newsUCIPEM n. 615 – 18 settembre 2016

newsUCIPEM n. 615 – 18 settembre 2016

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AFFIDO CONDIVISO Minori affidati sempre alla madre
AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO Compenso al tutore senza IVA
AMORIS LAETITIA Il Papa dice qual è l’interpretazione giusta.
Lettera del Papa ai vescovi di Buenos Aires
Un metodo semplice di discernimento.
ASSEGNO DI MANTENIMENTO l’ex moglie può far sequestrare la casa del marito.
ASSEGNO DIVORZILE Mantenimento ridotto se la moglie prende la pensione sociale.
ASSISTENZA FAMILIARE Dall’obbligo coniugale al reato.
BIOETICA I bambini non siano oggetti di fabbricazione.
CHIESA CATTOLICA Ratzinger vede Francesco così: “È l’uomo della riforma pratica”.
“Ultime conversazioni” di J. Ratzinger.
CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Brescia. Gruppo di parola per donne in menopausa
Imola. Adolescenti connessi alla ricerca di sé.
DALLA NAVATA 25° Domenica del tempo ordinario – anno C – 18 settembre 2016.
Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
DIVORZIO Quando è possibile ottenere il Tfr.
Morte del coniuge in attesa del giudicato della sentenza parziale.
FAMIGLIA Più nonne in pensione, più mamme al lavoro?
FERTILITÀ Humanae Vitae. Un appello dal mondo teologico e accademico.
FERTILITY DAY 1° giornata dedicata all’informazione e formazione sulla fertilità.
Gli Andrologi dicono SI al Day per fare prevenzione e informazione
FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Fattore Famiglia.
Non si perda più tempo, le risorse ci sono.
GENETICA Dna italiani tra i più ricchi di varianti genetiche del mondo
GOVERNO Batte un colpo a favore della famiglia: Osservatorio nazionale.
Rinnovo del protocollo d’Intesa “Carta dei figli di genitori detenuti”.
INGANNO Ingannare il partner dicendo di non essere sposato è reato.
MATRIMONIO In Italia boom di nozze anziani-badanti.
I diritti e i doveri reciproci dei coniugi
METODI NATURALI Fertility Day 2016 – Comunicato CICRNF
Seminario per formatori dei metodi naturali.
“Fertilità: conoscere per tutelare”.
Iniziative di centri della CICRNF, in occasione del Fertility Day.
NON PROFIT ONLUS Vantaggi a costituirsi come associazione ai sensi del 148 TUIR?
Questioni e pronunce della Corte di legittimità
NULLITÀ MATRIMONIALE Dichiarazione di invalidità del matrimonio.
PROCREAZIONE MED. ASSISTITA Via libera del Consiglio di Stato al regolamento
UCIPEM 24° Congresso Nazionale U.C.I.P.E.M. Oristano, 2-4 Settembre 2016
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AFFIDO CONDIVISO
Minori affidati sempre alla madre
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, Sentenza n. 18087, 14 settembre 2016.
I minori in età scolare, oltre che prescolare, devono essere collocati in via prevalente presso la madre dopo la separazione anche se l’ex marito ha mostrato ottime doti genitoriali. E ciò anche se la donna a un certo punto si trasferisce a centinaia di chilometri dall’ex casa familiare: il criterio che privilegia la mamma, infatti, può essere superato soltanto se l’interessata si rivela sfornita di adeguate capacità per accudire i figli. Così la Cassazione. Niente da fare per il padre, che pure aveva ottenuto dal tribunale il collocamento presso di sé dei minori.
L’ex moglie vince un concorso e ottiene una sede in Friuli Venezia Giulia, lontanissima dalla casa abruzzese dell’ex coppia. Non è in discussione l’affido condiviso né conta chi fra i coniugi abbia violato di più o per primo gli accordi raggiunti in sede di consensuale: la priorità è garantire il futuro benessere dei minori, morale e materiale. La scelta della sede di lavoro non può di per sé essere attribuita alla mera volontà di allontanare i bambini dall’ex partner: è espressione di un diritto garantito dalla Costituzione, anche se incide in modo negativo sulla quotidianità dei rapporti dei figli con il genitore non collocatario.
Dario Ferrara Italia Oggi 15 settembre 2016
www.italiaoggi.it/giornali/preview_giornali.asp?id=2115306&codiciTestate=&sez=hgiornali
www.oua.it/cassazione-minori-affidati-sempre-alla-madre-italia-oggi
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AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO
Compenso al tutore senza IVA
Il compenso al professionista che svolge l’attività di amministratore di sostegno non è soggetto a IVA. È quanto emerge dalla sentenza 218/03/2016 della Ctr Friuli Venezia Giulia, che ha riconosciuto il diritto al rimborso dell’IVA trattenuta ad un amministratore di sostegno sul compenso liquidato dal giudice.
L’indennità liquidata dal giudice tutelare non è inquadrabile – sostengono i giudici di secondo grado – in una forma di retribuzione ma in un semplice compenso finalizzato esclusivamente a compensare gli oneri e le spese difficilmente documentabili che sono sostenute dall’amministratore di sostegno.
AIAF Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori – Newsletter 16 settembre 2016
www.italiaoggi.it/giornali/preview_giornali.asp?id=2114210&codiciTestate=1&sez=professionisti&titolo=Compenso%20al%20tutore%20senza%20Iva
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AMORIS LAETITIA
Il Papa dice qual è l’interpretazione giusta.
Il «testo è molto buono ed esplicita pienamente il senso del capitolo VIII di Amoris laetitia. Non ci sono altre interpretazioni».
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia.html
Con una lettera spedita ai vescovi della regione di Buenos Aires Papa Francesco mette per la prima volta nero su bianco un suo giudizio sull’interpretazione corretta dell’esortazione post-sinodale sulla famiglia. Com’è noto il documento nel capitolo ottavo si occupa dell’integrazione delle famiglie «ferite», irregolari, invitando a un percorso di discernimento che a seconda delle singole storie personali e senza addentrarsi nella casistica e nella specificazione ulteriore di regole, può portare anche alla riammissione ai sacramenti. Il documento papale ha avuto differenti letture. Alcuni interpreti si sono affrettati a dire che nulla di fatto era cambiato rispetto alla disciplina precedente.
Il Papa aveva già risposto verbalmente su questo, durante il volo di ritorno dall’isola di Lesbos, lo scorso aprile. Gli era stato chiesto se ci fossero nuove possibilità concrete per l’accesso ai sacramenti che non esistevano prima della pubblicazione di Amoris laetitia. «Io potrei dire “si”, e punto – aveva replicato Bergoglio – Ma sarebbe una risposta troppo piccola. Raccomando a tutti voi di leggere la presentazione che ha fatto il cardinale Schönborn, che è un grande teologo».
Il documento dei vescovi della regione di Buenos Aires è stato inviato al clero agli inizi di settembre e ha la forma di una lettera che fornisce ai sacerdoti alcuni criteri in relazione all’ottavo capitolo dell’esortazione e in particolare sul possibile accesso ai sacramenti per i divorziati che abbiano contratto una nuova unione. Innanzitutto si afferma che non conviene «parlare di “permesso” per accedere ai sacramenti, ma piuttosto di un processo di discernimento accompagnato da un pastore. Un cammino nel quale «il pastore dovrebbe accentuare l’annuncio fondamentale, il kerygma, che stimoli o rinnovi un incontro personale con Cristo». Questo «accompagnamento pastorale» richiede che il sacerdote mostri «il volto materno della Chiesa», accettando la «retta intenzione del penitente e il suo «buon proposito di collocare la sua intera vita alla luce del Vangelo e di praticare la carità». Questo cammino «non porta necessariamente ai sacramenti, ma può orientarsi ad altre forme di maggiore integrazione nella vita della Chiesa: una maggiore presenza nella comunità, la partecipazione a gruppi di preghiera o riflessione, l’impegno in diversi servizi ecclesiali».
Al quinto punto del documento, i vescovi della regione di Buenos Aires spiegano: «Quando le circostanze concrete di una coppia lo rendono fattibile, specialmente quando entrambi sono cristiani con un cammino di fede, si può proporre l’impegno a vivere nella continenza», lasciando «aperta la possibilità di accedere al sacramento della riconciliazione quando si cade in questo proposito». Una possibilità peraltro già presente negli insegnamenti di Giovanni Paolo II. Nel paragrafo successivo i vescovi spiegano che, nel caso «di altre circostanze più complesse, e quando non si può ottenere una dichiarazione di nullità, l’opzione menzionata (quella della continenza, ndr) può non essere di fatto percorribile. Nonostante questo, ugualmente è possibile un cammino di discernimento. Se si arriva a riconoscere che, in un caso concreto, ci sono limitazioni che attenuano la responsabilità e la colpevolezza, in modo particolare quando una persona considera che cadrebbe in una ulteriore mancanza, danneggiando i figli della nuova unione, Amoris laetitia apre alla possibilità dell’accesso ai sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia».
«Questi a loro volta – continua il documento – dispongono la persona e continuare maturando e crescendo con la forza della grazia. Bisogna però evitare – precisano i vescovi – di ritenere questa possibilità come un accesso senza restrizioni ai sacramenti, o come se qualsiasi situazione lo giustificasse. Quello che si propone è un discernimento che distingua adeguatamente caso per caso. Per esempio una speciale attenzione richiede una nuova unione che arriva da un recente divorzio o la situazione di chi ha ripetutamente mancato verso i suoi impegni familiari. O ancora quando c’è una specie di apologia o di ostentazione della propria situazione come se fosse parte dell’ideale cristiano». Bisogna orientare le persone a mettersi «con la loro coscienza davanti a Dio», specialmente per «ciò che riguarda il comportamento verso i figli o verso il coniuge abbandonato. Quando ci sono state ingiustizie che non sono risolte, l’accesso ai sacramenti è particolarmente scandaloso».
Infine, i vescovi osservano che «può essere conveniente che un eventuale accesso ai sacramenti si realizzi in modo riservato, soprattutto quando si prevedono situazioni di conflitto». Ma allo stesso tempo «non bisogna abbandonare l’accompagnamento della comunità perché cresca in uno spirito di comprensione e accoglienza».
Il 5 settembre la risposta del Papa, che si complimenta per il lavoro svolto, «un vero esempio di accompagnamento dei sacerdoti». Poi la frase chiave: lo scritto dei vescovi della regione di Buenos Aires «è molto buono ed esplicita pienamente il senso del capitolo VIII di Amoris laetitia. Non ci sono altre interpretazioni. Sono sicuro che farà molto bene». Francesco, a proposito del «cammino di accoglienza, accompagnamento, discernimento e integrazione», dice: «Sappiamo che è faticoso, si tratta di una pastorale “corpo a corpo” alla quale non bastano mediazioni programmatiche, organizzative o legali, seppure necessarie».
Andrea Tornielli Vatican Insider 12 settembre 2016
www.lastampa.it/2016/09/12/vaticaninsider/ita/vaticano/amoris-laetitia-il-papa-dice-qual-linterpretazione-giusta-THeUdPUDeoZparUZoMQxaO/pagina.html

Amoris laetitia. Lettera del Papa ai vescovi di Buenos Aires
È la carità pastorale che spinge a «uscire per incontrare i lontani e, una volta incontrati, a iniziare un cammino di accoglienza, accompagnamento, discernimento e integrazione nella comunità ecclesiale». Ruota intorno a questa premessa la lettera che Papa Francesco ha inviato ai vescovi della regione pastorale Buenos Aires — indirizzandola al loro delegato, monsignor Sergío Alfredo Fenoy — in risposta al documento «Criterios básicos para la aplicación del capítulo VIII de Amoris laetitia» (“Criteri fondamentali per l’applicazione del capitolo VIII di Amoris laetitia”). Lo riferisce L’Osservatore Romano.
Esprimendo il suo apprezzamento per il testo elaborato dai presuli, il Pontefice ha sottolineato come esso manifesti nella sua pienezza il senso del capitolo Amoris laetitia VIII dell’esortazione apostolica — quello che tratta di «accompagnare, discernere e integrare la fragilità» — chiarendo che «non ci sono altre interpretazioni». Il documento dei vescovi, ha assicurato il Papa, «farà molto bene», soprattutto per quella «carità pastorale» che lo attraversa interamente.
Il testo elaborato dai pastori della Chiesa argentina è «un vero esempio di accompagnamento ai sacerdoti», ha spiegato il Pontefice, rimarcando quanto sia necessaria la vicinanza «del vescovo al suo clero e del clero al vescovo». Infatti, ha scritto, il «prossimo “più prossimo” del vescovo è il sacerdote e il comandamento di amare il prossimo come se stesso comincia per noi vescovi precisamente con i nostri preti». Naturalmente, la carità pastorale intesa come tensione continua alla ricerca dei lontani è faticosa. Si tratta di una pastorale «corpo a corpo» che non può ridursi a «mediazioni programmatiche, organizzative o legali, sebbene necessarie». Delle quattro «attitudini pastorali» indicate — «accogliere, accompagnare, discernere e integrare» — la meno e praticata, secondo Francesco, è il discernimento.
«Considero urgente — ha affermato — la formazione nel discernimento, personale e comunitario, nei nostri seminari e presbiteri». Infine, il Pontefice ha ricordato che l’Amoris laetitia è stata il «frutto del lavoro e della preghiera di tutta la Chiesa, con la mediazione di due Sinodi e del Papa». Pertanto, ha raccomandato una catechesi completa sull’esortazione, che «certamente aiuterà la crescita, il consolidamento e la santità della famiglia».
Il documento dei vescovi argentini, focalizzandosi appunto sull’VIII capitolo dell’Esortazione apostolica, ricorda che non «conviene parlare di “permesso” per accedere ai sacramenti, ma di un processo di discernimento accompagnato da un pastore». Questo processo deve essere «personale e pastorale». L’accompagnamento è infatti un esercizio della via caritatis, un invito a seguire il cammino di Gesù.
Si tratta di un itinerario, scrivono i vescovi, che richiede la carità pastorale del sacerdote, il quale «accoglie il penitente, lo ascolta attentamente e gli mostra il volto materno della Chiesa, mentre accetta la sua retta intenzione e il suo buon proposito di collocare la vita intera alla luce del Vangelo e di praticare la carità». Questo cammino, avvertono i presuli, non termina necessariamente nei sacramenti, ma può orientarsi in altre forme di maggiore integrazione nella vita della Chiesa: una maggiore presenza nella comunità, la partecipazione a gruppi di preghiera o riflessione, l’impegno in diversi servizi ecclesiali.
«Quando le circostanze concrete di una coppia lo rendano fattibile, specialmente quando entrambi siano cristiani con un cammino di fede — si legge nel documento — si può proporre l’impegno di vivere in continenza». L’ Amoris laetitia «non ignora le difficoltà di questa opzione e lascia aperta la possibilità di accedere al sacramento della riconciliazione quando si manchi a questo proposito». In altre circostanze più complesse, e quando non si è potuto «ottenere una dichiarazione di nullità — sottolinea il testo — l’opzione menzionata può non essere di fatto praticabile». È possibile, tuttavia, compiere ugualmente «un cammino di discernimento». E «se si giunge a riconoscere che, in un caso concreto, ci sono limitazioni che attenuano la responsabilità e la colpevolezza, particolarmente quando una persona consideri che cadrebbe in una ulteriore mancanza provocando danno ai figli della nuova unione, Amoris laetitia apre alla possibilità dell’accesso ai sacramenti della riconciliazione e dell’Eucaristia». Questo, a sua volta, dispone la persona a continuare a maturare e a crescere con la forza della grazia.
Il documento sottolinea come occorra evitare di intendere questa possibilità come un «accesso illimitato ai sacramenti, o come se qualsiasi situazione lo giustificasse». Ciò che si propone è piuttosto un discernimento che «distingua adeguatamente ogni caso». Speciale attenzione richiedono alcune situazioni, come quella di una nuova unione che viene da un recente divorzio, oppure quella di chi è più volte venuto meno agli impegni familiari, o ancora di chi attua «una sorta di apologia o di ostentazione della propria situazione, come se fosse parte dell’ideale cristiano». In questi casi più difficili, i sacerdoti devono accompagnare con pazienza cercando qualche cammino di integrazione. È importante, si legge nel testo, «orientare le persone a mettersi con la propria coscienza davanti a Dio, e perciò è utile l’esame di coscienza» che propone l’esortazione apostolica, specialmente in ciò che fa riferimento al comportamento verso i figli o verso il coniuge abbandonato. In ogni caso, quando ci sono «ingiustizie non risolte, l’accesso ai sacramenti è particolarmente scandaloso».
Per questo il documento afferma che «può essere conveniente che un eventuale accesso ai sacramenti si realizzi in maniera riservata, soprattutto quando si prevedono situazioni di conflitto». Allo stesso tempo, però, non si deve tralasciare di accompagnare la comunità perché «cresca in uno spirito di comprensione e di accoglienza, senza che ciò implichi creare confusioni nell’insegnamento della Chiesa riguardo al matrimonio indissolubile». A questo proposito i presuli ricordano che «la comunità è strumento della misericordia che è “immeritata, incondizionata e gratuita”». Soprattutto, ribadiscono che il discernimento «non si chiude, perché è dinamico e deve rimanere sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in maniera più piena».
Notiziario Radio vaticana -12 settembre 2016 http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

