ
Gli italiani, popolo fertile?
La campagna di lancio del Fertility Day, promosso dal Ministero della Salute nella data del 22 settembre, non sarà certo ricordata come un modello per future iniziative di sensibilizzazione. Fermarsi, però, a considerare solo gli errori comunicativi di questa campagna maldestra e a tratti fuorviante sarebbe riduttivo e rischierebbe di oscurare una questione tutt’altro che secondaria. Le numerose e appassionate reazioni, in larga parte critiche e polemiche, confermano che quando si affronta il tema della fertilità si entra nella sfera più intima e profonda delle persone, e dunque in un ambito estremamente delicato e sensibile, dove a volte sono presenti ferite e sofferenze molto vive.
Il tema della fertilità incrocia anche altri ambiti e livelli, a loro modo altrettanto sensibili e su cui troppo facilmente si chiudono gli occhi, come la natalità e la propensione ad avere figli: la demografia ci dice che i valori estremamente bassi che l’Italia registra a questo proposito rappresentano un problema destinato a farsi sempre più acuto con il passare del tempo e con il progressivo invecchiamento della popolazione. Non a caso, il primo punto alla base della elaborazione del Piano nazionale per la fertilità da parte del Ministero della Salute è proprio che «L’attuale denatalità mette a rischio il welfare» (p. 2, in <www.salute.gov.it>). Peraltro l’obiettivo del Fertility Day – sebbene le polemiche suscitate autorizzino dubbi sull’adeguatezza degli strumenti scelti – è mettere al centro dell’attenzione il tema della fertilità e della sua protezione, declinandolo in chiave non solo personale, ma anche collettiva, sociale e politica, come si evince dallo slogan della campagna «Per te. Per noi. Per tutti».
Le polemiche sorte intorno all’iniziativa e le riflessioni che ne sono scaturite costituiscono l’occasione per soffermarsi su una questione che racchiude in sé profili egualmente importanti ma diversi, che non possono essere confusi se non si vuole scadere in generalizzazioni riduttive.
Fertilità, fecondità e natalità. Uno degli aspetti più delicati, e fonte di non poche confusioni, è stato la sovrapposizione tra due aspetti che, pur contigui, è però bene tenere distinti: la fertilità e la fecondità. L’iniziativa del Ministero della Salute intende porre la fertilità, cioè la capacità di generare da parte delle donne e degli uomini, «al centro delle politiche sanitarie ed educative del nostro Paese» (Piano nazionale per la fertilità, p. 3), a partire dalla constatazione della scarsa consapevolezza dei fattori e dei comportamenti che possono metterla a rischio: anche la fertilità è un aspetto della salute non scontato e ben si giustifica quindi il lancio di una campagna di informazione sanitaria, analoga a quelle che riguardano la prevenzione di altri rischi, nell’ambito della tutela del diritto alla salute costituzionalmente sancito e di una corretta gestione delle risorse del sistema sanitario. Ovviamente tutto questo ha ben poco a che vedere con la promozione della natalità. In questo senso, il ricorso a un linguaggio e a immagini che sono state interpretate come moralistiche e ricattatorie, se anche raggiunge l’obiettivo di “bucare gli schermi”, mal si concilia con la necessità di fornire informazioni chiare in campo medico e non solo: entrano in gioco, infatti, anche componenti psicologiche. Urtare la sensibilità delle persone non aiuta la comunicazione.
Se parlare di fertilità si colloca sul piano delle condizioni che rendono possibile o che ostacolano la generazione, il termine fecondità fa invece riferimento al fatto di diventare effettivamente genitori. Genericamente le due parole sono considerate sinonimi, ma in ambito scientifico non lo sono. Come ci ricorda l’Enciclopedia Treccani delle scienze sociali, «In demografia col termine fertilità si intende la capacità biofisiologica posseduta da un individuo o da una coppia di produrre figli, indipendentemente dal fatto che tale capacità venga effettivamente esercitata: è l’attitudine a concepire e la sterilità rappresenta il suo contrario», mentre il termine fecondità è riservato «al “risultato” del comportamento prolifico», cioè al fatto di procreare. La fertilità è una condizione necessaria, ma non sufficiente della fecondità; generare è infatti un atto che richiede una scelta, una decisione, e come tale interseca molti altri piani: in primo luogo la libertà e l’autonomia inviolabili delle persone coinvolte, come singoli e come coppia, nonché il piano dei loro desideri e progetti di vita; poi tutti quei fattori economici, sociali e culturali che in vario modo possono incidere sull’autonomia personale, incentivando oppure ostacolando le scelte di fecondità.
Dal punto di vista della chiarezza della comunicazione, ma anche e soprattutto per ciò che concerne la predisposizione di politiche pubbliche, è opportuno mantenere i due piani distinti: «la tutela della fertilità, divulgando le conoscenze scientifiche e costruendo la consapevolezza che la salute riproduttiva è alla base del benessere fisico, psichico e relazionale dei cittadini» (Piano nazionale per la fertilità, p. 3), è infatti di per sé un obiettivo di grande valore politico e sociale, che merita di essere perseguito anche senza inquadrarlo tra le strategie «per favorire la natalità» (ivi, p. 1). Quest’ultimo a sua volta è un obiettivo di grande importanza e delicatezza, il cui raggiungimento richiede il ricorso a un ampio ventaglio di strumenti.
Il vero punto critico, che spiega probabilmente la veemenza delle reazioni e delle polemiche, è però che fertilità e fecondità si collocano su una frontiera particolarmente delicata tra tre diversi ambiti. In primo luogo riguardano la sfera più intima della persona, quella del rapporto con il proprio corpo, della propria autorealizzazione come persona e delle scelte di vita tese a raggiungere questo obiettivo, intersecando quindi il piano della libertà e dell’autonomia della persona, e della responsabilità che ne consegue.
In secondo luogo fertilità e fecondità riguardano la vita di coppia e di famiglia, il mondo delle relazioni affettive più strette e importanti, quelle in cui si sperimenta un primo passaggio dall’“io” al “noi”, e dunque una dimensione non strettamente individuale, ma relazionale, di cui la persona non può fare a meno per la propria autorealizzazione; si tratta dell’ambito in cui si sperimentano sia la spinta a trascendersi, cioè a uscire da sé per andare verso l’altro in una dinamica aperta alla generazione del nuovo, sia la propria radicale insufficienza, cioè il bisogno dell’altro per la propria autorealizzazione. Molte reazioni hanno sottolineato l’importanza di tutelare questi contesti, ma è necessario riconoscere anche che non è possibile fermarsi qui. Infatti – e questo è il terzo aspetto in gioco – fertilità e fecondità appartengono evidentemente a pieno titolo anche all’ambito delle questioni sociali e, quindi, politiche: la struttura demografica della società, il cui squilibrio rappresenta un problema significativo da molti punti di vista, è infatti il frutto delle decisioni che, in modo più o meno libero e consapevole, milioni di cittadini e di coppie assumono all’interno dell’ambito della loro inviolabile autonomia, ma non senza che la maggiore o minore disponibilità di servizi sociali e di forme di sostegno alla genitorialità influiscano su queste scelte; al tempo stesso l’infertilità, che rappresenta per coloro che ne sono afflitti una profonda sofferenza, è oggetto di terapie che si collocano all’interno delle prestazioni del sistema sanitario e quindi della relativa spesa.
Proprio l’aspetto sociale e politico si rivela estremamente delicato e fonte di potenziali equivoci assai pericolosi all’interno di una mentalità e di una cultura che sottolineano con forza e a buon diritto l’inviolabilità dell’autonomia personale in tutto ciò che riguarda l’esercizio della sessualità, ma che al tempo stesso rischiano di assolutizzare le pretese individuali trasformandole in diritti incomprimibili (e in doveri per la società), perdendo di vista il legame sociale e l’esigenza di comporre pretese potenzialmente illimitate e risorse non solo economiche, ma anche tecniche, effettivamente disponibili. Con la complicazione aggiuntiva della necessità di operare con una prospettiva che abbracci archi temporali molto lunghi: fertilità e fecondità sono, infatti, questioni sociali in senso intergenerazionale.
Tra tecnica e desiderio. Dobbiamo quindi prendere atto della diversità di piani che vanno articolati e non schiacciati o ridotti. Le polemiche scatenate dal Fertility Day ci rivelano che come società non siamo ancora sufficientemente capaci di “maneggiare” in modo adeguato questioni tanto cruciali quanto complesse e delicate. Per procedere verso questo obiettivo occorre avere presenti gli elementi fondamentali che a vari livelli entrano in gioco.
Un primo elemento che non si può ignorare è che il progresso delle conoscenze scientifiche e delle conseguenti capacità tecniche investe anche fertilità e fecondità. La maggiore conoscenza dei meccanismi biologici, sebbene ancora incompleta, consente infatti a donne e uomini di oggi un controllo della propria fertilità impensabile per larga parte della storia umana. Si tratta di un fenomeno relativamente recente sul piano storico, che risale all’incirca alla metà del secolo scorso. A livello culturale ciò implica due principali conseguenze.
La prima è che l’ampliarsi della sfera del controllo comporta un parallelo ampliamento dell’ambito della possibilità di scelta, ma la capacità di esercitarla in modo libero e responsabile evolve e matura a un ritmo più lento di quello delle scoperte scientifiche e delle innovazioni tecnologiche. Siamo quindi in difficoltà a fare fronte in modo pienamente umano alle nuove possibilità che la tecnica ci consegna, e questo rischia a volte di trasformare la libertà acquisita in un problema o in un fattore di stress.
