UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
newsUCIPEM n. 591 –3 aprile 2016
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ADOZIONI INTERNAZIONALI Così è un pasticcio. Qualcuno risponda a queste domande.
Le proposte per uscire dall’emergenza
La Cai deve agli enti più di un milione di euro.
ASSEGNO DI MANTENIMENTO La rivalutazione dell’assegno di mantenimento.
Mantenimento omesso all’ex coniuge: si blocca lo stipendio.
CINQUE PER MILLE Al via le iscrizioni per il 2016.
CONSULTORI FAMILIARI 21° Corso CFC Scuola di Formazione Operatori Consultoriali.
CONSULTORI Familiari UCIPEM Parma. Due cuori e un bebè.
DALLA NAVATA 2° Domenica di Pasqua – anno C –27 marzo 2016.
DIRITTO DI VISITA È reato negare all’ex il diritto di visita del figlio.
DIVORZIO Il termine X divorziare è 6 mesi dall’accordo davanti al Sindaco.
FEMMINA E MASCHIO Il cervello maschile e quello femminile.
GESTAZIONE PER ALTRI Di mamme ce n’è una sola?
La scienza medica cosa dice sull’ovodonazione?
Surrogata o adozione cambia la garanzia?
MATERNITÀ Renzi: «Piano per la maternità. Non è la fine della carriera».
MATRIMONIO 7 motivi per non sposarsi.
PARLAMENTO Senato Assemblea Approvata la delega per la riforma del terzo settore.
Camera 1° C. Affari costituzionali. Giornata nazionale della famiglia.
2° C. Giustizia Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili.
Pdl Perseguibilità reato di surrogazione di maternità all’estero.
SINODO SULLA FAMIGLIA Esortazione apostolica “Amoris laetitia” presentata l’8 aprile.
Kasper: “Non mi aspetto un documento rivoluzionario”.
Aspettando Amoris Laetitia. I nomi dell’amore in 140 anni di magistero
TERZO SETTORE Il Senato approva la riforma.
UNIONI CIVILI II giudizio dopo un paio di audizioni.
WELFARE Nuovo bonus mobili per giovani coppie under 35.
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ADOZIONI INTERNAZIONALI
Adozione internazionale. Così è un pasticcio. Qualcuno risponda a queste domande.
Il giornalista del quotidiano “Avvenire” Luciano Moia pone 7 domande per fare luce sull’attuale situazione delle adozioni internazionali in Italia. Di seguito riportiamo integralmente l’articolo pubblicato giovedì 31 marzo 2016.
Premessa indispensabile. Speriamo con tutto il cuore che il caso Congo si risolva in tempi brevissimi e che le oltre cento famiglie che attendono di abbracciare i loro figli possano al più presto cominciare una nuova vita insieme ai loro piccoli, dopo le sofferenze, le attese angoscianti, le vessazioni psicologiche subite in questi anni. Ma, alla stesso tempo, non possiamo evitare di porci una serie di domande. Interrogativi che questa nuova emergenza adozioni ha di nuoto sollevato e reso in qualche modo ancora più urgenti. Tentiamo di metterli in fila, non tanto perché speriamo che qualcuno possa fornire risposte esaurienti, ma perché siamo convinti che l’emergenza adozioni vissuta nel nostra Paese dipenda proprio dall’incapacità – o dalla non volontà – di affrontare in modo costruttivo questi ed altri problemi.
1) La Cai (Commissione per le adozioni internazionali), di cui è vicepresidente dal 30 aprile 2014 (e poi ha ricevuto delega per la presidenza) il magistrato Silvia Della Monica, si è riunita una sola tolta, nel giugno 2014. La successiva riunione attende ancora di essere convocata. Nessuno ha mai spiegato i motivi di questo immobilismo. Davvero non c’è stato tempo di convocare un’altra riunione?
2) La legge spiega che la vicepresidente può comunque assumere provvedimenti d’urgenza, ma che le sue decisioni devono poi essere ratificate dalla Commissione, che è un organo collegiale. Chi ha ratificato le decisioni in questi due anni? E, in assenza di ratifica, le sue decisioni sono legittime?
3) La Cai è sempre stata presieduta da un ministro (l’ultima era stata Cecile Kyenge) ma Renzi ha subito spiegato di voler tenere per sé la delega, salvo poi comunicare di aver affidato la competenza alla stessa vicepresidente che, da due anni si trova così a rivestire il ruolo tecnico (operativo) e quello politico (di controllo). Le numerose interpellanze parlamentari sul caso hanno sottolineato che si tratta di una scelta «in evidente contrasto con il riparto delle competenza previsto dalla normativa vigente. Ma tutto è rimasto senza conseguenze. Svista? Fiducia illimitata nelle qualità della dottoressa Della Monica? O che altro?
4) In questi tre anni il numero delle adozioni internazionali è crollato. Da oltre 4mila adozioni nel 2010, siamo ormai sotto quota duemila. Ma si tratta soltanto di stime perché da due anni la Cai non comunica più alcun dato. Una strategia incomprensibile. A chi serve tenere nascosto la verità?
5) In una delle pochissime dichiarazioni rilasciate a inizio mandato, la vicepresidente aveva annunciata lei volontà di far chiarezza sui costi delle adozioni e di verificare l’operato dei 62 enti autorizzati. Cosa è stato fatto di questi obiettivi?
6) Una delle strategie per incrementare il numero delle adozioni internazionali, potrebbe essere quella di accrescere il numero degli accordi bilaterali. Ma in questi due anni i Paesi con cui l’Italia intrattiene rapporti non sono aumentati, ma diminuiti. Come mai? Solo sfavorevoli congiunture internazionali?
7) All’inizio di marzo, parlando con un’emittente radiofonica toscana, la dottoressa Della Monica ho spiegato che alcune coppie italiane sarebbero state convinte a comperare bambini da famiglie povere in Paesi extraeuropei. Un’accusa gravissima non specificata però in altro modo. Come autorità di vigilanza ha comunicato questo dubbio all’autorità giudiziaria, circostanziando le sue preoccupazioni? Alla vicepresidente Cai risulta per caso che in questi traffici siano stati coinvolti anche enti autorizzati?
Ai. Bi. 31 marzo 2016 www.aibi.it/ita/category/archivio-news
Adozioni, le proposte per uscire dall’emergenza.
Nei giorni scorsi 27 enti autorizzati più il Care, un coordinamento che riunisce 33 associazioni familiari, hanno chiesto a Matteo Renzi un «intervento risolutore» per salvare il modello italiano delle adozioni internazionali, che rischia di «scomparire»: sono 60mila famiglie che parlano a una sola voce. Ora, certi che l’adozione sia «un’avventura meravigliosa», hanno individuato sei proposte per superare la crisi, senza aspettare una riforma, perché l’Italia torni ad essere «un modello di eccellenza».