Un metodo semplice di discernimento.
Spesso ci chiediamo quale sia il criterio di discernimento che possa aiutarci nelle nostre scelte, o anche solo nel respingere o accogliere un’idea, un pensiero, un sentimento. Per i Padri della Chiesa questo era un punto cruciale, tanto da consigliare di porre una domanda ad ogni impulso proveniente dall’interno: sei dei nostri o sei dell’avversario?
Nella storia della spiritualità cristiana ci sono molte proposte, in questo campo: una della più famose è quella di sant’Ignazio di Loyola, vero maestro di discernimento spirituale, come tutti sanno. Ma il suo metodo è complesso, e soprattutto richiede la presenza di un direttore spirituale.
C’è un’altra possibilità più semplice, ma altrettanto efficace; chiederci, quando si affaccia un pensiero o un sentimento: dove mi porta tutto questo? A soddisfare me stesso, anche sottilmente, a farmi sentire più importante, a procurarmi un vantaggio più o meno consapevole? Oppure mi aiuta a uscire da me stesso, ad andare verso l’altro, a farmi crescere nella capacità di amare?
Le ferite creano in noi dei meccanismi di difesa, che ci fanno vivere un poco più tranquilli, ma imbavagliano la nostra autentica personalità. Il demonio agisce su questi meccanismi, per impedirci di fare progressi nell’amore. Discernere nel modo suddetto ci orienta a superare le difese e le autoaffermazioni e a sperimentare quell’amore che libera e guarisce noi stessi e gli altri.
don Fabrizio Centofanti aleteia 15 settembre 2016
http://it.aleteia.org/2016/09/15/un-metodo-semplice-di-discernimento/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO
Mantenimento: l’ex moglie può far sequestrare la casa del marito.
Tribunale di Torino, Ottava Sezione civile, 22 giugno 2016
Separazione e divorzio: sì alla richiesta di sequestro dell’immobile come garanzia del pagamento dell’assegno di mantenimento. In attesa che esca la sentenza di divorzio a stabilire l’importo dell’assegno di mantenimento che l’uomo dovrà versare all’ex moglie, quest’ultima può chiedere il sequestro dei suoi beni immobili a garanzia del futuro pagamento. Ma ciò solo se riesce a dimostrare il serio pericolo che, nel frattempo, i beni del marito possano sparire da un momento all’altro. È quanto ricorda il Tribunale di Torino.
Una crisi economica, un momento di difficoltà lavorativa, la riduzione dello stipendio o l’improvvisa disoccupazione possono mettere in ginocchio un uomo. Ma è proprio questo il campanellino d’allarme che può far rizzare le antenne dell’ex moglie che accampa il diritto a essere mantenuta: e poiché prevenire è meglio che curare, quest’ultima può attivarsi immediatamente affinché il tribunale metta subito sotto sequestro i suoi beni. Ciò onde evitare che la casa, un terreno, ecc. possano essere venduti e, successivamente, i soldi occultati alla donna. Ma attenzione: perché si possa agire in questo senso non c’è bisogno che il giudice abbia già determinato l’ammontare dell’assegno di mantenimento; poiché la sentenza di divorzio potrebbe arrivare anche dopo qualche anno, si può agire anche subito, in corso di processo.
La vicenda. Momento di difficoltà per il marito che perde il lavoro e ammette di avere i conti in rosso. Lui lo dice per spingere al ribasso l’importo del mantenimento che il giudice gli imporrà di versare all’ex moglie. E invece, così facendo, si tira una zappata sui piedi. Possibile? Sì, perché la moglie intravede in ciò il rischio di rimanere senza pagamento del mantenimento e, per questo motivo, è comprensibile e legittima – secondo i giudici – la sua richiesta di sequestro conservativo relativamente ad alcuni immobili di proprietà dell’uomo.
Tutte le volte in cui è fortemente ed obbiettivamente a rischio il pagamento del mantenimento, il soggetto beneficiario di tali somme può richiedere al tribunale il «sequestro conservativo» di uno o più beni immobili del coniuge obbligato al versamento. Ovviamente, i timori (manifestati in questo caso dalla donna) devono avere un concreto fondamento e non devono essere solo il frutto di una paura personale, seppur dettata dall’esperienza e dalla conoscenza del carattere dell’ex. In questo, però, si può sfruttare l’errore processuale della controparte che, per non vedersi condannato al pagamento del mantenimento o per ottenere un importo minimo, piange miseria davanti al giudice, autodenunciando la propria misera situazione economica. Ed è proprio questa ammissione che può servire al precedente consorte per dimostrare il fondato pericolo di perdere il mantenimento.
Nel caso di specie, infatti, l’uomo aveva spiegato di aver subito «una riduzione del lavoro» e quindi «del reddito», tanto da essere stato costretto ad «attivarsi per la riduzione delle spese di locazione», mettendo anche «in vendita la ex casa coniugale». Legittimo, quindi, parlare di «indigenza». Per questo, appare comprensibile il timore della donna per l’eventualità che «possa essere dispersa ogni garanzia patrimoniale a presidio del regolare adempimento futuro dell’obbligo di mantenimento».
Redazione Lpt 18 settembre 2016 0rdinanza
www.laleggepertutti.it/133152_mantenimento-lex-moglie-puo-far-sequestrare-la-casa-del-marito
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ASSEGNO DIVORZILE
Mantenimento ridotto se la moglie prende la pensione sociale.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 18092, 14 settembre 2016
Per la Cassazione il giudice deve tenere conto nella determinazione dell’assegno dell’importo percepito, seppur modesto, Deve essere valutata la richiesta di riduzione dell’assegno del mantenimento chiesta dall’ex marito se costui dimostra la percezione di altre fonti di reddito da parte della donna, ad esempio la pensione sociale. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione.
La Corte d’Appello di Bologna aveva determinato in € 250 mensili l’assegno dovuto dal marito alla ex moglie a seguito della cessazione degli effetti civili del matrimonio dagli stessi contratto. L’uomo ha, tuttavia, impugnato il provvedimento con ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, lamentando la violazione dell’art. 384, 2° comma c.p.c., nonché vizio di motivazione, per avere la corte del merito ignorato la statuizione contenuta nella sentenza rescindente, che le imponeva di tener conto nella determinazione della misura dell’assegno divorzile, del reddito pensionistico percepito dalla donna.
La Cassazione aveva, infatti, cassato già una volta la prima sentenza d’appello che aveva fissato la misura dell’assegno divorzile sempre in € 250 mensili, rilevando che il giudice del merito, nel pervenire a tale determinazione, aveva erroneamente ritenuto di non dare rilevanza alla titolarità in capo alla ex della pensione sociale, che, costituendo fonte idonea a sopperire in qualche misura alle esigenze di vita di chi la percepisce, rappresenta un elemento valutabile ai finì dell’accertamento della condizione economica del richiedente l’assegno di divorzio. A seguito del rinvio, tuttavia, con cui si richiedeva alla Corte territoriale di valutare l’incidenza di tale elemento, in precedenza totalmente trascurato, sulla misura dell’assegno, il Collegio si dilungava a riaffermare la ricorrenza dei presupposti di diritto che legittimavano la domanda della donna e a riesaminare tutte le altre circostanze di fatto che, nella specie, dovevano essere considerate ai fini della sua determinazione,
Il giudice ha sostanzialmente ignorato il dictum della Cassazione, limitandosi in conclusione a rilevare che la fissazione della misura dell’assegno in € 250 mensili trovava giustificazione nella valorizzazione degli elementi di cui il primo giudice d’appello aveva già tenuto conto e “non era inficiata” dalla titolarità della pensione sociale. La sentenza ha dunque confermato la decisione cassata sulla scorta del medesimo percorso motivazionale, senza chiarire perché la percezione da parte della richiedente di un reddito mensile fisso (sia pure modesto) non influiva in alcun modo sulla determinazione del quantum dovuto dal marito.
Per questo il ricorso deve essere accolto e la causa va rinviata, per un nuovo esame, alla Corte d’appello in diversa composizione, che regolerà anche le spese.
Lucia Izzo studio Cataldi 17 settembre 2016 Sentenza
www.studiocataldi.it/articoli/23406-mantenimento-ridotto-se-la-moglie-prende-la-pensione-sociale.asp
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ASSISTENZA FAMILIARE
Assistenza familiare: dall’obbligo coniugale al reato.
Nei casi di separazione/divorzio sono frequenti le denunce o le querele per violazione degli obblighi di assistenza familiare (articolo 570 del codice penale, richiamato anche dall’articolo 3 della legge 8 febbraio 2006 n. 54 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”) per il mancato versamento dell’assegno di mantenimento oppure, nei casi di inadempimento dei compiti familiari, è ricorrente la presenza degli assistenti sociali. L’assistenza familiare, però, non è e non può essere circoscritta solo ad un assegno di mantenimento o a posteriori in caso di mancanza di essa; è molto più ampia e significativa e per delinearla ci si può far aiutare da esperti in varie materie.
Nell’articolo 143 del codice civile “Doveri reciproci dei coniugi”, nella stesura del 1942, si leggeva: “Il matrimonio impone ai coniugi l’obbligo reciproco della coabitazione, della fedeltà e dell’assistenza”. Dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975, l’articolo 143 del codice civile “Diritti e doveri reciproci dei coniugi” al comma 2 prevede: “Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione”. Non si tratta solo di un’innovazione terminologica ma sostanziale. Innanzitutto il matrimonio non impone uno stile di vita preconfezionata come una camicia di forza, ma dal matrimonio deriva (letteralmente “derivare” significa “far defluire le acque”, quindi simboleggia bene la vita matrimoniale) la costruzione della vita comune in cui diritti e doveri reciproci rappresentano anche degli step in divenire; questa altresì la ratio del fortemente innovativo articolo 144 del codice civile “Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia”, in luogo del vecchio art. 144 “potestà maritale”. L’assistenza coniugale è stata qualificata come “morale” prima e “materiale” dopo. Mentre nella disciplina previgente occupava l’ultimo posto, in quella attuale è stata posta tra la fedeltà e la collaborazione perché è il collante della coppia (assistenza da intendersi comprensiva della sfera sessuale, ovvero come volontà bilaterale o mutuo consenso alla prestazione sessuale o soddisfazione sessuale; aspetto controverso in parte della dottrina e della giurisprudenza).
La locuzione “assistenza morale e materiale” richiama un’altra, “comunione spirituale e materiale” (articolo 1 n. 898/1970 cosiddetta legge sul divorzio): il matrimonio è basato sulla comunione interpersonale e intrapersonale, di cui il rapporto sessuale rappresenta solo un aspetto da intendersi più come intesa sessuale (comunicare e comprendersi su tempi, modalità, desideri e necessità di ognuno e della coppia) e non meramente come consumazione dell’atto sessuale. Solo se si riesce a cogliere la dimensione personale, interpersonale e intrapersonale del matrimonio, ci si impegna a portarlo avanti e comunque, tranne i casi estremi in cui è intollerabile la prosecuzione della convivenza o si reca grave pregiudizio all’educazione della prole (articolo 151 del codice civile).
“Un buon matrimonio è quello in cui ciascuno dei due nomina l’altro custode della sua solitudine” (il poeta Rainer Maria Rilke). Il matrimonio non è l’unione di due solitudini ma l’unione nella consolazione. Anche raggiungere ciò è farsi reciproca assistenza morale e materiale.
“[…] stare insieme per tanti anni dovrebbe eliminare dal rapporto il superfluo, quindi anche le parole inutili. Alla ricerca del silenzio: tacere, una conquista” (lo scrittore Antonio Petrocelli). Una delle più belle forme di complicità e intimità è ascoltarsi e immedesimarsi nel reciproco silenzio: finanche questo può essere uno degli aspetti dell’obbligo reciproco all’assistenza morale dei coniugi.
“Due amanti silenziosi somigliano a due arpe con lo stesso diapason e pronte a confondere le voci in una divina armonia” (lo scrittore francese Jean Baptiste Alphonse Karr). La coppia è un progetto di vita, un progetto in salita: si dovrebbe dare pure questo significato all’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale. Si noti che il riformatore del 1975, a differenza del codificatore del 1942, ha scritto “obbligo a” e non “obbligo di”, perché è una continua tensione e propensione.
Assistenza nei confronti dei figli. Ben più rilevanti sono i doveri e i diritti verso i figli tanto che sono previsti nella Costituzione. I genitori (e non uno solo) hanno il diritto e dovere (nonché obbligo) di mantenere, istruire e educare i figli (articolo 29 della Costituzione). Sono necessari tutti e tre gli aspetti e non solo “mantenere”, che non è semplicemente “tenere” con beni materiali né “tenere per sé” i figli in maniera morbosa o altro, come spesso accade. “Mantenere” significa “tenere per mano”, come si fa fin quando i bambini non imparano a camminare da soli e così deve essere nell’accompagnarli verso la loro vita che è l’unica cui loro appartengono. Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo, si chiede e interroga: “Come sarà possibile per l’individuo porsi problemi etici o sviluppare progetti creativi, se sarà immerso in ambienti economicamente e culturalmente degradati, o se non avrà beneficiato delle cure, dell’affetto e dell’assistenza cui ogni bambino ha diritto?”. È la stessa sottolineatura fatta dal pedagogista e sociologo Pino Pellegrino: “Oggi, è un dramma! Perché? Perché oggi va di moda la pedagogia dolce e morbida. Si cerca di evitare al figlio ogni sofferenza, ogni dolore, ogni difficoltà. Ebbene – non ci stanchiamo di sottolinearlo – non c’è decisione più folle! Non c’è tradimento più folle”. Ecco perché la legge 10 dicembre 2012, n. 219 “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”, inserendo l’art. 315 bis nel codice civile, ha precisato per i genitori il “dovere di assistenza morale” nei confronti dei figli: assistenza è dare presenza, principi e non dare tutto ai figli o sostituirsi a loro.
Già il poeta latino Decimo Giunio Giovenale scriveva: “Il bambino ha diritto al più grande rispetto”. “Rispetto” significa etimologicamente “guardare indietro, guardare di nuovo” e comporta, pertanto, attenzione (da “ad tendere”, porre mente, porre cura) e assistenza (da “ad sistere”, stare presso qualcuno per aiutarlo, soccorrerlo o altrimenti giovargli). Dando rispetto si educa al rispetto, quel rispetto di cui si parla nell’articolo 29 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e che conclude l’enucleazione degli obiettivi educativi disponendo di “inculcare nel fanciullo il rispetto per l’ambiente naturale”. Solo se il bambino avrà ricevuto rispetto potrà, poi, portarlo verso gli altri e tutto quello che lo circonda, altrimenti coverà e riverserà aggressività, fenomeno purtroppo crescente. L’aggressività è un lato della natura animale che serve anche ad “aggredire” gli ostacoli, ma se non ben convogliata diventa violenza, prepotenza o autolesionismo. L’amore è sempre la migliore cura di ogni cosa.
Lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro afferma: “Benché iperprotetti, molti bambini e ragazzi vivono in un ambiente allarmato, sospettoso, impaurito, tutti sentimenti che, talvolta, sono in buona parte trasmessi proprio dalle persone più care. Dovrebbe essere ben noto, ma forse non lo è, che paura e odio sono incompatibili con l’educazione e che non meno dannose sono la volgarità, la superficialità e l’indifferenza diffuse nei nostri ambienti di vita in forma endemica quando nelle relazioni non virtuali con gli uomini e le cose mancano fiducia e amore. Se fossimo davvero convinti di questo, dovremmo trarre la conclusione che i migliori risultati educativi si ottengono con la fiducia e con l’amore, se queste due parole non fossero così generiche e abusate. Se proviamo a dare a «fiducia» e «amore» qualche contenuto, potremmo forse ricavare qualche utile suggerimento per la pratica educativa”. Amore e fiducia devono far parte del contenuto positivo dell’obbligo di assistenza morale dei genitori nei confronti dei figli, obbligo introdotto nell’articolo 147 del codice civile dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219” (estendendo quanto previsto nell’articolo 315 bis).
Ada Fonzi precisa: “Se, per esempio, si tratta di comunicare che il papà e la mamma si separano, è molto importante sottolineare non soltanto che l’amore dei genitori nei loro confronti è e resterà immutato, ma che resterà tale anche il bene che c’è stato tra gli stessi genitori. Si può desiderare di staccarsi, magari provvisoriamente, l’uno dall’altro e avere maturato idee e progetti diversi, ma si può e si deve non cancellare il patrimonio accumulato e continuare ad avere affetto, stima e considerazione reciproci. L’amore, certo, è un’altra cosa, ma il volersi bene è altrettanto importante ed educativo. I bambini queste cose le capiscono più di quello che noi pensiamo. Ciò vuol dire bandire i rancori e accordarsi con semplicità e larghezza di vedute circa gli obblighi che competono all’uno e all’altro genitore, offrendo senza riserve a chi si è allontanato da casa l’opportunità di trascorrere il maggior tempo possibile con i figli. Genitori non si nasce, ma quando lo si diventa lo si è per sempre”. L’obbligo di assistenza morale dei genitori nei confronti dei figli deve essere anche e soprattutto rispettato durante le fasi di separazione/divorzio dei coniugi accompagnando i figli a comprendere e vivere la metamorfosi della rete familiare. Se i genitori non sono in grado di farlo da soli devono farsi accompagnare da esperti in relazioni di aiuto, come la mediazione familiare.
Fulvio Scaparro aggiunge: “L’amore non è debolezza né permissivismo. L’amore è anche dire «no» quando un «sì» potrebbe esporre a pericolo l’oggetto stesso del nostro amore. E il «no» va, nei limiti del possibile, spiegato: non è un segno di potere, bensì di responsabilità. Ammettiamo che, in determinate circostanze, non ci sia tempo per spiegare i nostri «no» e che si debba andare per le spicce e purtroppo, eccezionalmente, anche con un minimo di costrizione fisica. Appena superata l’emergenza, il «no» però andrà sempre spiegato. E le ragioni dei figli dovranno essere ascoltate con la massima attenzione”. Saper dire no e saper spiegare il no ai propri figli dovrebbe essere uno dei contenuti del dovere di assistenza morale dei genitori nei confronti dei figli.
Ancora dalle parole di Ada Fonzi si ricava che: “Interessanti ricerche condotte dall’università di Yale [2014] ci dicono che a meno di un anno i bambini sono in grado di distinguere un comportamento giusto da uno ingiusto, dimostrando addirittura empatia per chi soffre e disapprovazione per chi si comporta male. Pare che i bambini siano «morali» per natura e che sia la cultura che in qualche modo s’incarichi di mettere a tacere questa loro capacità. Cosa succede nel corso della vita se molto spesso l’empatia, la socialità, che sembravano qualità innate, scompaiono sconfitte dall’indifferenza, dal pregiudizio, dall’ostilità nei confronti di chi è diverso da noi o appartiene a un gruppo che non è il nostro? Possibile che la civiltà, la cultura, anziché promuovere le «buone» capacità innate, siano riuscite a soffocarle?”. Naturalezza, uno degli elementi che i genitori devono salvaguardare e coltivare nei figli, anche alla luce dell’articolo 147 del codice civile: “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315-bis” (come novellato dal decreto legislativo 154/2013). Diversamente dalla formulazione previgente dell’art. 147, nel testo attuale si parla solo di “figli” e non più di “prole” e di “inclinazioni naturali” al plurale: i genitori devono riflettere su questo.
Assistenza verso tutta la famiglia. “Il semplice, innocente e insospettabile «mi dispiace» che, se detto a sproposito, fa imbestialire come poche altre cose. L’espressione indica che provi dispiacere per la condizione triste o disagiata in cui mi trovo. Mi sei al fianco, forse mi aiuterai. Ma io mi aspettavo altro. Mi aspettavo che tu dicessi «Scusami». Il che è tutt’altra minestra. «Scusami» significa che tu sai di essere la causa vera del mio malessere. Eri di fronte a un bivio: potevi fare l’azione buona e hai preferito quella cattiva. Ne ho patito io. «Scusami», dunque, presuppone un’assunzione di responsabilità; «mi dispiace», un nascondersi dietro quella che qualcuno definisce un’«etica delle intenzioni» (che tradotto banalmente significa: «Ciò che ho fatto l’ho fatto in modo in modo inconsapevole, quindi, se tu ne hai sofferto è “colpa” tua non mia…»)” (dal pensiero del bioeticista Paolo Marino Cattorini). Curare la comunicazione familiare è, inoltre, uno dei contenuti concreti dell’astratto dovere di assistenza morale. Perché, come ha affermato il sociologo Zygmunt Bauman, “il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione”. Occorre un impegno quotidiano nel trovare un equilibrio nella comunicazione familiare, nel non dire una parola di troppo o nel non fare un passo in meno.
La storica e saggista Lucetta Scaraffia scrive: “Le famiglie sono piene di imperfezioni. La vita in comune è difficile, e sempre ogni vita umana ha bisogno di uno sguardo misericordioso”. Etimologicamente “misericordia” significa “avere pietà del cuore” e giuridicamente si traduce nel dovere di assistenza. Se si tornasse all’origine di ogni cosa, all’origine della vita si riscoprirebbe la comune origine di ognuno vivendo in una maniera più civile e senza dover ricorrere frequentemente alla tutela penalistica. E per questo occorre fermarsi di più, sedersi l’uno accanto all’altro (proprio come si ricava di assistere, dal latino “adsistere”, composto da “ad” e “sistere”, stare, fermarsi presso, essere presente) e ascoltarsi: tornare a fare famiglia, essere l’uno al seguito dell’altro, l’uno al servizio dell’altro.
Un anziano uomo cammina un passo avanti alla moglie portando la busta del pane: un’immagine concreta del farsi assistenza. Guida e fonte d’amore e di vita: ciò che dovrebbe essere un uomo per la propria compagna lungo la stessa strada. Il matrimonio non è sancire una formalità, ma stabilire un impegno nella quotidianità per il tempo che verrà e in quel che sarà.
Margherita Marzario Diritto civile e commerciale 13 settembre 2016 –
http://dirittodifamiglia.diritto.it/docs/38597-assistenza-familiare-dall-obbligo-coniugale-al-reato
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BIOETICA
«I bambini non siano oggetti di fabbricazione»
«Perché? Perché? Perché devono arrivare a questo?» Lucetta Scaraffia, dal 2007 membro del Comitato Nazionale di Bioetica non si rassegna all’ipotesi di un futuro in cui basteranno uno spermatozoo e una cellula della pelle per generare un bambino.
Allora ci dica perché no.
«Anzitutto perché non conosciamo gli effetti psicologici, medici o evolutivi sui bambini “fabbricati” così. Banalmente, non sono stati studiati neppure quelli sui figli concepiti in provetta».
Come mai, secondo lei?
«È difficile farlo perché molti genitori che si rivolgono ai centri di procreazione assistita, una volta che la gravidanza va a buon fine, spariscono. E davanti agli altri negano sempre. Eppure secondo alcuni pediatri i bambini nati con la fecondazione assistita si ammalano con più facilità rispetto agli altri».
Di fatto, la ricerca svolta a Bath rappresenta una speranza per le coppie omosessuali, che in teoria potrebbero riuscire a generare un figlio attraverso il patrimonio genetico di entrambi i partner, senza bisogno di altro.
«Intanto ci dimentichiamo che quell’ embrione, ammesso e non concesso che si riesca a produrre, avrà bisogno di un utero in affitto. Quindi non si prescinderà da uno sfruttamento del corpo della donna, che viene ridotta a un forno. Ma non è tutto».
Cos’ altro?
«La cosa più grave è che stiamo ignorando i diritti del bambino e lo stiamo trattando come un oggetto di fabbricazione. È terribile voler far prevalere su tutto la legge del desiderio».
Gli scienziati dicono che il nuovo tipo di concepimento avvantaggerebbe anche le donne non più giovani o scampate a una malattia, perché la cellula epiteliale si rinnova sempre.
«E perché mai una donna dovrebbe diventare madre a 60 anni? Per essere già vecchia quando il figlio ne avrà venti? E come farà a svegliarsi di notte per accudirlo? Come è giusto che una dodicenne non debba partorire, lo stesso vale per una signora anziana».
Non vede proprio nessuna utilità in questa ricerca britannica?
«Io credo che la ricerca debba fare altro, per esempio studiare come possiamo curare le malattie. Le cose della vita sono queste: la fatica, l’amore, la relazione umana, tutte cose che non si possono ricreare artificialmente in laboratorio».
Lucetta Scaraffia Corriere della Sera 15 settembre 2016
http://ilsismografo.blogspot.it/2016/09/italia-i-bambini-non-siano-oggetti-di.html
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CHIESA CATTOLICA
Ratzinger vede Francesco così: “È l’uomo della riforma pratica”
Il papa regnante descritto dal suo predecessore. “Così diverso da come l’avevo conosciuto”. E anche così diverso da lui. Sono pochi i cenni che riguardano papa Francesco, nel libro-intervista che Joseph Ratzinger ha pubblicato nei giorni scorsi. Ma tutti significativi. Per cominciare, Ratzinger dice di non aver minimamente pensato a Jorge Mario Bergoglio come a suo successore. Lo conosceva, certo, “grazie alle visite ‘ad limina’ e alla corrispondenza”. Ma lo credeva diverso da come l’ha poi visto dopo l’elezione a papa:
“L’ho conosciuto come un uomo molto deciso, uno che in Argentina diceva con molta risolutezza: questo si fa e questo non si fa. La sua cordialità, la sua attenzione nei confronti degli altri sono aspetti di lui che non mi erano noti”.
Ratzinger ridimensiona la voce secondo cui Francesco lo consulti spesso. “Non ce n’è ragione”, dice. Bergoglio – nota ad esempio – non gli ha mandato in anticipo la sua esortazione apostolica programmatica “Evangelii gaudium”: “Però mi ha scritto una lettera personale… molto affettuosa, per cui ho comunque ricevuto l’esortazione apostolica in una forma particolare. E anche rilegata in bianco, cosa che di solito si fa solo per il papa. La sto leggendo. Non è affatto un testo breve, ma è bello e avvincente. Di sicuro non è tutto suo, ma c’è molto di personale”. Viceversa – dice – “su alcune cose mi ha rivolto delle domande, anche per l’intervista che ha concesso a ‘La Civiltà Cattolica’. In questi casi esprimo la mia opinione”.
E conclude comunque rimarcando le distanze: “Nel complesso sono molto contento di non essere chiamato in causa”. Ratzinger nega inoltre di vedere una rottura tra il pontificato di Francesco e il suo, ma precisa: “Naturalmente si possono fraintendere alcuni punti per poi dire che adesso le cose vanno in modo del tutto diverso. Se si prendono singoli episodi e li si isolano, si possono costruire contrapposizioni, ma ciò non accade quando si considera tutto l’insieme. Forse si pone l’accento su alcuni aspetti, ma non c’è alcuna contrapposizione”.
Se una novità c’è, con papa Francesco, è di questo tipo: “Sì, c’è una nuova freschezza in seno alla Chiesa, una nuova allegria, un nuovo carisma che si rivolge agli uomini, è già una bella cosa”. Più avanti Ratzinger tratteggia così la differenza tra lui e il successore: “Ognuno ha il proprio carisma. Francesco è l’uomo della riforma pratica. È stato a lungo arcivescovo, conosce il mestiere, è stato superiore dei gesuiti e ha anche l’animo per mettere mano ad azioni di carattere organizzativo. Io sapevo che questo non è il mio punto di forza”.
Ma tiene fermo che la priorità dell’attuale pontificato deve continuare ad essere la stessa del pontificato precedente: “L’importante è preservare la fede oggi. Io considero questo il nostro compito centrale. Tutto il resto sono questioni amministrative”.
In ogni caso evita di dire che con Francesco sia iniziata una nuova era: “Le ripartizioni temporali sono sempre state decise a posteriori. Per questo ora non azzarderei questa affermazione… Io non appartengo più al vecchio mondo, ma quello nuovo in realtà non è ancora incominciato”.
È tutto. Su papa Francesco non c’è altro, nel libro. E quel poco che c’è, come s’è visto, ne mette a fuoco – volutamente? – solo un ruolo pratico, di promotore di un cambiamento organizzativo, non dottrinale e forse nemmeno “pastorale”, se non nei limiti di una presa empatica con le persone. Circa i contrasti eventualmente ravvisabili tra lui e il successore, Ratzinger mette in guardia dal fraintendere singole frasi e dal far leva su episodi isolati. Forse perché ravvisa nel gesuita Bergoglio un tratto in comune con un altro celebre gesuita, il teologo tedesco Karl Rahner, un cui testo degli anni Settanta Ratzinger descrive così, in un passaggio del libro: “Era così tortuoso, come sono appunto i testi di Rahner, che da un lato rappresentava una difesa del celibato, dall’altro cercava di lasciare aperto il problema per un’ulteriore riflessione… Era un tipico testo alla Rahner, formulato attraverso un intrico di frasi affermative e negative che si poteva interpretare sia in un senso sia nell’altro”.
Ma sarebbe troppo leggere qui un’allusione all’attuale controversia interpretativa “sia in un senso sia nell’altro” dell’esortazione postsinodale “Amoris laetitia”. In ogni caso non c’è il minimo cenno, nel libro, a raffronti con papa Francesco sul terreno della dottrina e dei dogmi. Ci sono però un paio di annotazioni riguardanti l’attuale sensibilità di Ratzinger a determinati temi teologici, che mettono in luce una notevole distanza rispetto alla sensibilità di Bergoglio: “Molte parole del Vangelo le trovo ora, per la loro grandezza e gravità, più difficili che in passato… Ci si rende conto che la Parola [di Dio] non è mai scandagliata in tutti i suoi significati. E proprio alcune parole che esprimono l’ira, la riprovazione, la minaccia del giudizio diventano più inquietanti, impressionanti e grandi di prima”.
E riguardo alle realtà ultime, morte e vita eterna, che hanno costituito una parte centrale della sua produzione teologica e su cui Ratzinger dice di continuare a riflettere: “Certo. Proprio le mie riflessioni sul Purgatorio, sulla natura del dolore, il suo significato, e poi sul carattere comunitario della beatitudine, sul fatto che ci si immerge nel grande oceano della gioia e dell’amore, per me sono molto importanti”.
C’è inoltre un passaggio del libro-intervista in cui Ratzinger commenta criticamente la contestatissima enciclica di Paolo VI “Humanae vitae”, senza ritrattare le sue obiezioni di allora: “Nel contesto del pensiero teologico di allora, l”Humanae vitae’ era un testo difficile. Era chiaro che ciò che diceva era valido nella sostanza, ma il modo con cui veniva argomentato per noi allora, anche per me, non era soddisfacente. Io cercavo un approccio antropologico più ampio. E in effetti, papa Giovanni Paolo II ha poi integrato il taglio giusnaturalistico dell’enciclica con una visione personalistica”. Curiosamente, quindi, sulla “Humanae vitae” Bergoglio appare più “conservatore” di Ratzinger, stando ai commenti di solo elogio che l’attuale papa ha fin qui ripetutamente dedicato a quell’enciclica, ad esempio nell’intervista del 5 marzo 2014 all’allora direttore del “Corriere della Sera” Ferruccio de Bortoli: “Tutto dipende da come viene interpretata l’’Humanae vitae’. Lo stesso Paolo VI, alla fine, raccomandava ai confessori molta misericordia, attenzione alle situazioni concrete. Ma la sua genialità fu profetica, ebbe il coraggio di schierarsi contro la maggioranza, di difendere la disciplina morale, di esercitare un freno culturale, di opporsi al neo-malthusianesimo presente e futuro”.
Un’ultima notazione riguardo al discorso di Benedetto XVI sull’islam a Ratisbona nel 2006, un discorso effettivamente impensabile oggi sulla bocca di papa Bergoglio. Richiesto di dire se si fosse imbattuto per caso in quella citazione dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo che, estrapolata dal discorso, scatenò le reazioni violente di molti musulmani, Ratzinger risponde: “Avevo letto questo dialogo del Paleologo perché mi interessava il dialogo tra cristianesimo e islam. Quindi, non fu un caso. Si trattava davvero di un dialogo. L’imperatore a quell’epoca era già vassallo dei musulmani, eppure aveva la libertà di dire cose che oggi non si potrebbero più dire. Perciò, trovai semplicemente interessante portare il discorso su questa conversazione vecchia di cinquecento anni”. Ben detto: “La libertà di dire cose che oggi non si potrebbero più dire”
Sandro Magister Chiesa espresso online 14 settembre 2016
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351372

