newsUCIPEM n. 596 – 8 maggio 2016

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ADOZIONE                                                        Il conflitto di interessi del minore con il genitore è in re ipsa?

ADOZIONE INTERNAZIONALE                   Nel 2015 adozioni internazionali ancora in calo.

ADOZIONI INTERNAZIONALI                      Pubblicato accordo bilaterale con la Cina.

AFFIDO CONDIVISO                                      Tempi di frequentazione genitori. Volontà del figlio.

Se muta la domiciliazione è da rivalutare l’assegno per i figli.

AMORIS LAETITIA                                           Il discernimento, cura delle famiglie nella Amoris laetitia. Costa.

                       Novità e limiti del documento papale. Piana.

Credere nell’amore.

Proposte concrete.

La famiglia alla luce della esortazione apostolica postsinodale Al.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO                No ad accordo con mantenimento dei figli solo se frequentazione.

Aumenta l’assegno all’ex se il marito pensionato riceve un’eredità.

CISF                                                                      Newsletter CISF n. 8, 4 maggio 2016.

CHIESA CATTOLICA                                        Il diaconato femminile non è più un tabù.

Commissione Adozioni Internazionali Rafforzata la collaborazione tra l’Italia e la Federazione Russa.

CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM            Pordenone. Convegno: Adolescenti, uso d’internet e dei network.

DALLA NAVATA                                              Ascensione del Signore – anno C -8 maggio 2016.

Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose.

FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI         Famiglia, la vera impresa in Italia.

Fisco. Questo è il momento del fattore famiglia-

                                                                              Perché non si vuole il reato universale?

MATERNITÀ                                                      Essere mamma in Italia: rapporto “Save the children”.

PARLAMENTO Camera Assemblea         Mozioni su iniziative per contrasto a surrogazione di maternità.

Informativa della Ministra della salute, Beatrice Lorenzin.

2°Commissione Giustizia.          Regolamentazione delle unioni civili

POLITICHE DELLA FAMIGLIA                      Centri per le famiglie, indagine del Dipartimento per le politiche.

UNIONI CIVILI                                                  Della legge Cirinnà.

VIOLENZA                                                          Maltrattamenti in famiglia anche dopo la separazione.

WELFARE                                                           Quando il welfare lo fanno le aziende.

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ADOZIONE

Il conflitto di interessi del minore con il genitore è in re ipsa?

Nel procedimento di adozione in casi particolari ex art. 44 lett. d) L.184/1983 il conflitto di interessi del minore con il genitore è in re ipsa? Con ricorso depositato in data 19 febbraio 2016 il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma ha impugnato la sentenza n. 7127/2015 con cui la Corte ha confermato la decisione del Tribunale per i Minorenni di Roma (sentenza n. 299 del 30 giugno 2014) che ha disposto farsi luogo all’adozione speciale ex art.44 lett. d) della legge 184 del 1983 di una minore da parte della compagna della madre biologica. Nel ricorso il P.G. indica quale primo motivo di nullità dell’intero procedimento di adozione “speciale” ex art. 44 lett. d) della Legge 184/1983 la “omessa nomina del curatore speciale della minore ai sensi dell’art. 78 c.pc.” asserendo che “nel procedimento di adozione il conflitto di interessi” tra genitore rappresentante legale del minore adottando e minore “è in re ipsa”. L’art. 78 c.p.c. – continua il P.G. – rappresenta una norma generale che autorizza il giudice a procedere d’ufficio alla nomina del curatore speciale tutte le volte in cui ravvisi un “potenziale conflitto di interessi”; in tal senso andrebbe consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione (confermata anche dalla Corte Costituzionale con sentenza n.83 del 2011).

            Sul punto, premesso che, come si avrà modo di dimostrare, tali affermazioni di principio appaiono infondate nel caso in questione, si ritiene di procedere con ordine distinguendo l’ipotesi di rappresentanza del minore nel procedimento in materia di adozione legittimante da quella nel procedimento per adozione in casi particolari. Ed invero, l’affermazione secondo cui “nel procedimento di adozione il conflitto di interessi” tra genitore rappresentante legale del minore adottando e minore “è in re ipsa”  ha un fondamento se riferita  all’adozione legittimante regolata dal Titolo II della Legge 184/1983 che presuppone il procedimento relativo allo stato di abbandono del minore in cui il genitore è coinvolto in proprio in quanto soggetto alla verifica della sussistenza del presupposto stesso richiesto dalla legge per lo stato di adottabilità e si troverebbe quindi a rappresentare in giudizio se stesso e il minore adottando in un oggettivo stato di conflitto di interessi.

            In tal senso si è espressa Cassazione civile, sez. I, 19/07/2010, n. 16870 secondo cui “il nuovo procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità – configurato dalla L. n. 149 del 2001, che ha profondamente modificato quello disciplinato dalla L. n. 184 del 1983 – non prevede la nomina necessaria di un curatore speciale al minore, il quale è rappresentato nel giudizio o dai genitori ovvero dal tutore, perché il procedimento è unico ed immediatamente contenzioso essendo stata soppressa la fase dell’opposizione di cui al previgente art. 17 della L. n. 184 del 1983 -, con la conseguenza che il rappresentante legale è investito sin dall’apertura del procedimento della rappresentanza del minore. Tale procedimento – continua la Corte – ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 8, comma 4, e art. 10, comma 2, come sostituiti dalla L. n. 149 del 2001, deve svolgersi fin dalla sua apertura con l’assistenza legale del minore, il quale è parte a tutti gli effetti del procedimento e, in mancanza di una disposizione specifica contraria, sta in giudizio a mezzo di un rappresentante secondo le regole generali, quindi a mezzo del rappresentante legale (genitore o tutore), ovvero, in caso di conflitto d’interessi del rappresentate legale con il minore, di un curatore speciale, soggetti questi (genitore, tutore, curatore speciale) ai quali compete la nomina del difensore tecnico. Nel medesimo procedimento, il conflitto di interessi tra minore e genitore è in re ipsa, per incompatibilità anche solo potenziale delle rispettive posizioni – avuto riguardo allo stesso oggetto del giudizio”.

            Stesso principio, ad avviso di chi scrive, non pare possa essere espresso con riguardo all’adozione in casi particolari, disciplinata dal Titolo IV della Legge 184 del 1983 il cui presupposto non è lo stato di abbandono del minore e, con riguardo in particolare all’ipotesi prevista dall’art. 44 lett. d), addirittura “vi è la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, impossibilità non solo di fatto ma anche di diritto (così Corte d’appello di Roma n. 7127/2015 oggi impugnata). In tal senso la Corte di Cassazione secondo cui “l’adozione in casi particolari tende alla realizzazione dell’interesse del minore, con la conseguenza che legittimamente il giudice rigetta la domanda quando insorgano forti contrasti tra il richiedente l’adozione e il genitore del minore, che abbiano creato in quest’ultimo notevole sofferenza” (Cassazione civile, sez. I, 19/10/2011, n. 21651). A tale conclusione la Corte di cassazione giunge dopo avere valutato se nel procedimento avente ad oggetto una richiesta di adozione ai sensi dell’art. 44 lett. b), Legge 184 /1983, vi fosse la violazione degli art. 78, 79 e 80 c.p.c. in ordine alla necessità di nomina di un curatore speciale.

            “Invero” afferma la Corte “gli artt. 78, 79 e 80 c.p.c., prevedono la nomina di un curatore speciale, tra l’altro, in caso di conflitto di interessi tra rappresentato e rappresentante. L’art. 320 c.c., comma 6, prevede ipotesi di conflitto di interessi, tra genitore e figlio, ma soltanto patrimoniali. Al contrario gli artt. 347 e 360 c.c., … individuano – ma solo in materia di tutela – conflitto di interessi, anche personali”. D’altra parte nel procedimento previsto dall’art. 45 “il minore ultraquattordicenne esprime il suo consenso all’adozione, il legale rappresentante (genitore o tutore), in caso di età inferiore dell’adottando, viene sentito” e il successivo art. 46 “assicura una netta preminenza alla posizione del genitore che deve prestare il suo assenso.” Ciò non escluderebbe – secondo la Corte – in linea di principio, l’applicabilità dell’art. 78 c.p.c., e segg., in caso di conflitto di interessi tra il minore e il suo legale rappresentante (nella specie il genitore). Tuttavia il conflitto deve essere provato fornendo indicazioni specifiche al riguardo: il conflitto deve essere concreto, diretto ed attuale, e sussiste se al vantaggio di un soggetto corrisponde il danno dell’altro. Ciò che va dimostrato – conclude la Corte – non è tanto “il deterioramento di rapporti tra il genitore dell’adottando e il coniuge richiedente” ma piuttosto “l’interesse reale della minore …di essere adottata”.

            Tale posizione, espressa proprio con riguardo al procedimento per l’adozione in casi particolari, conferma l’orientamento assunto dalla Corte di Cassazione in generale per tutti i casi in cui può manifestarsi un potenziale conflitto di interessi tra genitori –rappresentanti legali- e minori ancorché la presenza del curatore speciale non sia prevista normativamente. In questa direzione va ad esempio Cass. n. 2489 del 1992 secondo cui “non si configura conflitto di interessi tra il genitore ed il minore da lui legalmente rappresentato, e non è, conseguentemente, necessaria la nomina di un curatore speciale, ai sensi dell’art. 320 ultimo comma c.c., quando il compimento dell’atto, pur avendovi i due soggetti un interesse proprio e distinto, realizza un vantaggio comune di entrambi senza danno reciproco” (la fattispecie riguardava la presenza della madre anche in rappresentanza del figlio minore in un giudizio avente ad oggetto la richiesta di risarcimento per la morte del padre). In tal senso si è espressa Cassazione civile, sez. I, 13/04/2001, n. 5533 (di recente confermata da Cassazione civile, sez. I, 02/02/2016n. 1957) in tema di riconoscimento del figlio naturale, secondo cui “il conflitto di interessi nel rapporto processuale tra genitore esercente la potestà e figlio è ipotizzabile non già in presenza di un interesse comune, sia pure distinto ed autonomo, di entrambi al compimento di un determinato atto, ma soltanto allorché i due interessi siano nel caso concreto incompatibili tra loro, nel senso che l’interesse del rappresentante, rispetto all’atto da compiere, non si concili con quello del rappresentato (l’esistenza di una siffatta situazione di conflitto, il cui apprezzamento è rimesso al giudice di merito, non è normativamente presunta nel caso dell’azione di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità, la quale non rientra tra le ipotesi, tassativamente indicate dal legislatore, nelle quali il giudizio deve essere proposto, in rappresentanza del minore, nei confronti di un curatore speciale nominato al riguardo dal giudice; ne consegue che, in ordine a tale azione, trova applicazione, in mancanza della deduzione di una concreta situazione di conflitto di interessi, la regola secondo cui il genitore esercente la potestà è legittimato, nell’interesse del figlio minore, a resistere al giudizio da altri intentato)”.

            Mentre la Corte di cassazione a Sezioni unite, con sentenza n.2238 del 2009, ha individuato un caso di conflitto di interessi tra genitore legale rappresentante e minore nei giudizi promossi in sede di affidamento e di diritto di visita in quanto, in quella sede, il minore è portatore di interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore. E traendo spunto anche da tale considerazione la Corte Costituzionale ha affermato applicabile anche per la fattispecie prevista dall’art. 250, 4° comma c.c. il principio secondo cui “il giudice, nel suo prudente apprezzamento e previa adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, possa procedere alla nomina di un curatore speciale, avvalendosi della disposizione dettata dall’art. 78 c.p.c., che … non ha carattere eccezionale, ma costituisce piuttosto un istituto che è espressione di un principio generale, destinato ad operare ogni qualvolta sia necessario nominare un rappresentante dell’incapace” (Corte Cost. n.83 del 2011)

Dunque la giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di applicazione dell’art. 78 c.p.c. affida al giudice la verifica dell’esistenza in concreto del conflitto di interessi tra genitore legale rappresentante e minore rappresentato che è ipotizzabile solo quando l’interesse di cui il genitore rappresentante è portatore non si concilia o, meglio, sia incompatibile con quello del minore rappresentato. Nel ricorso presentato dal P.G. presso la Corte d’appello di Roma si ritiene il conflitto esistente in re ipsa per effetto dell’accostamento della posizione del genitore coinvolto nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità a quella del genitore che interviene per prestare il suo consenso nel procedimento ex art. 44 e ss. della legge 184 del 1983, e si richiede la nomina di un curatore speciale, nomina cui il giudice è tenuto in tutti i casi in cui si ravvisi un potenziale conflitto di interesse del figlio con il genitore.

Il P.G. mescola le due differenti ipotesi per dare forza a quella che ritiene essere la giustificazione alla posizione assunta nell’attuale ricorso e nel precedente ricorso presentato avverso il Decreto del tribunale per i minorenni. In realtà, come ampiamente dimostrato e come precisato anche dalla Giurisprudenza della Corte di Cassazione, la posizione del genitore nei due procedimenti è sostanzialmente differente. Dunque nel caso in questione il conflitto di interessi tra genitore e figlio minore nella rappresentanza in giudizio non è in re ipsa ma dovrà essere dimostrato alla stregua dei principi più volte ribaditi dalla Suprema Corte. Il P.G. ravvisa nel caso in questione il sussistere di un potenziale conflitto di interessi tra la madre e la minore in ciò: “già nella premessa del ricorso è esplicitato che la nascita” della minore “fosse il frutto di un progetto maturato e portato avanti dalle due donne, come riferito anche dai Servizi Sociali incaricati: il desiderio di avere un figlio è stato espresso come un naturale progetto di fare famiglia; dal che è agevole ravvisare la aspirazione di entrambe e quindi anche della madre della minore a vivere la bigenitorialità nell’ambito del rapporto di coppia, come consolidamento dello stesso.

            Non di aperto conflitto di interessi si deve parlare, ma potenziale conflitto dell’interesse proprio della madre con quello che ella stessa valuta essere anche l’interesse della figlia da lei rappresentata. Non a caso” continua il P.G. “alcuni commentatori non hanno mancato di evidenziare che la sentenza di Tribunale per i minorenni, confermata dalla Corte d’Appello, sia in realtà, al di là della dichiarata intenzione di voler tutelare l’interesse della minore, maggiormente attenta agli interessi degli adulti al punto di definirla adultocentrica”. Secondo il P.G. considerato tutto ciò “sembra evidente che si palesasse la necessità di scindere le due posizioni, quella di portatrice di interesse di carattere morale all’adozione e quella di legale rappresentante ella stessa adottanda, attraverso la nomina del curatore”.

            Volendo semplificare il pensiero del P.G.: il fatto che la madre biologica e la partner adottante avessero in mente una famiglia (“omosessuale”) nel momento in cui accedevano alla procreazione medicalmente assistita lascia intravvedere un interesse che coinvolge la madre naturale e la partner e che non corrisponde all’interesse della figlia. O, meglio, la nascita della minore sarebbe funzionale all’interesse delle adulte che vogliono così consolidare il loro rapporto: in tal senso la successiva adozione è chiesta non tanto nell’interesse della minore quanto nell’interesse delle partner. Ancora più chiaro: in assenza di una legge che riconosca i diritti delle coppie omosessuali, l’adozione del figlio da parte della partner della madre biologica dello stesso (da cui consegue la bigenitorialità) sarebbe uno strumento utilizzato per dare un riconoscimento giuridico anche all’unione omosessuale. Il pensiero del P.G. appare espressione di una posizione retriva e palesemente contraria al principio di non discriminazione e, se così non fosse, apparirebbe comunque configgere apertamente con la stessa legge 184 del 1983 che si intitola “Diritto del minore ad una famiglia” e con la legge 40 del 2004 che tutela milioni di coppie eterosessuali non sposate ma conviventi in modo stabile che decidono di mettere al mondo figli anche facendo uso della pratica di procreazione medicalmente assistita eterologa (oggi non più vietata per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 162/2014) perché desiderosi di creare una famiglia.

            In realtà, come già precisato, al fine della dichiarazione di adozione in casi particolari ciò che conta è il sussistente “interesse reale della minore …di essere adottata” e tale interesse non solo non pare incompatibile con quello del genitore a creare una famiglia ma senza timore di smentite diremmo che è proprio un presupposto per l’adozione. In tal senso, chi scrive, ritiene che correttamente il Tribunale per i minorenni e la Corte d’appello di Roma abbiano valutato l’inesistenza di un conflitto di interessi tra la madre e la minore sulla scorta dell’applicazione del principio più volte espresso dalla Corte di Cassazione secondo cui il conflitto non è ipotizzabile quando il compimento dell’atto, pur avendovi i due soggetti un interesse proprio e distinto, realizza un vantaggio comune di entrambi senza danno reciproco ed hanno perciò ritenuto non necessaria nel caso di specie la nomina di un curatore speciale.

Giuseppina Pisciotta, Ordinario di Diritto privato, Università di Palermo – 2 maggio, 2016

www.articolo29.it/2016/nel-procedimento-di-adozione-in-casi-particolari-ex-art-44-lett-d-l-1841983-il-conflitto-di-interessi-del-minore-con-il-genitore-e-in-reipsa/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+articolo29+%28articolo29.it%29

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Nel 2015 adozioni internazionali ancora in calo.                estratto

“Le nuove statistiche verranno rese note entro la fine del mese. Ma posso già anticipare che per la prima volta i numeri ricominciano a crescere”. Così rispose Silvia Della Monica, presidente – vicepresidente della Commissione Adozioni Internazionali, il 6 aprile 2016 a un’intervista al quotidiano “La Repubblica”. Ma quelle rassicurazioni si sono rivelate l’ennesima promessa da marinaio di una Cai del tutto inefficiente da oltre 2 anni. Il mese di aprile è finito e del rapporto statistico sulle adozioni internazionali realizzate nel 2015 non c’è nemmeno l’ombra. Circostanza che del resto, ormai, non sorprende neanche più di tanto, visto che, a oggi, mancano i dati ufficiali anche del 2014.

            A colmare almeno in parte questa lacuna ci ha pensato la redazione di “Vita”. Le cifre sulle adozioni internazionali pubblicate dalla testata giornalistica del non profit il 3 maggio 2016 hanno di fatto confermato le stime effettuate ad Amici dei Bambini all’inizio del nuovo anno.

www.vita.it/it/article/2016/05/03/adozioni-internazionali-i-dati-2015-ve-li-da-vita/139238/

            Le giornaliste Sara De Carli e Gabriella Meroni, insomma, hanno fatto il lavoro della Cai. In poco più di una giornata hanno chiamato tutti i 62 enti autorizzati italiani, hanno raccolto i dati sulle adozioni del 2015 e hanno realizzato una tabella riepilogativa e un grafico che illustra l’andamento dell’accoglienza adottiva in Italia dal 2006 al 2015.

