UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
newsUCIPEM n. 593 –17 aprile 2016
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
20135 MILANO – via S. Lattuada, 14-c.f. 801516050373-. ☎ 02.55187310
ucipem@istitutolacasa.it www.ucipem.com
“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984
Supplemento on line Direttore responsabile Maria Chiara Duranti.
Direttore editoriale Giancarlo Marcone
Le “news” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultorifamiliari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.
Le news sono così strutturate:
- Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.
- Link a siti internet per documentazione.
I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.
Il contenuto di questo new è liberamente riproducibile citando la fonte.
Per i numeri precedenti, dal n. 527 al n. 592 andare su:
https://ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=category&id=84&Itemid=231
In ottemperanza alla direttiva europea sulle comunicazioni on-line (direttiva 2000/31/CE), se non desiderate ricevere ulteriori news e/o se questo messaggio vi ha disturbato, inviateci una e-mail all’indirizzo: newsucipem@gmail.com con oggetto: “richiesta di disconnessione news”. 991 iscritti
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
ADOZIONI INTERNAZIONALI La guerra delle adozioni internazionali.
AFFIDAMENTO ESCLUSIVO Sindrome da alienazione parentale. PAS.
Il giudice indaga sul genitore che denigra l’altro.
AMORIS LAETITIA (2) Come cambia la pastorale e il diritto canonico.
(3) Come cambia il magistero e come si traduce la dottrina.
(4) Testo biblico e meravigliosa complicatezza.
Un testo “fuori del suo contesto”: 1Cor 11, 17-34.
La svolta pastorale di papa Francesco.
L’esortazione del Papa secondo la psicoanalisi.
CHIESA CATTOLICA Divorziati risposati.
Le aperture di papa Francesco sulla famiglia
Riletture: divorziare all’evangelica.
CINQUE PER MILLE 5 per mille 2014: Ecco gli elenchi dei beneficiari.
Perché tutte le associazioni guadagnano di più?
CONSULTORI Familiari UCIPEM Portogruaro. Le emozioni? Ci parlano di noi.
Rieti. Lettura ad alta voce per bambini. Prosegue il progetto.
Roma 1 via della Pigna 13\a. Le relazioni del 30° Seminario.
Offerta formativa.
DALLA NAVATA 4° Domenica di Pasqua – anno C –17 aprile 2016.
DIVORZIO Divorzio breve: 6 mesi anche se ci si separa in comune.
FAMIGLIA Al via petizione per la definizione di famiglia nei trattati Ue.
FORUM Associazioni Familiari Salviamo la legge 184 e il bambino resterà soggetto di diritti.
FRANCESCO Vescovo di ROMA Conferenza Stampa nel volo di ritorno dalla Visita a Lesvos
Presentazione di AL del Card. Christoph Schönborn, O.P.
GOVERNO Costa: e ora un testo unico per la famiglia.
MINORI L’Avvocato nel processo minorile è anche Avvocato del minore
PARLAMENTO 2° C. Giustizia Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili.
Audizioni sulle disposizioni legislative circa adozioni ed affido.
OBIEZIONE DI COSCIENZA. Per il Consiglio d’Europa l’obiezione sull’ivg discrimina le donne
Aborto in Italia: ecco i dati reali.
Consiglio d’Europa si contraddice sull’obiezione di coscienza.
PASTORALE FAMILIARE Il manuale del Papa per il vero amore tra gli sposi.
POLITICHE SOCIALI Dossier politiche familiari.
L’Agenzia per la famiglia al Festival di Educa.
SINODO SULLA FAMIGLIA L’ecclesiologia dietro “Amoris Laetitia”.
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
ADOZIONI INTERNAZIONALI
La guerra delle adozioni internazionali.
Famiglie disperate, genitori in eterna attesa che non ricevono risposte alle loro domande, enti autorizzati privati di un punto di riferimento istituzionale. Questa la situazione delle adozioni internazionali in Italia, che trova il suo più drammatico riscontro nelle cifre: in pochi anni il numero dei bambini stranieri adottati da famiglie italiane si è dimezzato, passando da oltre 4mila a circa 2mila. Questo dicono i dati. Che però non sono dati ufficiali, ma solo proiezioni, dal momento che la Commissione Adozioni Internazionali non pubblica da 2 anni il report statistico annuale. Una delle tante mancanze della Cai attuale. La paralisi della Commissione è alla base di molti dei problemi che affliggono le adozioni internazionali: una questione attorno alla quale si è scatenata una vera battaglia tra una Cai inerme da una parte e, dall’altra, famiglie, associazioni, enti, mezzi di comunicazione che con sempre maggiore forza stanno chiedendo che qualcosa finalmente cambi nell’Autorità Centrale italiana. A questa “battaglia” Aibinews ha dedicato uno dei suoi “speciali” consultabile dalla homepage del sito www.aibi.it. Una raccolta di articoli pubblicati da Aibinews o da altre testate giornalistiche che ripercorrono le recenti fasi più importanti di uno scontro che si riflette inevitabilmente sulla sorte di centinaia di bambini e di famiglie.
Ai. Bi. 11 aprile 2016 www.aibi.it/ita/category/archivio-news
Nuovo speciale di AiBinews sull’assurdo attacco della CAI al sistema dell’accoglienza adottiva
www.aibi.it/ita/attivita/adozione-internazionale/la-guerra-delle-adozioni-internazionali
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
AFFIDAMENTO ESCLUSIVO
Sindrome da alienazione parentale. PAS.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 6919, 8 aprile 2016.
Il giudice quando chiamato è pronunciarsi sull’affidamento o su una modifica delle stesso, è tenuto ad accertare in concreto la veridicità dei comportamenti denunciati dal genitore denigrato qualora quest’ultimo segnali degli atteggiamenti, di per sé significativi della suddetta sindrome, che possano pregiudicare la sua relazione con il figlio e il suo diritto alla bigenitorialità.
Studio Sugamele 12 aprile 2016 sentenza
www.divorzista.org/sentenza.php?id=11758
Il giudice indaga sul genitore che denigra l’altro.
Il giudice deve accertare se la madre si comporta in modo tale da causare nel figlio una sindrome di alienazione parentale (PAS) a danno della figura paterna, senza limitarsi a “ratificare” il parere del consulente tecnico d’ufficio che attribuisce l’ostilità ad altre cause. Così la Cassazione, con la sentenza 6919, invita la Corte d’appello a verificare la fondatezza delle denunce del genitore non affidatario sul ruolo giocato dall’ex moglie nel determinare l’allontanamento della figlia. Il consulente, pur avendo constatato una resistenza della ragazza ad incontrare il padre sfociata anche in crisi di panico, l’aveva attribuita alla relazione non particolarmente stretta tra i due, tanto da definirla «turistica», cioè come se fosse limitata ad alcuni viaggi e senza radici solide in situazioni di vita di tipo quotidiano. I giudici di merito avevano dunque confermato l’affidamento congiunto con residenza presso la madre e avallato la decisione del Tribunale dei minori di subordinare la ripresa dei rapporti col padre a un percorso psicoterapeutico.
Il tutto senza dare gran peso alla segnalazione di una PAS dovuta, a parere del padre, alla campagna denigratoria condotta dalla madre. L’uomo aveva fatto presente di avere dalla sua parte anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: la sentenza 25704 del 2013 aveva condannato l’Italia per violazione dell’articolo 8 della Convenzione da parte dello Stato, che non aveva reso possibile superare gli ostacoli posti dalla madre affidataria, ma anche dalla stessa minore, a che il padre esercitasse il suo diritto di visita.
La Cassazione chiarisce che, quando un genitore denuncia condotte tese ad allontanare il figlio da lui, il giudice ha l’obbligo, ai fini di una modifica delle condizioni di affidamento, di verificare se queste esistano davvero e se siano idonee a configurare una sindrome di alienazione parentale. Valutazione da fare utilizzando i comuni mezzi di prova, presunzioni comprese. Questo, precisano i giudici, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità scientifica della patologia. Perché nel giudizio sull’idoneità di un genitore pesa anche la capacità di preservare la relazione parentale con l’altro, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita serena.
P. Mac. Il sole 24ore 12 aprile 2016
www.oua.it/cassazione-il-giudice-indaga-sul-genitore-che-denigra-laltro-il-sole-24-ore/
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
AMORIS LAETITIA
Alla scoperta di Amoris laetitia/2: Come cambia la pastorale e il diritto canonico
Una singolare ed efficace intuizione teologica alimenta la impostazione di Amoris laetitia (AL): attraverso una accurata riflessione sulla delicatezza del rapporto tra “legge generale” e “caso particolare”, si riscopre la centralità del “discernimento”, che richiede l’arte dell’incontrare, dell’accompagnare, ma anche la lucidità del distinguere e dell’integrare. Tutto questo, si deve notare, non riguarda semplicemente i “casi particolari”, o i “casi limite” sui quali si affigge l’attenzione dei più, ma ambisce ad essere principio generale di vita cristiana, ossia di “ascolto della Parola”, di “esperienza sacramentale” di “testimonianza ecclesiale” e di “rapporto con il mondo”.
Tutto intero lo spettro della esperienza cristiana – che il concilio Vaticano II ha raccolto nelle sue 4 grandi costituzioni – appare riscoperto nella sua importanza dal riemergere chiarissimo nel testo di Francesco di questo “criterio fondamentale”. Né la Parola di Dio, nel il sacramento celebrato, né la vita ecclesiale, né il rapporto con il mondo si lasciano comprendere semplicemente sulla base di una “oggettività” che si impone sul soggetto, di una “autorità” che si impone sulla libertà.
Come ha detto bene il padre H. Legrand, esperto ecclesiologo francese, questo documento è espressione non solo del papa, ma del Sinodo dei Vescovi e per questo attesta una svolta ancora più significativa: “Vi si ritrova, come nel Vaticano II, il primato del Vangelo sulle norme”. Ora, queste acquisizioni, di grande rilievo, e che rappresentano un “conversione e autolimitazione del magistero papale”, con una ripresa potente del magistero episcopale, conducono ad una serie di conseguenze pastorali e canoniche di assoluto rilievo e sulle quali dovremo lavorare nei prossimi mesi ed anni. Provo qui ad elencarle:
a) Dare forma “esterna” al “foro interno”. Nella recezione del dettato di AL occorre chiarire un primo punto delicato: la sottolineatura del “foro interno” – che è essenzialmente “per differenza” dal “foro esterno”, ossia dal giudizio mediato da una procedura giudiziaria – non significa affatto definire una sua marginalità rispetto alla “forma” pastorale e canonica. Se leggiamo il testo che risulta più esplicito al proposito nella Esortazione Apostolica, possiamo trarne una serie di caratteristiche preziose: “Si tratta di un itinerario di accompagnamento e di discernimento che “orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio. Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere. Dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cf. Familiaris consortio, 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa. Perché questo avvenga, vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta ad essa”” (AL 300). E’ evidente che “foro interno” non nega, ma anzi afferma:
- il carattere di “itinerario” che la conversione assume, con elementi di ascolto della parola, di riscoperta della preghiera, di partecipazione alla celebrazione (a parti e progressivamente alla sua integralità), di recupero di logiche gratuite, caritative, generose;
- i “passi” che fanno crescere la partecipazione alla vita della Chiesa;
- la accresciuta coscienza delle esigenze di verità, ma anche le forme del comportamento che la comunione richiede (umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa…)
b) Ridare spessore al primato del tempo sullo spazio: necessità di itinerari e accompagnamento. Bisogna considerare che il grande principio che brilla già in Evangelii Gaudium e che ora è ripreso in AL (il primato del tempo sullo spazio) introduce una “variabile temporale della comunione” che rappresenta non solo una grande risorsa per la pastorale (b), ma anche un principio ermeneutico decisivo per la rilettura della tradizione canonica (c). Iniziamo a considerare qui il primo di questi due “effetti”. La pastorale diviene “luogo di elaborazione della comunione”. Questo, ovviamente, non è nulla di nuovo. Ma la novità consiste nell’aver liberato la pastorale dalla “ossessione di una conformità immediata alla comunione”. Con una mentalità giuridica tardo-moderna, la verifica della comunione veniva pensata e concepita solo “nello spazio”, e quindi “fuori dal tempo”. Questo procedimento aveva due conseguenze deleterie:
- paralizzava la pastorale, che non aveva più alcun margine di movimento autorevole rispetto alla “legge generale e astratta”;
- trasformava facilmente la dottrina in pietra, e non in pane, perché non solo poteva, ma doveva prescindere dalla relazione.
Dietro a questo sviluppo opportuno promosso da AL possiamo scoprire anche il trasformarsi della comprensione del valore della norma rispetto alla vita. La lettura “soltanto pedagogica” della norma era divenuta principio di incomprensione della esperienza. Le norme mantengono sempre un innegabile valore pedagogico, ma non si esauriscono in esso: esse sono sempre anche forme di “riconoscimento della realtà”, della sua “meravigliosa complicatezza”, sempre più complessa e ricca del valore che al suo interno occorre incoraggiare e difendere in modo oggettivo. In tal modo possiamo scoprire che il dischiudersi di uno “spazio di ricostruzione di una possibile comunione” mette in gioco non solo le coscienze, ma le forme dell’ascolto reciproco, della mediazione, della elaborazione del lutto e della memoria. Sono, di fatto, “itinerari” in cui si esercita l’esame di coscienza, la penitenza e la ripresa delle virtù. Cammini temporali di nuova iniziazione alla comunione, mediati dalla parola ascoltata, pregata, meditata, praticata.
c) Recuperare la distinzione tra “seconde nozze” e “adulterio”. Il secondo versante interessato da questo sviluppo è precisamente il versante strettamente “canonico”. E’ evidente, infatti, che la nuova “abnegazione pastorale”, se deve superare la tentazione di “auto-negazione pastorale”, alla quale spesso ci eravamo ormai rassegnati, deve trovare “sponda” in una nuova coscienza giuridica e canonica, che non preveda di “sequestrare l’intero orizzonte” della questione. Si noti che proprio questo era formalmente – e rimane praticamente – un ostacolo di non piccola entità. Cerco di presentarlo nel modo più chiaro possibile, in tre passi:
- Dove eravamo rimasti fermi? La disciplina anche successiva a Familiaris consortio (FC) continuava a proporre una identificazione immediata e diretta tra “seconde nozze” e “adulterio”. La condizione di “scomunica sacramentale” poteva essere superata solo o dalla “nullità delle prime nozze” o dalla “riduzione al nulla delle seconde”. Il criterio della “oggettività” costituiva il criterio decisivo, di fronte al quale la “coscienza” e il “tempo” non avevano alcuna autorità, né secondo Familiaris consortio, né secondo la lettera Annus internationalis familiae, della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1994, né secondo la Dichiarazione circa l’ammissibilità alla santa comunione dei divorziati risposati che il Pontificio consiglio per i testi legislativi aveva pubblicato il 24 giugno 2000.
Mentre FC e la Lettera della Congregazione sono di fatto superate dalla approvazione di AL, occorre aggiornare questa ultima autorevole dichiarazione, che dal 19 marzo si trova in aperto contrasto con il dettato di AL. Essa infatti proponeva una interpretazione del can. 915 del Codice di diritto canonico. Detto canone recita: “Non siano ammessi alla sacra comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto”.
L’interpretazione fornita dalla dichiarazione intendeva spiegare che il canone, nella sua seconda parte, doveva essere applicato alla condizione dei “divorziati risposati” e che, se di discernimento si doveva parlare, lo si doveva applicare non per integrare, ma per escludere. Si parlava infatti – letteralmente – di “discernimento dei casi di esclusione dalla comunione eucaristica dei fedeli, che si trovino nella descritta condizione”.
D’altra parte la condizione dei divorziati risposati è compresa con queste parole pesantissime: “ricevere il corpo di Cristo essendo pubblicamente indegno costituisce un danno oggettivo per la comunione ecclesiale; è un comportamento che attenta ai diritti della Chiesa e di tutti i fedeli a vivere in coerenza con le esigenze di quella comunione. Nel caso concreto dell’ammissione alla sacra Comunione dei fedeli divorziati risposati, lo scandalo, inteso quale azione che muove gli altri verso il male, riguarda nel contempo il sacramento dell’eucaristia e l’indissolubilità del matrimonio. Tale scandalo sussiste anche se, purtroppo, siffatto comportamento non destasse più meraviglia: anzi è appunto dinanzi alla deformazione delle coscienze, che si rende più necessaria nei Pastori un’azione, paziente quanto ferma, a tutela della santità dei sacramenti, a difesa della moralità cristiana e per la retta formazione dei fedeli”.
Il testo permetteva soltanto le eccezioni previste, quasi 20 anni prima, da FC, ma era evidente come continuasse a pensare i “divorziati risposati” con la categoria classica di “infami”. Si deve notare, inoltre, che la argomentazione messa in campo utilizzava il “luogo comune” della “mancanza di autorità” della Chiesa di fronte ad una “legge divina”: “La proibizione fatta nel citato canone, per sua natura, deriva dalla legge divina e trascende l’ambito delle leggi ecclesiastiche positive: queste non possono indurre cambiamenti legislativi che si oppongano alla dottrina della Chiesa”.
Dove sta la novità? In AL leggiamo, a chiare lettere, una comprensione nuova e una prospettiva che si libera da una concezione “solo pedagogica” della legge. Il testo di papa Francesco, infatti, esercita l’autorità, con piena coscienza e con grande equilibrio, intervenendo sulla interpretazione della tradizione e – a fortiori – del canone 915. Si legge, infatti, in AL 310: “Per comprendere in modo adeguato perché è possibile e necessario un discernimento speciale in alcune situazioni dette “irregolari”, c”è una questione di cui si deve sempre tenere conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo. La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere “valori insiti nella norma morale” o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa. Come si sono bene espressi i Padri sinodali, “possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione””.
Questa formulazione fa saltare l’automatismo oggettivo e normativo, che identifica “situazione irregolare” e “peccato mortale”. In qualche modo non identifica più – in generale e necessariamente – il “divorziato risposato” con l’adultero. Ma questo, per di più, corrisponde ad un “principio generale” che viene espresso così: “È meschino soffermarsi a considerare solo se l”agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell”esistenza concreta di un essere umano” (AL 304).
Quali conseguenze “canoniche”? Se AL supera sul piano formale l’autorità di pronunciamenti precedenti – e sarebbe contraddittorio pensare che debba essere AL ad essere corretta da FC e non viceversa – occorre oggi adeguare anche i principi di una “ermeneutica giuridica” che potrebbe, da oggi, ostacolare la traduzione pastorale del nuovo principio. Mi riferisco, in modo particolare, alla citata “interpretazione autorevole” che il Pontificio Consiglio per la Interpretazione dei testi legislativi aveva dato del canone 915. Dal 19 marzo il criterio di interpretazione del canone 915 è mutato, almeno per quanto riguarda la sua applicabilità al caso di “seconde nozze”. Tale caso deve essere valutato con una forma nuova di discernimento. Mentre prima il discernimento era inteso solo “ad excludendum”, ora, invece, il discernimento sta nell’orizzonte di una scelta complessiva ispirata alla luce della misericordia e alla via caritatis: “due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare. La strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell”integrazione” (Al 295).
Di qui discende un compito urgente: occorre quanto prima offrire una interpretazione aggiornata e illuminata del can 915 e della sua applicabilità al caso dei “divorziati risposati”. La applicabilità sussiste ovviamente anche oggi, come ribadisce anche AL, ma a condizioni profondamente rinnovate e con uno stile e un linguaggio da adeguare alla nuova visione, che non può più autorizzare le espressioni inadeguate, rozze e irrispettose del testo interpretativo del 2000.
d) La profezia del Vescovo-avvocato J.-P. Vesco, allievo di S. Tommaso. S. Tommaso di chiedeva se fosse giusto che la legge civile dovesse perseguire tutti i vizi. E rispondeva di no. Una certa “differenza” tra diritto e morale era percepita, nella Chiesa medievale, come una felice necessità. La Chiesa moderna, per diverse ragioni, ha potuto trasformare la propria visione, inclinando, non di rado, verso un certo massimalismo. Che ha assunto, soprattutto nell’ultimo secolo, un volto ufficiale, soprattutto a partire dal Codex del 1917. Se non esiste alcuna “distinzione possibile” tra contratto e sacramento, questa sovrapposizione immediata uccide ogni possibile discernimento, preclude lo stesso ragionamento sia sul “male minore”, sia sul “bene possibile”. La estensione del concetto di “intrinsece malum” – che ha assunto un ruolo assai forte a partire da Veritatis splendor (1993) – permette di ridurre il potere della Chiesa e quindi di escludere tutte le mediazioni possibili. Trasforma ogni mediazione concreta in “disobbedienza alla legge universale e astratta”, ma in tal modo ottiene l’effetto di assolutizzare le mediazioni classiche, pretendendo così di renderle immutabili. E confonde la fedeltà con la rigidità.
Ora Francesco – non da solo, ma in comunione con il Sinodo dei Vescovi – ci riconduce ad una logica più complessa e più ricca: non accetta più che la logica massimalistica – per la quale vale solo il bene massimo garantito dalla norma generale e astratta – sia l’unica via coerente con la fede e con la comunione ecclesiale. Anzi, mostra quanto rischiosa sia questa convinzione. La strada intrapresa era stata additata, sia pure con linguaggio diverso, dal Vescovo di Orano, J.-P. Vesco. Egli aveva sollecitato la Chiesa a “rivedere la categoria del reato di adulterio”. Egli sosteneva che da reato continuato l’adulterio dovesse essere considerato reato istantaneo. Di fatto, con AL, possiamo dire che la “svolta pastorale” ha operato, indirettamente, questa nuova ermeneutica del concetto giuridico. Nel suo bel testo – Ogni amore vero è indissolubile – Vesco sosteneva che un serio confronto tra la tradizione cristiana e le forme di vita contemporanee imponeva un ripensamento del rapporto tra “seconde nozze” e “adulterio”. Ma questo neppure in Vesco si basava su una nuova descrizione delle patologie bisognosa di cura, quanto su una rinnovata comprensione della fisiologia dell’amore, come esperienza originaria di un “legame per sempre”: anche per Vesco, come per Francesco, è una nuova ermeneutica non giuridica della fisiologia del matrimonio che permette di pensare, con fedele libertà, i rimedi migliori per le sue vecchie e nuove patologie.
