newsUCIPEM n. 611 – 21 agosto 2016

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ADDEBITO                                                         Tradimento: niente addebito al coniuge infedele per coppie in crisi

ADOZIONE E AFFIDO                                     Accoglienza scolastica dei minori adottati o in affido.

ADOZIONI INTERNAZIONALI                     Per uscire dalla crisi non servono solo segnali, ma fatti concreti.

AMORIS LAETITIA                                           Fedeltà creativa.

Una mancanza di immersione intellettuale e pastorale.

CITTÀ DEL VATICANO                                    Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita.

                                                               Papa a mons. Paglia: chinarsi sulle ferite dell’uomo per curarle

DALLA NAVATA                                               21° Domenica del tempo ordinario – anno C -21 agosto 2016.

Lottate per entrare attraverso la porta stretta! Enzo Bianchi.

DIACONATO                                                     Dibattito sul diaconato femminile.

FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI         Forum Veneto: “Il governo e il ministro Boschi segnino una svolta.

GOVERNO                                                         Famiglie a basso reddito, in arrivo 275 euro.

PENSIONE DI RIVERSIBILITÀ                       Exmoglie e vedova non si divide solo in base durata matrimonio.

SEPARAZIONE CONIUGALE                        Ci si può separare senza una ragione?

UCIPEM                                                              Congresso a Oristano: la famiglia crocevia di relazioni e di fecondità.

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ADDEBITO

Tradimento: niente addebito al coniuge infedele per coppie in crisi

Corte d’Appello di Milano, Sezione delle persone, dei minori della famiglia, sent. 1285, 4 aprile 2016.

Infedeltà coniugale: in caso di separazione dettata da una crisi di coppia preesistente non scatta l’addebito. È lecito tradire quando la coppia è già in crisi per altre ragioni? La risposta è sì, o meglio: in una situazione in cui si è già verificata l’intollerabilità della convivenza, l’infedeltà non comporta alcuna conseguenza (ossia il cosiddetto “addebito”). È questa la sostanza di una recente sentenza della Corte di Appello di Milano che segue un indirizzo giurisprudenziale ormai costante.

            Secondo i giudici, in caso di separazione, si può addebitare la rottura del matrimonio al coniuge traditore solo se la sua relazione adulterina sia stata l’effettiva e originaria causa della crisi di coppia: se invece marito e moglie avevano già litigato per altre ragioni, e tale litigio aveva ormai fatto naufragare irrimediabilmente la loro unione, non si può dare la colpa della rottura del matrimonio all’infedeltà.

            Per il coniuge infedele scatta dunque l’addebito della separazione solo se il tradimento ha causato l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza. La pronuncia di addebito, infatti, richiede un accertamento rigoroso del comportamento di entrambi i coniugi o dell’eventuale preesistenza di una crisi familiare già in corso.

            Le conseguenze sul piano pratico sono le seguenti:

  • Chi subisce l’addebito non può pretendere per sé l’assegno di mantenimento. Solo se versa in condizioni economiche “disperate” può chiedere gli alimenti;
  • Chi subisce l’addebito non può avere diritti ereditari sull’ex coniuge nel caso in cui questi muoia prima del divorzio;
  • Se non c’è addebito a carico del coniuge traditore, quest’ultimo può chiedere l’assegno di mantenimento se il suo reddito è più passo di quello dell’ex.

L’infedeltà rappresenta una violazione dei doveri matrimoniali particolarmente grave da far presumere che sia stata essa la causa dell’intollerabilità della convivenza e costituire “di regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile”. La Cassazione ha ribadito [Cassazione ordinanza. n. 1685/2015] che l’addebito deve essere dichiarato in automatico, salvo che il giudice constati – attraverso un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi – la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale, e quindi la mancanza di legame eziologico tra l’infedeltà e la crisi coniugale”. Una prova che, ovviamente, deve dare il coniuge infedele.

            Facciamo l’esempio di una donna che, tradita, abbia però in passato sporto querela contro il marito per essere stata vittima, durante il matrimonio, di vessazioni e aggressioni da parte del marito, poste in essere alla presenza della prole: in questi casi la relazione adulterina, seppur contraria ai doveri coniugali, non può essere considerata la causa determinante la rottura del matrimonio. La frattura dell’unione matrimoniale è, in realtà, «il risultato di un deterioramento progressivo del rapporto nel suo complesso, generato dai comportamenti di entrambi i coniugi».

Redazione LPT                      17 agosto 2016                                              sentenza

www.laleggepertutti.it/129664_tradimento-niente-addebito-al-coniuge-infedele-per-coppie-in-crisi

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ADOZIONE E AFFIDO

Accoglienza scolastica dei minori adottati o in affido.

Catania. Firmato il protocollo per facilitare l’accoglienza scolastica dei minori adottati o in affido. Nelle scuole catanesi l’adozione e l’affido potranno finalmente entrare dalla porta principale. A ridosso di Ferragosto, la giunta comunale della città etnea ha infatti approvato una delibera di indirizzo politico per la firma di un protocollo sulle buone prassi dell’accoglienza scolastica dei minori adottati o collocati in affido.

            Il protocollo avrà durata triennale e vedrà agire in sinergia i rappresentanti del Comune, dell’Asp (Associazione italiana psicologi), dell’Ufficio scolastico provinciale, dell’associazione “Genitori in cammino onlus” e del Care (Coordinamento delle associazioni familiari adottive e affidatarie in rete).

            Scopo del documento è stabilire una prassi concordata tra le istituzioni per favorire l’accoglienza e l’inserimento scolastico di bambini e ragazzi adottati o in affido. “Grazie a quest’esperienza – spiega l’assessore comunale al Welfare Angelo Villari – saranno realizzate forme stabili di cooperazione tra scuola, famiglia, servizio adozioni e associazioni famigliari, che potranno essere affiancate e sostenute da operatori esperti anche nella costruzione di progetti di accoglienza e inserimento scolastico personalizzati. Inoltre gli operatori scolastici saranno formati anche per diffondere la cultura dell’adozione e dell’affido”.

            Si tratta della seconda esperienza di questo tipo in Sicilia, dopo quella già avviata a Messina. Entusiasta il sindaco della città etnea Enzo Bianco che ha commentato: “Abbiamo avviato un cammino di civiltà: a Catania gli allievi che fruiranno di questo accordo sono oltre 500”. Il nuovo protocollo si inserisce nella scia dei tentativi di facilitare l’inserimento scolastico dei minori adottati. Un impegno portato avanti con costanza dal Care che già a fine 2014 aveva ottenuto – in collaborazione con il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – la diramazione delle “Linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati”: una serie di disposizioni mirate ad agevolare l’ambientamento scolastico dei minori accolti in adozione, dalla possibilità di iscriversi a scuola in ogni momento dell’anno a quella di rimandare l’inizio della frequenza di alcuni mesi, dall’affiancamento di un facilitatore linguistico alla presenza di un docente referente sulle tematiche adottive.

            Ai. Bi.             19 agosto 2016                      Fonte: L’Urlo

www.aibi.it/ita/catania-firmato-il-protocollo-per-facilitare-laccoglienza-scolastica-dei-minori-adottati

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Per uscire dalla crisi non servono solo segnali, ma fatti concreti.

Le parole ci sono e sono positive. Ora si attendono i fatti. Le associazioni italiane che si occupano dei minori giudicano con favore il Piano Nazionale per l’Infanzia, approvato nel corso della seconda settimana di agosto dal Consiglio dei Ministri, ma ora aspettano che il documento diventi davvero efficace. È questa la posizione anche di Marco Griffini, presidente di Amici dei Bambini, che, come membro dell’Osservatorio Nazionale sull’Infanzia, ha partecipato ai lavori per l’elaborazione del piano.

            Intervistato dal quotidiano “Avvenire”, Griffini esprime il suo parere positivo sul testo approvato dal governo, in attesa che arrivi la versione definitiva. Un giudizio favorevole in particolare sui punti del Piano in cui si toccano i temi più strettamente legati alle attività di Ai.Bi. “Come i minori stranieri non accompagnati – evidenzia Griffini -, per i quali c’è finalmente l’impegno a fare intervenire le famiglie, e la banca dati delle adozioni”.