            In realtà non tutti i 62 enti hanno fornito le risposte richieste. Tredici di questi non avrebbero risposto o avrebbero glissato o non avrebbero voluto comunicare il dato. Venendo meno così all’obbligo di pubblicazione dei dati per gli enti autorizzati, sancito anche dalla delibera 13 del 2008 della stessa Commissione che, all’articolo 17, afferma: “L’ente indica le specifiche modalità con cui intende assolvere l’obbligo di rendere periodicamente disponibili i dati quantitativi relativi all’attività svolta (…). L’ente è tenuto a rendere noto (…) il numero di adozioni realizzate in ogni Paese, in ciascuno degli ultimi tre anni”. Nonostante questo, il dato raccolto è più che indicativo: a rispondere alle giornaliste di “Vita”, infatti, è stata una larga maggioranza degli enti italiani – 49 su 62 -, tra cui quelli con il maggior numero di adozioni, il 79,1%.

            I 49 enti che hanno fornito i dati nel corso del 2015 hanno dato una nuova famiglia a 1.876 bambini stranieri. Un numero sostanzialmente in linea con le stime pubblicate da Amici dei Bambini nel mese di gennaio. In quell’occasione, raccogliendo i dati già disponibili sui siti dei principali enti autorizzati ed effettuando, sulla base di questi, delle proiezioni al fine di formulare una stima sul totale dei 62 enti, Ai.Bi. parlò di circa 2.100 minori stranieri adottati in Italia nel 2015.

            Prosegue dunque il calo delle adozioni internazionali. Dal 2010, quando i piccoli stranieri accolti in Italia furono 4.130, i dati sono più che dimezzati e il trend è in continuo calo: 2.825 nel 2013, 2.200 secondo le stime di Ai.Bi. per il 2014, fino, appunto, ai 1.876 calcolati da “Vita” per il 2015. Nessuna conferma, quindi, di quanto anticipato da Della Monica nella sua intervista a “Repubblica” in merito a un fantomatico aumento delle adozioni internazionali nel 2015.

            Ai. Bi.  4 maggio 2016                                    www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Pubblicato accordo bilaterale con la Cina.

Riuscire a conoscere il contenuto del nuovo accordo bilaterale in materia di adozioni tra Italia e Cina è stato davvero un parto. Non nel senso che sia stata particolarmente complessa la sua elaborazione, ma che si è dovuto attendere ben 9 mesi per vederlo pubblicato dalla Commissione Adozioni Internazionali. Tanto ha aspettato la nostra Autorità Centrale a renderlo noto sul suo sito internet. L’accordo, sottoscritto dalla Cai e dal suo emule cinese – il China Center for Children’s Welfare and Adoption -, è stato firmato il 9 luglio 2015, ma la Commissione ha deciso di pubblicarlo solo il 27 aprile 2016. A differenza dello stesso CCCWA che l’ha reso noto già nel periodo immediatamente successivo alla firma.

            Una decisione, quella della Cai di mantenere nascosto per 9 mesi il contenuto dell’accordo, che ha destato sorpresa e sgomento da parte degli enti autorizzati. Il Ciai, in particolare, domenica 1° maggio 2016 ha pubblicato sul suo sito un duro comunicato in cui, alla luce di quanto accaduto con l’accordo Italia-Cina, esprime tutta la sua preoccupazione sul ruolo degli enti nel sistema italiano delle adozioni. Il comunicato, ripreso subito anche dal sito di “Vita”, denuncia come gli enti italiani autorizzati a operare in Cina “non abbiano mai avuto alcuna comunicazione da parte della Cai né rispetto all’incontro a Roma con la delegazione cinese del luglio scorso, né dell’avvenuto accordo, né di quali siano le conseguenze” rispetto all’operato degli enti in Cina. Una mancanza giudicata “molto grave”, perché lo scambio di informazioni non avvenuto sarebbe stato invece indispensabile per “indirizzare al meglio” il lavoro degli enti del Paese secondo le indicazioni e le strategie decise dalla stessa Cai.

www.vita.it/it/article/2016/05/02/perche-quel-silenzio-sullaccordo-con-la-cina/139212/

            In tutta questa vicenda, quindi, gli enti sono stati tenuti in una posizione assolutamente marginale che contrasta in modo evidente con il loro ruolo, riconosciuto come importante sia dallo Special Meeting del Permanent Bureau de L’Aja del giugno 2015 sia dalla legislazione italiana. Quest’ultima, in particolare, prevede “incontri periodici” tra la Cai e i rappresentanti degli enti “al fine di esaminare le problematiche emergenti e coordinare la programmazione degli interventi attuativi dei principi della Convenzione”. Incontri che però non si svolgono più da dicembre 2014!

            “Se non veniamo messi al corrente di decisioni così importanti – si legge nel comunicato in merito alla mancata pubblicazione dell’accordo con la Cina -, se di fatto siamo estromessi dal sistema delle adozioni internazionali italiano, non siamo messi nelle condizioni di lavorare in modo efficace e ciò ci impedisce di tutelare in modo concreto il diritto dei bambini abbandonati ad avere una famiglia”. Da qui la richiesta al governo, da parte del Ciai, di “un impegno deciso per assicurare che il sistema italiano sia davvero, e non solo a parole, rispettoso delle legislazioni, trasparente, corretto e collaborativo”. Una trasparenza che latita ormai da ogni punto di vista: dalla mancata pubblicazione dei dati statistici sulle adozioni realizzate al ritardo inspiegabile con cui è stato reso noto l’accordo con la Cina. Solo superando questi problemi si potrà veramente fare l’interesse dei bambini che, “in molti Paesi del mondo, chiedono che venga rispettato il loro diritto a una famiglia”.

Ai. Bi.  2 maggio 2016                                    www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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AFFIDO CONDIVISO

Tempi di frequentazione genitori. Volontà del figlio.

                        Tribunale di Torino – settima Sezione civile, Decreto 4 aprile 2016

In sintonia con le indicazioni provenienti dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (cfr. causa Santilli/Italia del 17.12.2013 e Bondavalli/Italia del 17.11.2015), al diritto del figlio di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori (art. 337 ter comma 1 c.c.) deve specularmente riconoscerci anche il diritto di ciascun genitore al mantenimento di rapporti effettivi con i figli, affinché il principio della bigenitorialità trovi concreta ed effettiva attuazione, nell’interesse ultimo del figlio stesso ad una crescita serena ed equilibrata, ed affinché il genitore sia posto nelle condizioni di esercitare la responsabilità genitoriale che gli compete e di adempiere al proprio dovere di mantenimento e cura della prole (art. 147, 315 bis e 316 c.c.).

Tuttavia, l’individuazione delle concrete modalità di esercizio e attuazione del predetto diritto del genitore a mantenere il legame con i figli deve avvenire avendo sempre come parametro principale di riferimento l’interesse superiore del minore e non può prescindere dalla considerazione delle specifiche circostanze del caso concreto e, in particolare, dell’età del figlio minore. In particolare, come la stessa Corte di Strasburgo ha avuto modo di precisare, la coercizione per il raggiungimento dell’obiettivo di mantenimento del legame familiare deve essere utilizzata con estrema prudenza e misura e deve tenere conto degli interessi, dei diritti e delle libertà delle persone coinvolte e in particolare dell’interesse superiore del minore (cfr. CEDU Santilli/Italia cit. §67; CEDU Volesky/ Rep. Ceca del 29.06.2004, § 118). Ne consegue che, in caso di minore quindicenne che esprima in modo fermo la volontà di non frequentare il genitore secondo parametri fissi e rigidi, non può questa volontà essere dal tribunale superata, nemmeno attraverso una CTU.

testo integrale                 www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fam.php?id_cont=14996.php

 

Se muta la domiciliazione occorre rivalutare l’importo dell’assegno di mantenimento per i figli.

Corte di Cassazione – sesta Sezione civile- ordinanza n. 8151, 22 aprile 2016.

In caso di affidamento condiviso dei minori, se muta la domiciliazione prevalente dall’uno all’altro genitore occorre rivalutare l’importo dell’assegno di mantenimento per i figli. Come infatti precisato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza allegata, in forza dell’articolo 155, comma quattro, del codice civile (oggi articolo 337-ter, comma quattro) al mantenimento dei figli i genitori provvedono in misura proporzionale al proprio reddito. Di conseguenza, se il genitore che prima non era collocatario corrispondeva una determinata somma, non è detto che l’altro genitore, presso il quale i minori non hanno più la domiciliazione prevalente, debba corrispondere la medesima somma.

            Nel caso di specie, nelle condizioni di divorzio non si era previsto alcun assegno in favore della moglie, stante la sostanziale equivalenza della situazione reddituale dei coniugi. Di conseguenza, con riferimento ai figli, quando uno di loro aveva mutato la propria domiciliazione prevalente dal padre alla madre, la Corte di appello di Messina aveva stabilito che la donna corrispondesse dopo il trasferimento lo stesso importo che il padre corrispondeva quando era lui ad esserne onerato.

            Per la Cassazione, però, tale ragionamento non può essere condiviso: in considerazione di quanto previsto dal codice civile, infatti, il trasferimento dei figli dall’uno all’altro coniuge richiede necessariamente una rivalutazione delle effettive condizioni reddituali dei coniugi al fine di stabilire correttamente il contributo che ciascuno di essi può dare al mantenimento dei minori. La Corte d’appello deve quindi procedere a una nuova valutazione.

Valeria Zeppilli                      Newsletter Giuridica studio Cataldi, 02 maggio 2016

ww.studiocataldi.it/articoli/21868-mantenimento-cambia-l-assegno-se-i-figli-si-trasferiscono-dall-altro-genitore.as Affido condiviso: cambia il mantenimento se cambia il domicilio

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AMORIS LAETITIA

Il discernimento, cura delle famiglie nella Amoris laetitia.

Dopo i due Sinodi sulla famiglia, papa Francesco ne ripropone una rilettura nell’esortazione apostolica Amoris laetitia. La chiave di interpretazione offerta dal discernimento delle singole situazioni alla luce della gioia del Vangelo è essenziale per comprenderne il senso. L’esortazione apostolica Amoris laetitia (AL, datata 19 marzo 2016, ma pubblicata l’8 aprile), in cui papa Francesco recepisce e restituisce con la sua prospettiva alla Chiesa il frutto dei due Sinodi sulla famiglia (ottobre 2014 e ottobre 2015), ha lasciato molti spiazzati, stando almeno alle prime reazioni e soprattutto rispetto alla polarizzazione delle attese su alcuni nodi.

            Comunione ai divorziati risposati? Sì, in alcuni casi; ma stando attenti che «ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma» (n. 304).

Fedeltà alla tradizione? Indubbiamente; basta leggere il n. 292: «Il matrimonio cristiano, riflesso dell’unione tra Cristo e la sua Chiesa, si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sacramento che conferisce loro la grazia per costituirsi come Chiesa domestica e fermento di vita nuova per la società». Che poi però prosegue: «Altre forme di unione contraddicono radicalmente questo ideale, mentre alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo [… e] la Chiesa non manca di valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio».

Le esigenze del Vangelo sono annacquate? Per niente: «Dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cfr Familiaris consortio, 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa» (n. 300). A condizione di non annacquare le esigenze altrettanto cogenti della misericordia: «Poniamo tante condizioni alla misericordia che la svuotiamo di senso concreto e di significato reale, e questo è il modo peggiore di annacquare il Vangelo. È vero, per esempio, che la misericordia non esclude la giustizia e la verità, ma anzitutto dobbiamo dire che la misericordia è la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio» (n. 311).

            Dunque, come è stato detto, il Papa “tiene il piede in due scarpe” per non scontentare nessuno? O piuttosto questo sconcerto ci segnala che occorre un diverso approccio al testo, per poterlo davvero comprendere? Lo ha sottolineato anche papa Francesco, sull’aereo al ritorno da Lesbo (16 aprile), manifestando il proprio disappunto per il continuo riemergere di domande a suo avviso marginali: «Quando convocai il primo Sinodo, la grande preoccupazione della maggioranza dei media era: Potranno fare la comunione i divorziati risposati? E siccome io non sono santo, questo mi ha dato un po’ di fastidio, e anche un po’ di tristezza. Perché io penso: Ma quel mezzo che dice questo, questo, questo, non si accorge che quello non è il problema importante? Non si accorge che la famiglia, in tutto il mondo, è in crisi? E la famiglia è la base della società! Non si accorge che i giovani non vogliono sposarsi? Non si accorge che il calo di natalità in Europa fa piangere? Non si accorge che la mancanza di lavoro e che le possibilità di lavoro fanno sì che il papà e la mamma prendano due lavori e i bambini crescano da soli e non imparino a crescere in dialogo con il papà e la mamma? Questi sono i grandi problemi!».

            Il Papa non intende certo mostrare indifferenza verso tanti credenti che vivono una determinata situazione anche con profonda sofferenza: l’esortazione apostolica dimostra proprio il contrario. Quello che lo innervosisce è l’ossessione per la norma, che riduce il Vangelo a un farisaico “si può o non si può”, che ne contraddice il senso. È questo l’approccio interpretativo a cui la AL non si lascia piegare. Rimandando a futuri contributi, già in preparazione, l’approfondimento più sistematico dell’esortazione apostolica, in queste pagine proveremo a concentrarci proprio sulle chiavi di interpretazione che permettono di accedere al suo messaggio. Si tratta di entrare in consonanza con l’intenzione che anima l’autore: lo faremo ricorrendo ad alcuni elementi del suo magistero, presenti anche in altri testi, con una attenzione particolare al tema del discernimento; è un punto centrale della AL, estremamente delicato. Senza una chiarezza a riguardo, la probabilità di malintesi è assai elevata.

            Il progetto della Amoris laetitia. A differenza della Laudato si’, con cui papa Francesco si proponeva «di entrare in dialogo con tutti» (LS, n. 3), la AL si rivolge espressamente ai membri della Chiesa, facendo perno sulla loro qualità di credenti. Dunque è scritta per persone che hanno sperimentato o almeno intuito, magari confusamente, che «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù» (Evangelii gaudium, n. 1), e che hanno deciso o almeno desiderano orientare la propria esistenza in questa direzione. Papa Francesco accoglie questo orientamento e lo valorizza, nella consapevolezza che deve comunque misurarsi con la infinita varietà delle situazioni concrete in cui i credenti vivono. È questa la base su cui la AL risulta comprensibile. Non lo è invece per quanti la leggono a prescindere dall’esperienza della fede, nutrendo verso il cristianesimo un interesse in qualche modo etnografico per qualcosa che non li coinvolge personalmente. Lo stesso vale per quanti hanno già deciso di orientarsi in una diversa direzione e cercano un accomodamento più o meno di facciata, che non li obblighi a rimettere in discussione le proprie scelte, o per quanti sentono che il Vangelo non è buona notizia, ma un fardello pesante o una tassa da pagare, tra mille recriminazioni e un po’ di invidia verso chi quella tassa sembra riuscire a evaderla o eluderla.

            La AL è dunque un testo esigente, che sfida chi è disposto a prenderlo sul serio e provoca gli operatori pastorali a presentare, nelle situazioni concrete, quella che il teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) chiamava «la grazia a caro prezzo». Tutt’altro che una facile resa allo spirito dei tempi, ma con la pazienza del vignaiolo che non abbandona il fico sterile al proprio destino, né pretende che cominci da solo a portare frutto, ma accetta di continuare a prendersene cura (cfr Luca 13,6-9). È ancora la prospettiva della Evangelii gaudium: «L’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita che indebolisce lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone, e che snatura i vincoli familiari. L’azione pastorale deve mostrare ancora meglio che la relazione con il nostro Padre esige e incoraggia una comunione che guarisca, promuova e rafforzi i legami interpersonali» (EG, n. 67).

            Con la Laudato si’ la AL condivide invece l’intenzione profonda della cura. Là si rivolgeva verso la “casa comune”, qui si indirizza alle famiglie: «Spero che ognuno, attraverso la lettura, si senta chiamato a prendersi cura con amore della vita delle famiglie» (n. 7). Cura e accompagnamento, integrare e non abbandonare, escludere o lasciare soli: tali espressioni, che continuamente ritornano, esprimono questa preoccupazione di papa Francesco. Per questo tutte le situazioni familiari trovano spazio nelle pagine dell’esortazione: quelle felici e quelle di difficoltà; quelle di successo e quelle di crisi o di fallimento; quella delle coppie sposate e quelle di coloro che scelgono o sono costretti da vincoli e condizionamenti a convivere; quella delle coppie giovani, quella dei genitori alle prese con l’educazione dei figli, quella dei coniugi anziani chiamati a scoprire come invecchiare insieme continuando ad amarsi, fino a quella delle famiglie colpite dal dolore e dal lutto. Sono famiglie, al plurale, con tutta la concreta e talvolta problematica varietà di forme e situazioni che esibiscono, non al singolare di un modello stereotipato e omogeneizzante. Del resto nei confronti della realtà delle famiglie anche la Chiesa è lontana da avere una prospettiva omogenea. È la lezione che papa Francesco ha tratto dal percorso dei Sinodi: «L’insieme degli interventi dei Padri, che ho ascoltato con costante attenzione, mi è parso un prezioso poliedro, costituito da molte legittime preoccupazioni e da domande oneste e sincere» (n. 4).

            La sollecitudine della cura e l’attenzione alla concretezza spingono infine la AL a non astrarre le famiglie dal contesto in cui vivono, focalizzandosi solo sulle dinamiche relazionali e affettive, e al limite spirituali. Tutto il cap. II è dedicato all’esame del contesto sociale e culturale e delle fragilità che ne derivano. Un’autentica pastorale familiare non può ignorare queste sfide: lavoro, disoccupazione e povertà; migrazioni, mancanza di case e degrado ambientale; abusi sessuali, dipendenze e violenze familiari; calo demografico e fatica ad accogliere i membri della famiglia bisognosi di cura (figli piccoli, persone con disabilità e anziani); una cultura individualista ossessionata dal tempo libero o da una mentalità calcolatrice. La cura delle famiglie non è un affare privato, ma ha precisi risvolti politici e sociali, e altrettanto chiare sono le responsabilità delle istituzioni (cfr n. 43). Del resto, «Nessuno può pensare che indebolire la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio sia qualcosa che giova alla società» (n. 52).