Andrea Grillo “Come se non” 11 aprile 2016
www.cittadellaeditrice.com/munera/alla-scoperta-di-amoris-laetitia-2-come-cambia-la-pastorale-e-il-diritto-canonico
Alla scoperta di Amoris Laetitia (/3) Come cambia il magistero e come si traduce la dottrina
Di fronte alla Esortazione Apostolica Amoris laetitia solo uomini dalla esperienza troppo piccola e dalle paure troppo grandi potrebbero parlare di “fine del magistero” o anche solo di “magistero bisognoso di strutturazione teologica”! Non è certo il caso di lamentare una “indeterminatezza” o una “contorsione” o, peggio, una “ambiguità” del magistero qui esercitato! Di sicuro, sulla base del dettato della Esortazione, è del tutto comprensibile che si resti “spiazzati” da un “uso del magistero” al quale non eravamo più abituati, almeno da alcuni decenni. Perché si tratta di un esercizio del magistero allo stesso tempo più antico e più nuovo di quello che conoscevamo. E’ infatti concepito come un atto autorevole nel quale compaiono una serie di caratteristiche fondamentali delle prerogative del Vescovo di Roma, che la Chiesa ha conosciuto lungo la storia ma che – novissime – sembrava aver dimenticato. Proviamo a farne qui una breve esposizione, senza pretese di completezza:
a) una autoriflessione del magistero su di sé. Negli ultimi 20 anni, in modo insistito, abbiamo dovuto leggere molte proposizioni magisteriali che esercitavano l’autorità negando a se stesse ogni autorità! In altri termini, non riconoscevano a sé il potere di decidere alcunché e, per così dire, rivendicavano l’autorità di non avere autorità: si additava, in questi casi, una “evidenza della tradizione” che sembrava imporre alla Chiesa – semplicemente e tout court – lo “status quo”, sottraendole ogni potere di mutare alcunché. C’era solo una grande fragilità da confessare e nessuna dinamica da promuovere: nessuna ordinazione sacerdotale di donne, nessuna amministrazione della unzione dei malati se non da parte di presbiteri e vescovi, nessuna esclusiva da riservare alla Riforma Liturgica che non potesse impedire al rito precedente di valere come se nulla fosse stato, nessuna possibilità di mediare la legge naturale, la legge divina o la parola di Cristo. Tutti erano “puri dati”, che si imponevano da sé, semplicemente da assumere, secondo il principio di autorità.
Invece le parole che leggiamo all’inizio di AL suonano così: “Ricordando che il tempo è superiore allo spazio, desidero ribadire che non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero. Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano. Questo succederà fino a quando lo Spirito ci farà giungere alla verità completa (cfr Gv 16,13), cioè quando ci introdurrà perfettamente nel mistero di Cristo e potremo vedere tutto con il suo sguardo” (AL 3).
E’ da notare che mentre la autolimitazione del magistero che abbiamo dovuto registrare sotto Giovanni Paolo II e sotto Benedetto XVI era incline a chiudere i dibattiti, a reprimere la libertà di parola, a emarginare il dissenso, in questo caso Francesco vuole quasi stimolare la discussione rinunciando a intervenire con un “pronunciamento dirimente”. Nel primo caso l’autorità è a protezione dello “status quo“, mentre nel secondo caso la autorità consente un mutamento e una variazione. In questo caso, potremmo dire, si assume la autorità di riconoscere altre autorità, per lasciare iniziare, nel tempo, processi autorevoli. Il principio della superiorità del tempo sulla spazio è in realtà una precisa e potente teorie dell’esercizio del magistero. Che riconosce la priorità paziente dell’iniziare processi inclusivi piuttosto che quella di occupare spazi escludenti ed esclusivi. “Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi” (Evangelii gaudium, 223).
D’altra parte, al numero precedente, il testo di AL aveva affermato: “la complessità delle tematiche proposte ci ha mostrato la necessità di continuare ad approfondire con libertà alcune questioni dottrinali, morali, spirituali e pastorali. La riflessione dei pastori e dei teologi, se è fedele alla Chiesa, onesta, realistica e creativa, ci aiuterà a raggiungere una maggiore chiarezza” (AL 2). L’invito ad approfondire, il confronto augurabile tra pastori e teologi diventa “esercizio di magistero autorevole”. Questo è un cambiamento strutturale del modo di intendere la funzione magisteriale. Essa custodisce la Chiesa nella verità non attraverso un impedimento, ma piuttosto con il favorire l’ascolto reciproco, il confronto e il dialogo.
b) una successione storica e argomentativa autorevole. AL non piove certo dal cielo! Sta alla fine di un lungo sviluppo, che inizia già nel 1880, e poi giù giù, passando per Casti Connubii e Gaudium et Spes, arrivando infine a Humanae Vitae e a Familiaris Consortio. Ma riconoscere questo debito obiettivo non significa affatto capovolgere le priorità a tal punto da pensare che si debba interpretare la storia al contrario. Non si interpreta la Costituzione Italiana alla luce dello Statuto Albertino, né si legge Dei Verbum alla luce di Dei Filius, ma viceversa. Certo, senza quelle premesse, AL non avrebbe potuto esserci. Ma, normativamente, è AL a ridefinire il linguaggio e la disciplina di FC e non viceversa! Siccome non è mancato chi – in modo tanto arrischiato quanto sorprendente – ha osato provare a capovolgere le cose, occorre ribadire che, almeno su questo piano, AL è inserita nell’alveo normale del magistero ecclesiale, con la sua gerarchia delle fonti. Ed è singolare, in questo caso, che siano uomini della gerarchia a non riconoscere la gerarchia. Per contestare seriamente tutto questo si dovrebbe poter provare o che AL non è una Esortazione Apostolica Postsinodale (esattamente come FC, ma di 35 anni dopo) oppure che FC è in realtà un testo del 2019! Ma ci sarebbe una alternativa ulteriore: riuscire a dimostrare, con opportuna retrodatazione, che AL è un testo del 1980, di modo che FC, del 1981, possa risultare successiva e quindi superiore nella gerarchia delle fonti…Finzione per finzione, questa almeno avrebbe una sua parvenza di dignità.
c) uso di registri diversi, nei diversi capitoli e all’interno dei singoli capitoli. Occorre aggiungere, ad onor del vero, che il magistero di Francesco, assumendo la linea di un “pensiero incompiuto” – sulla scia di due “sinodi approssimati” – usa la “variatio” come metodo espositivo. Non solo assume i tratti della “dolce lunghezza” come una musica schubertiana, ma anche fa proprie le variazioni continue dello stesso tema. E così passa da un capitolo biblico-sapienziale ad uno descrittivo-ermeneutico, da un “trattatello sull’amore” ad una raffinata meditazione morale, da fini distinguo di teologia morale ad una parenesi spirituale sul generare o sulla spiritualità familiare. Insomma, chi coltiva nostalgie di definizioni dogmatiche e di canoni di condanna, dopo la grande delusione del Vaticano II, e dopo qualche sostanzioso recupero negli ultimi 30 anni, ora può dire sconsolato a se stesso: ma dove è finito il magistero che faceva paura? e questo magistero senza corruccio, ma così scandalosamente lieto e gioioso, è ancora magistero? Questo è il magistero della misericordia, con cui Giovanni XXIII ha iniziato in Concilio Vaticano II, con cui Paolo VI lo ha portato a termine e al quale Francesco si riallaccia con una nuova, coraggiosa e profetica continuità. Non ci sono definizioni. Non ci sono condanne. Anzi, l’unica proposizione che si possa e si debba condannare è l’esclusione stessa: “”la Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona. La Sposa di Cristo fa suo il comportamento del Figlio di Dio che a tutti va incontro senza escludere nessuno “. (MV, 12).
d) E la dottrina? cambia o non cambia? Da tutto quanto abbiamo detto fin qui deriva, anche, un modo di restare fedeli al “depositum fidei“, alla sostanza della antica dottrina, senza cambiarne il contenuto, ma offrendone una buona traduzione. La traduzione è servizio al contenuto mediante un altro “rivestimento”. Francesco traduce la tradizione. Sa che è l’unico modo per darle ancora vita, forza, impulso, freschezza. Tradurre non significa cambiare, ma significa trasmettere. Per comunicare la tradizione occorre tradurla. Ciò che il magistero ha accettato, in AL, è di tradurre la sostanza dell’antica dottrina del depositum fidei. La tradizione è fragile, certo, ma deve essere sempre dinamica. Muore nelle mani di chi non la sa trattare, ad es. mettendola sotto una teca; essa ha invece bisogno di essere resa dinamica, nella polarità tra Cristo e la Chiesa. In questo modo, tra fragilità e dinamicità, la tradizione dell’amore e del matrimonio, della famiglia e della generazione, non è più spazio da occupare, ma processo da accompagnare, su cui discernere e da integrare. Capolavoro di dottrina salvaguardata mediante una coraggiosa traduzione, compiuta dal Papa in comunione con il Sinodo dei Vescovi. Questo è ciò che ha la forza per “dare struttura teologica” al Magistero papale: rispetto a questo grande evento ecclesiale e collegiale, non ci si aspetterà certo che il Magistero papale possa ricevere una strutturazione adeguata dallo zelo ben intenzionato, ma solitario e unilaterale, di un pur valente Funzionario o di un super-attrezzato Ufficio di Curia!
Andrea Grillo Come se non 13 aprile 2016
www.cittadellaeditrice.com/munera/alla-scoperta-di-amoris-laetitia-3-come-cambia-il-magistero-e-come-si-traduce-la-dottrina
Alla scoperta di AL (/4): testo biblico e meravigliosa complicatezza. Sull’uso canonistico della Scrittura
Come abbiamo già rilevato nel n. 2 di questa rubrica, le conseguenze di AL si fanno sentire anche sul piano di una rinnovata “ermeneutica giuridica” dell’amore e del matrimonio. Abbiamo bisogno di “mutare sguardo” anche nel modo con cui la tradizione legge se stessa, con le dovute priorità. Il rispetto da portare per il testo biblico, nel ricostruire la tradizione, diviene un punto qualificante della “rilettura” che qualifica AL e che fa discendere da essa conseguenze nella concezione della dottrina e nelle forme della disciplina. In un articolo importante, Adriàn Taranzano, biblista argentino, studia il testo paolino che è alla base di documenti dottrinali e giuridici dove viene fondata nella tradizione la “persistenza ostinata nel peccato grave”, come motivo di scomunica sacramentale stabilita dal can. 915. Si tratta di una lettura molto utile, che chiarisce in modo competente e profondo, come dovrà orientarsi la applicazione pastorale e giuridica alla luce di AL. Qui di seguito una sintesi dello studio, curata dallo stesso autore, che ringrazio di cuore.
Andrea Grillo come se non 15 aprile 2016
www.cittadellaeditrice.com/munera/alla-scoperta-di-amoris-laetitia-4-testo-biblico-e-meravigliosa-complicatezza-sulluso-canonistico-della-scrittura/
Un testo “fuori del suo contesto”: 1Cor 11, 17-34
Nella recente Esortazione Apostolica Amoris Laetitia papa Francesco fa un’affermazione quasi en passant: “… è opportuno prendere molto sul serio un testo biblico che si è soliti interpretare fuori del suo contesto, o in una maniera molto generale, per cui si può disattendere il suo significato più immediato e diretto, che è marcatamente sociale. Si tratta di 1 Cor 11,17-34, dove san Paolo affronta una situazione vergognosa della comunità.” (AL 185). Si tratta di un testo che merita un’analisi approfondita. Di fatto, è il testo fondamentale che ispira la disciplina vigente riguardo all’accesso o meno ai sacramenti. Il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi lo palesa nella Dichiarazione circa l’ammissibilità alla santa comunione dei divorziati risposati del 24 giugno 2000, 1: “La proibizione fatta nel citato canone (= 915), per sua natura, deriva dalla legge divina e trascende l’ambito delle leggi ecclesiastiche positive: queste non possono indurre cambiamenti legislativi che si oppongano alla dottrina della Chiesa. Il testo scritturistico cui si rifà sempre la tradizione ecclesiale è quello di San Paolo: “Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1Cor11, 27-29).”
Facendo un paragone col canone 712 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali che parla di escludere gli “indegni” dall’eucarestia, la dichiarazione descrive i gravi danni che si seguirebbero da una prassi diversa da quella in vigore: “In effetti, ricevere il corpo di Cristo essendo pubblicamente indegno costituisce un danno oggettivo per la comunione ecclesiale; è un comportamento che attenta ai diritti della Chiesa e di tutti i fedeli a vivere in coerenza con le esigenze di quella comunione. Nel caso concreto dell’ammissione alla sacra Comunione dei fedeli divorziati risposati, lo scandalo, inteso quale azione che muove gli altri verso il male, riguarda nel contempo il sacramento dell’Eucaristia e l’indissolubilità del matrimonio.” (…)
Mangiare e bere la propria “condanna”? Il punto di partenza del rimprovero paolino sono le divisioni della comunità (cf. 1 Co 11,18). L’insistenza su questo problema suggerisce che queste divisioni sono piuttosto atteggiamenti comunitari, legati a questioni di status (…) Paolo denuncia con chiarezza questi abusi (1 Co 8-14) in un marcato contesto ecclesiologico. Nel nostro passo, l’apostolo costata che l’assemblea riunita non corrisponde con la “cena del Signore” (cf. 1 Co 11,20). Nella stessa assemblea convive l’eccesso di alcuni col bisogno degli altri. Qui è rimproverata la mancata comunione e l’attenzione ai bisognosi. L’apostolo accenna al motivo dello scandalo: mentre uno è ubriaco, l’altro ha fame (cf. 1 Co 11,21). Non si percepisce la differenza tra la cena del Signore e il cibo normale mangiato nelle loro case. Tutto ciò implica disprezzare (kataphronéo) la chiesa di Dio e umiliare (kataisjýno) quelli che non hanno nulla (toús mè éjontas). Quest’atteggiamento spensierato contraddice la verità più profonda dell’assemblea eucaristica, perché la sua identità è la commemorazione della cena del Signore in quella notte in cui fu tradito (cf. 1 Co 11,23-25). Ogni volta che si mangia il pane e si beve al calice, si annunzia la sua morte finché Egli verrà (1 Co 11,26).
In questo contesto, Paolo afferma che “chiunque mangia di questo pane o beve del calice del Signore indegnamente, sarà colpevole del corpo e del sangue del Signore” (1 Co 11,27). L’avverbio usato è anaxíos. D. Fee sostiene che qui non si fa riferimento a una disposizione personale – a uno stato – bensì alla maniera di partecipare alla cena (The First Epistle to the Corinthians, 560). L’unico altro passo biblico in cui compare l’avverbio è 2 Mac 14,42 dove si parla di Razis, chi preferisce “morire nobilmente piuttosto che cadere nelle mani di quegli scellerati ed essere oltraggiato in modo indegno (anaxíos) della sua nobiltà.” Anche Schrage considera che l’atteggiamento sbagliato nel passo è quello di pensare al proprio pasto (ídion deipnon), il disprezzo verso la comunità e gli emarginati (vv. 21-22). Non si può slegare l’avverbio dalla situazione presentata dall’apostolo (cf. 1 Co 11,17-22).
L’espressione “essere colpevole del corpo e del sangue del Signore” si riferisce al corpo e sangue del Signore, consegnato alla croce. Non s’intende qui un “sacrilegio” contri i segni del pane e del vino, bensì contro il Signore stesso. L’idea è analoga a quella di 1 Co 8, 12 dove la colpa contro il fratello suppone un peccato contro Cristo. Dato che non si tratta di una cena qualsiasi, ma del memoriale della morte del Signore, gli abusi contro quelli che non hanno niente sono una mancanza contro il Signore crocefisso.
Paolo non esorta ad astenersi dal banchetto eucaristico, bensì a esaminare se stessi per poi mangiare e bere (cf. 1 Co 11,28). C’è una nuova ragione: chi mangia e beve senza discernere il corpo (mè diakrínon tò soma), mangia e beve un giudizio (kríma) su di sé (1 Co 11,29). Discernere il “corpo” può avere un significato cristologico oppure ecclesiologico, come suggerisce piuttosto il v. 31, ma non si riferisce al segno sacramentale, come p.e., distinguere il pane comune da quello. Il mangiare e bere il kríma s’interpreta di solito come un riferimento alla condanna, in senso escatologico. Un’attenzione però al contesto esclude quest’interpretazione. Paolo spiega la sua affermazione con riferimento a fatti concreti: e per questo (dià touto) che tra i corinzi ci sono degli infermi, malati e molti muoiono (1 Co 11,30). Questo è il giudizio o punizione che si mangia o beve ogni volta che non si discerne il corpo e il sangue, rendendosi colpevoli verso il corpo e del sangue del Signore. A quanto pare, l’apostolo fa riferimento a una vicenda conosciuta nella comunità, interpretata come punizione divina. Nella lettera è presente quest’idea tramite gli esempi dalla storia di Israele (1 Co 10,1-10; cf. Lv 25,1-9). Per Paolo, i corinzi sono di fatto puniti. Se invece, i corinzi esaminassero se stessi (ei dè heautoùs diekrínomen), come si dice nel v. 29, allora non sarebbero puniti (ouk àn ekrinómetha). Paolo parla di giudizio o punizione, non di condanna. Inoltre, questo giudizio ha un senso pedagogico (paideuómetha: 1 Co 11,32). La punizione pedagogica ha come scopo la salvezza: affinché non siano condannati col mondo (hína mè syn to? kósm? katakrithõmen).
In poche parole. Mangiare e bere il pane e il vino indegnamente, cioè, senza discernere il corpo, implica il pericolo di una punizione. I fatti lo dimostrano. Tuttavia, lo scopo è evitare la condanna! Un’interpretazione accurata del testo consente di superare un’applicazione anacronistica del passo. A mio avviso, una tale lettura è responsabili di posizioni intransigenti e rigide. F. Moloney lamenta che non di rado il testo sia stato malinteso. È stato usato come un dictum probans di una tesi a priori. La necessaria attualizzazione del testo non può prescindere dal suo senso originale. L’amore per la verità implica la purificazioni di interpretazioni, anche tradizionali (cf. CCC 83). Paolo non pensa qui a uno stato di peccato mortale, ma chiede senz’altro una vita coerente col mistero della croce del Signore. Partecipare alla cena implica l’apertura della propria esistenza al mistero di un Cristo consegnato per la salvezza di tutti. Pensare alle condizioni concrete è compito del discernimento della chiesa.
Estratto da Adrián Taranzano, ¿Se disuelve la indisolubilidad matrimonial? Consideraciones acerca del debate en torno al próximo Sínodo, en: Teología 115 (2014), 185-213, qui: 201-208.
con citazioni http://www.cittadellaeditrice.com/munera/alla-scoperta-di-amoris-laetitia-4-testo-biblico-e-meravigliosa-complicatezza-sulluso-canonistico-della-scrittura
La svolta pastorale di papa Francesco.
Con il titolo Amoris laetitia papa Francesco ha pubblicato l’esortazione apostolica postsinodale che conclude (ma in un certo senso anche riapre) il dibattito che ha coinvolto la chiesa cattolica tra 2014 e 2015 sui temi del matrimonio e della famiglia. Con nove capitoli, 325 paragrafi, e 391 note a piè di pagina è un testo molto più lungo della Familiaris consortio di Giovanni Paolo II (1981), anche a causa del linguaggio di tipo catechetico.
Quello di Giovanni Paolo II e di Francesco sono testi formalmente dello stesso tipo – esortazioni apostoliche postsinodali – ma di natura diversa: il Sinodo di papa Francesco in due tappe, ottobre 2014 e ottobre 2015, è stato un dibattito sinodale vero, aperto, e a tratti aspro, in cui l’opposizione a papa Francesco non ha esitato a criticare il papa in un modo che non venne mai usato nei confronti dei predecessori. Ciononostante, Francesco in Amoris laetitia non esita a indicare la direzione di marcia della chiesa della misericordia che ha in mente: lo fa citando abbondantemente dalle relazioni finali dei Sinodi 2014 e 2015, e in particolare dai testi approvati dalla maggioranza, ma rigettati da una consistente minoranza (in particolare i numeri 84, 85 e 86 della relazione finale del 2015).
Amoris laetitia è un documento di papa Francesco, ma anche della chiesa di Francesco (con citazioni dalle conferenze episcopali, come negli altri documenti di Francesco). Vi sono alcuni chiari passi in avanti, alcune esitazioni e compromessi, e alcuni silenzi in attesa della maturazione del “discernimento” (termine-chiave per il gesuita Bergoglio) all’interno della chiesa. La parte dei silenzi e dei testi non pienamente maturi riguarda le questioni più divisive a livello globale: Chiesa e omosessuali, e la donna nella chiesa. Sugli omosessuali Amoris laetitia ribadisce la necessità di non escludere nessuno dalla chiesa (par. 250-251), ma si ferma allo stop imposto al Sinodo 2015 dalla minoranza e in sostanza cita il Catechismo. Sulla donna, la figura materna e paterna e la questione del gender, il testo ha la sua parte più debole, dovuta anche al fatto che il Sinodo sostanzialmente non ha discusso questi temi, complice la debolezza teologica di gran parte dei vescovi.
La parte di compromesso è quella attorno all’eredità di Paolo VI e Giovanni Paolo II, specialmente sulla contraccezione, che papa Francesco lascia molto sfumata accentuando il discorso sulla coscienza e sulla paternità e maternità responsabile (par. 68 e 82).
Un significativo compromesso, ma con una chiara apertura si ha sulla questione dei divorziati risposati: il documento non cita la “comunione spirituale” (fin qui prospettata dalla chiesa pre-Francesco ai divorziati risposati come alternativa all’eucarestia); rigetta l’esclusivismo che fa sentire i cattolici in situazioni difficili come scomunicati (par. 243); parla delle forme non matrimoniali di unione come “occasioni da accompagnare verso il matrimonio” (par. 293); parla di “gradualità nell’esercizio prudenziale degli atti liberi in soggetti che non sono in condizione di comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze oggettive della legge” (par. 295); rende chiaro che “non esistono semplici ricette” per i casi difficili (par. 298) e in un’importante nota a piè di pagina 329 riconosce i rischi insiti nel chiedere ai divorziati risposati di “vivere come fratello e sorella”.