            Queste ultime, in particolare quelle internazionali, sono la vera nota dolente. Il sistema, ricorda il presidente di Ai.Bi., “è in coma da 3 anni: da un paio di mesi il premier Renzi ha messo a capo della Cai, la Commissione Adozioni Internazionali, il ministro Boschi. Ma ancora non vediamo risultati. Speriamo non si tratti solo di segnali, perché di segnali non si vive, c’è bisogno di fatti concreti”.

            Il nuovo Piano Nazionale per l’Infanzia, in questo senso, sembra volere andare nella direzione giusta. “E’ stato messo l’accento sulla crisi delle adozioni internazionali – rileva Griffini – con l’affermazione importante sul passaggio dalla fase di valutazione a una fase di accompagnamento delle coppie in un sistema pubblico-privato”.

            Fino a qui le buone intenzioni. “Ma il problema è un altro – ammonisce il presidente di Ai.Bi. -: questo piano resterà sulla carta o verrà davvero applicato?”. Non è solo un problema di soldi. “Per l’accompagnamento misto – spiega Griffini -, si tratta soprattutto di applicare i protocolli operativi coordinati a livello regionale e di far partire questa fase di affiancamento. C’è un esercito sconfinato di coppie sposate senza figli – ricorda – che potrebbero effettivamente essere una risorsa per milioni di bambini abbandonati”. Una risorsa che va valorizzata e aiutata con azioni concrete.

            Ai. Bi. 17 agosto 2016

www.aibi.it/ita/griffini-ai-bi-per-uscire-dalla-crisi-delladozione-internazionale-non-servono-solo-segnali-ma-fatti-concreti

 

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AMORIS LAETITIA

Fedeltà creativa.

            Quanto a Rodrigo Guerra López, va anzitutto detto che non è semplicemente un “sociologo”, ma è dottore in filosofia presso l’Accademia internazionale di filosofia del principato del Liechtenstein, membro del Pontificio consiglio per la giustizia e la pace, della Pontificia accademia per la vita e della Commissione teologica del Consiglio episcopale latinoamericano, nonché fondatore del Centro de Investigación Social Avanzada di Querétaro, in Messico. E infatti il suo intervento su “L’Osservatore Romano” del 23 luglio 2016 faceva trasparire queste sue molteplici competenze, compresa la familiarità con san Tommaso d’Aquino e una conoscenza approfondita del pensiero filosofico di Karol Wojtyla.

Il 16 e 17 dicembre 1970 a Cracovia si svolse un importante dibattito. L’arcivescovo Karol Wojtyla aveva scritto un denso libro che, tra l’altro, cercava di mostrare l’antropologia che sta alla base della “Gaudium et spes”, la costituzione pastorale del concilio Vaticano II. Il libro s’intitolava “Persona e atto” (1969) e per discutere questo intenso sforzo speculativo fu invitato un folto gruppo di filosofi. È molto interessante esaminare i diversi contributi di quell’incontro pubblicati poco tempo dopo a cura di Andrzej Szostek. Da un lato vi erano importanti consensi per il nuovo libro; quanti avevano studiato la fenomenologia e il personalismo videro infatti in Wojtyla l’inizio di un nuovo percorso: il riconoscimento oggettivo della soggettività non è soggettivismo. Anzi, l’azione umana è un momento privilegiato per apprendere la verità sulla persona. Questa intuizione permetteva all’arcivescovo polacco di avanzare un’ipotesi su come superare l’unilateralità della teoria marxista sul primato della prassi rivoluzionaria attraverso una rinnovata antropologia dell’azione e della comunione.

            Dall’altro lato però vi erano quanti vedevano con riserva e/o con palese sfiducia la riflessione di Wojtyla. Alcuni di loro erano importanti docenti d’indirizzo tomista che non erano abituati a ritornare alle cose stesse, ma piuttosto a ripetere un certo canone di ortodossia filosofica. Invece di affermare la verità come adeguamento dell’intelligenza alla realtà, sembravano sostenere implicitamente che la verità è l’adeguamento dell’intelligenza a san Tommaso. A loro tutto sembrava insoddisfacente in Wojtyla: il metodo, il linguaggio, la proposta.

            Ho voluto ricordare questo episodio per mostrare come non è strano trovare resistenze nel momento in cui il pensiero cristiano compie un nuovo passo avanti. Queste resistenze, in generale, adducono come loro motivo la mancanza di fedeltà all’eredità ricevuta, l’uso di un linguaggio rinnovato che si considera ambiguo e i molti rischi che possono derivare se si adotta l’una o l’altra iniziativa a partire dal nuovo punto di vista scelto. Avremmo potuto non ricordare il caso dell’opera “Persona e atto” di Karol Wojtyla e ricorrere ad altri esempi. Innanzi tutto la controversia sulla nozione di libertà religiosa, dove un’apparente opposizione tra l’enciclica “Libertas” di Leone XIII e la dichiarazione “Dignitatis humanae” del Vaticano II avrebbe portato alcuni a bollare come eretico lo stesso concilio. Oppure l’introduzione del significato unitivo e procreativo dell’atto sessuale nella “Humanae vitae” al posto della teoria tomista di un fine primario e due secondari. O ancora la novità del riconoscimento che l’essere umano è a immagine e somiglianza di Dio a partire dalla “unidualità relazionale” tra uomo e donna compiuta da san Giovanni Paolo II, che completa e amplia la tradizionale comprensione dell’immagine e somiglianza con Dio in base alle facoltà superiori dell’essere umano, come l’intelligenza, la volontà libera e così via.

            La lista di esempi potrebbe essere immensa, tanto grande quanto la dottrina cristiana. La realtà naturale e quella del deposito della fede possiedono senza alcun dubbio una struttura definita e oggettiva. Tuttavia, la loro comprensione ammette sviluppi organici, che esplorano nuove virtualità e che chiedono di essere riconosciute in alcuni periodi particolari. La lettura attenta dei segni dei tempi non è quindi estranea allo sforzo di riflessione che è necessario compiere quando facciamo una riflessione filosofica, teologica o pastorale.

            Ho l’impressione che questo è parte di quanto accade quando il Pontefice ci offre l’esortazione apostolica “Amoris laetitia“. Papa Francesco non cambia la dottrina essenziale della Chiesa. Non lo fa perché sa bene che il deposito della fede non è un’invenzione arbitraria che si può trasformare con trovate più o meno fortunate. Il deposito della fede è un dono che bisogna custodire. Ma questa custodia non consiste nel mettere lo stesso deposito della fede in un congelatore in modo da ibernarlo e far sì che il suo metabolismo si sospenda. Al contrario, è il dinamismo di un Dio vivo che entra e si impegna nella nostra storia per redimerla a doversi dischiudere ogni giorno attraverso l’attività pastorale della Chiesa e in particolare attraverso il ministero del successore di Pietro. Il Pontefice tradirebbe la sua vocazione e il suo servizio se soffocasse la presenza reale di Dio nella storia, là dove essa si trova: nella sacra Scrittura, nei sacramenti e nel popolo, in particolare in quanti soffrono esclusione e dolore.

            Per questo motivo alcune delle critiche che il Papa ha ricevuto ultimamente ci sembrano infondate e ingiuste. “Amoris laetitia” è un vero atto di magistero pontificio. È molto imprudente, oltre a essere teologicamente inesatto, insinuare che questa esortazione apostolica è una sorta di opinione personale, quasi privata. Il Pontefice esercita il suo “munus docendi” in molteplici modi: pensiamo ai suoi messaggi, discorsi, omelie e, senza dubbio, alle sue encicliche o alle sue esortazioni apostoliche post-sinodali. Queste ultime, poi, nascono proprio da un ampio esercizio di sinodalità, e questo non è un fatto trascurabile.

            Inoltre, Amoris laetitia non comporta rottura o discontinuità con il Vangelo, con le esigenze della legge naturale o con il magistero pontificio precedente. In particolare, il tanto commentato ottavo capitolo dell’esortazione apostolica è un bel caso che esemplifica quello che Benedetto XVI ha insegnato in modo generale nel suo discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005. “Mutatis mutandis“, ci permettiamo di dire che la dottrina sulla natura del sacramento del matrimonio, dell’eucaristia e sulle condizioni perché esista veramente un peccato mortale non è cambiata nel più recente magistero pontificio. Ma è necessario che questa dottrina vera e immutabile, alla quale bisogna prestare obbedienza, venga approfondita ed esposta in base alle esigenze del cambiamento d’epoca che stiamo vivendo. Questo è “Amoris laetitia“: uno sviluppo organico con fedeltà creativa.