Al tempo stesso si diffonde una eccessiva fiducia nelle potenzialità della scienza e della tecnica, come se fossero capaci di superare qualsiasi ostacolo, inducendo così le persone a ritenere, nel caso specifico, che la medicina sia ormai sempre e comunque in grado di porre rimedio all’infertilità. In realtà non è così; anzi, una delle ragioni a favore del lancio di una campagna informativa sulla tutela della fertilità è proprio che «Le tecniche di Procreazione medicalmente assistita (PMA) rappresentano un’opzione per il trattamento della sterilità, ma non sono sempre in grado di dare un bambino» (ivi, p. 3). Dunque la fertilità resta un ambito in cui è necessario fare i conti con i limiti della condizione umana.
Oltre al potere della tecnica, fertilità e fecondità incrociano anche la potenza del desiderio che ciascuna persona si porta dentro. L’immaginario della libertà è abitato da due miti: l’autorealizzazione, intesa come possibilità di cogliere un numero crescente di opportunità che ci vengono messe a disposizione; e l’autonomia, considerata come sovranità, assenza di ogni forma di dipendenza e persino di legame. In base a questi miti, essere liberi significa inseguire sempre nuove possibilità in assenza di vincoli: per questo desiderio la promessa della tecnica diventa una seduzione quasi irresistibile. Tutto diventa “merce” disponibile per il consumo da parte di un individuo che non ha altro riferimento che se stesso.
Certo, il consumo è un atto umano, è un modo di stabilire una relazione con la realtà e di essere uniti ad altri, come ricorda anche l’etimologia del termine. In altre parole, consumare, assumere, incorporare, «ricevere per poter essere e perseverare nell’essere», sono una dimensione originaria della nostra natura, che non possiamo eludere, come hanno scritto i sociologi Mauro Magatti e Chiara Giaccardi nel loro testo Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per la società dei liberi (Feltrinelli, Milano 2014, p. 41). Per questo il desiderio del consumo è così potente. Tuttavia sempre Chiara Giaccardi e Mauro Magatti ci ricordano anche che esiste un altro atto altrettanto originario dal punto di vista antropologico, quello del generare, che è iscritto nella nostra memoria biologica e culturale e che, in quanto siamo tutti generati, conosciamo prima ancora di compiere. Il consumo incorpora, il generare “escorpora”. Il primo prende, il secondo dà. Non in maniera contrapposta, ma articolata. Attraverso la nostra capacità di generare, stabiliamo un rapporto con la realtà diverso, ma ugualmente fondamentale. La dimensione più autentica della libertà si gioca proprio nella gestione consapevole del rapporto e dell’equilibrio tra queste due polarità. Evidentemente è una libertà che non riduce ogni cosa a merce, ma che sa aprire spazi perché l’altro da me possa esistere, occupare il proprio spazio e ricevere, anche da me, cura, amore, dedizione, attenzione, pazienza e considerazione. Irriducibile al suo portato meramente biologico – anche se a esso certamente connesso –, il movimento del generare è anche «simbolico, politico, antropologico. È, cioè, farsi tramite perché qualcosa che vale, grazie a noi […], possa esistere. In questo senso, mettere al mondo include ogni atto di filiazione simbolica» (ivi, p. 44).
Antropologicamente parlare di fertilità e di fecondità significa affrontare la questione del senso e della realizzazione – della persona, della coppia e anche della società – su una pluralità di possibili livelli e scenari, peraltro non necessariamente alternativi: generare un figlio, aprirsi all’adozione o all’affido, dedicarsi a un impegno sociale. Al consumo, anche della gratificazione sessuale, dedichiamo molta attenzione, molte energie e molte parole. Non va demonizzato, tuttavia non basta a garantire la pienezza. La realizzazione del proprio desiderio profondo richiede di dare spazio alla dinamica complementare della generatività, nelle sue molteplici forme. Anche questa è una cultura da promuovere, anche questa è questione di educazione.
Politiche per una società feconda. In una prospettiva personalista, ciò che riguarda la realizzazione del singolo e della coppia mette in gioco il legame sociale e dunque è questione anche pubblica: la società di cui facciamo parte non può essere estranea al desiderio di generazione e di generatività che ciascuno si porta dentro. Da una parte esso non può realizzarsi al di fuori della società, dall’altra è la società stessa che viene meno se questo desiderio si estingue o non riesce a realizzarsi almeno su alcuni dei piani che interseca, dal biologico al culturale, al politico, al simbolico.
Parlare di fertilità e di fecondità richiede quindi di mettere a tema quanto la società è disponibile a dare accoglienza e a promuovere il desiderio di generare di tutti i suoi membri. Si tratta di un discorso concreto, che investe le forme con cui la società si organizza e le scelte che compie in materia di destinazione delle risorse. Ce lo ricorda il Parlamento europeo, che il 13 settembre scorso ha approvato la Risoluzione sulla creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e vita professionale (in <www.europarl.europa.eu>). Dopo aver sottolineato che «la conciliazione tra vita professionale, privata e familiare deve essere garantita quale diritto fondamentale di tutti», la Risoluzione ricorda come questo richieda una traduzione concreta in politiche che per essere efficaci richiedono l’attivazione di un mix coerente di elementi diversi capaci di accompagnare le famiglie lungo il ciclo di vita, dalla nascita dei figli all’assistenza ai genitori anziani: iniziative legislative e non, in materia di congedo per i genitori e per quanti assistono un familiare; servizi di cura e di supporto per bambini, anziani e persone con disabilità, prestando attenzione alla loro accessibilità, qualità e sostenibilità economica; modalità di lavoro flessibili.
La Risoluzione è consapevole della sfida demografica che i Paesi della UE devono affrontare e della minaccia che la trasformazione in società gerontocratiche rappresenta per lo sviluppo sociale ed economico. Soprattutto, afferma con chiarezza che «le politiche a favore della famiglia sono essenziali per innescare tendenze demografiche positive» e che queste politiche «devono essere moderne, incentrarsi sul miglioramento dell’accesso delle donne al mercato del lavoro e sull’equa ripartizione tra donne e uomini delle responsabilità domestiche e di cura».
Il dibattito corrente si focalizza piuttosto su altre misure, dall’incremento degli asili nido, all’aumento del sostegno economico alle famiglie con figli in tenera età, fino alla possibilità di rimpiazzare con gli immigrati il vuoto demografico lasciato dal calo della natalità, lasciando così spazio a una sorta di fecondità surrogata a livello sociopolitico. Il dibattito internazionale tra gli esperti mostra però che non esistono soluzioni miracolose, in grado di risolvere efficacemente il problema: come per la procreazione medicalmente assistita, anche nel campo delle politiche pubbliche occorre guardarsi dal rischio di cadere nell’inganno tecnocratico.
Proprio perché fertilità e fecondità incrociano le profondità del desiderio, occorre un approccio molto più articolato e integrato, capace di modificare anche la cultura. Per convincere le persone ad aprirsi all’accoglienza del nuovo, implicita nella procreazione e nella generazione, è necessario innanzitutto che sperimentino di essere accolte, che sentano che nella società c’è un posto per loro. Per questo, come sottolinea anche la Risoluzione, hanno grande importanza misure apparentemente lontane dal tema della natalità, ma che puntano a rendere la società più inclusiva e accogliente, in particolare nei confronti di due gruppi che oggi si trovano in condizione di forte emarginazione soprattutto rispetto a un mercato del lavoro in cui non riescono a entrare o a rimanere: le donne e i giovani. Pensandoci, è chiaro che si tratta di due gruppi strategici dal punto di vista della fecondità e che una società che non faccia loro spazio non potrà che condannarsi alla denatalità.
Lo spiegava il demografo Massimo Livi Bacci in un’intervista al Corriere della Sera il 9 gennaio 2016 scorso: «Anzitutto bisogna ridare autonomia ai giovani. Ormai raggiungono la piena autonomia molto tardi e per conseguenza rinviano molte delle decisioni familiari riproduttive. Finiscono gli studi tardi, entrano nel mercato del lavoro tardi, escono dalla famiglia tardi, rimandano la scelta di fare un figlio fino a trovarsi a ridosso di un’età in cui riuscirci è molto faticoso se non quasi impossibile». E poi, aggiungeva, «è indispensabile dare più lavoro alle donne. Quarant’anni fa, nei Paesi nei quali le donne erano impegnate prevalentemente in lavori domestici e i tassi di occupazione erano bassi, la natalità era più elevata. Oggi avviene l’inverso: dove c’è un’occupazione femminile alta si fanno più figli e dove c’è un’occupazione bassa se ne fanno meno. Una famiglia ha bisogno di più fonti di reddito, non può più puntare su un solo procacciatore di risorse».
Dal punto di vista politico è necessaria una rivoluzione copernicana: smettere di considerare le spese a sostegno della famiglia – quelle per realizzare il mix di strumenti invocato dalla Risoluzione del Parlamento europeo –, come un costo da comprimere nella generalizzata caccia alla riduzione della spesa pubblica, iniziando invece a guardarle come un investimento che si ripaga nel tempo. Solo promuovendo i diritti e l’inclusione sociale e lavorativa, di donne e giovani in particolare, si tutelano le opportunità di crescita e di sviluppo per la società e per il Paese. Del resto, è abbastanza intuitivo che crescita e sviluppo si pongano sulla linea del generare più che del consumare: in una società poco attenta alla propria fertilità e fecondità, nel senso integrale che abbiamo cercato di tratteggiare, questi piani sono inevitabilmente destinati a una scarsa dinamicità.