La parte più genuinamente bergogliana è quella in cui Amoris laetitia che affronta la questione della pastoralità di fronte alla dottrina e alla legge. Vi sono alcuni paragrafi che esprimono la teologia di Francesco e danno il tono a tutto il documento. All’inizio del testo Francesco precisa che “non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero” (par. 3). Invita a considerare “la situazione attuale delle famiglie, in ordine a tenere i piedi per terra” (par. 6). Richiede che “tutti si vedano molto interpellati dal capitolo ottavo” sulle sfide pastorali della vita reale dei fedeli (par. 6). Una sezione molto forte è ai numeri 36-38, in cui Francesco ammette che nel linguaggio della chiesa il fine procreativo ha talvolta oscurato quello unitivo, così rendendo l’istituto del matrimonio non attraente (par. 36).
Riconosce che la Chiesa ha usato eccessiva enfasi sulle questioni dottrinali, bioetiche e morali (par. 37), e nota l’eccesso di reazioni della chiesa contro “il mondo decadente” (par. 38) indicando invece a modello il comportamento di Gesù con l’adultera. Il significato della svolta pastorale di papa Francesco è racchiuso nel paragrafo 304:
“È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano”. Amoris laetitia corrisponde alle attese di chi sperava da papa Francesco un nuovo approccio alle questioni nuove (nuove per i tempi lunghi della Chiesa) su matrimonio e famiglia, e delude quelli che speravano in cambiamenti radicali. I cambiamenti per i divorziati risposati ci saranno nella pratica a seconda della recezione che vescovi e preti daranno al documento. Ma è chiara la direzione in cui Francesco intende guidare una chiesa alle prese con enormi cambiamenti socio-culturali. È un documento lungo e complesso che riflette un cattolicesimo globale in cui matrimonio e famiglia sono ormai realtà molto più diversificate che ai tempi del concilio di Trento, che 450 anni fa codificò il matrimonio nel mondo cattolico occidentale.
È un documento che impedisce ai vari schieramenti teologici di dichiarare vittoria o sconfitta totale, ed è frutto dell’elaborazione da parte del papa di un lungo processo sinodale che ha visto i vescovi dividersi visibilmente attorno ad alcune questioni. La Chiesa di Francesco continua il suo cammino verso una de-ideologizzazione del suo magistero, verso una maggiore inclusività, e verso una misericordia che prende come modello Gesù con la samaritana. Rimane da vedere che tipo di recezione avrà Amoris laetitia. Non si era mai vista un’esortazione post-sinodale come questa, non si era mai avuto un sinodo vero come quello del 2014-2015.
Massimo Faggioli Huffington Post 8 aprile 2016
www.lindicedelsinodo.it/2016/04/la-svolta-pastorale-di-papa-francesco.html
Famiglie, figli, divorzi. L’esortazione del Papa secondo la psicoanalisi.
Conversazione con Massimo Ammaniti, a cura di Paolo Conti
C’è anche l’ombra di Sigmund Freud, nell’esortazione Amoris Laetitia che papa Francesco ha dedicato alla famiglia. Comunque si percepisce una mano che sa bene cosa sia la sociologia, la psicologia, e persino la psicanalisi. È la tesi di Massimo Ammaniti, noto psicanalista e psicopatologo: «L’aspetto più interessante dell’esortazione è che non si parla più di una famiglia idealizzata ma, con realismo, “delle famiglie” di oggi, proprio “con i piedi per terra”, come si legge.
Così come colpisce, nell’elaborazione, il chiaro riferimento a teorie sociologiche e psicologiche ma anche ad alcuni concetti della stessa psicanalisi».
Vediamo come, professor Ammaniti: «C’è una profonda conoscenza non solo dell’individuo contemporaneo ma anche delle dinamiche familiari dei nostri tempi. Per esempio ci sono espressioni come quella in cui la famiglia viene definita “santuario dell’amore”, che si può benissimo declinare anche laicamente. E lo stesso può avvenire col concetto del “donarsi” all’interno del nucleo familiare, dove si ama e si insegna ai figli come amare».
C’è quindi un passaggio che ha colpito molto lo psicanalista che si è occupato a lungo dei problemi legati alla gravidanza: «Si legge che il padre e la madre “hanno sognato il figlio per nove mesi”. Sigmund Freud, nell’Introduzione al narcisismo, scrive che i figli verranno al mondo per soddisfare i sogni dei genitori e per realizzare quelli insoddisfatti. Nel testo papale si insiste molto sul fatto che la madre non dà solo la vita al figlio ma lo fa nascere nella propria mente. Tema di grandissimo interesse». Perché, dice Ammaniti, c’è la questione dell’inscindibile legame del figlio con la madre: «E anche qui ritrovo il tema dell’attaccamento alla figura materna studiato dal grande psicologo e psicanalista britannico John Bowlby. Attraverso la fiducia verso la madre, il bambino modula la matrice necessaria per tutti i suoi futuri rapporti». E naturalmente c’è la figura del padre, che occupa molto spazio nell’esortazione papale: «Il padre viene visto come una figura che aiuta a individuare i limiti per contenere quella certa onnipotenza infantile, a costruire un’etica per il futuro adulto. Qui c’è traccia dei pericoli indicati dal famoso saggio Verso una società senza padre dello psicologo tedesco Alexander Mitscherlich. In questo contesto si cita anche la parabola del figliol prodigo per spiegare come e perché un padre debba essere pronto ad accogliere il figlio che abbia sbagliato. Un tema che era molto caro allo psicanalista Franco Fornari, che lo studiò a lungo».
Ma non vede ombre, in questa esortazione? «Quando si parla di situazioni imperfette e di famiglie ferite si fa cenno anche a “situazioni irregolari”, quelle ricostruite dopo un divorzio. Penso che questa definizione non faccia giustizia di tutti gli altri sforzi culturali del contesto. È un giudizio di valore che stride col resto: parlare di famiglie “imperfette, ferite” mi sembra più accettabile. Mentre invece è condivisibile l’analisi sulla facilità con cui tante coppie giovani, di fronte alla prima difficoltà, scelgono la via della separazione. Anche un matrimonio laico è legato al progetto di costruzione di una famiglia, quindi dovrebbe essere aperto all’idea del “definitivo” del matrimonio cattolico. Altrimenti c’è il rischio di una coazione a ripetere, cioè alla prospettiva di reiterare la scelta della separazione».
Paolo Conti Corriere della Sera 14 aprile 2016
http://ilsismografo.blogspot.it/2016/04/vaticano-amoris-laetitia-secondo-la.html
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
CHIESA CATTOLICA
Divorziati risposati.
Sui sacramenti, papa Francesco tende una mano ai divorziati risposati. Nell’esortazione “Amoris Laetitia” si affida al discernimento per valutare quali forme di esclusione possono essere superate. Non nomina mai direttamente il sacramento. Ma Papa Francesco, ancora più che in passato, tende la mano alle persone divorziate risposate civilmente. Lo fa senza annunciare “sconti”, ma chiedendo ai presbiteri un impegno concreto affinché un cammino di solido discernimento spirituale accompagni la vita del divorziato che ha deciso di rilanciare la propria esistenza con una nuova unione.
Aperture liturgiche e pastorali. Nell’esortazione apostolica il pontefice inserisce questi casi nelle “situazioni irregolari” che tiene in esame (parla non solo di divorziati risposati civilmente ma anche di divorziati che hanno avviato una nuova convivenza). «La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate».
Sono membra vive, non scomunicati. Queste persone «non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo».
E’ importante «far sentire che sono parte della Chiesa, che “non sono scomunicati” e non sono trattati come tali, perché formano sempre la comunione ecclesiale (…). Prendersi cura di loro non è per la comunità cristiana un indebolimento della sua fede e della sua testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale, anzi essa esprime proprio in questa cura la sua carità».
Come concretamente mettere in pratica le indicazioni di Papa Francesco sui divorziati che hanno intrapreso una nuova unione? Nell’esortazione si prefigurano due piani differenti e molto attinenti a casi concreti. Vediamoli.
Il piano giuridico. Un gran numero di Padri, ragiona Francesco, richiamando la Relatio finalis del Sinodo, “ha sottolineato la necessità di rendere più accessibili ed agili, possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità”. Fase delicata e necessaria per il discernimento dei singoli casi per illuminare le coscienze sulla pratica religiosa dell’accesso ai sacramenti che sono accesso al Signore Misericordioso. «La lentezza dei processi – sottolinea il Papa – crea disagio e stanca le persone. I miei due recenti Documenti su tale materia – Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus (15 agosto 2015); Motu proprio Mitis et Misericors Iesus (15 agosto 2015) – hanno portato ad una semplificazione delle procedure per una eventuale dichiarazione di nullità matrimoniale».
I vescovi e le cause di nullità. Attraverso di essi, evidenzia Francesco, «ho anche voluto rendere evidente che lo stesso Vescovo nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo, è per ciò stesso giudice tra i fedeli a lui affidati. Perciò, l’attuazione di questi documenti costituisce una grande responsabilità per gli Ordinari diocesani, chiamati a giudicare loro stessi alcune cause e, in ogni modo, ad assicurare un accesso più facile dei fedeli alla giustizia».
Il piano pastorale. Sul piano pastorale, Francesco evidenzia le diverse tipologie di casi. Ci sono situazioni in cui ormai il divorzio è avvenuto da tempo e la persona si è formata una nuova vita, pienamente consapevole del suo passato. E situazioni tumultuose con separazioni fresche agganciate all’avvio di nuove storie sentimentali. A seconda di questi casi esorta i presbiteri a tener conto delle indicazioni della Relatio finalis del Sinodo: i presbiteri hanno il compito di “accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo”.
Una riflessione profonda. In questo processo, dice il pontefice, citando la Relatio finalis del Sinodo, “sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno“.
Foro interno, umiltà e riservatezza. Si tratta di «un itinerario di accompagnamento e di discernimento che orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio. Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere». Perché questo avvenga, «vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta ad essa».
Nessuna “eccezione” superficiale. Questi atteggiamenti, avverte Francesco, «sono fondamentali per evitare il grave rischio di messaggi sbagliati, come l’idea che qualche sacerdote possa concedere rapidamente “eccezioni”, o che esistano persone che possano ottenere privilegi sacramentali in cambio di favori».
Gelsomino Del Guercio Aleteia 8 aprile 2016
http://it.aleteia.org/2016/04/08/sui-sacramenti-papa-francesco-tende-una-mano-ai-divorziati-risposati/
Le aperture di papa Francesco sulla famiglia.
Il paradigma di Papa Francesco. L’esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia (la gioia dell’amore) sull’amore nella famiglia, è in continuità con l’esortazione Evangelii gaudium (la gioia del Vangelo), il primo e programmatico documento del suo pontificato. È un testo lungo. Forse troppo. Ma scritto con un linguaggio semplice e creativo.
Non è un catechismo, non è una silloge di principi sul tema del matrimonio e della famiglia. Non si rinuncia a nulla della tradizione. Ma tutto viene reinterpretato. È, come ha acutamente sottolineato l’arcivescovo di Vienna, cardinale Schönborn, un itinerario di discernimento pastorale e personale. Un itinerario interpretativo della realtà nella luce del Vangelo.
Se si fosse assunto il criterio dell’affermazione dei principi ne sarebbe seguita l’elencazione delle norme e delle loro eccezioni, eventualmente le sanzioni. Alla categorizzazione segue la catalogazione. La norma fonda il concetto di «regolare» e «irregolare». Ci sono matrimoni regolari e irregolari. Vite regolari e irregolari. Amori regolari e irregolari. Ma la realtà non è una dimensione semplice. Essa è come scomposta, spezzata, frammentata come i volti e le figure. Non si lascia sistemare. Non esiste un unico punto di vista da cui tutto si comprende perché da esso tutto discende.
Il XX secolo si è inaugurato nella musica, nella letteratura e nell’arte, per non dire della politica, della filosofia e della psicanalisi, all’insegna dell’epistemologia della complessità. Ognuno di noi (vescovi inclusi) incontra nella propria cerchia familiare e nella propria esperienza situazioni irregolari. Nel Vangelo di Matteo (9,12-13; e nel parallelo di Marco 2,17) Gesù ironizza su questo: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Il modello di papa Francesco è un modello narrativo, alla stregua delle scritture. Per questo papa Francesco ha posto la sua esortazione sotto il paradigma della misericordia. Egli afferma: «Si tratta di integrare tutti» (AL 297). Egli parla a tutte le situazioni superando il dualismo ecclesiastico di interno ed esterno. Il paradigma della misericordia è quello di tutti accogliere, perché nessuno può dire: il mio matrimonio va bene.
Papa Francesco non lascia nessun dubbio sulle intenzioni della Chiesa. «Come cristiani non possiamo rinunciare a proporre il matrimonio allo scopo di non contraddire la sensibilità attuale, per essere alla moda, o per sentimenti di inferiorità di fronte al degrado morale e umano. Staremmo privando il mondo dei valori che possiamo e dobbiamo offrire. Certo, non ha senso fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare qualcosa. Neppure serve pretendere di imporre norme con la forza dell’autorità. Ci è chiesto uno sforzo più responsabile e generoso, che consiste nel presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia, così che le persone siano più disposte a rispondere alla grazia che Dio offre loro» (AL 35).
Eppure egli cambia il discorso ecclesiale. Prende atto della insufficienza della semplice affermazione dei principi. Egli torna alla forma del racconto evangelico. Non solo e non tanto perché di fronte al crollo morale delle nostre società ripartire di lì consente di rinnovare le formulazioni dei principi. Ma perché egli sa che la forma del racconto è la forma con cui Dio si rivela nella vita e nella storia. E il tema della misericordia (misericordia esigente, non a buon prezzo, che chiede di cambiare la vita) è il tema della relazione di Dio con l’umanità. Il contenuto degli insegnamenti, il significato dell’alleanza di Dio col suo popolo, o i gesti e gli atti compiuti da Gesù sono compresi in questo dinamismo rischioso, che è il rischio di amare. Il resto segue.
Il resto segue. Chi si aspettava una rivoluzione nelle norme resta deluso. Difficile una nuova normativa canonica applicabile a tutti i casi: dalla comunione ai divorziati risposati, al rapporto affettivo tra persone dello stesso sesso. Il sinodo aveva proposto un cammino di discernimento che il papa fa suo: «Si tratta – egli dice – di un itinerario di accompagnamento e di discernimento che orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio».
Gianfranco Brunelli Il Sole24 9 aprile 2016.
www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2016-04-09/le-aperture-papa-francesco-famiglia-095603.shtml?uuid=ACstcT4C
Riletture. Divorziare all’evangelica.
Intervista a Vinicio Albanesi a cura di Marco Burini estratto
(…) ” (…pag. 2) L’unica strada di riforma è il ritorno all’essenzialità del messaggio: tale invito riporta alla sostanza della missione della chiesa. Un processo che cambia nel tempo ma che rimane simile perché è la risposta a un invito che è venuto dall’alto”.
La parola sostanza mi fa tornare in mente la vecchia metafisica con cui qualcuno si ostina ad affrontare la realtà più viva. Nella classe dirigente ecclesiastica, con l’ausilio di qualche teologo asserragliato nella giungla, la legge naturale va ancora forte come puntello dell’indissolubilità matrimoniale, uno dei punti caldi del sinodo.
Albanesi la prende alla lontana: “La riscoperta nel diritto naturale è avvenuta dopo le aberrazioni della Seconda guerra mondiale, la Shoah soprattutto. Ne è nata tutta una riflessione che ha portato alla Carta dei diritti dell’uomo dell’Onu. Di per sé, però, la legge naturale in filosofia del diritto è di tradizione cattolica, a partire da Tommaso. Dio è creatore e immette nel cuore dell’uomo i fondamenti dell’agire umano. A ben guardare gli stessi comandamenti, eccetto i primi tre, sono leggi di convivenza, una serie di indicazioni per la vita pacifica. Nella concezione medievale la legge naturale si identifica, almeno nella cultura occidentale, con il cristianesimo. Dopo l’illuminismo, però, entra in crisi e perde il riferimento trascendente: da allora la legge naturale, per molti giuristi, nasce come frutto del costume e della presa di coscienza, da parte dei governanti, degli usi del popolo; questo vale specialmente in campo economico”.
Quindi non si può dire con assoluta certezza che l’indissolubilità dipende dalla legge naturale.
“Molti canonisti sostengono che l’indissolubilità sia un’aggiunta voluta da Cristo, non qualcosa d’intrinseco al matrimonio – osserva il canonista – L’esempio classico viene dall’antropologia culturale: le tribù giovani, in fase di espansione, praticano e legittimano la poligamia perché cercano di procreare il più possibile. Quelli che gli autori classici chiamavano i costumi dei pagani. E a ben vedere oggi la legge è ridiventata pagana. Utero in affitto, fecondazione eterologa, eccetera: altro che legge naturale, oggi lo stato non fa che regolamentare le scoperte della scienza o le attitudini personali…”.
Che i due (e non più di due) siano una cosa sola, dice invece la Scrittura.
“Sì, ma non dice: siate unici. Dice: siate uniti, cioè che ci si sia stabilità tra voi due”.
Quindi è la dottrina cattolica, non la legge naturale, a esigere il matrimonio indissolubile.
“Cosa che nessuna tradizione cristiana, né quella cattolica né quella ortodossa né quella protestante, ha mai messo in discussione. Neanche le cosiddette seconde nozze degli ortodossi smentisconol’indissolubilità dell’unione. Ma la vera domanda è: cosa fare quando un matrimonio fallisce?”.
C’è chi dice che la proposta di Kasper &Co. porta il divorzio in chiesa.
“Per niente. Kasper si fa piuttosto una domanda molto realistica: di fronte a un matrimonio che fallisce ci mettiamo sopra una pietra tombale o andiamo a vedere cosa succede? Kasper non mette affatto in discussione l’indissolubilità ma cerca di ragionare a partire dai fatti”.
Un pragmatismo non sconosciuto alla chiesa, se è vero che il chierico ridotto allo stato laicale (si dice proprio così, “ridotto”) viene dispensato dal vincolo.
“Tu sei sacerdote in eterno, recita la formula classica, eppure quando un prete lascia il ministero, al termine di una apposita istruttoria canonica di tipo amministrativo, viene dispensato dagli obblighi derivanti dall’ordinazione; dunque si interrompono gli effetti del sacramento. Eppure uno spretato può assolvere una persona in articulo mortis”.
E’ il celebre finale del “Diario di un curato di campagna”. E perché, chiedo, la stessa dispensa non potrebbe valere per un matrimonio che fallisce?
“Perché i preti per sé hanno trovato la soluzione, mentre agli altri impongono gravami…”.
Comunque mi pare di capire che la proposta Kasper sia di questo tipo.
“Che non annulla il matrimonio, casomai gli effetti. Faccio sempre il caso del coniuge innocente. Io sono una persona sposata e all’improvviso vengo abbandonata: a che cosa devo restare fedele, se il matrimonio è un patto a due? Resta fedele al patto, mi viene detto. Ma se i ministri del matrimonio sono gli sposi, come faccio a restare fedele a un patto in cui manca l’altra metà? Stesso discorso quando, nelle cause di nullità, c’è il dolo: ad esempio l’errore di persona, oppure la scoperta che il partner è omosessuale. Anche qui la domanda è: sono fedele a chi? Quelli che difendono il vincolo rispondono: al sacramento. Ma la materia del sacramento matrimonio sono proprio i due sposi!”.
Anche nel caso del coniuge colpevole, cioè colui che rompe il patto, le cose non sono scontate.
“Ammesso che ci sia tradimento e abbandono da parte di uno dei due, questo peccato è eterno oppure il colpevole ha la possibilità di essere riaccolto, se non dall’altro coniuge almeno dalla comunità?”, domanda Albanesi.
Perciò il problema non va spostato su piani metafisici, arroccandosi su presupposti giuridici incerti. Il punto vero è comprendere cosa succede quando un patto salta, sia per chi lo subisce sia per chi lo rompe.
“Come canonista dico che l’innocente ha diritto a condurre una seconda vita perché non ha la grazia sufficiente per essere celibe. Tu, chiesa, mi condanni a essere celibe perché sono stato abbandonato, cioè vengo punito per un’ingiustizia che ho subito. E’ aberrante!”.
Ma gli inflessibili custodi della Dottrina scongiurano di “permanere nella verità”, costi quel che costi.
“Sono i nuovi tuzioristi: obbligano a una legge più severa della legge ordinaria. Un’oppressione bella e buona. Per amore della giustizia costoro finiscono per commettere un’enorme ingiustizia”.
Entrando in alcune fattispecie, il canonista di periferia ne mette in luce l’ambiguità.
“Com’è noto, il matrimonio rato non consumato può essere sciolto per dispensa del Papa. Ma c’è qualcosa che non mi torna: prima si dice che il matrimonio si fonda sul consenso delle parti, poi siccome l’atto procreativo non è avvenuto, si dispensa”.
Stesso discorso per il privilegio paolino, cioè la possibilità di sciogliere un matrimonio “in favore della fede” nel caso che, di due coniugi non battezzati, solo uno riceva successivamente il battesimo e l’altro rifiuti di convertirsi o almeno di convivere pacificamente.
“Ma non si dice sempre che il matrimonio è un consenso tra persone adulte? – osserva Albanesi –Tutte queste eccezioni, in realtà, mettono in luce che in certi casi il Sommo pontefice ha il potere di dispensare. Allora perché in altri no? Si noti bene, il Papa interviene con un atto di grazia e non in forza di un’invalidità. Qui non c’entra la nullità, è una grazia; viene sciolta cioè un’unione che a tutti gli effetti era ritenuta valida”.
Per quanto riguarda la commissione per snellire le cause di nullità appena istituita da Francesco, Albanesi è perplesso.
“Si finisce in un terreno un po’ infido. Ricorre ai tribunali ecclesiastici il dieci per cento delle persone separate in un anno. Una prassi più celere può far aumentare il numero delle situazioni esaminate. Ma credere che si risolvano i problemi dei divorziati risposati con le cause di nullità è un aiutino, non la soluzione”.
In ogni caso, don Vinicio sostiene che “avere intenzione di stare uniti tutta la vita è un atto eroico, una grazia, invece stare uniti e procreare è un atto ordinario, semplice. Infatti il consenso che si esprime al momento del matrimonio è frutto di innamoramento e di progetto. Credere invece che quel consenso leghi per tutta la vita presuppone un atto di fede perché gli sposi, davanti a Dio e a tutta la comunità, si impegnano a rimanere uniti nella buona e nella cattiva sorte, per sempre. Solo invocando Dio si può rimanere fedeli a quel consenso nel caso le cose andassero male: la differenza appunto che esiste tra un contratto umano e il sacramento. Infatti il diritto civile, quando la convivenza va male, non va a toccare la validità di quel consenso, ma interrompe gli effetti civili del matrimonio, benevolmente o per colpa”.
