newsUCIPEM n. 612 – 28 agosto 2016

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                               Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line     Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le “news” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

Le news sono così strutturate:

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I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

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ADDEBITO                                                         Tradimento di pubblico dominio.

ADOZIONI INTERNAZIONALI                     Certificare i bilanci degli Enti autorizzati.

AMORIS LAETITIA                                           Ma il papa non ha scritto queste cinque semplici parole.

                                               “Lui non ha dato questa autorizzazione”.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO                Cosa comprende l’importo che liquida il giudice.

CHIESA CATTOLICA                                        Bianchi: i cristiani «rigoristi» allontanano da Dio

Il rischio di un risentimento dello spazio contro il tempo.

CONSULENZA FAMILIARE                           Il consulente familiare pubblica Speciale Trento 2016.

CONSULTORI FAMILARI                               Latina. Progetto per le famiglie con minori in mediazione penale.

CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM            Bologna. Laboratorio per genitori d’adolescenti e giovani mamme.

COPPIE INTERNAZIONALI                           I nuovi regolamenti UE sui regimi patrimoniali.

DALLA NAVATA                                               22° Domenica del tempo ordinario – anno C -28 agosto 2016.

Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).

DEMOGRAFIA                                                  2050, in Italia senza migranti saremo 10 milioni di meno.

GOVERNO                                                         A settembre un Testo Unico sulla famiglia con misure strutturali.

PATERNITÀ                                                       Il padre che riconosce il figlio e poi si pente deve risarcire i danni.

POLITICHE FAMILIARI                                   Politiche Familiari e Welfare generativo.

SEPARAZIONE CONIUGALE                        Cassazione: la riconciliazione dopo la separazione va provata.

SEPARAZIONE E DIVORZI                            In aumento per colpa della dieta e della cucina di mammà!

UCIPEM                                                              Congresso ad Oristano, 2-4 Settembre 2016-

ZIBALDONE                                                       La felicità è una moglie che guadagna più del marito.

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ADDEBITO

                                               Tradimento di pubblico dominio

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 17317, 24 agosto 2016

Marito tradisce la moglie con una propria dipendente. Tradimento di pubblico dominio. Dichiarato responsabile per la crisi coniugale culminata nella separazione.

Newsletter Sugamele             27 agosto 2016                      ordinanza

www.divorzista.org/sentenza.php?id=12436

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Perché la Cai non costringe gli enti autorizzati a certificare i bilanci per bloccare i pagamenti in nero?

Con la nomina del ministro Boschi al vertice della Cai, il vento delle adozioni internazionali in Italia sarà finalmente cambiato? Dopo quasi 3 anni di assurda paralisi della nostra Autorità Centrale è quanto mai necessaria una svolta positiva. I problemi da affrontare sono tantissimi e ancora più gravosi dal momento che la Cai è chiamata recuperare quel clima di trasparenza, legalità e collaborazione che l’aveva sempre caratterizzata, prima della nefasta gestione dell’ex presidente Silvia Della Monica.

Cerchiamo di capire, quindi, quali sono i problemi più urgenti che la nuova Cai dovrà affrontare per rilanciare un sistema in profonda crisi e per recuperare la propria credibilità. Uno dei più importanti è quello della scarsa trasparenza contabile e finanziaria che affligge il mondo delle adozioni internazionali. Una piaga che scoraggia le coppie dall’intraprendere questo percorso. Qual è la situazione e come fare a modificarla in positivo? Partiamo da un paio di ovvietà, che, se ignorate anche per il prossimo futuro, continueranno ad avere effetti perniciosi sia sulle coppie adottive che sui minori adottabili.

  1. La prima: non credo si abbia notizia di un Paese – nel quale le famiglie adottive possono recarsi e non sono quindi in corso guerre o altri disastri – in cui non sia possibile effettuare pagamenti con mezzi tracciabili, se non per brevissimi periodi (giorni) e a causa di eventi disastrosi quali calamità naturali o rivolte armate.
  2. La seconda: se in un Paese un Ente Autorizzato chiede pagamenti in contanti, vuol dire che deve nascondere qualcosa a qualcuno. Come avviene in Italia quando si paga in contanti un servizio in modo che l’acquirente eviti l’IVA e il venditore le tasse.

Se infatti i pagamenti con mezzi tracciabili sono sempre possibili, perché un ente dovrebbe comunque richiedere pagamenti in contanti? L’unica risposta possibile è che non vuole fare conoscere alle autorità pubbliche locali questi movimenti di denaro. I motivi possono essere diversi, più o meno gravi, ma nessuno lecito: dall’evasione delle imposte in Italia o all’estero alla corruzione, fino, nei casi peggiori, al traffico di minori. Ancora, proprio perché i movimenti in contanti nascondono sempre qualcosa, in qualsiasi Paese del mondo i mezzi che garantiscono la tracciabilità sono preferiti per i trasferimenti valutari ai contanti e questi sono ammissibili solo per trasferimenti di importi limitati.

Se queste premesse sono valide – e sono così ovvie che lo darei per scontato -, la questione dei pagamenti in nero è senz’altro tra quelle che più la Cai deve contrastare, se davvero vuole svolgere quel ruolo di supporto e tutela delle famiglie adottive e di controllo sull’operato degli enti, che la normativa le assegna. La ben nota obiezione che viene portata su questo tema è che la CAI può fare poco se le famiglie non denunciano richieste di questo tipo. Ma le famiglie quasi mai segnalano fatti di tal genere. Sarà arrivata almeno una segnalazione in questi anni? E, se sì, che cosa avrà fatto la Cai? Sarebbe interessante che la nuova Commissione, una volta ristabilita la collegialità, lo andasse a verificare. Perché si tratta di richieste spesso con molte somiglianze a un vero e proprio ricatto.

Infatti, indipendentemente dal fatto che la necessità di utilizzare contanti venga più o meno annunciata all’inizio del percorso adottivo con un ente, le richieste vere e proprie si concretizzano quando la procedura adottiva è in uno stadio avanzato e sarebbe costoso e complicato cambiare ente. O, peggio, si può rischiare di perdere il figlio tanto atteso. E così arrivano prima lusinghe e poi minacce affinché la famiglia faccia quanto richiesto e taccia per sempre con amici, tribunali e servizi sociali, a meno che, appunto, non voglia mettere a repentaglio i propri figli.

Di fronte ai pagamenti in nero, la Cai può allora solo arrendersi o meglio, come cantava De Andrè, “costernarsi, indignarsi, impegnarsi e poi gettare la spugna con gran dignità”? No. Se lo vuole, la Cai può anche riprendere, dopo questi anni di incomprensibile interruzione, un serio contrasto del fenomeno dei pagamenti in nero, consapevole sì che la battaglia sarà lunga, ma anche che sono possibili, soprattutto per iniziare a dare un segno chiaro della propria volontà, misure semplici, concrete e immediatamente applicabili. Di quelle che tanto piacciono al Governo Renzi.

Ad esempio, è possibile da subito richiedere a tutti gli enti la certificazione dei bilanci degli ultimi due anni da parte di un revisore indipendente. Anzi, meglio ancora, la Cai potrebbe affidare a una società di revisione, abbastanza prestigiosa da essere sicuri della sua totale indipendenza, l’incarico di sottoporre ad audit di bilancio gli ultimi due bilanci di tutti gli enti, dando nel contempo a tale società indicazioni su quali aree di bilancio verificare con particolare attenzione. Non credo sarebbe così difficile neppure fare rientrare questa attività tra quelle di responsabilità sociale normalmente realizzate dalle principali società di revisione, riducendo così a zero gli oneri per il bilancio pubblico.

Scommettiamo che il solo annuncio di una simile misura ridurrebbe fin da subito le richieste di pagamenti in nero alle coppie? Scommettiamo che, al termine degli audit, tra gli enti che hanno già ora il bilancio certificato da una primaria società di revisione non troveremmo “pagatori di contanti”?

News Ai. Bi.    26 agosto 2016

www.aibi.it/ita/perche-la-cai-non-costringe-gli-enti-autorizzati-a-certificare-i-bilanci-

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AMORIS LAETITIA

“Ma il papa non ha scritto queste cinque semplici parole”. Ecco quali

“Il papa nella ‘Amoris laetitia’ ha scritto oltre 56 mila 600 parole, ma non ha scritto queste cinque semplici parole: ‘È possibile dare la comunione ai divorziati risposati’. Se lui non le ha scritte, ritengo che nessuno le debba inserire, e nessuno deve fare ciò che lui non ha detto”.

            Questo dice il gesuita Domenico Marafioti in una limpida presentazione dell’esortazione postsinodale “Amoris laetitia” pubblicata sul numero 195 di Ferragosto di “Ascolta”, periodico dell’associazione ex alunni e amici della Badia di Cava

Link in pdf  www.bibliotecabadiadicava.it/index.php?com=contents&option=index&id=2783.

 Padre Marafioti è persona di grande autorevolezza. È preside presso la Facoltà teologica dell’Italia Meridionale di Napoli e insegna teologia dei sacramenti, in particolare del matrimonio, dell’ordine e della penitenza. Appartiene alla Compagnia di Gesù, come papa Francesco. E infatti scrive di voler dare dell’esortazione “una lettura ignaziana e cattolica”. Ignaziana nel senso “che bisogna cercare sempre di interpretare bene quello che l’altro dice (Esercizi, n. 22)”. E cattolica nel senso che bisogna “leggere questo testo secondo la normale fede cattolica”.

            Ma lasciamo a lui la parola, nella parte dell’articolo che egli dedica all’ottavo capitolo di “Amoris laetitia”, quello su cui “molti discutono”.

“Lui non ha dato questa autorizzazione”

Il punto più difficile da interpretare è il n. 305 di “Amoris laetitia” che dice: “A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato si possa vivere in grazia di Dio, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa”. Non ci fermiamo a considerare in che senso uno può essere in grazia di Dio stando in una situazione oggettiva di peccato. Certamente è giusto che tutti, in qualsiasi situazione, ricevano “l’aiuto della Chiesa”. A questo punto il documento rinvia alla nota n. 351: “In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti”. E intende la confessione e la comunione, e precisa che l’eucaristia “non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”.

            Come interpretare il testo e questa spiegazione in nota? Ci sono due alternative, una “secondo l’insegnamento della Chiesa”, come il papa stesso dice al n. 300; e un’altra che finirebbe per introdurre il divorzio nella Chiesa cattolica.

            La prima è questa. Il papa dice “in certi casi”. Infatti ci sono due casi in cui è possibile dare la comunione ai divorziati risposati: quando vi è la certezza morale che il primo matrimonio era nullo, ma non ci sono le prove per dimostrarlo in sede giudiziaria (e pertanto non si può ottenere l’annullamento canonico); e poi quando i due divorziati risposati accettano di astenersi dagli atti propri dei coniugi, e quindi non vivono più come marito e moglie. In questi due casi si può dare la comunione, con l’attenzione a evitare il pericolo di scandalo.

            Ma si noti che il papa usa il condizionale “potrebbe essere”: vuol dire che neppure lui è completamente certo che sia la cosa più opportuna. Questa osservazione vale soprattutto per la seconda alternativa. Infatti qualcuno potrebbe interpretare queste parole come se il papa autorizzasse a dare la comunione anche ai divorziati risposati, il cui primo matrimonio era vero e giusto, e nella seconda unione vivono come marito e moglie. Ma lui non ha dato questa autorizzazione.

            Bisogna infatti dire con semplicità che il papa nella “Amoris laetitia” ha scritto oltre 56.600 parole, ma non ha scritto queste cinque semplici parole: “È possibile dare la comunione ai divorziati risposati”. Perché non le ha scritte? Qualche motivo c’è. Se lui non le ha scritte, ritengo che nessuno le debba inserire, e nessuno deve fare ciò che lui non ha detto.