            Approfondire l’amore. In che cosa consiste la cura per la famiglia? Fondamentalmente nell’accompagnarla a crescere verso quello che già è: il luogo dove si impara l’amore che non ha misure e che deve continuare a essere totale in tutte le fasi della vita, in forma proporzionata a ciascuna di esse. E ancora, il luogo dove questo amore è chiamato a trascendersi e portare frutti, aprendosi alla generazione della vita e alla fecondità della formazione di persone mature, in grado di assumersi impegni nella società e di costruire a loro volta relazioni profonde. Questo richiede certamente di affrontare ostacoli. In primo luogo le «crisi comuni che accadono solitamente in tutti i matrimoni» (n. 235), legate ai passaggi della vita familiare: i momenti iniziali, la nascita dei figli, la loro adolescenza e il loro diventare adulti, il tempo dell’invecchiamento. «A queste si sommano le crisi personali che incidono sulla coppia, legate alle difficoltà economiche, di lavoro, affettive, sociali, spirituali. E si aggiungono circostanze inaspettate che possono alterare la vita familiare e che esigono un cammino di perdono e riconciliazione» (n. 236). L’amore è anche e soprattutto un processo di crescita continua, non uno stadio che si raggiunge una volta per tutte, certificato dall’aver superato un esame ed essersi iscritti all’albo delle famiglie.

            Ci troviamo di fronte a una dinamica che mette in gioco la libertà delle persone. Non può rimanere affidata allo slancio di una spontaneità ingenua quanto precaria, ma nemmeno essere indirizzata su un binario predeterminato: in entrambi i casi si contraddirebbe il senso profondo della libertà. Secondo la AL lo strumento per procedere in questo cammino senza perdere la rotta è il discernimento, che «è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno» (n. 303). Ovunque è in gioco la libertà, si apre lo spazio del discernimento, anche nel rapporto con Dio: «È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano» (n. 304).

            Ma appunto, di che cosa si tratta quando si parla di discernimento? È un termine chiave per la comprensione dell’esortazione e più in generale del modo di procedere che papa Francesco adotta e propone alla Chiesa. A giudicare dalle reazioni a caldo, è anche uno dei termini più fraintesi, probabilmente perché meno conosciuto.

            Il dono del discernimento. Vale dunque la pena provare a mettere a fuoco il significato di questo termine chiave. Francesco non lo usa nell’accezione ordinaria di “buon senso”, “capacità di giudizio assennato”, affine alla virtù classica della prudenza, ma nel senso tecnico più specifico, proprio ad esempio della spiritualità: il discernimento è la capacità di esercitare la propria libertà nel prendere decisioni, in particolare quelle che riguardano l’identificazione dei mezzi per raggiungere il fine che ci si è proposti. Il discernimento presuppone dunque chiarezza in ordine al fine, che per il credente è compiere la volontà di Dio, e incertezza in ordine al mezzo. È lo strumento per dare risposta alla domanda, talvolta angosciosa, talvolta formulata a stento, su che cosa fare per vivere la buona notizia del Vangelo. La AL si rivolge a coloro che si pongono in questo orizzonte: per loro risulterà al tempo stesso sfidante e liberante. Per il credente la pratica del discernimento si nutre della familiarità con il Vangelo e il modo di fare del Signore, attraverso la preghiera, con un orientamento pratico: richiede imprescindibilmente il passaggio all’azione, “uscendo” dai propri pensieri e assumendo il rischio di compiere dei passi. La prova della realtà aiuterà a capire la bontà della decisione presa ed eventualmente aggiustarla.

            Nella sua concretezza, il discernimento è radicato anche in un’altra esperienza, senza la quale risulta incomprensibile: sentirsi spinti o attirati in direzioni diverse, sperimentare l’incertezza tra alternative che suscitano una varietà di «desideri, sentimenti, emozioni» (n. 143). Provarli «non è qualcosa di moralmente buono o cattivo per sé stesso» (n. 145): la sfida del discernimento è muoversi attraverso queste passioni, utilizzandole come strumento per identificare non quello che è sufficientemente buono (l’aurea mediocritas), ma quello che è meglio. I nn. 143-146 della AL sono estremamente suggestivi per la lettura del mondo delle emozioni all’interno della vita familiare. Questa è ricca di situazioni in cui applicare il discernimento, dalla scelta dello stile di vita e delle modalità di educazione dei figli, fino alle decisioni sul modo di vivere la sessualità e l’esercizio della paternità responsabile, che «non è “procreazione illimitata o mancanza di consapevolezza circa il significato di allevare figli, ma piuttosto la possibilità data alle coppie di utilizzare la loro inviolabile libertà saggiamente e responsabilmente, tenendo presente le realtà sociali e demografiche così come la propria situazione e i legittimi desideri”» (n. 167, con riferimento al magistero di Giovanni Paolo II).

            Scopriamo così un altro presupposto del discernimento: la libertà non si esercita in un astratto iperuranio, ma in circostanze concrete, che pongono vincoli e condizionamenti di cui essere consapevoli. Per questo «ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma» (n. 304). Le norme mantengono inalterato il loro valore e rappresentano l’orizzonte al cui interno il discernimento si compie, completandole e specificandole nella situazione concreta, poiché «nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari» (ivi). Correttamente intesi, discernimento e norma rimandano sempre l’uno all’altra.

            Il discernimento non è dunque un sistema per trovare giustificazioni, pretesti o escamotage per depotenziare le esigenze della norma che indica il bene. La parola può certo essere utilizzata per coprire questo tentativo, ma questo ne rappresenta una perversione. Anzi, il discernimento si rivela persino più esigente della norma, perché richiede di passare dalla logica legalistica del minimo indispensabile a quella del massimo possibile, nella consapevolezza del proprio limite e della possibilità di spostarlo ogni giorno un poco più avanti, senza accontentarsi di una misura soddisfacente o tarare il proprio obiettivo sulle potenzialità della media: il discernimento punta a valorizzare al meglio le possibilità di ciascuno.

            Il motore del discernimento- Iniziamo così a intravedere il rapporto tra la pratica del discernimento e la gioia del Vangelo che a papa Francesco sta tanto a cuore. Una società che confonde la festa con lo sballo e una mentalità secondo cui scansare la fatica è il massimo dell’umana realizzazione non possono che avere problemi a comprendere questo punto. La gioia del Vangelo che papa Francesco propone alla Chiesa e ai credenti come criterio di discernimento non è la spensieratezza dell’adolescente che passa il pomeriggio attaccato a un videogioco perché un compagno gli ha passato i compiti evitandogli la fatica di farli. È invece quel senso di pienezza e realizzazione che viene dalla consapevolezza di aver dato tutto, di aver eseguito un brano musicale al massimo delle proprie possibilità, anche se questo ha comportato anni di fatiche per continuare a esercitarsi. È questa gioia che permette alla libertà di rinunciare a ciò che è meno importante per raggiungere ciò che conta di più. È l’esperienza, autenticamente evangelica, del «mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra» (Matteo 13,45-46). Chi non conosce questa libertà che è al tempo stesso rinuncia e pienezza faticherà a comprendere la AL; ma d’altra parte è difficile che la vita familiare non contenga almeno qualche traccia di questa esperienza, che sarà compito della pastorale aiutare a far emergere e a maturare.

            Tutto questo processo di discernimento nella chiave della gioia è un altro modo di affermare la centralità della coscienza: non è una voce castratrice, come facevano credere i maestri del sospetto, ma il luogo in cui, come ricorda il n. 222, risuona la voce di Dio. Questo rende ragione dell’insistenza sulla bellezza della proposta di un cammino di amore, di matrimonio e di famiglia che si radica in una prospettiva di fede, ma che al tempo stesso si rivela profondamente umanizzante. È questa la chiave che «apre la porta a una pastorale positiva, accogliente, che rende possibile un approfondimento graduale delle esigenze del Vangelo».

            La guida del discernimento non può così che essere l’«amore misericordioso» (n. 312) e la coscienza delle persone è innanzi tutto il luogo appropriato in cui esso si svolge, a cui «stentiamo a dare spazio» (n. 37) e che invece «dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa» (n. 303): i fedeli «tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi» (n. 37). Nella prospettiva che abbiamo delineato il ruolo della coscienza non può limitarsi al riconoscimento di essere nell’errore o nel peccato: essa può anche «scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo» (n. 303).

            «Camminiamo!». La “scommessa” di papa Francesco è che questo cammino di discernimento, personale ed ecclesiale, saprà produrre le risorse con cui «continuare ad approfondire con libertà alcune questioni dottrinali, morali, spirituali e pastorali» (n. 2). Sarà la pratica a cambiare la teoria e soprattutto a scoprire il modo adeguato di formularla e presentarla: «non si deve gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica “un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio”» (n. 122).

            Proprio come la Laudato si’ al n. 244, anche la AL si conclude con un invito a mettersi in cammino. È rivolto alla Chiesa, alle singole comunità cristiane, a tutte le famiglie e a tutti i credenti, in qualunque situazione di vita si trovino. È la vocazione originaria di Abramo e Sara, che trasformò la loro storia di coppia, ormai per molti versi al capolinea, in benedizione per tutte le famiglie e le generazioni, non senza una serie di svolte e giravolte e una certa dose di ambiguità e contraddizioni. Come loro, lungo questo cammino anche noi siamo sostenuti dalla certezza che «Quello che ci viene promesso è sempre di più» (n. 325). La tensione verso il compimento escatologico di questa promessa apre a tutto campo sulla situazione della famiglia lo spazio dei percorsi di crescita e di sviluppo della nostra umanità e delle nostre famiglie e al tempo stesso rende magnanimo il nostro sguardo. Difficile trovare parole per dirlo migliori di quelle usate da papa Francesco, ancora al n. 325: «contemplare la pienezza che non abbiamo ancora raggiunto ci permette anche di relativizzare il cammino storico che stiamo facendo come famiglie, per smettere di pretendere dalle relazioni interpersonali una perfezione, una purezza di intenzioni e una coerenza che potremo trovare solo nel Regno definitivo. Inoltre ci impedisce di giudicare con durezza coloro che vivono in condizioni di grande fragilità. Tutti siamo chiamati a tenere viva la tensione verso qualcosa che va oltre noi stessi e i nostri limiti, e ogni famiglia deve vivere in questo stimolo costante. Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare!».

Giacomo Costa                      aggiornamenti sociali                        3 maggio 2016

www.aggiornamentisociali.it/easyne2/LYT.aspx?Code=AGSO&IDLYT=769&ST=SQL&SQL=ID_Documento=14485

Novità e limiti del documento papale.

            L’esortazione apostolica Amoris Laetitia dipapa Francesco è un documento ampio e complesso, che offre una riflessione a tutto campo sulla situazione della famiglia oggi e sulle possibilità di trasmettere in modo efficace il messaggio evangelico ad essa e su di essa. L’intervento papale, che costituisce la naturale conclusione del primo (straordinario) e del secondo (ordinario) Sinodo sulla famiglia celebrati nel 2014 e nel 2015, affronta le tematiche esaminate nel corso dei lavori sinodali, facendo proprie, in larga misura, le soluzioni presenti nel documento conclusivo, senza rinunciare tuttavia a fornire all’intervento un’impronta personale, caratterizzata soprattutto da un forte accento pastorale.

            L’orizzonte biblico-teologico. La proposta di papa Francesco, che dà grande spazio all’approccio biblico-teologico e spirituale –si vedano i capitoli primo, terzo e nono- non manca di mettere a fuoco le difficoltà che attraversa oggi l’esperienza familiare, a causa dell’affermarsi di una serie di spinte strutturale e culturali che espongono i rapporti umani, anche quelli più profondi, a condizioni di particolare fragilità. Il cambiamento sociale in atto è infatti contrassegnato dalla presenza di logiche individualiste, consumiste e strumentali che incidono (e non possono che incidere) negativamente sui processi che si sviluppano all’interno della famiglia. Il papa non indulge tuttavia in inutili recriminazioni o in previsioni catastrofiche; affronta piuttosto la situazione con realismo, sottolineando la necessità di abbandonare “uno stereotipo della famiglia ideale” per considerarla come “un interpellante mosaico fatto di realtà diverse” (n. 57), di modelli diversi e di livelli diversi di partecipazione.

            Questo non deve comportare tuttavia rinuncia ad annunciare l’ideale evangelico, che ha il suo suggello nella persona e nell’esperienza di Gesù di Nazaret. L’esortazione apostolica non manca anche in questo di originalità. E’ sufficiente richiamare l’attenzione sulla centralità da più parti assegnata al modello trinitario, il quale consente di mettere a fuoco, da un lato, la profondità dell’amore coniugale, in quanto partecipazione alla stessa natura di Dio, e di evidenziare, dall’altro, la necessaria apertura di tale amore a una forma di fecondità allargata. Le risonanze di questo amore trovano poi espressione nel singolare e suggestivo commento che papa Francesco fa del capitolo tredicesimo della prima lettera ai Corinti – il famoso inno alla carità – applicando alla coppia e alla famiglia gli habitus virtuosi propri dell’amore cristiano (nn. 90-119).

            Gioia e bellezza dell’amore coniugale. L’approfondimento del concetto di “amore coniugale” esige che lo si integri con il dato antropologico, con la definizione cioè dei contenuti umani che lo qualificano. Mettendo l’accento sulla gioia e sulla bellezza (n. 121) di tale esperienza papa Francesco non esita a delinearne i connotati, valorizzandone gli aspetti psicologici – significativa è, al riguardo, la sottolineatura dell’importanza che rivestono i desideri, i sentimenti e le emozioni (nn. 143-144) – ed esaltandone la dimensione erotica e la ricerca del piacere (n. 152), nonché presentando l’unione sessuale come via di crescita nella vita della grazia (n. 74).

A questa visione dell’amore umano, che rappresenta il dato fondamentale sul quale si innesta il sacramento cristiano, va ricondotta anche l’interpretazione che il documento fornisce sulla fecondità, che – come già si è ricordato – altro non è che espressione diretta dell’amore, la spinta ad espandersi in un servizio alla vita, che ha nella procreatività la manifestazione più immediata, perché inscritta nelle dinamiche biologiche della relazione sessuale, ma che va estesa ad altre forme non meno importanti di sostegno della vita già esistente – giustamente l’esortazione assegna un’importanza particolare all’adozione e all’affidamento – fino ad acquisire una radicale dimensione sociale con il pieno coinvolgimento della coppia nel contesto della società civile e della chiesa (n. 181).

            I criteri del discernimento etico. Il passaggio dalla proposta biblico-teologica ed antropologica alla definizione degli orientamenti etici è segnato dalla delineazione di alcuni criteri di fondo che vanno posti alla base della valutazione del comportamento. Il modello etico che la Amoris laetitia privilegia – e che è peraltro presente anche in altri precedenti interventi di papa Francesco, e in primo luogo nella Evangelii gaudium – ha come perno la mediazione dell’ideale evangelico con l’esercizio della misericordia nei confronti delle diverse (e complesse) situazioni umane. Il Vangelo va infatti annunciato con forza nella sua radicalità come via per la vera umanizzazione; ma non si possono, nello stesso tempo, trascurare i limiti propri della condizione umana, in quanto condizione creaturale interiormente lacerata dalla presenza del mistero del male.

Ad essere messa sotto processo è allora anzitutto un’etica legalista e minimalista, che insiste su questioni dottrinali piuttosto che sull’apertura alla grazia (n. 37) o che fa appello all’obbligo che viene dalla legge, quando occorre invece non dimenticare che l’agire morale trova la sua vera declinazione nella risposta che l’uomo deve dare a Dio: “E’ meschino – osserva papa Francescosoffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano” (n. 304).

Il rifiuto di posizioni lassiste e relativiste deve pertanto venire integrato dall’adesione alla logica della misericordia e della pazienza (nn. 307-308). Questo implica che si prenda seriamente in considerazione – come afferma Tommaso d’Aquino opportunamente citato – l’indeterminatezza che affiora quando si scende dai principi generali alle scelte particolari; implica che si rispetti la legge della gradualità, consentendo a ciascuno di sviluppare un percorso progressivo di avvicinamento all’ideale (n. 295); implica, infine (e soprattutto) che venga praticata una forma di discernimento che aiuti “a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti” (n. 305).

            L’accostamento alle “situazioni imperfette”. A questi criteri deve ispirarsi la prassi pastorale, soprattutto quando ci si accosta alle “cosiddette situazioni irregolari” o – come papa Francesco sembra preferire – alle “situazioni imperfette”, alle quali – è questo un importante elemento di novità – non si deve attribuire il carattere di “stato di peccato mortale” (n. 299). Rilevando come non sia sufficiente, in questi casi, la semplice applicazione delle leggi morali (n. 305), il documento indica come obiettivo quello di trasformare tali situazioni in opportunità di cammino (n. 293), valorizzandone gli elementi positivi e creando le condizioni per ampliarne le potenzialità. Accompagnare, discernere e integrare – i tre verbi che costituiscono il titolo dell’ottavo capitolo dell’esortazione – sono il programma al quale occorre conformare l’azione pastorale.

Ma questo non basta. Il documento fornisce anche una serie di indicazioni particolareggiate a proposito tanto della messa in atto del discernimento quanto della definizione dei processi di integrazione. Sul primo versante – quello del discernimento – è fondamentale tener conto della diversità delle situazioni (n. 298): emblematico è il caso della condizione dei divorziati risposati dove sussiste un ventaglio assai ampio di condizioni soggettive che implicano una differenziazione del giudizio e perciò una valutazione caso per caso del comportamento da assumere (è questo il criterio che va applicato, secondo il documento, quando si affronta la questione dell’ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia). Sul secondo – quello dell’integrazione – a venire auspicata è la possibilità di accesso ai diversi servizi ecclesiali, promuovendo l’inserimento attivo dei divorziati risposati nella vita della comunità cristiana (n. 299).

            Tra positività e limiti. L’Amoris laetitia è un documento non facilmente riassumibile, il quale merita proprio per questo di essere fatto oggetto di maggiore approfondimento. Il clima che si respira, le riflessioni teologiche ed etiche proposte e le preziose indicazioni offerte sul piano pastorale segnano un importante passo avanti nella direzione di un annuncio del messaggio evangelico sulla famiglia capace di provocare, a tutti i livelli, un profondo cambiamento di mentalità e di costume.

Non si possono tuttavia non segnalare alcuni limiti del testo riconducibili a una certa incoerenza tra l’arditezza dei criteri enunciati e la loro traduzione sul terreno normativo. In particolare, sbrigativo appare il giudizio sulla questione del gender (n. 56); questione senz’altro assai delicata ma che avrebbe forse esigito una maggiore attenzione alla sua complessità. Altrettanto si può dire della valutazione dell’omosessualità dove, pur non mancando la rilevazione della necessità di assumere un atteggiamento di maggiore comprensione nei confronti di chi sperimenta tale condizione, è assente l’attenzione al significato relazionale e sociale delle unioni che hanno luogo tra persone appartenenti allo stesso sesso (n. 251).