“Ultime conversazioni” di J. Ratzinger: dal “gusto della contraddizione” al “piacere dell’incontro”
Non vi è dubbio che, nel libro uscito il 9 settembre u.s., si possano identificare almeno due percorsi diversi. Da un lato una serie di “ritrattazioni”, con cui J. Ratzinger – il “terzo” Ratzinger – torna allo stile degli esordi della carriera teologica, prima che assumesse qualsiasi tipo di “ministero pastorale”: ha quindi pienamente ragione Massimo Faggioli nel concludere il suo commento al libro con queste giuste parole:
“Benedict does not speak at all of the Bishops’ Synods of 2014 and 2015 or the apostolic exhortation Amoris laetitia. Those who were hoping for an intervention by the former pope in the debate on family and the divorced and remarried will be disappointed. If you are one of those traditionalists considering the “schism option” (formally or silently), don’t look to this book for support from Benedict XVI. He now describes himself as a rebel who has always enjoyed contradicting (“die Lust am Widerspruch”), and now he has contradicted, and distanced himself from, some of those he appointed and promoted during his thirty-one years in Rome before becoming “emeritus.”
https://www.commonwealmagazine.org/blog/benedict%E2%80%99s-%E2%80%98last-conversations%E2%80%99-reshaping-ratzinger-legacy
E’ vero: J. Ratzinger nel libro ha preso le distanze da alcuni di coloro che negli ultimi trentun anni aveva appoggiato e promosso a Roma, prima di diventare “emerito”. Ma, pur tenendo conto di questa condizione favorevole di “emerito” – liberato da ogni diretta responsabilità pastorale e pontificale – è possibile rilevare nel libro un altro versante di estremo interesse, utile a comprendere meglio le ragioni che lo hanno portato ad assumere posizioni in campo liturgico di cui la Chiesa continua obiettivamente a “soffrire”, proprio a causa della distanza tra le sue “intenzioni” – che qui troviamo apertamente riproposte – e gli effetti non voluti e non considerati. In effetti alle pp. 186-190 troviamo riproposte con sostanziale continuità rispetto al passato le “ragioni” che – ad avviso di J. Ratzinger – hanno giustificato il Motu Proprio Summorum Pontificum del 2007. Vorrei presentare qui queste ragioni, con le parole con cui oggi vengono ripetute, insieme alle loro intrinseche debolezze:
“Ciò che prima era sacro non può diventare da un momento all’altro sbagliato” (190) Questo assunto, che è ben presente fin dall’origine come “motivazione-chiave” di Summorum Pontificum, appare di una disarmante debolezza. E’ stato “sacro” pregare per i “perfidi giudei”? è stato “sacro” che “solo il prete celebrasse”? è stato “sacro” ripetere ogni giorno feriale la medesima liturgia della parola? è stato sacro recitare il rosario durante la messa? E’ stato “sacro” spostare la comunione dopo la fine della messa? Mi chiedo: perché mai qualcuno dovrebbe avere oggi il diritto di “restare fermo” a questa forma del “sacro”? Qui il “piacere della contraddizione” si identifica con la “ostinazione nel medesimo”. Ostinazione obiettivamente cieca e viscerale, dal momento che può guardare ad ogni mutamento liturgico come ad una “catastrofe irreparabile”. Certo, Ratzinger non smentisce mai la Riforma, ma la comprende e la ammette solo in quanto resti “senza effetto”, salvaguardando la “sostanza” della liturgia.
“E’ importante che si cominci a vedere da dentro ciò che è la liturgia” (190). Ecco un secondo aspetto da considerare. Per Ratzinger, anche da “emerito”, la liturgia deve essere colta rigorosamente “da dentro”. Ma qui si pone un secondo problema decisivo. La liturgia non è un concetto o una idea: è fatta in modo tale che “dentro” e “fuori” non si possono isolare. Solo se posso prescindere dall’esterno, se oso ridurre la liturgia solo ad punto interiore, posso illudermi che la “continuità” risulti indifferente alle mutazioni esterne. E posso allora sostenere la “irrilevanza” della riforma rispetto alla “sostanza” della liturgia. Solo a questo prezzo posso arrivare ad affermare – con grande gusto per la contraddizione – la identità del diverso. E a chiedere che “la identità interna dell’altro deve rimanere visibile” (189).
“Adesso non c’è un’altra messa. Sono due diverse forme dell’unico e medesimo rito” (189). Ma non era stato proprio J. Ratzinger a dire, agli inizi degli anni 80, che la più grande idea elaborata dalla teologia liturgica nel XX secolo era stata proprio il cambiamento del concetto di forma? Se questo è vero, come è possibile che ci sia “una sola messa” in forme tanto diverse? Se la differenza di forme si comprende bene nel divenire della storia, come è possibile che possa essere contemporaneamente vigente l’una e l’altra e che ogni prete possa, nella sua singolarità, optare per l’una o per l’altra, in modo assolutamente arbitrario, almeno finché vive il rapporto singolare con la liturgia? In questo “diritto clericale” alla indifferenza per la forma si nasconde la contraddizione più rischiosa e anche la ostinazione più “seducente”.
“La vecchia liturgia del Venerdì Santo non è davvero accettabile. Mi meraviglio che non si sia fatto nulla prima per cambiarla” (186). Il gusto per la contraddizione conduce anche ad una ricostruzione storica assolutamente paradossale. In effetti, leggendo il resoconto con cui J. Ratzinger presenta la vicenda della “preghiera per i giudei”, c’è da restare letteralmente senza parole. La distorsione dei fatti è davvero clamorosa. Non si dice nulla sul fatto centrale: ossia che è stato il MP Summorum Pontificum a rendere immediatamente utilizzabile, da tutti i preti, la vecchia formula della “oratio pro conversione judaeorum”. Nessuno lo aveva pensato prima! Nemmeno il papa di allora! Il quale dice di non avere “nulla” contro la nuova formula del 1970, ma confessa di essersi dedicato in prima persona a formularne una diversa, che non fosse più quella del 1962, ma che fosse anche diversa da quella del 1970! Nel 2008, quindi, si è dedicato tempo e ingegno per introdurre una formula “intermedia” tra quella del 62 e quella 70! E questo atto azzardato sarebbe stato criticato solo “per mala fede”, soltanto per “distruggere Benedetto XVI”? Il papa emerito, incurante di questi fatti che pesano come macigni, si attribuisce il merito di aver sostituito la vecchia formula “con una preghiera migliore per il gruppo ristretto di chi utilizza il messale antico”. In realtà, si può affermare esattamente il contrario: che con il MP del 2007 un certo numero di cattolici può ritenersi pienamente autorizzato ad astenersi dal pregare secondo la formula comune, rinunciando pericolosamente alla pienezza del rispetto e del riconoscimento tra “fratelli minori e maggiori”. La mancata considerazione di questa prospettiva è pastoralmente un piccolo grande dramma di insensibilità e di autoreferenzialità.
“In Germania alcune persone cercano da sempre di distruggermi” (187). A onor del vero va aggiunto un aspetto curioso: tutto questo “dramma” sarebbe solo frutto di una “montatura dei teologi tedeschi che non mi sono amici”. E’ del tutto singolare che questa delicata vicenda, segnata da una lettura astorica e puramente interiore della tradizione liturgica – come se 50 anni dopo la riforma si potesse assicurare continuità con un semplice MP – possa essere ricostruita, nella sostanza, come una questione di “personale inimicizia”. La ammissione di “mancanza di relazioni” – che Benedetto confessa cavallerescamente all’inizio del volume – qui appare come uno scotto troppo alto che la tradizione liturgica ha dovuto pagare, e che continua a pagare anche oggi, senza che questi motivi abbiano più alcun fondamento istituzionale, data la condizione di emeritato.
In conclusione, all’interno di un testo che contiene anche affermazioni sorprendenti, dobbiamo riconoscere con onestà che il “tema liturgico” risulta pressoché immutato. E che su questo punto la “teoria” del prof. Ratzinger si è presto allontanata dalla realtà e continua a farlo, anche dopo la fine delle proprie responsabilità dirette. Tuttavia, la ripetizione di un argomento debole, anche dopo la fine del pontificato che lo ha espresso e utilizzato, non lo rende certo più forte. La operazione di “liberalizzazione” del “rito antico” non solo non è giustificata dalla “sostanza” della liturgia, o da una liturgia compresa “da dentro”, ma risente pesantemente di opzioni soggettive e di idiosincrasie personali, che hanno appesantito e complicato la gestione concreta della liturgia ecclesiale.
“Die Lust am Widerspruch”, la “voglia di contraddire”, ha avuto un prezzo troppo alto per la vita liturgica ecclesiale. A ciò occorre porre oggi rimedio senza indugio, perché il “piacere della contraddizione” ha generato, malgrado le migliori intenzioni, negli ultimi 30 anni, “la negazione del magistero”. E questo non è accaduto solo in ambito liturgico, ma anche nelle decisioni sul ministero maschile e femminile, sul modo di considerare e di attuare il Concilio Vaticano II e il suo significato, sulle priorità della identità ecclesiale, sul rapporto della Chiesa col mondo e sul dialogo ecumenico e interreligioso. Questa tensione irrisolta, questa fragilità di argomentazioni accanto ad una certa pre-potenza delle determinazioni, appare, nell’ultimo libro, disegnata con profilo chiarissimo, in un misto di disarmata arrendevolezza e di irriducibile e ostinata determinazione.
Quasi come la cifra di questo approccio irrisolto appare l’ultima parola che chiude questa parte del libro, quando, di fronte alle difficoltà di recezione del MP, J. Ratzinger ribadisce, con forza, la “impotenza papale”, negando per due volte che il papa possa realmente incidere sulla realtà liturgica: “Non è così”, “Certo, è impossibile” (190).
Forse l’irrigidimento maggiore, nella vicenda biografica di J. Ratzinger, è dovuto proprio a questa confessata “impotenza”. Il massimo della sua “potenza” – prima come Prefetto e poi come Papa – si è tradotta in una sostanziale impotenza del magistero. Il suo magistero è divenuto gradualmente ma irrevocabilmente contraddizione del magistero, quasi gusto e voglia di una assenza di magistero.
Forse in questo modo il “gusto della contraddizione” ha finito sostanzialmente col bloccare il magistero ecclesiale per 30 lunghi anni. La massima affermazione di potere è stata forse quella di “non avere potere”? O, meglio: nella negazione di ogni spazio di movimento per l’autorità della Chiesa ci si è ridotti sempre più ad una versione autoreferenziale della autorità. Che si affermava solo nella negazione di ogni possibile novità.
L’apparizione di Francesco, restituendo al magistero la sua autorità efficace – autorità di affermare piuttosto che di contraddire – ha iniziato a superare la contraddizione che paralizza, e ha riaperto la strada alla vita vissuta, alla uscita rischiosa e alla cura senza misura.
Forse questo è il motivo centrale e il punto decisivo di fronte al quale anche Benedetto – proprio lui e senza finzioni – ha potuto confessare così apertamente – e quasi spudoratamente – la sua ammirazione per un Francesco non solo come papa “attivo”, ma anche per il suo lato “riflessivo”, nel quale si può riconoscere che “la Chiesa è in movimento, è dinamica, aperta, con davanti a sé prospettive di nuovi sviluppi” (43). Un Francesco che fa prevalere sul negativo della contraddizione il positivo della azione e della affermazione: rispetto al “gusto di contraddire” – del quale evidentemente non manca nemmeno lui – dà il primato al “piacere di uscire” e al “desiderio di incontrare”.
Andrea Grillo blog: Come se non il 17 settembre 2016
www.cittadellaeditrice.com/munera/ultime-conversazioni-di-j-ratzinger-dal-gusto-della-contraddizione-al-piacere-dellincontro
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Brescia. Gruppo di parola per donne in menopausa
Gli incontri si terranno con cadenza settimanale ogni martedì dalle ore 19 alle ore 21 da martedì 11 ottobre a martedì 15 novembre 2016.
La serata di martedì 1 novembre verrà recuperata il 15 novembre.
La partecipazione, fino a un massimo di 12 posti, è gratuita.
Per informazioni: Consultorio Familiare Onlus – Via Volturno 42 – Brescia
E-mail: info@consultoriofamiliare.org www.consultoriofamiliare.org

Imola. Adolescenti connessi alla ricerca di sé.
Ragazzi alle prese con nuove tecnologie e social network
Il Consultorio Istituto La casa propone un incontro di riflessione su un tema molto attuale: l’utilizzo di nuove modalità di comunicazione da parte degli adolescenti alla ricerca della propria identità, utilizzo ormai frequente ad un’età sempre più precoce. Tale esperienza può diventare critica e complessa sia per i genitori che per i figli stessi, che non sempre sono adeguatamente preparati ad essa
Come Ente Autorizzato per le Adozioni internazionali inoltre constatiamo che, nell’adozione, la possibilità di ricercare informazioni via internet rende sempre più possibile l’accesso a dati o ai contatti con membri delle famiglie di origine dei ragazzi. Come sappiamo lo scenario dell’adozione è molto cambiato con l’utilizzo dei mezzi informatici. A questo devono essere preparati i genitori e futuri genitori adottivi nonché gli operatori che li accompagnano nel cammino.
Il Seminario e centrato sul contributo del relatore, psicologo esperto nelle tematiche che riguardano l’adolescenza, autore di Adolescenti navigati. Come sostenere la crescita dei nativi digitali (2015), e sull’esperienza di un giovane che porterà la propria testimonianza sulla ricerca delle origini. Offriranno entrambi spunti per le domande e il dibattito.
Programma ore 14,30-18,30
Introduzione al tema della Giornata e saluti Caterina Mallamaci – responsabile Istituto La Casa Imola
Monica Malaguti – funzionaria Regione Emilia-Romagna
Maria Grazia Saccotelli – responsabile Consultorio Familiare AUSL Imola
Matteo Lancini, psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro e docente presso il dipartimento di Psicologia dell’Università Milano-Bicocca.
Testimonianza di Alan Terracciano
Dibattito: modera Aldo Balzanelli, giornalista La Repubblica
Parallelamente, in uno spazio a parte del Seminario Diocesano, verrà svolto un per i ragazzi 11-14 anni (max 25 iscrizioni) un laboratorio, condotto dagli educatori della Coop PlacEvent, centrato sul buon utilizzo dei mezzi informatici e social network.
Le schede di iscrizione possono essere scaricata dal sito oppure richieste a: lacasa.imola@libero.it
www.lacasaimola.it/2016/08/22/seminario-adolescenti-connessi-alla-ricerca
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DALLA NAVATA
25° Domenica tempo ordinario-anno C–18 settembre 2016
Amos 08, 04. Il Signore mi disse: Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese.
Salmo 113, 07. Solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero.
1 Timoteo 01, 03 Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.
Luca 16, 10. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti.

Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).
Ci sono parabole di Gesù ben costruite e con un messaggio evidente, altre invece più contorte, meno lineari, il cui messaggio va cercato con cura e intelligenza. In questo capitolo 16 del vangelo secondo Luca ci troviamo di fronte a due parabole riguardanti il denaro, la ricchezza, proclamate una in questa domenica e una nella prossima (Lc 16,19-31).
Certamente la parabola odierna, quella dell’economo ingiusto, disonesto, che non agisce con rettitudine, può sembrare scandalosa, per il lettore superficiale può addirittura risultare immorale, ma occorre fare attenzione e discernere il vertice teologico presente nel racconto: allora lo si capirà in fedeltà all’intenzione di Gesù. Cerchiamo dunque con umiltà di faticare per arrivare a comprendere anche questo brano in modo evangelico.
Un uomo ricco ha un economo che ne gestisce gli affari, ma tutt’a un tratto quest’ultimo risulta essere un dissipatore dei suoi beni. Allora il padrone lo chiama e gli chiede: “Che cosa sento dire di te? Rendimi conto della tua amministrazione, perché non potrai più essere mio economo!”. È qualcosa che accade abbastanza spesso, perché la tentazione dell’ingiustizia, del pensare a se stessi e del non essere responsabili di una proprietà altrui è facile e ricorrente. Ma come reagire quando si viene scoperti? Qui l’economo, di fronte alla minaccia del padrone e alla prospettiva di perdere il lavoro, si mette a ragionare, a pensare al suo futuro. Egli medita tra sé: “Che cosa farò? Lavorare la terra? Non so farlo, non ne ho più la forza. Mendicare? Mi vergogno”.
Ed ecco che nel suo dialogo interiore giunge a una soluzione: farsi amici alcuni debitori del suo padrone, per poter contare su di loro. Ma deve fare tutto prestissimo, per questo convoca subito i debitori. Al primo domanda: “Quanto devi al mio padrone?”. Quello risponde: “Cento barili d’olio”. Ed egli replica dimezzandogli il debito: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. A un altro, che deve cento sacchi di grano, l’economo ne condona venti. Ecco una vera frode, una condonare i debiti senza l’autorizzazione del padrone, una palese ingiustizia! Eppure il padrone, venuto a conoscenza dell’inganno operato ai suoi danni, si congratula con l’economo disonesto, che secondo Gesù fa parte del mondo delle tenebre, ne è figlio, dunque è un figlio di Satana, il quale combatte i figli della luce che vivono nella giustizia.
Allora perché l’elogio, le congratulazioni? Per l’azione ingiusta? No, ma per la capacità di farsi degli amici, donando e condividendo proprio quella ricchezza ingiusta. Così quell’economo ingiusto non dissipa più i beni di cui è amministratore, ma li onora, condividendoli con quanti non hanno nulla. Ecco dove sta la buona notizia, il vangelo: ciò che è urgente, l’azione buona, è distribuire il denaro di ingiustizia ai poveri, non conservarlo gelosamente per sé. Proprio queste parole di Gesù vogliono essere buona notizia per i ricchi, perché ora sanno come devono amministrare i beni non loro: distribuendoli a tutti.
Attenzione, in questo racconto e nel successivo commento di Gesù compare per ben cinque volte il termine ingiustizia/ingiusto (adikía/ádikos) per definire l’economo e la ricchezza, Mammona. L’ingiustizia è dunque denunciata e condannata: non c’è altra via di giustizia se non quella di donare la ricchezza condividendola con i poveri, quelli che sono beati e ai quali è promesso il regno di Dio (cf. Lc 6,20). Il denaro resta “Mammona di ingiustizia”, definizione presente anche negli scritti di Qumran, che ne proclama l’iniquità radicale. Lo sappiamo bene: il denaro inganna, incanta, seduce, dà falsa sicurezza, ruba il cuore e diventa il tesoro prezioso nel quale si confida (cf. Lc 12,34; 1Ti 6,17). È vero che il denaro è solo uno strumento, ma di fronte a esso occorre vigilare, per donarlo, distribuirlo, condividerlo. Se infatti lo si accumula e lo si trattiene per sé, finisce per essere alienante: non è più posseduto, ma è lui a possedere chi lo ha nelle proprie mani!
Proprio per questo nel vangelo secondo Luca c’è una grande rivelazione fatta dal demonio stesso a Gesù al momento delle tentazioni nel deserto: “A me è stata data tutta questa ricchezza” – data da Dio, potremmo dire – “e io la do a chi voglio” (cf. Lc 4,6). Sì, chi accumula ricchezze è un amministratore di Satana, lo sappia o meno; per questo nella nostra parabola l’uomo ricco che dà in gestione all’economo molti beni può essere figura del demonio. L’unico modo per sfuggire alla schiavitù satanica è distribuire, donare il denaro, i beni, condonare i debiti: il denaro accumulato è sempre sporco, per ripulirlo basta condividerlo!
Il cristiano sa dunque che c’è un Mammona con la maiuscola, un idolo forte e seducente che può diventare un Kýrios, un Signore, rendendo servo e schiavo chi ne è amministratore. Il discepolo di Gesù– come ricorda chiaramente Gesù stesso – non può servire due padroni, ma è posto di fronte a una scelta: o amare e servire uno, o amare è servire l’altro; o ripudiare uno, o ripudiare l’altro, perché i due padroni sono antitetici, sono concorrenti nel richiedere fede-fiducia.
Al termine di questa riflessione, possiamo guardare all’orizzonte del Regno, dove ci può attendere la grande comunione degli amici nella vita eterna. Ci accoglieranno con amicizia tra loro proprio i poveri, quelli che ci siamo fatti amici qui sulla terra giorno dopo giorno con la danza del dono e l’esercizio della condivisione. Non saremo soli, ma saremo una comunione di amici, se nell’amicizia ci siamo esercitati qui e ora, donando e accettando i doni.
www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/10856-condividere-la-ricchezza-ingiusta
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DIVORZIO
Quando è possibile ottenere il Tfr.
Secondo l’art. 12-bis legge n. 898 del 1970: “Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza. Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”. Esaminiamo questa problematica partendo dalla definizione di trattamento di fine rapporto.
Il trattamento di fine rapporto (TFR) possiamo definirlo come una somma accantonata dal datore di lavoro e che viene corrisposta al lavoratore dipendente nel momento in cui il rapporto di lavoro venga a cessare per qualsiasi motivo.
Se il lavoratore è un divorziato che versa già all’ex coniuge un assegno divorzile periodico e quest’ultimo coniuge non è convolato a nuove nozze, il Legislatore stabilisce che il lavoratore a cui spetta il TFR è tenuto a corrispondere all’altro coniuge anche una quota di detto TFR.
Quali i presupposti per ottenere la quota di TFR? I presupposti sono due:
Il coniuge divorziato deve già percepire dall’ex coniuge ex lavoratore un assegno divorzile versato con cadenza periodica. Più precisamente, se il coniuge non ha diritto all’assegno divorzile o lo ha ricevuto in un’unica soluzione, non avrà diritto alla quota del TFR.
Il coniuge interessato alla quota del TFR non deve essere convolato a nuove nozze.
Quando è possibile proporre la domanda di riconoscimento di una quota di TFR? Occorre fare una distinzione:
TFR maturato prima della pronuncia della sentenza di divorzio: in questo caso il diritto a percepire la quota di TFR viene dichiarato in sentenza;
TFR maturato dopo la sentenza di divorzio: in questo caso, invece, il coniuge interessato alla quota dovrà proporre un’istanza al Tribunale affinché il suo diritto sia accertato e riconosciuto. In tal caso il Tribunale valuterà se, al momento della richiesta, l’ex coniuge richiedente è in possesso dei due presupposti richiesti dalla Legge sul Divorzio, ovvero:
Se percepisce un assegno divorzile con cadenza periodica dall’ex coniuge;
Se non è convolato a nuove nozze.
Se il diritto alla quota di TFR è maturato prima che venga proposta la domanda di divorzio? In questa ipotesi il diritto a percepire la quota di TFR non spetta in quanto sorto prima che sia stata proposta la domanda di divorzio. Chi scrive ritiene necessario precisare che l’indennità riscossa prima della domanda di divorzio incide esclusivamente sulla situazione economica – reddituale del coniuge tenuto a corrispondere l’assegno o meglio legittima la proposizione della domanda di modifica delle condizioni di separazione.
Qual è la percentuale della quota di TFR dovuta? La percentuale di quota dovuta è individuata dalla Legge sul Divorzio e corrisponde al 40% dell’indennità totale “riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”.
In caso di decesso del coniuge tenuto alla prestazione, l’altro coniuge ha diritto a percepire la quota di TFR? La risposta al quesito è positiva. I giudici di Piazza Cavour hanno stabilito che “l’obbligo dell’ex coniuge […] ha natura patrimoniale, con la conseguenza che, in caso di decesso del coniuge tenuto alla prestazione, esso, se rimasto inadempiuto, rientra nell’asse ereditario, gravando sugli eredi del de cuius” (cfr. sent. n. 4867/2006).
Avv. Luisa Camboni newsletter studio Cataldi 12 settembre 2016
www.studiocataldi.it/articoli/23265-divorzio-quando-e-possibile-ottenere-il-tfr.asp

Morte del coniuge in pendenza del termine per il passaggio in giudicato della sentenza parziale.
Corte d’Appello di Torino, 16 agosto 2016.
Legittimazione del coniuge superstite a proporre appello per far dichiarare la cessazione della materia del contendere anche se in primo grado i coniugi hanno assunto conclusioni conformi
Il coniuge, anche se ha assunto in sede di giudizio di primo grado conclusioni conformi in punto pronuncia sentenza parziale di divorzio, è legittimato a proporre appello al fine di far dichiarare la nullità della sentenza parziale di divorzio per cessazione della materia del contendere in conseguenza della sopravvenuta morte del coniuge nelle more del termine per il passaggio in giudicato, avendo diritto, in un contesto successorio, di essere riconosciuto coniuge superstite anziché divorziato.
Avv. Paolo Gallinatti Redazione Il Caso.it 14 settembre 2016
http://news.ilcaso.it/news_1618
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FAMIGLIA
Più nonne in pensione, più mamme al lavoro?
In un’Italia dove i nidi sono pochi, le nonne garantiscono alle mamme che lavorano un servizio di cura dei figli affidabile e a basso costo. Le riforme pensionistiche potrebbero perciò avere effetti negativi sull’occupazione delle donne con bambini piccoli. E il bonus bebè non basta a compensarli.
Italia senza nidi. L’Italia è tra i paesi con il minore tasso di occupazione femminile in Europa, 46,8% contro una media UE-28 di circa il 60% (2014, dati Eurostat). Peggio dell’Italia fanno solo Turchia, Macedonia e Grecia. Altrettanto elevato è il differenziale occupazionale uomini-donne: circa 18 punti percentuali contro gli 11 punti percentuali della media europea. Varie ragioni sono alla base della difficoltà delle donne di conciliare famiglia e lavoro. Tra queste, il modello culturale ancora prevalente, che vede l’uomo provvedere al sostentamento della famiglia, e la scarsità di politiche di conciliazione famiglia-lavoro. In particolare, l’Italia spende ancora troppo poco per i servizi pubblici di assistenza all’infanzia.
Secondo il rapporto “C’è un nido?” del 2015 curato da Cittadinanza Attiva, solo l’11,9% dei bimbi italiani sotto i due anni di età ha usufruito del servizio di asilo nido comunale o comunque con integrazione comunale, nell’anno scolastico 2012-13. Non è allora sorprendente che in questo contesto generale, in Italia (ma non solo) i nonni possano rappresentare un’importante risorsa per le mamme, come fonte di cura dei figli flessibile, affidabile e a basso costo. A partire dagli anni Novanta, tuttavia, una serie di interventi legislativi ha innalzato l’età pensionabile e, in generale, ha reso più stringenti i requisiti per la pensione, con l’obiettivo di rendere il sistema pensionistico capace di far fronte al progressivo invecchiamento demografico. Un effetto collaterale delle riforme è stato quello di sottrarre alle famiglie una preziosa fonte di supporto nella cura dei figli: i nonni.
Gli effetti delle riforme pensionistiche. In un nostro recente studio abbiamo utilizzato le riforme pensionistiche per quantificare l’effetto che la disponibilità (o indisponibilità) di nonni ha sull’occupazione delle madri di figli sotto i 15 anni. Ci siamo focalizzati in particolare sul periodo pre-crisi (1993-2006), utilizzando i microdati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane, curata dalla Banca d’Italia. I nostri risultati mostrano che donne le cui madri hanno maturato i requisiti pensionistici hanno una probabilità di essere occupate di ben 7,8 punti percentuali superiore rispetto a quelle con madri che non hanno (ancora) diritto al pensionamento. La differenza corrisponde a un aumento del 13 per cento della probabilità di lavorare nella media del campione. Un simile effetto non si trova invece né per la nonna paterna, né per i nonni (maschi).
Il nostro modello, nello spiegare l’occupazione delle donne con figli, tiene esplicitamente conto delle determinanti dei requisiti di pensionabilità dei nonni (genere, età, livello di istruzione, lavoro nel pubblico o nel privato, attività indipendente o alle dipendenze) che potrebbero sia influenzare il livello del reddito da lavoro e le loro pensioni sia avere un effetto diretto sull’occupazione delle donne, sfruttando così unicamente le variazioni nei requisiti di pensionamento indotte dalle riforme. Per questa ragione non abbiamo particolari motivi per attenderci che il possesso dei requisiti di pensionamento delle nonne materne stia cogliendo altri effetti positivi delle riforme pensionistiche sull’occupazione delle donne con figli, non necessariamente legati alla maggior disponibilità di servizi informali di cura dei figli. Abbiamo comunque stimato gli stessi modelli di regressione anche sugli uomini con figli minori di 15 anni, sulle donne senza figli giovani conviventi e su quelle con figli in età pre-scolare. Nei primi due casi non abbiamo riscontrato alcun effetto sulla probabilità di occupazione dei nostri due campioni del possesso da parte dei loro genitori o suoceri dei requisiti per il pensionamento, mentre nell’ultimo caso l’effetto positivo stimato sull’occupazione è del 34 per cento. Questo rafforza la nostra interpretazione che l’effetto stimato sia prevalentemente spiegabile con la maggiore disponibilità di servizi di cura dei figli garantita da nonni in pensione.
Il nostro studio suggerisce che le riforme pensionistiche potrebbero avere effetti negativi non voluti sull’occupazione delle madri con figli giovani, senza adeguate politiche pubbliche che possano riempire il vuoto nell’offerta di servizi all’infanzia creato dalla ridotta disponibilità (soprattutto) di nonne che lavorano fino a tarda età. L’ammontare mensile del cosiddetto “bonus bebè”, 80 euro, ossia grossomodo il costo di una giornata di cura dei bambini, appare perciò del tutto insufficiente a ovviare al problema. L’assenza di correttivi potrebbe contribuire a inasprire ulteriormente il già elevato divario occupazionale tra uomini e donne e anche crearne uno tra donne in età fertile e donne mature.
Massimiliano Bratti, Tommaso Frattini e Francesco Scervini La voce 13 settembre 2016
www.lavoce.info/archives/42780/piu-nonne-in-pensione-piu-mamme-al-lavoro
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FERTILITÀ
È tempo di rivedere l’Humanae Vitae. Un appello dal mondo teologico e accademico.
«Né la Bibbia né le leggi biologiche che regolano la riproduzione umana offrono alcuna prova che i rapporti sessuali debbano essere aperti in tutte le occasioni alla procreazione, o che usare contraccettivi “artificiali” sia sempre immorale o “intrinsecamente sbagliato”. Al contrario, prove abbondanti dalla Bibbia stessa, dalla biologia evolutiva e dalla sociologia indicano che le persone si impegnano in un rapporto sessuale per una varietà di motivi e scopi legittimi, di cui la procreazione è solo uno, e che né la capacità biologica, né l’intenzione di procreare sono intrinseche a ogni atto sessuale. Di conseguenza, l’uso di contraccettivi per la pianificazione familiare o a uso profilattico può essere una scelta di responsabilità».
È questo, in sintesi, il nucleo del documento redatto da un nutrito gruppo di teologi e studiosi su sollecitazione del John Wijngaards Catholic Research Centre (fondato nel 1983 dal teologo inglese John Wijngaards al fine di promuovere la «formazione a una fede adulta») che, in preparazione al 50° anniversario della pubblicazione dell’enciclica Humanae Vitae, ha voluto riunire una task force interdisciplinare di esperti allo scopo di rivedere la dottrina in materia di contraccezione e di «incoraggiare la gerarchia cattolica a modificare la sua posizione sui cosiddetti contraccettivi “artificiali”». Diffuso in forma ridotta nel mese di agosto e aperto alla sottoscrizione (già un centinaio le firme aggiunte in calce), il documento sarà presentato ufficialmente a New York, presso la sede delle Nazioni Unite, il 20 settembre2016 prossimo.
La legge naturale. «Il divieto di usare contraccettivi “artificiali” nell’ottica di una pianificazione familiare si basa sugli argomenti contenuti nella Humanae Vitae di papa Paolo VI», ricorda il documento in apertura. «Argomentazioni ripetute spesso, e mai sostanzialmente modificate, in successivi pronunciamenti magisteriali degli ultimi 50 anni. Questa dichiarazione – annunciano i firmatari – valuta la loro correttezza».
Riguardo agli argomenti fondati sulla legge naturale – la quale, stabilita da Dio, vuole che ogni atto sessuale abbia un “significato” procreativo e che quindi sia «intrinsecamente sbagliata» qualsiasi azione volutamente contraccettiva – i teologi non hanno dubbi: «Non sono supportati da prove rilevanti». «L’argomentazione contenuta nell’Humanae Vitae è che, poiché le leggi biologiche del concepimento rivelano che il rapporto sessuale ha una “capacità di trasmettere la vita”, ogni rapporto sessuale ha un significato e una finalità procreativa e un’intrinseca relazione con la procreazione. Ma ciò travisa le prove biologiche. La relazione causale tra l’inseminazione e la fecondazione, l’impianto, e, infine, la procreazione è statistica, ma non necessaria. La stragrande maggioranza dei rapporti sessuali non ha la capacità biologica, né l’intenzione, di procreare. Non è quindi corretto affermare che ogni singolo atto del rapporto sessuale debba sempre “significare” o intendere la procreazione, o che le persone impegnate in un rapporto sessuale debbano essere sempre aperte alla procreazione per agire in modo morale».
Inoltre, per i firmatari, affermare «che gli esseri umani non possono interferire con le leggi biologiche che regolano la riproduzione umana perché sono state stabilite da Dio è in contraddizione con l’evidenza empirica di come gli esseri umani interagiscono con l’ordine creato»: «Gli esseri umani hanno una capacità unica di modificare intenzionalmente il calendario delle probabilità inerenti le leggi biologiche, fisiche e chimiche della natura. Questa è una realtà della vita quotidiana: per esempio, qualsiasi tipo di intervento medico, da qualcosa di così insignificante come prendere un antidolorifico a qualcosa di importante come un intervento di chirurgia cardiovascolare, influenza le probabilità di guarigione, di sopravvivenza, di morte, ecc. Inoltre, anche la decisione di non intervenire nei processi naturali influenza quelle probabilità, così come la scelta di intervenire. La questione morale – è l’opinione dei firmatari – non riguarda il modificare o meno il calendario delle probabilità all’interno dei processi naturali, ma piuttosto se, quando e come farlo conduce o meno alla prosperità umana e al fiorire di tutta la creazione».
L’infallibilità del magistero. Un’altra argomentazione che il documento smonta è quella fondata sull’immodificabilità della dottrina in materia. «Secondo la teologia cattolica, affinché una dottrina, anche morale, possa essere definita infallibile e quindi irriformabile, è necessario che sia rivelata o indispensabile per la difesa o la spiegazione della verità rivelata. Se non lo è, allora non può essere definita infallibile. L’insegnamento che l’utilizzo della contraccezione “artificiale” è un male intrinseco sempre e comunque non è rivelato, né è stato mai dimostrato che sia essenziale per la verità della rivelazione cristiana. Di conseguenza, non può essere definito infallibile». Quindi, concludono i teologi, «l’appello a una presunta costante tradizione di insegnamento magisteriale sul tema non può da sola risolvere la questione e chiudere la discussione perché i requisiti per la definizione di infallibilità non sono soddisfatti».
Considerazioni morali. «La moralità di ogni azione umana è determinata dalle motivazioni e dalle intenzioni di chi la pone in essere, dalle circostanze e dalle conseguenze di tale azione», prosegue il documento. «L’utilizzo di contraccettivi moderni ha molti vantaggi comprovati: tra le altre cose, rende molto più facile per gli uomini e le donne la pianificazione di una famiglia e riduce notevolmente la mortalità materna e infantile nonché il ricorso all’aborto. L’evidenza suggerisce anche che la pianificazione familiare comporta miglioramenti sostanziali in materia di istruzione e di contributo al bene comune delle donne». «A causa della eccezionale ampiezza dei suoi potenziali benefici – ricordano poi i firmatari – la promozione della pianificazione familiare attraverso contraccettivi moderni è stata considerata come un elemento essenziale per tutti gli otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio» stabiliti dall’Onu. «La decisione di utilizzare contraccettivi moderni – concludono – può quindi essere presa per una serie di motivi moralmente degni e può quindi essere etica».
Quanto poi all’uso di contraccettivi fisici a scopo profilattico – vale a dire al fine di ridurre la probabilità di diffusione del virus HIV o di altre malattie sessualmente trasmissibili – questa, secondo i firmatari, «può essere non solo una scelta responsabile, ma anche un imperativo morale».
E quindi? Insomma, concludono i teologi, «non ci sono motivi per sostenere l’attuale insegnamento della Chiesa cattolica in materia». Per questo il documento, data l’entità dell’epidemia di HIV/AIDS e considerato che il 25% delle scuole e dei centri sanitari a livello mondiale è costituito da strutture cattoliche, raccomanda alle competenti autorità di invertire la rotta emanando un documento magisteriale in cui si affermi che «l’uso di contraccettivi moderni non abortivi per uso profilattico può essere moralmente legittimo e persino moralmente obbligatorio». Di più: «La dichiarazione – prosegue il documento – potrebbe includere una esplicita disposizione che consenta la distribuzione di tali contraccettivi moderni per fini profilattici da parte delle strutture sanitarie cattoliche».
Circa l’uso dei sistemi contraccettivi a scopo di pianificazione familiare, i firmatari raccomandano alla Chiesa di porsi in ascolto dei teologi cristiani esperti in materia. «Si consiglia inoltre – proseguono – di richiedere il loro parere su altri aspetti di etica sessuale cattolica, che saranno probabilmente interessati da una revisione dell’attuale insegnamento sull’uso di contraccettivi per la pianificazione familiare, vale a dire la valutazione negativa della masturbazione, dei rapporti omosessuali e della fecondazione in vitro».
«Qualora le prove e gli argomenti addotti nella presente relazione siano accettati, il documento magisteriale ufficiale raccomandato dovrebbe revocare il divieto assoluto di uso di contraccettivi “artificiali” e consentire l’uso di contraccettivi non abortivi moderni per scopi sia di pianificazione familiare che profilattici. In seguito, non appena possibile, le Conferenze episcopali nazionali dovrebbero raccomandare che le strutture di assistenza sanitaria a conduzione cattolica rendano disponibili tali contraccettivi». «L’accettazione dell’Humanae Vitae come prova di ortodossia – proseguono – deve essere cancellata da tutte le procedure di selezione, compresa quella dei vescovi e del personale docente delle istituzioni accademiche cattoliche. Ove possibile, i danni alla carriera di studiosi cattolici che sono stati censurati per aver parlato in difesa dell’uso etico dei contraccettivi moderni dovrebbero essere annullati».
Autorità e verità. Non è la prima volta che il John Wijngaards si fa promotore di iniziative di questo tipo. Già nel 2013, in vista del Sinodo dei vescovi sulla famiglia indetto da papa Francesco per l’anno successivo, il Centro di ricerca teologico aveva diffuso un manifesto in cui evidenziava come l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e la sessualità sia basato sulle «nozioni astratte e ormai superate della legge naturale» o su concezioni non fondate scientificamente, risultando quindi incomprensibile alla maggioranza dei fedeli.
Anche stavolta, come avvenuto tre anni fa, il documento ha raccolto numerose adesioni di personalità del mondo teologico e accademico: da Maria Pilar Aquino, docente della San Diego University e cofondatrice dell’Academy of Catholic Hispanic Theologians, a Gregory Baum, della McGill University di Montreal; da Tina Beattie, docente all’University of Roehampton di Londra, a John F. Haught, del Woodstock Theological Center della Georgetown University; dal teologo di origine vietnamita Peter Phan al vescovo emerito di Sidney Geoffrey Robinson, per finire con Charles E. Curran, già docente di Teologia Morale alla Catholic University of America.
«Il documento – spiega quest’ultimo nella sua dichiarazione di sostegno – mostra in modo chiaro, conciso e convincente perché la contraccezione artificiale allo scopo di pianificazione familiare può essere una scelta moralmente buona e finanche obbligatoria per le coppie. Si riconosce il ruolo del Magistero gerarchico nella Chiesa cattolica, ma con precisione si sottolinea che l’insegnamento che condanna la contraccezione artificiale non è un insegnamento infallibile. La dichiarazione – prosegue Curran – si basa implicitamente sull’approccio di Tommaso d’Aquino alla comprensione del rapporto tra autorità e verità. Aquino sollevò la questione: è qualcosa di buono perché è comandato o è comandato perché è buono? Per Tommaso d’Aquino, qualcosa è comandato perché è buono. L’autorità – conclude – deve conformarsi a ciò che è buono»
Ingrid Colanicchia Adista Notizie n. 31 del 17 settembre 2016
www.adista.it/articolo/56575
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FERTILITY DAY
Parliamo di salute. Prima giornata nazionale dedicata all’informazione e formazione sulla fertilità
Il 22 settembre 2016 si celebra il primo Fertility day, Giornata nazionale dedicata all’informazione e formazione sulla fertilità umana, istituita con Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 luglio 2016. La giornata è promossa dal Ministero della Salute per aumentare soprattutto nei giovani la conoscenza sulla propria salute riproduttiva e fornire strumenti utili per tutelare la fertilità attraverso la prevenzione, la diagnosi precoce e la cura della malattie che possono comprometterla e le tecniche di Procreazione medicalmente assistita.
La giornata prevede iniziative diffuse sul territorio nazionale, rese possibili dall’adesione di autorità locali, mondo associativo e società scientifiche. In quattro città italiane il Ministero della salute ha organizzato Tavole rotonde con la partecipazione di esperti della materia, operatori sanitari, società scientifiche, associazioni, famiglie e giornalisti per approfondire i temi centrali della fertilità.
Nella Tavola rotonda di Roma si parlerà delle politiche di prevenzione sanitaria per promuovere comportamenti corretti al fine di ridurre i fattori di rischio e proteggere la salute riproduttiva. Verranno inoltre illustrate le novità per la tutela della fertilità nell’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (LEA)
A Bologna, il tema è come aiutare la salute riproduttiva attraverso le tecniche di Procreazione medicalmente assistita con un focus sulla preservazione della fertilità nei pazienti sottoposti a trattamenti oncologici.
A Padova, si discuterà dell’importanza della diagnosi precoce, della possibilità e dei limiti delle terapie mediche e chirurgiche nella cura delle patologie che possono compromettere la fertilità, alla luce delle attuali evidenze scientifiche.
A Catania, si parlerà dell’età fertile nell’uomo e della rilevanza di questo aspetto nel percorso nascita.
Ha collaborato alla promozione del Fertility day l’Anci, Associazione Nazionale Comuni Italiani. Numerose, inoltre, le iniziative sul territorio organizzate da Associazioni e società scientifiche.
www.fertilityday2016.it