            Un’ermeneutica della rottura, come quella che alcuni stanno tentando d’introdurre con le critiche a Papa Francesco, a nostro parere, incorre in alcuni errori, come i seguenti. Innanzi tutto, vi è una carente interpretazione di san Tommaso d’Aquino. Il Dottore Angelico ha saputo comprendere e amare con passione il singolare. Tutte le categorie universali che utilizza, comprese quelle dell’ordine morale, diminuiscono nella loro necessità e aumentano nella loro contingenza man mano che si realizzano in realtà sempre più concrete. La carente comprensione di alcuni tomisti proprio su questo punto si può rendere visibile in diversi modi. Mi permetto di sottolinearne solo uno: la tendenza più o meno diffusa a interpretare la ragione come una facoltà che riguarda l’universale, trascurando gli importanti contributi dell’Aquinate al riconoscimento della “ratio particularis” e il suo ruolo nella conoscenza teorica e pratica. Il cammino della conoscenza inizia nel singolare, passa per l’universale, ma ritorna di nuovo al concreto. Trascurare metodologicamente questo ingrediente elementare ha prodotto una sorta di a-storicità di una buona parte della riflessione tomista contemporanea e una difficoltà a capire il livello dove si trovano la preoccupazione pastorale della Chiesa e molteplici commenti, indicazioni e valutazioni che Papa Francesco svolge fondatamente nella sua esortazione apostolica. A titolo di esempio, si pensi a come alcuni identificano, in modo più o meno univoco, le complesse e diversificate situazioni “irregolari”, eventualmente attraversate da alcune coppie, con il peccato mortale, chiudendo in questo modo la porta all’accesso all’eucaristia. Affermare in modo tacito o esplicito che ogni situazione “irregolare” è per definizione peccato mortale e priva della grazia santificante coloro che la vivono ci sembra un grave errore che non è conforme al Vangelo, alla legge naturale e all’autentico insegnamento di san Tommaso d’Aquino.

            Papa Francesco ha pubblicato un’esortazione che non risolve o dissolve la struttura della vita etica della persona in un’accentuazione unilaterale di certi assoluti morali, e nemmeno diluisce la dimensione universale della norma nel puramente fattuale, concreto e contestuale. Da questo punto di vista, il Pontefice ha scritto un’esortazione profondamente tomista che recupera in modo sano la partecipazione e l’analogia e permette di trovare una via per rispondere, al di là delle teorie, al dramma delle persone reali nella loro situazione concreta.

Vi è poi una carente interpretazione di san Giovanni Paolo II. Papa Wojtyla, prima come filosofo e poi come Pontefice, è riuscito ad aprire una porta importante nel processo di rifondazione dell’antropologia e dell’etica. Una considerazione puramente oggettivista della persona umana non è sufficiente per apprezzare ciò che ha di irriducibile. È necessario guardare con attenzione all’esperienza umana fondamentale per trovare al suo interno l’ampio e ricco mondo della soggettività e della coscienza. All’interno di questo mondo, la legge naturale, per Giovanni Paolo II, non appare come una deduzione a partire da alcune inclinazioni, bensì il suo fondamento normativo si trova nella ragione pratica intesa come capacità di riconoscere, poco a poco, la verità sul bene. Proprio in questo ultimo terreno si trova la gradualità pastorale, cioè la pazienza con cui bisogna ascoltare e comprendere una persona che non ha capito pienamente un dato valore morale e/o le sue esigenze pratiche. La gradualità pastorale appena menzionata in “Familiaris consortio” acquisisce maggior densità quando si vedono i contenuti di tutta l’esortazione “Amoris laetitia“. Certo, per interpretare rettamente questa gradualità è necessario non solo non confonderla come una forma di gradualità dottrinale ma anche assimilare che il discernimento è necessario in ogni caso concreto. Una ripetizione puramente formale del magistero di Giovanni Paolo II che non dia spazio all’accompagnamento, al discernimento e all’eventuale integrazione tradisce l’indole pastorale di ogni atto magisteriale.

            Vi è infine una carente interpretazione di Benedetto XVI. Potremmo dedicare molto spazio a questo tema. Semplicemente osservo che non è conforme alla verità interpretare Papa Ratzinger come una sorta di giustificazione pontificia per affermare il rigorismo. Alcuni vorrebbero far apparire il vescovo emerito di Roma come un appassionato difensore di valori inamovibili in contrasto con il Pontefice. Non è così. La realtà è molto più complessa. Papa Francesco è in continuità con Benedetto XVI. Uno degli esempi più commoventi che ho trovato per mostrarlo è un brano in cui chiaramente Joseph Ratzinger riconosce che anche all’interno di una imperfetta adesione a Gesù Cristo è possibile scoprire e coltivare un cammino di vita cristiana. “Una persona continua a essere cristiana – ha scritto Ratzinger in ‘Fede e futuro‘ (1971) – se si sforza di prestare la sua adesione centrale, se cerca di pronunciare il sì fondamentale della fiducia, anche quando non sappia situare bene o risolvere molti aspetti particolari. Ci saranno momenti nella vita in cui, nella molteplice oscurità della fede, dovremo concentrarci realmente sul semplice sì: credo in te, Gesù di Nazaret, confido che in te si è mostrato il senso divino per il quale posso vivere la mia vita sicuro e tranquillo, con pazienza e con coraggio. Se è presente questo centro, l’essere umano è nella fede, benché molti suoi enunciati concreti gli risultino oscuri e per il momento non praticabili. Perché la fede, nel suo nucleo, non è, diciamolo ancora una volta, un sistema di conoscenze, ma una fiducia. La fede cristiana è ‘trovare un tu che mi sostiene e che, nonostante l’imperfezione e il carattere intrinsecamente incompleto di ogni incontro umano, dona la promessa di un amore indistruttibile che non solo aspira all’eternità, ma che anche la concede’”.

            Pertanto, a nostro parere, non esiste una frattura nel magistero degli ultimi Pontefici. Ciò che abbiamo davanti a noi è una fedeltà creativa che permette, in termini pratici, di guardare quanto sia importante dare il primato al tempo sullo spazio, come insegna l’amato Papa Francesco. Solo così è possibile vivere la pazienza con quanti siamo colpiti e feriti, solo così è possibile accompagnarci reciprocamente senza scandalizzarci per le nostre miserie e allo stesso tempo scoprire che nella Chiesa, vera presenza di Gesù Cristo nella storia, esiste un cammino pieno di tenerezza per la ricostruzione della vita, per la guarigione di tutte le nostre ferite, anche di quelle più profonde.

Rodrigo Guerra López                     L’Osservatore Romano         23 luglio 2016

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351348

            Notata una curiosità. Nel suo articolo Rodrigo Guerra López qualifica Joseph Ratzinger non come “papa emerito” ma come “vescovo emerito di Roma”.

Il che non toglie che proprio sulle interpretazioni di san Tommaso e di Wojtyla gli ha replicato criticamente un suo amico di studi, il polacco Jaroslaw Merecki, su www.chiesa di dieci giorni fa: Fedeltà troppo creativa diventa infedeltà.                                   4 agosto 2016

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351351

Qui di seguito è riprodotto un solo punto, il quinto, dei sei in cui si articola la controreplica di Guerra López. Ed è quello in cui – senza entrare qui nel merito dell’interpretazione di “Amoris laetitia” – egli denuncia un limite della cultura filosofica e teologica europea e nordamericana: quello di ritenersi esonerata dallo studiare a fondo il pensiero cattolico dell’America Latina e in particolare quello impersonato da Bergoglio, precludendosi così la stessa comprensione di questo pontificato.

Una mancanza di immersione intellettuale e pastorale.

La mancanza di studi in Europa sui filosofi e teologi latinoamericano è qualcosa di ricorrente. A volte ho l’impressione che alcuni accademici europei (e nordamericani) considerano il pensiero latinoamericano una specie di impegno inferiore o secondario rispetto ciò che si produce in paesi come la Germania, la Francia e anche l’Italia. Questo non sarebbe altro che un’osservazione aneddotica se non fosse anche importante, a mio giudizio, per capire qualcosa di quanto sta succedendo riguardo a Francesco.