Più articolato appare invece il giudizio sui mezzi di regolazione delle nascite. L’enciclica Humanae vitae di Paolo VI è più volte richiamata per sottolineare il valore della fecondità come realtà che discende immediatamente dall’amore coniugale (nn. 80-81) e per mettere a fuoco i criteri che devono presiedere all’esercizio della paternità responsabile (n. 68); ma l’unico accenno che si fa a riguardo dei metodi di regolazione della natalità non fa alcun riferimento a quelli naturali ma si limita a richiedere che nella valutazione morale si sia attenti all’esigenza di rispettare la dignità della persona (n. 82).

Un documento positivo, in definitiva, che invita a riscoprire la bellezza del messaggio evangelico e ad impegnarsi, ciascuno per la propria parte, a renderla trasparente mediante la testimonianza personale e comunitaria e l’esercizio della misericordia verso ogni situazione umana. Ma anche un documento che rappresenta una tappa fondamentale di un cammino aperto, che esige proprio per questo di essere proseguito.

Giannino Piana                      Rocca, pag. 44                                   1 maggio 2016

www.unachiesaapiuvoci.it/notizia.php?Id_sezione=1&Id_notizia=1164

 

Credere nell’amore

Lo scrittore Denis de Rougemont affermava spesso che la crisi del matrimonio data da quando si cominciarono a fare matrimoni d’amore. Era una battuta, naturalmente, ma allo stesso tempo lo spunto per una seria riflessione sulla complessità delle mutazioni in atto (cambiamento di mentalità, di paradigmi sociali, di regimi di esistenza, ecc.).

Possiamo certo sempre convenire, anche a proposito dell’amore, sul fatto che chi inventò la barca inventò anche il naufragio. Ora, la tentazione potrebbe essere semplicemente quella di tornare indietro, cercando la soluzione nella restaurazione di un codice o di un modello rigido, e sostituendo l’amore con un fondamento meno problematico. La situazione di emergenza che viviamo oggi (in un paese come il Portogallo, per fare un esempio, nel 2013 si sono registrati 70,4 divorzi per 100 matrimoni) sembrerebbe dare ragione a questa tentazione.

Grazie a Dio, il pensiero di papa Francesco non è questo. Nell’importante esortazione pubblicata un mese fa, l’amore non compare solo nel titolo: è nominato più di trecento volte, divenendo così il centro della sua articolata riflessione. La presentazione ufficiale del documento nella Sala Stampa del Vaticano è stata compito del cardinale di Vienna, il domenicano Christoph Schönborn, che ha affrontato questo aspetto senza giri di parole: «Papa Francesco crede nell’amore, nella forza attraente dell’amore, e per questo può essere abbastanza sfiduciato, critico, nei confronti di un atteggiamento che vuole regolare tutto con delle norme, di chi pensa che basti accordarsi alla norma. No, dice il papa: “Questo non attira; ciò che attira è l’amore”».

Ciò detto, va riconosciuto che il discorso di Bergoglio è tutto meno che riduttivo o evasivo. Abbiamo qui uno dei momenti che rimarrà tra i più emblematici del suo coraggioso pontificato. Di tale testo insolitamente esteso (nove capitoli per un totale di oltre trecento paragrafi), fatto che già di per sé rivela l’estrema cura e anche la difficoltà che il trattamento di questi temi impone, ci azzardiamo a evidenziare tre questioni che hanno a che vedere con il metodo.

Sicuramente quello che il papa dice è fondamentale, e il documento è lì per diventare oggetto di un’ampia ricezione, ma anche il modo in cui lo dice costituisce un atteggiamento e un programma.

  1. Una innovazione metodologica del concilio Vaticano II, soprattutto di quella magna charta del cattolicesimo contemporaneo che è la Gaudium et spes, è l’introduzione di un discernimento della realtà a due tempi, poiché si parla non solo delle ombre ma anche delle luci, che indicano un progresso e una positività. È un approccio nuovo, entrato nei documenti magisteriali successivi e che corrisponde a uno sforzo di lettura della vita nella sua complessità. Tale schema viene mantenuto nell’Amoris laetitia, ma con un ulteriore passo avanti: la Chiesa, tramite la voce autorevole del papa, non promuove unicamente un’analisi critica dei temi sul tappeto, ma sviluppa una onestissima autocritica del proprio contributo storico.
  2. Nel documento è accolto con audacia un richiamo che era emerso nei gruppi di lavoro del Sinodo, ossia il riconoscimento che il modo di pensare della Chiesa è frequentemente troppo statico e tiene poco in considerazione la dimensione biografica dei percorsi di fede. Francesco così scrive: «È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale». E chiede con insistenza di ricordarci di una cosa che Tommaso d’Aquino, il teologo più citato in tutta l’esortazione, insegna: «Quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione». E l’indeterminazione non è un incidente di percorso, bensì una componente della vita con cui bisogna fare i conti.
  3. Il documento è in sé stesso un saggio di linguaggio nuovo, con il suo privilegiare il modello narrativo e il collegamento con l’esperienza, con la trama del vissuto, con la quotidianità, invece di proporre un discorso astratto. Ne sono un sintomo curioso le citazioni stesse, che entrano nel vivo di un’antropologia enunciata non solo in termini dottrinali ma attraverso poeti (troviamo citati Jorge Luis Borges e Mario Benedetti), cineasti (Il pranzo di Babette di Gabriel Axel) o leader spirituali non cattolici (Martin Luther King e Dietrich Bonhoeffer).

Tolentino Mendonça, teologo e poeta portoghese, Avvenire            5 maggio 2016

http://www.lindicedelsinodo.it/2016/05/credere-nellamore.html#more

 

Proposte concrete.

L’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitiaè un documento speciale sotto molti aspetti. E questo già a partire dalla storia della sua nascita. Sono molto grata al nostro Papa per questo. Convocando il Sinodo dei vescovi, il Pontefice ha dato un segnale importante per un nuovo atteggiamento di ascolto nella Chiesa. Molti fedeli hanno contribuito con la loro realtà vissuta. Le loro risposte sono giunte senza abbellimenti, testimoniando gioia e dolore, gratitudine e preoccupazione, esperienze familiari appaganti e gravose. In comune hanno l’anelito che i rapporti riescano, e che riescano nell’amore. Che risultato incoraggiante per la pastorale matrimoniale e familiare nella nostra Chiesa!

Ciò porta l’attenzione sul fatto che la responsabilità della riuscita dei rapporti familiari spetta in primo luogo alle famiglie stesse, a tutti i membri della famiglia coinvolti, uomini e donne, figli e genitori. E così Papa Francesco indirizza la sua esortazione postsinodale, in modo di certo del tutto consapevole, a vescovi, sacerdoti, diaconi, altri membri della vita consacrata e, appunto, anche ai coniugi cristiani e ai laici.

La nascita di Amoris laetitiaè stata un’esperienza di Chiesa universale. L’esortazione postsinodale ne reca l’impronta. Essa fa riferimento alla molteplicità di «storie di amore e di crisi familiari», di cui già la Bibbia è «popolata» (n. 8). Questo sguardo d’insieme fa bene a noi in Germania e in Europa, ma fa anche sperare noi tedeschi di essere visti nel mondo con la nostra situazione.

Papa Francesco trova parole precise per come affrontare tali esperienze: «Inoltre, in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali» (n. 3). In questo modo egli non propone soltanto una soluzione pragmatica per come orientarci con la diversità delle persone e le discrasie tra le culture così come si sono sviluppate. Egli assume piuttosto un atteggiamento mentale che ci ricorda Nicola Cusano, il teologo, matematico e filosofo tedesco che verso la metà del Quattrocento nella molteplicità del mondo ha riconosciuto l’essenza di Dio come unità. In Germania, l’esortazione Amoris laetitiagiunge in un tempo movimentato, pieno di ripartenze e di cambiamenti. Come laici cattolici, ci siamo occupati dei rapporti familiari attraverso una consultazione biennale e, nel 2015, abbiamo pubblicato il nostro messaggio sul sinodo sulla famiglia, dal titolo programmatico: «Costruire ponti tra insegnamento e mondo reale: la famiglia e la Chiesa nel mondo attuale». In molte diocesi tedesche sono stati avviati processi, che si occupano dell’aspetto futuro della nostra Chiesa nel suo insieme. A livello tedesco, il processo di dialogo interdiocesano (2011-2015) ha avuto il suo culmine a Würzburg, con l’intesa comune sugli elementi costruttivi per una riforma della vita ecclesiale.

Sono molte le domande che ci muovono. Eccone alcune. Come accompagniamo le coppie giovani che non sono sposate? Come accompagniamo le coppie che vivono una relazione omosessuale? Noi, come Chiesa, veniamo ancora ascoltati nella società nelle questioni che riguardano la morale sessuale (anche al di là della regolazione delle nascite)? Quali vie di vera partecipazione apriamo ai fedeli che dopo un divorzio si risposano e sono di casa nella Chiesa? Constatiamo che il divario tra le norme della Chiesa e il mondo in cui vivono i fedeli non è un fenomeno marginale, ma riguarda proprio il centro del popolo di Dio. Tra uomini e donne cattolici, ciò porta al distacco interiore e perfino all’indifferenza dinanzi alle proposte della Chiesa.

Con lo stile e i contenuti della sua esortazione, il Pontefice ha fissato importanti parametri per il futuro della Chiesa. Egli si rivolge con grande simpatia e rispetto alle persone e alle famiglie contemporanee, così come sono. Non condanna, ma partecipa. Papa Francesco percorre un cammino per dare di nuovo alla gente una patria nella Chiesa. Così facendo, entra proprio nel campo di tensione tra libertà e orientamento: «Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» (n. 37). Amoris laetitiatestimonia la grande fiducia nella capacità delle persone di agire con coscienza. Papa Francesco la concede ai rapporti di coppia e a quelli familiari, nonché a tutti i curatori d’anime nel loro lavoro di pastorale familiare.

Tra orientamento e libertà, anche in Germania proseguiamo il cammino. Promuoviamo il matrimonio come «promessa benefica in un mondo caotico» (Hannah Arendt). Diamo coraggio per scegliere a favore dei bambini. Rispettiamo le convivenze, nelle quali, come in un matrimonio, vengono realizzati valori come fedeltà, affidabilità e solidarietà. Con Papa Francesco professiamo la «identica dignità» tra l’uomo e la donna (n. 54). Da Papa Francesco ci sentiamo incoraggiati a contribuire a far sì che le relazioni riescano, nella comune responsabilità per la Chiesa.

Birgit Mo Ck, portavoce per le politiche familiari del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK)

www.scienzaevita.org/rassegna/proposte-concrete/

 

La famiglia alla luce della esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia di papa Francesco.

            Intervento di Enzo Bianchi, Priore del Monastero di Bose

Fraternità di Cellole     8 maggio 2016                        video

https://alzogliocchiversoilcielo.blogspot.it/2016/05/enzo-bianchi-la-famiglia-alla-luce.html

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Separazione: nullo l’accordo che prevede il mantenimento dei figli solo in caso di frequentazione

Tribunale di Milano, nona Sezione civile, ordinanza 11 marzo 2016.

Al contrario, la mancata frequentazione fa aumentare l’assegno. È nullo in quanto viola norme inderogabili qualsiasi accordo tra i genitori che prevede il mantenimento del figlio da parte di uno dei due solo in caso di frequentazione. Per di più, in tali casi, il mantenimento va addirittura elevato poiché maggiore è il carico gravante sull’altro. Ad affermarlo è il Tribunale di Milano, respingendo fermamente l’accordo raggiunto da due ex coniugi che chiedevano la trasformazione del rito divorzile da contenzioso a congiunto, presentando condizioni condivise. Tra queste, l’affido esclusivo dell’unica figlia minore alla madre, con la riserva al padre della sola vigilanza ex art. 337 c.c. e del mantenimento solo nel caso in cui dovesse trovarsi a frequentare la figlia. Per il giudice meneghino, la trasformazione del rito non può avvenire giacché l’accordo appare in contrasto insanabile con l’art. 160 c.c. e con norme imperative.

            Come affermato più, infatti, dalla giurisprudenza consolidata, “la regola dell’affidamento condiviso non è negoziabile dai genitori e, soprattutto, non è ammissibile una rinuncia all’affido bigenitoriale da parte di uno dei partner, in quanto trattasi di un diritto del fanciullo e non dei genitori: quanto è oggi reso evidente dall’art. 315-bis c.c., come introdotto dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219”. Ad essere predicabile è al massimo “la clausola dell’affidamento esclusivo in un patto genitoriale, ma purché assistita da adeguata, debita e chiara motivazione”, nel caso di specie non sufficiente.

            Quanto alla clausola che riconosce al padre il solo potere di vigilanza ex art. 337 c.c. (nemmeno ex art. 337-quater c.c.), anche questa, si legge nella sentenza, “è palesemente lesiva dei diritti del minore”, trattandosi di affermare che questi potrà, sostanzialmente, avere rapporti con sua figlia solo a mezzo del filtro del giudice tutelare, così, invero, istituendosi una limitazione della responsabilità genitoriale e non anche una modalità del suo esercizio”.

            Nondimeno inaccettabile è la clausola che non riconosce al padre adeguati tempi di frequentazione e decisamente nulla, poiché in violazione di norme inderogabili, infine, quella che rimette al padre di mantenere sua figlia “solo nei casi in cui dovesse frequentarla”, atteso che “l’obbligo del mantenimento sorge per effetto stesso della procreazione, quale atto consapevole e responsabile che, a prescindere dai progetti dei coniugi, germina in capo a padre e madre l’obbligazione inderogabile del mantenimento”. Anzi, se il padre non frequenta i figli, ha proseguito il tribunale milanese, l’assegno di mantenimento non solo non è escluso ma elevato dato che maggiore è il carico della madre.

            Per cui istanza respinta, con possibilità di diversa valutazione laddove l’accordo venga modificato nei punti indicati.

            Marina Crisafi                      Newsletter Giuridica studio Cataldi 02 maggio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/21928-il-padre-non-puo-decidere-di-mantenere-i-figli-solo-se-li-frequenta.asp

 

Mantenimento: aumenta l’assegno all’ex se il marito pensionato riceve un’eredità.

Corte di Cassazione – sesta Sezione civile, ordinanza n. 8176/2016.

Per la Cassazione, l’acquisto del lascito testamentario crea un incremento patrimoniale rilevante ai fini della valutazione complessiva delle condizioni economiche. Sale l’assegno di mantenimento dovuto all’ex moglie se il marito pensionato riceve un’eredità. Il lascito testamentario infatti crea un incremento patrimoniale che migliora la situazione economica di chi lo riceve e, dunque, il tenore di vita. A ricordarlo è la Cassazione, respingendo il ricorso di un ultrasettantenne separato avverso la sentenza d’appello che determinava in mille euro l’assegno di mantenimento in favore della ex moglie.

            Per gli Ermellini, infatti, l’acquisto da parte dell’uomo di una eredità produce un aumento del patrimonio non riconducibile ad uno sviluppo naturale e prevedibile della situazione economica. Per cui, trattandosi di un fatto “nuovo” in grado di modificare le condizioni patrimoniali dei due ex coniugi e dunque il tenore di vita, non può che risultare rilevante ai fini della valutazione globale della situazione economica di entrambi. Smentita quindi la tesi dell’uomo che sosteneva di vivere soltanto con i proventi della pensione di anzianità e confermata la decisione del giudice di merito che aveva chiarito invece come dagli accertamenti fiscali effettuati era emerso che l’onerato era comproprietario di un consistente patrimonio immobiliare ereditato dal padre.

            Marina Crisafi                      Newsletter Giuridica studio Cataldi 02 maggio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/21920-mantenimento-aumenta-l-assegno-all-ex-se-il-marito-pensionato-riceve-un-eredita.asp

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA – CISF

Newsletter CISF n. 8, 4 maggio 2016.

Madri adolescenti: un fenomeno da non sottovalutare. Benché i numeri dell’Italia (poco meno di 8.000 nascite da madri under 19) siano distanti da quelli di altri Paesi – come ad esempio gli Stati Uniti, dove nel 2014 i bimbi nati da madri tra i 15 e i 19 anni sono stati quasi 250.000, cioè circa 3,5 ogni cento giovani della stessa età, o la Gran Bretagna, con 48.000 nascite e un tasso del 2,9% che la piazza ai vertici dei Paesi europei – il fenomeno delle madri adolescenti merita probabilmente più attenzione di quanta normalmente gli si dedica. Spesso, infatti, prevalgono atteggiamenti quali la rimozione da un lato. e lo stigma dall’altro, mentre invece servirebbero servizi preparati a gestire situazioni certamente non facili – sia per i genitori adolescenti che per i loro familiari – ma da cui si può anche uscire con una rinnovata fiducia nelle proprie possibilità di vivere una vita piena e soddisfacente.

Risulta quindi particolarmente interessante l’esperienza del centro Saga dell’Ospedale San Paolo di Milano, presentato con dovizia di particolari dall’Agenzia SIR. Si tratta di un servizio che punta ad un intervento mirato, preciso, frutto del lavoro di un’équipe multidisciplinare che conta neuropsichiatra infantile, neuropsicomotricisti e psicologi, ed è orientato a mantenere la vita della ragazza il più possibile adatta a lei, diventando un’adulta consapevole e responsabile, superando con l’aiuto del servizio esterno le caratteristiche disfunzionali che la gravidanza in così giovane età quasi sempre comporta. Un servizio pubblico, gratuito, che, come afferma la responsabile, la dottoressa Margherita Moioli, è «disponibile a collaborare anche con altre realtà italiane, perché la rete è fondamentale».                           Pietro Boffi

Notizia importante. La 63° conferenza internazionale ICCFR “Famiglie forti, comunità forti” (Trento, 17-19 giugno 2016) è accreditata presso diversi Ordini e Associazioni professionali locali e nazionali:

  • Ordine professionale degli Assistenti sociali (nazionale) – www.ordineastaa.it
  • Coordinamento Regionale del Trentino A/A dei Counsellor Professionisti (nazionale) – counsellingtaa.wordpress.com
  • Aggiornamento professionale insegnanti (Trentino Alto Adige) – www.iprase.tn.it/formazione
  • Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari (AICCEF) (nazionale) – www.aiccef.it

Per informazioni sui crediti formativi rivolgersi direttamente agli Ordini e alle Associazioni professionali. A fine evento verrà rilasciato attestato di partecipazione.