            Papa Francesco infatti non vuole andare contro il magistero dei papi precedenti. Ecco tre loro affermazioni precise, in particolare di San Giovanni Paolo II che in “Familiaris consortio“, n. 84, dice: “La Chiesa ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati”. In “Reconciliatio et paenitentia”, n. 34, ancora Giovanni Paolo II dice che la Chiesa invita i suoi figli che si trovano in queste dolorose condizioni, e cioè sono divorziati risposati, “ad avvicinarsi alla misericordia divina per altre vie, non però per quella dei sacramenti della penitenza e dell’eucaristia”. E Benedetto XVI, in “Sacramentum caritatis“, n. 29, ribadisce: “Il sinodo dei vescovi [sull’eucaristia, del 2005] ha confermato la prassi della Chiesa di non ammettere ai sacramenti i divorziati risposati”.

            Il contesto precisa il valore di queste chiare affermazioni. Leggendo i documenti della Chiesa non si può mettere in conflitto un sinodo con l’altro, e un papa con l’altro. Per l’ermeneutica della continuità, non si può attribuire a papa Francesco l’intenzione di cambiare questo insegnamento del magistero. Chi fa diversamente non fa un buon servizio al papa e alla Chiesa.

            Per il resto siamo tutti d’accordo che l’eucaristia è un “rimedio” per i malati, ma ci sono certi malati che sono allergici a certi farmaci, per esempio agli antibiotici: se li prendono, non guariscono, ma peggiorano. Ed è vero che è un “alimento per i deboli”, ma ora sappiamo che vi sono le intolleranze alimentari, per esempio al glutine, e la cosa più buona, come il pane, si rivela dannoso per chi lo mangia. Sono solo esempi e altri se ne potrebbero portare, per dire la stessa cosa: l’eucaristia che è per la vita può diventare motivo di morte. Così diceva già san Tommaso d’Aquino:Sumunt boni sumunt mali, sorte tamen inaequali, vitae vel interitus”; mangiano i buoni, mangiano i cattivi, con sorte differente, di vita o di morte.

            L’eucaristia è necessaria per la vita cristiana e per il cammino spirituale. Se però è ricevuta senza le disposizioni dovute, si rivela controproducente, come dicono chiaramente i testi di Matteo 22,1 1-14, e 1 Corinti 11, 27-30. Siamo in un momento delicato in cui bisogna accogliere l’invito di papa Francesco a favorire l’integrazione dei divorziati risposati nella comunità ecclesiale, ma non bisogna compromettere la verità della prassi sacramentale della Chiesa. La prudenza e il discernimento aiuteranno a trovare la via giusta.

 

In un altro passaggio del suo articolo, padre Marafioti fa un curioso raffronto tra “Amoris laetitia” e la precedente esortazione di papa Francesco “Evangelii gaudium“, riguardo all’indissolubilità del matrimonio: Scrive:

            “In ‘Amoris laetitia’ c’è un progresso rispetto a ‘Evangelii gaudium’: in questo primo testo (n. 66) il papa non aveva parlato di indissolubilità; adesso per ben otto volte presenta il matrimonio come ‘esclusivo e indissolubile’ (nn. 52.53.86.123.124.134.218

            Sandro Magister        Newsletter www.chiesa                      25 agosto 2016

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/08/25/ma-il-papa-non-ha-scritto-queste-cinque-semplici-parole

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Cosa comprende l’importo che liquida il giudice

Non solo le spese ordinarie per la vita dei figli, il genitore deve versare anche quelle straordinarie.

I genitori hanno l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, come stabilito dagli artt. 147 e ss. del codice civile e dalla Costituzione (art. 30). I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo (316-bis c.c.). Quest’onere è indipendente dalla relazione sussistente tra i genitori, poiché, come ha più volte sottolineato la giurisprudenza, trova fondamento nel fatto stesso nella procreazione e non di certo nel legale sentimentale e giuridico insistente tra i genitori.

            Pertanto in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio, sarà il giudice a stabilire la corresponsione di un assegno di mantenimento destinato al sostentamento della prole. In mancanza di apposita normativa regolante gli aspetti pratici del contributo economico, è stata la giurisprudenza a sopperire in diverse occasioni.

L’assegno di mantenimento viene disposto a favore del coniuge che è risultato assegnatario dei figli minori o maggiorenni, ma non economicamente indipendenti (a meno che costoro non chiedano di essere direttamente destinatari del versamento). L’art. 337-ter del codice civile (Provvedimenti riguardo ai figli) stabilisce che “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito”.

            Spetta al giudice, ai sensi della norma stabilire, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:

1) le attuali esigenze del figlio;

2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;

3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;

4) le risorse economiche di entrambi i genitori;

5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

            Tuttavia, il genitore non collocatario può essere obbligato non solo a corrispondere all’altro di un assegno di mantenimento mensile determinato nel quantum in maniera forfettaria e riguardante le c.d. spese “ordinarie”, ma anche a contribuire proporzionalmente a tutte quelle spese, a volte imprevedibili e di importo variabile, che si rendessero necessarie alle esigenze di vita dei figli (spese c.d. “straordinarie). La legge non elenca tassativamente le spese ricadenti nell’una o nell’altra categoria, pertanto l’individuazione è rimessa alla discrezionalità del giudicante, a seconda della situazione concreta posta alla sua attenzione

            Spese ordinarie. Come evidenziato più volte dalla giurisprudenza ”Il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, secondo il precetto di cui all’art. 147 c.c., impone ai genitori, anche in caso di separazione, di far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, certamente non riconducibili al solo obbligo alimentare ma inevitabilmente estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione – fin quando la loro età lo richieda – di una stabile organizzazione domestica adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e educazione” (ex multis, Cass. n. 4203/2006; Cass. n. 6197/2005; Cass. n. 26587/2009) . Pertanto le spese ordinarie si ritengono, di norma, quelle attuali e prevedibili necessarie a soddisfare esigenze di vita quotidiana della persona normale (dell’homo ejusdem condicionis et professionis): tra queste vi rientrano quelle per il sostentamento e le cure ordinarie come spese alimentari, scolastiche (libri di testo, tasse, abbigliamento, gite, ecc.), sanitarie, per l’igiene personale e il vestiario, nonché le spese a queste propedeutiche e conseguenziali.

            Per la Corte d’Appello di Roma, sent. n 3213/2015, nel contributo per il mantenimento del figlio deve essere considerata anche la compartecipazione alle spese generali (utenze, condominio, collaborazione domestica, etc.) compreso l’alloggio e l’organizzazione domestica che il genitore collocatario deve sostenere con incidenza prevalente, che non possono escludersi per i periodi nei quali il minore non è presente, sia perché il diritto – dovere dell’altro genitore di tenere i figli presso di sé per taluni periodi potrebbe non essere esercitato in concreto sia perché sarebbe estremamente difficile, in relazione ai periodi nei quali è previsto che i figli vadano a stare con il genitore non collocatario, eliminare le spese generali predette. In particolare, circa le spese sanitarie, si ritiene che nelle “cure ordinarie” rientrino, ad esempio, le visite pediatriche, di controllo routinarie, l’acquisto di medicinali da banco o di uso frequente, nonché quanto necessario curare e assistere un figlio disabile in relazione alla particolarità della sua situazione che ne influenza routine sanitaria.

            Al fine dell’individuazione delle spese da qualificarsi ordinarie, la giurisprudenza ha considerato tale anche la spesa mensile per la frequenza scolastica con semi convitto (Tribunale per i minorenni Bari, decreto 6 ottobre 2010) tenuto conto del normale standard di vita seguito dal minore fino al momento della crisi familiari.

            Spese straordinarie. Le spese straordinarie, invece, sono quelle riguardanti avvenimenti o scelte che trascendono le prevedibili e normali esigenze di vita quotidiana: per la giurisprudenza si tratta di esborsi necessari a far fronte ad eventi imprevedibili o addirittura eccezionali, ad esigenze non rientranti nelle normali consuetudini di vita dei figli minori fino a quel momento, o comunque spese non quantificabili e determinabili in anticipo o di non lieve entità rispetto alla situazione economica dei genitori. A titolo esemplificativo, stante la diffusa casistica giurisprudenziale in materia, possono esservi ricomprese le spese per interventi chirurgici, fisioterapia o psicoterapia, per occhiali da vista o apparecchio odontoiatrico, lezioni private, corsi per la patente di guida, viaggi all’estero per frequentare corsi di lingua, corsi sportivi e altri acquisti di natura voluttuaria, ossia per sopperire a bisogni ludici e non strettamente necessari (il cellulare, il motorino, il computer, ecc.). Tali spese vanno necessariamente ripartite, dovendo ritenersi che il contributo di mantenimento non possa di per sé ritenersi esaustivo delle esigenze dei figli medesimi, in relazione ad esborsi che riguardano ugualmente loro bisogni quotidiani.

            Nella pratica le spese straordinarie vengono suddivise in percentuale variabile tra i genitori, di solito è frequente stabilire un contributo pro quota pari al 50% delle spese straordinarie sostenute, nonostante la giurisprudenza abbia spesso ritenuto più rispondente alle esigenze di tutela della prole l’addebito degli oneri complessivi ad uno solo dei coniugi (cfr. Cass. n. 18242/2007). Di norma tuttavia, per evitare esborsi sconsiderati o scelte economicamente eccessive per il coniuge, si richiede che le decisioni di “maggior interesse”, che possano comportare spese straordinarie, vengano assunte dai coniugi di comune accordo al fine di evitare successivi conflitti per esborsi decisi unilateralmente.

            Ciascun genitore può attivarsi autonomamente, in ogni caso e in ogni tempo, nei confronti dell’altro se è necessario prendere decisioni “di maggior interesse” nella vita del minore (ad esempio scelte legate all’istruzione o sanitarie). Se il coniuge che non ha effettuato la spesa rifiuta di collaborare e di provvedere al rimborso della quota di spettanza, si farà ricorso all’autorità giudiziaria. In tal caso, il giudice sarà tenuto a verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore mediante la valutazione della commisurazione dell’entità della spesa rispetto all’utilità derivante ai figli e della sostenibilità della spesa stessa, rapportata alle condizioni economiche dei genitori. (Cass. n. 2127/2016). Pertanto, il genitore che richiede il rimborso delle spese sostenute per il minore è tenuto a dimostrare di aver provveduto alla preventiva consultazione dell’altro al fine di ottenerne il consento (preferibilmente con anticipo e per iscritto).

            Parte della giurisprudenza ha ritenuto, tuttavia, non esistente a carico del coniuge affidatario dei figli, per quanto riguarda l’educazione e l’istruzione, un obbligo di concertazione preventiva con l”altro coniuge in ordine alla determinazione delle spese straordinarie, nei limiti in cui esse non implichino decisioni di maggior interesse per i figli (cfr. Cass. n. 19607/2011).

            Il genitore obbligato che non paga può incorrere nel reato previsto dall’art. 570 c.p. (Violazione degli obblighi di assistenza familiare) e perseguito anche penalmente, oltre che obbligato al risarcimento del danno patito dal figlio.

            Lucia Izzo      Newsletter Cataldi     25 agosto 2016

www.studiocataldi.it/articoli/23137-assegno-di-mantenimento-cosa-comprende-l-importo-che-liquida-il-giudice.asp

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CHIESA CATTOLICA

                        Bianchi: i cristiani «rigoristi» allontanano da Dio.

«Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore». Parole recenti di Francesco, il Papa a cui c’è chi rimprovera un eccesso di “buonismo”? Parole che tradiscono la tradizione? In realtà sono parole vecchie più di mezzo secolo. Sono di un altro Papa, Giovanni XXIII, che le pronuncia l’11 ottobre 1962 aprendo il Concilio Vaticano II, il primo della storia a non nascere per pronunciare condanne.

Ieri a Gubbio, concludendo la 67ª Settimana liturgica nazionale, il priore di Bose, Enzo Bianchi, è partito proprio da qui: Gaudet mater ecclesia, la Chiesa che è madre gioisce: «Pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo con più luminosità il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando. Vuole mostrarsi madre piena di amore per tutti, tenera, paziente, mossa da misericordia e da bontà anche verso i figli da lei separati». Il filo che unisce Roncalli e Bergoglio è corto e stretto.

Negli anni successivi, ha ricordato Bianchi, di fronte alla secolarizzazione e all’indifferenza, a volte la Chiesa ha reagito «mostrandosi nuovamente timida, paurosa e tentata dal rigore, con sguardi nostalgici verso i tempi passati, quelli della cristianità». Infine arriva Francesco, nel quale «misericordia e tenerezza, biblicamente sinonimi, sono le parole-chiave». È quel Francesco talvolta deriso («La sua dottrina non è rigorosa»). Il Francesco che invoca una misericordia fatta di parole e opere. Il Papa che così scrive nella Bolla d’indizione del Giubileo: «Davanti alla visione di una giustizia come mera osservanza della legge, che giudica dividendo le persone in giusti e peccatori, Gesù punta a mostrare il grande dono della misericordia che ricerca i peccatori per offrire loro il perdono e la salvezza. Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe come tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge. La giustizia da sola non basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo a essa rischia di distruggerla». La giustizia di Dio non è la nostra giustizia, e questo per noi uomini è davvero molto difficile da digerire. Bianchi affonda il bisturi con la consueta schiettezza: «Purtroppo molti tra gli uomini e le donne del nostro tempo sono tenuti lontano dal Signore proprio dalla pretesa giustizia dei credenti, dei “cristiani del campanile”, di quelli che vantano un’appartenenza alla Chiesa sentendosi già salvati, e sovente allontanano i peccatori, emarginano quelli che hanno un comportamento che contraddice la legge e li pone “fuori del campo”».

La misericordia, con le sue molteplici opere, ha un ventaglio d’azione amplissimo. Bianchi ricorda un accento posto da Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata della pace del 2002: «Noi cristiani oggi dovremmo tentare di dare alla misericordia e alla riconciliazione una valenza anche sociale, a volte politica». E naturalmente l’Amoris laetitia di papa Bergoglio: «Sappiamo che questo documento crea ad alcuni difficoltà, soprattutto a quanti, presenti anche nella Chiesa, sono maestri esperti nell’inoculare il sospetto, il dubbio, la paura. Costoro temono che la misericordia diventi un “lasciar fare”, varco verso una superficialità che toglie la responsabilità, che finisca per favorire un cristianesimo debole, dove non c’è più la grazia a caro prezzo». È forse, sottolinea Bianchi, «il virus del giusto incallito, del religioso che si crede salvo». «Solo chi si sente amato gratuitamente, senza aver meritato l’amore, conosce veramente il volto di Dio» avverte, e conclude, Enzo Bianchi.

Umberto Folena         Avvenire, 26 agosto 2016

www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=numaut2063

Il rischio di un risentimento dello spazio contro il tempo.

A proposito di una critica di Don Giulio Meiattini a papa Francesco.

Da tempo conosco Don Giulio Meiattini, monaco benedettino, professore di teologia e mio collega a S. Anselmo. Molte volte è capitato che ci confrontassimo piacevolmente e che discutessimo con gusto e con passione su tematiche teologiche, soprattutto di carattere sacramentale e liturgico. Ho letto la sua critica al “principio” della superiorità del tempo sullo spazio nel magistero di papa Francesco

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351356

e trovo che in questo caso egli abbia rivolto ai documenti del papa – soprattutto a EG, ma anche a LS e ad AL – una censura troppo forte, troppo sopra le righe, che rischia di non cogliere ciò che è in gioco in quei 4 principi, di cui Meiattini critica soprattutto il primo.

Vorrei cercare di mostrare questo limite in tre passaggi: sullo schema che egli applica alla questione, sul vero centro della critica e infine sulle conseguenze che ne trae circa l’ultimo documento, ossia Amoris Laetitia.

  1. Il magistero non è né filosofia né scienza. La conclusione che Meiattini trae dal suo articolo – e che suona: “dai pronunciamenti magisteriali sarebbe da attendersi un linguaggio più sorvegliato e una maggiore lucidità di pensiero” – mi sembra molto grave, soprattutto perché non riconosce la originalità del “processo” che questo tipo di magistero introduce nella esperienza ecclesiale. La sua critica assomiglia molto a quella di coloro che, subito dopo il Concilio Vaticano II, lamentavano che i documenti conciliari non erano rigorosi, argomentati, strutturati secondo il classico stile del magistero…Sorvegliare il linguaggio e definire rigorosamente i concetti è in realtà ciò che non è più sufficiente alla esperienza ecclesiale. Una prima osservazione mi sembra quindi necessaria. Meiattini contesta il magistero di Francesco, e il suo modo di parlare del tempo, sul piano di una critica scientifica e di una critica filosofica. Sembra quasi ignorare che Francesco sta svolgendo un “ministero pastorale”, e sta parlando il linguaggio di una magistero specificamente pastorale. Controllarlo semplicemente sul piano scientifico e filosofico – cosa sempre possibile e anche necessaria – rischia di sfigurarlo irrimediabilmente e di spostarne sensibilmente il centro.
  2. Il “processo” è la vera questione. In realtà, come appare chiaramente dal tenore del testo di Meiattini, il vero centro della questione è la “opportunità” di “avviare processi”. Per Meiattini, in gioco non è tanto la chiarezza del linguaggio o il rigore delle categorie, ma il fatto che Francesco voglia “avviare processi”: questo, per Meiattini, sembra il centro dello “scandalo”. Anzi, Meiattini propone una ricostruzione capovolta della relazione tra Chiesa e mondo. Se per Francesco la questione oggi decisiva è quella di una Chiesa capace di avviare processi di conversione e di misericordia nel mondo, per Meiattini, un mondo dedito a continui processi e ad un movimento continuo, la Chiesa dovrebbe invece garantire pause, spazi di decantazione e di sosta. Qui non è più in gioco né il linguaggio né il concetto, ma una specifica relazione tra Chiesa e mondo, che predetermina ogni giudizio e che rischia di scivolare, se non adeguatamente controllata, nel pregiudizio. A leggere il testo di Meiattini, a partire dal suo vero “fuoco” – ossia il rifiuto di una “Chiesa in uscita” – si rischia di comprendere tutto ciò che precede come un semplice pretesto. Il che sembra apparire, nel modo più chiaro, nell’ultima parte dell’articolo.
  3. Le conseguenze su AL e il fraintendimento del processo iniziatico. Proprio la applicazione ad AL del criterio di lettura adottato mi sembra particolarmente illuminante. Ecco la sequenza della argomentazione proposta da Meiattini:
  • la applicazione del principio della “superiorità del tempo sullo spazio”, proprio all’inizio di AL, risulterebbe enigmatico. Vorrebbe dire che occorre ridurre il potere del magistero? Questo a Meiattini, appare infondato;
  • a suo avviso, invece, il principio avrebbe attivato “processi” che a suo avviso avrebbero determinato soltanto confusione e contraddizioni maggiori;
  • l’unica cosa che, secondo Meiattini, sarebbe importante è di garantire la formazione dei soggetti che si sposano. Perché i sacramenti siano “dati” a chi è veramente cristiano.

Ora qui a me pare che, in un sol colpo, ci si voglia immunizzare dalla storia degli ultimi 150 anni, rispetto a cui Francesco cerca invece di assumerne eredità e peso. La riduzione del matrimonio a “potere ecclesiale”, la esigenza di processi di accompagnamento, discernimento e reintegrazione, e il riconoscimento che il matrimonio è “più grande” della stessa iniziazione cristiana sono tre “processi” che Meiattini sembra ridurre ad una “quantité négligeable”. So bene che così non è. E so anche che Meiattini conosce con finezza tutto il percorso che ha riconosciuto come anche la “iniziazione cristiana” sia un processo complesso, irriducibile ad una dottrina o a una disciplina.

Ma è francamente piuttosto curioso che Meiattini voglia squalificare il concetto di processo utilizzato da Francesco e poi si rifugi, in conclusione, nell’elogio di un processo, come quello iniziatico, isolandolo dalla più ampia processualità culturale. Credo che se egli avesse letto i testi di Francesco senza il pregiudizio che irrigidisce i concetti in accezioni senza elasticità, avrebbe compreso che alla sua istanza oggi si può rispondere non secondo la logica della alternativa Chiesa/mondo, ma secondo una relazione di reciprocità e di dialogo. Quando papa Francesco parla di “primato del tempo sullo spazio”, propone una autorevole traduzione del Concilio Vaticano II. Non vorrei che il vero problema, in tutta questa analisi critica del “primato del tempo”, fosse proprio il Vaticano II e il processo di riforma che ha introdotto irreversibilmente nella esperienza ecclesiale e nella teologia. L’ansia di “negare i processi” è veramente garanzia di magistero affidabile? E il risentimento dello spazio verso il tempo è davvero un principio convincente? O anche questo dovrà essere giudicato un “linguaggio poco sorvegliato e senza rigore”?

Andrea Grillo            24 agosto 2016           blog: Come se non

www.cittadellaeditrice.com/munera/il-rischio-di-un-risentimento-dello-spazio-contro-il-tempo-a-proposito-di-una-critica-di-don-giulio-meiattini-a-papa-francesco

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CONSULENZA FAMILIARE

Il consulente familiare pubblica Speciale Trento 2016

63° Conferenza dell’International Commission on Couple and Family Relations

“Strong families, strong Communities”

Grandissima la partecipazione all’evento, le presenze hanno superato le 370 unità.

Video e fotografie in                                              http://ilconsulente5.blogspot.it

Il Consulente familiare, organo dell’Associazione Italiana Consulenti Coniugali e familiari A.I.C.C. e F.

n. 3\2016 luglio-settembre

www.aiccef.it

www.ilconsulentefamiliare.blogspot.com

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CONSULTORI FAMILIARI

Latina. Progetto del Consultorio diocesano per le famiglie con minori in mediazione penale

Il Consultorio familiare diocesano “Crescere insieme” avvierà a settembre una nuova attività sperimentale nella mediazione penale per i minori, settore in cui opera da circa dieci anni attraverso il proprio Ufficio di conciliazione e riparazione in ambito minorile. Nelle scorse settimane, dal Ministero della Giustizia è arrivato il via libera al progetto «Famiglie in mediazione», riconoscendo che «ben si armonizza con il percorso di lavoro da tempo intrapreso» e che soprattutto «consentirebbe di ampliarne la prospettiva».

L’obiettivo del progetto è quello di dare accoglienza e ascolto sia ai familiari del reo sia a quelli delle vittime, attraverso un’attività strutturata con il supporto di figure professionali competenti. Una modalità di lavoro che consentirebbe di promuovere e riattivare le risorse del sistema familiare.