            Caro Jareck, non trovi che la stragrande maggioranza delle persone (per non dire tutte) che mettono in questione in grado e tono diverso papa Francesco non si sono date la briga di immergersi in modo profondo nel pensiero e nell’esperienza pastorale latinoamericana? Quando Giovanni Paolo II fu eletto papa il suo profilo intellettuale e pastorale richiedeva uno sforzo speciale per capire il suo insegnamento. Per molti fu necessario studiare la storia dei cristiani in Polonia, le diverse tradizioni filosofiche alle radici di Wojtyla e penetrare nella sua ardua filosofia per capire in profondità, per esempio, la vera portata e il significato di “Redemptor hominis”, di “Laborem excercens” o di ciò che sarebbe stato conosciuto alla fine come “teologia del corpo”. Uomini come Rocco Buttiglione, Massimo Serreti, Tadeusz Styczen, Angelo Scola ed altri fecero un incredibile lavoro di approfondimento e spiegazione che ancora oggi produce i suoi frutti.

            È mia opinione che sia necessario compiere uno sforzo analogo nel caso di Jorge Mario Bergoglio S.J. Quante discussioni eviteremmo se ci lasciassimo interpellare della biografia intellettuale e pastorale del nostro papa! Nei principali istituti accademici dediti alla diffusione e all’approfondimento del magistero pontificio, professori ed alunni hanno scarsamente dedicato uno studio serio e sistematico degli scritti di Jorge Bergoglio e dei suoi autori più amati come Lucio Gera, Juan Carlos Scannone o Methol Ferré. Per non parlare di uno studio ampio e profondo della teologia del popolo o del magistero episcopale latinoamericano. Non varrebbe la pena, allora, di cambiare “metodo” nel momento di valutare “Amoris laetitia”?

Sandro Magister        Newsletter www.chiesa         18 agosto 2016

passim da                                        http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351359

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CITTÀ DEL VATICANO

Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita.

E’ stato pubblicato il Motu Proprio del Papa che istituisce il nuovo Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita. Francesco ha nominato prefetto del nuovo organismo mons. Kevin Joseph Farrell, finora vescovo della Diocesi statunitense di Dallas, e mons. Vincenzo Paglia presidente della Pontificia Accademia per la Vita e gran cancelliere del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per Studi su Matrimonio e Famiglia.

Il nuovo Dicastero – afferma il Motu Proprio di Papa FrancescoSedula Mater” (“Madre premurosa”), pubblicato oggi – assumerà dal prossimo primo settembre competenze e funzioni finora appartenuti al Pontificio Consiglio per i Laici e al Pontificio Consiglio per la Famiglia che cesseranno di esistere.

Si tratta – scrive il Papa – di conformare i Dicasteri della Curia Romana “alle situazioni del nostro tempo” adattandoli “alle necessità della Chiesa universale”. In particolare – sottolinea – si vuole “offrire sostegno e aiuto” ai laici, alla famiglia e alla vita “perché siano testimonianza attiva del Vangelo nel nostro tempo e espressione della bontà del Redentore”.

Mons. Kevin Joseph Farrell è nato il 2 settembre 1947 a Dublino, in Irlanda. Entrato nella Congregazione dei Legionari di Cristo nel 1966, è stato ordinato sacerdote il 24 dicembre 1978. Nominato vescovo ausiliare di Washington il 28 dicembre 2001, è stato ordinato l’11 febbraio successivo. Ha svolto gli uffici di Vicario Generale per l’Amministrazione e Moderatore della Curia (dal 2001 ad oggi). Nel 2007 è stato nominato vescovo di Dallas. “Sono onorato che il Santo Padre abbia scelto me”: così mons. Farrell commenta la sua nomina. “Spero – scrive il presule in una nota pubblicata sul sito diocesano di Dallas – di essere parte dell’importante opera della Chiesa universale nella promozione dell’apostolato dei laici, della pastorale della famiglia e nel sostegno alla vita umana”.

Il Papa ha quindi nominato mons. Vincenzo Paglia – presidente uscente del Pontificio Consiglio per la Famiglia – nuovo presidente della Pontificia Accademia per la Vita e gran cancelliere del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per Studi su Matrimonio e Famiglia, in deroga all’art. 6 degli Statuti del medesimo Istituto. Preside del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per Studi su Matrimonio e Famiglia, a norma dell’Art. 8 degli Statuti del medesimo Istituto, il Pontefice ha nominato mons. Pierangelo Sequeri, attualmente preside della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano.

Sia la Pontificia Accademia per la Vita che il Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per Studi su Matrimonio e Famiglia sono connessi con il nuovo Dicastero, come afferma lo Statuto del nuovo organismo approvato ad experimentum dal Papa nel giugno scorso, in merito alle problematiche di loro competenza.

La deroga all’art. 6 degli Statuti del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II di Studi sul Matrimonio e sulla Famiglia (1 febbraio 2011), è relativa al fatto che essi prevedono che il Gran Cancelliere della Pontificia Università Lateranense sia anche Gran Cancelliere dell’Istituto su Matrimonio e Famiglia. Quindi, il Gran Cancelliere dell’Università Lateranense, il card. Agostino Vallini, cessa dal primo settembre di essere anche il Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II di Studi sul Matrimonio e sulla Famiglia.

Mons. Paglia succede alla guida dell’Accademia per la Vita a mons. Ignacio Carrasco de Paula. Mons. Sequeri succede a mons. Livio Molina.

Sergio Centofanti Notiziario Radio vaticana -17 agosto 2016 http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

www.cittadellaeditrice.com/munera/ora-sequeri-tiene-famiglia-il-programma-del-nuovo-preside-dellistituto-giovanni-paolo-ii

https://it.wikipedia.org/wiki/Pierangelo_Sequeri

 

Papa a mons. Paglia: chinarsi sulle ferite dell’uomo per curarle

In un Chirografo, Papa Francesco si rivolge a mons. Vincenzo Paglia, indicandogli l’indirizzo generale del suo nuovo compito come presidente della Pontificia Accademia per la Vita e Gran Cancelliere del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per Studi su Matrimonio e Famiglia. “Caro fratello – scrive – in occasione della riforma della Curia Romana, mi è sembrato opportuno che anche le Istituzioni poste al servizio della Santa Sede con l’attività di ricerca e di formazione sui temi relativi al Matrimonio, alla Famiglia e alla Vita, procedano ad un rinnovamento e ad un ulteriore sviluppo per iscrivere la loro azione sempre più chiaramente nell’orizzonte della misericordia”. “Com’è noto, dal Concilio Ecumenico Vaticano II ad oggi il Magistero della Chiesa su tali temi – scrive il Pontefice – si è sviluppato in maniera ampia ed approfondita. E il recente Sinodo sulla Famiglia, con l’Esortazione Apostolica Amoris laetitia, ne ha ulteriormente allargato e approfondito i contenuti. È mia intenzione che gli Istituti posti sotto la tua guida si impegnino in maniera rinnovata nell’approfondimento e nella diffusione del Magistero, confrontandosi con le sfide della cultura contemporanea. L’ambito di riflessione siano le frontiere; anche nello studio teologico non venga mai meno la prospettiva pastorale e l’attenzione alle ferite dell’umanità”. Il Papa lo esorta quindi ad occuparsi delle nuove sfide che concernono il valore della vita: “Mi riferisco ai diversi aspetti the riguardano la cura delta dignità della persona umana nelle diverse età dell’esistenza, il rispetto reciproco fra generi e generazioni, la difesa della dignità di ogni singolo essere umano, la promozione di una qualità della vita umana che integri il valore materiale e spirituale, nella prospettiva di un’autentica ‘ecologia umana’, che aiuti a ritrovare l’equilibrio originario della Creazione tra la persona umana e l’intero universo”.

A tale scopo – osserva il Papa – è importante “favorire il dialogo cordiale e fattivo con altri Istituti scientifici e Centri accademici, anche in ambito ecumenico o interreligioso, sia di ispirazione cristiana che di altre tradizioni culturali e religiose. Chinarsi sulle ferite dell’uomo, per comprenderle, curarle e guarirle è compito di una Chiesa fiduciosa nella luce e nella forza di Cristo risorto, capace di affrontare anche i luoghi della tensione e del conflitto come un ‘ospedale da campo’, che vive, annuncia e realizza la sua missione di salvezza e di guarigione proprio là dove la vita degli individui a più minacciata dalle nuove culture della competizione e dello scarto”. Infine, il Pontefice ricorda a mons. Paglia che le due Istituzioni da lui guidate sono collegate col nuovo Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita: “Alcuni argomenti – spiega – spetteranno al nuovo Dicastero che si occuperà della pastorale sanitaria. Il tuo compito, dunque, dovrà essere svolto in armonia con entrambi i Dicasteri, nel rispetto delle reciproche competenze e nello spirito di mutua collaborazione che guida l’attività degli organismi al servizio della Santa Sede”.