L’adozione è un’avventura meravigliosa che permette ad un bambino in situazione di abbandono di crescere nell’amore di una famiglia e a due coniugi di sperimentare l’incredibile esperienza di essere genitori di un figlio non generato da loro. L’adozione porta in sé, nella dimensione privata come in quella pubblica, un altissimo valore culturale e sociale che deve essere valorizzato e promosso e mai ostacolato.
Le famiglie italiane hanno sempre manifestato una grande disponibilità all’accoglienza tanto che il sistema italiano delle adozioni internazionali è stato a lungo portato a modello dalla comunità internazionale. La legge italiana sull’adozione è molto apprezzata all’estero per l’attenzione che dedica ai bambini in stato di abbandono, alle famiglie che si rendono disponibili ad adottarli e alla sussidiarietà negli interventi di prevenzione dell’abbandono perché l’adozione sia veramente intervento ultimo e residuale di protezione del bambino.
Dal 2011 anche in Italia si è registrato il progressivo e consistente calo delle adozioni, iniziato a livello mondiale già dal 2006, ed oggi si è raggiunto il – 50%. Il tutto è avvenuto in un periodo storico di crisi economica che ha pesato sulle famiglie insieme ad una serie di altre criticità che ha reso sempre più difficile il lavoro di tutti gli operatori che lavorano nel sistema adozioni italiano. Crediamo infatti fermamente che l’Italia abbia tutte le carte in regola per essere un modello di eccellenza per l’adozione internazionale che garantisca adozioni di qualità, nel reale interesse dei bambini in situazione di abbandono e nel pieno rispetto dei loro diritti, dedicando attenzione e sostegno alle famiglie che si rendono disponibili ad accoglierli.
Per tornare ad essere questo modello, 27 Enti Autorizzati e 33 Associazioni familiari che rappresentano oltre il 60% delle adozioni fatte in Italia e l’80% dei progetti di prevenzione dell’abbandono, dando voce a 60mila famiglie, sia adottive che in attesa di diventarlo, vogliono segnalare cosa si può fare subito per superare la crisi delle adozioni, senza aspettare una riforma che potrà avere tempi lunghi.
- Banca Dati per l’adozione nazionale. Da 15 anni non è operativa la Banca Dati nazionale dei minori adottabili e delle coppie disponibili ad adottare, già prevista per legge nel 2001. Così non è monitorabile né la situazione dei minorenni adottabili in Italia che sono inseriti in comunità alloggio o in affidamento familiare né è operativa la messa in rete dei dati tra tutti i Tribunali per i Minorenni italiani a discapito di una maggior celerità ed efficacia del sistema di abbinamento tra coppie e bambini, procedura in cui il fattore tempo è elemento determinante.
- I Tempi dell’adozione internazionale. Spesso la procedura italiana per la valutazione di idoneità della coppia si prolunga ben oltre il tempo fissato dalla legge 184/83 e successive modificazioni, previsto in 6 mesi e mezzo. In Italia si impiega più di un anno tra l’attività istruttoria dei servizi socio sanitari a e l’emanazione del decreto di idoneità delle coppie. È vero inoltre che anche i tempi di trascrizione della sentenza straniera nei registri italiani a volte si protraggono fino ad una anno, con tutti i rischi per il bambino. È necessario rendere perentori i tempi indicati per l’espletamento della procedura, sia per la valutazione dell’idoneità che per la trascrizione della sentenza straniera.
- Sostegno economico e politiche di incentivi e sostegni a favore delle famiglie che accolgono bambini in stato di abbandono continuano a diminuire. Nonostante l’art. 6, comma 8, delle legge n. 184/1983 e successive modificazioni preveda sostegni economici per le adozioni di minori di età superiore a dodici anni o con handicap accertato, ai sensi dell’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992 n. 104, solo poche Regioni hanno reso operativa questa disposizione di legge. I rimborsi delle spese sostenute sono fermi al 2011, non sono stati ancora approvati i provvedimenti attuativi per impegnare i fondi messi a disposizione della CAI con l’ultima legge di stabilità. È necessario prevedere ulteriori sgravi fiscali per le spese di adozione, ripristinare i rimborsi delle spese sostenute e rendere effettivi gli incentivi all’adozione per bambini con bisogni speciali.
- La Commissione adozioni internazionali. Per un efficace funzionamento di tutto il sistema della adozioni internazionali è cruciale il ruolo di regia della Commissione Adozioni Internazionali sia a livello nazionale che internazionale. Un ruolo che, come previsto, dovrebbe essere svolto in sinergia e collaborazione con tutti gli attori italiani del processo adottivo, con particolare coinvolgimento dei 61 Enti Autorizzati ai quali si aggiunge un servizio pubblico presente in 5 Regioni, ed in collaborazione stretta con le Autorità centrali dei Paesi stranieri. Purtroppo dal 2014 la Commissione adozioni, organo collegiale, non si è mai riunita per deliberare, non organizza alcun incontro periodico con gli Enti Autorizzati; nessuna consultazione semestrale con le associazioni familiari; non ha attivato nessun rimborso agli Enti per i progetti di cooperazione e prevenzione abbandono nei Paesi esteri, già realizzati e rendicontati da oltre un anno; quasi del tutto interrotte le comunicazioni con le famiglie prima agevolate anche attraverso la linea telefonica diretta con la CAI.
- La riapertura di Linea CAI è un passaggio fondamentale nella trasparenza di rapporti tra le singole famiglie e la Commissione.
- È indispensabile prevedere dei termini perentori per le convocazioni della Commissione Adozioni (ogni mese) che per legge è un organo collegiale, per gli incontri con gli Enti Autorizzati (almeno ogni sei mesi) come con le associazioni familiari a carattere nazionale.
- Per promuove sinergia fra i soggetti che operano nel campo dell’adozione internazionale occorre prevedere almeno un incontro annuale con tutti gli attori del mondo delle adozioni: enti autorizzati, servizi sociali e Regioni, Tribunali per i Minorenni, associazioni familiari.
- È fondamentale che sia garantita l’applicazione della legge 184/1983 e del D.P.R. 108/2007 per il pieno svolgimento dei compiti. Per questo è utile prevedere una composizione della CAI più snella con il rispetto perentorio di una guida politica, il Presidente, ed una guida operativa, vicepresidente evitando assolutamente che le due funzioni possano coincidere.
- La voce delle famiglie in seno agli organi istituzionali è fondamentale. Occorre che venga risolto il problema dell’individuazione di parametri che garantiscano una scelta trasparente e rappresentativa a livello nazionale dei tre commissari familiari. Infatti, la mancanza di tali criteri ha generato una criticità nella selezione delle Associazioni Familiari a carattere nazionale del tutto arbitraria e non coerente con la specificità dell’associazionismo familiare di tipo adottivo. Solo in questo modo sarà garantita in Commissione una presenza efficace dell’associazionismo familiare in grado di intervenire per garantire una risposta a tante necessità delle famiglie Italiane.