Ma in fin dei conti il matrimonio cristiano è un contratto o una comunione di vita?
“Fino a poco fa – osserva Albanesi – la liturgia del matrimonio aveva una formula del tutto laica che non citava né la chiesa né Cristo né la grazia. Era semplicemente un patto tra due persone alla presenza di un testimone, il prete. Non c’era niente di sacro. ‘Io prendo te come mio sposo e io prendo te come mia sposa’, esattamente come il rito civile. Oggi è diventato fondamentale interrogarsi se gli sposi, che pure celebrano le nozze in chiesa, hanno coscienza e maturità di fede sufficienti per aderire consapevolmente e liberamente al sacramento del matrimonio. Lo ricordava Benedetto XVI in un celebre discorso alla Rota Romana in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario il 26 gennaio 2013”. Due settimane prima di dimettersi.
Marco Burini “Il Foglio”, 9 ottobre 2014
www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=numaut62
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
CINQUE PER MILLE
5 per mille 2014: Ecco gli elenchi dei beneficiari.
L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato gli elenchi dei beneficiari del 5 per mille 2014.Gli elenchi contengono importi e numero delle scelte. Quasi 500 milioni di euro da distribuire a 45.332 enti aventi diritto, le associazioni di volontariato sono le più numerose, Emergency capolista.
La somma dei finanziamenti del 2014, relativi alle scelte espresse nelle dichiarazioni dei redditi 2013, ammonta a quasi mezzo miliardo di euro, distribuiti tra volontariato, ricerca sanitaria e scientifica, associazioni sportive e Comuni. Gli elenchi, pubblicati online, sono divisi in base alle categorie di beneficiari; quindi, in ammessi ed esclusi. Per quanto riguarda la distribuzione del totale ai 45.332 enti aventi diritto, le associazioni di volontariato sono le più numerose, esattamente 37.904. Molte di meno sono le associazione sportive dilettantistiche (6.894), gli enti impegnati nella ricerca scientifica (430) e quelli che operano nel settore della sanità (104). Beneficiari sono anche 8.125 Comuni, ai quali spettano 14,9 milioni di euro.
Volontariato. Il 68% del totale delle quote dell’Irpef 2014 è appannaggio degli enti del volontariato, dei quali, anche quest’anno, si conferma capolista Emergency, con quasi 400mila scelte espresse, per un importo complessivo che sfiora i 13,9 milioni di euro. A seguire, Medici senza frontiere, cui vanno 9,7 milioni di euro, con 240mila preferenze. Mentre, sul terzo scalino, sale l’Associazione italiana per al ricerca sul cancro, segnalata 293mila volte per un beneficio di quasi 8,5 milioni di euro. (…).
Pagamenti. L’Agenzia delle entrate, che ha curato la formazione dell’elenco delle Onlus e degli enti del volontariato, collabora con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per l’erogazione delle somme agli aventi diritto. Per velocizzare i tempi di pagamento, è opportuno che tutti gli enti interessati forniscano all’Agenzia le proprie coordinate bancarie o postali, con le modalità illustrate nella apposita pagina: procedura per il pagamento del beneficio.
Agenzia delle entrate 12 aprile 2016
5 per mille 2014, perché tutte le associazioni guadagnano di più?
Due anni fa per la prima volta il 5 per mille poté contare su una dotazione di 500 milioni. Dopo i numerosi tetti degli anni precedenti, gli importi destinati dagli italiani sono così finiti per intero ai beneficiari, facendo lievitare il totale di oltre il 24 per cento. Un vantaggio che continuerà fino al 2017 grazie alla stabilizzazione. In diminuzione invece, anche se lieve, le firme. Ecco tutti gli importi a confronto. Addio tetto, benvenuto “vero” 5 per mille. L’edizione 2014 della misura fiscale è particolare e molto “ricca” perché è la prima dopo molti anni che ha visto sparire – finalmente – l’odioso tetto imposto dalle varie leggi finanziarie al 5 per mille. Una dotazione che, a partire dal 2008, non ha mai superato i 400 milioni annui, azzoppando la generosità degli italiani. In pratica funzionava così. Anche se, per assurdo, tutti i contribuenti avessero devoluto il 5 per mille, raccogliendo per esempio 800 milioni, nelle casse delle associazioni e degli enti beneficiari non sarebbero potuti arrivare più di quei 400 milioni – e di fatto ne arrivavano parecchi di meno.
Una decisione scellerata che ha portato, nei soli anni 2010 e 2011, a uno scippo di 172 milioni: 80 nell’esercizio 2010 e altri 92 l’anno seguente, sottraendo risorse preziose a migliaia e migliaia di realtà non profit e quindi, indirettamente, a tutti coloro che queste realtà assistono o beneficiano. Una grave anomalia che oltre ad aver attirato l’attenzione della Corte dei Conti ha portato nel 2013 alla campagna #sappiatelo portata avanti da Vita, che raccolse 10mila firme contro lo scippo di Stato, e che ha dato i suoi frutti proprio per l’annualità del 5 per mille 2014, la prima con una dotazione di 500 milioni dotazione inserita nella prima Legge di Stabilità di Matteo Renzi.
Ecco spiegato dunque, e i numeri lo confermano, come mai le cifre che le associazioni si trovano in tasca sono lievitate. Finalmente il tetto è stato innalzato a un livello realistico, e così tutti i contributi degli italiani sono andati a buon fine, senza indebite trattenute. Infatti, la raccolta totale del 2014 ammonta a http://www.consultoriofamiliarefondaco.it/?p=1204484.910.997,82 euro contro i 389.996.590,38 del 2013, con un aumento di quasi 100 milioni (+24,3%), come ha rilevato Np Solution, la società di Mario Consorti.
Vediamo ora i totali di raccolta elenco per elenco, confrontandoli con quelli del 2013. Il volontariato raccoglie complessivamente 332.877.367 euro, mentre nel 2013 ne aveva raggranellati 264.352.409 (+25,9%), la ricerca sanitaria fa segnare un +19,8% con 60,1 milioni (esattamente 60.161.825), la ricerca scientifica si attesta a quota 65,8 milioni (65.828.261) con un aumento del 20,6%, mentre le associazioni sportive balzano a 11.208.720 contro gli 8.344.262 del 2013 (+34,3%). Bene anche per i Comuni, destinatari di 14.834.824 contro i 12.563.611 dell’anno precedente (+18%).
Un discorso diverso va fatto invece per quanto riguarda le firme, che per la prima volta calano, anche se di pochissimo. Gli italiani che hanno scelto il 5 per mille nel 2014 sono stati infatti 16.640.008 contro i 16.724.707 del 2013, con una diminuzione di oltre 84mila firme (-0,5%). Speriamo che questo piccolo segnale di disaffezione non venga confermato nell’annualità successiva.
Gabriella Meroni Vita.it 13 aprile 2016
www.vita.it/it/article/2016/04/13/5-per-mille-2014-perche-tutte-le-associazioni-guadagnano-di-piu/139014
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Portogruaro. Le emozioni? Ci parlano di noi
A richiesta sarà riproposto a maggio – giugno il percorso formativo sulle emozioni. Rabbia, tristezza, paura, gioia, amore ci accompagnano ogni giorno. Compagne a volte sgradite, a volte desiderate. A volte ci spaventano e non sappiamo gestirle. Il percorso ci aiuta ad approfondirne la conoscenza, per imparare a considerare le emozioni come un aiuto e non come un ostacolo.
Ciclo di 5 incontri dall’11 maggio all’8 giugno 2016
Conduce la dott.ssa Marilena Brunetti vedi il programma sul pieghevole nel link
www.consultoriofamiliarefondaco.it/?p=1204
Rieti. Lettura ad alta voce per bambini: prosegue il progetto del Consultorio.
Proseguono presso il Consultorio Familiare Sabino Onlus le sessioni di lettura ad alta voce per bambini dai 3 agli 8 anni organizzate per contribuire in modo originale allo sviluppo affettivo e cognitivo dei bambini.
Attraverso letture gratuite, il Consultorio Familiare Sabino intende prendere per mano i piccoli partecipanti facendoli diventare protagonisti dell’attività, camminando con loro nella difficile ma meravigliosa avventura di “diventare grandi.” Protagonisti attivi saranno anche i genitori, invitati sia a condividere l’esperienza che a raccogliere le impressioni dei loro figli.
L’obiettivo è la piena valorizzazione della persona, lo sviluppo del senso dell’identità personale, la maturazione dell’importanza delle regole per uno stile di vita equilibrato, la loro accettazione per giungere ad una armoniosa crescita della persona.
Questi alcuni temi toccati: la gioia della conquista, il riconoscimento e l’accettazione delle diversità, anche caratteriali, la solidarietà, la collaborazione e l’aiuto reciproco, l’amore per la natura, inteso come comportamento eticamente orientato e di appartenenza ad un ambiente di vita da osservare, conoscere, rispettare e tutelare.
I prossimi due appuntamenti in calendario sono previsti per il 22 e 29 aprile, dalle ore 16.45 alle 17.45.
www.frontierarieti.com/wordpress/lettura-ad-alta-voce-per-bambini-prosegue-il-progetto-del-consultorio
Roma 1 via della Pigna 13\a. Le relazioni del 30° Seminario.
Nel XXX Seminario annuale abbiamo celebrato i 50 anni della nostra attività e ricordato il nostro Fondatore, Luciano Cupia. Mettiamo a disposizione i materiali gentilmente preparati dai relatori (cui è la proprietà intellettuale dei testi e presentazioni) delle due giornate.
cliccare su qui www.centrolafamiglia.org/materiali-xxx-seminario-2016
Offerta formativa.
Seminario sulla Resilienza
Il Seminario si rivolge a tutte le persone che desiderano avvicinarsi a questo argomento e sono disposte a compiere un lavoro su sé stesse. Oltre alle spiegazioni necessarie per approfondire l’argomento proposto, ci saranno degli esercizi di autoconoscenza in relazione alla propria resilienza.
Animerà il Seminario la dott.ssa Marzia Pileri, psicoterapeuta, consulente familiare, guida di Meditazione Profonda e Autoconoscenza.
Il Seminario prevede 5 incontri a cadenza quindicinale il giovedì, dalle 16.30 alle 19.00, nei giorni:
21–28 aprile e 12–19–26 maggio 2016
ulteriori dettagli cliccare su qui www.centrolafamiglia.org/seminario-resilienza
Oltre lo stress…Obiettivo benessere. 26 aprile, 3 -10 – 17 – 24 maggio e 7 giugno 2016.
L’auto-consapevolezza è la vera chiave per il nostro benessere. Hai mai pensato che lo stress potesse essere positivo e dipendere in una certa misura dal nostro comportamento? Vuoi impedire che lo stress deformi e rovini il puzzle della vita che ti sei costruita con sacrificio? Se la volontà è quella di non farsi sopraffare dallo stress è necessario imparare a non averne paura e incominciare a prendere coscienza di come i comportamenti e le reazioni emotive non siano determinate esclusivamente dagli eventi esterni, ma da come li percepiamo e da come ci rappresentiamo la realtà. Lo stress colpisce tutti, in modi e momenti diversi e la reazione delle persone allo stress è estremamente variabile. Ci sono momenti in cui non siamo in grado di affrontarlo da solo; cercare aiuto non è segno di debolezza ma piuttosto un riconoscimento che la situazione oltrepassa le nostre capacità. Alla luce di questa realtà, gli incontri intendono fornire ai partecipanti strumenti cognitivi e operativi per leggere i problemi da diverse prospettive: una “filosofia” di vita finalizzata al benessere personale e all’efficacia comportamentale. (…)
Gli incontri sono condotti dalla dr Maria Paola Gazzetti, psicologa, consulente familiare e formatore.
Seminario “Il Conflitto” Fra contesti e dinamiche e alcuni modi per superarlo. 7 maggio 2016
Molto spesso abbiamo una difficoltà ad esternare i nostri bisogni, tanto che la risposta che otteniamo, dal mondo esterno, alla loro soddisfazione è deludente. Attraverso l’autosservazione e la consapevolezza delle proprie dinamiche errate, si può iniziare a camminare con il piede giusto verso l’armonizzazione delle nostre relazioni. Non si può uscire da un problema con lo stesso modo di pensare che ha causato il problema
La prima parte del Seminario è dedicata all’esplorazione del “conflitto” e delle aree conflittuali e si metteranno a confronto le “strategie errate” che solitamente si mettono in scena per risolvere il conflitto con alcuni modi per superare tali dinamiche e vivere le relazioni in modo gratificante. La seconda parte del Seminario è invece interamente dedicata ad attività esperienziali finalizzate all’esplorazione delle emozioni che sottendono la rabbia, alla definizione dei bisogni e all’importanza della loro verbalizzazione.
Il Seminario è aperto a tutti con particolare riguardo ai Consulenti familiari che desiderano consolidare la propria formazione sulla risoluzione dei conflitti relazionali.
Animano il Seminario la dr Sara Capriolo, Psicologa, Consulente familiare e la dr Chiara Narracci, Sociologa, Scrittrice, Consulente e Mediatore familiare.
Seminario Apprendere la “Storia degli Eventi Critici” ed il “Disegno delle relazioni familiari”
Due strumenti per ottimizzare la consulenza familiare 14 maggio 2016
La visualizzazione della propria storia degli eventi critici porta con sé la consapevolezza delle nostre forze e delle nostre debolezze ma soprattutto la coscienza delle nostre risorse interne da attivare nel qui ed ora. La conoscenza dei propri eventi critici permette di valorizzare la resilienza che nel corso del tempo si è attivata e di ampliare il raggio delle nostre possibilità di scelta. La storia degli eventi critici è un importante strumento per affrontare il presente con meno paure e più consapevolezza. Questa integrità consente di scegliere con maggiore lucidità, lungimiranza e libertà la via da percorrere.
La creazione di un disegno delle relazioni familiari è sempre un’esperienza cognitivo-affettiva che, se accompagnata dalle verbalizzazioni di chi lo compila, può far emergere la natura delle relazioni familiari. Rappresenta pertanto un ottimo trampolino di lancio per uno, o più incontri, finalizzati alla presa di coscienza di “dove si è” e di “come si è”. Dalla consapevolezza di sé può nascere un buon “contratto” su come si “vorrebbe essere” e sarà pertanto più semplice lavorare restando sul piano della realtà. L’invitare le persone ad argomentare il proprio disegno, consente in modo efficace di “fotografarsi”. (…).
I due strumenti facilitano pertanto il difficile compito del Consulente familiare, che ha a disposizione un numero limitato di incontri per aiutare le persone a visualizzarsi, centrarsi e coordinarsi per compiere scelte delle quali essere consapevoli. Gli strumenti proposti consentono di guardare velocemente al passato per poter poi concentrare la consulenza nel “qui ed ora”, evidenziando “le cause e gli effetti degli eventi” ed “i limiti e le risorse interne” per gestirsi al meglio!
Pertanto, il Seminario si rivolge principalmente ai Consulenti familiari ed a coloro che hanno frequentato la Scuola per Consulenti familiari.
Animano il Seminario la dr Sara Capriolo, Psicologa, Consulente familiare e la dr Chiara Narracci, Sociologa, Scrittrice, Consulente e Mediatore familiare.
Seminario: Favole e Metafore 28 maggio 2016.
Strumenti per contattare le emozioni ed imparare a gestirle consapevolmente. Favole e metafore sono strumenti utilissimi nella vita per far diventare le persone consapevoli del proprio sentire e del proprio modo di percepire il mondo. Verranno presentati i principi di base dell’Analisi Transazionale di Eric Berne, poiché le favole e le metafore si rivolgono allo stato dell’IO Bambino, che è la sede delle emozioni, del desiderio e dunque anche del cambiamento, perché non esiste cambiamento senza desiderio. Allo stesso tempo essere adulti e responsabili delle nostre relazioni comporta un imparare a gestire le emozioni in modo efficace, attivando consapevolmente l’IO adulto.
Animano il Seminario: la dr Sara Capriolo, Psicologa, Consulente familiare e la dr Chiara Narracci, Sociologa, Scrittrice, Consulente e Mediatore familiare.
– www.centrolafamiglia.org info@centrolafamiglia.org
www.centrolafamiglia.org/seminario-favole-metafore-strumenti-contattare-le-emozioni-ed-imparare-gestirle-consapevolmente
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
DALLA NAVATA
4° Domenica di Pasqua – anno C –17 aprile 2016.
Atti 13, 52 «I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.»
Salmo 100, 02 «Acclamate il Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia, presentatevi a lui con esultanza.»
Apocalisse 07, 17 «E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi.»
Giovanni 10, 29 «Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre.»
Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose.
Con una parabola Gesù cercare di rivelare loro come egli non sia un ladro ma sia il pastore che entra ed esce attraverso la porta dell’ovile, non in incognito, il pastore che cammina davanti a pecore che lo seguono perché riconoscono la sua voce. La parabola però non viene compresa e allora Gesù fa dichiarazioni esplicite su di sé e sulla propria missione: è lui la porta dell’ovile, è lui il pastore buono che, pur di custodire le pecore, è disposto a dare la sua vita, perché ha la capacità di dare la vita per le pecore e di riceverla di nuovo dal Padre (cf. Gv 10,17). Queste parole creano divisione tra quanti lo ascoltano: alcuni lo giudicano indemoniato, altri riconoscono il suo operare carico di salvezza (cf. Gv 10,19-21). In quei giorni “ricorreva a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i capi dei giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: ‘Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente’” (Gv 10,22-24). Gesù è dunque costretto a riprendere la parola per denunciare che la situazione di non fede in lui è dovuta al fatto che quegli ascoltatori non sono sue pecore (cf. Gv 10,26), non sono disposti ad accogliere le sue parole.
A questo punto dobbiamo però fare un’osservazione di grande importanza. Nelle sante Scritture pastori e pecore sono molto presenti, perché facevano parte della società pastorale-agricola in cui la Bibbia è sorta. Essere pastore significava svolgere un mestiere che aveva grande rilevanza e tutti sentivano la figura del pastore come esemplare. Noi oggi siamo lontani da quella situazione, non conosciamo né vediamo, se non raramente, pastori che conducono il gregge; e soprattutto, le pecore non ci appaiono capaci di rappresentarci. Per questi motivi, le parole di Gesù al riguardo non sono più performative come lo erano ai suoi tempi in Palestina. Di conseguenza, non mi soffermo tanto sulle immagini del pastore e delle pecore, ma vorrei approfondire i verbi utilizzati, che nelle parole di Gesù vogliono comunicarci un messaggio su di lui: su Gesù, ovvero su un uomo che ha vissuto realmente tra di noi, che era umano come noi, che ha lasciato una traccia indelebile del suo comportamento nel cuore di quelli che “sono entrati e usciti con lui”.
Innanzitutto Gesù dice che quanti lo seguono, cioè sono suoi discepoli, “ascoltano la sua voce (cf. ibid.). Questo è l’atteggiamento di chi crede: egli crede perché ha ascoltato parole affidabili. È il primo passo che l’essere umano deve compiere per entrare in una relazione: ascoltare, che è molto più del semplice sentire. Ascoltare significa innanzitutto riconoscere colui che parla dalla sua voce, dal suo timbro particolare. Ci vogliono certamente impegno e fatica, ma solo facendo discernimento tra quelli che parlano è possibile ascoltare quella voce che ci raggiunge in verità e con amore. Tutta la fede ebraico-cristiana dipende dall’ascolto – “Shema‘ Jisra’el! Ascolta, Israele!” (Dt 6,5; Mc 12,29 e par.) – e sia nell’Antico sia nel Nuovo Testamento “la fede nasce dall’ascolto” (fides ex auditu: Rm 10,17). Per avere fede in Gesù occorre dunque ascoltarlo, con un’arte che permetta una comunicazione profonda, la quale giorno dopo giorno crea la comunione.
La seconda azione che Gesù presenta come propria delle sue pecore si riassume nel verbo seguire: “Esse mi seguono” (Gv 10,27). Materialmente ciò significa andare dietro a lui ovunque egli vada (cf. Ap 14,4), ma seguirlo anche conformando la nostra vita alla sua, il nostro camminare al modo in cui lui ci chiede di camminare. Il pastore quasi sempre sta davanti al gregge per aprirgli la strada verso pascoli abbondanti, ma a volte sta anche in mezzo, quando le pecore riposano, e sa stare anche dietro, quando le pecore devono essere custodite perché non si perdano. Gesù assume questo comportamento verso la sua comunità, verso di noi, e ci chiede solo di ascoltarlo e di seguirlo senza precederlo e senza attardarci, rischiando di perdere il cammino e l’appartenenza alla comunità.
In questa condivisione di vita, in questo coinvolgimento tra pastore e pecore, tra Gesù e noi, ecco la possibilità della conoscenza: “Io conosco le mie pecore” (Gv 10,27). Certamente Gesù ci conosce prima che noi conosciamo lui, ci scruta anche là dove noi non sappiamo scrutarci; ma se guardiamo a lui fedelmente, se ascoltiamo e “ruminiamo” le sue parole, allora anche noi lo conosciamo. E da questa conoscenza dinamica, sempre più penetrante, ecco nascere l’amore, che si nutre soprattutto di conoscenza. Cor ad cor, presenza dell’uno accanto all’altro, possiamo quindi dire umilmente: “Io e Gesù viviamo insieme”. Gesù è “il pastore buono” (Gv 10,11.14), certo, ma anche l’amico e l’amante fedele, potremmo dire: sentendoci da lui amati, conosciuti, chiamati per nome, penetrati dal suo sguardo amante, allora possiamo decidere di amarlo a nostra volta.