Per maggiori informazioni: Segreteria organizzativa cisf@stpauls.it

E’ ancora possibile iscriversi on line sul sito iccfr.

I bambini fanno troppo rumore, l’asilo deve sloggiare. Leggi notizia e commenti su Famiglia Cristiana on line.

E’ tempo di Festival Biblico! La 12° edizione del Festival biblico è in programma dal 19 al 29 maggio a Vicenza, Padova, Verona, Rovigo e Trento. Promossa dalla Diocesi di Vicenza e Società San Paolo in collaborazione con tutte le diocesi delle città nelle quali si svolge la rassegna. A tema “Giustizia e pace si baceranno”.

Dall’estero. ESPN Flash Report, Lituania. Le resistenze alla deistituzionalizzazione dei minori. Le fatiche della transizione dal modello residenziale ad un sistema innovativo di protezione dell’infanzia

Il Rapporto Giovani 2016 dell’istituto Toniolo. In aprile è stato pubblicato Il Rapporto Giovani 2016, terzo appuntamento di un osservatorio continuo sulla condizione giovanile. Il progetto si propone come uno dei principali punti di riferimento in Italia per analisi, riflessioni, politiche che consentano di migliorare conoscenza e capacità di intervento sulla complessa e articolata realtà dei Millennials. Il Rapporto Giovani è nato su iniziativa dell’Istituto Giuseppe Toniolo nel 2012, in collaborazione con l’Università Cattolica e con il sostegno di Fondazione Cariplo e di Intesa

Save the date.

Nord Perspectives on Intergenerational Family Solidarity. Challenges and opportunities. Cost-Interfasol International Conference, Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla famiglia, Milano, Università Cattolica, 26 maggio 2016.

Centro Master in Scienze del Matrimonio e della famiglia, anno accademico 2016-217. Istituto Giovanni Paolo II, Roma. Sono aperte le iscrizioni.

SudEssere genitori oggi: modello in crisi o riscoperta di un bene? Associazione Angelina gelosa, Bari, 18 maggio 2016.

Estero – Orfani: ricomposizioni familiari e costruzione di sé. Conoscere meglio per accompagnare meglio. Istituto di scienze della famiglia, Lione (Francia), 4 giugno 2016.

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CHIESA CATTOLICA

Il diaconato femminile non è più un tabù.

E il laicato cattolico interpella le gerarchie. Tra passi avanti e battute d’arresto (per lo più da parte della gerarchia ecclesiastica), il tema del diaconato femminile si fa lentamente strada soprattutto alla base del mondo cattolico, quasi imponendosi come questione urgente. Lo dimostra il successo ottenuto dalla “Giornata della diaconessa” svoltasi a Münster, in Germania, il 29 aprile 2016 scorso, alla quale hanno partecipato più di 250 persone. Organizzata dalla Katholische Frauengemeinschaft Deutschlands (Comunità cattolica femminile della Germania, Kfd), dalla Katholische Deutsche Frauenbund (Federazione cattolica femminile tedesca, Kdfb), dalla Netzwerk Diakonat der Frau (Rete diaconato femminile) e dal Zentralkomitee der Deutschen Katholiken (Comitato centrale dei cattolici tedeschi, ZdK, la più importante organizzazione laicale del Paese), ha avuto come tema dell’anno “Osservare e agire”.

«Non siamo mai stati tanti! E saremmo stati ancora di più se fosse stato possibile accogliere più persone», ha commentato soddisfatto il presidente del Zdk Thomas Sternberg. «Il titolo voleva esortare alla sensibilità nei confronti della responsabilità diaconale dei cattolici locali per l’ammissione delle donne al ministero diaconale sacramentale nella Chiesa cattolica». Un passo necessario, ha detto, perché «senza l’impegno delle donne il lavoro diaconale nella Chiesa e nelle comunità crollerebbe». «Soprattutto le donne devono affrontare la responsabilità diaconale a livello locale», ha aggiunto Maria Theresia Opladen, presidente nazionale del Kfd. «Molte di loro hanno al centro della loro attività l’interesse per gli altri e per la giustizia sociale». E molte di loro avvertono una vocazione al diaconato: «Queste donne vivono la loro vocazione senza alcun riconoscimento ecclesiale. È un fatto doloroso ed è una perdita per la Chiesa», ha osservato Irmentraud Kobusch, presidente della Rete diaconato femminile, che ha annunciato di avere, nei propri programmi, un corso di formazione per «donne nei servizi diaconali». La “Giornata della diaconessa”, cui hanno partecipato docenti universitari ed esponenti della Chiesa, tra cui Gaby Hagman, direttore della Caritas di Francoforte, è nata nel 1997 e da allora si svolge sempre il 29 aprile, giorno della commemorazione di Santa Caterina da Siena.

            Un tema sempre più all’ordine del giorno. Il tema del diaconato femminile sembra essere sempre più all’ordine del giorno anche per la gerarchia della Chiesa. Fu d’altronde già il card. Carlo Maria Martini, nel 1994, a pronunciare parole di apertura in tal senso dopo che Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, aveva escluso la possibilità per le donne di ricevere il sacerdozio. La questione cruciale era la distinzione tra un diaconato femminile inteso come servizio e il diaconato come primo gradino dell’ordine sacro, com’è quello maschile, dal quale le donne sono escluse. All’ultimo Sinodo dei vescovi, lo scorso ottobre, ha avuto molto risalto la proposta avanzata dal vescovo canadese di Gatineau (Québec), già presidente della Conferenza episcopale, mons. Paul-André Durocher, che nel suo intervento, nel corso della I Congregazione generale, aveva ipotizzato per le donne l’accesso al diaconato e all’omelia. «Riguardo al diaconato permanente», aveva detto, «che questo Sinodo raccomandi l’avvio di un processo che possa eventualmente aprire alle donne l’accesso a questo ordine che, come dice la tradizione, non è orientato al sacerdozio, ma al ministero» (v. Adista Notizie n. 35/15). Sempre lo scorso anno, il Sinodo diocesano di Bolzano, fortemente voluto dal vescovo mons. Ivo Muser, che ha lasciato ampia autonomia all’assise (v. Adista Notizie n. 27/15), si è espresso con convinzione a favore del diaconato femminile, con un 79% di sostegno.

            Il consenso dunque pare allargarsi anche alle gerarchie, come dimostra lo stesso percorso compiuto, ad esempio, in Germania dai vescovi, ora più aperti al tema rispetto a qualche anno fa: ancora nel 2011 la Conferenza episcopale rispedì al mittente una risoluzione adottata dallo ZdK (v. Adista n. 91/11), che nel corso dell’assemblea generale aveva approvato una mozione in questo senso. I delegati avevano invitato i cattolici ad unirsi alla Rete diaconato femminile sottolineando che, nella Chiesa, la diaconia è esercitata dalle donne in diversi modi, ragione per cui è necessario aprire loro la strada ministeriale. Alcuni vescovi, tuttavia, sono sempre stati aperti alla possibilità del diaconato femminile: mons. Franz-Josef Bode, vescovo di Osnabrück e presidente della Commissione pastorale dell’episcopato tedesco, nel 2010 infatti ha aperto all’ipotesi del diaconato femminile partendo da un documento dottrinale di Benedetto XVI, il motu proprio Omnium in mentem, che sottolineava la differenza tra diaconato, presbiterato e episcopato. Per Bode vi era materiale per riaprire la questione delle “diaconesse”, di cui già parlava il Nuovo Testamento. Nel 2013 fu poi il card. Walter Kasper a proporla alla Conferenza episcopale in una giornata di studio sul ruolo della donna nella Chiesa. Kasper parlò, in quell’occasione, di una “diaconessa” parrocchiale, con funzioni pastorali, caritatevoli, catechistici e liturgici, non consacrata con il sacramento dell’ordine, ma con una benedizione. Molte donne, sottolineò, svolgono già funzioni diaconali, per cui non si può non affrontare la questione, che oltretutto è riconducibile a una vecchia tradizione, risalente alla Chiesa nel III-IV secolo. Ancora nel 2013, fu il presidente dei vescovi tedeschi, l’arcivescovo di Friburgo mons. Robert Zollitsch, a dire che il diaconato femminile «non è più un tabù».

            Il tema sta infiammando anche il mondo cattolico statunitense, dove le donne che svolgono un ministero laico nella Chiesa, secondo uno studio del 2015 del Center for Applied Research in the Apostolate della Georgetown University, rappresentano quasi l’80% del totale dei ministri laici, ma restano per lo più nell’invisibilità: «Queste donne – scrive sul settimanale Usa National Catholic Reporter (28/4) suor Christine Schenk, ostetrica e cofondatrice dell’organismo FutureChurch – raramente svolgono ruoli liturgici e non hanno la facoltà di pronunciare l’omelia durante la messa. Le nostre comunità cattoliche sono private della forza e della ricchezza del Vangelo predicato attraverso una lente femminile». FutureChurch è in prima linea nel sostegno al diaconato femminile. Ha creato un sito dedicato, www.catholicwomendeacons.org, per incoraggiare le donne che sentono questa vocazione a condividere con le altre le loro riflessioni e per fornire strumenti di formazione e discernimento, chiedendo alle gerarchie della Chiesa di aprire la discussione. E ha organizzato un ritiro per il prossimo settembre per tutte coloro che si sentono chiamate a questo servizio permanente. «Per me è diventato più doloroso sentirmi dire dai preti sottovoce che le donne dovrebbero avere ruoli ministeriali nella Chiesa piuttosto che sentirmi dire apertamente il contrario», afferma una “candidata” al diaconato, Natalie Terry (Ncr, 28/4). «Oggi, chiedo ai vescovi e ai preti che nel loro ministero hanno conosciuto donne con questa vocazione a parlare. Noi stiamo parlando, ora è il momento che siano i nostri vescovi a farlo per noi».

Ludovica Eugenio 06 maggio 2016 Adista Notizie n. 18                www.adista.it/articolo/56277

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Collaborazione internazionale: rafforzata la collaborazione tra l’Italia e la Federazione Russa.

Presto un incontro tra Italia e Federazione Russa e un importante confronto sulla tutela dei minori.

Il 9 dicembre 2015 si sono incontrate le delegazioni dei due Governi competenti in materia di adozioni internazionali. La delegazione italiana guidata dalla Presidente della Commissione per le adozioni internazionali ha apprezzato la autorevolezza e competenza della delegazione della Federazione russa guidata dall’Ambasciatore Kostantin Dolgov, incaricato per la tutela dei diritti umani presso il ministero degli esteri della Federazione Russa.

            Il confronto tra gli esperti dei due paesi, compresi magistrati e avvocati, è stato particolarmente importante e costruttivo. E’ stata sottolineata l’importanza dell’accordo bilaterale in materia di adozioni internazionali rinnovato nel 2014 e la necessità di dare all’accordo piena applicazione in ogni campo da entrambe le parti. Particolare rilevanza è stata attribuita alla diretta collaborazione tra Autorità Centrali, alla piena tutela dei diritti dei minori,  alla trasparenza delle procedure adottive, alla vigilanza sugli enti da parte di entrambi i Paesi, allo scambio di informazioni sul loro operato  e alla necessità che gli stessi – autorizzati e accreditati da entrambi i Paesi fino  a revoca – operino in modo qualificato e senza alcun  fine di lucro, con modalità omogenee e senza interferire nei rapporti tra le Autorità Centrali.

Inoltre le Parti hanno convenuto di incontrarsi periodicamente e implementare l’accordo bilaterale. Le Parti hanno convenuto sulla opportunità di organizzare una formazione congiunta dei vari attori istituzionali e degli operatori e di  organizzare  un convegno in materia di adozioni e tutela dell’infanzia , al fine di confrontare le legislazioni dei due Paesi, le normative internazionali, le applicazioni giurisprudenziali nazionali e delle Corti europea e internazionale La delegazione russa insieme alla presidente della CAI e ai componenti della delegazione italiana è stata anche ospitata dal Consiglio nazionale forense, dove si è tenuto un ulteriore confronto costruttivo in merito a legislazione e giurisprudenza, compresa quella della Cedu e alle problematiche in materia di adottabilità e dove è stato  confermato un incontro che dovrà tenersi nel corso del 2016 preparatorio dei lavori del convegno.

            La Commissione per le adozioni internazionali ringrazia le Autorità della Federazione Russa per il proficuo lavoro svolto in piena sintonia con la Parte Italiana, per quello che seguirà a breve e per gli impegni assunti dalla Federazione Russa verso l’Italia. La Commissione conferma la propria piena collaborazione alla Federazione Russa nel comune intento della tutela dei diritti dei minori.

Il ministero degli Esteri russo apprezza l’approccio con cui l’Italia affronta la tutela dei diritti dei bambini adottati in Federazione Russia.

Mosca/TASS. La Russia apprezza molto l’atteggiamento della Parte italiana di affrontare i diritti dei bambini adottati dalle famiglie italiane in Federazione Russa. Lo ha detto l’incaricato per i diritti umani presso il ministero degli Esteri russo Ambasciatore Konstantin Dolgov, commentando l’accordo raggiunto il 9 dicembre 2015 – nel quadro delle consultazioni internazionali russo-italiane – con il Presidente della Commissione per le adozioni internazionali, presso la presidenza del Consiglio dei ministri italiano, Silvia Della Monica. “Il 9 dicembre con la partecipazione di colleghi del Ministero della Istruzione e della scienza della Federazione Russa si sono temute  ampie consultazioni interministeriali a Roma sul tema dei diritti e degli interessi legittimi dei bambini russi adottati da cittadini d’Italia” – ha ricordato il diplomatico, affermando anche che “l’intero accordo tra la Federazione russa e la Repubblica italiana sulla cooperazione in materia di adozione di bambini del 6 novembre 2008 e rinnovato nel 2014 è pienamente operativo e abbiamo deciso di migliorare ulteriormente la sua attuazione”.

            “Va notato che, nel contesto dei rapporti con la parte italiana per i diritti dei bambini non ci sono problemi sistemici – ha detto il responsabile dei diritti umani preso il ministero degli Esteri della Federazione Russa – Normativa nazionale e internazionale in questo campo nei nostri paesi sono vicine e questo crea una buona base per una cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra la Russia e l’Italia “.

            Dolgov ha anche detto che la parte russa ha prospettato alcune questioni pratiche al fine di garantire i diritti e gli interessi legittimi dei cittadini provenienti da Italia hanno adottato bambini adottati. “La discussione è stata sostanziale e costruttiva”. “L’ atteggiamento della Parte italiana di ricerca per soluzioni reciprocamente accettabili è lodevole.” -Dolgov ha detto che le Parti hanno concordato di proseguire i contatti e la cooperazione in materia di adozione internazionale.

Notizie            CAI     29 aprile 2016                        {notizia pubblicata dopo 140 gg. ndr}

www.commissioneadozioni.it/it/notizie/2016/incontro-tra-italia-e-federazione-russa.aspx

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Pordenone. “La rete siamo noi: L’uso di internet e dei social network negli adolescenti”.

Convegno a numero chiuso, in collaborazione con il Tribunale di Pordenone.

20 maggio 2016, ore 14                 Sala Convegni Istituto Vendramini, v. E. Vendramini 2.

La rete è il luogo dove ci si racconta, si cerca, si trova. Opportunità e rischio, novità e memoria, leadership e following abitano il medesimo spazio. Vita privata e ambito professionale convivono e si sfiorano.

I ragazzi ne sono consapevoli? I minori vanno tutelati, la privacy va rispettata E la sicurezza va garantita. I media digitali entrano sempre più non solo nella vita degli adulti, ma anche in quella dei ragazzi, incidendo in modo significativo non solo sul modo di accedere alla informazioni, alle fonti di studio e alla cultura, ma segnando particolarmente anche gli stessi rapporti interpersonali e sociali.

I rischi e i “pericoli” digitali esistono: sono possibili, talora facilmente monitorabili, per lo più subdoli. Dipendenza da videogiochi, da Internet, adescamenti con conseguente abuso e violenza sui minori violazione di identità e della privacy.

Ma come affrontare questo “mare” entro il quale i nostri ragazzi debbono pure imparare a “navigare” con conoscenza e intelligenza, con consapevolezza e responsabilità’?

Saluto e introduzione al tema                            

  • M. Sartor – Presidente Consultorio Familiare “Noncello”, Pordenone
  • F. Pedoja – Presidente Tribunale di Pordenone
  • G. Simon – Direttore Sanitario AAS 5, Pordenone

1° sessione      Moderatori:

M. J. Mores – Psicologa Consultorio Familiare “Noncello”, Pordenone

E. Cleopazzo – Avvocato, Pordenone

Analisi del fenomeno F. Mellina Bares – Garante Regionale dei Diritti della persona della Regione FVG

Responsabilità penali per i genitori M. Martani – Procuratore della Repubblica Tribunale di Pordenone

2° sessione      Moderatori:

L. Ferretti – Avvocato, Pordenone

E. Burigana – Pedagogista, Direttrice Consultorio Familiare “Noncello”, Pordenone

Ricerca degli studenti del Liceo di Pordenone L. Dal Ben – Docente di Pedagogia, Pordenone

Strumenti per la gestione educativa G. Dalla Torre (Dirigente Scolastico I.P.S.I.A. “Zanussi”, Pordenone)

            discussione

Conclusioni finali M. Sartor – Presidente Consultorio Familiare “Noncello”, Pordenone

            Segreteria per le iscrizioni entro il 19 maggio: segreteria@consultoriononcello.it

www.consultoriononcello.it

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DALLA NAVATA

Ascensione del Signore – anno C -8 maggio 2016.

Atti                 01, 01 «Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.»  

Salmo                          47, 02 «Popoli tutti, battete le mani! Acclamate Dio con grida di gioia.»

Ebrei               10, 23. «Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.»

Luca               24, 48 «Di questo voi siete testimoni.»

Commento di Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose

Di questo voi siete testimoni. La soppressione, in Italia, della festa dell’Ascensione (giovedì della VI settimana, quaranta giorni dopo Pasqua) e il suo conseguente spostamento alla domenica successiva non ci permettono purtroppo di contemplare il mistero dell’intercessione del Risorto presso il Padre (VII domenica di Pasqua). Oggi dunque nella chiesa italiana si celebra l’Ascensione, evento pasquale che Luca racconta nel suo vangelo (il brano odierno) come evento finale della vita di Gesù di Nazaret e negli Atti degli apostoli come evento iniziale della vita della chiesa (cf. At 1,1-11, anch’esso proclamato oggi nella liturgia).