Editoriale di Aggiornamenti Sociali di ottobre, del direttore Giacomo Costa SJ. 22 settembre 2016
www.aggiornamentisociali.it/easyne2/LYT.aspx?Code=AGSO&IDLYT=769&ST=SQL&SQL=ID_Documento=15178

«Hanno problemi di comunicazione, ma tutta la campagna è ambigua»
Professoressa Saraceno che pensa delle polemiche sul Fertility Day della ministra Lorenzin?
Che si continua la lunga via degli sbagli comunicativi. E chiaro che al ministero della Salute hanno dei problemi nel fare comunicazione su un tema così importante e delicato, un tema che non si può trattare superficialmente», spiega Chiara Saraceno, sociologa e studiosa della famiglia. «Già le prime immagini della campagna avevano totalmente fuorviato l’attenzione dal vero problema e anche dai contenuti del piano nazionale per la fertilità. Adesso è chiaro che non c’è chiarezza su quelli che devono essere gli obiettivi di un piano per la fertilità. Però dietro questi errori forse non c’è solo leggerezza, ma anche un’ambiguità.
C’è un’ambiguità o una visione arretrata della società?
Direi ambiguità, anche in alcuni dei messaggi del piano stesso. Le faccio un esempio: quando si dice, al quarto punto degli obiettivi del piano, che bisogna fare una rivoluzione culturale per far capire che la fertilità è un bene – o un obiettivo – prezioso non solo dell’individuo, ma anche della società, uno rimane un pochino perplesso.
Perché?
Intanto perché non è la fertilità in sé semmai è la fecondità, cioè il fatto di avere un figlio che può essere qualcosa che dà gioia. Di cui la fertilità è una precondizione ma un figlio uno lo deve volere. Tanto meno la fertilità è un bene della collettività, concetto tradotto nella campagna in: la fertilità è un bene comune. Oppure ci sono dei messaggi sempre nel piano in cui sembra che si fanno figli tardi o non se ne fanno affatto perché la gente è immatura o egoista, in particolare le donne. Si parla di persistenza adolescenziale o di donne che vogliono lavorare e realizzarsi, mettendo questo in contrasto con la maternità. Come se le responsabili fossero le donne e non eventualmente l’organizzazione sociale. E’ un piano, quindi dovrebbe occuparsi del benessere degli individui dal punto di vista della salute e porsi il problema della difesa della fertilità e di una prevenzione dai danni alla fertilità nell’ottica del benessere del singolo. Questo dovrebbe essere il suo primo punto: la salute riproduttiva è una parte importante del benessere di ciascuno. Invece si comincia dicendo che una bassa natalità rende insostenibile il welfare. Che può essere anche vero, ma non è, o non dovrebbe essere, il primo obiettivo di un piano per la fertilità.
Chi contesta il Fertility Day ricorda che per avere un figlio bisogna avere la sicurezza di un reddito, asili nido.
La ministra ha ragione nel dire che lei non si occupa di queste politiche, però allora non deve neppure suggerire, come fa questa campagna, che quello della bassa natalità sia solo un problema di egoismo o di maturità. Vero, non è compito suo occuparsi di queste politiche. Ma allora stai stretta al tuo campo, dì: io mi occupo della salute riproduttiva e quindi di prevenzione, di consultori. Afferma che della fertilità bisogna cominciare a occuparsene da bambini? Benissimo allora con molta più forza devo dire che ci deve essere un’educazione sessuale fin dalla scuola. Invece nei messaggi che vengono trasmessi sembra che sia tutto un problema di scelte individuali, la colpa è delle persone che si comportano male, fumano, bevono o non vanno dal medico. La campagna sul Fertility Day è stata una frana totale, e francamente non riesco neanche a capire il senso dell’iniziativa: dà un carattere emergenziale che non esiste. Sembra poi che l’emergenza non sia tanto la fertilità quanto la fecondità, cioè il fatto che nascono pochi bambini, no che ci sono tante persone sterili.
Però all’estero campagne simili hanno avuto successo, penso alla Danimarca.
Sì però la campagna danese diceva: «Andate in vacanza», era gioiosa, non era punitiva. Diceva andate in vacanza che così magari fate un figlio, ovviamente se ne avete voglia e se volete. E poi non dimentichiamo che in Danimarca i servizi ci sono e non si corre il rischio di diventare poveri perché fai un figlio di troppo. Inoltre il tasso di occupazione femminile è alto. Invece qui da noi è tutto un messaggio punitivo: comportatevi bene, state attenti alle malattie e così via.
Tra le cose da non fare ci sono anche le cattive frequentazioni tra le quali, sembra di capire, anche gli stranieri.
In realtà il messaggio avrebbe dovuto riguardare i comportamenti malsani, come ubriacarsi e fumare, che sono malsani mica solo per la fecondità. Dopo di che sono stati rappresentati figurativamente in un modo gravemente fuori dalla grazia di Dio. Per raffigurare il comportamento cattivo hanno usato il colore della pelle. Siamo tornati alla paura dell’uomo nero.
Intervista a Chiara Saraceno a cura di Carlo Lania Il manifesto” 23 settembre 2016

Sul Fertility day
Spingevo la carrozzina della mia primogenita (allora neonata) quando incontrai un’amica, che non rivedevo da anni: “È tua? Brava, hai pagato il tuo debito con la natura!” Il suo commento mi torna spesso in mente quando, ad esempio, leggo che in Italia il numero medio di figli per donna è di 1,37 – mentre la soglia di sostituzione dovrebbe essere di 2,1 figli cadauna – oppure quando provo a capire cosa può significare un Fertility Day. Giorno che si “celebrerà” domani, 22 settembre, ma di cui in realtà si parla da un mesetto, grazie alla (poco felice) campagna comunicativa del Ministero della Salute, che tanto ha fatto scalpore a fine estate. Non entrerò nel merito delle clessidre che avrebbero dovuto richiamare lo scorrere del tempo biologico delle donne (ora sostituite da un nodo rosso, simbolo del #fertilityday). Né vorrei in alcun modo urtare la sensibilità di quanti vivono situazioni di disagio e sofferenza in merito, ma proporre qui una riflessione più ampia, con una premessa.
La premessa: ben vengano azioni mirate a educare le giovani generazioni che non si possono avere figli a comando, che la “finestra fertile” femminile è limitata nel tempo (si riduce drasticamente dopo i 35 anni), che spermatozoi e ovociti risentono di stili di vita scorretti (come il fumo e alcool), che le tecniche di procreazione medicalmente assistita possono aiutare la fertilità naturale, ma non fanno miracoli. Tutto da sapere e ricordare, ma non basta. E qui provo a balbettare una riflessione più ampia.
Quando erano giovani, i nostri nonni procreavano quando erano in procinto di partire per le campagne militari in Russia o in Africa, quando la precarietà non era solo lavorativa, ma di vita (o di morte), quando l’obiettivo era sfamare le nuove bocche, non garantirgli livelli standard di benessere. Eppure il contesto sociale e la struttura famigliare erano diversi, si poteva contare su reti di supporto talmente efficienti da far impallidire il miglior welfare del ventesimo secolo.
Il 13 settembre scorso il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione “Creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e vita professionale”. Per la prima volta la conciliazione viene riconosciuta come un diritto, affermando che le politiche di conciliazione, per essere efficaci, devono essere un mix di elementi diversi e devono coprire le esigenze delle famiglie lungo il ciclo di vita, dalla nascita dei figli all’assistenza ai genitori anziani. Non basta concentrarsi sugli asili nido (servono, eccome), ma sarebbe bello lavorare per una cultura in cui i carichi di lavoro famigliari e professionali vengano condivisi il più possibile tra uomo e donna, tra i più e i meno giovani; creare le condizioni affinché la reciprocità tra i generi possa orientarsi a una convergenza verso obiettivi personali e sociali condivisi, dove i ruoli sociali e le aspirazioni private possano armonicamente sussistere.
Voler e poter mettere al mondo dei figli va ben oltre il saldare il proprio debito con la natura. È lasciare al mondo un carico di speranza che nessun presente porta con sé.
Chiara Tintori aggiornamenti sociali 21 settembre 2016
ww.aggiornamentisociali.it/easyne2/LYT.aspx?Code=AGSO&IDLYT=769&ST=SQL&SQL=ID_Documento=15173
«Fertility day», una rivoluzione culturale?
Al di là delle perplessità e delle richieste di integrazione socio-educative già espresse dal nostro quotidiano. Al di là delle critiche avanzate in modo aprioristico dal mestatori di professione (non su queste pagine). Al di là della possibilità di realizzare concretamente tutto quanto promette sulla carta, il fatto che oggi il “Piano nazionale per la fertilità” possa decollare, rimane un fatto straordinario. Segno che anche gli ultimi difensori del desueto allarme malthusiano stanno finalmente rivendendo le loro posizioni. E che forse, con un po’ di fatica, la cultura della vita sta confermando la bontà dei suoi fondamenti anche in quegli ambiti istituzionali e scientifici che forse, fino a pochi anni fa, le sarebbero stato preclusi. Via libera quindi al “Fertility day” con tutto il suo nutrito apparato di convegni e di iniziative di cui diamo informazioni qui accanto.
Vetrina ambiziosa di progetti e obiettivi, forse ancora più impegnativi, sintetizzati dal documento diffuso dal Ministero della salute che, a proposito della possibilità di informare i cittadini in tema di fertilità umana, fornire assistenza sanitaria qualificata, capovolgere la mentalità corrente spiegando che la natalità non è solo un dono per la coppia (nel documento si parla di “bisogno essenziale”, ma non si può pretendere troppo) ma una ricchezza per l’intera società, prospetta esplicitamente una “rivoluzione culturale”. Vediamo allora quali sono i cardini di questa “rivoluzione” e cerchiamo di metterne in evidenza luci e ombre nella prospettiva dell’antropologia cristiana, che è sguardo sull’uomo e sulla donna a partire dalla verità e dallo splendore della differenza sessuale.