Che cosa attendere dunque da Gesù Cristo? Il dono della vita per sempre (cf. Gv 10,28) e quella convinzione profonda che siamo nella sua mano e che da essa nessuno potrà mai strapparci via (cf. Gv 10,28-29). Sì, la mano di Gesù: mano che ci tocca per guarirci; mano che ci rialza se cadiamo; mano che ci attira a sé quando, come Pietro affondiamo (cf. Mt 14,31); mano che ci offre il pane di vita; mano che si presenta a noi con i segni dell’aver sofferto per darci la vita (cf. Lc 24,39; Gv 20,20.27); mano che ci benedice (cf. Lc 24,50), tesa verso di noi per accarezzarci e consolarci. Ecco quella mano del Signore che più volte è stata dipinta tesa verso l’uomo, perché ognuno di noi per camminare ha bisogno di mettere la propria mano in quella di un altro. Solo così non ci sentiamo soli e ci sentiamo non esenti da cadute o sventure, ma sempre sostenuti dal Signore, sempre in relazione con lui. Queste parole del Kýrios risorto – “Nessuno strapperà le mie pecore dalla mia mano, perché sono il dono più grande che il Padre mi ha fatto, il dono più grande di tutte le cose” – sono e restano, anche nella notte della fede, anche nelle difficoltà a camminare nella notte, ciò che ci basta per sentirci in relazione con il Signore. Se anche volessimo rompere questa relazione e se anche qualcuno o qualcosa tentasse di romperla, non potrà mai accadere di essere strappati dalla mano di Gesù Cristo. L’Apostolo Paolo, significativamente, ha gridato: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?” (Rm 8,35). No, niente e nessuno, “ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati” (Rm 8,37). E la mano di Gesù Cristo risorto è la mano di Dio, perché lui e il Padre sono uno.
Ma dobbiamo dirlo: una fede così, anche se povera e fragile, scatena l’avversione e la violenza di chi non può credere in Gesù. Ecco perché, al sentire queste sue parole quei farisei, che credevano di vedere bene, raccolgono delle pietre per lapidarlo (cf. Gv 10,31). Dove c’è un’azione, un comportamento, una parola di amore, gli uomini religiosi vedono una bestemmia, un attentato al loro Dio, che vorrebbero fosse un Dio senza l’uomo, contro l’uomo! Amano infatti più la religione che l’umanità, più le idee e la loro dottrina che non l’umano, cioè i fratelli o le sorelle accanto a noi nella loro condizione di peccato, di fragilità: condizione, appunto, propria degli umani, che la mano di Dio deve salvare e rialzare.
Gesù ha detto: “Io sono il pastore buono”. “Io sono uno con il Padre”, ma nel modo in cui viveva ha anche detto, non esplicitamente ma realmente, nei fatti: “Io sono l’umanità, l’umano, perché in piena relazione con gli uomini e le donne che sono nel mondo. Sono l’uomo come Dio l’ha voluto, uno con l’umanità così come sono uno con il Padre”. Sì, i dogmi e le formulazioni teologiche possono essere un aiuto, ma se non comprendiamo la verità di Dio e dell’uomo come Gesù ce l’ha raccontata (exeghésato: Gv 1,18), allora sono un inciampo!
ì▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
DIVORZIO
Divorzio breve: 6 mesi anche se ci si separa in comune.
Tribunale di Milano – 9 marzo 2016
Il Tribunale di Milano chiarisce che le disposizioni di cui al D. L. n. 132/2014 chiariscono indubbiamente che l’accordo concluso ha la medesima validità di una separazione consensuale. Come noto, il Decreto Legge convertito nella legge n. 162 del 2014, ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità di perfezionare dinanzi al Sindaco, in qualità di ufficiale dello stato civile, gli accordi di separazione, di divorzio o di modifica delle condizioni già stabilite. Il tutto a fini di degiurisdizionalizzazione e semplificazione.
In argomento è interessante segnalare che il Tribunale di Milano ha emanato una sentenza particolarmente interessante. Con essa si è infatti per la prima volta chiarito quale sia il termine per presentare la domanda di divorzio. Si tratta di una questione resa controversa dal fatto che la legge n. 55/2015 ha modificato l’articolo 3, numero 2), lettera b), della legge numero 898/1970 in materia di divorzio del tutto omettendo di considerare l’introduzione della negoziazione assistita e della possibilità di concludere accordi davanti al sindaco e la loro qualità di presupposti per il decorso del termine divorzile.
Così, con la pronuncia in commento, il giudice meneghino ha chiarito che nel caso in cui i coniugi abbiano perfezionato l’accordo di separazione dinanzi al Sindaco, la domanda di divorzio può essere proposta dopo che siano decorsi 6 mesi. Del resto, le norme di cui al Decreto Legge 12 settembre 2014 n. 132 prevedono che l’accordo che i coniugi raggiungono a seguito della convenzione o del patto presentati al Sindaco produce gli effetti e a tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che sostituisce. Dato quindi che il decorso del termine di sei mesi per proporre domanda di divorzio è un effetto tipico della separazione consensuale, esso vale anche nel caso in cui questa derivi dalle negoziazioni assistite e dagli accordi conclusi dinanzi al sindaco. In tal caso, tale termine decorre dalla data certificata per la negoziazione e dalla data dell’atto che racchiude l’accordo per i patti semplificati davanti all’autorità amministrativa. Per il Tribunale, a tale conclusione deve arrivarsi innanzitutto leggendo l’articolo 3 della Legge numero 898/1970 in combinato disposto con le disposizioni di cui al decreto legge numero 132/2014. In particolare, con riferimento alla negoziazione assistita si deve guardare al quarto comma dell’articolo 6, mentre per quanto riguarda gli accordi conclusi dinanzi al sindaco il riferimento va al terzo comma dell’articolo 12.
Da entrambi si ricava indubbiamente che l’accordo concluso ha la medesima validità di una separazione consensuale, con la conseguenza che il termine per accedere al procedimento divorzile è semestrale.
Valeria Zeppilli newsletter Studio Cataldi.it 14 aprile 2016
www.studiocataldi.it/articoli/21713-divorzio-breve-6-mesi-anche-se-ci-si-separa-in-comune.asp ▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
FAMIGLIA
Al via petizione per la definizione di famiglia nei trattati Ue.
Redigere un regolamento comunitario che definisca il significato del matrimonio e della famiglia come unione tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio o la discendenza e la filiazione. È quanto propone la petizione europea ‘Mun Dad and Kids’, lanciata il 4 aprile 2016 dai movimenti pro-family di sette Paesi membri dell’Ue. L’iniziativa è stata presentata oggi in Italia, presso il Senato a Roma, dal Comitato Difendiamo i Nostri Figli promotore dei due grandi Family day di giugno e gennaio scorsi. I testi dei vari organismi dell’Unione Europea hanno sempre più frequentemente menzionato la famiglia. In alcuni casi, questi testi hanno perfino definito la famiglia – anche se tali definizioni differiscono l’una dall’altra e creano problemi normativi di cruciale importanza. I più importati movimenti pro-family europei hanno quindi lanciato una raccolta firme per definire nei Trattati europei una visione antropologica della famiglia che non sia soggetta a punti di vista sempre più divergenti e ideologizzati. L’iniziativa, in Italia, è stata raccolta dal Comitato Difendiamo i nostri figli. Per comprenderne il significato e gli scopi sentiamo il membro del Comitato l’avvocato Simone Pillon: “Purtroppo, ultimamente, grazie anche al diffondersi delle ideologie individualiste, in molti Paesi si è allargato ad una definizione di famiglia che non rispecchia più la realtà. Ci sono, quindi, alcuni Paesi che intendono come famiglia anche tre, quattro persone che vivono insieme, legate magari da una relazione di poli-amore. Se tutto è famiglia, se ogni relazione è considerata familiare, a quel punto anche le politiche sociali non possono più andare a incidere efficacemente. E guardate che non manca molto perché si arrivi ad un totale stop delle politiche familiari. E’ chiaro, infatti, che se la mano pubblica deve andare incontro, di fatto, a tutti i soggetti, perché tutti si ritengono famiglia, a quel punto non ci saranno più le risorse per andare a fare politiche selettive per quel nucleo sociale e relazionale che è la famiglia”.
Secondo il regolamento delle petizioni europee deve essere raccolto almeno un milione di firme entro 12 mesi in tutti gli Stati membri, e una quota minima di sottoscrizioni deve essere raggiunta in ogni singolo Paese, circa 54 mila in Italia. Ciò è necessario perché la Commissione Europea prenda in considerazione la proposta al termine della raccolta delle firme.
Ancora l’avvocato Pillon:“Tecnicamente, la Commissione Europea deve dare una risposta alla petizione. Abbiamo visto, però, purtroppo che in passato la Commissione Europea ha sbrigativamente messo nel cassetto altre proposte come ‘One of us’ sull’aborto, senza dare una risposta convincente e sostanziosa. Questo noi non lo potremo accettare! Ecco perché come obiettivo ci diamo quello di dare un numero di sottoscrizioni molto superiore a quello previsto dal regolamento, per dare proprio il segnale forte che i popoli europei tengono alla famiglia. Questo è il primo aspetto. Il secondo aspetto, per cui non intendiamo assolutamente permettere che questa petizione venga messa nel cassetto, è che le istituzioni europee da troppo tempo stanno latitando sul tema. Non è più possibile, però, restare in questa situazione, nella confusione, che tra l’altro si traduce in un disservizio per le famiglie, che tutti i giorni devono portare i bambini all’asilo nido piuttosto che a scuola; che hanno l’anziano, il disabile, il malato in casa; che si prendono cura del coniuge che magari è disoccupato. Tutto questo non può più essere lasciato al caso. Le politiche familiari devono tornare ad essere nitide, chiare, selettive e soprattutto in grado di essere sussidiarie e in grado di sostenere le famiglie europee, che ogni giorno mandano avanti questo straordinario continente”.
La raccolta firme è quindi un’occasione non solo per respingere l’attacco indiscriminato ai diritti delle famiglie e dei bambini ma anche per riaprire un dialogo diretto tra i cittadini del continente e le istituzioni europee. Un strumento per ribaltare la formula del “ce lo chiede l’Europa” come spiega Jacopo Coghe, esponente del direttorio del Comitato promotore del Family day:
“I cittadini sono stanchi di sentirsi dire come giustificazione che queste leggi sulle unioni civili, sull’inserimento del gender nei programmi scolastici, sono un’imposizione che viene dall’Europea, che è qualcosa che ci chiede l’Europa. Con questa iniziativa penso che i cittadini, per la prima volta, possano loro chiedere qualcosa all’Europa. C’è un ribaltamento quindi: non è più l’Europa che ce lo chiede, ma è il popolo che chiede all’Europa che venga inserita la definizione del matrimonio come unione tra un uomo e una donna”.
La raccolta delle firme dunque è cominciata in tutti i 28 gli Stati membri dell’Ue il 4 aprile 2016 e terminerà il 3 aprile 2017. La petizione europea ‘Mamma, papa e figli’ (Mum, Dad and Kids) può essere sottoscritta on line all’indirizzo www.mumdadandkids.eu
e su carta (il modulo può essere scaricato dal sito internet e spedito all’indirizzo indicato sul modulo per ogni Paese). Ulteriori informazioni in www.mumdadandkids.eu/it/firmare-su-carta
www.difendiamoinostrifigli.it
Marco Guerra Notiziario Radio vaticana -11 aprile 2016 http://it.radiovaticana.va/radiogiornale
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
Salviamo la legge 184 e il bambino resterà soggetto di diritti.
«Siamo fermamente convinti che debbano essere mantenuti i requisiti previsti dall’articolo 6 della legge n. 184/1983: solo così un bimbo non rischia di diventare un oggetto di diritti, ma resta un soggetto di diritti».Questa l’opinione espressa dal Forum delle famiglie e da 5 delle associazioni che ne fanno parte e che da decine di anni lavorano su adozione e affido (Aibi, Azione per famiglie nuove, Comunità Papa Giovanni XXIII, Famiglie per l’accoglienza e Progetto Famiglia) in occasione dell’audizione alla commissione Giustizia della Camera a proposito di riforma della normativa di quest’ambito.
“La nostra lunga esperienza dimostra che il bene per un minore, soprattutto quando è segnato da una storia difficile, è di crescere in una famiglia con un padre e una madre uniti da un rapporto stabile. Crediamo anche che è importante rilanciare la cultura dell’accoglienza per tutti quei bambini che, oggi, in Italia non hanno ancora una famiglia. “Evitiamo fughe in avanti: la legge su adozione e affido si può migliorare in alcune piccole parte, ma l’impianto generale che mette al centro il bambino e non l’adulto, va preservato”.
Comunicato stampa 11 aprile 2016 www.forumfamiglie.org/comunicati.php
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Conferenza Stampa di Papa Francesco nel volo di ritorno dalla Visita a Lesvos (Grecia)
estratto (…)
Francis Rocca, Wall Street Journal. Quindi se mi permette vorrei fare una domanda su un altro evento degli ultimi giorni, che è stata la sua Esortazione Apostolica. Come lei ben sa, c’è stata molta discussione su uno dei molti punti – lo so che vi ci siamo concentrati molti – dopo la pubblicazione: alcuni sostengono che niente sia cambiato rispetto alla disciplina che governa l’accesso ai Sacramenti per i divorziati e i risposati, e che la legge e la prassi pastorale e ovviamente la dottrina rimangono così; altri sostengono invece che molto sia cambiato e che si sono tante nuove aperture e possibilità. La domanda è per una persona, un cattolico che vuole sapere: ci sono nuove possibilità concrete, che non esistevano prima della pubblicazione dell’Esortazione o no?
Papa Francesco. Io potrei dire “si”, e punto. Ma sarebbe una risposta troppo piccola. Raccomando a tutti voi di leggere la presentazione che ha fatto il cardinale Schönborn, che è un grande teologo. Lui è membro della Congregazione per la Dottrina della Fede e conosce bene la dottrina della Chiesa. In quella presentazione la sua domanda avrà la risposta. Grazie!
http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2016/04/08/0241/00531.html#sch
Jean-Marie Guénois, Le Figaro. Avevo la stessa domanda, ma è una domanda complementare, perché non si è capito perché lei ha scritto questa famosa nota nella Amoris laetitia sui problemi dei divorziati e risposati – la nota 351. Perché una cosa così importante in una piccola nota? Lei ha previsto delle opposizioni o ha voluto dire che questo punto non è così importante?
[351] In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, «ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore» (Esort. ap. Evangelii gaudium [24 novembre 2013], 44: AAS 105 [2013], 1038). Ugualmente segnalo che l’Eucaristia «non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli» (ibid., 47: 1039).
Papa Francesco. Senta, uno degli ultimi Papi, parlando sul Concilio, ha detto che c’erano due Concili: quello Vaticano II, che si faceva nella Basilica San Pietro, e l’altro il “Concilio dei media”. Quando io convocai il primo Sinodo, la grande preoccupazione della maggioranza dei media era: Potranno fare la comunione i divorziati risposati? E siccome io non sono santo, questo mi ha dato un po’ di fastidio, e anche un po’ di tristezza. Perché io penso: Ma quel mezzo che dice questo, questo, questo, non si accorge che quello non è il problema importante? Non si accorge che la famiglia, in tutto il mondo, è in crisi? E la famiglia è la base della società! Non si accorge che i giovani non vogliono sposarsi? Non si accorge che il calo di natalità in Europa fa piangere? Non si accorge che la mancanza di lavoro e che le possibilità di lavoro fanno sì che il papà e la mamma prendano due lavori e i bambini crescano da soli e non imparino a crescere in dialogo con il papà e la mamma? Questi sono i grandi problemi! Io non ricordo quella nota, ma sicuramente se una cosa del genere è in nota è perché è stata detta nell’Evangelii gaudium. Sicuro! Dev’essere una citazione dell’Evangelii gaudium. Non ricordo il numero, ma è sicuro.
press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2016/04/16/0275/00626.html
Esortazione Apostolica Amoris laetitia.
Presentazione di Amoris Laetitia del Card. Christoph Schönborn, O.P.
La sera del 13 marzo 2013, le prime parole che il nuovo Papa eletto Francesco rivolse alle persone in piazza San Pietro e in tutto il mondo sono state: “Buona sera!” Semplici come questo saluto sono il linguaggio e lo stile del nuovo scritto di Papa Francesco. L’Esortazione non è proprio così breve come questo semplice saluto, ma così aderente alla realtà. In queste 200 pagine Papa Francesco parla di “amore nella famiglia” e lo fa in modo così concreto, così semplice, con parole che scaldano il cuore come quel buona sera del 13 marzo 2013. Questo è il suo stile, ed egli si augura che si parli delle cose della vita nel modo più concreto possibile, soprattutto se si tratta della famiglia, di una delle realtà più elementari della vita.
Per dirlo in anticipo: i documenti della Chiesa spesso non appartengono a un genere letterario dei più accessibili. Questo scritto del Papa è leggibile. E chi non si lasci spaventare dalla lunghezza, troverà gioia nella concretezza e nel realismo di questo testo. Papa Francesco parla delle famiglie con una chiarezza che difficilmente si trova nei documenti magisteriali della Chiesa.
Prima di entrare nello scritto vorrei dire, a titolo molto personale, il perché io lo abbia letto con gioia, con gratitudine e sempre con forte emozione. Nel discorso ecclesiale sul matrimonio e sulla famiglia c’è spesso una tendenza, forse inconscia, a condurre su due binari il discorso su queste due realtà della vita. Da una parte ci sono i matrimoni e le famiglie che sono “a posto”, che corrispondono alla regola, dove tutto è “va bene” è “in ordine”, e poi ci sono le situazioni “irregolari” che rappresentano un problema. Già il termine stesso “irregolare” suggerisce che si possa effettuare una tale distinzione con tanta nitidezza. Chi dunque viene a trovarsi dalla parte degli “irregolari”, deve convivere con il fatto che i “regolari” si trovino dall’altra parte. Come ciò sia difficile per quelli che provengono, essi stessi, da una famiglia patchwork, mi è noto di persona, a causa della situazione della mia propria famiglia. Il discorso della Chiesa qui può ferire, può dare la sensazione di essere esclusi.
Papa Francesco ha posto la sua Esortazione sotto la frase guida: “Si tratta di integrare tutti” (AL 297) perché si tratta di una comprensione fondamentale del Vangelo: noi tutti abbiamo bisogno di misericordia! “Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra” (Gv 8, 7). Tutti noi, a prescindere dal matrimonio e dalla situazione familiare in cui ci troviamo, siamo in cammino. Anche un matrimonio in cui tutto “vada bene” è in cammino. Deve crescere, imparare, superare nuove tappe. Conosce il peccato e il fallimento, ha bisogno di riconciliazione e di nuovo inizio, e ciò fino in età avanzata (cfr AL 297).
Papa Francesco è riuscito a parlare di tutte le situazioni senza catalogare, senza categorizzare, con quello sguardo di fondamentale benevolenza che ha qualcosa a che fare con il cuore di Dio, con gli occhi di Gesù che non escludono nessuno (cfr AL 297), che accoglie tutti e a tutti concede la “gioia del Vangelo”. Per questo la lettura di Amoris laetitia è così confortante. Nessuno deve sentirsi condannato, nessuno disprezzato. In questo clima dell’accoglienza, il discorso della visione cristiana di matrimonio e famiglia diventa invito, incoraggiamento, gioia dell’amore al quale possiamo credere e che non esclude nessuno, veramente e sinceramente nessuno. Per me Amoris laetitia è perciò soprattutto, e in primo luogo, un “avvenimento linguistico”, così come lo è già stato l’Evangelii gaudium. Qualcosa è cambiato nel discorso ecclesiale. Questo cambiamento di linguaggio era già percepibile durante il cammino sinodale. Fra le due sedute sinodali dell’ottobre 2014 e dell’ottobre 2015 si può chiaramente riconoscere come il tono sia divenuto più ricco di stima, come si siano semplicemente accolte le diverse situazioni di vita, senza giudicarle o condannarle subito. In Amoris laetitia questo è divenuto il continuo tono linguistico. Dietro di ciò non c’è ovviamente solo un’opzione linguistica, bensì un profondo rispetto di fronte ad ogni uomo che non è mai, in primo luogo, un “caso problematico” in una “categoria”, ma una persona inconfondibile, con la sua storia e il suo percorso con e verso Dio. In Evangelii gaudium Papa Francesco diceva che dovremmo toglierci le scarpe davanti al terreno sacro dell’altro (EG 36). Quest’atteggiamento fondamentale attraversa tutta l’Esortazione. Ed esso è anche il motivo più profondo per le altre due parole chiave: discernere e accompagnare. Tali parole non valgono solo per le “cosiddette situazioni irregolari” (Papa Francesco sottolinea questo “cosiddette”!), ma valgono per tutti gli uomini, per ogni matrimonio, per ogni famiglia. Tutti, infatti, sono in cammino e tutti hanno bisogno di “discernimento” e di ”accompagnamento”.
La mia grande gioia per questo documento sta nel fatto che esso coerentemente superi l’artificiosa, esteriore, netta divisione fra “regolare” e “irregolare” e ponga tutti sotto l’istanza comune del Vangelo, secondo le parole di San Paolo: “Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia!”(Rom 11, 32). Questo continuo principio dell’”inclusione” preoccupa ovviamente alcuni. Non si parla qui in favore del relativismo? Non diventa permessivismo la tanto evocata misericordia? Non esiste più la chiarezza dei limiti che non si devono superare, delle situazioni che oggettivamente vanno definite irregolari, peccaminose? Quest’Esortazione non favoreggia un certo lassismo, un “everything goes”? La misericordia propria di Gesù non è invece, spesso, una misericordia severa, esigente?
Per chiarire ciò: Papa Francesco non lascia nessun dubbio sulle sue intenzioni e sul nostro compito:“Come cristiani non possiamo rinunciare a proporre il matrimonio allo scopo di non contraddire la sensibilità attuale, per essere alla moda, o per sentimenti di inferiorità di fronte al degrado morale e umano. Staremmo privando il mondo dei valori che possiamo e dobbiamo offrire. Certo, non ha senso fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare qualcosa. Neppure serve pretendere di imporre norme con la forza dell’autorità. Ci è chiesto uno sforzo più responsabile e generoso, che consiste nel presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia, così che le persone siano più disposte a rispondere alla grazia che Dio offre loro” (AL 35).
Papa Francesco è convinto che la visione cristiana del matrimonio e della famiglia abbia anche oggi un’immutata forza di attrazione. Ma egli esige “una salutare reazione autocritica”: “Dobbiamo esser umili e realisti, per riconoscere che a volte il nostro modo di presentare le convinzioni cristiane e il modo di trattare le persone hanno aiutato a provocare ciò di cui oggi ci lamentiamo” (AL 36). “Abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario” (AL 36).