Gli Andrologi dicono SI al Fertility Day per fare prevenzione e informazione
Questa è la mia generale impressione dopo aver raccolto alcune opinioni da diversi colleghi ed amici andrologi. Il 22 settembre 2016 il Fertility Day dovrebbe essere una giornata di studio e di sensibilizzazione sul tema della (de)natalità promossa dal Ministero della Salute; purtroppo è partita male nella sua impostazione generale che si è concentrata su una serie di concetti in parte discutibili e quasi tutti al femminile.
Questo ha scatenato sgradevoli reazioni negative da parte di numerose forze politiche, organizzazioni sociali, mezzi d’informazioni, social in alcuni casi, visto il tipo di pubblicizzazione fatta, giustificate. Benché si possa condividere che il modo di annunciare il Fertilty Day sia stato fatto attraverso una brutta comunicazione è bene sempre ricordare che non sempre dietro ad una comunicazione sbagliata vi è necessariamente un’idea altrettanto sbagliata.
Se questa giornata permetterà a degli operatori sanitari di spiegare a ragazzi e ragazze l’importanza della prevenzione delle infezioni a trasmissione sessuale oppure diffondere informazioni sul fattore età, come elemento a volte decisivo se si vuole diventare dei genitori, non mi sembra che ciò possa determinare criticità insormontabili.
Se nel Fertility Day si faranno tavole rotonde o visite di prevenzione andrologiche o ginecologiche gratuite queste non possono essere vissute come un’offesa per chi ha deciso di non voler aver figli oppure cagionare fastidi o dolore in chi avrebbe voluto avere figli ma non ha potuto averli. L’attuale panorama, soprattutto per i giovane uomini, è più che mai drammatico: la visita di leva è stata abolita, gli attuali consultori non prevedono la figura dell’andrologo e ancora sul nostro territorio nazionale pochi sono gli ambulatori pubblici in cui vi siano servizi dedicati a valutare e trattare le problematiche sessuali e riproduttive maschili.
Gravi lacune nell’informazione vi sono poi sulle tematiche che riguardano l’apparato riproduttivo e la prevenzione della infezioni sessualmente trasmissibili o i danni provocati dal fumo sull’apparato riproduttivo e anche tra giovani e meno giovani non tutti conoscono i fisiologici limiti di età in cui è più facile avere un figlio. Nella mia esperienza constato tutti i giorni, soprattutto nei pazienti giovani, le incertezze e il desiderio di capire e conoscere il proprio corpo e il suo funzionamento.
Quindi sì alle campagne di prevenzione e informazione sulla sessualità, e sulla prevenzione dell’infertilità. Si spera che prossimamente si riesca a “centrare” maggiormente l’argomento senza cadere nelle ambiguità che hanno caratterizzato la campagna ministeriale di quest’anno, anzi mi auguro che questo sia solo il primo passo verso un approccio più organico e completo a questi temi con visioni più ampie e complesse, capaci di abbracciare eventualmente oltre al Ministero della Salute anche quello delle Pari Opportunità e del Lavoro
Giovanni Beretta Pagine mediche settembre 2016
https://www.paginemediche.it/benessere/cura-e-automedicazione/gli-andrologi-dicono-si-al-fertility-day-per-fare-prevenzione-e-informazione?utm_source=Weekly+NL%3A+utenti+pubblici+NEW&utm_campaign=cfe31653b2-Newsletter_Pubblica_NEW_34_09_13_2016&utm_medium=email&utm_term=0_15908c0aeb-cfe31653b2-168826737
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
Fattore Famiglia.
La notizia di ieri, dal seminario di Area Popolare, è che due ministri – Enrico Costa e Beatrice Lorenzin – hanno parlato esplicitamente di Fattore Famiglia. Ovvero della proposta di fisco family friendly che il Forum delle Associazioni Familiari ha lanciato nell’ormai lontanissimo 2010, in occasione della II Conferenza nazionale della famiglia, ai tempi di Giovanardi e dell’ipotesi “quoziente familiare” (ipotesi su cui la politica agita speranze fin dal 1991). Il Fattore famiglia lanciato dal Forum se ne differenziava sostanzialmente perché anziché redistribuire reddito a vantaggio delle famiglie con più figli, anziani non autosufficienti, o componenti disabili, lascia alla famiglia il reddito che essa produce, individuando una no tax area corrispondente al costo di mantenimento dei suoi componenti, un minimo vitale non tassabile.
www.forumfamiglie.org/tema/Fattorefamiglia/116
«È la prima volta che due ministri parlano di Fattore Famiglia, ovvero della nostra proposta, in maniera esplicita», commenta con soddisfazione Gianluigi De Palo, presidente del Forum Famiglie: «il ministro Costa in termini di politiche fiscali, il ministro Lorenzin nella prospettiva di un ticket per le famiglie». Tutti quindi sembrano convinti della necessità di superare le misure spot per passare a politiche organiche, con misure «stabili, riconoscibili e affidabili» per dirla con le parole del ministro Costa, che portino a «centomila nascite in più all’anno». Ma nei fatti? «Il momento per mettere in atto il Fattore Famiglia è questo, non un altro. Non dico si debba fare in un anno, ma con un percorso di due o tre anni. Condivido la scelta di superare le politiche dei voucher e dei bonus per misure strutturali e coordinate, il punto è cominciare subito».
Di recente Roberto Bolzonaro, del Forum Famiglie, ha riepilogato costi e benefici del Fattore Famiglia:
http://docplayer.it/3253258-Fattore-famiglia-oltre-il-quoziente-familiare-roberto-bolzonaro.html
Costerebbe allo Stato circa 14 miliardi di euro (1 punto di PIL), in termini di mancati introiti. «Questa cifra verrebbe però quasi per intero riversata sul mercato dei consumi e almeno metà dei mancati introiti rientrerebbero comunque nelle casse dello stato in altre forme». Uno studio di Unitela sapienza, commissionato da Lapet, associazione nazionale dei tributaristi, citato da Bolzonaro, ha evidenziato che si avrebbero 12,7 miliardi di crescita dei consumi, 2,5 miliardi di recupero IVA, 3,8 miliardi di maggiori introiti fiscali ed in più si creerebbero 200 mila posti di lavoro e 1 milione di famiglie uscirebbero dalla soglia di povertà.
Nel seminario di Area Popolare di ieri, sul fronte famiglia sono state proposte la stabilizzazione del bonus bebè sperimentale triennale, a cui affiancare un “premio per le mamme” che compensi le maggiori spese sostenute in gravidanza; un contributo di mille euro per le rette degli asili nido e un sostegno anche oltre i tre anni del bambino.
Sara De Carli Vita news letter 14 settembre 2016
www.vita.it/it/article/2016/09/14/due-ministri-parlano-di-fattore-famiglia-sara-svolta/140747

Non si perda più tempo, le risorse ci sono.
È condivisibile l’obiettivo di puntare a riforme strutturali, di mettersi finalmente alle spalle l’epoca dei voucher e dei bonus. Il punto però è farlo subito. Scegliere tra passare alla storia e cambiare davvero l’inerzia di questo Paese o limitarsi vivacchiare». Al seminario programmatico di Area popolare è intervenuto anche Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari. Un contributo per invitare a non perdere più tempo: «È una questione di volontà politica, non solo di risorse economiche. In Francia il quoziente familiare non l’hanno istituito quando il Pil andava a mille e c’era pace sociale, ma durante la seconda guerra mondiale. Pensare “lo facciamo l’anno prossimo, ora abbiamo altre priorità” significa non aver capito che il crollo demografico, la fuga dei giovani, l’impoverimento conseguente alla nascita di un bambino, l’invecchiamento della popolazione stanno diventando problemi inarrestabili e che mettono a repentaglio il nostro futuro».
Quale proposta ha portato al seminario?
Quella storica del Forum, che è lì dal 2010: il fattore famiglia. Il mio ragionamento è semplice: le misure che Area Popolare propone costerebbero 2-3 miliardi. Bene, prendiamo questo gruzzolo e mettiamolo sulla fase-uno del fattore famiglia, concentrandoci in prima battuta sui nuclei numerosi che hanno più bisogno di aiuto. Poi mano a mano, in 3-4 anni, arriviamo alla riforma generale della fiscalità a misura di famiglia, che costa, a regime, circa 14 miliardi. Mi chiedo se finora non ne abbiamo spesi molti di più per misure-spot che non hanno raggiunto l’obiettivo previsto.
Lei dice: è finita l’epoca dei bonus…
Ne sono convinto, mi sembrano convinti i ministri Costa e Lorenzin e in generale l’intero governo sembra voler prendere questa strada. Ne prendo atto, si riconosce che questi sono microinterventi che può disporre un assessore comunale o regionale per tamponare alcune situazioni di disagio o dare una boccata di ossigeno. Il governo ha invece il compito di tracciare una rotta, di indicare una strada più ampia e profonda. Ripeto, lo si può fare pure a tappe. Ma si inizi subito perché siamo clamorosamente in ritardo.
Ogni anno a ridosso della manovra interventi per la famiglia sembrano imminenti. Poi svaniscono nel gioco della torre con altre misure. Perché?
Forse perché ci vorrebbe un po’ di profezia in politica. A volte bisogna avere il coraggio di seminare sapendo che raccoglieranno altre generazioni. Se nel 2010 il “fattore famiglia” fosse stato preso in considerazione come meritava, oggi sarebbe già pienamente attuato e avremmo uno strumento forte e strutturale di contrasto alla denatalità e di supporto al progetto di metter su famiglia e fare figli.
Marco Iasevoli Avvenire 14 settembre 2016
Aprire il pdf www.forumfamiglie.org/rassegna.php?filtro=ultimi_7_giorni&pagina=3
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GENETICA
Dna italiani tra i più ricchi di varianti genetiche del mondo.
Un popolo di santi, poeti e navigatori, certo, ma anche uno dei più ricchi ed eterogenei dal punto di vista del patrimonio genetico, modellato dagli incontri con altre genti e dalle diverse condizioni ambientali esistenti lungo la penisola. Una storia, quella dei geni degli italiani, che è tanto variegata quanto quella della terra che abitano, arricchita dalle migrazioni e segnata dalla geografia. A sancirlo è uno studio -da poco pubblicato su “Scientific Reports”, rivista satellite di Nature- coordinato dal gruppo di Antropologia Molecolare e Adattamento Umano del Dipartimento di Scienze Biologiche Geologiche e Ambientali (Bigea) dell’Università di Bologna.
Analizzando il Dna di circa 800 individui originari di venti province d’Italia e descrivendo i pattern di variabilità di più di 500.000 varianti genetiche distribuite lungo il loro genoma, i ricercatori sono riusciti a individuare le tracce della complessa storia demografica e di adattamento all’ambiente degli italiani. “Lo studio -spiega Marco Sazzini, ricercatore del Bigea- ha evidenziato l’elevata eterogeneità del patrimonio genetico delle popolazioni distribuite lungo la penisola.
Inoltre, sebbene i profili genetici osservati varino progressivamente seguendo un gradiente nord-sud, è stato possibile individuare gruppi omogenei di province riconducibili rispettivamente alla Sardegna, all’Italia settentrionale e a quella meridionale, al cui interno gli abitanti sono molto simili tra di loro dal punto di vista genetico ma si differenziano rispetto a quelli degli altri gruppi”.
Questa distribuzione geografica di variabilità genetica è legata, almeno in parte, alla complessa rete di migrazioni che sin dalla prima colonizzazione del continente ha visto l’Italia fra i punti nevralgici delle rotte migratorie dei popoli europei. In particolare, i risultati della ricerca suggeriscono che le popolazioni dell’Italia settentrionale hanno scambiato i propri geni con gruppi arrivati dall’Europa centro-orientale fino alla fine dell’Età del Bronzo e all’inizio dell’espansione dell’Impero Romano. Gli abitanti dell’Italia centrale e dell’Italia meridionale, invece, avrebbero ereditato anche componenti genetiche tipiche di Medio Oriente e Nord Africa. Un considerevole flusso migratorio da queste regioni del Mediterraneo, infatti, si sarebbe mantenuto in Italia centrale fino alle espansioni e contrazioni dell’Impero Bizantino, mentre più recente sarebbe stato l’influsso nordafricano riconducibile all’occupazione araba della Sicilia.
La storia genetica degli italiani, però, non è stata influenzata solamente dalle migrazioni. Il gruppo di ricerca dell’Alma Mater, infatti, ha anche indagato i meccanismi evolutivi e di adattamento all’ambiente delle popolazioni d’Italia, scoprendo che tali processi potrebbero aver contribuito a una loro diversa suscettibilità a determinate malattie. L’evoluzione delle popolazioni dell’Italia settentrionale, ad esempio, è stata plasmata da pressioni ambientali simili a quelle sperimentate dai gruppi dell’Europa centro-settentrionale: in particolare un clima caratterizzato da inverni freddi ha portato all’adozione di una dieta con un elevato contenuto calorico e di grassi.
La selezione naturale ha favorito così in queste popolazioni la diffusione di varianti genetiche in grado di modulare il metabolismo dei lipidi (soprattutto dei trigliceridi e del colesterolo) e la sensibilità delle cellule all’insulina, riducendo così il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e diabete. Al contrario, la mancanza di tali pressioni ambientali e il notevole contributo genetico ricevuto da altre popolazioni mediterranee hanno fatto sì che gli abitanti dell’Italia centro-meridionale mantenessero elevate frequenze delle varianti genetiche responsabili di una maggiore suscettibilità a queste malattie.
“Queste varianti -aggiunge Sazzini- sarebbero risultate deleterie solo di recente, presumibilmente a partire dalla metà del secolo scorso, quando la dieta e lo stile di vita di queste popolazioni hanno iniziato a cambiare notevolmente”. Oltre al clima e alla dieta c’è poi un altro fattore che ha indirizzato gli adattamenti genetici degli italiani, soprattutto in Sardegna e nell’Italia centro-meridionale: le malattie infettive.
In Sardegna, ad esempio, la malaria sembra aver rappresentato una delle principali pressioni ambientali, mentre nell’Italia del Sud la selezione naturale ha potenziato le risposte infiammatorie contro i batteri responsabili di tubercolosi e lebbra. Questa aumentata protezione nei confronti di tali infezioni potrebbe però rappresentare una delle cause evolutive alla base di una maggiore suscettibilità a patologie infiammatorie dell’intestino quali ad esempio il morbo di Crohn. Utilizzando un approccio di medicina evolutiva, lo studio è così riuscito a descrivere, per la prima volta, processi di “maladattamento” che espongono maggiormente alcune popolazioni italiane ai rischi connessi alle nuove sfide imposte al loro metabolismo e al loro sistema immunitario da recenti cambiamenti negli stili di vita e nella dieta.
La ricerca, condotta presso il Laboratorio di Antropologia Molecolare e il Centro di Biologia Genomica dell’Università di Bologna, ha visto impegnati numerosi ricercatori del Dipartimento di Scienze Biologiche Geologiche e Ambientali fra cui Marco Sazzini, Guido Alberto Gnecchi Ruscone, Cristina Giuliani, Davide Pettener e Donata Luiselli, in collaborazione con Paolo Garagnani e Claudio Franceschi del Dipartimento di Medicina Specialistica Diagnostica e Sperimentale e Carlo Salvarani dell’Irccs Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia.
La salute in pillole 14 settembre 2016 www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=32551
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GENITORI
Separazione con figli tra cittadino italiano e cittadino britannico
Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 17676, 7 settembre 2016
Le Sezioni Unite su giurisdizione e competenza in tema di responsabilità genitoriale. Le Sezioni Unite della Suprema Corte sono intervenute chiarendo, sotto il profilo della competenza giurisdizionale, sia il principio della separazione tra l’azione inerente lo status e quella sulle questioni accessorie, sia quello della prevalenza del criterio di vicinanza per l’individuazione del Giudice competente sulle questioni inerenti la responsabilità genitoriale.
Conseguentemente ogni qualvolta il minore risieda in uno stato membro diverso da quello in cui pende il giudizio di separazione e divorzio, il giudice del procedimento matrimoniale non ha competenza a conoscere delle domande concernenti la responsabilità genitoriale, a meno che detta competenza non sia accettata dal convenuto e corrisponda all’interesse del figlio minorenne.
La Corte ha altresì chiarito che la residenza abituale del minore, ai sensi dell’art. 8 Reg.UE 2201/03 coincide con il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale dello stesso.
AIAF Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori – Newsletter 16 settembre 2016
www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=13219
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GOVERNO
Osservatorio nazionale: il Governo batte un colpo a favore della famiglia
Ricostituito l’ente che dovrà supportare il Governo nell’attuazione di politiche pro-famiglia. Intanto l’Europa chiede misure per favorire la conciliazione famiglia-lavoro. Mentre in Italia la natalità cola a picco, sembrano ancora incerte e leziose le misure proposte per invertire la tendenza. Intanto anche l’Europa inizia a sentire brividi di freddo per l’inverno demografico e chiede interventi. Il 23 agosto il ministro per gli Affari Regionali con delega alla Famiglia, Enrico Costa, intervistato in una trasmissione di Radio24 annunciava per il 13 settembre la presentazione di un Piano di sostegno alla famiglia.
Primo obiettivo da dover perseguire, proprio l’incremento demografico in un Paese a crescita zero. La data fatidica del 13 settembre è passata, ma una sorta di coltre di silenzio ha subissato gli interventi da dover intraprendere a favore della famiglia. A Roma si è tenuto un convegno ad hoc sul tema organizzato da Area Popolare, a cui appartiene lo stesso Costa. Una serie di relatori è convenuto sulle ripercussioni che le culle vuote suscitano sulle casse dello Stato e dunque sulla necessità di una “politica organica” per favorire le nascite.
In termini concreti, l’intenzione è quella di ampliare lo spettro del bonus bebè. Ad oggi gli 80euro mensili vengono destinati alle famiglie con un reddito non superiore ai 25mila euro l’anno e dal mese di nascita del figlio. La volontà è quella di estendere il bonus a tutte le famiglie, a prescindere dalla loro disponibilità economica, e di iniziare ad elargirlo non dalla data del parto bensì dal settimo mese di gravidanza. Sarebbe questo un modo, nelle intenzioni del ministro Costa, per incentivare le donne under 30 a fare figli. Del resto l’alta età media in cui le italiane decidono di mettere al mondo il primo figlio (30,7), è uno dei deterrenti alla crescita demografica del Paese, come ha sottolineato anche il Ministero della Salute con l’organizzazione del tanto discusso Fertility Day.
Le altre strade indicate da Costa sono quelle della detrazione fiscale per le famiglie giovani, nonché di un finanziamento per sostenere le spese destinate agli asili nido e ai prodotti per la prima infanzia (biberon, pannolini).
Le buone intenzioni del ministro sono testimoniate anche dalla ricostituzione dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia, un ricordo del Governo Berlusconi che si era però ingiallito – come ricordato dal demografo Blangiardo in un’intervista a ZENIT – dopo la caduta dell’Esecutivo presieduto dall’imprenditore di Arcore. Il redivivo ente, presentato la settimana scorsa dal ministro Costa, avrà un ruolo di supporto presso la Presidenza del Consiglio per l’attuazione di politiche pro-famiglia. Previsto anche un Comitato tecnico-scientifico, presieduto dal giudice Simonetta Matone, che avrà il compito di tradurre operativamente gli indirizzi fissati dall’Assemblea dell’Osservatorio.
Ad affiancare la Matone ci saranno il capo del Dipartimento per le politiche della Famiglia, Ermenegilda Siniscalchi, membro di diritto, e gli esperti Gianni Ballarani, Marco Allena, Mauro Marè, Riccardo Prandini e Gianluigi De Palo, [presidente del Forum Associazioni Familiari].
In attesa che le buoni intenzioni si traducano in misure concrete, si sa che il tema della natalità sarà cardine nell’agenda dell’Osservatorio. Il ministro Costa ha posto l’accento anche sulla tutela dei minori, sulle iniziative che leghino sport, scuola e famiglie e sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Proprio su quest’ultimo aspetto ruota il Piano per contrastare il calo demografico del Parlamento europeo. Il 14 settembre Strasburgo ha approvato la risoluzione per una work-life balance (conciliazione lavoro-vita), affinché gli Stati membri approvino leggi che creano condizioni lavorative favorevoli alle madri e ai padri.
Primo paletto fissato dall’Europarlamento per promuovere “modelli di welfare aziendale” rispettosi dell’equilibrio tra vita privata e professionale, è quello dei congedi. È stata avanzata alla Commissione la richiesta di “una proposta ambiziosa corredata da norme di alto livello” in tal senso, giacché concedere ai genitori di poter disporre di formule ad hoc per conciliare il lavoro con la vita familiare significa “incrementare la partecipazione all’occupazione, l’efficienza complessiva e la soddisfazione professionale”.
L’Unione Europea comunica che sono 3,3 milioni i cittadini europei che hanno dovuto rinunciare al lavoro a tempo pieno per mancanza di cure per i propri figli o per i parenti a carico. Anche questo dato, del resto, non rappresenta un incentivo per i giovani a diventare genitori.
Federico Cenci Zenit 19 settembre 2016
https://it.zenit.org/articles/osservatorio-nazionale-il-governo-batte-un-colpo-a-favore-della-famiglia