Notiziario Radio vaticana -17 agosto 2016 http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

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DALLA NAVATA

XXI Domenica del tempo ordinario – anno C -21 agosto 2016.

Isaia                  66, 18 Così dice il Signore: «Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria.

Salmo              117, 02 Perché forte è il suo amore per noi e la fedeltà del Signore dura per sempre.

Ebrei                13, 29 Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio.

 

Lottate per entrare attraverso la porta stretta!

Il vangelo secondo Luca ci presenta una pagina nella quale l’evangelista ha raggruppato parole di Gesù derivanti dalla tradizione orale e dalla fonte scritta comune sia a lui sia a Matteo, che invece le ha collocate in contesti diversi (cf. Mt 7,13-14.22-23; 8,11; 19,30; 20,16; 25,10-12). In questo brano leggiamo parole di Gesù certamente dure, aspre, che esprimono esigenze radicali, severe e appaiono anche minacciose. Noi le accogliamo come buona notizia soprattutto perché non sono l’ultima parola di Gesù e, nello stesso tempo, tentano di svegliarci dal torpore spirituale, dall’abitudine alla devozione, dal non impegnarci alla sua sequela. Ascoltiamo dunque questi apoftegmi di Gesù. Durante la sua salita a Gerusalemme, passando attraverso città e villaggi e predicando come un profeta a coloro che venivano ad ascoltarlo, Gesù si sente rivolgere questa domanda da qualcuno in mezzo alla folla: “Signore, sono pochi quelli che sono salvati?”. È una domanda che abita ancora oggi i nostri cuori: la salvezza sarà riservata a pochi giusti oppure la misericordia di Dio aprirà le porte del cielo a molti? In ogni credente vi sono domande brucianti che possono diventare dubbi che tormentano, per questo quella persona pone a Gesù tale interrogativo chiamandolo Kýrios, Signore, dunque con una certa fede-fiducia in lui.

            Gesù non risponde direttamente ma proclama con chiarezza ciò che è urgente per tutti coloro che lo ascoltano: “Lottate (agonízesthe) per entrare nella sala del banchetto attraverso la porta stretta, perché molti – ve lo dico – cercheranno di entrare, ma non ci ne avranno la forza”. Ciò che Gesù mette in evidenza, negando un interesse per il numero dei salvati, è la necessità, l’urgenza della lotta. Nel nostro cammino verso il Regno c’è una lotta da condurre, una lotta dura, che è “il buon combattimento della fede” (1Tm 6,12) contro un avversario, un oppositore, un potente che è Satana. Nessuna illusione: la sequela di Gesù è a caro prezzo, costa fatica e impegno, richiede di combattere con le armi spirituali, a volte fino all’agonia, alla lotta davanti alla morte, come l’ha vissuta Gesù (cf. Lc 22,44). La porta stretta non vuole impedire l’entrata, ma rivela che solo chi sa lottare, solo chi sa che la meta è il regno di Dio, potrà oltrepassarla. Occorre perciò essere equipaggiati e vigilanti per arrivare in tempo, prima che la piccola porta, ultima possibilità, sia chiusa. Perché come in ogni città, una volta calata la notte, vengono chiuse prima la grande porta, poi la porticina: allora nessuno potrà più entrare.

            Gesù ammonisce dunque gli ascoltatori: “Restando fuori, comincerete a bussare, pronunciando preghiere e litanie: ‘Signore (Kýrie), aprici!’. Ma egli vi risponderà: ‘Non so di dove siete!’”. Quanti sono rimasti fuori, però, non desistono, ma continuano a pregare e a chiedere l’apertura della porta, ricordando le loro relazioni con il Signore stesso, tutte relazioni religiose. Dicono infatti: “Abbiamo mangiato e bevuto davanti a te, celebrando la tua cena, l’Eucaristia! Ti abbiamo ascoltato quando predicavi nelle nostre piazze!”. Ai loro occhi questo vissuto, ritenuto vicinanza e comunione con il Signore, dovrebbe far cambiare la sua decisione e quindi indurlo ad aprire la porta a gente che si ritiene conosciuta da lui, che pensa di vantare meriti dovuti all’appartenenza religiosa. Ma il Signore, inesorabile, dirà: “Lontano da me, perché siete stati operatori di ingiustizia! Non so di dove siete, non vi ho mai conosciuti!”. Il Signore contesta la verità di una vicinanza e di una comunione vantata da quelli che sono respinti, perché giudica che durante la vita non hanno operato la giustizia, sono stati dei malfattori, anche se formalmente ascoltavano la predicazione di Gesù ed erano ospiti alla sua tavola. In quel giorno, quando alla porta del Regno dovremo ascoltare il giudizio del Signore su di noi, ai suoi occhi non conteranno l’appartenenza alla sua comunità, la frequentazione della sua Parola e dell’Eucaristia. Questi, infatti, sono mezzi per operare il bene, la giustizia: ma se il bene e la giustizia non sono realizzati nella vita, nel comportamento, nelle relazioni tra noi e gli altri, allora tali mezzi saranno evidenziati da Gesù come un inganno che abbiamo vissuto.

            Questo è un ammonimento che noi cristiani, che ci diciamo discepoli e discepole di Gesù, non prendiamo sul serio. Purtroppo i nostri gesti liturgici, l’appartenenza alla parrocchia, la frequentazione dei pastori posti dal Signore nella sua chiesa, sovente possono diventare sicurezze false, che quasi ci impediscono di chiederci se quotidianamente siamo operatori di bene, cioè abbiamo un comportamento che nutre il bene comune, oppure operatori di male, con parole che dividono e calunniano, con sentimenti di inimicizia e di orgoglio, con comportamenti omissivi, che non fanno il bene. Magari non commettiamo il male seminando violenza, ma basta che pensiamo al nostro comportamento omissivo, a quando non vediamo l’altro e non ci impegniamo per colui che è nel bisogno, affamato, assetato, immigrato, nudo, malato, in carcere (cf. Mt 25,31-46). Noi crediamo di essere nell’intimità con il Signore, assidui alla sua presenza, ascoltatori della sua Parola, nutriti dai sacramenti, ma domandiamoci se a questo corrisponde ciò che il Signore domanda come impegno, urgenza, amore verso gli altri. E accadrà allora anche che proprio quelli “dentro” (éso), appartenenti alla comunità cristiana, alla chiesa, respinti alla porta del Regno, vedranno quelli che stavano “fuori” (éxo) ed erano lontani, non appartenenti alla comunità di Gesù, seduti alla tavola del banchetto del Regno con Abramo, Isacco, Giacobbe e tutti i profeti. Lo diceva già sant’Agostino: “In quel giorno molti che si ritenevano dentro si scopriranno fuori, mentre molti che pensavano di essere fuori saranno trovati dentro”. Capovolgimento della situazione e delle precedenze: i primi invitati, i primi destinatari della buona notizia appariranno gli ultimi, addirittura saranno fuori dal Regno, mentre proprio quelli che non si supponevano vicini a Dio troveranno posto al banchetto del Regno.

            A me e a voi, lettori, ricordo che questo vangelo chiede a ciascuno di noi un discernimento: sono solo un uomo religioso, che prega, che va all’Eucaristia, ma in realtà ho una vita non conforme alla volontà del Signore Gesù, oppure sono uno che andando alla preghiera, nutrendomi della Parola e dell’Eucaristia come un mendicante che attinge da esse forza, tenta ogni giorno di essere un discepolo del Signore, tenta di essere coerente tra ciò che pensa, dice e vive quotidianamente?

Enzo Bianchi, priore del Monastero di Bose                       21 agosto 2016

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/10732-lottate-per-entrare-attraverso-la-porta-stretta

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DIACONATO

Dibattito sul diaconato femminile

Dibattito sul diaconato femminile (3): la “necessità del sacramento” e il sesso femminile. Huenermann, Mueller e la Summa Theologiae di Tommaso.