Mi permetto di raccontare qui un’esperienza del Sinodo dell’ottobre scorso: che io sappia, due dei tredici “circuli minores” hanno iniziato il loro lavoro facendo in primo luogo raccontare ad ogni partecipante la propria situazione familiare. Ben presto è emerso che quasi tutti i vescovi o gli altri partecipanti del “circulus minor” sono confrontati, nelle loro famiglie, con i temi, le preoccupazioni, le “irregolarità” di cui noi, nel Sinodo, abbiamo parlato in maniera un po’ troppo astratta. Papa Francesco ci invita a parlare delle nostre famiglie “così come sono”. Ed ora la cosa magnifica del cammino sinodale e del suo proseguimento con Papa Francesco: questo sobrio realismo sulle famiglie “così come sono” non ci allontana affatto dall’ideale! Al contrario: Papa Francesco riesce, con i lavori di ambedue i Sinodi, a rivolgere alle famiglie uno sguardo positivo, profondamente ricco di speranza. Ma questo sguardo incoraggiante sulle famiglie richiede quella “conversione pastorale” di cui l’Evangelii gaudium parlava in maniera così entusiasmante. Il testo seguente dell’Amoris laetitia ricalca le grandi linee di tale “conversione pastorale”: “Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme. Abbiamo difficoltà a presentare il matrimonio più come un cammino dinamico di crescita e realizzazione che come un peso da sopportare per tutta la vita. Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”(AL 37).
Papa Francesco parla da una profonda fiducia nei cuori e nella nostalgia degli uomini. Lo esprimono molto bene le sue esposizioni sull’educazione. Si percepisce qui la grande tradizione gesuitica dell’educazione alla responsabilità personale. Egli parla di due pericoli contrari: il “lassez-faire” e l’ossessione di volere controllare e dominare tutto. Da una parte è vero che “la famiglia non può rinunciare ad essere luogo di sostegno, di accompagnamento, di guida… C’è sempre bisogno di vigilanza. L’abbandono non fa mai bene”(AL 260).
Ma la vigilanza può diventare anche esagerata: “L’ossessione non è educativa, e non si può avere un controllo di tutte le situazioni in cui un figlio potrebbe trovarsi a passare (…). Se un genitore è ossessionato di sapere dove si trova suo figlio e controllare tutti i suoi movimenti, cercherà solo di dominare il suo spazio. In questo modo non lo educherà, non lo rafforzerà, non lo preparerà ad affrontare le sfide. Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, con molto amore, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia” (AL 261). Trovo che sia molto illuminante mettere in connessione questo pensiero sull’educazione con quelli che riguardano la prassi pastorale della Chiesa. Infatti, proprio in questo senso Papa Francesco torna spesso a parlare della fiducia nella coscienza dei fedeli: “Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle” (AL 37). La grande questione ovviamente è questa: come si forma la coscienza? Come pervenire a quello che è il concetto chiave di tutto questo grande documento, la chiave per comprendere correttamente le intenzioni di Papa Francesco: “il discernimento personale”, soprattutto in situazioni difficili, complesse? Il “discernimento” è un concetto centrale degli esercizi ignaziani. Questi, infatti, devono aiutare a discernere la volontà di Dio nelle situazioni concrete della vita. È il “discernimento” a fare della persona una personalità matura, e il cammino cristiano vuole essere di aiuto al raggiungimento di questa maturità personale: non a formare automi condizionati dall’esterno, telecomandati, ma persone maturate nell’amicizia con Cristo. Solo laddove è maturato questo “discernimento” personale è anche possibile pervenire a un “discernimento pastorale”, il quale è importante soprattutto “davanti a situazioni che non rispondono pienamente a quello che il Signore ci propone” (AL 6). Di questo “discernimento pastorale” parla l’ottavo capitolo, un capitolo probabilmente di grande interesse per l’opinione pubblica ecclesiale, ma anche per i media.
Devo tuttavia ricordare che Papa Francesco ha definito come centrali i capitoli 4 e 5 (“i due capitoli centrali”), non solo in senso geografico, ma per il loro contenuto: “Non potremo incoraggiare un cammino di fedeltà e di reciproca donazione se non stimoliamo la crescita, il consolidamento e l’approfondimento dell’amore coniugale e familiare” (AL 89). Questi due capitoli centrali di Amoris laetitia saranno probabilmente saltati da molti per arrivare subito alle cosiddette “patate bollenti”, ai punti critici. Da esperto pedagogo, Papa Francesco sa bene che niente attira e motiva così fortemente come l’esperienza positiva dell’amore. “Parlare dell’amore” (AL 89) – ciò procura chiaramente una grande gioia a Papa Francesco, ed egli parla dell’amore con grande vivacità, comprensibilità, empatia. Il quarto capitolo è un ampio commento all’”Inno alla carità” del tredicesimo capitolo della Prima lettera ai Corinzi. Raccomando a tutti la meditazione di queste pagine. Esse incoraggiano a credere nell’amore (cfr1Gv 4,16) e ad avere fiducia nella sua forza. È qui che crescere, un’altra parola chiave dell’Amoris laetitia, ha la sua “sede principale”: in nessun altro luogo si manifesta così chiaramente, come nell’amore, che si tratta di un processo dinamico nel quale l’amore può crescere, ma può anche raffreddarsi. Posso solo invitare a leggere e a gustare questo delizioso capitolo. Ci tengo a far notare un aspetto: Papa Francesco parla qui, con una chiarezza che è rara, del ruolo che anche le passiones, le passioni, le emozioni, l’eros, la sessualità hanno nella vita matrimoniale e familiare. Non è un caso che Papa Francesco si riallacci qui in modo particolare a San Tommaso d’Aquino, il quale attribuisce alle passioni un ruolo così importante, mentre la morale moderna, spesso puritana, le ha screditate o trascurate.
E´ qui che il titolo dell’esortazione del Papa trova la sua più piena espressione: Amoris laetitia! Qui si capisce come sia possibile riuscire “a scoprire il valore e la ricchezza del matrimonio” (AL 205). Ma qui si rende anche dolorosamente visibile quanto male facciano le ferite d’amore, come siano laceranti le esperienze di fallimento delle relazioni. Per questo non meraviglia che sia soprattutto l’ottavo capitolo ad attirare l’attenzione e l’interesse. Infatti la questione di come la Chiesa tratti queste ferite, di come tratti il fallimento dell’amore, è diventata per molti una questione-test per capire se la Chiesa sia davvero il luogo in cui si possa sperimentare la Misericordia di Dio. Questo capitolo deve molto all’intenso lavoro dei due Sinodi, alle ampie discussioni nell’opinione pubblica ed ecclesiale. Qui si manifesta la fecondità del modo di procedere di Papa Francesco. Egli desiderava espressamente una discussione aperta sull’accompagnamento pastorale di situazioni complesse e ha potuto ampiamente fondarsi sui testi che i due Sinodi gli hanno presentato per mostrare come si possa “accompagnare, discernere e integrare la fragilità” (AL 291).
Papa Francesco fa esplicitamente sue le dichiarazioni che ambedue i Sinodi gli hanno presentato: “I Padri sinodali hanno raggiunto un consenso generale, che sostengo” (AL 297). Per quanto riguarda i divorziati risposati con rito civile egli sostiene: “Accolgo le considerazioni di molti Padri sinodali, i quali hanno voluto affermare che (…) la logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale… Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come un madre che li accoglie sempre…” (AL 299).
Ma cosa significa ciò concretamente? Molti si pongono, a ragione, questa domanda. Le risposte decisive si trovano in Amoris laetitia 300. Esse offrono certamente ancora materia per ulteriori discussioni. Ma esse sono anche un importante chiarimento e un’indicazione per il cammino da seguire: “Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete (…) è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi”. Molti si aspettavano una tale norma. Resteranno delusi. Che cosa è possibile? Il Papa lo dice con tutta chiarezza: “È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari”.
A come possa e debba essere questo discernimento personale e pastorale è tema dell’intera sezione di Amoris laetitia 300-312. Già nel Sinodo del 2015, in appendice agli enunciati del Circulus germanicus fu proposto un Itinerarium del discernimento, dell’esame di coscienza che Papa Francesco ha fatto suo. “Si tratta di un itinerario di accompagnamento e di discernimento che orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio”. Ma Papa Francesco ricorda anche che “questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa” (AL 300).
Papa Francesco menziona due posizioni erronee. Una è quella del rigorismo: “Un pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni ‘irregolari’, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa” (AL 305). D’altro canto, la Chiesa non deve assolutamente “rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza” (AL 307).
Si pone naturalmente la domanda: e cosa dice il Papa a proposito dell’accesso ai sacramenti per persone che vivono in situazioni “irregolari”? Già Papa Benedetto aveva detto che non esistono delle “semplici ricette” (AL 298, nota 333). E Papa Francesco torna a ricordare la necessità di discernere bene le situazioni, nella linea della Familiaris consortio (84) di San Giovanni Paolo II (AL 298). “Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio” (AL 305). E Papa Francesco ci ricorda una frase importante che aveva scritto nell’Evangelii gaudium 44: “Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà” (AL 304). Nel senso di questa “via caritatis” (AL 306) il Papa afferma, in maniera umile e semplice, in una nota (351), che si può dare anche l’aiuto dei sacramenti “in certi casi”. Ma allo scopo egli non ci offre una casistica, delle ricette, bensì ci ricorda semplicemente due delle sue frasi famose: “Ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore” (EG 44) e l’eucarestia “non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli” (EG 44).
Non è una sfida eccessiva per i pastori, per le guide spirituali, per le comunità, se il “discernimento delle situazioni” non è regolato in modo più preciso? Papa Francesco conosce questa preoccupazione: “comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione” (AL 308). Ad essa egli obietta dicendo: “poniamo tante condizioni alla misericordia che la svuotiamo di senso concreto e di significato reale, e quello è il modo peggiore di annacquare il Vangelo” (AL 311).
Papa Francesco confida nella “gioia dell’amore”. L’amore sa trovare la via. È la bussola che ci indica la strada. Esso è il traguardo e il cammino stesso, perché Dio è l’amore e perché l’amore è da Dio. Niente è così esigente come l’amore. Esso non si può avere a buon mercato. Per questo nessuno deve temere che Papa Francesco ci inviti, con “Amoris laetitia”, a un cammino troppo facile. Il cammino non è facile, ma è pieno di gioia!
http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2016/04/08/0241/00531.html#sch
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
GOVERNO
Costa: e ora un testo unico per la famiglia
La necessità di realizzare “un testo unico sulla famiglia”, che “metta insieme, riordini e semplifichi le diverse misure facilitandone l’accesso ai cittadini” è stata sottolineata dal ministro per la Famiglia, Enrico Costa, intervenuto al convegno sul ’Family audit’, lo strumento di conciliazione famiglia-lavoro che certifica la natura ’family friendly’ delle aziende pubbliche e private.
Costa ha sottolineato che “un passaggio significativo, che è già stato contenuto nel Def, è quello del testo unico della famiglia. Oggi abbiamo normative sulla famiglia che sono molto frammentarie: ci sono cioè tante misure su cui il legislatore si è attivato negli anni per avvicinare la vita lavorativa a quella familiare”.
“Misure – ha ricordato – di sostegno della famiglia a livello fiscale, per le giovani coppie che hanno figli. Però sono misure molto frammentarie e non coordinate tra di loro”.
“Il testo unico della famiglia – ha sottolineato – servirà ad avere un punto di riferimento unico che darà grande dignità alla famiglia che viene riconosciuta in un testo come soggetto importante”.
“Quando si fanno norme frammentare il rapporto è sempre debole – ha concluso Costa – quando c’è un unico interlocutore, anche normativo, il rapporto è più forte
news Forum Associazioni Familiari 13 aprile 2016
www.forumfamiglie.org/news.php?&news=978
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
MINORI
L’Avvocato nel processo minorile è sempre anche Avvocato del minore
Tribunale Milano – nona Sezione civile, ordinanza 23 marzo 2016
Alla luce di una interpretazione sistematica ed evolutiva dell’Ordinamento vigente, come risultante per effetto delle normative sopravvenute nel tempo, deve ritenersi che l’Avvocato del padre o della madre, nei procedimenti minorili, abbia comunque l’obbligo di assumere un comportamento “protettivo” dei minori coinvolti: non solo in virtù del contratto di patrocinio stipulato con il cliente (che ha “effetti protettivi” verso i fanciulli coinvolti) ma anche per la propria funzione da attribuire al difensore nelle cause familiari: nelle dinamiche avversariali (formate dalle posizioni attorea e di convenuto), i figli sono in posizione “neutrale” e gli Avvocati, assumendo la difesa dei loro genitori, si impegnano a proteggerli e ad operare anche nel loro interesse. Nel processo di famiglia, dunque, l’avvocato è difensore del padre o della madre; ma certamente è anche difensore del minore. Per l’effetto, nella doverosa assistenza del padre o della madre, l’Avvocato deve sempre anteporre l’interesse primario del minore e, in virtù di esso, arginare la micro-conflittualità genitoriale, scoraggiare litigi strumentali al mero scontro moglie-marito, proteggere il bambino dalle conseguenze dannose della lite. In particolare, assumendo una posizione “comune” a difesa del bambino e non assecondando diverbi fondati su situazioni prive di concreta rilevanza.
L’accesso al modulo risolutivo di cui all’art. 709-ter c.p.c. non è consentito al cospetto di qualsivoglia scontro genitoriale ma limitatamente agli “affari essenziali” del minore ossia istruzione, educazione, salute, residenza abituale; quanto a dire, per risolvere problemi di macro-conflittualità non essendo ipotizzabile un intervento del giudice per problemi di micro-conflittualità. In altri termini, non è dato ricorso al giudice per dirimere controversie aventi ad oggetto (guardando ai casi decisi in modo analogo), a titolo di esempio, “il taglio dei capelli del minore”, “la possibilità per un genitore di delegare un parente per prelevare il figlio da scuola”, “l’acquisto di un tipo di vestito piuttosto che un altro” e, così, la specificazione di dati di estremo dettaglio in ordine ai tempi di frequentazione. La richiesta ex art. 709-ter c.p.c. che non abbia ad oggetto affari essenziali per il minore è inammissibile per difetto d’azione. L’inammissibilità dell’istanza non pregiudica il minore. Al cospetto di una conflittualità patologica che travolge finanche aspetti per i quali non è dato ricorso al giudice, il tribunale, attestata la inidoneità di padre e madre a svolgere il ruolo genitoriale, deve apporre limiti ex art. 333 c.c. alla loro responsabilità genitoriale, delegando il Comune di residenza per svolgere le funzioni di rappresentanza del fanciullo in loro vece; in caso di micro-conflittualità, ciascuno dei genitori, ben può rivolgersi in tal modo all’ente affidatario che può indirizzare i coniugi verso uno dei servizi loro messi a disposizione (mediazione familiare, sostegno psicologico, supporto terapeutico, etc.). (Giuseppe Buffone)
dr Giuseppe Buffone Il Caso.it, 14730 – 13 aprile 2016 sentenza
www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fmi.php?id_cont=14730.php
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
OBIEZIONE DI COSCIENZA.
Per il Consiglio d’Europa, l’obiezione sull’aborto discrimina le donne
L’ultima decisione del Consiglio d’Europa potrebbe mettere a rischio il diritto all’obiezione di coscienza. In circa 70 pagine, facendo seguito a un ricorso presentato dalla Cgil, è stato infatti affermato che “lo Stato italiano non fa abbastanza per evitare che l’obiezione di coscienza dei medici anti aborto, garantita dalla legge 194 del 1978, abbia come violazione la Carta sociale del Consiglio d’Europa, in particolare riguardo ai diritti alla Salute e alla non discriminazione delle donne che vogliono interrompere la propria gravidanza”.
Tradotto: ci sono troppi medici obiettori, e dunque c’è difficoltà in Italia a garantire il diritto per le donne di abortire. Nessuna parte della sentenza mette in gioco formalmente il diritto all’obiezione di coscienza, eppure qualche rischio a lungo termine ci può essere. Ma perché l’Italia è stata richiamata? Il dito viene puntato contro una discriminazione tra personale obiettore e non obiettore: a giudizio della Cgil, i non obiettori sono discriminati anche in relazione al progredire della carriera. E’ davvero così? Vale la pena vedere i dati del rapporto 2015 stilato dal ministero della Salute sulla legge 194. Si nota che l’obiezione di coscienza non impedisce il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza, al punto che le interruzioni di gravidanza volontarie sono state effettuate nel 60 per cento delle regioni disponibili. Viene ignorato il fatto che un terzo degli aborti è praticato da ragazze straniere, quasi sempre per difficoltà economiche. Parlando di Carta dei diritti sociali, si dovrebbe piuttosto aiutare queste ragazze a non abortire, tutelando il loro diritto al lavoro, alla casa e anche alla maternità. Invece, si parla solo del diritto di aborto
Redazione il foglio quotidiano 12 aprile 2016
www.ilfoglio.it/cronache/2016/04/11/aborto-unione-europea-obiettori-di-coscienza___1-v-140547-rubriche_c404.htm
Aborto in Italia: ecco i dati reali.
Nonostante i tanti obiettori di coscienza, il carico di lavoro per i ginecologi non obiettori si è dimezzato in trent’anni. A ricorrere all’aborto soprattutto donne straniere, povere ed emarginate.
Il “diritto” all’aborto in Italia è negato? Il recente pronunciamento del Consiglio d’Europa e le reazioni che ne sono seguite sembrano offrire una risposta affermativa. Ma la realtà dei fatti dimostra il contrario. L’alto numero di medici obiettori, infatti, non ostacola affatto le interruzioni di gravidanza in Italia. Non c’è bisogno di letture ideologiche per dirlo, basta attenersi a una ricostruzione empirica della realtà. Nel novembre scorso il Ministero della Salute ha inviato in Parlamento l’ultima relazione sulla legge 194\1978, dalla quale emerge che nel 2014 le interruzioni volontarie di gravidanza sono state poco meno di 100mila (precisamente 97.535).
Se si raffronta questo dato al numero di bambini nati nello stesso anno (509mila), si evince che nel nostro Paese quasi una gravidanza su cinque, aborti spontanei esclusi, non termina con il parto. Un dato, questo, che da solo basterebbe per suggerire una lettura dei fatti diversa da quella interpretata dal Consiglio d’Europa.
Ma c’è un altro dato a confermare che l’accesso all’aborto in Italia è tutt’altro che una chimera. Dal 1983 al 2003 le interruzioni di gravidanza sono passate da 234 mila a 102mila circa, diventando meno della metà. Contestualmente, il numero di ginecologi obiettori è rimasto quasi invariato (un centinaio in meno). Ne deriva che il lavoro per i medici che praticano l’aborto si è dimezzato rispetto a trent’anni fa. La media nazionale parla di 1,6 interruzioni di gravidanza a settimana praticate da ogni ginecologo non obiettore nel 2013, contro i 3,3 del 1983, anno nel quale nessuno si sarebbe sognato di accusare l’obiezione di coscienza di intralciare questo “diritto”. Oggi, a fronte di una crisi demografica senza eguali dall’Unità d’Italia, si contano 5 strutture ospedaliere in cui si può abortire ogni 7 in cui si può invece partorire. Ciò significa che, se gli aborti sono il 20% delle nascite, i punti Ivg (luoghi dove si praticano aborti) sono il 74% degli ospedali con sale parto.
Punti Ivg che – detto per inciso – sono frequentati sempre meno da donne italiane e sempre più da donne straniere. Dei quasi 100mila aborti del 2014, circa 30mila sono stati praticati su donne originarie di altri Paesi. I cittadini stranieri, che sono l’8% della popolazione italiana, sono dunque coinvolti dall’aborto nel 30% dei casi. Una sproporzione che testimonia come le ricorrenti all’interruzione volontaria di gravidanza siano spesso donne povere ed emarginate. Un motivo valido per puntare l’indice non verso quel 70% di medici obiettori, i quali esercitano un diritto costituzionale previsto dalla stessa legge 194, bensì verso una evidente scarsa propensione all’accoglienza nei confronti dei più bisognosi. Le donne che decidono di sopprimere la vita che portano in grembo sono le prime vittime di una “cultura dello scarto” che è il vero problema da affrontare. Anziché reclamare che venga garantita la legge 194 sulla base del sensazionalismo o di dati anodini, un serio impegno sociale sarebbe auspicare che nessuna donna sia più costretta a eliminare il bambino che cresce nelle sue viscere.
D’altronde come affermano l’Associazione Medici Cattolici Italiani e la Federazione Europea delle Associazioni Mediche Cattoliche – le quali hanno reagito con “sconcerto” al pronunciamento del Consiglio d’Europa – “non c’è futuro per l’Europa se non in una scelta di superamento della logica abortiva nella prospettiva di accoglienza della vita umana, sostenuta spesso più a parole che nei fatti”.
Federico Cenci Zenit.org 14 aprile 2016
https://it.zenit.org/articles/aborto-in-italia-ecco-i-dati-reali/?utm_source=ZENIT+Italiano&utm_campaign=e9a410d80e-Italiano_Daily__Newsletter&utm_medium=email&utm_term=0_2ce633c7e0-e9a410d80e-40365985
Consiglio d’Europa si contraddice sull’obiezione di coscienza.
Controversa pronuncia del Comitato dei diritti sociali del Consiglio d’Europa sull’aborto in Italia. Secondo il Comitato, sulla base di un ricorso presentato dalla Cgil, le donne incontrerebbero difficoltà nell’accesso ai servizi pubblici d’interruzione della gravidanza. L’Italia violerebbe, quindi, ciò che viene definito “diritto alla salute”, “forzandole” a rivolgersi a strutture private o all’estero. Roma è accusata anche perché discriminerebbe medici e personale sanitario non obiettore in materia di aborto.
Intervista a Luca Volontè, direttore generale dell’associazione “Novae Terrae”.
R. – Il Consiglio che vigila sulla questione della Carta Sociale europea, che è stato interessato negli ultimi anni da questo ricorso della Cgil, non ha valutato con attenzione i dati che emergono annualmente sull’attuazione della 194\1978 in Italia. Tra l’altro questo giudizio, sbagliato nel merito e nel metodo, è in contraddizione con il pronunciamento che era stato fatto sulla obiezione di coscienza, nel 2010, dal Consiglio d’Europa. Pronunciamento, nel quale non solo si invitavano gli Stati membri a tutelare innanzitutto il diritto all’obiezione di coscienza per tutti, ma anche – in quella sede – si era valutata la posizione italiana e si era preso atto che essa non era solo corretta, ma contemperava, da un lato, i diritti della donna e, dall’altro, i diritti degli obiettori di coscienza.