E se in questa lettura c’è al centro il ruolo della famiglia, ci appare inevitabilmente un po’ sfasato che, elencando i destinatari del progetto informativo per divulgare gli obiettivi del Piano, il documento proponga il seguente elenco. Al primo posto “Media e campagna di informazione”, al secondo “La giornata nazionale di informazione e formazione sulla fertilità”, al terzo “operatori sanitari”, al quarto “farmacie, al quinto “scuola e università” e, solo al sesto e ultimo posto, la “famiglia”. Certo, si riconosce che il ruolo familiare è «fondamentale e insostituibile nell’educazione sessuale in tutte le diverse fasi della vita dei giovani». Ma allora – sia consentito il dubbio – perché non capovolgere l’elenco?
Del tutto condivisibile invece l’approfondimento che il Piano – messo a punto da un gruppo di esperti di varie competenze presieduto dalla ginecologa Eleonora Porcu – dedica al ruolo sociale ma anche personale della maternità. Parole molto belle quelle usate per spiegare che l’essere madre «sviluppa l’intelligenza creativa e rappresenta una straordinaria opportunità di crescita». Peccato che a dominare lo scenario siano invece, come riconosce anche il testo del ministero, le “culle vuote”. Un inverno demografico che, si spiega nel dettaglio, ha un alto costo sociale, professionale ed economico.
Il Piano offre anche un’analisi socio-culturale della tendenza prevalente in tutto il mondo occidentale, parlando con lodevole franchezza di «ripiegamento narcisistico» e di «attitudine adolescenziale» di troppe giovani coppie. Non manca neppure un’analisi esplicita – più volte tratteggiata anche su queste pagine – delle difficoltà di conciliazione famiglia-lavoro. La disincentivazione della maternità, si ribadisce, è poi determinata anche dalla sbilanciata ripartizione dei carichi domestici e di cura, dalla crisi dei valori di riferimento, dalla tendenza a privilegiare la realizzazione personale e professionale. Tutti elementi che, sommati agli effetti negativi della crisi economica, contribuiscono a quel “segno meno” sul piano demografico che indebolisce il Paese intero.
Ma per invertire la tendenza e definire le premesse per cambiare rotta, è urgente anche sgomberare il campo da rappresentazioni mediatiche che non corrispondono alla verità. Tra le più deleterie quelle che raccontano come, grazie alle nuove tecniche di fecondazione, sia ormai possibile procreare sempre e comunque. Qui il documento è perentorio: «Non si può lasciar credere a donne (e uomini) che ci sia l’onnipotenza di procreare praticamente per tutta la vita». Impeccabile, anche se talvolta il linguaggio è fin troppo specialistico, la parte scientifica del testo. Si spiega l’importanza di conoscere la fisiologia maschile e femminile della fertilità, le precauzioni necessarie per non comprometterla, i controlli a cui sottoporsi.
A proposito dell’educazione sessuale del bambino e dell’adolescente appare invece un po’ unilaterale la fiducia accordata al documento Oms del 2010 con linee-guida che – come anche rilevato a suo tempo sui nostri media – suggeriscono “esperienze” che non tengono conto della sensibilità dei piccoli, ignorando completamente l’educazione al pudore. L’ultima parte del Piano tratta le patologie che riducono la fertilità e ne approfondisce diagnosi e cura. Ultima nota positiva il capitolo dedicato, con grande trasparenza, ai costi della Pma. Un rischio che, si ammette, non è solo economico.
Luciano Moia Avvenire 22 settembre 2016
www.avvenire.it/Vita/Pagine/fertility-day-una-rivoluzione-culturale.aspx

Fecondazione: Fertility Day, le raccomandazioni degli andrologi
Una trafila lunga e dolorosa di esami e terapie, con costi elevati e ripercussioni fisiche e psicologiche tutt’altro che trascurabili, quasi sempre centrata sulla donna. Quando una coppia cerca un figlio che non arriva, di solito è lei a diventare oggetto di indagini e cure. Ma in un caso su due è l’uomo ad avere qualche disturbo, spesso peraltro facilmente diagnosticabile e curabile, ma non lo sa: il 25-30% degli under 18 ha già un problema che può compromettere la fertilità futura, a cui si potrebbe rimediare facilmente, se riconosciuto in tempo.
Per informare gli uomini sull’importanza di una diagnosi attenta e tempestiva, in occasione del Fertility Day del 22 settembre, la Società italiana di andrologia (Sia) propone una serie di raccomandazioni per alleviare i problemi connessi all’infertilità di coppia che gravano di più sulla donna.
“Ridurre il ricorso a procedure costose, lunghe e non sempre efficaci potrebbe essere fattibile con poche mosse, prima fra tutte l’obbligatorietà della presenza di un andrologo in tutti i centri di procreazione medicalmente assistita (Pma)”, si spiega in una nota. “La fertilità di coppia è legata indissolubilmente alla salute riproduttiva di entrambi i partner, perciò studiare solo le eventuali patologie femminili pregiudica la soluzione delle difficoltà di procreazione – afferma Alessandro Palmieri, presidente Sia – Tutto ciò, inoltre, obbliga le donne a percorsi più impegnativi sia dal punto di vista medico sia psicologico, con un aumento della probabilità di complicanze e anche dei costi. A questo si potrebbe ovviare studiando a fondo anche il partner maschile”.
La legge oggi non impone ai centri di Pma di avere una consulenza andrologica, solo dove vi sia la banca del seme può essere prevista (ma non è obbligatoria) la presenza dello specialista. Una grave lacuna secondo gli esperti Sia, perché solo l’urologo andrologo può consentire la diagnosi precisa dei fattori maschili che compromettono la fertilità di coppia. “Gli uomini poi hanno gravi lacune conoscitive su ciò che può danneggiare la loro fertilità, come le malattie sessualmente trasmesse, l’uso di droghe o l’esistenza di limiti di età anche maschili per la procreazione naturale – riprende Palmieri – Diagnosi e trattamento dei disturbi che incidono sulla fertilità maschile riducono il ricorso alla Pma e ne migliorano i risultati, quando si rende necessaria, diminuendo anche i problemi a carico della donna; valutare l’uomo peraltro è più semplice e meno costoso, perché spesso basta uno spermiogramma e non servono test strumentali complessi”. La Sia propone perciò che sia resa obbligatoria e vincolante la presenza della competenza andrologica in tutti i centri di Pma e nei consultori del servizio sanitario nazionale, per seguire il maschio in tutto il percorso della coppia.
Ecco, inoltre, le raccomandazioni con tutte le informazioni che ogni uomo dovrebbe conoscere per preservare la salute del proprio apparato sessuale e di quello dei figli:
Attenzione all’alimentazione: diete ricche di grassi saturi riducono la concentrazione degli spermatozoi mentre gli omega-3 favoriscono la morfologia spermatica normale, inoltre occorre fare attenzione alla qualità dei cibi perché i pesticidi possono alterare lo sperma.
Mantenere il perso forma, perché l’obesità riduce i livelli di testosterone ed Lh alterando la qualità e la quantità del seme.
Non fumare, perché il fumo si associa a una riduzione della conta spermatica, della motilità e a un incremento delle anomalie degli spermatozoi.
Non eccedere con gli alcolici, perché l’abuso è tossico sui testicolo ma anche un consumo abituale si associa a un progressivo peggioramento della fertilità, tanto più evidente quanto più è abbondante e frequente l’assunzione di alcol.
No all’attività sportiva in eccesso e ad androgeni anabolizzanti: sopprimono la spermatogenesi e riducono il volume dei testicoli. Gli effetti di solito sono reversibili una volta sospesa l’assunzione, ma possono servire anche due anni per tornare alla normalità.
No alle droghe di qualsiasi genere, marijuana compresa: provocano alterazioni dello sperma, con riduzione cospicua degli spermatozoi, che durano anche molto a lungo.
AdnKronos Salute 19 settembre 2016
www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=32577
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
13 consigli di papa Francesco per un buon matrimonio.
Nell’Amoris Laetitia, il papa offre alcuni consigli su come sostenere un buon matrimonio negli anni. Nella sua esortazione apostolica Amoris Laetitia, papa Francesco ha usato l’“inno alla carità” di San Paolo, tratto dalla sua prima Lettera ai Corinzi, per offrire alcuni consigli su come sostenere un buon matrimonio negli anni, basato sul vero amore. “È prezioso soffermarsi a precisare il senso delle espressioni di questo testo, per tentarne un’applicazione all’esistenza concreta di ogni famiglia”, ha spiegato.
Pazienza. Per Francesco, “non significa lasciare che ci maltrattino continuamente, o tollerare aggressioni fisiche, o permettere che ci trattino come oggetti”. “L’amore comporta sempre un senso di profonda compassione, che porta ad accettare l’altro come parte di questo mondo, anche quando agisce in un modo diverso da quello che io avrei desiderato”. “Il problema si pone quando pretendiamo che le relazioni siano idilliache o che le persone siano perfette, o quando ci collochiamo al centro e aspettiamo unicamente che si faccia la nostra volontà. Allora tutto ci spazientisce, tutto ci porta a reagire con aggressività”, ha avvertito.
Atteggiamento di benevolenza. Il papa ha sottolineato che nella sua Lettera San Paolo “vuole insistere sul fatto che l’amore non è solo un sentimento, ma che si deve intendere nel senso che il verbo ‘amare’ ha in ebraico, vale a dire: ‘fare il bene’”. “Come diceva sant’Ignazio di Loyola, ‘l’amore si deve porre più nelle opere che nelle parole’. In questo modo può mostrare tutta la sua fecondità, e ci permette di sperimentare la felicità di dare, la nobiltà e la grandezza di donarsi in modo sovrabbondante, senza misurare, senza esigere ricompense, per il solo gusto di dare e di servire”.