- Monitoraggio e trasparenza delle adozioni. Dal 2001 al 31/12/2013 la Commissione Adozioni Internazionali ha semestralmente pubblicato un Rapporto molto dettagliato sulle caratteristiche dei bambini, delle coppie e sui Paesi di origine delle adozioni. Per il 2014 e 2015 nessun dato è stato pubblicato. Questa mancanza di dati rende impossibile rilevare le criticità attuali del sistema. È indispensabile verificare e monitorare il lavoro fatto nelle adozioni per individuare precocemente eventuali criticità e per programmare opportune politiche di sostegno alle adozioni internazionali. Tali dati servono in modo diretto a informare le coppie che devono scegliere Ente Autorizzato e Paese. Servono inoltre, e soprattutto, a mettere a punto politiche a sostegno dei bambini che sono arrivati e arriveranno per caratteristiche proprie (età, condizioni di salute). Servono alla Scuola e alla Sanità. È necessario che la Commissione Adozioni verifichi ogni due anni, come stabilito per legge, l’operato degli enti autorizzati e renda conto di queste verifiche in Parlamento, evitando dichiarazioni pubbliche offensive degli Enti senza procedere a nessuna azione sanzionatoria.
- Sostegno alle famiglie. La realtà dell’adozione nazionale e internazionale è sempre più complessa, aumentano le adozioni di bambini con special needs. La legge 184/1983 prevede un sostegno post-adozione obbligatorio e gratuito da parte dei servizi sociali solo per il primo anno dopo l’arrivo in famiglia del bambino. L’esperienza ci insegna che le famiglie adottive, ancora più che in passato, hanno bisogno di essere supportate da un adeguato e duraturo sostegno nel post adozione. È importante quindi prevedere delle forme di sostegno, garantito nel tempo e non solo dal servizio pubblico, in forma gratuita, sia per prestazioni sanitarie che per il sostegno psicologico.
- Pietro Ardizzi per 27 Enti Autorizzati
- Monya Ferritti per il CARE (33 Associazioni familiari)
www.vita.it/it/article/2016/04/01/adozioni-le-proposte-per-uscire-dallemergenza/138867
Prevenire l’abbandono: la Cai deve agli enti più di un milione di euro.
I progetti di sussidiarietà per prevenire l’abbandono di bambini nel mondo sono un elemento essenziale delle adozioni internazionali, ma sembrano scomparsi dall’orizzonte della Commissione Adozioni Internazionali: l’ultimo bando (da 3 milioni di euro) risale al 2010 e i progetti lì approvati – realizzati, conclusi e rendicontati dagli enti entro agosto 2014 – non sono ancora stati rimborsati agli enti
«Tra gli impegni prioritari della Commissione per le adozioni internazionali ci sarà l’implementazione della cooperazione internazionale, nello spirito della Convenzione de L’Aja»: così aveva detto la presidente della Cai Silvia Della Monica, nella lunga intervista che aveva rilasciato a Vita all’inizio del suo incarico. I progetti di sussidiarietà per prevenire l’abbandono di bambini nel mondo, però, sembrano scomparsi dall’orizzonte della Cai: non solo non è stato fatto alcun bando (l’ultimo risale al 2010), ma i progetti approvati e finanziati da quel bando – progetti realizzati, conclusi e rendicontati entro l’agosto 2014 – non sono ancora stati liquidati agli enti.
Il Ciai attende dalla Cai 521mila euro, AiBi altri 507mila, 71mila euro è il credito di Cifa e altri 71mila li aspetta Nadia. Solo così fanno più di un milione di euro che gli enti attendono da quasi due anni, che hanno anticipato per realizzare negli anni scorsi, in diversi paesi del mondo, progetti per la formazione degli operatori dei servizi di protezione dell’infanzia, di sostegno a giovani madri adolescenti, di lavoro con i bambini di strada. Progetti approvati dalla Cai con delibera n. 1/2012/SG del 13 marzo 2013, firmata da Andrea Riccardi e finanziati con uno stanziamento di 3 milioni di euro deciso due anni prima, il 27 ottobre 2010, con la delibera n.10/2010/SG, firmata da Carlo Giovanardi. Perché allora i soldi non arrivano? È una domanda a cui nessuno sa rispondere. Quel che è certo è che questo ritardo sta mettendo in difficoltà gli enti e di conseguenza i loro interventi a favore dei bambini, in paesi in cui il bisogno continua ad essere pressante.
Ma perché un ente autorizzato alle adozioni internazionali si occupa anche di prevenzione dell’abbandono? «L’abbiamo sempre fatto per scelta, perché riteniamo giusto occuparci dei bambini del mondo con la stessa cura, attenzione, rispetto che vorremmo per i nostri figli», dice Paola Crestani, presidente del Ciai, «ma c’è anche un preciso dovere, gli enti autorizzati sono tenuti a fare progetti di sussidiarietà nei Paesi di origine dei bambini e addirittura a farlo non a titolo proprio ma per conto del sistema Italia, è l’Italia che delega noi enti, che siamo concretamente presenti nei Paesi, a mettere in pratica la sussidiarietà». La sussidiarietà è cioè un impegno che deriva dalla ratifica della Convenzione dell’Aja stessa, che prevede che l’adozione internazionale sia l’ultima soluzione per un bambino – questo significa in fin dei conti sussidiarietà: prima bisogna lavorare affinché il bambino resti nella propria famiglia di origine, poi in una famiglia del suo Paese e solo alla fine all’estero. Con il bando del 2010, il Ciai ha realizzato cinque progetti in Cina, Etiopia, Cambogia, India e Burkina Faso «Il finanziamento approvato per questi progetti da parte della Cai era di 632.415 euro, un impegno molto gravoso per un’associazione come la nostra che vive di donazioni. Li abbiamo anticipati, immaginando di avere la disponibilità nei tempi previsti. Poi invece è stato necessario chiedere un finanziamento a un istituto credito, noi siamo una non profit, non teniamo soldi di riserva nei cassetti», spiega Crestani. Di quei 632mila euro infatti ne hanno visti solo 110.405, nel 2013, poi più nulla: «Non c’è più stata data alcuna spiegazione. Abbiamo fatto richieste verbali, mandato richieste di sollecito anche insieme ad altri enti, non abbiamo mai ottenuto alcun tipo di risposta. Ci hanno messo nella condizione di dover utilizzare dei soldi che vorremmo destinare alle attività in favore dei bambini per pagare gli interessi alle banche».