Rinnovo del protocollo d’Intesa “Carta dei figli di genitori detenuti”.
Il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, la Garante per l’infanzia e l’adolescenza Filomena Albano e la presidente dell’associazione Bambinisenzasbarre onlus Lia Sacerdote hanno siglato il 6 settembre 2016 il rinnovo per altri due anni del Protocollo d’Intesa “Carta dei figli di genitori detenuti”, nel marzo 2014. Grazie alla campagna di sensibilizzazione della onlus il protocollo si sta diffondendo nei 21 Paesi membri della rete, “Children of prisoners Europe” di cui è diventato un modello.
L’intesa sottoscritta intende individuare nuovi strumenti di azione e rafforzare e ampliare i risultati sinora ottenuti. Su tutti, la tutela dell’interesse superiore del minore, al quale deve essere garantito il mantenimento del rapporto con il genitore detenuto, in un legame affettivo continuativo, riconoscendo a quest’ultimo il diritto/dovere di esercitare il proprio ruolo genitoriale.
www.bambinisenzasbarre.org
http://www.bambinisenzasbarre.org/la-carta-dei-figli-dei-genitori-detenuti-si-rinnova
AIAF Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori – Newsletter 16 settembre 2016
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INGANNO
Ingannare il partner dicendo di non essere sposato è reato.
Corte di Cassazione, quinta Sezione penale. Sentenza n. 34800, 10 agosto 2016.
Dopo anni di lettura delle sentenze depositate dalla Corte di Cassazione, sono giunto alla conclusione che, per coloro che lavorano nel mondo del cinema, anche horror, del teatro e così via non c’è modo migliore per scrivere copioni che quello di dedicarsi alla semplice lettura dei provvedimenti della Suprema Corte. Vicende bizzarre, originali, divertenti, talvolta incredibili riempiono le aule di Tribunale dove spesso la realtà supera di gran lunga la fantasia. “Questo matrimonio non s’ha da fare”, potrebbe essere il titolo di una bella commedia all’italiana tratta dalle dodici pagine di cui si compone la sentenza in oggetto.
Ora, immaginate lo scenario, quello meraviglioso di una bella storia d’amore in cui fervono i preparativi per il matrimonio in chiesa. I fiori, il vestito, il corso prematrimoniale, non manca nulla, neppure il concepimento di un figlio proprio nel periodo che precede il rito nuziale. Ma torniamo indietro di quattro anni, l’incontro tra Lui, già separato e colei che diventerà la promessa sposa. È l’inizio di un amore, il periodo più esaltante che a volte finisce, lasciando amarezze, ricordi o rimpianti ed altre prosegue sino a far convolare gli amanti a giuste nozze. Dopo un anno di fidanzamento, lui annuncia di aver chiesto il divorzio e i due fidanzatini decidono di iniziare a vivere insieme presso l’abitazione di lei, che viene presentata come fidanzata alla sorella di lui. La storia d’amore continua per un altro anno durante il quale la fidanzata rappresenta al compagno il desiderio di unirsi a lui in matrimonio religioso. Lui acconsente e rassicura la promessa sposa che, attraverso gli appoggi del padre, potrà ottenere facilmente l’annullamento del precedente matrimonio così da esaudire il desiderio della fidanzata di sposarsi in abito bianco dinanzi ad un celebrante di Santa Romana Chiesa. Fin qui nel copione del film non si evidenzierebbe alcuna originalità, ma a questo punto iniziano le sorprese.
Passano alcune stagioni ed arriva, finalmente, il fatidico giorno, in cui lui annuncia alla compagna di avere ottenuto il divorzio e l’annullamento del precedente matrimonio alla Sacra Rota, e quindi, iniziano i preparativi per il matrimonio religioso. I due fidanzati frequentano per un anno il corso prematrimoniale presso una parrocchia di Milano durante il quale Il futuro sposo riferisce al parroco di essere divorziato e di avere ottenuto l’annullamento del matrimonio religioso da parte del Tribunale della Sacra Rota. Ora manca soltanto la fissazione della data del matrimonio. Peraltro, proprio in concomitanza della cui frequentazione del corso prematrimoniale avviene anche il concepimento del figlio. Anche la data quindi viene fissata, al 10 aprile corrente anno, e vengono predisposte le partecipazioni.
Adesso però è giunto il momento irrimandabile che i genitori degli sposi si incontrino, ma ad un mese dalla data del matrimonio, il promesso sposo, incalzato dalle domande della compagna, come detto incinta, ammette di non avere mai chiesto l’annullamento del matrimonio ma conferma di essere divorziato e di volere sposare la donna con rito civile. La fidanzata, oltre che ovviamente arrabbiata, si insospettisce e nei giorni successivi pedina l’uomo e lo sorprende, niente poco di meno che all’uscita della sua casa coniugale insieme alla moglie ufficiale, anch’essa in attesa di un figlio, dalla quale non si era mai separato. Immaginate gli urli, i pianti, la irrimediabile rottura di ogni rapporto … e sulla scena irrompe il Giudice Penale, dinanzi al quale l’uomo è chiamato a difendersi dalle imputazioni di tentata bigamia e di falso in atti pubblici, in certificazioni dello stato civile e scritture private.
Inizia, quindi, la vicenda processuale che in tutti e tre i suoi gradi conferma la condanna, ma non per bigamia. Il reato è di sostituzione di persona. Il Tribunale aveva, infatti, ritenuto che la condotta dell’uomo non fosse univocamente indirizzata a contrarre un matrimonio avente effetti giuridici in costanza di un altro vincolo matrimoniale anch’esso con effetti civili, quanto piuttosto fosse diretta ad illudere la donna di essere libero, allo scopo di continuare la relazione sentimentale con costei; di qui la riqualificazione del fatto, originariamente contestato come tentata bigamia, in sostituzione di persona.
La Corte di Cassazione – rigettato il ricorso proposto dall’imputato – ha confermato la condanna evidenziando come il delitto si consuma nel momento in cui taluno è indotto in errore a prescindere dal fatto che il vantaggio avuto di mira dall’agente sia stato o meno conseguito. Si è ritenuto che integri il delitto di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.) la condotta di colui che crea ed utilizza un “profilo” su social network, utilizzando abusivamente l’immagine di una persona del tutto inconsapevole, associata ad un “nickname” di fantasia ed a caratteristiche personali negative.
Integra infine, il delitto di sostituzione di persona la condotta di colui che si attribuisca un falso nome in modo da poter avviare una corrispondenza con soggetti che, altrimenti, non gli avrebbero concesso la loro amicizia e confidenza.
Enrico Michetti Gazzetta Informa News 13 settembre 2016
www.ilquotidianodellapa.it/_contents/news/2016/agosto/1471501280448.html
Sentenza https://renatodisa.com/2016/09/16/corte-di-cassazione-sezione-v-penale-sentenza-10-agosto-2016-n-34800
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MATRIMONIO
In Italia boom di nozze anziani-badanti.
Negli ultimi anni il numero dei matrimoni tra anziani e donne molto più giovani, spesso badanti e colf, è «raddoppiato, fino a toccare quota tremila». Ma in genere non si tratta di unioni fortunate: il 70% di queste nozze è destinato a fallire, secondo il Centro studi dell’Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani, che fa notare come il 20% delle separazioni e delle cause in tribunale riguardi «esclusivamente persone con più di 65 anni». «Ogni anno – dice il presidente dell’Ami Gian Ettore Gian Ettore Gassani – sono oltre 2500 i procedimenti, in sede civile, che riguardano anziani che hanno allacciato relazioni con donne molto più giovani o che sono in procinto di farlo. Si presume che il dato sia identico, anche in sede penale, per denunce del reato di circonvenzione di incapace e truffa. Un campanello d’allarme importante, da non sottovalutare per una serie di motivi. Innanzitutto perché, come si può facilmente immaginare, spesso questi matrimoni hanno aspetti patologici e possono rappresentare un reale pericolo per gli anziani: il rischio di frode e di raggiro è dietro l’angolo».
I matrimonialisti chiariscono che non intendono «criminalizzare colf e badanti, che, anzi, si sono rivelate in questi anni di fondamentale importanza perché rappresentano il welfare della Terza età». Ma vedono dietro la diffusione del fenomeno l’esistenza di un «disagio importante». «Il nostro è un Paese sempre più vecchio e, forse, per certi aspetti anche più solo – osserva Gassani -. È vero che nella maggior parte dei casi, l’anziano pensa che la giovane donna sia davvero innamorata di lui. Ma non è sempre così: spesso preferisce avere accanto a sé una donna che finge di amarlo, piuttosto che i figli che non si ricordano neanche di andarlo a trovare o di fargli gli auguri di buon compleanno».
| Redazione Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani 11 settembre 2016
http://www.ami-avvocati.it/in-italia-boom-di-nozze-anziani-badanti/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+ami-avvocati+%28AMI-avvocati.it+RSS%29

I diritti e i doveri reciproci dei coniugi
Effetti del matrimonio. Seppure specificamente elencati nella lettera dell’art. 143 c.c., la legge non definisce nel dettaglio quale sia il contenuto dei singoli doveri coniugali, pertanto tale definizione può essere determinata dalla coscienza sociale. Tuttavia, si specifica in dottrina che accanto ai doveri espressamente statuiti dal citato articolo debbano aggiungersi i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti dall’art. 2 Cost.
L’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi. L’elemento caratterizzante la riforma del 1975 e la conseguente riscrittura dell’art. 143 c.c., relativo ai diritti e doveri dei coniugi, è la concezione della famiglia come una “società di eguali”, che in assenza di una guida sovraordinata, deve necessariamente trovare un accordo nella programmazione della vita familiare.
La tutela delle libertà personali dei coniugi. La famiglia rappresenta un punto di equilibrio tra la manifestazione della personalità del singolo insieme al godimento delle libertà individuali, ai sensi dell’art. 2 Cost., e l’esplicazione dei doveri nascenti dallo status familiare con il primario interesse della tutela dell’unità familiare. Il fulcro di siffatto bilanciamento risiede nella modalità di attuazione tra diritti di libertà della persona e necessità del rispetto dei doveri coniugali.
Nozione. Seppure specificamente elencati nella lettera dell’art. 143 c.c., la legge non definisce con precisione quale sia il contenuto dei singoli doveri coniugali. In merito, la dottrina afferma che siffatta definizione può essere determinata dalla coscienza sociale [si veda, F. Ruscello, I diritti e doveri nascenti dal matrimonio, in Tratt. Zatti, I, Famiglia e matrimonio, Milano, 2002, 727; si veda l’art. 143 del Codice Commentato). Altre voci specificano che accanto ai doveri espressamente statuiti dal citato articolo debbano aggiungersi i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti dall’art. 2 Cost. Anche in questo caso si tratterebbe di diritti reciproci e inderogabili, aventi natura giuridica e non meramente morale, discendenti dal matrimonio e vincolanti seppure i nubendi non se li siano raffigurati [si veda, G. Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, cit., 89]. La rilevanza si concretizza nell’ipotesi di separazione giudiziale della coppia, dove l’attribuzione dell’addebito costituisce la sanzione tipica dell’avvenuta violazione (si veda l’art. 143 del Codice Commentato). In tempi recenti la giurisprudenza maggioritaria (seppure dibattuta da certa dottrina e da corti minoritarie) ha affermato la configurabilità della tutela aquiliana ex art. 2043 c.c. nei casi in cui per la sanzione di siffatte violazione non fosse sufficiente l’attribuzione dell’addebito della separazione. A questo proposito la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la violazione dei doveri coniugali non trova sanzione soltanto nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma può anche integrare gli estremi dell’illecito civile, dando luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali, senza che la mancanza di una pronuncia di addebito in sede di separazione possa risultare preclusiva dell’azione in responsabilità (si veda, Cass., 15 settembre 2011, n. 18853). Nondimeno, l’ordinamento giuridico nel suo complesso appronta una “pluralità di sanzioni” all’inosservanza del precetto stabilito dall’art. 143 c.c. A questo proposito, si ricordano gli artt. 146, 342-bis e ss.; art. 570 c.p. (si veda l’art. 143 del Codice Commentato).
L’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi (articoli 3 e 29 Cost.). È notorio, ormai, come storicamente il modello familiare si sia evoluto da una impostazione tradizionale di stampo patriarcale a un più recente modello egualitario. Siffatto passaggio non è stato immediato e lineare, ma si è compiuto soltanto con la Riforma del diritto di famiglia del 1975 che da un lato attua il principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi prevista dall’art. 29 Cost, dall’altro si fonda nei principi di solidarietà previsti dagli artt. 2 e 3 Cost. L’elemento caratterizzante la riforma del 1975 e la conseguente riscrittura dell’art. 143 c.c., relativo ai diritti e doveri dei coniugi, è la concezione della famiglia come una “società di eguali”, che in assenza di una guida sovraordinata (il marito inteso come capofamiglia, rispetto alla moglie, alla quale spettava un ruolo meramente subalterno nella precedente lettera della legge), deve necessariamente trovare un accordo nella programmazione della vita familiare [si veda, F. Santoro Passarelli, Dei doveri e dei diritti che nascono dal matrimonio. Note introduttive agli articoli 143-146, in Comm. Cian, Oppo, Trabucchi, II, Padova, 1992, 493; art. 143 del Codice Commentato). La dottrina osserva che siffatta uguaglianza è sostanziale, e può essere derogata in concreto (non in astratto) nell’interesse dell’unità familiare e quindi non potrebbe essere considerata alterata dalle deroghe che la legge stessa vi pone, qual è, ad esempio, quella contenuta nell’art. 143-bis c.c., relativo al cognome della moglie.
Giurisprudenza. Siffatta tematica, vista soprattutto in prospettiva della trasmissione automatica del cognome paterno al figlio della donna coniugata, costituisce un fattore residuale discriminante nei confronti della donna all’interno della disciplina del diritto di famiglia. La giurisprudenza di legittimità aveva affermato sul punto che “l’attribuzione automatica del cognome paterno al figlio legittimo, che non può essere disapplicata neppure se entrambi i coniugi lo vogliono, non è più coerente con i principi dell’ordinamento né con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna” (si veda, Cass. 22 settembre 2008, n. 23934). Anche la Corte costituzionale, con la decisione del 16 febbraio 2006, n. 61 aveva già sottolineato, pressoché con le stesse parole, l’incoerenza dell’attuale sistema di trasmissione del patronimico che “affonda le radici nella tradizione romanistica e in una tramontata potestà maritale non più coerenti con il sistema costituzionale”.
Sotto il profilo del diritto internazionale, la Convenzione di New York, ratificata dall’Italia con la L. 14 marzo 1985, n. 132, afferma all’art. 16 impegna gli Stati contraenti ad “adottare tutte le misure adeguate per eliminare le discriminazioni nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti famigliari e, in particolare, ad assicurare gli stessi diritti personali al marito ed alla moglie, compresa la scelta del cognome”. Sotto il profilo del diritto dell’Unione Europea in materia rilevano gli artt. 12 e 17 del Trattato CE come interpretati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee che, nella sentenza del 2 ottobre 2003 (si veda, causa Carlos Garcia Avello contro Belgio), aveva vietato agli Stati membri, in materia di attribuzione del cognome, di imporre contro la volontà dell’interessato l’applicazione di una normativa interna perché ciò “costituirebbe una discriminazione effettuata in base alla nazionalità preclusa dall’art. 12 del Trattato CE”. Mentre sotto quello del diritto sovranazionale si segnalano le Raccomandazioni del Consiglio d’Europa n. 1271 del 1995 e n. 1362 del 1998 relative alla parità tra madre e padre nella trasmissione del cognome ai figli; la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che si indirizza verso la eliminazione di ogni discriminazione basata sul sesso nella nascita del cognome (come nelle sentenze 16 febbraio 2005, Unal Teseli contro Turchia, 24 ottobre 1994, Stjerna contro Finlandia, 24 gennaio 1994, Burghartz contro Svizzera). Di recente la stessa Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per violazione degli artt. 8 e 14 CEDU per violazione del diritto alla riservatezza nella vita familiare e per la discriminazione subita dalla madre impossibilitata, anche con l’accordo del marito, nel trasmettere il proprio cognome al figlio.
La tutela delle libertà personali dei coniugi. Secondo la dottrina [si veda, F. Finocchiaro, Matrimonio, cit., 248] la famiglia rappresenta un punto di equilibrio tra la manifestazione della personalità del singolo all’interno delle libertà individuali, ex art. 2 Cost., e l’esplicazione dei doveri nascenti dallo status familiare con il primario interesse della tutela dell’unità familiare (si veda l’art. 143 del Codice Commentato). Il fulcro di siffatto bilanciamento risiede nella modalità di attuazione tra diritti di libertà della persona e necessità del rispetto dei doveri coniugali. La dottrina sostiene che ciascun coniuge mantiene il diritto a godere di una sfera privata per mantenere i propri interessi e attitudini, rifiutando l’imposizione di frequentazioni sgradite [si veda, M. Paradiso, I rapporti, personali tra coniugi, cit., 68]. A questo proposito, si sottolinea che l’armonizzazione della famiglia si realizza attraverso un governo “diarchico” (si veda l’art. 143 del Codice Commentato), secondo cui l’interesse della medesima deve essere armonizzato con il principio di libertà personale (art. 13 Cost.). Pertanto, l’intolleranza di un coniuge rispetto ai parenti dell’altro non può esprimersi in comportamenti che vadano a violare la libertà di quest’ultimo di intrattenere sereni e liberi rapporti con la propria famiglia di origine (si veda, Trib. Catania, 31 dicembre 1992). Uno dei punti più delicati relativi al raggiungimento di questo equilibrio riguarda, per esempio, la manifestazione della libertà religiosa. In passato, la giurisprudenza di merito aveva affermato che la professione di un credo religioso si concreta in una violazione dei doveri coniugali e genitoriali quando il coniuge, privilegiando i soli doveri derivanti dall’appartenenza alla religione professata, non rispetti gli elementari doveri di assistenza e collaborazione verso la moglie ed esiga che anche il figlio assuma un atteggiamento di intransigenza e di intolleranza, soprattutto religiosa, nei confronti dei terzi (si veda, Trib. Bologna, 5 febbraio 1997). Infatti, concretamente la citata giurisprudenza ha ritenuto che ciascun soggetto, coniugato o di stato libero, con prole o senza prole, abbia piena ed illimitata libertà di abbracciare, professare e manifestare qualsiasi confessione religiosa, essendo il nostro ordinamento ormai improntato a principi di laicità e di aconfessionalità, sicché il praticare e manifestare la propria fede nelle forme più rigorose ed integraliste, con l’unico limite dell’ordine pubblico e del buon costume, non può di per sé costituire, pur nell’opposizione del coniuge, causa di addebito della separazione, deve tuttavia ritenersi che costituisca motivo di addebito la professione di un credo religioso fonte fattuale ed effettuale di gravi violazioni dei doveri coniugali e parentali: la separazione va, quindi, addebitata al coniuge che, privilegiando esclusivamente i doveri a lui derivanti dall’appartenenza alla religione professata, venga meno ai doveri elementari di assistenza e collaborazione verso l’altro coniuge (privato financo della “privacy” domestica, a causa della continua presenza, imposta dal coniuge, nella casa coniugale (monolocale) di correligionari di passaggio), e pretenda altresì di trasmettere al figlio un atteggiamento aprioristico di intransigenza, di intolleranza e di acritico rifiuto verso l’altrui condotta, soprattutto religiosa, impedendo in tal modo al figlio stesso di vivere ed assimilare un regolare processo di socializzazione e di temperanza (si veda, Trib. Bologna, 5 febbraio 1997, cit.).
L’attività lavorativa del coniuge. Per quel che concerne l’esercizio di una attività lavorativa del coniuge, generalmente della donna, la quale è tradizionalmente preposta all’allevamento dei figli, specie in tenera età, la dottrina osserva che “si pone come necessario il coordinamento con la “essenziale funzione familiare” che è chiamata a svolgere” ai sensi dell’art. 37, comma 1, Cost. (Si veda l’art. 143 del Codice Commentato). La dottrina sostiene la presenza di una presunzione sulla base della quale l’attività della moglie svolta al di fuori del focolare domestico è sempre legittima. Ne consegue che è onere di chi la contesta, dimostrarne l’incompatibilità con le esigenze della famiglia (si veda, F. Villa, Gli effetti del matrimonio cit., 344]. Inoltre, l’attività lavorativa della moglie senza il gradimento del marito non può costituire di per sé causa di addebito della separazione. Per quel che concerne la libertà di circolazione e di soggiorno (art. 16 Cost.), si rileva che deve essere esercitato in base all’accordo tra i coniugi ex art. 144 c.c., ma che al coniuge non è precluso il diritto individuale di soggiornare altrove, per motivi di lavoro, di studio, di turismo, purché compatibilmente con l’assolvimento dei doveri coniugali, le possibilità economiche della famiglia e con l’accordo dell’altro coniuge.
Giurisprudenza. Perché il lavoro extradomestico svolto dalla moglie costituisca, nel giudizio di separazione personale, causa di addebito, è necessario che il marito dia la prova o che tale lavoro abbia influito negativamente sulla vita della famiglia e sull’educazione dei figli, rendendo intollerabile la prosecuzione della convivenza, o di avere, inutilmente, invocato l’intervento del giudice, ex art. 145 c.c., per sanare il contrasto tra le parti su tale questione (Trib. Napoli, 30 giugno 1981).
Pronunciata la separazione dei coniugi con addebito al marito, deve essere cassata la sentenza di merito che abbia negato alla moglie, ritenuta in possesso di capacità lavorative, l’assegno di mantenimento, in mancanza di prova di rifiuto di occasioni di reddito da lavoro (Cass., 2 luglio 2004, n. 12121).
In tema di separazione giudiziale dei coniugi, non costituisce motivo di addebito la circostanza che uno dei coniugi, pur non avendone la necessità, si sia dedicato ad un’attività lavorativa retribuita o ad altra occupazione, al fine di affermare la propria personalità, sempre che tale decisione non sia incompatibile con l’adempimento dei fondamentali doveri coniugali e familiari, e non contrasti con l’indirizzo di vita coniugale da entrambi i coniugi concordato prima o dopo il matrimonio (nella specie, la moglie, dopo il matrimonio, ed allorché i figli erano ormai adulti, si era dedicata ad un’attività commerciale, ma con esiti disastrosi, nonostante l’aiuto economico prestatole dal marito che pure, in un primo momento, aveva contrastato tale sua scelta) (Cass., 11 luglio 2013, n. 17199).
News letter Studio Sugamele 17 settembre 2016
www.divorzista.org/sentenza.php?id=12560
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METODI NATURALI

Seminario per formatori dei metodi naturali.
A Roma, dal 2 al 4 dicembre 2016, in occasione del 25° anniversario della CICRNF Confederazione Italiana dei Centri per la Regolazione Naturale della Fertilità “1991-2016: 25 anni a servizio dell’amore e della vita”, avrà luogo il Seminario “Situazioni particolari della vita fertile della donna: originalità di approccio dei tre Metodi Naturali insegnati in Italia”, organizzato dalla CICRNF e rivolto ai Formatori dei Metodi: Ovulazione Billings, Sintotermico Roetzer e Sintotermico Camen.
Relatori
Mons. Andrea Bellandi – Docente Ordinario di Teologia Fondamentale presso la Facoltà Teologica
dell’Italia Centrale – Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Firenze
Prof.sa Donatella Bramanti – Professore Associato di Sociologia dell’Infanzia e della Famiglia, Facoltà di Psicologia Università Cattolica Sacro Cuore, Milano
Dot. Izzeddin Elzir – Presidente Unione delle Comunità Islamiche d’Italia (UCOII) – Imam della Moschea di Firenze
Dot. Andrea Fagioli – Giornalista, Direttore del settimanale diocesano “Toscana Oggi”
Prof. Yosef Levi – Psicologo – Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Firenze e della Toscana Centro Orientale
Prof. Antonio Mancini – Andrologo, Professore Aggregato Endocrinologia, Università Cattolica Sacro Cuore Policlinico A. Gemelli, Roma
Prof. Riccardo Marana – Ginecologo, Direttore Istituto Scientifico Internazionale “ISI” Paolo VI per lo studio della fertilità e dell’infertilità, Università Cattolica Sacro Cuore Policlinico A. Gemelli, Roma
Prof.sa Daniela Musumeci – Professore Associato di Fisiologia Umana, Università di Pisa
Dot.sa Brunella Occupati – Dirigente Medico I Livello S.O.D. Tossicologia Medica, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze – Specialista in Tossicologia Medica e Ostetricia e Ginecologia
Dot. Alessandro Papini – Andrologo, urologo –Associazione “Famiglie di Mamre” – Arezzo
Dot.sa Paola Pellicanò – Medico, Dottore di Ricerca in Bioetica, membro del Centro Studi Regolazione Naturale della Fertilità dell’Università Cattolica Sacro Cuore, Roma.