È significativo che i due racconti non siano pienamente armonizzabili tra loro, in quanto leggono il medesimo evento da due diverse prospettive. Negli Atti l’ascensione di Gesù al cielo avviene quaranta giorni dopo la sua resurrezione da morte (cf. At 1,3), mentre nel vangelo è collocato nella tarda sera di quel “giorno senza fine”, “il primo della settimana” (Lc 24,1), giorno della scoperta della tomba vuota e dell’apparizione del Risorto alle donne (cf. Lc 24,1-12), ai due discepoli sulla strada verso Emmaus (cf. Lc 24,13-35), infine a tutti i discepoli riuniti in una casa a Gerusalemme (cf. Lc 24,36-49). Due modi diversi per narrare l’unico evento della resurrezione, che Luca cerca di illuminare in tutta la sua ampiezza: la resurrezione significa infatti l’entrata di Gesù quale Kýrios nella vita eterna alla destra di Dio Padre (Ascensione) e anche discesa dello Spirito (Pentecoste: cf. At 2,1-11).

Nella pagina conclusiva del suo vangelo Luca racconta come Gesù si è separato dai suoi non per abbandonarli ma per essere con loro sempre, l’‘Immanuel, il Dio-con-noi (cf. Mt 1,23; 28,20), in una nuova forma di vita. La sua esistenza umana è terminata con la morte, e ora, dopo la resurrezione del suo corpo, la vita di Gesù è altra, è quella del Signore vivente, è la vita divina di colui che è nell’intima vita di Dio, alla sua destra, il posto del Figlio eletto e amato (cf. Sal 109,1 bc; Lc 3,22; 9,35). Eccoci dunque nella casa dei discepoli a Gerusalemme: sono tornati i due da Emmaus e hanno raccontato la loro esperienza, mentre gli Undici e gli altri testimoniavano anch’essi che Cristo era risorto ed era stato visto da Simon Pietro (cf. Lc 24,33-35). Mentre tutti insieme parlano di Gesù, egli in persona sta in mezzo a loro, dona lo shalom, la pace (cf. Lc 24,36), poi consegna parole che risuonano in un’assoluta novità: “Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi” (Lc 24,44a). Sì, perché Gesù non è più con loro come prima, quale uomo, maestro e profeta; ora è il Signore vivente che non parla più in aramaico, con il suono della sua voce umana da loro a lungo ascoltata, ma in modo nuovo, un modo più efficace, persuasivo, perché la sua voce è dotata della forza dello Spirito di Dio pienamente all’opera nel Risorto.

Nella potenza dello Spirito il Signore Gesù mostra ai discepoli il compimento delle Scritture e il compimento delle sue parole negli eventi che hanno preceduto quel giorno (cf. Lc 24,44-47). Il Risorto spiega le Scritture in modo che i discepoli comprendano la conformità tra lo “sta scritto” e ciò che hanno vissuto: ora i discepoli possono finalmente comprendere ciò che prima non riuscivano a capire. Avevano certamente letto tante volte la Torà, i Profeti e i Salmi, ma ora che i fatti si sono compiuti possono comprenderli credendo, alla luce della fede. Gesù aveva annunciato loro più volte la necessitas della sua passione e morte (cf. Lc 9, 22.43-44), ma questi discorsi erano parsi loro scandalosi, enigmatici (cf. Lc 9,45). Ora però che si sono compiuti, non per destino o fatalità, ma per la necessità mondana secondo cui “il giusto” (Lc 23,47) in un mondo ingiusto deve morire (cf. Sap 1,26-2,22) e per la necessità divina per la quale Gesù in obbedienza alla volontà del Padre non si difende ma accoglie l’odio su di sé amando fino alla fine, ora sì che è possibile credere alle sante Scritture. E credendo è possibile diventare “testimoni”, fino ad annunciare la morte e resurrezione di Cristo come evento che chiede conversione e dona la remissione dei peccati: il perdono da parte di Dio a tutta l’umanità, in attesa della buona notizia della salvezza. Tutti sono testimoni – sottolinea Luca –, tutti annunciatori del Vangelo, non solo gli Undici, gli apostoli, ma anche gli altri presenti nello stesso luogo.

Sì, Gesù, quest’uomo di Nazaret, figlio di Maria e di Dio, che solo Dio poteva darci, era venuto soprattutto come visita da parte di Dio (cf. Lc 1,68): una visita non per la punizione, per il castigo dei peccati commessi dal popolo di Dio e dall’intera umanità, ma una visita che annunciava il perdono dei peccati (cf. Lc 1,77). Con quella morte da “uomo giusto” che accoglieva su di sé l’odio, la violenza e la menzogna dei malvagi, e vi rispondeva non con la violenza ma con l’amore, Gesù consegnava al Padre la vera immagine di Dio, l’Adamo come Dio l’aveva voluto (cf. Col 1,15). E proprio come giusto che sta dalla parte dei peccatori, solidale con pubblicani, impuri, prostitute, ladri e malfattori, Gesù saliva al Padre rivolgendogli la preghiera incessante che invoca perdono e misericordia. Tra le sue ultime parole prima della morte non aveva forse detto: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34)? E la sua ultima promessa non era forse stata rivolta a un malfattore: “Oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43)?            (…)

Come raccontare l’ascensione di Gesù con parole umane? Luca tenta di narrarla, ricordando come il profeta Elia aveva lasciato questa terra per andare presso Dio (cf. 2Re 2,1-14), e così scrive che Gesù, dopo aver condotto a Betania quei discepoli ormai resi testimoni, lasciò loro la benedizione e, “mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo”. Questo l’esodo di Gesù dalla terra al regno di Dio. L’evangelista non attenua in alcun modo la separazione di Gesù dai suoi: egli non è più presente come prima, ma la benedizione che dona è una benedizione continua, è l’immersione dei suoi nello Spirito santo (cf. Lc 3,16). Essa è anche l’ultimo atto del Risorto: egli dona la benedizione sacerdotale che era stata sospesa, non data all’inizio del vangelo dal sacerdote Zaccaria, dopo l’apparizione dell’angelo e l’annuncio della venuta del Messia (cf. Lc 1,21-22). Questa benedizione rende gioiosa la comunità di Gesù proprio mentre egli si separa da lei, ma la rende anche sacerdotale (cf. 1P 2,9): i credenti in Gesù sono di fatto un nuovo tempio, sacerdoti e adoratori del Risorto, capaci di rispondere con la preghiera di benedizione alla benedizione di Gesù. L’incredulità è finalmente vinta e la fede in Gesù Signore e Dio è tale che permette ai discepoli di sentire Gesù presente in mezzo a loro anche dopo la separazione del suo corpo glorioso, ormai nell’intimità del Padre, Dio.

www.cercoiltuovolto.it/commenti-al-vangelo-solo-testo/commento-al-vangelo-di-domenica-8-maggio-2016-p-enzo-bianchi

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Famiglia, la vera impresa in Italia.

In occasione della Giornata internazionale della famiglia il Forum delle associazioni familiari organizza un incontro che, partendo dalla drammatica situazione demografica italiana, proponga possibili risposte di politiche familiari da sottoporre all’attenzione del governo e del Parlamento.

Saranno presenti tutti i presidenti regionali del Forum delle Associazioni Familiari e i presidenti nazionali e/o delegati delle Associazioni.

Introduce e modera Gianluigi De Palo, presidente del Forum nazionale

Porgerà i saluti il Ministro alla famiglia, on. Enrico Costa.

Interverranno:

  • Alessandro Rosina docente di Demografia, Università Cattolica di Milano
  • Anna D’Addio economista e analista della divisione politiche sociali dell’Ocse
  • Carlo Federico Perali docente di Politica Economica, Università di Verona

Sabato 14 maggio dalle ore 10 alle ore 13 – sala domus Helena via Ferruccio 25 Roma

www.forumfamiglie.org/comunicati.php?filtro=anno_in_corso

 

Fisco. Questo è il momento del fattore famiglia-

“E’ finalmente giunto il momento del FattoreFamiglia: ormai tutti, nessuno escluso, sono convinti che sia necessario adottare un fisco più equo e un ISEE che tenga realmente conto dei carichi familiari”.

Queste le parole del Presidente del Forum delle Famiglie, Gianluigi De Palo, a margine delle dichiarazioni del premier Matteo Renzi, durante il question time alla Camera. “Dedicheremo la Giornata Internazionale della Famiglia di sabato prossimo all’emergenza demografica italiana e alla proposta di un fisco più equo che il Forum porta avanti ormai da parecchi anni: il FattoreFamiglia. Le famiglie non sono mai un peso, ma una risorsa e hanno bisogno di sentire la fiducia del Paese”.

“Se veramente c’è la volontà di entrare nel merito di una rivisitazione fiscale a carico delle famiglie, noi ci siamo e siamo disposti a fare la nostra parte. Ce lo chiedono le mamme e i papà che incontriamo ogni giorno”.                                       Comunicato stampa 4 maggio 2016

            Perché non si vuole il reato universale?

“Uscito dalla porta, il dibattito sull’utero in affitto rientra dalla finestra. E le donne del Forum che già si erano riunite a gennaio presso il Senato tornano ad affermare forte il proprio no” affermano le vicepresidenti Maria Grazia Colombo ed Emma Ciccarelli. È positiva la condanna trasversale della maternità surrogata che si è registrata in queste settimane e che ha unito culture lontane come quella cattolica e femminista. Preoccupano però gli inspiegabili tentennamenti a riconoscere la surrogata come reato universale. Il tema crea ancora scontri all’interno di alcune forze politiche mentre qualcun altro si arrampica sugli specchi con distinzioni sofistiche tra maternità surrogata “altruistica” e “commerciale”. Evidentemente l’approssimarsi del voto finale sulle unioni civili, forzato dalla richiesta di fiducia, esalta le tensioni.

Se da un lato rileviamo la volontà del governo e in particolare del presidente del Consiglio su quanto riguarda la famiglia di “implementare ed incoraggiare ulteriori misure, partendo dagli strumenti concreti di sgravi fiscali” dall’altra parte dispiace che la stessa chiarezza e buona volontà non venga utilizzata su temi altrettanto delicati. Quello della maternità è un tema assolutamente cruciale specie per un Paese come l’Italia che più di tutti affoga nella crisi demografica che più ancora della crisi democratica ferisce l’Unione europea.

Comunicato stampa 6 maggio 2016

www.forumfamiglie.org/comunicati.php?filtro=anno_in_corso

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MATERNITÀ

Essere mamma in Italia: rapporto “Save the children”

Alla vigilia della Festa della Mamma, Save the Children, ha pubblicato un rapporto che fornisce un quadro sulle regioni dove è più facile essere mamme nel nostro Paese. La regione più ‘motherfriendly’ risulta essere il Trentino Alto Adige.

Le donne nel nostro Paese, dice l’ONG, sono costrette a un difficile equilibrismo tra la scelta di maternità e il carico dovuto alle cure familiari, ancora molto sbilanciato sulle loro spalle e reso ancor più gravoso dalla carenza di servizi di sostegno sul territorio, facendo al tempo stesso i conti con un mercato del lavoro che le penalizza a priori in quanto donne e diventa un problema ancora più grande quando arrivano i figli.

Le regioni dove si riscontrano condizioni più favorevoli alla maternità vede ai primi posti solo regioni del nord, mentre gli ultimi posti sono tutti riservati alle regioni del sud. Uno squilibrio territoriale confermato anche nel dettaglio di ciascuna dimensione che compone l’indice relativo a cura, lavoro e servizi per l’infanzia.

Anche osservando solo l’aspetto della cura familiare, infatti, l’Emilia Romagna si colloca al primo posto mentre all’ultimo troviamo la Calabria, e rispetto all’accesso delle donne al mondo del lavoro il Trentino Alto Adige è la regione più virtuosa, la Campania quella meno. Per quanto riguarda l’offerta di servizi pubblici per l’infanzia, la Valle d’Aosta si segnala al primo posto e la Basilicata all’ultimo.

Nel rapporto si rileva la pressione del lavoro di cura familiare riguarda in Italia circa 8 milioni di mamme tra i 25 e 64 anni che convivono con figli under 15 o under 25 ma ancora dipendenti economicamente da loro, ma si concentra maggiormente su quelle con almeno un figlio sotto i 5 anni (2,7 milioni di mamme) o tra i 6 e gli 11 anni (2 milioni). Il carico di cure familiari per le mamme si intreccia con un mercato del lavoro che in Italia ne taglia fuori metà tra i 25 e i 64 anni. L’accesso al lavoro si riduce ulteriormente se aumenta il numero dei figli: tra i 25 e i 49 anni il tasso di occupazione materna con 1 figlio è pari al 58,6%, ma si ferma a 54,2% se i figli sono 2 e non supera il 40,7% con 3 o più figli.

L’accesso al mercato del lavoro delle mamme dipende dalla possibilità di trovare un equilibrio soddisfacente tra la loro vita personale e quella lavorativa, e su questa sfida grava fortemente la diversa distribuzione del lavoro familiare tra uomini e donne: le italiane over 15 dedicano al lavoro familiare non retribuito circa 5 ore e 9 minuti al giorno, contro le 2 ore e 22 minuti degli uomini. Ecco perché quasi la metà (42,7%) delle mamme che lavorano segnala difficoltà concrete nel conciliare l’impiego con le cure familiari e non raramente questo si traduce nella soluzione più estrema, cioè l’abbandono del lavoro che coinvolge il 30% delle madri con meno di 65 anni e in più della metà dei casi è dovuta alla nascita di un figlio.

            Comunicato stampa   Save the Children      4 maggio 2016

www.savethechildren.it/IT/Tool/Press/All/IT/Tool/Press/Single?id_press=1074&year=2016

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PARLAMENTO

            Camera Assemblea Mozioni concernenti iniziative, in ambito nazionale e sovranazionale, per il contrasto di tutte le forme di surrogazione di maternità.

4 maggio 2016. L’Assemblea ha deliberato l’inserimento all’ordine del giorno della seduta l’esame delle mozioni concernenti iniziative, in ambito nazionale e sovranazionale, per il contrasto di tutte le forme di surrogazione di maternità                                        passim

Claudio De Vincenti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Il Governo si rimette all’Aula per le mozioni sulla maternità surrogata.

L’Assemblea ha approvato la mozione Lupi ed altri n. 1-01195 (Nuova formulazione),

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1-01195&ramo=C&leg=17

nonché il primo capoverso del dispositivo della mozione Carfagna ed altri n. 1-01187, della quale ha respinto le restanti parti;           http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1-01187&ramo=C&leg=17

ha respinto la mozione Roccella ed altri n. 1-01218,

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1-01218&ramo=C&leg=17

ha approvato la mozione Spadoni ed altri n. 1-01223,

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1-01223&ramo=C&leg=17

ha respinto le mozioni Dellai ed altri n. 1-01225,

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1-01225&ramo=C&leg=17

Rondini ed altri n. 1-01226,

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1-01226&ramo=C&leg=17

Vezzali e Monchiero n. 1-01227

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1-01228&ramo=C&leg=17

Rampelli ed altri n. 1-01228

ed ha approvato i capoversi primo, lettera b), secondo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo del dispositivo della Nicchi ed altri n. 1-01230, della quale ha respinto le restanti parti;

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1-01230&ramo=C&leg=17

ha infine respinto la mozione Palese ed altri n. 1-01233

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1-01233&ramo=C&leg=17

ha approvato la mozione Rosato ed altri n. 1-01248.

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1-01248&ramo=C&leg=17

pag. 87 di

www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0619&tipo=stenografico#sed0619.stenografico.tit00080

 

Informativa della Ministra della salute, Beatrice Lorenzin.

Da ultimo la Ministra della salute, Beatrice Lorenzin, ha svolto, a nome del Governo, una informativa urgente sulla attuazione della normativa in materia di interruzione volontaria di gravidanza, alla luce della recente pronuncia del Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa. (…)

Il Consiglio d’Europa infatti non si è pronunciato in merito alla questione dell’obiezione di coscienza e dell’accesso ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza in Italia. Chiarisco meglio: il pronunciamento negativo, che ha avuto vasta eco sulla stampa e non solo, costituisce una mera proposta del Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa, ovvero di un Comitato intergovernativo del Consiglio, e non un pronunciamento definitivo dell’organo politico costituito appunto dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. A tal proposito comunico che il 24 maggio 2016 la proposta del Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa verrà esaminata dal GR-SOC, cioè il gruppo dei rappresentanti sulle questioni sociali e della sanità. In tale occasione sarà presente il mio consigliere esperto in materia e solo successivamente il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa si pronuncerà definitivamente in ordine al reclamo. Il 9 agosto del 2012 la ONG The International Planned Parenthood Federation European Network ha depositato un reclamo collettivo, il n. 87/2012, contro l’Italia presso il Comitato europeo dei diritti sociali, concernente la violazione di alcuni articoli della Carta sociale europea riguardanti l’applicazione della legge n. 194 del 1978 in relazione al Pag. 117diritto all’obiezione di coscienza degli operatori sanitari nell’accesso al servizio di interruzione volontaria di gravidanza da parte delle donne italiane. Il 10 settembre del 2013 il Comitato europeo dei diritti sociali ha proposto l’accoglimento del reclamo dell’ONG. Il 18 marzo 2014, nel corso del GR-SOC, la rappresentanza italiana ha illustrato, grazie agli elementi forniti dal Ministero della salute, le misure adottate dal nostro Paese a seguito della decisione del Comitato europeo per i diritti sociali, e ha richiesto che, per la successiva riunione del 24 2014, il segretario preparasse una bozza di risoluzione per dare atto delle risultanze della raccolta dei dati del tavolo tecnico istituito presso il Ministero della salute e dell’impegno profuso per verificare la corretta attuazione della legge n. 194 del 1978 a livello regionale e locale. Alla riunione del GR-SOC di quel 24 aprile è intervenuto il mio consigliere esperto in materia, che ha illustrato il rapporto preliminare sui risultati del monitoraggio. Tale illustrazione ha permesso di procedere all’adozione del testo di una risoluzione, la cui approvazione ha segnato la chiusura in senso favorevole all’Italia del reclamo collettivo n. 87/2012, salvo l’obbligo di riferire circa gli esiti della raccolta di dati effettuati dal tavolo tecnico per la piena applicazione della 194, di cui parlerò più diffusamente più avanti, e circa gli eventuali provvedimenti adottati. Il Comitato dei Ministri ha adottato la risoluzione in questione il 30 aprile 2014. Nelle more della definizione del reclamo, l’organizzazione CGIL presentava il 17 gennaio 2013 analogo reclamo collettivo, il n. 91/2013, contro l’Italia.