Secondo il bando i finanziamenti dovevano essere erogati per il 25% a tre mesi dall’avvio del progetto, il 50% dopo almeno sei mesi dall’avvio del progetto e il saldo a conclusione del progetto: il tutto, sempre, a seguito di presentazione di una relazione particolareggiata. «Tecnicamente i pagamenti dovrebbero arrivare 30 giorni dopo l’approvazione della rendicontazione, il problema è che questa rendicontazione finale, inviata nel 2014, non è mai stata approvata perché la Commissione non si è mai riunita, non abbiamo alcun riscontro in merito». Il Ciai con i suoi 521mila euro di credito è la punta dall’iceberg, ma diversi altri enti sono in condizioni analoghe. (…) Con queste testimonianze abbiamo verificato la situazione dei rimborsi per 12 progetti sui 24 approvati e finanziati dalla Cai. Complessivamente questi soli quattro enti, per i progetti citati, hanno un credito con la CAI pari a 1.171.083,29 euro.
Sara De Carli Vita.it 3 aprile 2016
www.vita.it/it/article/2016/04/03/prevenire-labbandono-la-cai-deve-agli-enti-piu-di-un-milione-di-euro/138881
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO
La rivalutazione dell’assegno di mantenimento.
I criteri per rivalutare l’assegno in base a quanto sancito dalla legge 898/1970. Per preservare il potere d’acquisto dell’assegno di mantenimento, annualmente deve essere calcolata la rivalutazione in base all’aumento medio del costo della vita. La rivalutazione viene calcolata tenendo in considerazione l’indice FOI (Indici dei prezzi al consumo per Famiglie di Operai e Impiegati al netto dei tabacchi) che è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale periodicamente e nel sito dell’ISTAT alla pagina: http://www.istat.it/it/archivio/30440.
L’obbligo di rivalutare l’assegno di mantenimento è sancito dalla legge n.898 del 1 dicembre del 1970 nell’articolo 5, comma 7. Sebbene le disposizioni previste siano state specificate solo in sede di divorzio, la Corte di Cassazione, per analogia, ha ritenuto valido gli stessi obblighi anche in sede di separazione.
Il calcolo della rivalutazione viene effettuato prendendo in considerazione l’indice di variazione FOI, rispetto al mese del primo pagamento dell’anno precedente dell’assegno di mantenimento deciso dal tribunale, e applicando la relativa percentuale alla quota del mantenimento sancita dal giudice, così da poter determinare il relativo aumento. La nuova quota costituirà poi la somma sulla quale applicare l’indice di FOI l’anno successivo per determinare la nuova rivalutazione e così via. Per cui se supponiamo che l’assegno di mantenimento sancito dal giudice sia di 500 euro a partire dal 01/09/2012 questa somma dovrà essere rivalutata tenendo conto dell’ultimo FOI disponibile all’ 01/09/2013, che se supponiamo essere del 2%, allora dall’ 1/10/2013 l’assegno di mantenimento sarà di 510 euro. Questa sarà poi la base per la rivalutazione dell’anno successivo e così via.
Sebbene il calcolo manuale della rivalutazione non è complicato si può utilizzare il seguente link per avere un calcolo veloce e senza nessun sforzo www.studiocataldi.it/interessi-e-rivalutazione-monetaria.
Selezionata l’opzione “rivalutazione” basterà inserire la data, sancita dal giudice, di inizio di percezione dell’assegno di mantenimento, la data per la quale si vuole la rivalutazione e, dopo aver cliccato sul tasto “calcola”, verrà presentato un prospetto di sintesi dove l’ultima voce è l’assegno che compete, comprensivo di rivalutazione.
Newsletter Giuridica Studio Cataldi.it 29 marzo 2016
www.studiocataldi.it/articoli/14391-la-rivalutazione-dell-assegno-di-mantenimento.asp
Mantenimento omesso all’ex coniuge: si blocca lo stipendio.
Trattenuta sullo stipendio, in caso di omesso versamento dell’assegno di mantenimento all’ex moglie, ordinata dal giudice direttamente al datore di lavoro. Se l’ex coniuge non versa l’assegno di mantenimento, non c’è bisogno di scomodare l’ufficiale giudiziario e richiedere un pignoramento presso terzi dello stipendio: può essere lo stesso giudice a ordinare al datore di lavoro di versare ogni mese il mantenimento direttamente alla moglie beneficiaria. E ciò anche se l’inadempimento del marito non è grave: ciò che conta, infatti, è che l’omissione nel versamento dell’assegno mensile possa per ciò solo frustrare le finalità dell’assegno costituito in favore del coniuge economicamente più debole. È quanto chiarito dal Tribunale di Catania con una recente sentenza [24 marzo 2016].
Il codice civile [Art. 156 co. 6, cod. civ.] stabilisce che, nel caso di inadempimento nel versamento dell’assegno di mantenimento, il coniuge che ha diritto alla prestazione mensile può adire il giudice affinché disponga il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’obbligato (primo tra tutti, quindi, il datore di lavoro), che una parte di esse venga versata direttamente all’avente diritto, ossia alla moglie e/o ai figli. Ebbene, secondo la sentenza in commento, tale potere-dovere del giudice di disporre il sequestro di parte dello stipendio è subordinato solo alla verifica dell’inadempimento dell’obbligato (di norma il marito), ma non anche alla gravità dello stesso o all’intento, da parte sua, di eludere l’obbligo impostogli dal giudice. Ne consegue che il magistrato può ordinare al datore di lavoro dell’onerato di versare direttamente e mensilmente al coniuge debole l’assegno di mantenimento già solo perché sussiste l’inadempimento dell’obbligato, l’attivazione di procedure esecutive in suo danno e il protrarsi nel tempo del mancato versamento.
Presupposto per il sequestro. Come detto coniuge può chiedere il sequestro solo se al momento della domanda l’altro coniuge non ha adempiuto all’obbligo di versare l’assegno. Si ammette la richiesta anche in caso di ritardo nel pagamento [Cassazione sentenza n. 1095/1990]. Presupposto perché possa essere disposto il sequestro è che vi sia prova dell’inadempimento all’obbligo di versamento dell’assegno di mantenimento. Non rileva la gravità dell’omissione né la presunzione della volontà dell’obbligato di sottrarre beni. Il provvedimento può essere adottato anche con la sentenza di separazione se sono già emerse, durante la causa, le condizioni di inadempienza o di ingiustificato ritardo del versamento, per non avere il coniuge puntualmente adempiuto al pagamento dell’assegno (secondo l’ordine provvisorio impartito all’inizio del giudizio dal Presidente del Tribunale).
Il coniuge interessato deve presentare un ricorso al giudice competente per la separazione.
Il blocco dello stipendio. Simile al sequestro è l’ordine impartito dal giudice al datore di lavoro di bloccare una parte dello stipendio se il coniuge obbligato non paga o ritarda il pagamento dell’assegno di mantenimento. A chiedere tale provvedimento è sempre il coniuge beneficiario con ricorso al tribunale. Il coniuge beneficiario può rivolgersi al tribunale in caso di ritardo o di inadempimento.