La questione è delicata. Nel cuore della argomentazione con cui il prof. Mueller, Arcivescovo e ora Prefetto della Congregazione per la Dottrina delle fede, ha scritto 15 anni fa contro ogni possibile ordinazione diaconale delle donne, sta un testo di S. Tommaso, tratto dal Supplementum alla Summa Theologiae, che nel testo del prof. Mueller suona così: “Il sesso maschile è necessario alla ordinazione al sacerdozio e al diaconato, non solo de necessitate praecepti, ma de necessitate sacramenti”.

a)      Una dimostrazione problematica. E’ stato P. Huenermann, in un articolato studio del 2012 – “Zum Streit ueber den Diakonat der Frau im gegenwaertigem Dialogsprozess – Argumente und Argumentationen”, “Theologische Quartalschrift”, 192(2012), 342-378 (Sul conflitto intorno al diaconato femminile nella discussione contemporanea – argomenti e argomentazioni) – a mettere in evidenza la funzione centrale di questa affermazione di Tommaso, che in Mueller diventa decisiva per distinguere uno ius divinum, immodificabile, su cui la Chiesa non ha alcun potere, e uno ius ecclesiasticum, che invece la Chiesa può sempre modificare e adattare. Ora, seguendo il ragionamento di Mueller, questa proposizione di S. Tommaso assume un ruolo decisivo sul piano sistematico per operare una distinzione fondamentale. La ordinazione delle donne potrebbe essere una possibilità “di diritto ecclesiastico” – che configurerebbe un ufficio ecclesiastico non sacramentale – ma non potrebbe in alcun caso essere un “grado del sacramento dell’ordine”, perché andrebbe contro una “verità di fede” così ben riconosciuta ed espressa da S. Tommaso. E’ evidente che quando Mueller utilizza la espressione tomista “de necessitate sacramenti” – per necessità del sacramento – assume il termine “sacramento” nei significati alti e forti che il Concilio di Trento e Vaticano II hanno utilizzato per esso: istituzione da parte di Cristo, dono immodificabile per la Chiesa, sostanza di ciò che seve essere affermato e difeso a tutti i costi, quasi come un articulus stantis aut cadentis ecclesiae! La rilettura cui Huenermann sottopone questa interpretazione è particolarmente illuminante e merita di essere seguita da vicino. Non solo perché segnala che i “testi storici” dei primi secoli – e i testi recenti del Vaticano II – vengono sottoposti ad una continua rilettura medievale e tridentina, ma perché gli stessi testi più autorevoli del medioevo non vengono chiariti nel loro fondamento ed assunti in modo non argomentato: come se fosse espressioni “ex auctoritate”. Esaminiamoli ora più da vicino.

b)      Tommaso e i “senza autorità”. Vorrei soffermarmi soltanto sul testo di Tommaso già segnalato. Esso è tratto dal Supplementum alla Summa Theologiae, q39, a1. La questione 39 ha per titolo De impedimentis huius sacramenti (Sugli impedimenti di questo sacramento), mentre l’articolo 1 ha per titolo Utrum sexus femineus impediat ordinis susceptionem (Se il sesso femminile impedisca di ricevere l’ordine). La questione generale delinea il quadro di coloro che sono “senza autorità”: tratta infatti delle donne (1) dei bambini (2) degli schiavi (3) degli assassini (3) dei figli illegittimi (4) e dei disabili (5). Per ognuna di queste categorie Tommaso cerca se l’impedimento sia “de necessitate sacramenti” o solo “de necessitate praecepti”. Si definisce così uno spazio civile ed ecclesiale, nel quale la differenza dal maschio adulto e libero, nato da matrimonio legittimo, non condannato da tribunali, di sana e robusta costituzione costituisce una “questione” per la assunzione della autorità. La “antropologia sociale” del medioevo viene utilizzata da Tommaso come luogo di accurata differenziazione. In questo orizzonte di antropologia sociale viene discussa anche la questione del rapporto tra “sesso femminile” e “autorità”. Tommaso infatti, dopo aver ricordato nel “videtur quod” che si danno forme di “profezia”, di “martirio” e di “autorità spirituale” riferibili anche alle donne, nel “corpus” propone la sua argomentazione centrale. La esclusione della possibilità di ordinare soggetti di sesso femminile è “ex necessitate sacramenti”, spiega Tommaso, perché il sacramento deve essere anche “segno” della “res” che dona. Ora “nel sesso femminile non può essere significata una ‘eminenza di grado’, poiché la donna ha una condizione di soggezione e perciò non può ricevere il sacramento dell’ordine” (Suppl, 39, 1, c). Ciò che Tommaso intende come “ex necessitate sacramenti” non è dunque una argomentazione cristologica, ecclesiologica o pneumatologica, ma solo il supporto teorico a quello che oggi riconosciamo come il pregiudizio sociale della strutturale inferiorità della donna rispetto all’uomo. Assumere come principio sistematico decisivo un pregiudizio di antropologia sociale medievale non appare risolutivo per affrontare la questione della ordinazione diaconale delle donne, non nel dibattito del XIII, ma in quello del XXI secolo.

c)      Alcune conseguenze per la discussione attuale. All’inizio del suo saggio Mueller dice apertamente che l’intento del suo saggio riguarda la domanda se la disposizione della “Ordinatio sacerdotalis” debba essere applicata soltanto al sacerdozio, o all’intero ordine sacro. Ma proprio nel 1994, quando il testo del documento fu approvato da Giovanni Paolo II, il card. Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, metteva in luce che ora appariva un “testo ufficiale”, ma che la sua ragione teologica doveva ancora essere compresa e illustrata. Il tentativo di una interpretazione estensiva di Ordinatio sacerdotalis deve fare anzitutto i conti con questo problema: occorre offrire una argomentazione all’altezza della domanda di oggi, senza ripetere brandelli del sapere classico, decontestualizzati e con argomentazioni contraddittorie. Nella economia di un dialogo trasparente, mi sembra utile ricordare soltanto alcune prospettive aperte:

  • Il rapporto tra storia e sistematica deve essere adeguatamente calibrato. Se usiamo testi antichi, medievali o moderni, dobbiamo collocarli nel loro contesto e metterli in rapporto con i principi sistematici elaborati, anch’essi, lungo i secoli e differenziati per argomentazioni e per prospettive.
  • Se la argomentazione che “difende la tradizione” si appiattisce su una “antropologia sociale superata”, l’effetto è che per difendere l’Ordo sacramentale mi trovo costretto a difendere anzitutto l’”ancien régime sociale ed ecclesiale”. E questo è un effetto distruttivo della tradizione stessa, perché scivola irreparabilmente in un tradizionalismo di contenuto e in un fondamentalismo di metodo;
  • I sacramenti “del servizio” – ossia ordine e matrimonio – sono i più esposti a questo rischio: essendo costitutivamente impregnati di cultura umana – cultura di gestione della unione, della generazione, del servizio e della autorità – rischiano di confondere la volontà di Dio con una istituzione storica e contingente. Può sembrare, infatti, che la difesa della famiglia si identifichi con quella del patriarcato autoritario, o la difesa dell’ordine sacro con quella di un clericalismo maschilista. Ma la differenza deve essere accuratamente colta, segnalata, studiata e articolata.
  • Di fronte a ciò che è “sacramento” la Chiesa si ferma e confessa la propria mancanza di autorità. Restituisce tutta la autorità al suo Signore. Ma occorre fare molta attenzione. E’ possibile, infatti, che se non si identifica bene che cosa è sacramento, lo si confonda con un “ordine mondano”, con uno status quo, con un assetto amministrativo, che si vuole rendere immodificabile. Se si assume il ragionamento di Tommaso, fondato apertamente su una considerazione di antropologia sociale, come un “dato rivelato e immodificabile”, non si fa un servizio al Vangelo, ma si impedisce alla Chiesa di esercitare il giusto discernimento e la necessaria autorità. Rinunciando alla autorità, si impone un autoritarismo di fatto. Solo esercitando la autorità e il discernimento, si può lasciare la parola allo Spirito e così rispettare il sacramento.
  • Se ci limitiamo a conservare un “ordo” che coincide con l’”ordo sociale medievale” ci priviamo di tutta la novità che la autorità femminile sta scrivendo nella società civile, ma che la Chiesa cattolica non riesce a riconoscere. Solo modificando il “modello di ordo medievale” possiamo fare una vera teologia dell’ordo sacramentale.
  • Le difficoltà che alcuni hanno avuto e continuano ad avere con Amoris Laetitia si riflettono anche su questo tema della ordinazione diaconale delle donne. Ed è lo stesso tipo di reazione istintiva: di fronte alle “cose nuove” – la società aperta che propone nuove forme di unione, di generazione e di riconoscimento di autorità – ci si blocca sui dispositivi della Chiesa ottocentesca, che stava in guardia contro il dilagare della libertà. Forse avremo bisogno di trovare un “registro lieto” anche nella riflessione sull’altro sacramento del servizio. Per il matrimonio lo abbiamo già trovato, ed è ormai patrimonio comune, da comprendere e da recepire. Sarebbe paradossale che, accanto a una Amoris Laetitia in campo matrimoniale, noi restassimo troppo a lungo legati ad una “Ordinis tristitia” nel campo del ministero ordinato.