Guarendo l’invidia. “Nell’amore non c’è posto per il provare dispiacere a causa del bene dell’altro”, ha sottolineato il papa, aggiungendo che “l’invidia è una tristezza per il bene altrui che dimostra che non ci interessa la felicità degli altri, poiché siamo esclusivamente concentrati sul nostro benessere”. “Il vero amore apprezza i successi degli altri, non li sente come una minaccia, e si libera del sapore amaro dell’invidia. Accetta il fatto che ognuno ha doni differenti e strade diverse nella vita”.
Senza vantarsi o gonfiarsi. Francesco ha sottolineato che “chi ama, non solo evita di parlare troppo di sé stesso, ma inoltre, poiché è centrato negli altri, sa mettersi al suo posto, senza pretendere di stare al centro”. “Alcuni si credono grandi perché sanno più degli altri, e si dedicano a pretendere da loro e a controllarli, quando in realtà quello che ci rende grandi è l’amore che comprende, cura, sostiene il debole”.
Amabilità. “Amare significa anche rendersi amabili”, ha indicato il papa, e questo significa che “l’amore non opera in maniera rude, non agisce in modo scortese, non è duro nel tratto”. “I suoi modi, le sue parole, i suoi gesti, sono gradevoli e non aspri o rigidi. Detesta far soffrire gli altri”.
Distacco generoso. Contrariamente alla frase popolare per la quale “per amare gli altri bisogna prima amare se stessi”, il papa ha ricordato che nell’“inno alla carità” San Paolo “afferma che l’amore ‘non cerca il proprio interesse’, o che ‘non cerca quello che è suo’”. “Bisogna evitare di attribuire priorità all’amore per se stessi come se fosse più nobile del dono di se stessi agli altri”.
Senza violenza interiore. Nella Amoris Laetitia, il papa ha esortato a evitare “una irritazione non manifesta che ci mette sulla difensiva davanti agli altri, come se fossero nemici fastidiosi che occorre evitare”. “Il Vangelo invita piuttosto a guardare la trave nel proprio occhio”, ha aggiunto. “Se dobbiamo lottare contro un male, facciamolo, ma diciamo sempre ‘no’ alla violenza interiore”.
Perdono. Francesco ha raccomandato di non lasciare spazio “a quel rancore che si annida nel cuore”, ma di lavorare per “un perdono fondato su un atteggiamento positivo, che tenta di comprendere la debolezza altrui e prova a cercare delle scuse per l’altra persona”. La comunione familiare, ha affermato il papa, “può essere conservata e perfezionata solo con un grande spirito di sacrificio. Esige, infatti, una pronta e generosa disponibilità di tutti e di ciascuno alla comprensione, alla tolleranza, al perdono, alla riconciliazione”.
Rallegrarsi con gli altri. “Quando una persona che ama può fare del bene a un altro, o quando vede che all’altro le cose vanno bene, lo vive con gioia e in quel modo dà gloria a Dio”, ha indicato il Santo Padre. “La famiglia dev’essere sempre il luogo in cui chiunque faccia qualcosa di buono nella vita, sa che lì lo festeggeranno insieme a lui”.
Tutto scusa. Questo, ha spiegato il papa, “implica limitare il giudizio, contenere l’inclinazione a lanciare una condanna dura e implacabile. ‘Non condannate e non sarete condannati’ (Lc 6,37). “Gli sposi che si amano e si appartengono, parlano bene l’uno dell’altro, cercano di mostrare il lato buono del coniuge al di là delle sue debolezze e dei suoi errori. In ogni caso, mantengono il silenzio per non danneggiarne l’immagine. Però non è soltanto un gesto esterno, ma deriva da un atteggiamento interiore”.
Ha fiducia. “Non si tratta soltanto di non sospettare che l’altro stia mentendo o ingannando”, ha spiegato il papa. “Non c’è bisogno di controllare l’altro, di seguire minuziosamente i suoi passi, per evitare che sfugga dalle nostre braccia. L’amore ha fiducia, lascia in libertà, rinuncia a controllare tutto, a possedere, a dominare”.
Spera. Questa parola, ha indicato il papa, “indica la speranza di chi sa che l’altro può cambiare”. “Non vuol dire che tutto cambierà in questa vita. Implica accettare che certe cose non accadano come uno le desidera, ma che forse Dio scriva diritto sulle righe storte di quella persona e tragga qualche bene dai mali che essa non riesce a superare in questa terra”.
Tutto sopporta. Il papa ha segnalato che questo “non consiste soltanto nel tollerare alcune cose moleste, ma in qualcosa di più ampio: una resistenza dinamica e costante, capace di superare qualsiasi sfida”. “L’amore non si lascia dominare dal rancore, dal disprezzo verso le persone, dal desiderio di ferire o di far pagare qualcosa. L’ideale cristiano, e in modo particolare nella famiglia, è amore malgrado tutto”
Aleteia 20 settembre 2016
http://it.aleteia.org/2016/09/20/13-consigli-papa-francesco-buon-matrimonio-amoris-laetitia
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GARANTE PER L’INFANZIA
Le priorità di Albano. “Investire nelle adozioni e dare sostegno alle famiglie che adottano”
“Investire nelle adozioni, dare sostegno alle famiglie che adottano e realizzare la piena operatività della Banca Dati quale strumento funzionale a realizzare il diritto del bambino ad avere una famiglia nel minor tempo possibile”. Così interviene la Garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano, sulle adozioni, dopo l’incontro, la scorsa settimana, con Ai.Bi. e una delegazione del gruppo dei 23 enti autorizzati.
Dal confronto è emersa l’impellenza di porre mano velocemente alla risoluzione di alcune problematiche delicate e urgenti, come il miglioramento delle prassi nella fase precedente l’abbinamento, la centralità dei dati – risorse essenziali di trasparenza e di indirizzo per il futuro -, l’innalzamento della qualità del sostegno alle famiglie nel post adozione e la necessità di rendere uniforme tale sostegno su tutto il territorio italiano.
“Sulla disponibilità dei dati dovrebbe ormai essere questione di giorni – assicura la Garante –, perché il ministro Orlando ha già annunciato che entro il 30 settembre 2016 sarà pienamente concluso il processo di informatizzazione dei Tribunali. Quanto alla delicata fase del post-adozione, la tutela del bambino non si esaurisce con l’incontro tra famiglia e figlio, ma assume sempre più importanza critica la qualità e la diffusione dell’offerta di sostegno ai bambini e alle famiglie nella fase successiva all’adozione, parte centrale delle politiche di reale tutela della genitorialità adottiva”.
“Per le procedure di preadozione – conclude la garante – occorre fare riferimento alle prassi virtuose di tanti tribunali e potenziare i servizi per realizzare il diritto del minore ad avere una famiglia adeguata alle sue necessità nel minor tempo possibile”.
Fonte: Agensir news Ai. Bi. 20 settembre 2016
www.aibi.it/ita/le-priorita-di-albano-garante-infanzia-investire-nelle-adozioni-e-dare-sostegno-alle-famiglie-che-adottano
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GESTAZIONE PER ALTRI
Maternità surrogata: come regolare gli accordi transnazionali?
Il Parlamento europeo ha diffuso una nota esplicativa sulle questioni relative alla maternità surrogata con elementi di internazionalità. Lo studio del Comitato affari giuridici dell’Europarlamento e condotto da Amalia Rigon e Célibe Chateau (ipol_bri2016571368_en), ricostruita la divisione all’interno dei Paesi membri, con alcuni Stati come Francia, Germania e Italia che vietano in modo assoluto la maternità surrogata e altri, come Grecia e Regno Unito, che l’ammettono nei casi in cui non vi sia passaggio di denaro e sia attuata senza fini di lucro, mette in primo piano lo status quo e le possibili vie da seguire per disciplinare una realtà con diversi problemi di diritto internazionale privato. Un intervento, d’altra parte, appare necessario per tutelare la situazione di status ormai acquisiti, nell’interesse superiore del minore. Partendo dai lavori della Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nei casi Mennesson, nonché Paradiso e Campanelli, è evidenziata l’utilità della conclusione di una convenzione che risolva i problemi circa l’identificazione dei genitori e che limiti i casi di rimozione del minore dall’ambiente naturale, mettendo in primo piano l’interesse superiore del minore. In pratica, si suggerisce di non prendere una posizione a favore o contro la maternità surrogata ma di soffermarsi sulla soluzione delle questioni legati allo status già acquisito.
Newsletter Marina Castellaneta 23 settembre 2016
www.marinacastellaneta.it/blog/maternita-surrogata-come-regolare-gli-accordi-transnazionali.html
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MINORI
Emergenza Misna. Accoglienza familiare ai minori in arrivo
Sempre più elevato è il numero dei minori – talora di bambini di età inferiore ai dieci anni – che vengono raccolti in mare, mentre rischiano il naufragio, e trasferiti nelle nostre zone costiere: 16.800 in otto mesi, secondo le stime dell’Ismu. Non risulta che sia in atto una vera e propria ‘campagna’ per la sensibilizzazione delle famiglie italiane affinché si facciano carico, per qualche tempo, dell’accoglienza di minori stranieri.
Sull’argomento, vari volte sollevato da Ai.Bi. che ha sempre promosso e laddove reso possibile attuato l’affido familiare, scrive Giorgia Campanini sulle colonne di Avvenire pubblicato sul sito il 23 settembre 20016. Riportiamo la versione integrale della news.