Anche in questo caso, il presupposto è la dimostrazione del non puntuale adempimento dell’obbligo di mantenimento (come un ritardo di pochi giorni rispetto alla scadenza imposta). Il comportamento dell’obbligato deve comunque suscitare fondati dubbi sulla tempestività dei futuri pagamenti.
Non si richiede la gravità dell’inadempimento o l’intento di sottrarre beni. I terzi a cui si può rivolgere questo ordine sono, ad esempio il datore di lavoro, l’ente che eroga la pensione (l’Inps) o un inquilino di un immobile dato in locazione dal coniuge obbligato al mantenimento. Il terzo non è parte del procedimento.
Il giudice valuta l’opportunità di emettere l’ordine di distrazione delle somme esprimendo un apprezzamento sull’idoneità del comportamento dell’obbligato a suscitare dubbi circa l’esattezza e la regolarità del futuro adempimento, senza comparare le ragioni poste a fondamento della richiesta a quelle addotte a giustificazione del ritardo.
Il giudice non può disporre il blocco (e successivo versamento in favore dell’ex coniuge) dell’intero stipendio ma solo di una parte, per evitare che questi sia privato del suo intero reddito e perda quindi la sua fonte di sostentamento.
Redazione Lpt 30 marzo 2016
www.laleggepertutti.it/116596_mantenimento-omesso-allex-coniuge-si-blocca-lo-stipendio
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CINQUE PER MILLE
5 per mille 2016, al via le iscrizioni.
Da oggi gli enti del volontariato e le associazioni sportive dilettantistiche possono presentare la domanda di iscrizione al 5 per mille 2016 all’Agenzia delle Entrate esclusivamente in via telematica utilizzando i canali telematici Entratel e Fisconline, ovvero, in alternativa, possono ricorrere a un intermediario abilitato alla trasmissione telematica.
Il termine ultimo per l’iscrizione è fissato al 9 maggio pv. Gli elenchi provvisori saranno disponibili entro il prossimo 14 maggio; in caso di errori di iscrizione, gli enti del volontariato e le associazioni sportive dilettantistiche potranno chiederne la correzione entro il 20 maggio. Gli enti che non hanno assolto in tutto o in parte, entro i termini di scadenza, agli adempimenti richiesti, possono regolarizzare la propria posizione ed essere ammessi alla ripartizione delle quote entro il 30 settembre.
La dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà deve essere trasmessa entro il 30 giugno, dagli enti del volontariato alla Direzione regionale dell’Agenzia nel cui ambito territoriale si trova il domicilio fiscale.
Comunicato stampa 31 marzo 2016
www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/Nsilib/Nsi/Agenzia/Agenzia+comunica/Comunicati+Stampa/Tutti+i+comunicati+del+2016/CS+Marzo+2016/
www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/Nsilib/Nsi/Home/CosaDeviFare/Richiedere/Iscrizione+elenchi+5+per+mille+2016/InfoGen+5permille2016/
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CONSULTORI FAMILIARI
21 ° Corso della Scuola di Formazione per Operatori Consultoriali
Il XXI Corso della Scuola Permanente Residenziale di Formazione per Operatori Consultoriali, si terrà dal 29 al 30 Aprile 2016 a Roma presso la Casa per ferie “Giovanni Paolo II” Opera Don Orione Via della Camilluccia 120 – 00135 ROMA
Il corso è in linea con l’obiettivo della scuola, che è quello di formare chi opera nei consultori per il servizio alla persona, alla coppia e alla famiglia. L’obiettivo mira all’addestramento nel coniugare conoscenze, competenze e abilità con le basi dell’antropologia cristiana, finalizzando il tutto alla relazione d’aiuto e di ascolto empatico. Il corso è rivolto anche agli operatori dei consultori delle ASL, dei centri di ascolto, di aiuto o di servizio alla famiglia, o negli organismi di pastorale familiare.
Il tema è Paternità, maternità e crescita dei figli.
Iscrizione entro il 20 aprile 2016 alla: Confederazione Italiana C.F.C. Largo F. Vito, 1 – 00168 Roma, tramite fax: 06.30.15.57.43 o tramite e-mail: cfcroma@libero.it
www.cfc-italia.it/cfc/index.php/65-scuole-permanenti/391-21-corso-della-scuola-permanente-residenziale-di-formazione-per-operatori-consultoriali-29-30-aprile-2016
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Parma. Due cuori e un bebè.
Conversazione con Francesca Cenci: “Come far sopravvivere la coppia quando nasce un figlio”
Venerdì 8 Aprile 2016 alle ore 18:00 Sede Famiglia Più
Francesca Cenci è autrice del libro “Due cuori e una famiglia”: è un breve manuale, scritto da una psicoterapeuta, che pur affrontando i temi gravidanza, nascita e bambini piccoli, lo fa da una diversa prospettiva. Si rivolge infatti, alle mamme e ai papà che hanno appena avuto un figlio, ma con lo scopo di aiutarli non tanto come genitori, quanto come coppia.
http://www.famigliapiu.it
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DALLA NAVATA
2° Domenica di Pasqua – anno C –27 marzo 2016.
Atti 05, 14 «Sempre più, però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne.»
Salmo 117, 02 «Dica Israele: “Il suo amore è per sempre”. Dica la casa di Aronne: “Il suo amore è per sempre”. Dicano quelli che temono il Signore: “Il suo amore è per sempre”.»
Apocalisse 01, 17 «Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: “Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito.»
Giovanni 20, 29 «Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.»
Il personaggio di Tommaso, apostolo che tanto superficialmente banalizziamo per il suo atteggiamento pragmatico, senza tuttavia riuscire a cogliere tutti gli aspetti profondamente umani della sua incredulità, ha sempre contrassegnato la seconda domenica del tempo di Pasqua. Una domenica “particolare” che la liturgia arricchisce anche di altri significati assolutamente peculiari.
Innanzitutto, non c’è soluzione di continuità teologica con la domenica di Pasqua. Questa seconda domenica, tradizionalmente chiamata “in albis”, è, infatti, anche la cd. ottava di Pasqua e proprio il brano di Giovanni esordisce sottolineando l’unità del contesto pasquale (“La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato”). Nonostante le prime parole di Pietro e Giovanni (il quale vide e credette; v. Gv 20,8) e soprattutto la testimonianza (giuridicamente piuttosto debole in quei tempi) di una donna, Maria di Magdala, alla quale il Risorto si era appena prima rivelato nella sua nuova condizione, i discepoli vengono presentati ancora in preda al timore, con le porte chiuse ad una realtà terribile che aveva sottratto loro il maestro in circostanze drammatiche; porte sbarrate anche per elaborare il lutto di fronte al fallimento di ciò che aveva dato senso alla loro vita fino a quel punto. La croce aveva, infatti, svelato in profondità tutta la fragilità della loro fede. I discepoli che avevano in un primo tempo coraggiosamente abbandonato tutto per seguire Gesù, avevano allo stesso modo tutti abbandonato il loro maestro nel momento della croce.