Il coordinatore dell’Ufficio “In mediazione”, l’avvocato Pasquale Lattari, ha spiegato come è nata l’idea del progetto: «Nella sede del Consultorio, dove si svolge la mediazione, spesso accogliamo le famiglie dei minori che accompagno i figli e che durante l’attesa dello svolgimento delle attività parlano con gli operatori (psicologhe). Dai colloqui informali con i familiari dei minori emergono problematiche relazionali e familiari, conseguenza della condotta dei ragazzi. Da questa esperienza nasce l’esigenza di prestare accoglienza e ascolto ai familiari in maniera più strutturata e con figure professionali competenti anche per rendere completa la finalità riparativa cui è destinata la mediazione penale».

Insomma, un’attività che è naturale conseguenza di quella specifica in materia familiare effettuata dallo stesso Consultorio. Soddisfazione per l’accoglimento del progetto è stata espressa dal presidente del Consultorio diocesano, Vincenzo Serra: «Questo è anche segno della preziosa e fattiva relazione collaborativa che in questi anni abbiamo intessuto con il Centro per la Giustizia minorile di Lazio-Abruzzo-Molise, la struttura dipartimentale del Ministero della Giustizia, seppur nel rispetto delle competenze di ciascuno. Dunque, un rapporto leale che va tutto a beneficio non solo dei minori coinvolti in reati penali ma anche delle loro famiglie che di certo non si trovano a vivere momenti sereni». La precisazione ultima di Serra: «L’adesione da parte delle famiglie sarà volontaria, gratuita e senza alcun impegno da parte loro. Il tutto in piena consonanza e collaborazione con le autorità invianti e con l’Ufficio Servizi sociali minorili».

            Latina notizie 24 agosto 2016                                  www.latinanotizie.it/articolo.php?id=43687

Corso base di formazione per mediatore penale.

 La legge 67 del 28 aprile 2014 ha introdotto il procedimento di messa alla prova nei procedimenti penali e tra i contenuti è prevista la mediazione penale. In caso di esito positivo del procedimento il reato è dichiarato estinto.                                         www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2014/05/02/14G00070/sg

Il Tribunale di Latina ha reso operativo il proc.to con protocollo con l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Latina che cura il programma di messa alla prova; per la mediazione penale è stato individuato l’unico Centro – presente nel territorio di Latina operativo all’interno del Consultorio familiare Diocesano – che da tempo – a seguito di Protocollo con Ministero Giustizia – svolge attività di Mediazione penale in particolare in materia penale minorile. L’Ufficio di Mediazione e Giustizia Riparativa costituito all’interno del Consultorio familiare diocesano di Latina svolge la mediazione penale per i casi individuati nei programmi di messa alla prova e realizza anche, in collaborazione con la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Transazionale (SSPT) la formazione per i mediatori avvalendosi dei docenti specializzati, delle professionalità con formazione ed esperienza specifica maturata, e di esperti del Ministero della Giustizia.

Il corso base di formazione per mediatore penale sarà preceduto da un convegno/seminario nel mese settembre 2016. Le finalità del corso sono quelle di formare ai concetti basilari ed iniziali essenziali della mediazione penale, teorici e pratici, sia in materie giuridiche che psicologiche.

Programma. Il corso sarà articolato in tre aree – giuridica, psicologica e della formazione pratica – suddivise in moduli formativi. Il Corso si rivolge a persone in possesso dei seguenti requisiti: Laureati (titolo quadriennale o quinquennale (vecchio ordinamento) o specialistica (nuovo ordinamento) presso Università Italiane o equipollenti. In particolare il corso è destinato alle seguenti figure professionali: psicologi, assistenti sociali, pedagogisti ed educatori o consulenti familiari, avvocati o consulenti legali, laureati in scienze politiche, funzionari di pubbliche amministrazioni responsabili di organizzazioni di terzo settore.

Ore complessive. N. 76 ore di teoria ed esercitazioni. Lezioni: venerdì pomeriggio, dalle ore 15:00 alle 19:00, il sabato, dalle 9:00 alle 13,00; per un week end al mese a partire da sett.2016.

La frequenza è obbligatoria, sarà consentito assentarsi per un massimo del 15% del monte ore delle lezioni oltre il quale non si sarà ammessi all’esame il cui superamento consente acquisizione attestato finale.

Per ulteriori informazioni relative al programma specifico, alle modalità di prenotazione e di ammissione e ai costi:              e- mail: segreteria@consultoriodiocesanolatina.it                  www. consultoriodiocesanolatina.it

Per essere ammessi al corso è richiesta: la prenotazione a mezzo il modulo allegato, la presentazione del curriculum vitae e la partecipazione ad un colloquio di selezione teso ad individuare l’attitudine personale per la professione di mediatore. Solo a seguito di ammissione comunicata dal Consultorio il candidato potrà considerarsi iscritto adempiendo al versamento della quota dei iscrizione.

È prevista l’avvio del corso con un minimo di 15 partecipanti ed un massimo di 25.

Responsabile Consultorio: Dott. Vincenzo Serra

Direttori Corso: Prof. Susy Bianchini – Avv. Pasquale Lattari

Patrocinio Confederazione Italiana Consultori Familiari di Ispirazione Cattolica (onlus), Federazione Regionale Lazio e Consultorio familiare Diocesano “Crescere Insieme” Via Sezze 16 – 04100 Latina LT; in collaborazione con Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Transazionale, Consultorio Familiare Diocesano “Crescere Insieme”, Ufficio di mediazione e giustizia riparativa di Latina, Associazione per la famiglia onlus

Il Corso è organizzato in collaborazione con la “Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Transazionale” (SSPT) di Latina riconosciuta per la formazione in psicoterapia con DM n. 509/11.02.2008 in GU 47/25.02.2008 che oltre ad attività di ricerca effettua formazione con master, scuole di specializzazione in psicologia ed ha collaborazioni e docenti che operano con la Scuola Superiore di specializzazione in psicologia clinica dell’Università Pontificia Salesiana.

La figura del Mediatore penale non è ancora regolamentata specificatamente dalla normativa italiana (vi sono per il momento solo direttive, linee guida e prassi) e tuttavia all’interno di un più ampio percorso per formare in maniera adeguata alla complessità e delicatezza del ruolo si intende fornire con il corso i concetti basilari ed iniziali essenziali, necessari ed utili a rispondere anche a future regolamentazioni normative della professionalità. Il corso intende erogare un programma di formazione e certificazione che assicuri la preparazione giuridica e delle tecniche psicologiche e comunicative con competenza professionale ed etica.

La formazione mira, inoltre, a far acquisire agli allievi conoscenze pluridisciplinari, giuridico, sociologiche e psicologiche, che consenta di seguire le parti in mediazione. Obiettivi specifici del corso sono quelli di promuovere:

• la padronanza delle tecniche di base della mediazione;

• l’acquisizione delle nozioni psicologiche e legali necessarie;

• la realizzazione di una formazione professionalizzante

• possibilità di iscriversi tra i mediatori dell’ufficio di giustizia riparativa e mediazione di Latina

Metodologia. Il Corso prevede un’alternanza tra lezioni teoriche per l’acquisizione di conoscenze e competenze tecniche specifiche, modalità formative attive per acquisire capacità di analisi e di intervento e spazi dedicati al lavoro personale ed in gruppo per consentire i partecipanti un percorso di autoconoscenza. Con varietà di strumenti di apprendimento (giochi di ruolo, simulazioni, problem solving, lezione partecipata, esercizi di ascolto, esercizi di comunicazione non verbale, lavori di gruppo, momenti di progettazione). Il corso è di tipo teorico-esperienziale con una logica che tende a promuovere un’integrazione tra approcci teorici e metodologie di varia natura: Esperienziale, Comportamentale, Interpersonale, Psicodinamico, Sistemico-Relazionale. Gli Stage (tirocinio) Gli stage saranno effettuati presso la sede della Consultorio Diocesano familiare “Crescere Insieme” di Latina

Esami finali: sono previsti un esame scritto (consistente in una serie di domande aperte), un esame orale (consistente nella discussione della tesi e dei casi trattati durante il tirocinio), una tesi (suddivisa in 4 sezioni: 1) Autoritratto professionale; 2) Descrizione dell’esperienza di apprendimento; 3) Trattazione di un caso di Mediazione; 4) Esame tecniche di comunicazione.

Il corpo docente è formato da Docenti Psicoterapeuti e Counsellor della SSPT e da Psicologi e Avvocati del Consultorio Familiare Diocesano “Crescere Insieme”, da Mediatori esperti che già operano nella mediazione penale minorile e familiare, da dirigenti del Ministero impegnati nel settore penale specifico.

Il programma completo è in pdf allegato al link

www.consultoriodiocesanolatina.it/corso-base-di-formazione-per-mediatore-penale

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Bologna. Laboratorio per genitori d’adolescenti e giovani mamme.

Partirà ad ottobre 2016 il nuovo Laboratorio per genitori di figli pre e adolescenti. Si tratta di 3 incontri gratuiti per riflettere insieme ad operatori specializzati sui temi che stanno più a cuore ai genitori. 

E se gli adolescenti fossero un dono per i genitori?

Laboratorio familiare sociale con operatori specializzati rivolto ai genitori e agli educatori

  1. Sabato 22 ottobre ore 16 Adolescenti in famiglia: crisi o risorsa?

Silvana Sandri, psicopedagogista e formatrice in Educazione Familiare

  1. Sabato 29 ottobre ore 16 L’adolescente: una persona in crescita

Giuseppe Rubino psichiatra, psicoterapeuta, Anita De Meo consulente coniugale

  1. Sabato 5 novembre ore 15,30 Trasformazioni: adolescenti e genitori

Gilda D’Elia consulente alla persona e alla famiglia –Costellazioni familiari

Gli incontri sono gratuiti, per l’iscrizione telefonare allo 051/450585

Percorso rivolto alle mamme in attesa o con bimbi piccoli

Il percorso si configura come uno spazio intimo e accogliente in cui giocare in maniera creativa e consapevole. Attraverso l’uso guidato di tecniche orientali e occidentali si favorisce il rilassamento sia fisico che psicologico dando vita a un luogo interno di ascolto e osservazione di sé. Si possono condividere, in maniera protetta e non-giudicante, tutte le gioie e le paure che accompagnano questa importante fase di vita, al fine di saper riconoscere e utilizzare le proprie risorse interiori, per poter ascoltare in modo ottimale i bisogni del bambino.

Questo cammino, articolato in 3 incontri, saranno sviluppati i seguenti temi:

  1. L’abbraccio: accudimento empatico materno: come sostenere fisicamente e psicologicamente il bambino per favorirne l’autostima allontanando l’ombra di futuri disturbi di personalità.
  2. Lo sguardo: meccanismo del rispecchiamento: fase psicologica fondamentale per un sano sviluppo del sé che si forma attraverso il rapporto simbiotico e lo sguardo della madre.
  3. Lo specchio: neuroni Mirror: importantissima scoperta delle neuroscienze che sottolinea il fondamento fisiologico dell’apprendimento nei primi anni di vita. I messaggi comportamentali inviati vengono decodificati attraverso i neuroni mirror e risultano essere predominanti rispetto a quelli verbali.

merc. 12 ottobre 2016 ore 18 – 19,30 oppure sab. 15 ottobre 2016 ore 10 – 11,30

merc. 19 ottobre 2016 ore 18 – 19,30 oppure sab. 22 ottobre 2016 ore 10 – 11,30

merc. 26 ottobre 2016 ore 18 – 19,30 oppure sab. 29 ottobre 2016 ore 10 – 11,30

Gli incontri sono gratuiti, per l’iscrizione telefonare allo 051/450585

                http://www.consultoriobologna.it

www.iperbole.bologna.it/iperbole/scvfam

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COPPIE INTERNAZIONALI

I nuovi regolamenti UE sui regimi patrimoniali delle coppie internazionali sposate o registrate.