Giovani migranti: risposta non semplice ma auspicabile. Sempre più elevato è il numero dei minori – talora di bambini di età inferiore ai dieci anni – che vengono raccolti in mare, mentre rischiano il naufragio, e trasferiti nelle nostre zone costiere. È difficile valutare quanto questo fenomeno durerà nel tempo, ma è certo che assai alto è il numero di minori senza famiglia approdati sulle nostre coste: 16.800 in otto mesi, secondo le stime dell’Ismu. Per questo è in atto una serie di iniziative mirate: fondate però, generalmente, sul principio dell’assistenza praticata in ‘centri di accoglienza’, istituzioni comunitarie, collegi, residenze, ecc.
Non ci risulta che sia in atto una vera e propria ‘campagna’ per la sensibilizzazione delle famiglie italiane affinché si facciano carico, per qualche tempo, dell’accoglienza di minori stranieri. E invece proprio su questa prospettiva che si vorrebbero svolgere alcune considerazioni (basate anche su una personale esperienza di accoglienza, seppure in questo caso si tratti di un somalo ventiseienne). La ricerca pedagogica ha ormai dimostrato, con solidissimi argomenti, che il luogo ideale per la crescita dei minori è la famiglia: ovviamente una famiglia solida, ragionevolmente felice, dotata di mezzi e di risorse adeguate.
Tutte le altre soluzioni, pur inevitabili, sono una ‘seconda via’. Perché dunque percorrere la ‘seconda via’ – quella dei centri di raccolta e simili – e non la prima? Vi sono indubbiamente, al riguardo, non pochi problemi. Condizione fondamentale perché le famiglie italiane diventino il luogo privilegiato per l’ospitalità temporanea dei minori stranieri è la loro stessa disponibilità all’accoglienza, per un tempo che potrebbe essere anche non breve: occorre infatti che vengano individuati e identificati i genitori dei ragazzi (spesso rimasti nei Paesi di origine o trasferitisi in altre nazioni europee).
Ma è proprio impossibile, in un Paese come l’Italia, trovare alcune migliaia di famiglie che si facciano carico di altrettanti minori abbandonati o in attesa di ricongiungimento con i loro familiari? Il problema non dovrebbe mancare di essere affrontato, seriamente e responsabilmente, da parte dell’intera società civile; ma un ruolo particolare, in un certo senso ‘profetico’, potrebbe essere svolto dalle stesse famiglie. Perché non costituire, in ogni diocesi, un ‘gruppo di lavoro’ che, facendo appello alla generosità delle famiglie, elabori una sorta di ‘albo’ delle famiglie disposte all’ospitalità, sempre garantendo, con incontri preliminari, che alla proclamata disponibilità all’accoglienza corrispondano condizioni abitative adeguate e serie garanzie di ordine educativo (con particolare riferimento all’esistenza di altri figli, essi pure da coinvolgere in una scelta non semplice né facile)?
Questo programma di inserimento dei minori abbandonati in famiglie – con tempi e modalità da definirsi – dovrebbe essere ovviamente concordato con le pubbliche autorità e prevedere, nello stesso tempo, costanti controlli (né le famiglie interessate dovrebbero dolersene). Con tutti i suoi limiti e i suoi difetti una ‘normale’ famiglia di persone sensibili e generose risulterebbe una soluzione del problema di gran lunga preferibile a quella dei ‘centri di raccolta’ e simili. Né si può escludere che questo aiuto temporaneo possa trasformarsi in vero e proprio affido, soprattutto per i minori i cui genitori siano irreperibili: ma questo è un altro problema.
Quello di oggi – che le comunità cristiane dovrebbero sapere subito affrontare – è il problema di non lasciare per troppo tempo bambine e bambini in centri o in istituti nei quali troverebbero, auspicabilmente, cibo e vestiti, ma nei quali non farebbero la vitale esperienza della fraternità e dell’amore.
News Ai. Bi. 23 settembre 2016
www.aibi.it/ita/emergenza-misna-accoglienza-familiare-ai-minori-in-arrivo
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PENSIONE DI RIVERSIBILITÀ
Pensione al coniuge superstite.
INPS. Circolare n. 178, 21 settembre 2016 estratto
Illegittimità costituzionale dell’articolo 18, comma 5, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 convertito dalla legge del 15 luglio 2011, n. 111 dichiarata con sentenza della Corte Costituzionale n. 174 del 20 luglio 2016.
Con la sentenza n. 174 del 15 giugno 2016, pubblicata il 20 luglio 2016, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ articolo 18, comma 5, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 convertito dalla legge del 15 luglio 2011, n. 111 secondo il quale “Con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2012 l’aliquota percentuale della pensione a favore dei superstiti di assicurato e pensionato nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive o sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiori a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni, del 10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10. Nei casi di frazione di anno la predetta riduzione percentuale è proporzionalmente rideterminata. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano nei casi di presenza di figli di minore età, studenti, ovvero inabili. Resta fermo il regime di cumulabilità disciplinato dall’articolo 1, comma 41, della predetta legge n. 335 del 1995”.
www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2016&numero=174
www.inps.it/bussola/VisualizzaDoc.aspx?sVirtualURL=/Circolari/Circolare%20numero%20178%20del%2021-09-2016.htm&iIDDalPortale=&iIDLink=-1
www.inps.it/bussola/VisualizzaDoc.aspx?sVirtualURL=/Circolari/Circolare%20numero%20178%20del%2021-09-2016.htm
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POTESTÀ GENITORIALE
Provvedimenti limitativi durante separazione o divorzio
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 18093, 14 settembre 2016
Quando sia pendente un giudizio di separazione o divorzio o ex art. 319 c.c. le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale spettano al Tribunale ordinario o alla Corte d’appello.
Newsletter Avv. Renato D’Isa 21 settembre 2016 sentenza
http://renatodisa.com/2016/09/21/corte-di-cassazione-sezione-i-civile-sentenza-14-settembre-2016-n-18093

Divorzio e decadenza da potestà paterna: basta un solo processo
Tribunale di Milano –nona Sezione – sentenza 16 marzo 2016.
È ammissibile la domanda della decadenza dalla responsabilità genitoriale nel processo del divorzio, formulata con un’unica istanza. Il processo sarà unico e il Tribunale, in sede collegiale, deciderà in merito: così ha deciso, mutando un precedente proprio orientamento. L’istanza di decadenza dall’esercizio delle responsabilità genitoriali, prevista dall’articolo 330 del Codice civile, va formulata, per radicare la competenza avanti al Tribunale civile competente per il giudizio di divorzio, con l’istanza introduttiva di questo; sarà quindi «il Collegio nella fase decisoria» a decidere in ordine alla sua fondatezza. Viene così superata una precedente interpretazione a tutto vantaggio dell’economia processuale e della concentrazione dei poteri decisori, in capo al solo Tribunale civile.
Rimane ovviamente sub judice la questione dell’ammissibilità dell’istanza limitativa delle competenze genitoriali. La pronuncia de quo, nel rigettarla nel merito, ha dettato un’importante linea guida rilevando come «la rescissione definitiva del legame familiare – tra il padre e il figlio – costituisca la extrema ratio, ossia un intervento rimediale, sussidiario e residuale che si riveli l’unico atto a soddisfare, in modo adeguato, il preminente interesse del minore». Posto che il presupposto della pronuncia, non può – allora – essere «la mera irreperibilità del genitore, soprattutto laddove si tratti di cittadino straniero … là dove non sia stato accertato che la latitanza dal rapporto genitoriale dipenda da esclusive o preminenti scelte consapevoli del genitore stesso», nel caso in esame la richiesta decadenza, non è stata accolta mentre è stato confermato il regime “particolare” di affidamento dei figli alla madre, con la conferma di quanto disposto con il primo provvedimento, quello presidenziale. Il Tribunale di Milano ha infatti disposto – alla luce del contegno paterno, rimasto contumace durante il processo, né comparso all’udienza disposta per l’audizione dei genitori – l’affidamento monogenitoriale, del tipo del cosiddetto “affido super-esclusivo” o rafforzato, rilevando come «le condizioni sopra indicate (di completo disinteresse della figura paterna ad osservare un consapevole ruolo genitoriale) giustificano una concentrazione della responsabilità genitoriale in capo alla madre, anche con riguardo alle scelte più importanti per il minore, quali la residenza abituale, la salute, l’educazione e l’istruzione».
In buona sostanza nell’esercizio quotidiano dell’onere della responsabilità genitoriale, il genitore convivente con i figli non avrà la necessità di concordare con il genitore «latitante dai propri obblighi» nulla in merito alle scelte educative di crescita e di formazione dei figli; il tutto per evitare un danno alla crescita di questi ultimi.
Il Tribunale ha poi determinato d’ufficio «un contributo da parte del padre con decorrenza dalla domanda giudiziale». Sottolineando come il nuovo testo dell’articolo 337-ter confermi l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, la sentenza ricorda come «l’irreperibilità del padre non ne giustifica l’esonero dal mantenimento» e dispone in via equitativa, l’importo di 300 euro mensili, in favore del figlio.
Giorgio Vaccaro il sole 24 ore data
www.oua.it/sentenze-divorzio-e-decadenza-da-potesta-paterna-basta-un-solo-processo-il-sole-24-ore
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SINGLE
Perché i single in Italia sono aumentati del 46%?