Iniziative specifiche di centri confederati della CICRNF, in occasione del Fertility Day
I centri confederati della CICRNF – Confederazione Italiana dei centri per la Regolazione Naturale della Fertilità, in occasione del Fertility Day, promuovono iniziative specifiche in diverse città italiane sono in programma eventi specifici.
Angri (SA), Bari, Catania, Udine, Milano: La Bottega dell’Orefice.
Asti, Brescia, Firenze, Pozzuoli (NA), Trento
www.confederazionemetodinaturali.it/fertility-day-altri-eventi-della-cicrnf/s442f0268
www.confederazionemetodinaturali.it/identita/s82351097
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MINORI
Sul tavolo questioni da risolvere urgentemente: post-adozione, decreti vincolati, banca dati, i Misna.
L’importanza del post-adozione, l’inadeguatezza e ingiustizia dei decreti vincolati “imposti” ancora da alcuni Tribunali per i minorenni (come quello di Venezia e Roma), l’impellenza di istituire al più presto la Banca dati delle adozioni nazionali e una cabina di regia per l’accoglienza dei Misna (minori stranieri non accompagnati). Questi i temi che sono stati al centro dell’incontro del Presidente di Ai.Bi (Amici dei Bambini) Marco Griffini con la Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano avvenuto oggi 13 settembre 2016 a Roma.
“E’ stato un incontro costruttivo – dice Griffini – perché sono state affrontate tematiche molto delicate e che devono essere risolte al più presto. Ma soprattutto quello che maggiormente fa piacere è la disponibilità e la voglia di collaborazione dimostrata da un’Istituzione pronta al dialogo e al confronto con la società civile: un modus operandi non molto diffuso di questi tempi”.
Per quanto riguarda il post adozione “la Garante Albano – precisa Griffini – ha condiviso quello che Ai.Bi sostiene da sempre: le coppie devono essere seguite non solo nel pre-adozione ma anche e soprattutto all’arrivo e nell’inserimento dei bambini adottati. In quest’ottica è necessaria una maggiore collaborazione tra i servizi sociali e gli enti autorizzati, l’istituzione di fondi ad hoc e l’ideazione di percorsi di accompagnamento per le coppie adottive”. A questo proposito il presidente Griffini ha illustrato le “fondate preoccupazioni per quanto riguarda i minori arrivati dal Congo visto che né le coppie né soprattutto i minori sono stati preparati a questo momento fondamentale per la loro famiglia”. “I lunghi anni di attesa dei minori senza beneficiare del supporto dell’Ente – ha spiegato il presidente ad Albano – , tra l’altro dopo avere subito trasferimenti inattesi, il fatto che i minori non beneficeranno del periodo di affiatamento e convivenza con i genitori nel proprio Paese d’origine ed, infine, il fatto che questa attesa ‘aggiuntiva’ di 3 o 4 anni ha significato un cambiamento significativo nell’età dei minori adottati, tanto da richiedere a nostro avviso un ulteriore approfondito ascolto del bambino, ci impongono il dovere di richiedere di prestare, in collaborazione con i Servizi Sociali Territoriali di riferimento, una particolare attenzione a queste adozioni che in forza della revoca delle coppie non potranno essere seguite da Ai.Bi.”. Preoccupazioni comunicate anche ai Tribunali per i Minorenni.
Secondo tema al centro dell’incontro sono stati i decreti vincolati applicati ancora da alcuni tribunali per i minorenni (in particolare da quello di Venezia e di Roma) che “impongono” alle coppie l’adozione di minori entro determinate fasce di età penalizzando di fatto i bambini più grandi. Se infatti, con l’ordinanza del 28 dicembre 2011 la Corte di Cassazione ha ribadito che non devono esserci dei “limiti” relativi all’etnia, questo ancora manca per quanto riguarda gli anni del minore. “Il Garante – precisa Griffini – ha condiviso la forte preoccupazione e si è dimostrata determinata a porre fine a questa piaga”.
Si è parlato anche della Banca dati delle adozioni nazionale: l’idea risale al 28 marzo 2001 quando, con l’articolo 40 della legge 149, presso il ministero della Giustizia, si decise di istituire una Banca per la registrazione, da un lato, di nomi e profili dei minori adottabili e, dall’altro, quelli delle coppie disponibili all’adozione. Lo scopo era agevolare la ricerca dei genitori più adatti all’adozione di ogni singolo bambino, comparando disponibilità e caratteristiche delle coppie con quelle dei minori e facilitando la comunicazione e lo scambio di informazioni tra i Tribunali italiani. A nulla è servita neppure la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio che, nel 2012 accolse un ricorso presentato da Amici dei Bambini contro il ministero della Giustizia proprio per chiedere l’immediata istituzione della Bda. Anche un successivo stanziamento di 800mila euro mirato alla realizzazione della Banca dati non ha dato alcun effetto. Come i 2 decreti attuativi del ministero della Giustizia, entrambi del 2004, e un decreto del Capo dipartimento per la Giustizia minorile del 2013 finalizzato all’ “attivazione” formale della banca dati. Solo a maggio scorso, del Guardasigilli Andrea Orlando, nel corso della sua audizione alla commissione Giustizia della Camera, ha sottolineato che entro il 30 settembre 2016 ci sarebbe stato “il suo pieno funzionamento” “con ciò rendendo noto che in realtà la banca dati “non è operativa”. “Nel corso dell’incontro con la Garante Albano – evidenzia Griffini – è stato illustrato come tale lacuna non rende monitorabile la situazione dei minorenni adottabili che non vengono adottati. Si è passati dalla stima di 1900 minori adottabili, accolti in affido e in comunità perché non adottati da oltre due anni, al dato di 300 minorenni riportato dal dipartimento di giustizia minorile e infine al dato rilevato dall’Istat che evidenzia come nel 2013 fossero in comunità di accoglienza 779 minorenni adottabili”.
Infine per quel che riguarda si è parlato anche dei Misna e della cabina di regia nazionale per smistare rapidamente in tutta Italia i minori. “Una proposta avanzata dalla stessa Garante – conclude Griffini – di fondamentale importanza perché si potrebbero così finalmente avviare gli affidi dei minori essendoci molte famiglie disposte ad accoglierli”.
News Ai. Bi. 13 settembre 2016
www.aibi.it/ita/roma-griffini-ai-bi-incontra-la-garante-nazionale-per-linfanzia-albano-sul-tavolo-questioni-da-risolvere-urgentemente-il-post-adozione-i-decreti-vincolati-la-banca-dati-e-i-mi
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PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA
Via libera del Consiglio di Stato al regolamento.
Consiglio di Stato, Sezione atti norm., n. 1882, 8 settembre 2016.
Il Consiglio di Stato ha reso il parere favorevole sullo schema di regolamento recante le norme in materia di manifestazione della volontà di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
In sintesi, lo schema di regolamento è volto a disciplinare gli elementi minimi di conoscenza necessari alla formazione del consenso informato, in caso di richiesta di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita; le modalità con cui le strutture autorizzate allo svolgimento di tali tecniche devono fornire ai richiedenti, per il tramite dei propri medici, le predette informazioni, comprensive di quelle relative ai costi economici derivanti dalle procedure in questione e le modalità con cui deve essere espressa la volontà di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
Allegato il pdf:
www.ilquotidianodellapa.it/_contents/news/2016/settembre/1473687317904.html
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NON PROFIT ONLUS
Vantaggi a costituirsi come associazione ai sensi del 148 TUIR?
Il vantaggio di costituirsi come associazione senza fini di lucro ai sensi dell’articolo148 del TUIR (Decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1986, n. 917) è soprattutto di natura fiscale.
L’articolo in esame disciplina la tassazione del reddito degli enti di tipo associativo, introducendo per alcuni di essi (tra cui le associazioni assistenziali) una serie di agevolazioni fiscali. In particolare, il legislatore conferma, quale principio generale, la natura commerciale delle cessioni di beni e prestazioni di servizi rese dalle associazioni, seppur in conformità alle finalità istituzionali, ai loro associati o partecipanti verso il pagamento di corrispettivi specifici. (Art. 148, comma 2).
In deroga a tale regola generale, al comma 3 è sancita la non commercialità delle attività svolte da alcune tipologie di enti associativi in diretta attuazione degli scopi istituzionali nei confronti degli iscritti, associati e partecipanti, seppur verso il pagamento di un corrispettivo, rimanendo ferma la natura commerciale dell’attività rivolta ai terzi.
La norma in esame, tuttavia, stabilisce che alcune attività sono da considerarsi in ogni caso commerciali, anche se effettuate da dette associazioni nei confronti dei propri associati. In particolare, hanno sempre natura commerciale le seguenti operazioni:
Cessioni di beni nuovi per la vendita;
Somministrazioni di pasti;
Erogazioni di acqua, gas, energia elettrica e vapore;
Prestazioni alberghiere, di alloggio, di trasporto e di deposito;
Prestazioni di servizi portuali e aereoportuali;
Gestioni di spacci e mense;
Organizzazioni di viaggi e soggiorni turistici;
Gestioni di fiere ed esposizioni a carattere commerciale;
Pubblicità commerciale;
Telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari.
Newsletter Non profit on line 15 settembre 2016
http://www.nonprofitonline.it/default.asp?id=508&id_n=6943