Andrea Grillo      blog: Come se non     17 agosto 2016

www.cittadellaeditrice.com/munera/dibattito-sul-diaconato-femminile-3-la-necessita-del-sacramento-e-il-sesso-femminile-huenermann-mueller-e-la-summa-theologiae-di-tommaso

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FORUM DELLE ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Forum Veneto: “Il governo e il ministro Boschi segnino una svolta

Il Forum delle Associazioni Familiari del Veneto interviene sull’attuale dibattito relativo a un aggiornamento della legge 184/1983. Oltre al miglioramento della normativa, il Forum auspica “una diversa e migliore funzionalità della Commissione per le Adozioni Internazionali (CAI) che da troppo tempo sembra riposare in un incomprensibile letargo operativo”. Di seguito riportiamo la versione integrale del comunicato stampa diffuso dal Forum delle Associazioni Familiari del Veneto.

In Parlamento si sta discutendo un aggiornamento della Legge 4 maggio 1983, n. 184, “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, che finora ha permesso a migliaia di bambini di trovare una famiglia nella quale crescere con amore e attenzione educativa. L’impianto normativo necessita sicuramente di alcuni interventi, mirati allo snellimento delle procedure e degli adempimenti burocratico-amministrativi. Accanto al miglioramento della normativa si invoca comunque una diversa e migliore funzionalità della Commissione per le Adozioni Internazionali (CAI) che da troppo tempo sembra riposare in un incomprensibile letargo operativo. {nemmeno il sito della CAI è aggiornato.ndr}. Non si può tacere che in questi ultimi anni l’adozione internazionale nel nostro Paese ha registrato una preoccupante e ormai inaccettabile deriva negativa. In cinque anni i nuovi arrivi di stranieri in famiglia si sono quasi dimezzati, passando dai 1.410 del 2010 a 850 nel primo semestre del 2015, nel 2008 erano quasi 4000. Le domande di idoneità sono passate da 8274 nel 2004 a 4015 nel 2014. Questi numeri esprimono le complesse e spesso insormontabili difficoltà che le famiglie, desiderose di accogliere nuovi figli, incontrano durante l’iter dell’adozione. Mancano servizi di assistenza adeguati per le famiglie, sostegni economici e soprattutto formazione. I costi sono crescenti e spesso non sostenibili: si passa dai 10 ai 15 mila euro per un bambino dall’Albania fino ad almeno il doppio per accogliere un bambino da Haiti o dalla Russia. I minorenni con handicap e altre disabilità e i più grandi, adolescenti e preadolescenti, stentano a trovare casa. Nel mondo oltre un milione di bambini vive in condizioni di completo abbandono e spera di essere accolto in una famiglia.

Il Forum delle Associazioni Familiari del Veneto auspica che il lavoro e l’impegno del Governo, del Parlamento ed in particolare della neo-nominata alla presidenza della CAI, la ministra Boschi, possa imprimere una forte e incontrovertibile svolta nell’attività della Commissione, in grado di recuperare tempestivamente le indispensabili funzioni attribuitele dalla legge al fine di sostenere in esclusiva istanza i minori adottati e le loro famiglie, riattivando tra tutti i soggetti coinvolti nell’iter adottivo un’alleanza strategica e un’autorevole e positiva azione diplomatica nei confronti delle istituzioni dei Paesi di origine dei bambini.

Si richiedono al Governo segnali forti e inequivocabili a sostegno di questa peculiare e stupenda forma di “generazione”. Si richiede altresì Le medesime opportunità (in termini di risorse, servizi, ecc.) riconosciute alle altre forme di genitorialità (gravidanza fisiologica o procreazione medicalmente assistita), garantendo l’eccellenza del servizio pubblico erogato dai diversi organismi coinvolti nell’iter adottivo, affinché le procedure adottive siano sempre saldamente ancorate all’identità filiale dei bambini, alla tutela della loro dignità e del loro supremo interesse e le famiglie adottive non siano sottoposte ad incomprensibili e sfibranti percorsi.

Il Forum delle Associazioni Familiari del Veneto, ribadisce che ogni investimento a sostegno di una positiva cultura dell’accoglienza familiare rappresenta un investimento sul futuro migliore del nostro paese, auspica che i tantissimi bambini abbandonati possano vedersi restituita la bellezza di sentirsi figli e la dignità di diventare uomini anche grazie alle famiglie italiane che hanno già adottato o che desiderano vivere il dono del divenire genitori adottivi. L’accoglienza adottiva è e deve tornare ad essere una stupenda forma di fecondità coniugale, capace di dedizione incondizionata e squisito atto d’amore in grado di donare una famiglia a chi ne è stato privato.                 

news Ai. Bi-                18 agosto 2016

www.aibi.it/ita/forum-famiglie-veneto-il-governo-e-il-ministro-boschi-segnino-una-svolta

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GOVERNO

Famiglie a basso reddito, in arrivo 275 euro.

Le famiglie a basso reddito potranno ricevere un contributo, una tantum, di 275 euro per il sostegno dei bambini nati o adottati nel corso del 2014. A stabilirlo è il Decreto del 23 giugno 2016 del dipartimento delle politiche per la famiglia della presidenza del Consiglio dei ministri, pubblicato ieri nella Gazzetta Ufficiale.

www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2016-08-18&atto.codiceRedazionale=16A06064&elenco30giorni=false

L’accredito viene effettuato verso i beneficiari della Carta Acquisti, uno strumento introdotto nel 2008 per andare incontro alle famiglie che versano in condizioni di maggior disagio economico (e concessa per valori inferiori a una soglia di euro 6.781,76 nel 2014 ed euro 6.795,38 nel 2015).

            Sulla base degli elementi informativi forniti nel decreto, il numero dei bambini nati nel 2014 che hanno goduto di almeno un accredito sui sistemi Carta acquisti è pari a 114.168 e a quasi 4mila adottati. Sarà poi l’Inps, secondo direttive impartite dalle amministrazioni responsabili, come stabilisce l’art. 2 del decreto, a disporre l’accredito ai beneficiari della Carta Acquisti. L’importo unitario della misura aggiuntiva, pari a 275 euro e sarà accreditato ai possessori della Carta Acquisti, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto, ossia a partire dal 18 agosto.

            A disposizione delle famiglie meno abbienti ci sono fondi pari a 33.526.846,45 euro e laddove le risorse da destinare dovessero risultare insufficienti a soddisfare le richieste dei beneficiari, l’importo di 275 euro verrà rideterminato. In caso di risorse non utilizzate, invece, queste saranno ripartite proporzionalmente tra tutti i beneficiari con l’ultimo accreditamento disposto per le Carte Acquisti nel 2016.

Adnkronos      19 agosto 2016

www.adnkronos.com/soldi/economia/2016/08/19/famiglie-basso-reddito-arrivo-euro_UIcmbtiWZdy0UfJjpxFs1O.html

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PENSIONE DI RIVERSIBILITÀ

            Tra ex moglie e vedova non si divide solo in base alla durata del matrimonio.

Tribunale di Potenza, Sentenza n. 504/2016.