D. – Eppure proprio gli obiettori di coscienza finiscono un po’ sotto la lente di ingrandimento con questa pronuncia, perché si legge che, considerata l’urgenza delle procedure richieste, in alcuni casi le donne che vogliono un aborto sono forzate, costrette, ad andare in altre strutture, rispetto a quelle pubbliche, in Italia o addirittura all’estero…
R. – Ma, anche questa, è una parte del pronunciamento sconcertante. Proprio il Consiglio d’Europa, nella sua assemblea plenaria, approvò una risoluzione nella quale si dice esattamente che, appunto, da un lato, deve essere tutelata l’obiezione di coscienza da parte di tutti e, dall’altra, gli ospedali e i medici possono, e devono in alcuni casi, indicare altre cliniche per l’aborto. Non capisco questo accanimento, da parte non solo della Cgil, che ha mosso questo ricorso, ma anche questa ignoranza da parte della Commissione che valuta l’attuazione della Carta Sociale europea, nei confronti del nostro Paese, che – ripeto – è stata valutata come eccellente, come un esempio importante da seguire proprio dall’assemblea parlamentare quattro anni fa.
D. – Eppure questa notizia creerà dibattito e farà opinione.
R. – Purtroppo sì, perché l’Italia è un Paese, come purtroppo nel resto d’Europa, in cui non si fa memoria storica dei pronunciamenti europei. Verrà probabilmente strumentalizzata e spero che da parte del governo venga difesa la posizione italiana.
D. – Che peso ha un pronunciamento come quello del Consiglio d’Europa?
R. – Il testo della Commissione, che valuta l’attuazione della Carta Sociale europea, assolutamente nullo. Certamente è un segnale che ci dice come anche all’interno di istituzioni prestigiose come il Consiglio d’Europa si tenda a valorizzare pronunciamenti di organismi secondari e non si valorizzino a sufficienza i pronunciamenti, per esempio dell’assemblea parlamentare che, come ho detto, nell’ottobre del 2010 aveva detto tutt’altro e con una maggioranza ben qualificata tra i Paesi membri.
D. – Nell’Esortazione apostolica “Amoris Laetitia”, il Papa ribadisce che la Chiesa rigetta con tutte le sue forze gli interventi coercitivi dello Stato a favore dell’aborto e, in un altro passaggio, ribadisce che l’obbligo morale dell’obiezione di coscienza, per chi opera nelle strutture sanitarie, deve essere tutelato.
R. – Sì, il Papa ha ripetuto con entusiasmo, e con un approccio personale, la Dottrina della Chiesa su questi punti; ha ribadito un diritto umano fondamentale, che è quello dell’obiezione di coscienza, della libertà di coscienza, riconosciuto da moltissimi strumenti internazionali.
D. – Un diritto laico?
R. – Assolutamente, è un diritto laico per tutti i cittadini di qualsiasi fede, religione, ed è un diritto che viene prima di molti altri, perché riguarda la persona in sé, cioè la dignità della persona, il proprio pensiero e la propria coscienza.
D. – Perché si sta puntando a indebolire il diritto dell’obiezione di coscienza? Perché si sta ancora una volta chiedendo all’Italia di rivedere la propria normativa in materia di interruzione volontaria di gravidanza, di aborto?
R. – Per molte ragioni. Già nel 2010 era partita questa pressione internazionale da parte di gruppi di interesse che hanno e fondano il loro interesse proprio sul numero di aborti e sul guadagno che si ha dal numero di aborti che viene praticato nei singoli Paesi. Oggi si vuole far pressione sull’Italia, perché ci si è resi conto, da parte di queste lobby, che se dovesse passare una legge che sdogana il matrimonio omosessuale, allora perché non tentare una legge che porti l’aborto ad una pratica “à la carte”, senza nessun limite, senza nessun restringimento. D’altronde, dobbiamo considerare anche un altro aspetto: le cliniche Ippf (International Planned Parenthood Federation) in molti Paesi stanno chiudendo e vivendo, dunque, esclusivamente del loro guadagno hanno bisogno di espandere il proprio mercato. Così stanno tentando di fare anche in Irlanda. C’è un aspetto ideologico, quindi, e un aspetto economico: entrambi devono essere presi con adeguata attenzione, quando si discute di questi temi.
Paolo Ondarza Notiziario Radio vaticana -11 aprile 2016 http://it.radiovaticana.va/radiogiornale
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
PARLAMENTO
Camera 2° Commissione Giustizia Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili.
Proposta di legge C3634. “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” (approvata dal Senato), in sede referente, relatrice Micaela Campana, PD.
22 aprile 2016. La Commissione prosegue l’esame, rinviato nella seduta del 7 aprile 2016.
Donatella Ferranti, presidente, rammenta che la Commissione ha già esaminato 363 emendamenti in circa 9 ore e 30 minuti di seduta, che sono pervenute circa 900 proposte emendative al provvedimento in discussione Ricorda che il provvedimento risulta essere tra i primi iscritti nel programma dei lavori dell’Assemblea per il mese di maggio.
Micaela Campana, relatrice, rammenta come la costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sia orientata verso il riconoscimento di adeguate forme di tutela della vita familiare delle coppie omosessuali. Fa presente, altresì, che proprio in relazione a tale aspetto, l’Italia sia stata destinataria di pronunce di condanna in sede europea, in ragione del mancato riconoscimento 50dei diritti delle unioni composte da persone dello stesso sesso.
Il sottosegretario Gennaro Migliore precisa che per «vita familiare» non può esclusivamente intendersi quella riconducibile al matrimonio, rammentando come esistano, ad esempio, anche famiglie monoparentali. Rileva che l’aggettivo familiare serve ad indicare la tipologia di certe relazioni senza fare riferimento all’istituto della famiglia.
Micaela Campana, relatriceribadisce che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo fa costante riferimento, in tema di diritti delle coppie omosessuali, non al «matrimonio» bensì alla «vita familiare». Precisa, inoltre, che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 138 del 2010, più volte richiamata nel corso del dibattito, ha richiesto al legislatore il riconoscimento dell’unione civile quale «specifica formazione sociale» ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione, e non necessariamente la sua equiparazione all’istituto del matrimonio.
Vengono votati e respinti altri emendamenti. pag. 48
http://www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2016&mese=04&giorno=12&view=&commissione=02&pagina=data.20160412.com02.bollettino.sede00010.tit00010#data.20160412.com02.bollettino.sede00010.tit00010
pag. 7
Donatella Ferranti, presidente, comunica che in 12 ore di seduta sono stati esaminati 439 emendamenti. Vengono votati e respinti altri emendamenti.
www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2016&mese=04&giorno=13&view=&commissione=02&pagina=data.20160413.com02.bollettino.sede00010.tit00020#data.20160413.com02.bollettino.sede00010.tit00020
11 aprile 2016. Audizioni sulle disposizioni legislative in materia di adozioni ed affido.
La II Commissione Giustizia ha svolto, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sullo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozioni ed affido, audizioni di rappresentanti dell’Associazione amici dei bambini (Ai.Bi.), del Coordinamento Oltre l’adozione, dell’Associazione La Gabbianella e altri animali-onlus, dell’Associazione Network aiuto assistenza accoglienza-onlus (NAAA), del Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in rete (CARE), del Forum delle Associazioni familiari, della Comunità Papa Giovanni XXIII, del Centro internazionale per l’infanzia e la famiglia (CIFA) e dell’Unione famiglie adottive italiane. (ore 15,30-18)
www.camera.it/leg17/1079?idLegislatura=17&tipologia=indag&sottotipologia=c02_adozioni&anno=2016&mese=04&giorno=11&idCommissione=02&numero=0001&file=indice_stenografico
È un coro unanime quello che chiede un netto cambio di rotta nella gestione della Commissione Adozioni Internazionali. L’occasione per ascoltare il parere di enti autorizzati e associazioni familiari è stata l’audizione di lunedì 11 aprile in commissione Giustizia alla Camera dei Deputati. Generale il parere secondo cui, tra le cause dell’attuale crisi delle adozioni internazionali, una delle principali sia la paralisi della nostra Autorità Centrale. Interpellati nel corso dell’indagine conoscitiva voluta dal governo in vista di una riforma della legge 184/1983, enti e associazioni familiari hanno denunciato con forza le molteplici disfunzioni di una Cai latitante da due anni.
L’immobilismo dell’Autorità Centrale è stato messo in risalto da Gianfranco Arnoletti, presidente del Cifa. Un immobilismo che si concretizza in varie forme, tutte a discapito delle coppie, degli enti e, pertanto, dei bambini in attesa di una famiglia. In particolare Arnoletti ha denunciato “il mancato sviluppo di relazioni con altri Paesi, la chiusura dei rapporti scritti e orali tra enti e Commissione, i mancati finanziamenti ai progetti degli stessi enti, gli incontri con le delegazioni dei Paesi esteri il cui contenuto non viene comunicato agli altri attori”. Un assenza di coordinamento, quindi, che per il presidente del Cifa non fa altro che generare una mancanza di uniformità del sistema.
A portare il parere dei 12 enti del coordinamento “Oltre l’Adozione” ci ha pensato il portavoce Pietro Ardizzi. Il quale ha ricordato come la Cai debba avere “un ruolo di guida e di regia fondamentale per il funzionamento del sistema, a livello sia nazionale che internazionale”. Ruolo di coordinamento che è però venuto meno negli ultimi 2 anni. “Dal 2014 la Cai, pur essendo un organo collegiale, non si è mai riunita per deliberare – ha ricordato Ardizzi -, non ha organizzato alcun incontro tra gli enti autorizzati, né consultazioni semestrali con le associazioni familiari, non ha attivato i rimborsi agli enti per i progetti di prevenzione dell’abbandono, ha quasi del tutto annullato le comunicazioni e i rapporti con le famiglie”.
La mancanza di collegialità della Commissione è stata messa in risalto anche da Maria Teresa Maccanti, presidente del Naaa, che ha parlato pure di “notevole opacità” e di “metodi polizieschi” nell’operato della Cai, oltre che di “difficoltà nei rapporti con il Mae”, “mancanza di sostegno alla cooperazione e di supporto economico alle famiglie”, “difficoltà di accesso alla Cai da parte di coppie ed enti”. Maccanti ha inoltre ricordato le oltre 40 interpellanze parlamentari centrate sul malfunzionamento della Commissione (“con gli altri presidenti e vicepresidenti ciò non è mai accaduto”), il paradosso della compresenza, nella stessa persona, dei due ruoli antitetici di controllore e controllato e la mancata pubblicazione dei dati sulle adozioni realizzate nel 2014 e nel 2015.
Tema quest’ultimo ripreso anche da Monya Ferritti, presidente del Care (Coordinamento delle associazioni familiari adottive e affidatarie in rete), che ha denunciato come, senza rapporti statistici, “non si possa fare programmazione nelle scuole, nella sanità, nei servizi sociali”. A Ferritti, che definisce l’attuale momento della Cai una vera “crisi istituzionale”, ha fatto eco Marco Mazzi – intervenuto in rappresentanza del Forum Nazionale delle Associazioni Familiari – che ha chiesto con forza che la Cai torni a essere un organo collegiale, a pubblicare i rapporti statistici, a “rinnovare il patto di fiducia e di collaborazione con gli enti” e a “esaminare le istanze di apertura di nuovi Paesi”.
“La Commissione è il motore dell’adozione internazionale, ma questo motore si è inceppato da troppo tempo – ha evidenziato Marco Griffini, presidente di Amici dei Bambini -: non si riunisce e non incontra più gli enti. Per risolvere questo stallo, chiediamo dunque che la riforma della legge sulle adozioni preveda che la Cai passi sotto il ministero degli Affari Esteri”.
www.aibi.it/ita/audizione-in-commissione-giustizia-della-camera-il-coro-unanime-di-enti-e-associazioni-familiari-prima-della-riforma-oggi-dobbiamo-salvare-ladozione-internazionale
/▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
PASTORALE FAMILIARE
Il manuale del Papa per il vero amore tra gli sposi.
In Amoris Laetitia c’è un vero e proprio trattato per l’armonia tra gli sposi, un testo davvero toccante.
Ed ecco che i consigli del Papa perché l’armonia in famiglia sia sempre la prima preoccupazione degli sposi:
[104] non bisogna mai finire la giornata senza fare pace in famiglia. «E come devo fare la pace? Mettermi in ginocchio? No! Soltanto un piccolo gesto, una cosina così, e l’armonia familiare torna. Basta una carezza, senza parole. Ma mai finire la giornata in famiglia senza fare la pace! »
[106] La verità è che «la comunione familiare può essere conservata e perfezionata solo con un grande spirito di sacrificio. Esige, infatti, una pronta e generosa disponibilità di tutti e di ciascuno alla comprensione, alla tolleranza, al perdono, alla riconciliazione. Nessuna famiglia ignora come l’egoismo, il disaccordo, le tensioni, i conflitti aggrediscano violentemente e a volte colpiscano mortalmente la propria comunione: di qui le molteplici e varie forme di divisione nella vita familiare». La chiave di volta non può che essere il perdono. Che non è “lasciar correre” ma un atteggiamento interiore che parte da una conversione interiore e da una richiesta a se stessi.
[107] Oggi sappiamo che per poter perdonare abbiamo bisogno di passare attraverso l’esperienza liberante di comprendere e perdonare noi stessi. Ecco che l’amore irrompe nella casa degli sposi.
[110] Quando una persona che ama può fare del bene a un altro, o quando vede che all’altro le cose vanno bene, lo vive con gioia e in quel modo dà gloria a Dio, perché «Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7).
Il Paragrafo 111 del capitolo 4 di Amoris Laetitia ci spiega come: L’elenco si completa con quattro espressioni che parlano di una totalità: “tutto”. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. In questo modo, si sottolinea con forza il dinamismo controculturale dell’amore, capace di far fronte a qualsiasi cosa lo possa minacciare. Le conseguenze di quanto detto sin qui rendono la coppia unita e solidale:
[113] Gli sposi che si amano e si appartengono, parlano bene l’uno dell’altro, cercano di mostrare il lato buono del coniuge al di là delle sue debolezze e dei suoi errori. In ogni caso, mantengono il silenzio per non danneggiarne l’immagine. Però non è soltanto un gesto esterno, ma deriva da un atteggiamento interiore. E non è neppure l’ingenuità di chi pretende di non vedere le difficoltà e i punti deboli dell’altro, bensì è l’ampiezza dello sguardo di chi colloca quelle debolezze e quegli sbagli nel loro contesto; ricorda che tali difetti sono solo una parte, non sono la totalità dell’essere dell’altro.
Il Papa ricorda tanto agli sposi quanto ai pastori che: [122] non si deve gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica «un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio»
[135] Non fanno bene alcune fantasie su un amore idilliaco e perfetto, privato in tal modo di ogni stimolo a crescere. Un’idea celestiale dell’amore terreno dimentica che il meglio è quello che non è stato ancora raggiunto, il vino maturato col tempo. Come hanno ricordato i Vescovi del Cile, «non esistono le famiglie perfette che ci propone la pubblicità ingannevole e consumistica. In esse non passano gli anni, non esistono le malattie, il dolore, la morte […]. La pubblicità consumistica mostra un’illusione che non ha nulla a che vedere con la realtà che devono affrontare giorno per giorno i padri e la madri di famiglia».
[137] È più sano accettare con realismo i limiti, le sfide e le imperfezioni, e dare ascolto all’appello a crescere uniti, a far maturare l’amore e a coltivare la solidità dell’unione, accada quel che accada. E’ un monito che ricalca la critica alla famiglia consumistica proposta dai mass media: non esiste né la “famiglia Mulino Bianco”, ma neppure la “famiglia angelicata”. Essere una famiglia cristiana non vuol dire non avere difetti o imperfezioni. La famiglia cristiana è chiamata alla santità, ma santità e perfezione non sono sinonimi e comunque è un processo, lungo, laborioso, fatto di cadute e di progressi.
[126] Nel matrimonio è bene avere cura della gioia dell’amore. Quando la ricerca del piacere è ossessiva, rinchiude in un solo ambito e non permette di trovare altri tipi di soddisfazione. La gioia, invece, allarga la capacità di godere e permette di trovare gusto in realtà varie, anche nelle fasi della vita in cui il piacere si spegne. Per questo san Tommaso diceva che si usa la parola “gioia” per riferirsi alla dilatazione dell’ampiezza del cuore. E di nuovo entra in gioco nelle parole del pontefice la sessualità vissuta come parte essenziale della vita di coppia, non come “di più” ma con la consapevolezza che il piacere legato all’amore fisico è dono di Dio, e che l’altro, il coniuge, è Creatura e in quanto tale detentrice di una dignità che non va mai messa in gioco: della sessualità l’unica parte da mettere sotto controllo è l’idea del possesso, della considerazione dell’altro-da-sé come oggetto.
[148] L’educazione dell’emotività e dell’istinto è necessaria, e a tal fine a volte è indispensabile porsi qualche limite. L’eccesso, la mancanza di controllo, l’ossessione per un solo tipo di piaceri, finiscono per debilitare e far ammalare lo stesso piacere, e danneggiano la vita della famiglia. In realtà si può compiere un bel cammino con le passioni, il che significa orientarle sempre più in un progetto di autodonazione e di piena realizzazione di sé che arricchisce le relazioni interpersonali in seno alla famiglia. Non implica rinunciare ad istanti di intensa gioia, ma assumerli in un intreccio con altri momenti di generosa dedizione, di speranza paziente, di inevitabile stanchezza, di sforzo per un ideale. La vita in famiglia è tutto questo e merita di essere vissuta interamente.
[150] Dio stesso ha creato la sessualità, che è un regalo meraviglioso per le sue creature. Quando la si coltiva e si evita che manchi di controllo, è per impedire che si verifichi «l’impoverimento di un valore autentico». San Giovanni Paolo II ha respinto l’idea che l’insegnamento della Chiesa porti a «una negazione del valore del sesso umano» o che semplicemente lo tolleri «per la necessità stessa della procreazione». Il bisogno sessuale degli sposi non è oggetto di disprezzo e «non si tratta in alcun modo di mettere in questione quel bisogno»
[151] La sessualità non è una risorsa per gratificare o intrattenere, dal momento che è un linguaggio interpersonale dove l’altro è preso sul serio, con il suo sacro e inviolabile valore. In tal modo «il cuore umano diviene partecipe, per così dire, di un’altra spontaneità». In questo contesto, l’erotismo appare come manifestazione specificamente umana della sessualità. In esso si può ritrovare «il significato sponsale del corpo e l’autentica dignità del dono».
[153] In questa epoca diventa alto il rischio che anche la sessualità sia dominata dallo spirito velenoso dell’“usa e getta”. Il corpo dell’altro è spesso manipolato come una cosa da tenere finché offre soddisfazione e da disprezzare quando perde attrattiva. Si possono forse ignorare o dissimulare le costanti forme di dominio, prepotenza, abuso, perversione e violenza sessuale, che sono frutto di una distorsione del significato della sessualità e che seppelliscono la dignità degli altri e l’appello all’amore sotto un’oscura ricerca di sé stessi?
[156] Riprendiamo la sapiente spiegazione di san Giovanni Paolo II: «L’amore esclude ogni genere di sottomissione, per cui la moglie diverrebbe serva o schiava del marito […]. La comunità o unità che essi debbono costituire a motivo del matrimonio, si realizza attraverso una reciproca donazione, che è anche una sottomissione vicendevole». L’elenco si completa con quattro espressioni che parlano di una totalità: “tutto”. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. In questo modo, si sottolinea con forza il dinamismo controculturale dell’amore, capace di far fronte a qualsiasi cosa lo possa minacciare.
Le conseguenze di quanto detto sin qui rendono la coppia unita e solidale: [113] Gli sposi che si amano e si appartengono, parlano bene l’uno dell’altro, cercano di mostrare il lato buono del coniuge al di là delle sue debolezze e dei suoi errori. In ogni caso, mantengono il silenzio per non danneggiarne l’immagine. Però non è soltanto un gesto esterno, ma deriva da un atteggiamento interiore. E non è neppure l’ingenuità di chi pretende di non vedere le difficoltà e i punti deboli dell’altro, bensì è l’ampiezza dello sguardo di chi colloca quelle debolezze e quegli sbagli nel loro contesto; ricorda che tali difetti sono solo una parte, non sono la totalità dell’essere dell’altro.
Il Papa ricorda tanto agli sposi quanto ai pastori che: [122] non si deve gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica «un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio»
[135] Non fanno bene alcune fantasie su un amore idilliaco e perfetto, privato in tal modo di ogni stimolo a crescere. Un’idea celestiale dell’amore terreno dimentica che il meglio è quello che non è stato ancora raggiunto, il vino maturato col tempo. Come hanno ricordato i Vescovi del Cile, «non esistono le famiglie perfette che ci propone la pubblicità ingannevole e consumistica. In esse non passano gli anni, non esistono le malattie, il dolore, la morte […]. La pubblicità consumistica mostra un’illusione che non ha nulla a che vedere con la realtà che devono affrontare giorno per giorno i padri e la madri di famiglia».
[137] È più sano accettare con realismo i limiti, le sfide e le imperfezioni, e dare ascolto all’appello a crescere uniti, a far maturare l’amore e a coltivare la solidità dell’unione, accada quel che accada. E’ un monito che ricalca la critica alla famiglia consumistica proposta dai mass media: non esiste né la “famiglia Mulino Bianco”, ma neppure la “famiglia angelicata”. Essere una famiglia cristiana non vuol dire non avere difetti o imperfezioni. La famiglia cristiana è chiamata alla santità, ma santità e perfezione non sono sinonimi e comunque è un processo, lungo, laborioso, fatto di cadute e di progressi.