L’Italia non è un Paese per coppie e famiglie: i single sono cresciuti del 46% in dieci anni. La crisi economica non c’entra nulla: il problema è culturale. Le nuove generazioni sono cresciute vedendo i loro genitori divorziare e ora hanno paura di vivere con qualcun altro. Entra nel merito in questa analisi Claudio Risè che sulle pagine de Il Giornale oggi, 21 settembre 2016 un aumento del 46% in 10 anni, si tratta di un trend in costante aumento a discapito di matrimoni e nascite.
Riportiamo la versione originale dell’articolo.
Non è un Paese per coppie, l’Italia. La statistica è chiara: i single sono cresciuti del 46% in dieci anni. La crisi economica non c’entra nulla: il problema è culturale. Le nuove generazioni sono cresciute vedendo i loro genitori divorziare e ora hanno paura di vivere con qualcun altro.
I single nelle grandi città (a cominciare da Milano), sono ormai le famiglie più diffuse. «Famiglie unipersonali», le chiama l’Istat. Che famiglie poi non sono, ma fa lo stesso. Con un aumento del 46% in 10 anni da qualche parte nelle statistiche bisognava pur metterli. E poi famiglia ha già un suo prestigio, a condizione naturalmente che non sia quella «tradizionale», che fa troppo retro e non è affatto smart. Il loro numero aumenta ogni anno, assieme alla diminuzione dei matrimoni, e della nascite. Si capisce quindi che siano oggi il gruppo sociale più osservato dai sondaggisti e corteggiato da tutti: i politici in cerca di voti, i produttori di consumatori, le banche di qualcuno che depositi i soldi, o li prenda in prestito. Naturalmente anche le organizzazioni di incontri, di eventi. Insomma tutti. Anche senza darsi particolare da fare, sono dunque autorevolissimi. Giustamente: il loro numero è l’unico dato in crescita (assieme a quello delle demenze senili e dei tumori) di un panorama per il resto caratterizzato da curve inesorabilmente calanti.
Tutti, quindi, si chiedono come mai siano sempre di più le persone che stanno da sole. La risposta più frequente è quella economica: perché c’è la crisi, e stare insieme costa di più. È improbabile che sia così. Intanto perché la marcia dei single è cominciata ben prima del 2008, inizio della crisi. Ma soprattutto perché in tempi che visti da oggi erano di miseria non ci si pensava due volte a mettersi insieme e a darsi da fare per sbarcare il lunario. Espressione del resto che oggi, in tempi di assegni di cittadinanza, appare arcaica e priva di senso: nessuno usa più questi termini avventurosi, marinareschi o astronomici. Anche i single, infatti, contano sul fatto che qualcuno pensi a loro: la mamma, che da qualche parte c’è sempre, lo Stato, visto che anche loro sono famiglia, le Chiese, che trovino loro dei compagni/e di vita, i media, che ascoltino i loro problemi, e tutte le altre istituzioni, ognuna per la sua parte.
È giusto così, visto la dimensione del loro gruppo sociale, che si avvia a 9 milioni di italiani. La loro umanissima disponibilità all’aiuto racconta però molto di loro, e delle ragioni della loro diffusione. Il single è qualcuno che non vive in coppia, e spesso non lo fa perché non sa neppure come si faccia. Perché a stare in coppia si impara da piccoli, vivendo in quella formata dai genitori. Che però, appunto, spesso non c’è più, o c’è sempre meno, e quando c’è è spesso «scoppiata», e sono sempre meno gli ex bambini a cui viene in mente di ripetere il modello a cui hanno assistito da piccoli, con in più (raccontano le ricerche internazionali) la frustrazione di non poter fare nulla per interromperlo. La famiglia, diceva Joseph Ratzinger, è dove gli esseri umani imparano a stare assieme, e si formano i legami. È così; ma se non c’è più non si formano per niente. In questo modo nascono le «famiglie unipersonali», molto vezzeggiate da papa e mamme adottive: sindaci progressisti, società di assicurazioni, organizzazioni confessionali, catene di supermercati, organizzazioni di aiuto psicologico etc.
Corteggiati, eppure, spesso, tremendamente infelici. Anche a madri e padri tradizionali, naturalmente, la felicità non era garantita. C’era però un altro/a accanto, più o meno sinceramente amato, ma profondamente conosciuto. C’era una vita condivisa, a lungo, a volte per sempre. Uno che ti attende e l’altro che ti cerca. L’eterna coppia Ulisse-Penelope, che magari si perde, ma poi da qualche parte si ritrova, e intanto si vive, e i figli crescono. Questo nella «famiglia unipersonale» non c’è più. E prendere il largo, navigare nella vita, diventa più difficile. E molto meno emozionante.
News Ai. Bi. 21 settembre 2016
www.aibi.it/ita/perche-i-single-in-italia-sono-aumentati-del-46
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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI
La famiglia crocevia di relazioni e di fecondità
Per la prima volta in Sardegna, a Oristano, dal 2 al 4 settembre, si è svolto il XXIV Congresso Nazionale dell’Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali (UCIPEM), oltre 150 operatori (Consulenti Familiari, Medici, Avvocati, Psicologi, Magistrati, Pedagogisti, Assistenti Sociali, Sacerdoti etc) provenienti dai Consultori di tutta la Sardegna e di tutta l’Italia, si sono confrontati intorno al fondamentale tema della famiglia per evidenziarne le difficoltà e le opportunità che si incontrano nella evoluzione della vita.
Assai interessanti i contributi dei vari relatori che lo hanno sviluppato da vari punti di vista e di cui offro ai lettori alcune riflessioni.
Il dr G. Anzani, Magistrato a Milano, ha evidenziato il fatto che in Lombardia i matrimoni civili hanno superato quelli religiosi, nel resto d’Italia sono pari, e ci si sposa sempre di meno.
Lo Psichiatra Psicoterapeuta B. Sivelli ricorda che le emozioni fanno parte dell’amore, ma non sono l’essenziale, che è invece l’aiutarsi reciprocamente nella realizzazione come persona, facendo in modo che ciascuno possa mostrare il proprio “io” senza timore di essere fragili o dubbiosi. Perché è difficile andare d’accordo anche quando si vuole bene? Forse per diventare più umani, perché nel campo dell’amore è importantissima la reciprocità: tutti i nostri bisogni di amore, comprensione, accoglienza, supporto e così via, sono anche i bisogni e i desideri dell’altro, ma se nella coppia non c’è rispetto delle differenze reciproche si arriva alla rottura. Non è il matrimonio che sostiene la coppia, ma i due partner che lo “ricreano” ogni giorno, senza la paura, che ci blocca nella comunicazione. Siamo coraggiosi, scendiamo dal nostro piedistallo e sperimentiamo con il perdono che andando d’accordo stiamo meglio e che per essere forti bisogna diventare deboli e che sentirsi allegri aiuta la coppia.
Il Neuropsichiatra infantile E. Tribulato sottolinea che il bambino ha bisogno di una rete familiare ricca, non bastano solo i genitori, così come ha bisogno di stabilità, di capire quale è la sua casa, la sua famiglia, i suoi parenti. La patologia che può presentarsi nel bambino non scompare, il disturbo, se non è eliminata la causa, permane, trasformato, nell’adulto. Sottolinea anche che i bambini non devono stare davanti a qualunque schermo prima dei tre anni.
Vengono affrontati e discussi vari temi che stanno emergendo in modo sempre più pressante nella società e che implicano una accoglienza consapevole e rispettosa da parte dei Consulenti Familiari e di tutti gli operatori dei consultori, mi riferisco alle famiglie ferite da rotture dolorose, con conflitti duri per la gestione dei figli minori, legittimi, naturali, adottati, nati da un incesto, tutti uguali davanti alla legge e tutti bisognosi di accoglienza, protezione, guida, alle famiglie dei migranti, alle persone di altre fedi religiose, alle coppie omosessuali.
È fondamentale la disposizione delle generazioni adulte a prendersi cura dei piccoli, quando questo è disatteso nascono relazioni patologiche con gravi conseguenze, poiché la genitorialità è una “cura responsabile” che nasce dalla risposta ad un appello, ad esempio del bambino e della sua crescita, in quanto si tratta di un vincolo che non ci limita, ma ci apre nuovi ulteriori confini. Una famiglia che genera si auspica sia una famiglia che educa.
Domenica 4 settembre (dopo la Messa per i corsisti, celebrata dall’Arcivescovo di Oristano, Mons. Sanna), Padre Alfredo Feretti, direttore del Consultorio “La Famiglia” di Roma e della nostra scuola di formazione (SICOF), ha concluso con un magistrale intervento: “Amoris Laetitia, una road map per le relazioni familiari”. Come dice Papa Francesco la famiglia è il luogo della letizia, ossia dell’amore. Uno dei principi è la “superiorità” del tempo sullo spazio, intesa come ipotesi evolutiva sulle proposte ai problemi affrontati, a conclusione del Sinodo. La fiducia è legata all’esistenza stessa della condizione umana, nel senso che non si può vivere senza relazioni, ma l’altro è libero nella risposta, sulla quale non possiamo avere la certezza. Dobbiamo cercare di riparare il mondo, ma questo significa riparare le relazioni, con fiducia nell’altro, anche se poi non andrà come speriamo, sono “per forza” dipendente dall’altro nel momento in cui io gli do fiducia, l’importante è che non mi “sbricioli” se l’altro la tradisce. L’intero documento si occupa del prendersi “cura”, poiché la vulnerabilità si estende a tutta la condizione umana e dunque alla famiglia. La vulnerabilità e la sua cura è segno dello Spirito, suscita la cura dell’altro, la cura dell’amore, che è il solo che permetta sviluppo e soluzione del disagio. Per parlare d’amore è necessario accettare le differenze, accoglierle senza timore per ciò che apparentemente non rassicura. Il Consultorio è il luogo della tolleranza, dell’accoglienza, della promozione delle risorse, di custodia di ciò che non è perfetto. Attenzione! È rischioso pensarci sulla sponda dei “salvati” che mandano “salvagenti”, convinti di avere la “verità”, in attesa della resa di chi riteniamo più deboli. La verità è un cammino per la vita, non la abbiamo in tasca (vedi cap. 4 di AL). “Dacci oggi il nostro Amore quotidiano”. La quotidianità dell’amore è nemica delle affermazioni definitive, che invece vanno riconfermate giorno per giorno, ritornando a scegliersi in più riprese… pensiamo a matrimoni di 60 anni! Bisogna imparare a riscegliersi, l’amore come bisogno e scelta bambini, bisogno di sicurezza, l’amicizia come definizione dell’amore sponsale. Amare è un bisogno che diventa scelta consapevole.