Questioni e pronunce della Corte di legittimità
In materia di ONLUS, vi proponiamo tre articoli di FiscoOggi (la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate) che analizzano alcune delle principali questioni dibattute in giudizio e il relativo orientamento della Cassazione.
Nel primo contributo, il controllo preventivo degli statuti e/o degli atti costitutivi: dall’interpretazione delle norme alle conferme giurisprudenziali. Gli enti che intendono acquisire la qualifica di Onlus, devono iscriversi, come previsto dall’articolo articolo 11 del Dlgs 460/1997 e dal Dm 18 luglio 2003, n. 266, nell’apposita Anagrafe unica.
Nel secondo articolo precisazioni sulla nozione di “persone svantaggiate”: Per qualificare l’ente non profit come organizzazione non lucrativa di utilità sociale, non basta lo svolgimento dell’attività a favore di una generalità indistinta di beneficiari.
Il terzo contributo affronta il tema della decadenza dalle agevolazioni in caso di mancata o irregolare tenuta della contabilità. Se gli obblighi contabili non vengono rispettati, le Onlus, cancellate dall’Anagrafe unica, perdono i benefici fiscali indebitamente fruiti, con recupero dei tributi non corrisposti.
Vedi in dettaglio www.fiscooggi.it/rubrica/analisi-e-commenti
www.nonprofitonline.it/default.asp?id=466&id_n=6939
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NULLITÀ MATRIMONIALE
Dichiarazione di invalidità del matrimonio.
Matrimonio: definizione e tipologie. Il matrimonio è il vincolo tra due persone che costituisce la base della famiglia, definita dalla Costituzione come società naturale [Art. 29, co. 1, Cost.] ed elemento fondante l’intera struttura sociale. Si tratta di un atto giuridico che può essere concluso solo se ricorrono determinate condizioni e con una forma stabilita dalla legge. Dalla sua celebrazione, derivano delle precise conseguenze giuridiche. Si tratta degli effetti civili che delineano il rapporto tra i due soggetti diventati coniugi: per essi, la legge detta precisi diritti e doveri reciproci e un regime patrimoniale specifico. Questi effetti possono sospendersi o venir meno a seguito del fallimento del vincolo matrimoniale.
Tuttavia, quando l’amore finisce, i coniugi che devono far fronte alla loro nuova situazione, non hanno a disposizione solo la separazione o il divorzio, ma possono anche ricorrere alla dichiarazione di invalidità del matrimonio. Da questo punto di vista, occorre, però, premettere che la situazione cambia a seconda del tipo di matrimonio contratto:
civile, celebrato davanti a un ufficiale di stato civile e regolato integralmente dalle leggi italiane,
religioso, il più diffuso dei quali è il matrimonio “concordatario”, che viene celebrato davanti a un sacerdote secondo le regole del diritto canonico ma che ha gli effetti civili previsti dalle leggi italiane, sempre che ricorrano precise condizioni.
Matrimonio civile: che cosa si intende per annullamento? Il matrimonio civile può essere impugnato con una richiesta di annullamento o di nullità quando è celebrato in mancanza delle condizioni richieste dalla legge oppure in presenza di limiti o vizi: l’annullamento, quindi, cancella il vincolo coniugale come se non fosse mai esistito.
Onde evitare equivoci, precisiamo un aspetto che genera spesso confusione: l’annullamento viene dichiarato quando il matrimonio non è mai stato valido fin dalla sua origine; il divorzio, invece, è lo scioglimento di un matrimonio già valido.
A seconda del vizio che si fa valere, è possibile chiedere l’annullamento o la nullità del matrimonio.
In realtà, in ambito matrimoniale, la distinzione tra annullabilità e nullità, specie in relazione agli effetti, non è così netta. Generalmente, per distinguere quali casi rientrino nell’una o nell’altra categoria, si fa riferimento alla possibilità di convalidare l’atto di matrimonio, alla rilevabilità d’ufficio del vizio (cioè al fatto che è il giudice a mettere in evidenza il vizio, senza necessità che sia la parte a segnalarlo) e alla prescrittibilità dell’azione volta a farlo valere (per prescrizione si intende qual fenomeno in base al quale, se un soggetto non esercita un suo diritto in un certo lasso di tempo stabilito dalla legge, il diritto stesso si estingue).
Matrimonio civile: quando si annulla? I motivi che determinano l’annullamento del matrimonio civile e di quello concordatario non sono uguali. Esaminiamoli uno per uno, facendo delle premesse necessarie: i vizi del matrimonio possono riguardare:
La formazione e il contenuto dell’atto di matrimonio,
La mancanza delle condizioni generali per contrarlo
Oppure il mancato rispetto delle regole relative alla sua celebrazione.
Matrimonio civile: cosa sono i vizi del consenso? Particolare rilievo hanno i vizi del consenso per effetto dei quali la volontà di uno dei coniugi non si manifesta in modo libero e autonomo al momento dello scambio delle dichiarazioni: in pratica alla domanda famosa “Siete venuti a celebrare il matrimonio senza alcuna costrizione, in piena libertà e consapevoli del significato della vostra decisione?”, si dovrebbe rispondere “NO”. Vediamo quali sono:
Violenza Il coniuge può domandare l’annullamento del matrimonio quando ha subìto una violenza morale in grado di condizionare il suo consenso (“Ho paura che/di…, quindi mi sposo”, ma non costituisce violenza la generica minaccia dei genitori di cacciare la propria figlia da casa per aver avuto rapporti intimi con il fidanzato). Essa si manifesta in una minaccia che possiede le seguenti caratteristiche:
È grave, attuale ed effettiva;
È idonea a far temere un male ingiusto e notevole, tenendo conto della sensibilità personale e dello stato soggettivo del coniuge;
Può essere espressa con qualsiasi mezzo (parole, gesti, scritti) ed essere esplicita o manifestata indirettamente attraverso comportamenti intimidatori.
Oggetto della violenza è la persona oppure i beni dello sposo o dei suoi prossimi congiunti.
Timore. Se nella violenza le minacce sono dirette a far celebrare nozze non volute, in caso di timore il matrimonio non deve essere imposto, ma presentarsi come l’unica via per sottrarsi a un pericolo e come la scelta del male minore (“Mi sposo perché è l’unico modo per…”: ad esempio, il coniuge decide di sposarsi per sottrarsi a una violenza o persecuzione politica, sociale o familiare). Il timore deve essere di eccezionale gravità, tale da condizionare la manifestazione del consenso, in base alle condizioni personali e alla sensibilità del coniuge e derivare da una causa esterna, quindi da una persona o un fatto naturale. Di conseguenza, il timore putativo – privo di riscontri oggettivi e basato esclusivamente su un sentimento di angoscia o disperazione sorto nell’animo del coniuge – e quello reverenziale (lo stato di soggezione psicologica basato su sentimenti di ossequio e reverenza), non giustificano l’annullamento del matrimonio.
Errore. Il matrimonio può essere impugnato per errore sull’identità o sulle qualità personali dell’altro coniuge (“Mi sono sbagliato”). Il primo tipo di errore può verificarsi solo nel matrimonio per procura, in cui i coniugi non si sono incontrati (infatti, è consentito in tempo di guerra ai militari e alle persone che, per ragioni di servizio, si trovano al seguito delle forze armate) o nel caso in cui un soggetto contragga matrimonio sotto falso nome, assumendo l’identità di un’altra persona. Generalmente, l’errore in questione è rilevante solo quando è capace di influire sul rapporto coniugale rendendone impossibile lo svolgimento. L’errore sulle qualità personali, per determinare l’annullamento, deve essere determinante per il consenso dell’altro coniuge (classico esempio di errore sulla qualità è quello di Tizia che vuole sposare un medico e, credendo che Caio sia proprio un medico, si decide per le nozze; ma se Tizia avesse saputo che Caio in realtà non era un medico non avrebbe mai deciso di sposarlo. Per Tizia, infatti, la qualità di medico è quella che l’ha determinata direttamente e principalmente alle nozze con Caio) e tale per cui, in sua assenza, quest’ultimo non avrebbe contratto matrimonio. Esso può avere ad oggetto solo fatti presenti o passati e non circostanze future; per capire meglio, le circostanze che possono indurre in errore sono queste:
Malattia fisica o psichica, anomalia o deviazione sessuale: tale malattia deve sussistere prima del matrimonio e influire in modo determinante sulla vita coniugale: per capirci, disturbi psichici, sieropositività, tossicodipendenza, impotenza, problemi ad avere rapporti sessuali, ecc…;
Sentenza di condanna per delitto non colposo (cioè, un delitto compiuto con dolo, con la consapevolezza e la volontà di commettere un reato) alla reclusione non inferiore a 5 anni, salvo riabilitazione prima della celebrazione del matrimonio;
Dichiarazione di delinquenza abituale o professionale;
Condanna per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a 2 anni;
Stato di gravidanza. E’ l’errore in cui cade il marito che sa che la moglie è incinta ma ignora che il bambino che quest’ultima aspetta non è suo.
Simulazione. Ciascuno dei coniugi può chiedere che il matrimonio sia annullato se, prima della sua celebrazione, gli sposi hanno concluso un accordo per non adempiere agli obblighi e non esercitare i diritti matrimoniali (“Mi sposo, ma tanto so già che divorzieremo”). La simulazione, non a caso, è particolarmente usata per le conseguenze giuridiche che derivano dalla celebrazione del matrimonio, specie quando esso è celebrato tra un cittadino italiano o comunitario e un cittadino extracomunitario. Tra le più importanti ci sono, ad esempio, la possibilità dello straniero di acquisire la cittadinanza del coniuge, quella di ottenere un visto di ingresso o un permesso di soggiorno in Italia oppure la possibilità di sanare la precedente presenza irregolare nel territorio italiano. Oltre che per motivi di cittadinanza, si può ricorrere alla simulazione per ottenere la reversibilità della pensione o acquisire diritti ereditari; ottenere punteggi per l’assegnazione di un alloggio popolare; esaudire il desiderio dei genitori di regolarizzare una situazione attraverso il c.d. matrimonio riparatore (pensiamo a una ragazza rimasta incinta senza volerlo). Ancora: vi è simulazione parziale, per esempio, quando un congiunto non ha mai desiderato avere figli e persiste in questa visione, o quando, al momento di contrarre l’unione, si escludeva la fedeltà e l’indissolubilità del matrimonio. In particolare, l’azione può essere esercitata quando:
Esiste una dichiarazione esplicita in tal senso che precede il matrimonio;
Il coniuge che propone l’azione riesce a provare con ogni mezzo l’accordo preventivo tra i coniugi;
Gli sposi non hanno convissuto come coniugi dopo il matrimonio;
È decorso meno di un anno dalla celebrazione del matrimonio [Cass., sent. n. 16221, del 31.07.2015].
Matrimonio civile: e se mancano le condizioni per sposarsi? Tra le cause di invalidità matrimoniale è compresa anche l’assenza di una delle condizioni che il nostro ordinamento richiede per sposarsi:
Età: in caso di matrimonio di minori di 16 anni, o di 18 anni senza l’autorizzazione del Tribunale per i Minorenni. La richiesta può essere avanzata da chi non aveva l’età prevista dalla legge entro un anno dal compimento dei 18 anni;
Interdizione per infermità mentale, intendendo per tale lo strumento di protezione volto a privare della capacità di agire (cioè la capacità, che si acquista con la maggiore età, di compiere atti idonei a costituire, modificare o estinguere la propria situazione giuridica, ad esempio: vendere o donare un immobile) soggetti che si trovano in condizioni psicofisiche tali da renderli incapaci a provvedere ai loro interessi;
Incapacità naturale di uno dei coniugi che, pur non essendo stato interdetto, è incapace di intendere e volere;
Vincolo di parentela, affinità, adozione tra gli sposi: la domanda deve essere proposta non oltre 1 anno dalla celebrazione del matrimonio;
Bigamia, cioè nuovo matrimonio da parte di chi era già sposato, per esempio all’estero.
Matrimonio civile: come chiederne l’annullamento? I soggetti legittimati a proporre l’azione variano a seconda del vizio denunciato. In generale, nei casi in cui esso comporta la nullità del matrimonio, l’iniziativa può essere presa dal P.M. e da chiunque ne abbia interesse. Quando invece l’annullamento è chiesto per vizi del consenso, legittimati all’impugnazione sono esclusivamente i coniugi o, più spesso, uno soltanto di essi, cioè quello toccato dalla causa di invalidità.
Matrimonio civile: entro quando si può annullare? Nella maggior parte dei casi, le cause di invalidità non possono essere denunciate se c’è stata coabitazione per un anno dalla cessazione o dalla scoperta della causa invalidante. Se invece, i coniugi non hanno mai abitato insieme, l’azione di nullità, essendo imprescrittibile (nel senso che il diritto ad agire in tal senso non viene mai meno), può essere esercitata in qualsiasi tempo, mentre quella volta a ottenere l’annullamento del matrimonio può essere esercitata entro 10 anni.
Matrimonio civile: quale giudice decide l’annullamento? Competente a decidere in materia, è il giudice italiano quando alternativamente [Artt. 3, 31 e 32, l. n. 218, del 31.05.1995]:
Il convenuto (cioè colui che non ha chiesto l’annullamento ma che si trova in giudizio per l’iniziativa assunta dal coniuge) ha il domicilio o la residenza in Italia;
Uno dei coniugi è cittadino italiano;
Il matrimonio è stato celebrato in Italia.
Da un punto di vista più prettamente logistico, la competenza territoriale appartiene al tribunale del luogo dove il convenuto ha la residenza o il domicilio [Art. 18 cod. proc. civ.].
Se il matrimonio presenta un elemento che lo collega a uno Stato comunitario diverso dall’Italia (ad esempio, un coniuge solo o entrambi sono cittadini di uno Stato dell’Unione Europea) è la disciplina comunitaria a dettare i criteri per individuare il giudice dello Stato membro competente.
Matrimonio civile: come procedere per annullarlo? Nell’ipotesi in cui solo uno dei coniugi intende procedere per l’annullamento, sarà quest’ultimo a dover notificare all’altro coniuge un atto di citazione (cioè l’atto che dà il via la giudizio e in cui si espongono le proprie ragioni) e, contestualmente, una richiesta di separazione temporanea [Art. 126 cod. civ.] per il tempo necessario al termine del giudizio, quando vi è la convivenza è intollerabile: l’obiettivo è quello di sottrarre tempestivamente la coppia e gli eventuali figli a una situazione di intenso disagio. In tal modo, il giudice, oltre ad autorizzare i coniugi a vivere separati, può regolare i rapporti patrimoniali tra gli stessi, determinare l’ammontare dell’assegno, assegnare la casa coniugale, stabilire l’affidamento dei figli, l’eventuale contributo al mantenimento e il diritto di visita dell’altro genitore. Naturalmente, nel corso di tutto l’iter sarà necessaria l’assistenza di un avvocato.
Se, al contrario, entrambi i coniugi siano d’accordo per intraprendere tale strada, al pari di quanto avviene per la separazione ed il divorzio, può essere promossa un’azione congiunta: si propongono al Giudice le condizioni dell’annullamento, che verranno ratificate a condizione che siano conformi alle norme di legge e rispettose dell’interesse dei figli.
Matrimonio civile: che succede una volta annullato?
La sentenza che dichiara la nullità o l’annullamento del matrimonio determina i seguenti effetti:
Perdita della qualità di coniuge, con conseguente riacquisto della libertà di stato e, per la donna, dell’uso esclusivo del cognome di nascita. Tra i coniugi vengono meno tutti i diritti e gli obblighi di natura personale legati al matrimonio (obbligo di fedeltà, di coabitazione, di assistenza del coniuge);
Da un punto di vista patrimoniale, cessa la comunione legale, si scioglie il fondo patrimoniale (si tratta di quello strumento con cui uno dei coniugi vincola determinati beni ai bisogni della famiglia), si perdono i diritti ereditari (come ad esempio, il diritto alla pensione di reversibilità) e perdono efficacia eventuali donazioni obnuziali (quelle fatte proprio nell’ambito del matrimonio);
Nei rapporti con i figli, in relazione all’affidamento dei figli minorenni e al loro mantenimento, si applicheranno le regole stabilite in sede di separazione a seconda che siano stati affidati congiuntamente a entrambi i coniugi o in modo esclusivo a uno solo. In particolare, ci si chiede che cosa accada per i figli nati nel corso dell’unione poi dichiarata nulla: essi conservano i loro diritti nei confronti dei genitori ed anche i loro doveri. Conservano anche lo status di figlio legittimo. Diverso è il caso in cui il matrimonio sia stato annullato per bigamia o per parentela e entrambi i genitori erano in malafede (vedi sotto): in questo caso, i figli assumono la qualità di figli naturali;
Nei rapporti di parentela, viene meno il vincolo di affinità tra l’ex coniuge e i parenti dell’altro.
Matrimonio civile: che significa che è in buona fede? Un elemento di distinzione importante a tal proposito è capire se, al momento della celebrazione del matrimonio, i coniugi erano in buona fede: consiste nell’incolpevole ignoranza. Essa si presume fino a prova contraria (nel senso, che si considera presente almeno fino a quando non si fornisce la prova della sua assenza) ed è sufficiente che ricorra al momento della celebrazione. Se nessuno dei coniugi era consapevole della causa di invalidità, il giudice può disporre a carico di uno di essi l’obbligo di corrispondere all’altro un assegno di mantenimento per un periodo non superiore a 3 anni, a patto che il coniuge che ne ha fatto richiesta non possieda adeguati redditi propri e non abbia contratto un nuovo matrimonio.
Se solo un coniuge era in buona fede, egli, per ottenere l’invalidità del matrimonio, deve provare la malafede dell’altro coniuge e, cioè, che:
Quest’ultimo è consapevole delle presenza di cause d’invalidità e della loro attitudine a rendere invalido il matrimonio;
Esiste un nesso di causalità tra la condotta del coniuge in malafede e la celebrazione del matrimonio.
Come in parte anticipato, indipendentemente dalla buona o mala fede dei coniugi, il matrimonio dichiarato nullo produce gli effetti del matrimonio valido rispetto ai figli, tranne nel caso di figli nati in un matrimonio annullato per incesto (i genitori sono consanguinei: ad esempio, fratello e sorella) quando entrambi i coniugi erano in malafede.
Matrimonio canonico: si può annullare? Comunemente si parla di annullamento di matrimonio anche per il matrimonio canonico; si tratta di un’espressione errata perché, per la Chiesa, il matrimonio è e rimane un vincolo indissolubile. Ciò che la Chiesa può fare, quindi, è unicamente dichiarare, dopo un’inchiesta dei suoi tribunali, che quel matrimonio è sempre stato nullo, fin dall’inizio.
Per essere valido agli occhi della Chiesa, il matrimonio deve rispondere a tre requisiti:
L’assenza di impedimenti (per esempio, la consanguineità);
Il compimento delle formalità religiose secondo il diritto ecclesiastico (per esempio, la presenza di un sacerdote {o di un diacono. Ndr} durante la celebrazione, la presenza di due testimoni);
Il consenso al matrimonio dato e ricevuto in Chiesa.
Dunque, le nozze devono essere frutto di una scelta autonoma, personale e interamente libera. Sono questi gli elementi che determineranno la legittimità e la validità del matrimonio, ed è unicamente a partire dagli stessi che si potrà giudicare – più tardi – se il matrimonio era nullo, indipendentemente dal fallimento del legame in sé.
Matrimonio canonico: che significa nullità per la Chiesa? Fatte queste premesse, si può comprendere che l’annullamento, da un punto di vista religioso, è un atto tutt’altro che automatico: il tribunale ecclesiastico dichiara che il sacramento del matrimonio apparentemente ricevuto e dato non era valido perché mancava una delle condizioni essenziali per la sua validità.
Matrimonio canonico: cosa comporta la sua nullità? La situazione di un cristiano credente separato civilmente è nettamente diversa da quella di colui che ha visto dichiarare nullo il suo matrimonio: mentre il primo non può vivere un nuovo rapporto sentimentale senza essere escluso da alcuni aspetti della vita cristiana (non può ricevere i sacramenti, non può essere padrino a un battesimo), il secondo rientra a pieno titolo all’interno della Chiesa e nulla gli è più impedito.
I figli nati dall’unione dichiarata nulla sono legittimi in quanto nati da un matrimonio “putativo”, cioè che si credeva esistesse: pertanto, la dichiarazione di nullità non ha su di loro alcun effetto civile o religioso. La loro custodia e il loro mantenimento vengono regolati da una sentenza civile. Inoltre, cessano gli obblighi relativi all’assegno di mantenimento per il coniuge, che sono, invece, previsti nella separazione civile, e scompaiono pure eventuali diritti ereditari, esattamente come nel divorzio.
Ma attenzione a non confondere la nullità del matrimonio col divorzio: la sentenza ecclesiastica dichiara il matrimonio “mai esistito”, quindi i suoi effetti giuridici cessano dall’inizio (ex tunc) e non dalla sentenza in poi (ex nunc).
Matrimonio canonico: quando è nullo? I presupposti per la dichiarazione di nullità sono quelli richiesti dal codice di diritto canonico e devono essere accertati da un tribunale ecclesiastico. Essi sono:
La mancanza di consenso da parte di uno dei coniugi o di entrambi al matrimonio, compresa la riserva mentale e la simulazione;
Il fatto che uno dei coniugi escluda una delle finalità essenziali del matrimonio religioso, che sono la procreazione dei figli, la fedeltà, l’indissolubilità del vincolo matrimoniale;
L’errore sulla persona del coniuge (come nel matrimonio per procura: Tizia sposa Caio, pensando sia Sempronio) o sulla qualità;
La violenza fisica o il timore;
L’impotenza al rapporto sessuale dell’uomo o della donna. Da precisare che la semplice sterilità non è causa di nullità del matrimonio, a meno che la parte sterile abbia tenuto dolosamente nascosta la sua condizione all’altra parte al fine di ottenere il consenso alle nozze, che altrimenti non sarebbe stato prestato;
Il fatto che il matrimonio non sia stato consumato, cioè che i due coniugi non abbiano avuto un rapporto sessuale completo. In questo caso non si tratta di vera nullità matrimoniale, ma di una speciale «dispensa» del Pontefice.
Matrimonio canonico: come procedere per renderlo nullo? Per ottenere la dichiarazione di nullità del matrimonio canonico, ci si può rivolgere alla propria parrocchia, alla curia, o consultare l’Albo Rotale per ottenere i nominativi degli avvocati ecclesiastici che esercitano nella zona di residenza, anche se l’avvocato rotale non ha limiti territoriali e può esercitare ovunque. A differenza di quanto avviene nella separazione civile, che può essere consensuale, in questo caso solo una delle due parti, la c.d. parte attrice, ha il potere di iniziare il processo, e l’altra, quella convenuta, può subirlo passivamente, può partecipare accettandolo oppure può opporsi: ad ogni modo, la procedura non può mai essere iniziata congiuntamente.
Il procedimento inizia sempre con una intervista alla parte interessata per capire se ci sono i presupposti per la nullità stabiliti dal codice di diritto canonico. Se la verifica si conclude positivamente, l’avvocato ecclesiastico procede alla redazione dell’atto introduttivo (libello: è la lettera ufficiale di domanda di nullità di matrimonio) che viene depositato presso il tribunale competente (TER, Tribunale Ecclesiastico Regionale), il quale è determinato dalla residenza della parte convenuta o dal luogo di celebrazione del matrimonio.
Dopo il deposito del libello, si tengono udienze fino a che viene ottenuta la prima sentenza, dopo la quale gli atti sono trasferiti d’ufficio al tribunale competente di seconda istanza (il giudice d’appello, in pratica).
Se si ottengono le due sentenze conformi, che confermano entrambe la nullità, non è necessario ricorrere alla Rota, che è invece indispensabile nel caso di due sentenze difformi.
Terminato il procedimento per nullità, si può chiedere, ove si abbia interesse, la delibazione della sentenza ecclesiastica (il procedimento di delibazione è necessario per attribuire efficacia nello Stato italiano alla sentenza resa dal Tribunale ecclesiastico) che ha valore civile, come il matrimonio, in tutti i Paesi che – come l’Italia – hanno un patto concordatario con la Chiesa, che ne disciplina i rapporti con lo Stato. Nei paesi non concordatari, la dichiarazione di nullità emessa da un Tribunale Ecclesiastico non ha effetto civile: perciò chi vuole risposarsi deve ottenere una sentenza di divorzio.
Matrimonio canonico: quanto ci vuole per la nullità? La durata del processo dipende dai tribunali ecclesiastici, dalla loro mole di lavoro e dalla loro capacità organizzativa. Per esempio, mentre in alcune città si ottiene una sentenza di primo grado in 8-10 mesi, in altre sedi possono diventare molti di più. Nella peggiore delle ipotesi, quindi, i tempi sono quelli classici della separazione civile. In entrambi i casi, separazione o nullità, vi è obbligo di non convivenza dei coniugi. Inoltre, anche se la nullità ha valore per lo Stato Italiano, la Chiesa stessa può richiedere una sentenza di separazione civile, soprattutto nel caso di nullità per simulazione.
Matrimonio canonico: a chi rivolgersi per la nullità? Nell’ambito del processo è necessaria l’assistenza di avvocati ecclesiastici e rotali. Anche se la maggio parte di loro è laureata in legge e spesso esercita anche civilmente, la laurea in giurisprudenza non è un requisito, né abilita alla professione: un avvocato che non abbia completato gli studi ecclesiastici non può patrocinare davanti a un tribunale ecclesiastico o rotale. L’avvocato ecclesiastico o rotale può esercitare ovunque, in tutto il mondo.
Matrimonio canonico nullo: sono dovuti gli alimenti? Un modo per eliminare radicalmente il diritto all’assegno di mantenimento del coniuge è proprio quello di ottenere la dichiarazione di nullità innanzi il Tribunale ecclesiastico della Sacra Rota. Se il tribunale ecclesiastico dichiara che il matrimonio era nullo, la sentenza può essere “delibata”, cioè fatta propria, dallo Stato italiano con la conseguenza che, anche da un punto di vista civile, sparirà radicalmente il diritto al mantenimento del coniuge. Rimarrà solo quello per i figli. Tuttavia, il coniuge in buona fede avrà diritto ad avere il mantenimento per un massimo di tre anni.
Matrimonio: cosa è cambiato con Papa Francesco? In realtà la materia di cui stiamo parlando, è al centro di una vera e propria rivoluzione: Papa Francesco, infatti, ha varato una riforma delle cause di nullità matrimoniali che rende più rapide e meno costose le procedure, attribuendo al vescovo diocesano la responsabilità di essere lui stesso il giudice competente a pronunciare la sentenza in caso di:
Mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà,
La brevità della convivenza coniugale,
L’aborto procurato per impedire la procreazione,
L’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo,
L’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o di una carcerazione,
La causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale o consistente nella gravidanza imprevista della donna, la violenza fisica inferta per estorcere il consenso, la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici.
Un processo più breve, quindi, affidato direttamente al vescovo diocesano del quale si ribadisce, così, la funzione giurisdizionale e che potrà sentenziare direttamente la nullità nei casi più evidenti e semplici. Contro le sue decisioni ci si potrà appellare all’arcivescovo metropolita più vicino o alla Rota Romana.
Il processo dovrà celebrarsi entro un anno al massimo e la sentenza sarà esecutiva se non ci sarà appello o le motivazioni dell’appello saranno manifestamente infondate. Non ci sarà più bisogno, dunque, di due sentenze conformi, esigenza che allunga notevolmente i tempi.
Annullamento del matrimonio: quanto costa? Le procedure saranno gratuite “salva la giusta e dignitosa retribuzione degli operai dei tribunali”, come scritto dallo stesso Papa. Ad oggi, le spese si aggirano intorno ai 525 euro per avere la sentenza di primo grado a cui vanno sommati i 100 euro della sentenza in secondo grado e ovviamente anche le spese per l’avvocato che arrivano sui 2500 euro. Per coloro che non possono permettersi questo esborso c’è a disposizione il gratuito patrocinio.
Annullamento del matrimonio: a chi conviene? È innegabile che molte delle persone che richiedono l’annullamento lo fanno non solo, ma anche, per ragioni economiche, per non incorrere in alcune spese e obblighi altrimenti ineludibili. Rispetto alla separazione e al divorzio, infatti, oltre a mutare le condizioni per richiederlo, l’annullamento ha conseguenze diverse sugli ex coniugi. Sciogliendo il vincolo matrimoniale, il risultato è di cancellare ogni tipo di dovere o tutela nei confronti dell’ex partner. Ciò significa che non essendo mai esistito il matrimonio non vengono disposte le consuete forme di garanzia nei confronti del coniuge economicamente più debole.
L’annullamento civile non prevede né alimenti, che invece sono lo standard in caso di separazione e divorzio, né tantomeno un qualsiasi assegno di mantenimento. Lo stesso vale per le proprietà immobiliari: la casa viene restituita al proprietario senza possibilità di assegnarla all’ex coniuge.
Maura Corrado Lpt 11 settembre 2016
www.laleggepertutti.it/127981_annullamento-del-matrimonio
Vedi anche
http://www.laleggepertutti.it/96736_annullamento-del-matrimonio-civile-e-di-quello-concordatario
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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI
XXIV Congresso Nazionale U.C.I.P.E.M. Oristano, 2-4 Settembre 2016
La famiglia crocevia di relazioni e di fecondità
Nel sito web appaiono alcune relazioni.
Alice Calori. Le nuove famiglie immigrate tra identità e integrazione.
Negli ultimi anni il fenomeno immigratorio si è imposto come una questione cruciale per l’Europa intera e, per l’Italia, ha rappresentato un’occasione per sperimentarsi come terra di immigrazione e nsito webon solo come terra di emigrazione. Oggi possiamo distinguere tra immigrati rifugiati in cerca di asilo, ovvero i migranti forzati che non hanno altra scelta per salvare la vita e migranti così detti “economici” cioè persone che partono per libera scelta nel tentativo di migliorare le proprie condizioni di vita. Ciò che accomuna i migranti è quello che possiamo chiamare “desiderio di futuro” la ricerca di nuove prospettive e di un nuovo contesto nel quale poter realizzare il loro progetto di vita. Prosegue

Beppe Sivelli. Cercarsi, perdersi, ritrovarsi: il cammino della coppia fra lontananza e vicinanza
Chi sei? Chi è questa donna? Quest’uomo con cui vivo, che ho anche sposato, e che credevo di conoscere… Sorprese, Disinganni, Delusioni, sono all’ordine del giorno; le certezze di qualche tempo fa ora sono diventate atroci dubbi. Diciamo che l’altro non è più lo stesso anche se apparentemente nulla è cambiato.
L’altro lentamente o all’improvviso è diventato un mistero, un rompicapo, se non un nemico. Cosa ci sta succedendo? Prima quando lei parlava di lui diceva “quando mi svegli la notte, starei ore ad ascoltare il tuo respiro. Sei così tenero. Ora mi dice mi hai svegliato anche stanotte tu non russi, tuoni ma fatti operare? Ancora prima lei diceva “mi tieni sempre allegra, sei una miniera di giochi e di scherzi” ora dice “la pianti con questi scherzi idioti falli a fare a tua madre”. Lui prima diceva di lei “sei l’unica donna che quando guidi mi fai sentire sicuro” ora dice “accostati e fermati che me la sto facendo adesso guido io” ancora lui parlando di lei prima diceva “e lo chiami un lavoro modesto, sono orgoglioso di te” ora dice “per quello che fai in ufficio, potresti stare a casa almeno risparmieremmo i biglietti del filobus”. Prosegue

Emidio Tribulato. Figli in difficoltà tra legami familiari fragili e pressione sociale e mediatica.
Per capire le difficoltà nelle quali si vengono a trovare i minori quando le famiglie e la società nel suo complesso non riescono ad assolvere pienamente i loro compiti è necessario esaminare quali sono le componenti che incidono sullo sviluppo psichico di un bambino. Queste componenti sono numerose:
È sicuramente importante la componente genetica, cioè il patrimonio presente nei nostri geni già al momento del concepimento.
Sono anche importanti la presenza o meno di malattie che in qualche modo possono incidere sul normale sviluppo dell’encefalo.
Anche da noi in passato e ora nei paesi più poveri ha sicuramente la sua influenza l’alimentazione.
Incidono pesantemente tutte le sostanze che in qualche modo, passando la barriera meato-encefalica, possono influenzare negativamente le aree cerebrali: le droghe, l’alcool, gli psicofarmaci ecc.
E infine, ma non ultimo per importanza è fondamentale l’ambiente affettivo-relazionale nel quale vive il bambino. Prosegue
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