La determinazione della quota spettante tiene conto anche di altri elementi come l’assegno di mantenimento e le condizioni economiche. Nel caso di concorso tra ex moglie e vedova, aventi entrambe i requisiti per la pensione di reversibilità del defunto marito, la ripartizione non dipende soltanto dalla durata dei matrimoni. Occorre, infatti, prendere in considerazione altri elementi, legati alla finalità solidaristica della reversibilità, come ad esempio la presenza dell’assegno di mantenimento, le condizioni economiche dell’ex coniuge e del coniuge superstite e l’eredità. A ricordarlo è il Tribunale di Potenza chiamato a stabilire l’esatto ammontare della quota di pensione spettante a due donne, rispettivamente ex moglie e vedova di un uomo, in seguito alla sua dipartita.

            Una volta verificati i presupposti per la divisione della pensione di reversibilità a favore di entrambe, posto che l’ex moglie aveva diritto ad una quota essendo titolare di un assegno di divorzio, il collegio lucano ha affermato che nella ripartizione del trattamento, pur dovendosi tenere conto dell’elemento temporale, ossia della durata legale dei matrimoni, avente “valore preponderante e il più delle volte decisivo”, lo stesso non può tradursi in una mera proporzione matematica.

            Il giudice, infatti, ricorda il tribunale, può ben prendere in considerazione tutti gli altri elementi correlati con la finalità solidaristica sottesa al trattamento di reversibilità, come le condizioni economiche dei coniugi o anche il tempo della convivenza more uxorio.

            E nel caso di specie, se in base alla durata dei rispettivi matrimoni, la situazione era nettamente sbilanciata a favore del primo, durato oltre 30 anni e accompagnato dalla nascita di due figli, rispetto al secondo durato poco più di 3 anni, considerando la devoluzione di parte dell’eredità al coniuge superstite, la raggiunta indipendenza economica da parte dei figli nati dal primo matrimonio, nonché la carenza di mezzi di sostentamento adeguati per l’ex coniuge, il giudice ha ritenuto congruo dividere i ratei mensili della pensione, pari a circa mille euro, attribuendo 32/35 alla ex e 3/35 alla vedova.

Marina Crisafi                       studio Cataldi             18 agosto 2016

www.studiocataldi.it/articoli/23084-reversibilita-tra-ex-moglie-e-vedova-non-si-divide-solo-in-base-alla-durata-del-matrimonio.asp

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SEPARAZIONE CONIUGALE

Ci si può separare senza una ragione?

Chi non è più innamorato del marito o della moglie può chiedere la separazione senza paura: pagherà l’assegno di mantenimento solo se ha un reddito più alto.

Da dire ti amo davvero, ti amo lo giuro a dire non sono sicuro se ti amo davvero, Claudio Baglioni ci ha messo un paio di minuti. Per molte coppie, invece, è questione di qualche anno: si passa da chiedersi “come farei senza di lui/lei?” a chiedersi: “Ci si può separare senza una ragione?” La ragione, di fronte a una domanda del genere, c’è sempre: l’amore non c’è più, la convivenza è diventata un peso. La voglia di fare le valige e tornare dalla mamma è impellente.

Cosa succede se non si è più innamorati? Succede, intanto, che il partner ci farà sentire in colpa, che la suocera ripeterà all’infinito “io l’avevo detto che non si doveva sposare” e, soprattutto se a dire “basta” è stato il marito, il suocero o i fratelli di lei lo aspetteranno sotto casa. La legge, invece, no. La legge consente la separazione quando uno dei due coniugi non ce la fa più, quando scopre di non essere più innamorato. L’altro coniuge dovrà solo subire le conseguenze e cercare di consolarsi come può. Tutt’al più potrà dare battaglia su questioni economiche: da quanto deve essere sostanzioso l’assegno di mantenimento al tipico “questo non te lo porti via, me l’aveva regalato la mamma”.

Che succede se non si è più innamorati. Se uno dei due coniugi chiede la separazione perché non è più innamorato dell’altro, le possibilità sono due: che il partner risponda, con una punta di imbarazzo, “stavo per dirtelo anch’io” e tutto si risolva nell’ultimo tenero abbraccio che precede la separazione consensuale. Oppure, ed è quello che ci interessa, che volino le stoviglie e ci si dia appuntamento in Tribunale per la separazione giudiziale. Un magistrato non potrà evitare che il matrimonio finisca anche se ci si vuole separare senza una ragione. Ma potrà decidere le conseguenze legali del fatto di non essere più innamorati. E non sempre chi scopre di non amare più il marito o la moglie deve accollarsi la spesa.

            Così come esiste il diritto di amare, esiste anche il diritto di non amare più. Di conseguenza, chi si scopre non più innamorato del partner può urlarlo ai quattro venti (anche se un po’ di discrezione non guasta) senza perciò temere addebiti di responsabilità, né temere di dover pagare un risarcimento del danno. In altre parole, non scatta il cosiddetto addebito a carico di chi voglia separarsi perché non è più innamorato e non perché il partner lascia sempre il tubo dei dentifricio aperto.

            Chi vuole separarsi senza una ragione non deve delle spiegazioni, se non al proprio coniuge e se lo ritiene opportuno. Insomma, non è necessario motivare le cause del proprio disinnamoramento. Non bisogna trovare scuse (“sono confuso, non so che mi succede, non è certo colpa tua…”) né è necessario che l’altro abbia adottato una condotta contraria ai doveri del matrimonio (“amore, di chi sono queste mutandine che ho trovato in camera da letto…?”). Anche se il partner è stato lo sposo o la sposa ideale, ha tenuto sempre una condotta integerrima, fedele e rispettosa dei doveri coniugali, l’altro può ugualmente chiedere la separazione senza una ragione effettiva, potendo solo motivare il suo disinteresse con il venir meno dell’amore (non sono sicuro se ti amo davvero…). Né quest’ultimo subirà alcuna conseguenza da ciò, in termini di addebito o di versamento dell’assegno di mantenimento.

            La condanna a pagare il mantenimento scatta per altre ragioni che nulla hanno a che fare con le cause della separazione. Addirittura, anche quando la separazione è stata imposta dal comportamento colpevole del marito o della moglie (le famose mutandine, ad esempio), l’altro coniuge non vanterà solo per questo, e in via automatica, il diritto al mantenimento. Difatti, il giudice dispone l’obbligo di versare un assegno mensile, a titolo di mantenimento, solo quando verifica che il reddito di uno dei due coniugi è molto più alto di quello dell’altro e che quest’ultimo non è in grado, con le proprie forze, di mantenere lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio. Insomma, tutte le volte in cui vi sia una sproporzione tra gli stipendi o i redditi dei due coniugi, il Tribunale cerca di diminuirla, obbligando il più “ricco” (a volte quello che è ancora innamorato) a dare periodicamente (di norma una volta al mese) una parte dei suoi soldi al più “povero”.

            Solo chi ha subito la separazione con addebito a proprio carico non può ottenere – anche se con un reddito inferiore – l’assegno di mantenimento. Se, invece, non ha subìto la pronuncia di addebito e ha risorse economiche più basse, gli deve essere versato l’assegno. Ora, nel caso di coniuge non più innamorato, poiché come abbiamo visto questa dichiarazione non costituisce causa di addebito, egli avrà diritto al mantenimento.

            Oltre al danno la beffa? Lui, marito fedele, mai una mutandina inopportuna, si sente dire da lei che non è più innamorata, che non lo ama più e che, per ciò, deve andarsene di casa. L’uomo, evitando per una questione di orgoglio di fare la faccia del cane bastonato, sarà costretto a subire la scelta, non potendosi opporre. Se poi la moglie ha un reddito più basso dell’uomo e la coppia ha avuto figli ancora minori, il giudice le concederà non solo l’assegno di mantenimento, ma anche la casa coniugale e disporrà che i figli convivano con lei (ciò succede nella gran parte dei casi). E il marito che, invece, era ancora innamorato? Non potrà impedire la separazione, né l’assegnazione della casa alla ex moglie. Ben che gli vada, se riesce a dimostrare di avere lo stesso reddito della moglie o che quest’ultima ha disponibilità economiche ulteriori rispetto allo stipendio (ad esempio proprietà immobiliari), potrà contrastare la sua richiesta di mantenimento. Altrimenti, dovrà mandare giù il rospo e pensare che quel matrimonio è stato solo un piccolo grande amore, niente più di questo, niente più.

Carlos Arija Garcia  La legge per tutti       19 agosto 2016

www.laleggepertutti.it/129110_ci-si-puo-separare-senza-una-ragione

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