La disciplina introdotta con i nuovi regolamenti in materia di regimi patrimoniali delle coppie internazionali, sposate o registrate, regola la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni e degli atti pubblici. È riconosciuta alle parti la libertà di scelta del foro e della legge applicabile. Conformemente agli altri strumenti UE di diritto internazionale privato, per il riconoscimento delle decisioni non è necessario alcun procedimento.

Le disposizioni dei regolamenti 2016/1103 sui regimi patrimoniali dei coniugi e 2016/1104 sugli effetti patrimoniali delle unioni registrate presentano una struttura e numerazione identica, con le differenze dovute al diverso status delle coppie. I due regolamenti UE sono il risultato di un lungo iter avviato con le proposte della Commissione europea presentate nel 2011, oggetto di discussione tra gli Stati membri con particolare riguardo alla diversità di regimi patrimoniali e dei loro effetti esistenti nei vari paesi, nonché per la mancanza di legislazioni sulle unioni registrate in alcuni di essi.

            Nel 2015 il Consiglio ha definitivamente accantonato i testi originari, riscontrando l’impossibilità di raggiungere un accordo unanime ai sensi dell’art. 81(3) TFUE. A ciò ha fatto seguito la richiesta alla Commissione da parte di 18 Stati membri (Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica ceca, Slovenia, Spagna, Svezia) di presentare una proposta di cooperazione rafforzata che si occupasse di giurisdizione, legge applicabile e riconoscimento delle sentenze e degli atti pubblici in materia di rapporti patrimoniali delle coppie sposate e delle unioni registrate. Tale procedura è stata autorizzata dal Consiglio con decisione (UE) 2016/954 del 9 giugno 2016. Sono poi stati presentati e approvati i due regolamenti in commento. La partecipazione alla cooperazione rafforzata è comunque aperta a tutti gli altri Stati membri interessati che intendano essere vincolati dai regolamenti.

            Ambito di applicazione. Il regolamento 2016/1103 non definisce la nozione di matrimonio, che è demandata ai singoli ordinamenti nazionali (considerando 17), mentre precisa che il termine regime patrimoniale deve essere inteso in modo autonomo e quindi deve comprendere il regime dei beni e tutti i rapporti patrimoniali, come disciplinati dalle legislazioni nazionali, tra i coniugi ma anche nei confronti dei terzi, che derivano dal matrimonio o dal suo scioglimento (art. 3(1)(a), considerando 18). Sono escluse le questioni inerenti a tali rapporti, quali la capacità giuridica dei coniugi, nonché quelle relative alla successione mortis causa e alle obbligazioni alimentari (art. 1(2)). Il regolamento 2016/1104 disciplina gli effetti patrimoniali delle coppie non sposate, ma la cui unione è registrata, in base al diritto interno degli Stati membri, rimanendo escluse le coppie di fatto (considerando 16-17). Parimenti all’altro regolamento, il termine effetti patrimoniali deve essere inteso in senso ampio, coprendo tutti i rapporti patrimoniali, quali la gestione e la liquidazione del regime patrimoniale, durante l’unione e al suo scioglimento (art. 3(1)(b), considerando 18-19), ed escludendo le questioni ad essi correlate (art. 1).

            Competenza. Ai fini di entrambi i regolamenti, viene attribuito al termine autorità giurisdizionale un significato ampio, che comprende qualsiasi autorità giudiziaria o professionista competente in materia, tra cui i notai (art. 3(2)). Ai sensi degli artt. 4 e 5 di ambedue i regolamenti, l’autorità adita per decidere, rispettivamente, su questioni riguardanti la successione oppure su divorzio, separazione o annullamento del matrimonio o scioglimento dell’unione registrata, è competente a trattare le questioni relative ai rapporti patrimoniali dei coniugi o dei partner, a condizione che vi sia un accordo tra le parti. In particolare, l’art. 5 del regolamento 2106/1103 prevede che la competenza dell’autorità investita con la domanda principale è condizionata all’accordo dei coniugi qualora la sua giurisdizione in materia matrimoniale sia stata determinata conformemente agli artt. 3, 5 o 7 del regolamento (CE) 2201/2003.

            In mancanza di elezione del foro, i due regolamenti stabiliscono all’art. 6 i criteri per determinare la giurisdizione, che sono successivi. Il regolamento 2016/1103 prevede che sono competenti a decidere sul regime patrimoniale dei coniugi le autorità giurisdizionali dello Stato membro di residenza abituale dei coniugi o, in mancanza, di ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora o, in mancanza, di residenza abituale del convenuto o, in mancanza, di cittadinanza comune dei coniugi, in ogni caso avuto riguardo al momento in cui l’autorità è stata adita. Il regolamento 2016/1104 sulle unioni registrate individua i medesimi criteri di collegamento, a cui aggiunge la competenza delle autorità dello Stato di costituzione.

            In base all’art. 7 di entrambi i regolamenti, è prevista la possibilità di concordare la scelta del foro, eccetto quando sia già stata adita un’autorità per decidere su questioni riguardanti la successione oppure su divorzio, separazione o annullamento del matrimonio o scioglimento dell’unione, in base agli artt. 4 e 5. L’art. 7 del regolamento 2016/1103 prevede che, nelle ipotesi di cui all’art. 6, i coniugi possono attribuire la competenza esclusiva in materia di regimi patrimoniali alle autorità giurisdizionali dello Stato membro la cui legge è applicabile ex art. 22, ossia lo Stato di residenza abituale di uno o entrambi o di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza, avuto riguardo al momento della conclusione dell’accordo, oppure ex art. 26(1)(a-b), vale a dire lo Stato della prima residenza abituale comune dei coniugi dopo la conclusione del matrimonio o della cittadinanza comune dei coniugi al momento della conclusione del matrimonio, nonché, infine, lo Stato membro di conclusione del matrimonio. Similmente, l’art. 7 del regolamento 2016/1104 consente l’attribuzione della competenza esclusiva alle autorità dello Stato membro la cui legge è applicabile ex artt. 22 e 26(1), ossia dello Stato di residenza abituale di uno o entrambi i partner o di cui uno dei partner ha la cittadinanza, avuto riguardo al momento della conclusione della convenzione, nonché, lo Stato ai sensi della cui legge l’unione registrata è stata costituita.

            L’art. 9 di entrambi i regolamenti dispone che nel caso in cui il matrimonio o l’istituto dell’unione registrata non sia riconosciuto nello Stato membro dell’autorità adita, questa può declinare la competenza. Se le parti concordano, la competenza alternativa può essere attribuita alle autorità di un altro Stato membro. Unica eccezione sussiste quando lo Stato membro dell’autorità adita riconosce la decisione di divorzio, separazione o scioglimento del matrimonio o dell’unione, che pertanto rimane competente.

            Altre disposizioni coprono i casi di competenza fondata sulla comparizione del convenuto (art. 8), competenza sussidiaria, ossia basata sulla presenza dei beni immobili nello Stato del foro (art. 10), forum necessitatis (art. 11) e domanda riconvenzionale (art. 12). Infine, sono dettate norme comuni, quali quelle su litispendenza (art. 17), connessione (art. 18) e provvedimenti provvisori e cautelari (art. 19).

            Legge applicabile. La legge che regola i regimi patrimoniali dei coniugi o gli effetti patrimoniali delle unioni registrate, determinata in base ai corrispondenti regolamenti, si applica anche qualora non sia quella di uno Stato membro della cooperazione rafforzata o dell’UE, affermandone dunque la portata universale (art. 20). L’ambito di applicazione della legge designata come applicabile è delimitato dai rispettivi art. 27.

            Ai sensi dell’art. 22 di entrambi i regolamenti, le parti possono scegliere, in qualsiasi momento, la legge applicabile ai loro rapporti patrimoniali, purché, secondo criteri di collegamento che sono alternativi, si tratti della legge dello Stato di residenza abituale o della cittadinanza di una parte, in tutti i casi avuto riguardo al momento in cui l’autorità è stata adita, nonché, per le unioni registrate, anche la legge del luogo di costituzione. Ambedue i regolamenti stabiliscono alcuni requisiti per la validità formale (artt. 23 e 25) e sostanziale (art. 24) dell’accordo o della convenzione matrimoniale o tra partner, con lo scopo di facilitarne l’accettazione negli Stati membri.

            In mancanza di scelta delle parti, per quanto riguarda i regimi patrimoniali dei coniugi, l’art. 26 del regolamento 2016/1103 individua i criteri per determinare la legge applicabile, che sono successivi. La legge applicabile potrà essere quella dello Stato di residenza abituale comune dopo la conclusione del matrimonio o, in mancanza, dello Stato della cittadinanza comune al momento della conclusione del matrimonio o, in mancanza, quello con cui i coniugi presentano il collegamento più stretto in tale momento.

            In caso di unione registrata, l’art. 26 del regolamento 2016/1104 designa come applicabile la legge del luogo di costituzione, qualora non sia stata scelta dalle parti.

            In entrambi i regolamenti, nei citati art. 26, in via eccezionale e su richiesta di una parte, l’autorità adita con domande su questioni inerenti al regime patrimoniale tra coniugi o agli effetti patrimoniali di un’unione registrata può decidere che la legge di uno Stato, diverso da quello la cui legge è stata designata in base ai criteri summenzionati, sia applicabile ai rapporti patrimoniali, qualora siano rispettate le condizioni ivi contemplate e non vengano pregiudicati i diritti dei terzi.

            Considerata la diversità dei diritti reali riconosciuti negli Stati membri, è previsto l’adattamento di un diritto reale, attribuito in uno Stato membro, al diritto reale equivalente più vicino regolato nell’altro Stato membro che non lo riconosce (art. 28).

            Inoltre, i due regolamenti fanno salve le norme di applicazione necessaria della legge del foro (art. 30) ed escludono l’applicazione della legge designata in caso di manifesta incompatibilità con l’ordine pubblico del foro (art. 31).

            Riconoscimento, esecutività ed esecuzione delle decisioni. L’art. 36 dei due regolamenti dispone che il riconoscimento delle decisioni avviene in modo automatico. I motivi di diniego di riconoscimento, che vengono in rilievo in caso di contestazione, sono elencati nell’art. 37 di entrambi i regolamenti e riguardano la contrarietà all’ordine pubblico dello Stato membro in cui è richiesto il riconoscimento, il rispetto dei diritti di difesa, l’incompatibilità con una decisione emessa in un procedimento tra le stesse parti nello Stato membro in cui è richiesto il riconoscimento o con una decisione emessa precedentemente tra le stesse parti in un altro Stato membro o in un paese terzo, in un procedimento avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo, qualora tale decisione sia riconoscibile nello Stato membro in cui è richiesto il riconoscimento.

            È escluso il riesame della competenza dello Stato d’origine (art. 39) e del merito della decisione emessa in uno Stato membro (art. 40).

            Per l’esecuzione di una decisione, emessa in uno Stato membro e ivi esecutiva, occorre presentare un’istanza nello Stato richiesto per chiedere la dichiarazione di esecutività di tale decisione, secondo la procedura di cui agli artt. da 44 a 57.

            Atti pubblici e transazioni giudiziarie. In considerazione del fatto che in alcuni ordinamenti le questioni patrimoniali sono trattate da autorità non giudiziarie, l’art. 58 di entrambi i regolamenti disciplina l’accettazione degli atti pubblici, stabilendo che hanno la stessa efficacia probatoria in tutti gli Stati membri e che producono gli effetti più comparabili, salva la contrarietà all’ordine pubblico. L’esecutività degli atti pubblici (art. 59) e delle transazioni giudiziarie (art. 60) segue la procedura richiesta per le decisioni.