Il 7 settembre 2015 si è svolta presso il Comitato europeo per i diritti sociali un’audizione delle parti, del Governo italiano e CGIL, e in esito a tale audizione il 12 ottobre 2015 il Comitato ha deliberato, come ricordato in precedenza, l’accoglimento parziale del ricorso stesso. Ribadisco pertanto che il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, contrariamente a quanto affermato da più parti, non si è ancora pronunciato sulla questione. Questa è stata una ricostruzione di quello che è avvenuto fino a oggi su questa materia. La legge n. 194 del 1978, per entrare nel merito, recante norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, è finalizzata a garantire il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, nonché a riconoscere il valore sociale della maternità e la tutela della vita umana dal suo inizio. Il legislatore ha precisato inoltre all’articolo 1, comma 2, che l’interruzione volontaria della gravidanza non è il mezzo per il controllo delle nascite e nel contempo ha affidato allo Stato, alle regioni e agli enti locali, per i profili di rispettiva competenza, la promozione e lo sviluppo dei servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite e che siano garantiti tutti i sistemi di assistenza alle donne. Dal predetto quadro normativo emerge con ogni evidenza che la legge n.194 del 1978 non ha sancito un mero diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, ma anzi ha disciplinato l’interruzione volontaria di gravidanza mettendo in atto tutte le misure, anche attraverso la rete dei consultori familiari, che ci permettono oggi di attuarla in Italia. Il principio fondamentale che sottende all’impianto normativo va rintracciato nella promozione della procreazione responsabile quale misura di significativa rilevanza per la prevenzione dell’aborto. Ne consegue che la riduzione del numero del tasso di abortività, documentata nella Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge n.194 del 1978, nonché la riduzione del valore dell’aborto ripetuto rispetto al valore atteso, attestano oltre che l’efficacia e la bontà della legge, anche la qualità del lavoro svolto dai servizi sanitari ai fini della prevenzione dell’aborto e la corretta attitudine da parte delle donne al controllo della fertilità, per una gravidanza cosciente e responsabile.

I dati relativi all’interruzione volontaria di gravidanza, cioè l’IVG in Italia, sono illustrati e aggiornati ogni anno in occasione della predisposizione della relazione al Parlamento sull’attuazione della legge. Allo stato sono in corso di elaborazione i dati definitivi del 2014 e i preliminari del 2015, che trasmetterò al Parlamento dopo l’estate. Pertanto i dati a cui farò a breve riferimento sono quelli contenuti nell’ultima Relazione al Parlamento che ho trasmesso il 26 ottobre 2015, relativa ai dati definitivi anno 2013 e preliminari all’anno 2014. Sono e siamo tutti consapevoli che l’obiezione di coscienza, come ricordato nel parere del Comitato nazionale per la bioetica del 2012, è un diritto costituzionalmente garantito, con riferimento ai diritti inviolabili dell’uomo. Per quanto attiene allo specifico aspetto degli obiettori di coscienza, come è noto, la legge n. 194 del 1978 contiene una specifica disposizione all’articolo 9 con cui il legislatore ha disciplinato la possibilità per il personale sanitario di esercitare il diritto all’obiezione di coscienza in ordine agli interventi per l’interruzione della gravidanza. Tale specifica norma va tuttavia valutata nel complesso dell’impianto della legge n. 194 e tenendo conto delle singole disposizioni che compongono la medesima legge, con cui il legislatore, nel disciplinare in modo sistematico la materia in esame, ha ponderato la possibilità per gli operatori sanitari di esercitare il diritto all’obiezione di coscienza e nel contempo ha prescritto che l’obiezione del singolo operatore non esonera la struttura e la regione di riferimento dal compimento delle procedure e delle attività dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, né dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento. La legge ha infatti prescritto alle strutture sanitarie di assicurare il diritto alle cure e all’assistenza delle donne che accedono all’interruzione della gravidanza e alle regioni, nel rispetto della loro autonomia organizzativa, di controllare l’attuazione della norma anche mediante la mobilità di persone e ricorrendo a convenzioni con specialisti per garantire la prestazione sanitaria. È la regione pertanto l’autorità sanitaria responsabile dell’organizzazione del servizio, tanto è vero che può riallocare le risorse umane all’interno del territorio regionale per garantire l’interruzione volontaria di gravidanza in modo omogeneo e funzionale alle esigenze delle donne interessate.  (…)

Con riguardo, poi, alle strutture ospedaliere, è il caso di chiarire che la legge n.194 – e questo lo dico perché sono cose che sono emerse anche da alcune interviste televisive o in alcuni servizi – non prevede interventi di interruzione volontaria di gravidanza in tutte le strutture ospedaliere. Mi spiego meglio: garantire l’intervento sanitario di IVG non significa che lo stesso debba essere effettuato in tutte le strutture sanitarie. Ricordo che nel Servizio sanitario nazionale non tutte le prestazioni sanitarie sono disponibili in ogni struttura sanitaria. Allo stesso modo, la legge n.194 non impone che tutte le strutture ospedaliere abbiano un reparto di ostetricia e ginecologia che offra IVG. Ogni regione ha autonomia organizzativa. Ad esempio, nella regione Piemonte c’è un accentramento dei servizi di ostetricia e ginecologia, anche con riferimento all’IVG. L’ospedale Sant’Anna di Torino è, infatti, il primo in Italia per nascite e anche per interruzioni volontarie di gravidanza. Quindi, questo è stato il modulo di organizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza scelto dal Piemonte. Mentre, per esempio, l’Emilia Romagna ha scelto un altro tipo di modulo e, quindi, ha scelto un modello più diffuso sul territorio. (…)

Con riferimento all’anno 2014, il numero di IVG è stato per la prima volta inferiore alle 100 mila unità. Sono state notificate dalle regioni 97.535 IVG, con un decremento del 5,1% rispetto al dato definitivo del 2013, dove erano 105.760; più che dimezzato rispetto alle 234.801 del 1982, anno in cui si è riscontrato il valore più alto in Italia. Anche gli altri indicatori confermano la continua diminuzione del ricorso all’IVG. Il tasso di abortività e, cioè, il numero delle IVG per mille donne fra i 15 e i 49 anni, nel 2014 è risultato pari al 7,2%, con un decremento del 5,9% rispetto al 2013 e un decremento del 58,5% rispetto al 1982. Il valore italiano rimane tra i più bassi di quelli osservati nei Paesi industrializzati. Il rapporto di abortività e numero delle IVG per mille nati vivi nel 2014 è risultato pari a 198,2 per mille, con un decremento del 2,8 per cento rispetto al 2013 e un decremento del 47,9 per cento rispetto al 1982. Quindi, possiamo dire che la legge in questi anni ha funzionato. (…)

Proprio per adempiere, quindi, agli impegni assunti in questa occasione, ho attivato presso il Ministero della salute un tavolo tecnico, convocato per la prima volta il 18 luglio 2013, a cui sono stati invitati a partecipare tutti gli assessori regionali alla sanità e l’Istituto superiore di sanità, allo scopo di avviare uno specifico monitoraggio sulla piena applicazione di tale legge su tutto il territorio nazionale, attraverso una rilevazione ad hoc sulle attività di IVG e sull’esercizio del diritto all’obiezione di coscienza dei soli ginecologi a livello di singola struttura di ricovero e nei consultori familiari. (…)

Nella scheda di monitoraggio relativa ai consultori familiari, oltre alle informazioni sul numero di ginecologi in servizio obiettori e non rilevati in relazione alla tipologia di contratto in termini di unità e full-time equivalent, è stato richiesto anche il numero di donne che hanno effettuato il colloquio previsto dalla legge n. 194 del 1978, il numero di certificati rilasciati, il numero di donne che hanno effettuato controlli post IVG in vista della prevenzione di IVG ripetute. Inoltre, la stessa scheda è stata utilizzata anche per effettuare un aggiornamento della mappatura dei consultori familiari presenti sul territorio nazionale, pubblicata poi in formato open data sul portale del Ministero della salute. (…)

Per quanto riguarda i tempi di attesa, questi sono in diminuzione tra il rilascio della certificazione e l’intervento, che è un possibile indicatore di efficienza dei servizi e, quindi, di aumento di efficienza nelle regioni. La percentuale di IVG effettuate entro 14 giorni dal rilascio della certificazione infatti è aumentata: è stata il 62,3% nel 2013; era il 61,5 nel 2012 e il 59,6 nel 2011. È diminuita la percentuale di IVG effettuate oltre le tre settimane di attesa: il 15,7% nel 2011, il 15,5 nel 2012 e il 14,6 nel 2013. In questi dati è inclusa la settimana di attesa prevista dalla legge. Quindi, oltre la settimana di riflessione prevista dalla legge, il 62,3% di donne attende meno di una settimana ed è una percentuale in aumento, mentre solo il 14,6 di donne aspetta più di due settimane ed è una percentuale – questa – in diminuzione. Ovviamente è la percentuale su cui si deve lavorare, per ridurla assolutamente nei minimi possibili.

Le interruzioni volontarie di gravidanza nel 1983 erano 233.976; nel 2013 sono più che dimezzate, cioè sono 102.760 e, come ho sopra già ricordato, nel 2014 sono scese sotto la soglia delle 100 mila, cioè siamo a 97.535. A questo dato non corrisponde un valore sostanzialmente costante dei ginecologi non obiettori. Infatti, erano 1.607 nel 1983, a fronte di 233.976 interruzioni di gravidanza e nel 2013 sono 1.490, a fronte di poco meno di 100 mila interruzioni di gravidanza. In trent’anni, quindi, le IVG sono calate di 131.216 unità, mentre i non obiettori sono scesi di sole 117 unità. La conseguenza è che in questi trent’anni c’è stato un dimezzamento del numero delle IVG settimanali a livello nazionale a carico dei ginecologi non obiettori, che nel 1983 effettuavano 3,3 IVG a testa a settimana su 44 settimane lavorative mentre ne effettuano 1,6 nel 2013.

Quindi, possiamo dire che i dati sono questi e sono oggettivi. Mi chiedo, pertanto, perché si denunci oggi un presunto eccesso di obiettori di coscienza e analoga denuncia non sia stata fatta negli anni precedenti, quando il carico di lavoro settimanale per ciascun ginecologo non obiettore era più che doppio.

Inoltre, vorrei farvi presente che, poiché la competenza organizzativa è regionale, a oggi non è pervenuta nessuna segnalazione formale che ci comunichi una carenza di medici non obiettori predisposti all’interruzione volontaria di gravidanza. Noi abbiamo chiesto alle regioni di farci segnalazioni formali in questo senso ma a oggi non ci sono arrivate. Ovviamente noi possiamo immaginare che laddove si siano verificate o si possono verificare delle disfunzioni organizzative queste sono, ahimè, parametrate alle analoghe organizzative che quel territorio, quella ASL o quella regione può avere per un deficit organizzativo territoriale.

Per sintetizzare i dati del monitoraggio rilevati sulle singole strutture di ricovero, sono stati identificati tre parametri che permettono di inquadrare l’offerta del servizio in funzione della domanda e della disponibilità di risorse strumentali e professionali. Io mi scuso se la relazione è particolarmente dettagliata, ma essendo questo un argomento che desta particolare interesse ho preferito darvi una relazione che entrasse anche nel merito del modello tecnico che viene utilizzato. Il primo parametro è l’offerta del servizio di interruzione volontaria di gravidanza in relazione al numero assoluto di strutture disponibili; il secondo parametro è l’offerta del servizio di interruzione volontaria di gravidanza in relazione alla popolazione femminile in età fertile e ai punti nascita; il terzo parametro è l’offerta del servizio di interruzione volontaria di gravidanza tenuto conto del diritto di obiezione di coscienza degli operatori in relazione al numero medio settimanale di IVG effettuate da ogni ginecologo non obiettore.

Riguardo al primo parametro, cioè l’offerta del servizio di interruzione volontaria di gravidanza in relazione al numero assoluto di strutture disponibili, il numero totale delle strutture con reparto di ostetricia e ginecologia a livello nazionale risulta pari a 632, mentre il numero di quelle che effettuano l’interruzione volontaria di gravidanza è pari a 379, corrispondente al 60% del totale. Il confronto in valori assoluti fra il totale delle strutture di ricovero con reparto di ginecologia e i punti IVG per ogni regione mostra che solo in due casi relativamente a regioni molto piccole – e cioè la provincia autonoma di Bolzano e il Molise – abbiamo un numero di punti IVG inferiore al 30% delle strutture censite. Per il resto la copertura è più che soddisfacente.

Il secondo parametro, cioè l’offerta del servizio di IVG in relazione alla popolazione femminile in età fertile e ai punti nascita, rappresenta un termine di confronto per capire meglio il livello di attuazione della legge n. 194, contestualizzando i dati sulle strutture che effettuano IVG rispetto alla popolazione femminile in età fertile e rispetto ai punti nascita. Mentre il numero di IVG è pari a circa il 20% del numero di nascite, il numero di punti IVG è pari al 74% del numero dei punti nascita, di molto superiore rispetto a quello che sarebbe se si rispettassero le proporzioni fra IVG e nascite.

È stato poi effettuato un confronto fra punti nascita e punti IVG non solo in valore assoluto ma normalizzando il dato rispetto alla popolazione femminile in età fertile. A livello nazionale ogni 100 mila donne in età fertile – da 15 a 49 anni – si contano 3,8 punti nascita contro 2,8 punti IVG, con un rapporto di 1 a 4 (cioè ogni cinque strutture in cui si fa IVG ce ne sono sette in cui si partorisce). Considerando quindi sia il numero assoluto dei punti IVG sia quello normalizzato alla popolazione di donne in età fertile, il numero dei punti IVG appare più che adeguato rispetto al numero delle IVG effettuate, tanto più se il dato si pone a confronto con i punti nascita.

I dati 2013 del terzo parametro, offerta del servizio in relazione al diritto di obiezione di coscienza degli operatori e cioè il carico di lavoro medio settimanale di IVG per ogni ginecologo non obiettore, indicano una sostanziale stabilità del carico di lavoro settimanale per ciascun ginecologo non obiettore.

Considerando 44 settimane lavorative in un anno, il numero di IVG per ogni ginecologo non obiettore settimanalmente va dalle 0,5 della Sardegna alle 4,7 del Molise, con una media nazionale già più sopra ricordata di 1,7 IVG a settimana. I lavori del tavolo tecnico hanno inoltre consentito per la prima volta la valutazione dei dati a livello sub-regionale. La situazione risulta diversa da regione a regione, ma nella maggioranza dei casi abbastanza omogenea all’interno del territorio regionale, ad eccezione di due regioni, il Lazio e la Sicilia e anche in queste regioni in cui si rilevano ambiti locali con valori di carico di lavoro per ginecologo non obiettore che si discostano molto dalla media regionale, si tratta comunque di un numero di IVG settimanali sempre inferiore a dieci. In particolare, i valori più elevati (9,6 e 9,4) sono rispettivamente in una ASL della Sicilia e in una del Lazio; tutti gli altri valori risultano inferiori. Ovviamente noi siamo intervenuti nei confronti delle due regioni interessate, che si attivassero nei confronti di queste due ASL dove i parametri si discostano così tanto dagli altri parametri nazionali per fare in modo che intervenissero e per capire anche le motivazioni. (…)

Ecco perché si può affermare che il numero di non obiettori risulta congruo anche a livello sub-regionale rispetto alle IVG effettuate e il carico di lavoro richiesto non dovrebbe impedire ai non obiettori di svolgere anche altre attività oltre all’interruzione volontaria di gravidanza, né pertanto creare problemi nel soddisfare la domanda di IVG. Eventuali difficoltà nell’accesso ai servizi quindi sono probabilmente da ricondursi a situazioni ancora più locali di quelle delle singole aziende sanitarie rilevate nella presente relazione. Come ricordato nell’ultima relazione al Parlamento, un monitoraggio dettagliato come quello proposto è comunque un supporto fondamentale per verificare effettivamente l’offerta del servizio e i carichi di lavoro dei ginecologi non obiettori e andrebbe riproposto a livello locale per una buona programmazione dei servizi. (…)

Inoltre, mettendo in relazione i dati regionali dei tempi di attesa e relativa percentuale di ginecologi obiettori, valutandone la variazione dal 2006 al 2013, non emerge alcuna correlazione fra il numero di obiettori e i tempi di attesa. In alcune regioni come Lazio e Piemonte gli obiettori aumentano e i tempi di attesa diminuiscono; in altre, come Lombardia, Umbria e Marche gli obiettori diminuiscono e i tempi di attesa aumentano. In Emilia-Romagna invece diminuiscono sia obiettori, sia tempi di attesa. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di andamenti in controtendenza rispetto a quanto ci si aspetterebbe se ci fosse una correlazione diretta.

Vorrei parlare ora un momento dei consultori. Riguardo ai consultori, il 79% delle regioni ha fornito dati su alcune attività svolte per l’IVG. In generale, il numero degli obiettori di coscienza nei consultori è molto inferiore rispetto a quello registrato nelle strutture ospedaliere, cioè il 22% contro il 70%.

Il fatto che il numero di colloqui IVG sia superiore al numero di certificati rilasciati potrebbe indicare l’effettiva azione per aiutare la donna a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza, così come previsto dall’articolo 5 della legge n. 194.

Per quanto riguarda l’abortività clandestina, l’Istituto superiore di sanità ha effettuato una stima degli aborti clandestini per il 2012 ed è emerso quanto segue, cioè che il numero stimato di aborti clandestini per le donne italiane è compreso nell’intervallo tra 12.000 e 15.000. Per la prima volta, è stata effettuata una stima anche per le donne straniere, che è risultata compresa tra 3.000 e 5.000 aborti clandestini. Queste stime indicano una notevole diminuzione rispetto agli anni Ottanta e Novanta (100.000 erano i casi stimati nel 1983, 72.000 nel 1990, 43.500 nel 1995), nonché una stabilizzazione del fenomeno negli ultimi anni. Infatti, riguardo alle donne italiane, nel 2005 erano 15.000 gli aborti clandestini stimati. Certo, è un fenomeno che va contrastato anche sul piano ovviamente culturale, essendo l’interruzione volontaria di gravidanza offerta gratuitamente dal servizio pubblico e questo è un elemento che qualifica fortemente il sistema sanitario nazionale italiano. La donna in questo caso è presa in carico dall’attività consultoriale fino all’ospedale e quindi avere ancora, anche se ovviamente con una diminuzione molto importante, aborti clandestini è sicuramente un fenomeno che va contrastato.