La resurrezione del Signore, come ogni realtà d’amore, non si conosce con teorie e discorsi, ma si riconosce con il cuore e con la propria esperienza. In questo senso, i discepoli non avevano ancora maturato il senso della venuta del loro maestro. Per questo era necessario non solo che Gesù venisse a mostrare i segni della propria esistenza umana (le mani ed il costato), ma che Egli completasse la sua missione con un dono speciale, il dono dello Spirito, un dono i cui frutti – fra loro intrinsecamente correlati – sono essenzialmente la pace (“Pace a voi”), il perdono reciproco (“a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi”) e la gioia (“i discepoli gioirono al vedere il Signore”).
Il dono dello Spirito (da qui anche il nome di “Pentecoste giovannea” attribuito comunemente al nostro brano) è raccontato dall’evangelista come una nuova creazione, come si comprende dal verbo “alitare” che rievoca la creazione (Gn 2,7): attraverso il dono dello Spirito, Gesù suscita la fede pasquale e porta a compimento una creazione nuova.
Di fronte a tutto questo si pone Tommaso. Discepolo radicale, idealista e cocciuto fino al punto di non temere l’isolamento. Egli non c’era. E proprio non riesce a credere alla parola della sua comunità. Non fidandosi dei compagni, l’apostolo non esita a operare uno strappo con i suoi fratelli. Non riesce più a condividere la loro gioia, sceglie la solitudine del dubbio, la chiusura dell’incredulità. Non gli basta ascoltare una testimonianza: vuole vedere, vuole toccare. Altrimenti – è categorico – non crederà. Il dubbio è coerente col suo carattere, pragmatico, razionale, concreto: Andiamo anche noi a morire con lui! aveva esclamato sconfortato di fronte alla risoluta decisione di Gesù di recarsi da Lazzaro, mentre i discepoli timorosi dei giudei obiettavano che si trattava di un viaggio pericoloso (Gv 11, 8.16). E quando Gesù, dopo l’ultima cena, aveva fatto quel lungo discorso sul “posto” che andava a preparare per i discepoli, Tommaso, rivelando ancora la sua fatica a comprendere il Signore, aveva quasi ironizzato: Signore, non sappiamo dove vai: come possiamo conoscere la via? (Gv 14, 2-5).
L’incredulità di Tommaso, in realtà, non è la negazione razionale di una posizione, quella della fede, che caratterizza l’ateo; non è nemmeno l’oligopistia (“poca fede”) di Pietro che affonda sulle acque (Mt 14, 24-31), ma è l’incapacità tutta umana di cogliere un cambiamento: il maestro che conosceva è ora il Cristo. Il modo con cui fino a quel momento ci si rapportava a Gesù è ormai cambiato. Dopo la Resurrezione, dalla visione di Gesù si passa alla fiducia nei fratelli che lo testimoniano. Le fede pasquale diventa atto comunitario, non solo atto personale e critico. Tommaso, che era stato al fianco di Gesù fino all’ultimo, non aveva ancora compreso e si ostinava a cercare il maestro in carne ed ossa, percorrendo le vie del passato, le vie della visione. Era, dunque, ancora suo “discepolo”, come molti altri che lo avevano visto passare nelle strade della Palestina, ma non ancora “testimone”, tramite i fratelli, della sua Resurrezione.
Prima si trovava di fronte ad un uomo straordinario, al quale aveva dedicato la sua vita, ora gli veniva presentato un Dio che ci salva dalla morte attraverso testimonianze reciproche di pace, di perdono, di gioia. A seguir Giovanni, non sappiamo – come suggerirebbe la raffigurazione del Caravaggio – se effettivamente Tommaso abbia sentito il bisogno di mettere il dito nel costato. Gesù però disvela e accoglie nel profondo i pensieri del suo amico e lo invita a toccare mani e costato per accertarsi della resurrezione (una resurrezione che porta i segni dei chiodi e che, dunque, non nega l’umanità, ma la trasfigura e la trascende). Un gesto sufficiente a sconvolgere il discepolo ed a consentigli di pronunciare quella altissima professione di fede che non tutti i credenti più convinti sarebbero ugualmente capaci di fare: Mio Signore e mio Dio!
Lorenzo Jannelli comunità Kairos cliccare su Lectio divina di Gv 20, 19-31
http://www.comunitakairos.it/lectio-divina-ii-domenica-del-tempo-di-pasqua-2
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DIRITTO DI VISITA
È reato negare all’ex il diritto di visita del figlio
Corte di cassazione, sesta Sezione penale, Sentenza n. 12391, 23 marzo 2016
Quando due genitori decidono di interrompere il loro legame coniugale, quello cui sia stato affidato il figlio ha il preciso dovere di favorire il rapporto del minore con l’altro genitore, salvo il caso in cui sussistano indicazioni contrarie di particolare gravità. Come ricordato anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza, l’obbligo di collaborazione da una parte e il diritto all’esercizio di visita dall’altra, devono peraltro coniugarsi con il dovere di entrambi i genitori di contribuire alla crescita equilibrata della personalità del minore. Proprio sulla base di tali preliminari considerazioni, i giudici hanno quindi ritenuto che è idoneo a integrare il reato di elusione del provvedimento adottato dal giudice anche il semplice rifiuto dell’affidatario di consentire all’ex coniuge di vedere il figlio, come invece giudizialmente stabilito.
Per la Corte, più in particolare, è l’insufficienza delle norme ordinarie sull’esecuzione, pur applicabili nel caso di specie, a far sì che il predetto rifiuto incida sull’effettività della giurisdizione. Anche la natura sollecitatoria del cumulo di strumenti previsti per far intraprendere ai genitori percorsi di mediazione non è per i giudici idonea a sminuire la natura personale della prestazione in esame e il ruolo fondamentale del contributo del genitore obbligato.
Va quindi confermata la condanna a 500 euro di multa per la madre che aveva ostacolato il diritto di visita del suo ex coniuge, non affidatario del loro figlio minore.
Valeria Zeppilli Newsletter Giuridica Studio Cataldi.it 29 marzo 2016
www.studiocataldi.it/articoli/21520-cassazione-e-reato-negare-all-ex-il-diritto-di-visita-del-figlio.asp
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DIVORZIO
Legge 55/2015: il termine per divorziare è sei mesi dall’accordo davanti al Sindaco.