            Disposizioni generali e finali. I due regolamenti si applicheranno a decorrere dal 29 gennaio 2019 negli Stati membri che partecipano alla cooperazione rafforzata (art. 70) e riguarderanno solo i procedimenti avviati, gli atti pubblici formalmente redatti o registrati e le transazioni giudiziarie approvate o concluse in quella data o successivamente. Se il procedimento è stato avviato anteriormente a tale data, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni assunte dopo sono regolati dalle relative disposizioni a condizione che la competenza sia stata attribuita conformemente a quanto stabilito nei regolamenti (art. 69).

            Le disposizioni sulla legge applicabile sono applicabili ai coniugi che hanno contratto matrimonio o che hanno designato la legge applicabile al loro regime patrimoniale successivamente al 29 gennaio 2019, nonché ai partner che hanno registrato la loro unione o che hanno designato la legge applicabile agli effetti patrimoniali della loro unione registrata successivamente a tale data (art. 69).

            Baruffi Maria Caterina Professore ordinario di Diritto internazionale presso l’Università di Verona

            News Altalex, 22 agosto 2016.

Nota di tratta da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer

www.quotidianogiuridico.it/documents/2016/07/21/i-nuovi-regolamenti-ue-sui-regimi-patrimoniali-delle-coppie-internazionali-sposate-o-registrate

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DALLA NAVATA

                        XXII Domenica del tempo ordinario – anno C – 28 agosto 2015.

Siracide          03, 19. Figlio, compi le tue opere con mitezza, e sarai amato più di un uomo generoso.

Salmo              68, 04. I giusti si rallegrano, esultano davanti a Dio.

Ebrei                           12, 22. Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova.

Luca                14, 14. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti.

Commento al Vangelo di Enzo Bianchi, priore del Monastero di Bose (BI)                       

Sempre durante il viaggio verso Gerusalemme Gesù è avvertito che Erode vuole ucciderlo, quindi è invitato a fuggire. Ma egli non scappa, anzi manda a dirgli che ciò che deve fare lo fa con parrhesía, con franchezza, obbedendo alla volontà del Padre, fino a quando porterà a compimento la sua opera (cf. Lc 13,31-33). Per Gesù Erode è solo una “volpe”, un impuro che egli durante la passione non degnerà neppure di uno sguardo, rimanendo muto davanti a lui, senza rispondere alle sue domande (cf. Lc 23,8-9).

Gesù non fugge, ma compie il suo cammino incurante delle minacce di Erode, e in giorno di sabato, invitato a pranzo da uno dei capi dei farisei, accetta di entrare nella sua casa. Gesù era diventato un rabbi molto noto ed era dunque frequentemente invitato, spesso dopo la sua predicazione in sinagoga, alla tavola di qualche notabile (cf. Lc 7,36; 11,37). Questo capo della sinagoga e gli altri scribi e farisei che invitavano Gesù volevano forse onorarlo? Volevano discutere con lui a proposito dell’interpretazione della Legge? Volevano esaminarlo, metterlo alla prova (cf. Lc 10,25)? Luca annota che, nel caso presente, stavano a osservare il suo comportamento.

Ed ecco che davanti a Gesù c’è un uomo malato di idropisia (cf. Lc 14,2), dunque – secondo l’opinione religiosa del tempo – qualcuno colpito da Dio a causa di un grave peccato commesso, relativo alla sessualità. È sabato, il giorno del Signore, giorno della vita piena, del trionfo della vita sulla malattia e sulla morte: Gesù sente dunque in sé il bisogno di liberare quest’uomo da una malattia invalidante e infamante. Egli sa che sarà contestato, perché agli occhi dei dottori della Legge e dei farisei, quella da lui compiuta apparirà come un’operazione medica, vietata di sabato. Pone dunque una domanda ai suoi interlocutori, costringendoli a uscire allo scoperto: “È lecito o no curare di sabato?” (Lc 14,3). Ma costoro non rispondono, e allora Gesù prende per mano quel malato, lo guarisce e lo congeda (cf. Lc 14,4). Di fronte a questo gesto e alla successiva domanda, ecco calare ancora un silenzio imbarazzato (cf. Lc 14,5-6).

Solo Gesù, sempre attento e vigilante su ciò che gli accade intorno, prende di nuovo la parola. Vede che gli invitati a tavola cercano il primo posto, come sempre, il posto di chi viene onorato dal padrone, quello riservato a chi è ragguardevole, importante. Succede così ancora oggi, nei banchetti solenni: in attesa che il pasto abbia inizio, i presenti sbirciano dove sia il posto dell’invitante e con occhio vorace individuano la sedia più vicina a lui, lanciandosi su di essa come su di una preda. Per questo in certi pranzi o l’invitante indica i posti da prendere a tavola oppure essi sono segnalati da cartoncini posti accanto al piatto…

Vista questa situazione, Gesù dà un insegnamento attraverso una parabola, che leggiamo ancora una volta, parafrasandola. Quando tu, lettore del vangelo, sei invitato a un banchetto, a una festa, non puntare a occupare il primo posto, cioè non crederti un ospite importante e più degno di altri di stare accanto a chi ha convocato la festa, perché in tal caso rischi di essere chiamato a lasciare il posto a un altro invitato più degno di te. È questione di modestia, di non avere un super-io che ti acceca e ti fa credere di valere più di altri. Sarebbe vergognoso che tu fossi costretto a retrocedere davanti a tutti, facendo così emergere la tua indegnità, la tua pretesa importanza. Resta invece modesto, vicino agli ultimi posti, non sopravvalutarti, e allora forse accadrà che chi ti ha invitato venga a dirti: “Amico, vieni più avanti, più vicino a me!”. Così apparirà a tutti i commensali la tua reale importanza agli occhi del padrone di casa.

Certo, queste parole di Gesù rischiano di essere intese come un invito a una falsa umiltà, quella di chi si serve anche della scelta dell’ultimo posto a tavola per essere esaltato davanti a tutti. Ma l’intenzione di Gesù, attraverso questa parabola, è quella espressa nel suo detto conclusivo: “Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. Sì, solo chi è umiliato è realmente umile: guai invece a fingere umiltà in vista dell’esaltazione! Qui più che mai si tratta di impedire a noi stessi di adottare strategie o tattiche. È come se Gesù dicesse a ciascuno di noi: “Sta’ in fondo con modestia, senza atteggiamenti di piccolezza forzata, e soprattutto non desiderare ciò che non dipende da te”.

Semplicità, discrezione, disinteresse devono far parte dello stile di un uomo, di un cristiano, e solo così la festa potrà essere vissuta in modo autentico e non come una scena, un’occasione di apparire. Ciò che uno “è”, è la realtà; ciò che non è e accade, è solo scena. Solo chi si umilia sarà esaltato, chi invece cerca di essere umile e appare tale senza essere umiliato, è semplicemente perverso, creatore di una scena che passa (cf. 1Cor 7,31). La festa si può vivere solo restando al proprio posto e non cercando di rubarlo agli altri. E ciò vale in qualsiasi comunità: stare al proprio posto senza ambire a posti più alti, senza cercare posti tenuti dagli altri, è difficile ma è secondo il pensiero di Gesù, è evangelico e contribuisce alla vera costruzione della comunità. Ognuno dunque stia al proprio posto, secondo la grazia e i doni ricevuti dal Signore (cf. Rm 12,3-6a), perché chi si sopravvaluta cadrà da più in alto, in modo disastroso per sé e per gli altri.

Poi Luca aggiunge un’altra esortazione di Gesù, non più sugli invitati, ma su chi invita a un pasto, a un banchetto: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché non si sentano costretti a ricambiare l’invito”. Triste constatazione questa di Gesù, capace di far emergere il ragionamento di molti che, senza consapevolezza, dicono: “Siccome ci hanno invitati da loro, adesso tocca a noi”, secondo una logica dello scambio utilitaristico che nega ogni gratuità. Diciamo la verità: anche oggi, anzi oggi più che in passato, avviene proprio così, e non siamo più capaci di invitare gli altri a casa nostra, perché l’idolo dell’interesse ci domina. Invitiamo qualcuno a cena, e possibilmente non in casa, ma al ristorante, per ragioni di lavoro (i pasti di lavoro…), calcolando quante volte siamo stati a nostra volta invitati da lui.

Gesù invece ci avverte: il pranzo o la cena di festa sono tali solo quando sono offerti gratuitamente, senza attendersi un contraccambio. Per questo, soprattutto nella comunità cristiana, occorre organizzare feste alle quali siano invitati gli “scartati” della società, quelli che nessuno invita perché non possono ricambiare, perché invitarli non procura onore o decoro. Poveri, storpi, zoppi, ciechi, stranieri, bisognosi devono essere presenti alla nostra tavola; se non ci sono, la nostra non è una tavola secondo il Vangelo, che chiede la condivisione del cibo, l’accoglienza di chi è povero e ultimo. Un pasto gioioso, una vera festa è quella a cui partecipano quelli che non amiamo perché non li conosciamo: invitarli a tavola significa che prima li amiamo, poi li conosciamo, non viceversa, come fanno le persone mondane.

E non si dimentichi che i pranzi aperti ai poveri, ai mendicanti d’amore, ai peccatori, sono quelli a cui partecipava Gesù e che egli ha imbandito nella sua vita. Anche l’eucaristia che celebriamo, se è aperta solo a quelli che si sentono degni e giusti, mentre esclude i poveri e i peccatori perdonati, non è l’eucaristia di Cristo, ma una “nostra” eucaristia: un banchetto religioso ma mondano, non secondo la logica del Vangelo!

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/10750-la-tavola-luogo-di-finzione-o-di-comunione

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DEMOGRAFIA

2050, in Italia senza migranti saremo 10 milioni di meno.

Popolazione a picco e crollo della natalità. La fotografia scattata dall’Eurostat è impietosa. Se escludessimo dalla contabilità demografica la variabile migratoria, nel 2050 gli italiani si ridurrebbero dai 60,6 milioni del 2015 ai 51,5 del 2050. Per toccare il picco minimo a 39,4 milioni nel 2080. Effetto di un progressivo calo delle nascite che, dalle 519 mila dell’anno scorso scenderebbero a 375 mila nel 2050 prima del tonfo a quota 308 mila nel 2080. Uno scenario apocalittico che ha fatto scattare l’allarme al ministero per gli Affari regionali, dove la questione demografica è considerata prioritaria e sono allo studio possibili interventi. A cominciare da una serie di misure a sostegno delle famiglie e della natalità.

Il ministro Costa. Ma se nelle dinamiche demografiche si tenesse conto dei flussi migratori, le proiezioni dell’Ufficio statistico dell’Ue cambierebbero radicalmente. Aggiungendo, infatti, alla contabilità i numeri dei nuovi arrivi da Paesi extracomunitari, la popolazione sul territorio italiano salirebbe a 67 milioni nel 2050 per assestarsi a 65 milioni nel 2080. Con un significativo miglioramento anche del trend delle nascite: 572 mila nel 2050 e quasi 571 mila nel 2080. «In realtà, i dati Eurostat sono persino più ottimistici della situazione reale, tenuto conto che, rispetto alle proiezioni, nel 2015 la popolazione italiana si è assestata al di sotto dei 60 milioni e i nuovi nati sono stati circa 488 mila – sottolinea il ministro per gli Affari regionali con delega alla famiglia, Enrico Costa.