Tra i vari esiti della storia riproduttiva della donna abbiamo poi il fenomeno dell’abortività spontanea, che ha assunto un’importanza rilevante nel corso del tempo. Il numero assoluto dei casi registrati è passato da 56.157 per quanto riguarda il 1982 a 73.810 nel 2012, con un aumento del 31%. Anche l’indicatore utilizzato per studiare tale fenomeno, ovvero il rapporto di abortività spontanea, mostra un aumento del 56%, passando da 89,2 casi di aborto spontaneo per 1.000 nati vivi nell’82 a 139,6 nel 2012. Molti collegano l’aumento di aborti spontanei a un’interruzione volontaria di gravidanza fai da te – anche questi sono ovviamente fenomeni da dissuadere – tuttavia un’analisi dettagliata del fenomeno effettuata dall’Istat evidenzia invece che il fattore di rischio principale per l’aborto spontaneo è l’aumento dell’età della donna e che l’aumento degli aborti spontanei negli ultimi anni è avvenuto principalmente tra le donne sopra i trent’anni. Le donne in Italia infatti hanno una gravidanza sempre più tardi e l’età media del parto è aumentata di oltre quattro anni tra il 1982, quando era di ventott’anni, e il 2012, quando è passata a 32 anni. Questo slittamento ha conseguenze inevitabili anche sugli altri esiti riproduttivi, tra cui appunto il rischio di aborto spontaneo.

Vorrei concludere il mio intervento – che mi rendo conto essere stato lungo e dettagliato, ma spero esauriente – ricordando che anche in occasione della prima Giornata nazionale della salute della donna, celebrata lo scorso 22 aprile, ho confermato il massimo impegno mio e del Ministero per la tutela della salute della donna in tutte le fasi della vita. Nel Manifesto per la salute femminile da me sottoscritto, quale impegno per i prossimi anni, è infatti indicata tra le direttrici di intervento individuate anche la tutela e la promozione della salute sessuale e riproduttiva, favorendo una procreazione responsabile e consapevole. In particolare, nelle azioni individuate dal tavolo tematico «sessualità, fertilità e salute materna», sono state specificate sia azioni per il miglioramento dell’assistenza alle donne attraverso un percorso globale di accompagnamento alla fertilità sia naturale che assistita, dal periodo preconcezionale alla gravidanza, anche in caso di scelta di interruzione di gravidanza, al puerperio e a partire dal potenziamento della rete territoriale dei consultori familiari. Quindi, con un’attenzione anche alle donne che decideranno per un’interruzione volontaria di gravidanza, sia con azioni di prevenzione attraverso la realizzazione di programmi educativi di conoscenza della fertilità alle giovani generazioni e anche alle fasce prepubere, in collaborazione con la famiglia, la scuola e la comunità, sia infine con azioni per una qualificazione sempre più attuale della formazione degli operatori attraverso la revisione dei curricula formativi in corsi di laurea in ostetricia e di specialità in ostetricia e ginecologia e corsi di formazione di aggiornamento per pediatri e medici di base per assicurare la massima preparazione dei professionisti sanitari rispetto ai bisogni della donna nell’ambito della sfera sessuale e riproduttiva, incluso l’ambito dell’interruzione volontaria di gravidanza

pag. 116 di

www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0619&tipo=stenografico#sed0619.stenografico.tit00080

E’ seguito un dibattito cui ha partecipato un rappresentante per Gruppo.

pag. 125 di

www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0619&tipo=stenografico#sed0619.stenografico.tit00080

             2°Commissione Giustizia.     Regolamentazione delle unioni civili

4 maggio 2016. In sede referente, ha concluso l’esame della proposta di legge C. 3634, approvata dal Senato, recante Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze (Rel. Campana-PD), conferendo il mandato alla relatrice a riferire in senso favorevole all’Assemblea.

pag. 55 di 

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2016&mese=05&giorno=04&view=&commissione=02&pagina=data.20160504.com02.bollettino.sede00030.tit00010#data.20160504.com02.bollettino.sede00030.tit00010

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POLITICHE DELLA FAMIGLIA

Centri per le famiglie, indagine del Dipartimento per le politiche della famiglia.

È online, sul sito del Dipartimento per le politiche della famiglia, il Documento sugli esiti della raccolta ed elaborazione dei dati sullo sviluppo e la diffusione dei Centri per le famiglie nelle Regioni e Province autonome. Una prima mappatura nazionale dei Centri per le famiglie presenti su tutto il territorio, realizzata dal Dipartimento per «monitorarne lo stato di attuazione complessivo e avere un quadro conoscitivo per singola Regione, necessario a poter definire e attivare politiche dedicate di sostegno».

www.politichefamiglia.it/notizie/2016/aprile/prima-mappatura-nazionale-dei-centri-per-le-famiglie

La necessità di questa prima indagine, si spiega sul sito del Dipartimento, nasce dal primo Piano nazionale per la famiglia, documento approvato dal Consiglio dei ministri nel 2012 nel quale si sottolinea l’importanza di favorire la nascita dei Centri per le famiglie, «nodi propulsori di una rete di servizi, di interventi, di soggetti ed azioni integrate (sociali, sanitarie, educative, ecc.) che si muovono nel variegato e complesso campo delle politiche dei servizi alla famiglia e del lavoro di cura».

Nella logica del Piano nazionale per la famiglia il Centro per le famiglie va inteso come luogo fisico aperto sul territorio e in grado di intercettare le diverse esigenze, con particolare attenzione alle famiglie con bambini piccoli e a tutte le famiglie che vivono forme di disagio e difficoltà. Dall’indagine emerge che i bisogni evidenziati dai Centri per le famiglie riguardano il sostegno alla coppia, il sostegno alla genitorialità, la tutela dell’infanzia, la transizione all’età adulta, la solidarietà generazionale.

Gli utenti dei servizi erogati sono genitori con figli minori e adolescenti, che si rivolgono a queste strutture soprattutto per ricevere informazioni e orientamenti sulla consulenza legale, il sostegno allo studio, il mutuo aiuto, le banche del tempo, le opportunità ludiche e altre necessità non standardizzabili

http://www.minori.gov.it/it/node/5591

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UNIONI CIVILI

Della legge Cirinnà

Caro direttore, il comma 40 del progetto di legge Cirinnà si appresta ad attribuire a ciascuno dei “conviventi di fatto” la possibilità di designare l’altro “quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati, in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute”. Mi occupo da tempo di “testamento biologico “, sono favorevole a una legge che garantisca ai cittadini il rispetto delle loro dichiarazioni preventive di non voler ricevere certi trattamenti sanitari e ho seguito gli innumerevoli progetti avanzati al riguardo in Parlamento, facendomi l’idea che se all’approvazione di una legge ad hoc non si perviene non è tanto a causa dei paladini dell’indisponibilità della vita, ma per il difetto di riflessione e la disinvoltura con cui dalle varie parti – con salvezza di rare eccezioni – a questo tema ci si accosta.

In una proposta di legge intitolata “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, io mi aspetterei di trovar scritto che ai fini delle relazioni con medici e personale sanitario le posizioni di componente di unione civile e di convivente sono equiparate a quella di coniuge del paziente. Con la formula che ho riportato, e in particolare con il ricorso alla parola “rappresentante”, i redattori del progetto sono invece entrati nel pieno merito della delicatissima materia della legittimazione al rifiuto di cure: e a me sembra che vi siano entrati in maniera maldestra.

A chiunque bazzichi il linguaggio giuridico, il termine “rappresentante “evoca colui che fa valere, con effetti per il “rappresentato”, una volontà propria. Ora, che qualcuno possa aver titolo a opporsi a cure mediche indicate non adducendo precedenti manifestazioni di volontà dello stesso paziente attualmente incapace, ma esprimendo una propria determinazione, e insomma in vece del paziente, è allo stato altamente controverso – direi anzi prevalentemente negato. Il progetto Cirinnà ha l’aria di voler dirimere la questione in senso positivo: ma proprio per il fatto che si tratta di un progetto dedicato ad altro, e di una disposizione riferita ai soli conviventi, pare a me che l’effetto sia piuttosto quello di aggrovigliare il nodo fino al paradosso.

Provo a precorrere quanto potrà accadere dopo che questo comma 40 sarà assurto a legge dello Stato: già non invidio il medico cui non consti alcuna preventiva dichiarazione di rifiuto del paziente incosciente, ma invece l’opposizione all’intervento di asportazione di un tumore, o anche a una semplice trasfusione di sangue, da parte del convivente che risulti investito di “pieni poteri ” da un documento scritto. Meno ancora vorrei trovarmi nei panni di quel medico se designato all’esercizio di pieni poteri risultasse il coniuge del paziente: la legge parla solo di “convivente”, ma è pensabile che quanto consentito a un partner sia precluso a un marito o a una moglie?

Quando poi a farsi avanti, sulla base di una dichiarazione dell’interessato, come rappresentante del paziente sarà un fratello o un figlio, s’aprirà la stura – mentre il malato giace in corsia – al dibattito di dottrina e giurisprudenza: il legislatore che ha detto “convivente ” può avere inteso a fortiori anche “coniuge”, ma di certo non ha detto “fratello”; e però, siamo certi che l’esclusione di fratelli e figli non costituisca una discriminazione irragionevole?

Tutti noi siamo portati a pensare, come ottimale antidoto al pericolo dell’accanimento terapeutico, che trovandoci in condizioni di malattia terminale sia il nostro affetto più fidato a dover decidere se staccare o meno la spina. Qui però non si parla necessariamente di condizioni terminali, ma di qualunque “malattia” che comporti incapacità di decidere di persona. A me sembra che una legge dedicata all’espressione preventiva di scelte di cura ben possa consentire al dichiarante anche di delegare certe decisioni a un fiduciario: ma che debba trattarsi di una persona scelta dal dichiarante tra chiunque; e che debba trattarsi di decisioni determinate, già prefigurate dall’interessato. Deleghe “in bianco” e attribuzioni di “pieni poteri” mi sembrano per contro giuridicamente inconcepibili pur tra persone legate dai più profondi vincoli spirituali, perché si risolverebbero in una sorta di sottomissione personale, e per meglio dire in una rinuncia del delegante al proprio status personae.

Tutto ciò le scrivo, caro direttore, per nulla a cuor leggero, essendo io tra quanti pensano che l’ora di varare una legge di tutela delle unioni non matrimoniali sia venuta da un pezzo. Il passo che rimedia a un gravissimo ritardo della legislazione ha per prezzo l’elevazione a legge di questo incongruo comma 40.

Donato Carusi           Ordinario di Diritto privato nell’Università di Genova           La stampa 5 maggio 2016

www.lastampa.it/2016/05/05/cultura/opinioni/editoriali/i-punti-deboli-della-legge-cirinn-ceSJ2hOeEl4YMFHs3MWjGK/premium.html

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VIOLENZA

Maltrattamenti in famiglia anche dopo la separazione e la fine della convivenza.

Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza n. 17950, 29 aprile 2016.

Il reato di maltrattamenti in famiglia a carico del coniuge è configurabile anche in caso di separazione e di conseguente cessazione della convivenza, allorché la condotta valga ad integrarne gli elementi tipici della fattispecie. Il presupposto della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, ex art. 282-bis c.p.p. non è infatti la condizione di attuale coabitazione dei coniugi, ma l’esistenza di una situazione per cui all’interno della relazione familiare prendono corpo condotte in grado di minacciare l’incolumità fisica e psichica di una persona.

            Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nella sentenza, dichiarando inammissibile il ricorso di una donna contro il provvedimento che le ha applicato la misura cautelare dell’allentamento della casa familiare ex art. 282-bis c.p.p.La ricorrente è indagata per il reato di maltrattamenti in danno dell’anziano coniuge non vedente e dalle risultanze processuali sono emersi gravi indizi di colpevolezza che hanno giustificato la misura, desumibili dalle dichiarazioni accusatorie della parte offesa (che ha indicato date e dinamica degli episodi salienti di vessazione e umiliazione infertigli stabilmente dalla consorte) e anche dagli univoci riscontri che esse hanno ricevuto dalle conformi testimonianze dei parenti dell’anziano e dell’assistente sociale. In particolare è emersa la situazione di grave conflittualità esistente tra i due coniugi, da tempo separati in casa.

            Ed è proprio su questo punto che si soffermano le doglianze difensive, secondo cui, poichè i due erano di fatto conviventi, ma separati, non sarebbe stato ipotizzabile far gravare sulla donna un obbligo di “accudimento” del marito, la cui inosservanza si tradurrebbe in condotte maltrattanti. Una ricostruzione che non convince i giudici del Collegio: troppi gli elementi che supportano la sostanziale veridicità della rappresentazione delle condotte di maltrattamenti per lungo tempo realizzate dalla donna in pregiudizio al coniuge, per le quali sono state proposte nei suoi confronti in passato molteplici denunce. Conferme che giungono anche dall’assistente sociale, persona certamente terza, e dagli stessi Carabinieri ai quali la donna ha consegnato più armi, tra cui alcuni fucili, a conferma delle minacce rivolte al marito anche con tali strumenti.

            In particolare, non assume rilevanza la condizione della separazione di fatto esistente tra la donna e il marito, nonostante la perdurante dimora comune, per far venir meno la fattispecie criminosa ex art. 572 c.p.

Gli Ermellini evidenziano che il presupposto della oggettiva convivenza (coabitazione) tra l’indagata e la persona offesa, non diviene elemento essenziale del reato di maltrattamenti, ma integra soltanto un’occasione di fatto che agevola le condotte prevaricatrici. Ciò significa che il reato di maltrattamenti a carico del coniuge “è ben ravvisabile anche quando gli atti vessatori, confliggenti con un normale regime di via, siano posti in essere dopo la separazione di fatto e la cessazione della convivenza stricto iure“.

Nel caso di specie il quadro indiziario ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelare giustificanti l’applicata misura di cui all’art. 282-bis c.p.p., quale necessario presidio cautelare di garantita e immediata efficacia, idoneo a contrastare la radicata inclinazione, concreta e attuale della ricorrente alla reiterazione delle sue condotte illecite in danno del coniuge.

Lucia Izzo      newsletter StudioCataldi.it    05 maggio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/21927-cassazione-maltrattamenti-in-famiglia-anche-dopo-la-separazione-e-la-fine-della-convivenza.asp

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Quando il welfare lo fanno le aziende.

Favorire la conciliazione e il benessere dei lavoratori conviene in termini economici e non solo. Si parla molto in questi ultimi anni di welfare aziendale e dell’impegno delle aziende nel favorire la conciliazione e il benessere dei lavoratori, nonché del ruolo crescente che queste dovrebbero assumere in futuro anche per compensare le carenze crescenti dello Stato. Ma perché le aziende dovrebbero farlo? Quale interesse avrebbero? I dati ci dicono che in effetti conviene, in termini economici e non solo. Ci vuole però una classe dirigente lungimirante e una cultura d’impresa particolarmente illuminata. Dati i tempi, un’utopia? Ci piace pensare di no

            Nel dibattito pubblico su lavoro, famiglia e conciliazione, si sta discutendo molto sul ruolo dello Stato nel welfare, sulla progressiva riduzione delle risorse dedicate, e sul tentativo di sviluppare maggiormente il welfare secondario o di secondo livello, cioè quello che coinvolti anche altri attori quali ad esempio il terzo settore e, soprattutto, le aziende.

Le possibilità di sviluppo del welfare aziendale devono purtroppo fare i conti con la realtà italiana: il nanismo delle nostre aziende rappresenta un ostacolo insormontabile per l’adozione di servizi che richiedono ben altre economie di scala: basti ricordare che il 52,5% dei lavoratori/trici in Italia è impiegato in aziende con meno di 50 dipendenti (Istat). Ad ogni modo in questi anni il welfare aziendale sta conoscendo un crescente interesse anche grazie ad un miglioramento della cultura di responsabilità sociale delle aziende, che rappresenta una condizione di partenza indispensabile.

Per comprendere bene la portata di questa tendenza è sempre bene riflettere sui numeri. Quante sono in Italia le aziende che fanno iniziative di welfare aziendale? Una rilevazione dell’Istat ha messo in evidenza che il 37% delle aziende in Italia adotta strumenti dedicati alla flessibilizzazione dell’orario di lavoro per favorire la conciliazione dei/delle dipendenti, mentre il 17,5% delle aziende offre servizi per gli asili nido, servizi sociali, di assistenza, ricreativi e di sostegno.

Indagando sulle aziende che hanno adottato tali servizi, si vede chiaramente che il settore maggiormente attivo nella conciliazione vita-lavoro è quello dei servizi, seguito dalla manifattura e, buon ultimo, il commercio. Nel caso dei servizi, addirittura la metà delle aziende (50,5% per cento) adotta strumenti di flessibilizzazione del lavoro, e il 30,7% è impegnata nell’offrire servizi per la conciliazione.

La sensibilità delle aziende verso la responsabilità sociale e il welfare aziendale è quindi spesso stimolata dal tipo di attività che queste conducono. La tipologia di aziende più attive vede infatti maggiormente interessate quelle grandi, le aziende nel settore dei servizi ad elevato tasso di femminilizzazione, le aziende nel settore dei servizi ad elevato contenuto tecnologico, le aziende manifatturiere ad elevato tasso di femminilizzazione, le aziende attive nei servizi di cura alla persona, le aziende con particolari criticità stressogene per i dipendenti Tra i fattori che le invogliano ad intervenire su questi temi vi sono infatti l’elevata presenza di donne nella forza lavoro, che portano necessariamente le imprese a prendere coscienza delle problematiche di conciliazione che influiscono sulla loro produttività, l’aumento delle attività legate al terziario avanzato, che spingono verso una maggiore valorizzazione del capitale umano, l’esigenza di motivare maggiormente il personale e di migliorare la reputazione dell’azienda presso i propri stakeholder.

Interessanti sono inoltre le ricadute economiche e i benefici del welfare aziendale in termini di redditività e contenimento dei costi. La fiscalità applicata al welfare aziendale rende infatti tali servizi convenienti sia per l’impresa sia per il lavoratore. Confrontando i diversi trattamenti fiscali attribuiti ad un ipotetico aumento di stipendio rispetto ad una erogazione di servizi per la conciliazione di pari importo, si osserva un’importante riduzione dei costi per l’azienda e un aumento di retribuzione per il lavoratori. Ad esempio, su un ipotetico importo di 250 euro spesi per il welfare aziendale l’azienda godrebbe di un risparmio di 118 euro e il lavoratore di 92 euro.

Giovanna Badalassi   Noi donne       3 maggio 2016

www.noidonne.org/articolo.php?ID=05495

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