Tribunale di Milano, nona Sezione civile, sentenza 9 marzo 2016
Nel caso in cui i coniugi perfezionino l’accordo di separazione davanti al Sindaco, il termine per la proponibilità della domanda di divorzio è di sei mesi. Le norme del D.L. 12 settembre 2014 n. 132, convertito in L. 10 novembre 2014 n. 162 (v. artt. 6 e 12) prevedono che l’accordo raggiunto a seguito della convenzione o del patto presentato al Sindaco «produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali» che sostituisce». Il decorso del termine di 6 mesi per la proponibilità del divorzio è un effetto tipico ex lege della separazione consensuale: pertanto, deve ritenersi che, per le negoziazioni assistite e per gli accordi conclusi davanti all’ufficiale di stato civile, il termine per la domanda di divorzio sia quello di 6 mesi, decorrenti dalla data certificata per la negoziazione e dalla data dell’atto che racchiude l’accordo per i patti semplificati davanti all’autorità amministrativa.
Massima a cura di Giuseppe Buffone Il Caso.it, 14676 – sentenza
http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fmi.php?id_cont=14676.php
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FEMMINA E MASCHIO
Il cervello maschile e quello femminile.
L’Almanacco delle scienze del CNR, nel numero di marzo 2016 riporta un articolo sulle differenze tra il cervello dei maschi e quello delle femmine. Elisabetta Menna, dell’Istituto di neuroscienze del Cnr, riassume così lo status delle ricerche: “Di differenze ve ne sono a livello sia strutturale sia funzionale. In generale gli uomini hanno più neuroni (materia grigia) e le donne hanno maggiori connessioni (materia bianca)”.
www.almanacco.cnr.it/reader/cw_usr_view_articolo.html?id_articolo=7217&giornale=7203
Ciò significa, per semplificare al massimo, che la percezione popolare della differenza tra maschio e femmina, riassumibile pressappoco in un concetto come questo: “le donne sono intuitive e multitasking, gli uomini logici e razionali”, non è peregrina. Non si tratta certo di utilizzare la scienza, oggi, come si faceva nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento, quando un’eccessiva fiducia nel metodo sperimentale, applicato agli uomini portarono a stabilire graduatorie molto rigide sulla superiorità del maschio sulla femmina. Nel contesto materialista e riduzionista di allora, l’intelligenza, per usare una parola molto generica, doveva essere connessa non a qualche entità spirituale (la classica e ormai negletta “anima”), ma a fattori fisici ben documentabili e sperimentabili. Si riteneva che l’uomo fosse studiabile, per citare Emile Zola, come “un ciottolo della strada”, non solo quanto alla sua corporeità, ma anche riguardo alle sue scelte. E che l’intelligenza, trasformata in un’entità sconnessa e isolata da educazione, passioni, emozioni, motivazioni…, fosse misurabile con opportuni test creati da psicologi, antropologi e psichiatri.
Per questo specialisti in fisiognomica, antropometria, frenologia e craniometria, tutte discipline che oggi consideriamo senza fondamento (pseudoscienze), ma allora ritenute il top del pensiero scientifico di contro alle vecchie “superstizioni religiose”, non avevano dubbi: come nel cranio di un uomo bianco stanno più pallini di piombo di quelli contenuti nel cranio di un nero, così il cranio dei maschi è più capiente di quello delle donne. E ciò ne dimostra la superiorità. Ancora: poiché il cervello del maschio pesa di più di quello della femmina, possiamo stare tranquilli sulle conclusioni già desunte grazie a pallini e misurazioni effettuate con compassi di vario genere.
A queste convinzioni aderivano personalità come Charles Darwin, ne L’origine dell’uomo, o Cesare Lombroso, psichiatra di grido e fondatore dell’antropologia criminale, che nel suo La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, pubblicato nel 1893 con grande successo internazionale, spiegava che la donna è in tutto inferiore all’uomo, menzognera, stupida e cattiva, che “ha molti caratteri che l’avvicinano al selvaggio, al fanciullo, e quindi al criminale: irosità, vendetta, gelosia, vanità”, e che “nella mente e nel corpo, la donna è un uomo arrestato nel suo sviluppo”.
Oggi sappiamo che le misurazioni con il bilancino degli scienziati materialisti ottocenteschi erano esatte. Come ricorda Giulio Maira, direttore Istituto di Neurochirurgia Policlinico Gemelli di Roma, “l’encefalo di una donna pesa in media 1.200 grammi, quello di un uomo un po’ di più: 1.350 grammi”; inoltre il cervello maschile ha anche un maggior numero di neuroni. Ma, qui sta la “novità”, il cervello delle donne possiede le sue caratteristiche peculiari, originali, tra cui un maggior numero di connessioni tra i due emisferi (“Pur avendo le donne un numero minore di neuroni, tuttavia possiedono aree cerebrali con almeno il 10% di neuroni e connessioni in più…”; G. Maira, Sole 24 ore, 25/7/2014). Ciò sta a significare, come scrivono lo psichiatra Tonino Cantelmi e lo psicologo Marco Scicchitano, nel loro Educare al femminile e al maschile (un ottimo mix di conoscenze scientifiche, esperienza, buon senso e buona filosofia), che decidere chi sia “superiore” o “inferiore” tra l’uomo e la donna, è come stabilire se a tavola sia più importante il coltello o la forchetta.
Uomo e donna, è sempre più evidente, sono dunque diversi in tutto, dai genitali agli ormoni, e persino nel cervello (nonostante il maschilismo scientista di Lombroso, il femminismo radicale e l’ideologia gender): proprio per questo complementari. Se è vero che un figlio nasce dalla relazione tra due persone con differente identità sessuale, un maschio e una femmina, è altrettanto vero che costoro non si completano soltanto perché uno mette lo spermatozoo e l’altra l’ovulo, ma anche perché persino i loro cervelli sono strutturalmente e funzionalmente differenti, complementari. Come a dire che solo con entrambi, cervello maschile e cervello femminile, si legge la realtà a 360 gradi. Il buon senso lo insegna e le neuroscienze lo confermano: camminando a braccetto, maschio e femmina, vedono più chiaro (F.A., Libero, 24/3/2016)
Di seguito alcune pagine dal libro di Cantelmi e Scicchitano, Educare al femminile e al maschile. Francesco Agnoli aleteia 30 marzo 2016
http://it.aleteia.org/2016/03/30/il-cervello-maschile-e-quello-femminile/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it-Mar%2030,%202016%2009:00%20am
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GESTAZIONE PER ALTRI
Di mamme ce n’è una sola?
Utero in affitto, maternità surrogata, procreazione medicalmente assistita omologa ed eterologa, fecondazione in vitro, ovodonazione. Dietro a queste espressioni, che hanno a che fare anche con la scienza medica e su cui si discute spesso in modo ideologico, c’è la vita, la storia delle persone, delle donne, degli uomini e dei bambini, con i loro reali o presunti diritti. In Italia il dibattito sul disegno di legge Cirinnà ha portato in risalto la questione della cosiddetta maternità surrogata. I temi che toccano la dimensione umana non sono però questioni che riguardano solo gli scienziati o ristrette élite: riguardano tutti e per questo scaldano gli animi. Lo vediamo per la capacità di attrarre gente in piazza, dentro una dialettica aspra che rischia però di minare ogni possibilità di dialogo per comprendere questioni complesse che pongono rilevanti problemi etici e di tipo antropologico. Non può essere sottaciuto, ad esempio, il fatto che la fecondazione eterologa abbia impresso una svolta epocale alla generazione umana lasciando intravedere rischi antropologici immensi: i suoi sostenitori sembrano aver trascurato completamente non solo i princìpi etici che reggono la generazione umana, ma il fondamentale principio di precauzione, che costituisce il presidio della responsabilità di ciascuno di fronte alle generazioni future.