Numeri destinati, negli anni, a peggiorare e che ci indicano la necessità di politiche strutturali, organiche e stabili a sostegno della natalità che non può essere una questione lasciata ai piani nazionali dei singoli Stati Ue ma va affrontata e coordinata a livello europeo». La dinamica demografica inquadrata dall’Eurostat per l’Italia, del resto, va di pari passo con quella comunitaria. A variabile migratoria zero, la popolazione dell’Unione europea è destinata a scendere dai 507 milioni del 2015 ai 466 del 2050. Fino a precipitare a 399 milioni nel 2080. E anche le nascite crollerebbero da 5,1 milioni dell’anno scorso, a 4,1 nel 2050 e a 3,6 nel 2080. Tutta un’altra musica, invece, tenendo conto dei flussi migratori: 525 milioni nel 2050 e 520 nel 2080 per la popolazione; 5 milioni di nuovi nati nel 2050 e 5,1 nel 2080, sostanzialmente stabili rispetto al 2015.

Le eccezioni virtuose. Non mancano, però, eccezioni virtuose tra i Paesi dell’Ue. A cominciare dalla Francia che, anche in caso di neutralizzazione della variabile migratoria, vedrebbe la sua popolazione aumentare dai 66 milioni dell’anno scorso ai 69 del 2050, assestandosi a quota 68 nel 2080. Stessa dinamica in Gran Bretagna: 64 milioni nel 2015, 67 nel 2050 e di nuovo 64 nel 2080. «Sono casi che devono far riflettere perché ci dicono che in questi Paesi le politiche adottate a sostegno della famiglia sono state improntate all’insegna della stabilità – prosegue Costa -. In Italia, al contrario, sono state adottate negli anni poche misure strutturali e caratterizzate da troppa incertezza: un intervento una tantum, anche se meritevole, non porta risultati nel medio-lungo termine». Nei dati Eurostat, spicca anche un ulteriore aspetto legato all’invecchiamento della popolazione. A migrazione zero, l’età media degli italiani salirà dai 44,8 anni del 2015 ai 52,8 del 2050 fino ai 53,2 del 2080. Mentre, tenendo conto dell’effetto dei flussi migratori, resterebbe stabilmente al di sotto dei 50 anni: 44,7 nel 2015, 47,8 nel 2050 e 48,9 del 2080.

            Antonio Pitoni                        La Stampa, 22 agosto 2016

www.lastampa.it/2016/08/22/economia/in-italia-senza-migranti-saremo-milioni-di-meno-2KuKQubq7Cwnxrtn4D8SyL/pagina.html

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GOVERNO

Il ministro Costa: “A settembre un testo unico sulla famiglia con misure strutturali e più semplici per i neogenitori”.

            Se l’Italia non adotta in tempi brevi consistenti misure di sostegno alla natalità, potrebbe assistere a un vero e proprio crollo demografico. È questo l’allarme lanciato in questi giorni di fine agosto dal ministro per gli Affari Sociali con delega alla Famiglia Enrico Costa. Il quale ha anticipato la presentazione di un Testo Unico per la famiglia finalizzato proprio a sostenere questa realtà fortemente in crisi nel nostro Paese. Il disegno di legge, che sarà esaminato dal governo entro il 13 settembre, data di riapertura dei lavori parlamentari, si proporrà di rendere strutturali le attuali misure di sostegno della natalità e delle madri lavoratrici e di favorire una prima maternità più precoce rispetto all’attuale età media di 30 anni.

            “Oggi gli interventi sono legati soprattutto al reddito – ha detto Costa -, ma io penso che un aspetto importante sia anche l’età, perché è necessaria un’inversione di tendenza sull’età in cui si fa il primo figlio: la maggior parte delle misure deve orientarsi in questa direzione”. Come ricordato dallo stesso ministro, infatti, dal 1975 a oggi si è registrato un aumento dell’età media della madre al momento della venuta al mondo del primo figlio: da 24,7 anni ai 30,7 di oggi. Per questo, il contrasto al calo delle nascite deve puntare innanzitutto agli aspetti anagrafici delle madri. In concreto si pensa di anticipare al settimo mese di gravidanza il bonus bebè, oggi fruibile solo dal momento della nascita per i figli biologici e di ingresso in famiglia per quelli adottati. In più, si ipotizza un voucher per facilitare l’accesso all’asilo nido e una rimodulazione dell’Irpef con l’innalzamento delle detrazioni fiscali per i figli minori.

            Accanto a questi provvedimenti, con il Testo Unico sulla famiglia si punterà anche a una semplificazione. “Troppe misure sperimentali e a termine – ha spiegato ancora Costa – non garantiscono riconoscibilità, certezza e sicurezza di cui hanno bisogno i giovani per poter intraprendere un cammino di vita insieme e mettere al mondo figli. Nella delega predisposta per il testo unico c’è proprio una voce sulla semplificazione delle procedure”. Nelle intenzioni del ministro c’è quindi la stabilizzazione di alcuni interventi di sostegno alla natalità e l’istituzione di nuovi. “Non provvedimenti spot, ma un provvedimento organico contro l’attuale disordine normativo”, ha assicurato Costa che, pur non facendo anticipazioni sulle risorse a disposizione, ha ribadito che l’obiettivo del governo è quello di garantire “la stabilità delle misure, la sicurezza di poter contare anno dopo anno sui sostegni”. Questo perché “oggi abbiamo misure che non sono più attuali. Talvolta non sono finanziate da tempo o sono sotto finanziate o non ‘tirano’, nel senso che non c’è un accesso o un interesse”.

Fonte: Pensioni Oggi, Il Corriere Città        News Ai. Bi.    26 agosto 2016

www.aibi.it/ita/il-ministro-costa-a-settembre-un-testo-unico-sulla-famiglia

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PATERNITÀ

Il padre che prima riconosce il figlio e poi si pente deve risarcire i danni.

Tribunale di Milano, nona Sezione civile, 27 aprile 2016

Va risarcito il danno al figlio falsamente riconosciuto dal “padre” che, a distanza di anni impugni il riconoscimento disconoscendone la veridicità. Il principio è stato stabilito dal Tribunale di Milano

Il ricorrente aveva riconosciuto la figlia minorenne della compagna, poi moglie. Il matrimonio era stato poi annullato con sentenza ecclesiastica ed il genitore, i cui rapporti con la “figlia” erano divenuti praticamente solo formali, agisce innanzi al Tribunale per accertare e dichiarare che la ragazza, ormai 23enne, non è sua figlia. Da qui la richiesta risarcitoria della ragazza per il danno morale ed esistenziale patito, a fronte del falso riconoscimento e a fronte dell’improvvisa scoperta della discrasia tra situazione reale e situazione legale; la stessa chiede inoltre di essere risarcita per il danno patito a causa del comportamento dell’attore, il quale si era spogliato dei doveri genitoriali, privando improvvisamente la figlia dell’affetto e della presenza paterna.

            Per i giudici il falso riconoscimento integra il reato di cui all’art. 483 c.p., sussistendo l’elemento oggettivo e soggettivo del reato: fatto incontestato e pienamente ammesso dall’attore è che questi aveva riconosciuto falsamente la figlia della compagna nella piena consapevolezza di non esserne il padre, bambina che aveva conosciuto quando era già nata e aveva circa un anno e mezzo.

            Va premesso che l’art. 263 c.c. consente all’autore del riconoscimento di impugnare l’atto per difetto di veridicità, senza escludere la legittimazione in capo a chi era consapevole della falsa dichiarazione. La predetta norma, riscritta dal D. Lgs. n. 154 del 2013, nella sua precedente formulazione, aveva tuttavia fatto sorgere dubbi di legittimità e coerenza con il sistema di valori della Costituzione, sia con riferimento alla possibile impugnazione del riconoscimento da parte di chi lo aveva effettuato in malafede (ossi nella consapevolezza della falsità dell’atto), sia con riferimento all’imprescrittibilità dell’azione (con conseguente disparità di trattamento del figlio naturale riconosciuto rispetto al figlio legittimo e permanente esposizione del primo alla possibilità di perdita del suo status).

            Proprio alla luce di tali rilievi, parte della giurisprudenza di merito (vede. Trib. Roma 19563/2012) aveva negato la possibilità di impugnare ex art. 263 c.c. il falso riconoscimento a chi lo aveva compiuto in malafede, interpretando tale impugnazione quale revoca implicita del riconoscimento (non consentita dall’art. 256 c.c.). La stessa legge 40/2004, all’art. 9, nega del resto a chi ricorre a tecniche di fecondazione assistita di tipo eterologo il diritto di esercitare l’azione di disconoscimento della paternità o di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, non concedendo quindi il diritto ad un ripensamento a chi sceglie di generare un figlio attraverso le predette tecniche e si assume pertanto consapevolmente gli obblighi connessi alla genitorialità con riguardo ad un figlio con cui non ha un legame biologico (e ciò alla luce del principio di responsabilità, principio che ha un valore particolarmente pregnante, quando riguarda il rapporto genitore-figlio).

            Il nuovo testo dell’art. 263 c.c. si muove nella medesima direzione, essendo la norma volta a scardinare il primato della verità naturale: se, da un lato, essa non esclude la legittimazione in capo a chi aveva operato il riconoscimento pur consapevole della sua falsità (anzi il nuovo testo dell’art. 263 c.c. opera un distinguo tra chi prova “di aver ignorato la propria impotenza al tempo del concepimento” e chi non fornisce questa prova), introduce tuttavia serrati termini di decadenza per l’azione di impugnazione del riconoscimento, a tutela del diritto alla conservazione dello status, azione che resta imprescrittibile solo con riguardo al figlio (al quale solo è rimessa la scelta se far prevalere la verità biologica rispetto a quella giuridica).

            L’interpretazione giurisprudenziale sopra richiamata e le novità apportate dalla legge 219 del 2012 confermano il principio che la verità naturale e biologica non debba in ogni caso prevalere rispetto alla tutela del diritto alla conservazione dello status e della propria identità personale e sociale, diritti della persona che hanno un ruolo centrale nell’ordinamento giuridico e ai quali deve essere assicurato il massimo livello di tutela. Non può pertanto porsi in dubbio – inquadrando i diritti che vengono in rilievo nella fattispecie nel quadro del sistema di valori delineato dai principi costituzionali – che il diritto alla propria identità personale e sociale, ove leso da una condotta dolosa o colposa non giustificata dall’ordinamento, meriti un pieno risarcimento.

            Tanto promesso, osservano i giudici capitolini, si ritiene sussistano nella fattispecie tutti gli elementi propri della responsabilità aquiliana: il fatto ingiusto (non jure), il danno, il nesso di causa tra gli stessi, l’elemento soggettivo. La complessiva condotta dell’uomo, infatti, pur configurando l’azione ex art. 263 c.c. l’esercizio di un diritto, non può ritenersi giustificata da un apprezzabile interesse (non jure) o, quantomeno, l’interesse perseguito dall’attore recede, nell’ambito di una valutazione comparativa, rispetto al contrapposto interesse della figlia alla conservazione della propria identità personale e del proprio status. Si determina così un danno ingiusto, risarcibile secondo i consolidati principi in tema di responsabilità aquiliana, in quanto lede degli interessi meritevoli di primaria tutela e di valore preminente rispetto all’interesse alla riaffermazione del principio di verità biologica

            Nella fattispecie esaminata, il ricorrente non ha chiarito negli atti difensivi quale sia l’interesse sottostante all’azione esercitata, limitandosi a sottolineare come il riconoscimento della convenuta fosse avvenuto “su pressante richiesta” della di lei madre e della famiglia di quest’ultima; come la figlia, dopo un primo periodo in cui era legata al padre da amore filiale, si sia poi allontanata sino a mantenere rapporti sporadici se non inesistenti, con conseguente “imbarazzo” e “disagio crescente” nel rapporto padre-figlia.