Nel percorso di Consulenza si può imparare il vero rispetto di sé, che si prolunga nel rispetto verso l’altro. Prendersi cura dell’amore in una coppia è valorizzare ed equilibrare le componenti dell’amore: la passione, l’intimità, l’impegno, la comunicazione. Le crisi sono solcate da una drammatica bellezza, (vedi cap. 8 di AL) il discernimento non è un problema da risolvere, ma la vita di una persona in cammino, in divenire verso un bene più grande, poiché le certezze assolute, finché siamo in cammino, non le avremo mai. “C’è sempre qualcosa di assente che mi tormenta”.
Carla Corona, consulente familiare News Tentazioni della penna 21 Settembre 2016
www.tentazionidellapenna.com/index.php?option=com_content&view=article&id=4111:oristano-per-la-prima-volta-in-sardegna,-il-congresso-nazionale-dell%E2%80%99ucipem-la-famiglia,-crocevia-di-relazioni-e-opportunit%C3%A0&catid=91&Itemid=303
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UNIONI CIVILI
Adottiamo le unioni civili? Un mondo al contrario
“Avevo tempo fino a dicembre, invece entro la fine del mese di luglio manderò la bozza dei decreti attuativi a Palazzo Chigi, quindi eserciterò la mia delega molto prima della scadenza ultima. Occorre tempo perché bisogna trovare in tutto l’ordinamento la parola ‘matrimonio’ e metterle accanto la dicitura ‘o unione civile’ in tutti gli interventi di legge in cui c’è la citazione”. “La stepchild adoption è fondamentale e se non passa, la legge sarà monca, costringendo i magistrati a colmare le lacune”. Così il ministro della Giustizia Andrea Orlando.
La famiglia naturale insomma viene vista dalle coppie più o meno giovani quasi come un impedimento alla propria realizzazione di vita e professionale, un progetto il cui orizzonte viene sempre più posticipato. Viviamo nel paradosso, che nell’era dell’abbondanza, del comfort ci sarebbero tutti i presupposti per allevare bene i figli ma al contrario le giovani coppie si trovano con insostenibili mutui per l’acquisto della prima casa, stipendi inconsistenti che da soli non bastano nemmeno per sopravvivere. Oltre alla congiuntura economica sfavorevole, la dissoluzione familiare è sicuramente da imputare all’incremento delle separazioni e dei divorzi, al conseguente aumento delle coppie di fatto – etero e omosessuali – alle Unioni Civili, alle adozioni monogenitoriali, per non parlare delle interruzioni di gravidanze utilizzate quale metodo contraccettivo. Sebbene la mobilitazione dei cattolici in difesa della famiglia naturale sia giusta e di grande importanza, sarebbe un grave errore se fosse esclusiva. La difesa e la tutela della famiglia, quale baluardo della vita e della sua continuità, sono interessi che devono affondare le radici nella laicità e quindi devono essere appannaggio di tutti. Ricostruire il nucleo dall’infanzia, da una famiglia presente e da una scuola esigente e costruttiva, sviscerare in famiglia i veri e antichi principi etici, morali, i valori quali l’amore, il rispetto, la solidarietà e la condivisione che culminano nella consapevolezza che siamo comunque esseri umani, capaci come tali di sbagliare ma anche di perdonare e perdonarci ricominciando tutto da capo, sono i capi saldi della famiglia nucleare. I detrattori della tradizione rispondono semplicisticamente che la famiglia allargata od omogenitoriale che sia, e quindi in prospettiva anche le Unioni Civili, composte da più mamme e papà, sono una casistica complessa e impossibile da racchiudere in uno schema, ma ciò che è più importante, a loro dire, è che la predetta famiglia è quel luogo dove ci deve essere soprattutto amore, e questo è sufficiente. Non v’è dubbio che l’amore sia la base per le relazioni dei rapporti umani, ancor prima che familiari, ma ciò non basta assolutamente. La famiglia non è solo luogo di affetti, di amore e odio, ma vive anche di un ordine strutturale e simbolico, vive di una dinamica generazionale che ha le sue regole e le sue leggi. Genealogie confuse, assenti o enigmatiche, non facilitano certo il viaggio che fa ad esempio del bambino, un figlio. Se è vero che si crea una famiglia per coltivarne il suo scopo principe che è quello dell’amore non fine a se stesso e non solo per soddisfare il proprio ego personale, momentaneo e narcisistico di sentirsi amati, bensì, di avere figli e procreare, la famiglia tradizionale diventa alveo per il concepimento e la crescita oltre che modello naturale di riferimento.
La domanda non è pertanto quale amore possa nascere dai consorzi familiari moderni, atipici, allargati od omosessuali che siano, bensì, quale modello di riferimento essi possano essere per la crescita e l’equilibrio psicologico dei figli, cittadini e genitori del nostro domani. Vero è che nell’impostazione attuale della legge Cirinnà sulle Unioni Civili si esclude esplicitamente l’adozione sia dei bambini abbandonati, sia del figlio biologico del partner (la cosiddetta stepchild adoption). Tuttavia nel testo è stata inserita una dicitura: “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozioni dalle norme vigenti”, che consente evidentemente ai singoli Tribunali, per via giurisprudenziale, di concedere la stepchild adoption ai singoli casi concreti, come già accaduto presso le Corti di Milano, Roma e Torino ormai da tempo. Dalle Unioni Civili deriva sì l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione” ma non vi è tuttavia l’obbligo di fedeltà come invece nel matrimonio, un punto che ha scatenato una forte polemica, tanto che, il Partito democratico sta pensando, addirittura, di annullare l’obbligo di fedeltà anche per le coppie che si uniscono in matrimonio. Un mondo al contrario insomma. La famiglia, rete sociale che unisce e difende il futuro della nostra società, viene continuamente attaccata dovendosi adeguare alle derive laiciste e alla dottrina delle lobby Lgbt. Ma quale modello lasceremo ai nostri figli, proseguendo di questo passo, quale società disgregata stiamo partorendo? L’equilibrio familiare, invero, può essere solo costituito dalla contrapposizione dei sessi nella bigenitorialità, oltre che, ovviamente, dalla profusione di tutto l’amore possibile. Non vi è dubbio che le Unioni Civili siano in tutto simili al matrimonio, differenziandosi solo per poche sfumature con il rischio che producano effetti devastanti nella loro estensione e interpretazione de facto, che una magistratura sempre più accondiscendente sta attuando sia in ambito genitoriale che adottivo e il Ministro Orlando sta andando sempre più celermente proprio in questa direzione, con buona pace dell’accordo fatto con il NCD di Alfano in sede di preparazione della legge Cirinnà. In definitiva, ogni genitore ha un proprio ruolo e solo insieme essi si integrano e si completano. Il padre in quanto portatore di un modello responsabile e capace di assumere decisioni, costituisce una figura determinante nella prevenzione di eventuali comportamenti antisociali; la madre, in quanto figura portatrice di affetto e fiducia, è fondamentale per favorire il dialogo e la stima di sé. Caratteristica fondamentale della funzione paterna è proprio quella di favorire il processo di separazione dalla madre e introdurre il figlio, attraverso il linguaggio logico, al pensiero razionale e al rispetto delle regole nell’universo delle relazioni sociali. Al padre è simbolicamente affidato il compito di traghettare gradualmente il figlio dal territorio materno a quello della società favorendo l’emancipazione dall’infanzia e il suo ingresso nel mondo adulto. In altre parole è il padre che contiene e progressivamente delimita quel rapporto importantissimo, stretto e totalizzante esistente tra madre e figlio. Il non ammettere queste relazioni genitoriali ed il frutto positivo che da esse ne derivano ai figli è sinonimo del più bieco negazionismo. Stupisce che il tema delle Unioni Civili strettamente collegate alla genitorialità, che comporta necessariamente il destino dei generati, venga posto quasi esclusivamente nei termini dell’eguaglianza di opportunità e di diritti degli adulti, eludendo il tema della responsabilità che sempre le generazioni precedenti hanno avuto su quelle successive. Invero, non si pone mai il problema sugli effetti che possano subire i figli, raggiunta l’età post puberale a causa delle scelte dei loro genitori. Insomma, una staffetta virtuosa tra padre e madre è necessaria per la realizzazione della famiglia e l’equilibrio dei figli. Nelle coppie omosessuali di fatto o legate tramite il nuovo patto Cirinnà, naturalmente, uno dei due ruoli viene meno e una donna anche con tutta la migliore volontà del mondo non sarà mai un padre, così come un uomo non potrà mai essere una buona madre. Si potranno forse sentire tali per il loro ego, ma non esserlo veramente per i figli.
Domenico Frasca, delegato Organismo Unitario Avvocatura 23 settembre 2016
www.oua.it/adottiamo-le-unioni-civili-un-mondo-al-contrario
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