[126] Nel matrimonio è bene avere cura della gioia dell’amore. Quando la ricerca del piacere è ossessiva, rinchiude in un solo ambito e non permette di trovare altri tipi di soddisfazione. La gioia, invece, allarga la capacità di godere e permette di trovare gusto in realtà varie, anche nelle fasi della vita in cui il piacere si spegne. Per questo san Tommaso diceva che si usa la parola “gioia” per riferirsi alla dilatazione dell’ampiezza del cuore. E di nuovo entra in gioco nelle parole del pontefice la sessualità vissuta come parte essenziale della vita di coppia, non come “di più” ma con la consapevolezza che il piacere legato all’amore fisico è dono di Dio, e che l’altro, il coniuge, è Creatura e in quanto tale detentrice di una dignità che non va mai messa in gioco: della sessualità l’unica parte da mettere sotto controllo è l’idea del possesso, della considerazione dell’altro-da-sé come oggetto.
[148] L’educazione dell’emotività e dell’istinto è necessaria, e a tal fine a volte è indispensabile porsi qualche limite. L’eccesso, la mancanza di controllo, l’ossessione per un solo tipo di piaceri, finiscono per debilitare e far ammalare lo stesso piacere, e danneggiano la vita della famiglia. In realtà si può compiere un bel cammino con le passioni, il che significa orientarle sempre più in un progetto di autodonazione e di piena realizzazione di sé che arricchisce le relazioni interpersonali in seno alla famiglia. Non implica rinunciare ad istanti di intensa gioia, ma assumerli in un intreccio con altri momenti di generosa dedizione, di speranza paziente, di inevitabile stanchezza, di sforzo per un ideale. La vita in famiglia è tutto questo e merita di essere vissuta interamente.
[150] Dio stesso ha creato la sessualità, che è un regalo meraviglioso per le sue creature. Quando la si coltiva e si evita che manchi di controllo, è per impedire che si verifichi «l’impoverimento di un valore autentico». San Giovanni Paolo II ha respinto l’idea che l’insegnamento della Chiesa porti a «una negazione del valore del sesso umano» o che semplicemente lo tolleri «per la necessità stessa della procreazione». Il bisogno sessuale degli sposi non è oggetto di disprezzo e «non si tratta in alcun modo di mettere in questione quel bisogno»
[151] La sessualità non è una risorsa per gratificare o intrattenere, dal momento che è un linguaggio interpersonale dove l’altro è preso sul serio, con il suo sacro e inviolabile valore. In tal modo «il cuore umano diviene partecipe, per così dire, di un’altra spontaneità». In questo contesto, l’erotismo appare come manifestazione specificamente umana della sessualità. In esso si può ritrovare «il significato sponsale del corpo e l’autentica dignità del dono».
[153] In questa epoca diventa alto il rischio che anche la sessualità sia dominata dallo spirito velenoso dell’“usa e getta”. Il corpo dell’altro è spesso manipolato come una cosa da tenere finché offre soddisfazione e da disprezzare quando perde attrattiva. Si possono forse ignorare o dissimulare le costanti forme di dominio, prepotenza, abuso, perversione e violenza sessuale, che sono frutto di una distorsione del significato della sessualità e che seppelliscono la dignità degli altri e l’appello all’amore sotto un’oscura ricerca di sé stessi?
[156] Riprendiamo la sapiente spiegazione di san Giovanni Paolo II: «L’amore esclude ogni genere di sottomissione, per cui la moglie diverrebbe serva o schiava del marito […]. La comunità o unità che essi debbono costituire a motivo del matrimonio, si realizza attraverso una reciproca donazione, che è anche una sottomissione vicendevole»
A corollario di questo, con grande sapienza e realismo, il Papa avverte che oggi, più che mai, il matrimonio è la scelta continua dell’altro. E’ una sfida al conoscersi ogni momento di più e meglio perché – col prolungarsi della vita – è necessario approfondire i motivi della relazione, trasformarli, in ossequio alle varie fasi della vita: [163] prolungarsi della vita fa sì che si verifichi qualcosa che non era comune in altri tempi: la relazione intima e la reciproca appartenenza devono conservarsi per quattro, cinque o sei decenni, e questo comporta la necessità di ritornare a scegliersi a più riprese. Forse il coniuge non è più attratto da un desiderio sessuale intenso che lo muova verso l’altra persona, però sente il piacere di appartenerle e che essa gli appartenga, di sapere che non è solo, di aver un “complice” che conosce tutto della sua vita e della sua storia e che condivide tutto. È il compagno nel cammino della vita con cui si possono affrontare le difficoltà e godere le cose belle. Anche questo genera una soddisfazione che accompagna il desiderio proprio dell’amore coniugale. Non possiamo prometterci di avere gli stessi sentimenti per tutta la vita.
Con una chiosa che commuove: [164] Ci si innamora di una persona intera con una identità propria, non solo di un corpo, sebbene tale corpo, al di là del logorio del tempo, non finisca mai di esprimere in qualche modo quell’identità personale che ha conquistato il cuore.
Lucandrea Massaro Aleteia 10 aprile 2016
http://it.aleteia.org/2016/04/10/amoris-laetitia-capitolo-4-catechismo-matrimonio
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
POLITICHE SOCIALI
Dossier politiche familiari.
Un vademecum per le famiglie: la guida agli interventi messi in atto dalla Provincia Autonoma di Trento in merito alle politiche familiari. Con l’edizione 2016 il Dossier politiche familiari raggiunge i dieci anni dalla prima pubblicazione, quarta edizione aggiornata di questo vademecum che contiene numerosi interventi messi in atto dalla Provincia Autonoma di Trento in merito alle politiche familiari, ovvero quegli strumenti idonei a sostenere la famiglia nei diversi ambiti privati e sociali in cui essa è vocata ad agire per sua intrinseca natura.
Agevolazioni tariffarie, servizi per le famiglie, attività sportive, pari opportunità, politiche giovanili, servizio civile, conciliazione famiglia-lavoro, progetti di promozione del benessere familiare, volontariato familiare, assegni di studio, assegni regionali al nucleo familiare, contributo sul canone d’affitto, borse di studio, fondo per la valorizzazione e professionalizzazione dei giovani, prestiti sull’onore, redditi di garanzia,… sono decine e decine le voci qui raccolte in specifiche schede, dedicate ad ogni misura, facilmente consultabili e contenenti le indicazioni utili per indirizzare ai relativi approfondimenti.
Un volume realizzato grazie alla collaborazione tra pubblico e privato che si concretizza nelle interazioni che intercorrono tra Provincia Autonoma di Trento-Agenzia per la famiglia e Forum delle Associazioni Familiari del Trentino, impegnati attivamente nel raccogliere le informazioni e metterle a disposizione dei diversi stakeholders[portatori di interesse]: famiglie, singoli cittadini, associazioni, istituzioni, enti pubblici e privati.
Questa nuova edizione sarà completata nei primi mesi del 2016, ma l’anteprima è già disponibile! Da qui si possono visionare e scaricare le schede aggiornate e, se di interesse, prenotare la futura edizione cartacea del volume. Con questa edizione si punta soprattutto a rendere usufruibili online le diverse informazioni che, utilizzando le potenzialità offerte dall’informatica, potranno essere facilmente aggiornate.
Per scaricare il Dossier andare sul sito web.
E’ segnalato anche il consultorio familiare UCIPEM
www.trentinofamiglia.it/Attualita/Archivio-2012/Giugno/DOSSIER-POLITICHE-FAMILIARI
L’Agenzia per la famiglia al Festival di Educa
Appuntamento il 15 aprile 2016, con l’Agenzia per la famiglia, natalità e politiche giovanili sul tema “Tempo liberato, tempo regolato”. Dal seminario è emerso un vivace dibattito sulle politiche di conciliazione vita-lavoro e la loro reale efficacia nel venire in aiuto alle famiglie nella società odierna.
Il Festival di Educa ha ospitato stasera, presso il Palazzo della Fondazione-Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, un seminario con la regia dell’Agenzia per la famiglia, natalità e politiche giovanili della Provincia autonoma di Trento, dal titolo “Tempo liberato, tempo regolato”. Partendo dalla narrazione di storie di vita – alcune difficili, altre possibili – e attraverso l’analisi di politiche e strumenti di sostegno alla famiglia, si è tentato stasera di capire quali siano le condizioni per una società culturalmente e concretamente capace di accogliere e sostenere il desiderio di maternità e paternità.
Ha aperto il workshop il Dirigente dell’Agenzia per la famiglia Luciano Malfer con un intervento sulle politiche provinciali e strumenti a favore della conciliazione. “Libertà e regole è un tema sfidante: dentro queste 2 parole vi sono 2 dimensioni importanti che condizionano la vita delle famiglie e qui giocano un ruolo decisivo le politiche di conciliazione vita-lavoro, il tema della natalità e la libertà di una coppia di costruire una famiglia. Fino a che punto il sistema permette di farlo in un contesto liquido con scenari e priorità cambiati? La famiglia è in continua evoluzione e occorre dare strumenti ai giovani per offrire loro un progetto di vita. E’ una sfida nella sfida: armonizzare i tempi di vita-lavoro non è un atto sociale che l’azienda fa verso i suoi dipendenti, ma è una politica di crescita e di benessere organizzativo che può creare un sistema di opportunità economiche immenso. Sono questi temi lontani dalla media nazionale, che arretra piuttosto che avanzare. La Provincia autonoma di Trento si impegna da anni su questo fronte per creare un eco sistema, dove tutte le componenti possono concorrere a offrire servizi per aiutare le famiglie ad equilibrare i tempi di vita e lavoro. Il Jobs act ha articoli dedicati a questo tema, ma ad oggi sono ancora fermi sulla carta in Italia. Ora si va verso lo smart working [lavoro agile] che supera le barriere di orari e modalità rigide di lavoro e va oltre il telelavoro e il part time.”
La giornalista Chiara Valentini, autrice del libro “O i figli o il lavoro”. “In questi anni è cresciuta la sensibilità verso le donne, le discriminazioni, i pregiudizi e le ingiustizie in occasione della maternità, ma non basta. Vi presento qualche dato Istat del 2014 sulla situazione delle donne in Italia e ne esce un quadro non rassicurante di certo. Tra i 25 e 54 anni le mamme con un lavoro sono solo il 55%, mentre i padri il 90%; le donne sono sempre più istruite fino a sorpassare gli studenti maschi con votazioni medie più alte: ottimi dati, salvo uno relativo al lavoro. Il 24% di esse lavorano con ruoli dequalificanti rispetto al titolo di studio posseduto. Su 10 milioni di donne il 44% ha rinunciato a lavorare a causa di gravidanze o impegni familiari: un dato allarmante che deve far riflettere. La crisi della natalità è in atto da decenni e nel 2015 sono nati solo 488.000 bambini, 15.000 in meno del 2014: la cifra più bassa da quando l’Italia è una nazione. E’ un campanello d’allarme grave e, in parallelo, la popolazione invecchia progressivamente con una età media sempre più elevata. La maternità continua ad essere considerata un problema solo delle donne e penalizza infatti solo loro e non i maschi. La maternità è vista come spauracchio che porta “alla rovina” di un’azienda. Solo qualche esempio dei fattori negativi in atto: donne sottoposte a mobbing quando annunciano la gravidanza, sottoinquadrate al loro ritorno dopo la maternità, selezioni di lavoro condizionate dall’avere un fidanzato o, peggio, un marito e figli. Altro punto dolente, la mancanza di politiche efficaci in Italia, rispetto ai traguardi di eccellenza del Trentino. Il congedo parentale non va meglio, visto che l’attesa riforma del Parlamento, che prevedeva un innalzamento dei giorni, non è mai arrivata, rispetto agli altri Paesi europei ben più avanzati su questo ambito.”
La giornalista Adele Gerardi e autrice del libro “Figli e lavoro si può”. “Il libro è nato su stimolo del libro della Valentini con il fine di provare a dire che il concetto “o i figli o il lavoro” almeno in Trentino è stato superato. E’ un libro collettivo che raggruppa storie vere di donne e uomini trentini, come quella di una donna single che – grazie alla sensibilità del suo datore di lavoro – ha potuto prendere un bambino in affido; o un ex campione sportivo diventato paraplegico che, sempre grazie alla sua società, ha potuto proseguire il suo lavoro con il “telelavoro” da casa, continuando a sentirsi vivo e attivo per la comunità. O un altro uomo che, per stare vicino a due figli piccoli, ha chiesto il telelavoro con risultati ottimi di equilibrio dei suoi tempi di vita. Il libro tratta anche del registro delle Co-manager dove una donna, alla terza gravidanza, ha trovato un’altra imprenditrice in grado di sostituirla. Il volume porta un raggio di speranza alle famiglie e alle aziende che hanno certificato miglioramenti nel benessere aziendale, dopo l’introduzione del marchio Family audit e le azioni di conciliazione vita-lavoro.”
Chiara Valentini ha poi aggiunto a commento del libro della Gerardi: “Mi ha colpito ed emozionato in particolare la storia di un’altra co-manager, che ha trovato un nuovo lavoro, grazie a questo registro, che le ha nuovamente donato dignità, autonomia e autostima; o quella di Barbara che ha cercato un bambino in adozione e, grazie alla sensibilità della sua azienda e alla flessibilità degli orari sul lavoro e della scuola materna, ha potuto gestire il figlio e la sua attività lavorativa al meglio. Tanti tasselli di storie, come l’Azienda provinciale per il Servizi sanitari che ha attivato un nido aziendale interno full time dalle ore 8.00 alle 21.00 per i propri dipendenti a prezzi agevolati. Il telelavoro è un altro strumento di eccellenza ideato dalla Provincia autonoma di Trento con ottimi risultati, soprattutto quando il dipendente ha tanti figli o vive molto lontano dal luogo di lavoro. E poi ci sono le storie di 2 donne: Michela che adempie il suo ruolo di mamma durante il giorno e comincia a lavorare come “telelavoratrice” alle 17.30 del pomeriggio fino a tarda notte, e Valeria che ha adottato un figlio nepalese che si alza alle 5.00 per lavorare con il telelavoro e conclude la sua giornata di madre/lavoratrice a mezzanotte.”
Fabio Valente, referente di Familyidea, è intervenuto sulle nuove tecnologie a favore della famiglia. Ha presentato un progetto nuovo attivato in Alto Adige qualche anno fa ed ora diffuso anche in Trentino. “Partendo dalla premessa che le aziende iniziano a capire che i dipendenti sono l’elemento fondamentale per il successo del loro business e il loro benessere nelle rispettive famiglie equivale al benessere e alla crescita aziendale. 12 milioni di persone ogni giorno cercano servizi per la casa e la famiglia e sono cresciuti in modo esponenziale siti come subito.it, kijiji.it, airbnb.com, tripadvisor, bla bla car. Noi abbiamo cercato di tradurre la cooperazione offrendo servizi commerciali alla comunità. Familyidea è un portale che aggrega domanda – da parte di famiglie che lavorano con figli – e offerta da parte delle aziende come: tagesmutter, servizi di cura del verde, badanti, baby sitter, dog sitter, elettricisti, pasticceri, organizzatori di eventi, ecc. Le aziende sono sempre più “social” e cercano di integrare il valore della cooperazione nei loro progetti commerciali. Familyidea è un servizio innovativo che vuol promuovere le imprese sociali alla collettività integrando i valori della cooperazione. Il cambiamento è costante e il web aiuta a interpretare questa evoluzione progressiva. Ora le aziende strutturano al loro interno sistemi di welfare aziendale per vedere i propri lavoratori felici e tranquilli, pronti a lavorare in serenità e produttività.”
Trentino famiglia it 19 aprile 2016
www.trentinofamiglia.it/Attualita/Archivio-2016/Aprile/L-Agenzia-per-la-famiglia-al-Festival-di-Educa
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
SINODO SULLA FAMIGLIA
L’ecclesiologia dietro “Amoris Laetitia”.
L’esortazione apostolica di papa Francesco sull’amore nella famiglia, Amoris laetitia, è un documento-pietra miliare nella storia dell’insegnamento papale moderno per il modo in cui affronta i temi scottanti del matrimonio e della sessualità e, ancor di più, per la sua immagine di Chiesa.
Segna uno sviluppo ulteriore nella sua ecclesiologia; cioè nella sua teologia della Chiesa. Innanzitutto, l’ecclesiologia che è alla base di Amoris laetitia è collegiale e sinodale. Francesco cita diciassette volte la sua prima esortazione apostolica, Evangelii Gaudium. E cita la costituzione della Chiesa nel mondo moderno del Concilio Vaticano Secondo, Gaudium et Spes, per ben diciannove volte.
Fa poi riferimento a dieci diversi documenti editi da altrettante conferenze episcopali di varie parti del mondo. Tutto questo è coerente con il già ben noto metodo ecclesiologico di questo papa settantanovenne.
Ma ciò che è nuovo nell’ecclesiologia del papa è l’ampio uso che Francesco fa dei documenti prodotti dal Sinodo dei vescovi nelle due sessioni del 2014 e del 2015. Da questi testi trae citazioni ben 136 volte. Anche i papi precedenti citavano i documenti del sinodo. Ma quei documenti non derivavano da un “processo sinodale” come quello inaugurato da Francesco con due distinte sessioni a distanza di dodici mesi l’una dall’altra, entrambe caratterizzate da una reale libertà di dibattito.
Oltretutto, l’ecclesiologia di questo papa non è limitata solo alla collegialità episcopale, ma cerca di estendere la nozione di sinodalità al di là dell’assemblea formale dei vescovi nello specifico sinodo. Questo implica un modo di intendere il ruolo del vescovo di Roma radicalmente nuovo, come suggerisce nelle parole di apertura dell’esortazione: “Desidero ribadire che non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero. Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano.” (n° 3).
In secondo luogo l’ecclesiologia di Amoris laetitia è storica ed esistenziale. Francesco cita diverse volte Evangelii Gaudium per ricordarci che “il tempo è superiore allo spazio”. È un invito a guardare da vicino la realtà. Nel paragrafo 6 inizia a “considerare la situazione attuale delle famiglie, in ordine a tenere i piedi per terra”. Nel paragrafo 7 invita tutti noi a vedere noi stessi nelle debolezze delle famiglie e dice: “È
probabile che tutti si vedano molto interpellati dal capitolo ottavo (Accompagnare, discernere e integrare la fragilità)”.
L’ecclesiologia storica ed esistenziale di Francesco è evidente anche nei paragrafi chiave 35-38 – la Chiesa non può cercare di “imporre norme con la forza dell’autorità” (35): è una Chiesa “umile e realistica” (36); una Chiesa “chiamata a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle” (37); una Chiesa che non può avere un “atteggiamento difensivo e sprecare le energie pastorali moltiplicando gli attacchi al mondo decadente, con poca capacità propositiva per indicare strade di felicità” (38).
È l’ecclesiologia del Vaticano II, ma è anche un’ecclesiologia umiliata dai cinquant’anni trascorsi dal Concilio. È stata umiliata da un cambiamento radicale nel ruolo della religione e della Chiesa nella società, ma anche dai tragici errori della stessa Chiesa, come lo scandalo degli abusi sessuali, menzionato in Amoris laetitia nel paragrafo sullo sfruttamento sessuale dei bambini:“L’abuso sessuale dei bambini diventa ancora più scandaloso quando avviene in luoghi dove essi devono essere protetti, particolarmente nelle famiglie, nelle scuole e nelle comunità e istituzioni cristiane” (45).
In terzo luogo, l’ecclesiologia in Amoris laetitia è inclusiva e radicalmente non settaria. Francesco vede Chiesa e società in costante dialogo e comunicazione. È importante l’esperienza di Francesco nella Chiesa argentina, dove Chiesa e popolo tendono ad essere una cosa sola, il che non è necessariamente sentito così in tutta la Chiesa universale. L’esperienza di Francesco nel suo paese d’origine non è normativa ma formativa e lo porta a costruire un’ecclesiologia molto inclusiva.
Francesco invita le famiglie ad essere parte di una società più ampia (182) e a rifiutare ogni forma di esclusione (186). È una Chiesa che accoglie tutti. La Chiesa è come un ospedale da campo (immagine usata per la prima volta nell’intervista con il direttore di Civiltà Cattolica, Antonio Spadaro SJ, nel settembre 2013 e “come la luce del faro di un porto o di una fiaccola portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta” (291). È l’ecclesiologia della parabola del “Pastore di cento pecore, non solo di novantanove” (309).
Francesco è deciso nel segnalare le tentazioni di abbracciare un’ecclesiologia escludente. “Due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare […]. La strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione…” (296).
Il riferimento al concilio di Gerusalemme, quando la prima comunità cristiana scelse in accogliere i gentili che credevano in Gesù Cristo (Atti degli Apostoli, cap. 15), è un’implicita affermazione sulla situazione della Chiesa di oggi e sulla necessità di un cambio di paradigma.
Amoris laetitia contiene anche accenti ecclesiologici che rivelano delle debolezze nel modo in cui il papa gesuita vede certe complessità della Chiesa odierna. Nel paragrafo 87, ad esempio, definisce la Chiesa “una famiglia di famiglie”. Ma questo porta a chiedersi quale ruolo egli veda per i cattolici single, non sposati. Il paragrafo 161 sulla verginità non parla a tutti i cattolici non sposati; come il paragrafo 162 che dice solo: “Il celibato corre il rischio di essere una comoda solitudine”.
A parte questo, ciò che manca è una valutazione ecclesiologica diretta della dimensione ministeriale delle coppie sposate (famiglie) nella Chiesa. È una cosa che Francesco farebbe bene a sviluppare ulteriormente nella sua ecclesiologia, basata su una sacramentalità fortemente collegata ad una concezione della persona umana molto concreta e non idealizzata. Questo pontificato porta a fare i conti con la realtà una Chiesa che per molto tempo ha avuto un’immagine filosofica e perfetta di sé, così come dell’amore e della sessualità. Il fare i conti con la realtà è probabilmente qualcosa a cui le famiglie reali sono più abituate di quanto non lo sia il clero.
Così vediamo che l’immagine che Francesco ha della famiglia rivela molto dell’immagine che ha della Chiesa.
Massimo Faggioli “www.globalpulsemagazine.com”, 13 aprile 2016
traduzione: www.finesettimana.org
www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=numaut659
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬
Le comunichiamo che i suoi dati personali sono trattati per le finalità connesse alle attività di comunicazione di newsUCIPEM. I trattamenti sono effettuati manualmente e/o attraverso strumenti automatizzati. Il titolare dei trattamenti è Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali Onlus- UCIPEM ONLUS – 20135 Milano-via S. Lattuada, 14. Il responsabile dei trattamenti è il dr Giancarlo Marcone, via Favero 3-10015-Ivrea.
▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