            Orbene l’interesse dell’attore a riaffermare la verità biologica, a fronte di un rapporto con la figlia ormai divenuto distaccato e solo formale, non può certo prevalere rispetto al contrapposto interesse della convenuta alla conservazione della sua identità personale e appartenenza familiare (interesse quest’ultimo da considerarsi preminente, alla luce dei valori costituzionali).

            La valutazione comparativa degli interessi delle parti deve peraltro compiersi avendo riguardo anche al principio di responsabilità. Alla luce di tale principio, non può essere assicurata maggior tutela al padre che, riconosciuto in malafede un figlio non suo, ritratti il suo atto per mero capriccio o valutazione di opportunità o per sopravvenute difficoltà nel rapporto genitoriale, rispetto alla posizione del figlio che, a causa del ripensamento paterno, vede sconvolta la propria identità e vede recisi legami familiari consolidatisi nel tempo.

            Il Tribunale rileva, infine, che in diverse occasioni la giurisprudenza di merito ha riconosciuto, nell’ambito dei danni endofamiliari, la risarcibilità del danno arrecato dal genitore al figlio a seguito di falso riconoscimento, seguito da azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità; tale danno è stato qualificato come danno non patrimoniale connesso alla lesione della propria identità, alla necessità di reinserirsi nel contesto sociale con un nuovo cognome, alla sofferenza legata alla repentina scoperta di una nuova realtà circa le proprie origini, alla perdita di legami familiari consolidati, senza possibilità di crearne di nuovi. Tanto premesso, l’uomo sarà costretto a risarcire alla figlia disconosciuta il danno non patrimoniale subito, liquidato in € 40.000,00 oltre interessi legali.

Lucia Izzo      Studio Cataldi                        19 agosto 2016                      Sentenza

            www.studiocataldi.it/articoli/23101-il-padre-che-prima-riconosce-il-figlio-e-poi-si-pente-deve-risarcire-i-danni.asp

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POLITICHE FAMILIARI

Politiche Familiari e Welfare generativo.

Il convegno “Famiglia è … il solo futuro” che si è svolto il 25 giugno 2016 scorso a Verona, promosso dall’AFI – Associazione delle Famiglie ha affrontato temi relativi alle Politiche Familiari a livello locale, nazionale ed europeo.                                                               Vedi newsUCIPEM n. 602, 19 giugno 2016, pag. 31

Programma              www.afifamiglia.it/index.php?p=vedi_news&id=1387

Mediante il seguente link, è possibile accedere ai filmati di tutti gli interventi:

www.youtube.com/playlist?list=PLzH33Gmmg5u-3SKKeqdIf7gyJKjVGkxY

www.afifamiglia.it

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SEPARAZIONE

                        Cassazione: la riconciliazione dopo la separazione va provata.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 17318, 24 agosto 2016

La legge 55/2015 sul divorzio breve non ha modificato la disciplina relativa alla riconciliazione dopo la separazione personale: in caso dopo il riavvicinamento va provata l’integrale ripresa del consortium vitae. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione. La Corte d’Appello, in un procedimento di divorzio, aveva confermato la pronuncia di primo grado che aveva escluso l’esistenza di una riconciliazione tra i coniugi.

            Gli Ermellini concordano con le affermazioni del marito ricorrente, secondo cui la riconciliazione, successiva all’omologa della separazione consensuale o alla pronuncia, in giudicato, di quella giudiziale, fa cessare gli effetti della separazione stessa (per cui, ove intervenga una nuova crisi familiare, si dovrà proporre nuovo ricorso di separazione). Infatti, la L. n. 55/2015 nulla ha mutato al riguardo, limitandosi a ridurre i termini dell’udienza presidenziale.

            Tuttavia, l’eventuale interruzione della separazione dovrà essere eccepita, ex art. 3 della legge sul divorzio, dalla parte convenuta, che dovrà fornire piena prova dell’intervenuta riconciliazione e dell’integrale ripresa del consortium vitae tra i coniugi. Con motivazione adeguata e non illogica, evidenzia il Collegio, la sentenza impugnata ha affermato che l’uomo non ha fornito piena prova al riguardo, mentre il ricorrente chiede di poter fornire la prova, lamentando che il giudice a quo aveva respinto i capi per testi da lui formulati e, nonostante la reiterazione, neppure il giudice di appello li avesse considerati.

            Tuttavia per la Cassazione sul punto il ricorso non è autosufficiente, non riportando il contenuto dei predetti capi di prova: le Sezioni Unite, sent. 8077/2012, hanno difatti affermato che occorre indicare specificamente atti e documenti a cui il ricorrente ha fatto riferimento, nonché la loro collocazione.

            Va infine precisato che il ricorrente, innanzi alla Suprema Corte, avrebbe dovuto non solo indicare o riportare il contenuto dell’atto (nella specie, capi di prova dedotti), ma pure argomentare sulla decisività di esso ai fini della pronuncia. In mancanza, il ricorso va rigettato.

Lucia Izzo      Studio Cataldi            27 agosto 2016                                  Sentenza

www.studiocataldi.it/articoli/23167-cassazione-la-riconciliazione-dopo-la-separazione-va-provata.asp

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SEPARAZIONE E DIVORZI

Divorzi: in aumento per colpa della dieta e della cucina di mammà!

I dati dell’osservatorio dell’associazione FamilyLegal

            Dimenticate gelosie, corna e tradimenti. Tra diete vegane o drastiche e alimentazione dei figli, i dati parlano chiaro: oggi è il cibo una della cause che portano a separazioni e divorzi. A rivelarlo, le statistiche Istat sui matrimoni: sempre più spesso le coppie non superano i primi 5 anni di vita comune (solo il 25%). Negli ultimi 15 anni, dal 2000 a oggi, le separazioni siano aumentate di circa il 25% e i divorzi di quasi il doppio. E tra le cause scatenanti ci sono le abitudini a tavola che cambiano velocemente. 

Secondo uno studio dell’osservatorio FamilyLegal, tra i 5 motivi per i quali le coppie si lasciano ci sono: la dieta vegana ferrea, l’alimentazione dei figli, la cucina della suocera, la dieta troppo drastica e, più in generale, pranzi e cene in compagnia: 

  1. Dieta vegana. Se magari, inizialmente, in nome dell’amore, si è propensi ad accontentare il partner, col passare del tempo, il desiderio della bistecca di carne può essere fatale per gli equilibri della coppia. E sull’ago della bilancia, presto o tardi la scelta del vero “credo alimentare” inizia a pesare. Così come più spesso pesa l’intransigenza del partner sull’argomento.
  2. Alimentazione dei figli. Non essere d’accordo sul tipo di alimentazione da adottare per i figli può rappresentare un motivo di scontro a cadenza giornaliera. Scelte che incidono sul buon andamento e la serenità della coppia e che logorano col tempo. Nella maggior parte dei casi, se proprio i genitori non sono d’accordo sulla dieta del figlio, si arriva a divorziare.
  3. La cucina della suocera. Tra i motivi di scontro relativi all’alimentazione, al terzo posto in classifica c’è la cucina della suocera. Soprattutto se cucina meglio ed il consorte in questione ne tesse le lodi a discapito della malcapitata moglie, gli scontri e la competizione possono costituire fattori di stress tali da causare fratture fino alla rottura dell’unione che termina sotto l’egida della fatidica frase: “E allora tornatene da tua madre”.
  4. Le diete drastiche. Digiuni forzati e sbalzi ormonali. I sacrifici a tavola non fanno certo bene all’armonia ed al quieto vivere della coppia. Cali di energie e fissazioni possono compromettere la pazienza del partner che spesso, si sottopone, suo malgrado, alle stesse privazioni alimentari per non mettere in crisi l’altro di fronte ad alimenti e pietanze proibiti.
  5. Pranzi e cene familiari. Al quinto posto tra i motivi elencati da FamilyLegal, ci sono gli interminabili pranzi e cene, magari con parenti, che diventano un vero terreno minato sia per chi segue regole e diete ferree, sia per chi ha problemi di intolleranze o allergie.

Gabriella Lax      Studio Cataldi                        21 agosto 2016

            www.studiocataldi.it/articoli/23115-divorzi-in-aumento-per-colpa-della-dieta-e-della-cucina-di-mamma.asp

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI

Congresso “La famiglia crocevia di relazioni e di fecondità”.

XXIV CONGRESSO NAZIONALE U.C.I.P.E.M.

Oristano, 2-4 Settembre 2016 Hotel Mistral, via XX settembre 84

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ZIBALDONE

La felicità è una moglie che guadagna più del marito

Una ricerca dell’università del Connecticut sfata il mito dell’uomo unico portatore di reddito: le coppie più serene sono quelle in cui il marito ha uno stipendio inferiore. Portare il pane a casa, come si diceva un tempo, per l’uomo è una responsabilità, mentre per le donne è un segno di successo. Il tramonto del padre di famiglia tradizionale, unico titolare di reddito, è sancito da una ricerca dell’università del Connecticut, che addita nello stipendio troppo alto una inattesa fonte di infelicità. Secondo lo studio, presentato alla riunione dell’American Sociological Association, i mariti in età fra i 20 e i 40 anni sono molto soddisfatti a non essere gli unici a guadagnare. Anzi, se la moglie ha uno stipendio alto, meglio ancora: i primi segni di insoddisfazione saltano fuori quando il proprio salario supera la metà di quello del coniuge.

            E’ vero che non contribuire per niente al bilancio familiare è fonte di frustrazione, ma secondo gli studiosi il peso della responsabilità è diventato intollerabile per le spalle dei giovani “metrosessuali“, che poco si riconoscono nei ruoli di genere tramandati dalle generazioni precedenti. Per le donne, invece, le soddisfazioni professionali sono un punto di arrivo relativamente nuovo. Non solo c’è l’orgoglio di quanto si è ottenuto, dice Christin Munsch che ha firmato la ricerca, ma c’è anche meno pressione: in caso di risultati meno buoni di quanto ci si aspettava, si può tornare indietro senza sentirsi addosso impressioni di fallimento.

Insomma, anche se non è certo una scoperta che uomini e donne del Terzo millennio siano diversi da genitori e nonni, è la conferma che i ruoli tradizionali, quanto meno intesi in modo rigido, si avviano sul viale del tramonto. E se la gioia delle donne per le nuove soddisfazioni non stupisce, una novità vera è l’atteggiamento dei maschi. Forse sono più sicuri di sé, dicono gli studiosi: sentono meno il bisogno di incarnare una figura virile d’altri tempi e preferiscono invece dedicare tempo e affetti alla prole. Ma quando si accontentano di un ruolo marginale nel bilancio di famiglia e preferiscono dare la caccia ai Pokemon virtuali, suggerisce malignamente il Times, forse è perché sono semplicemente più pigri.

Giampaolo Cadalanu La repubblica on line            21 agosto 2016

www.repubblica.it/economia/2016/08/21/news/la_felicita_e_una_moglie_che_guadagna_piu_del_marito-146378048/?ref=HREC1-21

Metrosessualità è un neologismo utilizzato per indicare uomini eterosessuali in genere provenienti da aree metropolitane (metro-) e caratterizzati da comportamenti vagamente simili a quelli femminili, essendo forti consumatori di cosmetica avanzata, praticanti il fitness, l’abbronzatura artificiale, la depilazione del corpo e altri trattamenti estetici o salutistici. Il termine non è utilizzato per indicare la semplice vanità o il narcisismo, quanto la ricerca quasi ossessiva di un ideale di perfezione estetica che si reputa riconosciuto socialmente. Il termine è di uso giornalistico e non ha applicazione in ambito scientifico, né sociologicopsicologico. Si tratta di un calco della parola inglese metrosexual, un incrocio linguistico tra le parole metro(politan) e (hetero)sexual.

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