A reagire con forza nei confronti della maternità surrogata non sono stati solo ambienti del mondo cattolico ma anche di quello laico. Importanti soggetti dell’universo femminista sia in Italia che all’estero hanno infatti espresso con forza la loro contrarietà sostenendo che la maternità surrogata mercifica la donna, “riducendola” ad un utero senza diritti o sentimenti. La giornalista, scrittrice e attivista svedese, Kajsa Ekis Ekman, in una recente intervista, ha osservato come: “Togliere tutti i diritti a una madre non può essere nell’interesse della donna. L’avere un figlio non può essere considerato un diritto umano. Non esiste alcuna convenzione che sancisca il diritto a usare il corpo di una donna per i propri scopi. Chiunque desideri avere un figlio può farlo, ma la maternità surrogata è diversa da qualsiasi altra pratica: significa creare bambini senza madri”. E ha affermato ancora, senza mezzi termini: “la maternità surrogata è prostituzione riproduttiva. La differenza è che in vendita c’è l’apparato riproduttivo e non quello genitale. Ma il concetto è sempre che il corpo di una donna sia in vendita”.
La maternità surrogata presenta dunque molte criticità di ordine psicologico, legale oltre che etico e sociale. Come noto in Italia, la legge n. 40/2004 sancisce espressamente il divieto al “ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo”, e prevede, altresì, che “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”. La preclusione ha portato al diffondersi del cosiddetto “turismo procreativo”, vale a dire di quel fenomeno per cui coppie, che non possono avere figli a causa dell’impossibilità della donna di procreare o di portare a compimento la gestazione (per malattia o per sterilità), si avvalgono di questa tecnica in un Paese estero, in cui è consentita. Ma non solo. Alla maternità surrogata ricorrono anche uomini che desiderano avere un figlio senza intraprendere una relazione con una donna. Questo porta ad ipotizzare che il ricorso alla maternità surrogata da parte di coppie eterosessuali e omosessuali sia una strada percorribile per ovviare alla disciplina dell’adozione per mancanza dei requisiti.
La legge n. 40/2004, va ricordato, non dispone nulla in ordine alla liceità o meno della surrogazione di maternità attuata all’estero da cittadini italiani. Ed è proprio su questo punto che si è aperto il confronto, e in alcuni casi lo scontro, sociale e giuridico. Per questi motivi, per andare al di là della cronaca, degli appelli e delle diverse prese di posizioni la redazione di BeneComune.net ha pensato di proporre, per il mese di marzo, un focus dal titolo: Di mamme ce n’è una sola? Riflessioni sulla maternità surrogata. Medici e scienziati (Giuseppe Noia, Alessandro Giuliani) filosofi esperti di bioetica (Stefano Semplici, Dario Sacchini), psichiatri (Monica Vacca), giuristi (Vincenzo Antonelli) e persone impegnate in ambito sociale (Francesca Koch) e politico (Sergio Lo Giudice), con diverse sensibilità e opinioni, si sono confrontate su alcune questioni di fondo: fino a che punto si può spingere il desiderio di avere un figlio? É lecito parlare di diritto ad avere un figlio? Quali questioni etiche ed antropologiche apre la pratica dell’utero in affitto? La scienza su questo, come su altri temi, che ruolo è chiamata a svolgere? Che conseguenze di tipo psicologico avrebbero i bambini nati dal diffondersi di queste pratiche? Perché non si parla mai dei diritti dei bambini ma solo di quelli degli adulti (donna/uomo)?
Emerge un quadro interessante, una polifonia di voci che si incontrano e dialogano nella convinzione che il bene comune, delle donne e dei bambini prima di tutto, sia il punto di partenza di qualsiasi scelta personale e politica. Quanto sostiene il dottor prof. Giuseppe Noia è significativo: “Il nostro tempo parla sempre più di diritti ma in questo percorso vi sono due categorie a cui sono negati i diritti: la prima riguarda le donne donatrici di ovuli e le donne che donano il proprio utero. Esse non hanno diritti perché trattate commercialmente come schiave da contratto poiché viene espropriata la loro salute procreativa, la loro dignità e il loro futuro. La seconda categoria riguarda i bambini concepiti: a loro è negato il diritto di incarnare i 9 mesi della loro vita prenatale in una figura materna che avrebbero dovuto chiamare mamma. Questo non sarà mai possibile. La salute della donna è un bene prezioso da salvaguardare così come la capacità di procreare ma nell’ovodonazione la donna viene espropriata della verità di informazione per non creare consapevolezza. Rubare beni materiali è un fatto grave ma rubare l’anima e la dignità delle persone è un delitto contro l’umanità, tutta l’umanità”.
Fabio Cucculelli acli 30 marzo 2016
www.acli.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=10729:di-mamme-ce-n-e-una-sola&Itemid=778
La scienza medica cosa dice sull’ovodonazione?
Diverse ricerche internazionali evidenziano come l’ovodonazione si correla con l’aumento del rischio di tumore del seno, con la perdita di fertilità successiva nelle ovodonatrici nell’11.5% dei casi e con complicanze gravi che vanno dalla sindrome da iperstimolazione fino all’esito fatale delle ovodonatrici
La tecnica dell’ovodonazione, balzata prepotentemente alla ribalta negli ultimi mesi in relazione all’attuazione della legge sui diritti civili, è sostanzialmente una tecnica invasiva di prelievo ovocitario, che è stata attuata negli ultimi vent’anni in relazione alla sterilità di coppia ed in particolare nelle donne che avevano una evidente alterazione numerica e\o qualitativa della riserva ovarica. La metodica quindi va valutata all’interno delle tecniche di fecondazione artificiale e come tale pone una serie di problematiche di tipo scientifico e di tipo etico. Innanzitutto il termine di donazione: attraverso una strategia di antilingua si cerca di far passare come atto solidaristico e di generosità un vero e proprio contratto commerciale.
E’ ben difficile pensare che una ragazza giovanesi sottoponga a tecniche invasive rischiose senza un compenso in denaro. Il secondo aspetto è quello di una assenza di informazione sui rischi per la salute delle donne sia sul piano fisico che sul piano psicologico, attuali e prospettiche legati a questo tipo di tecnologie. Il lavoro di Le Ray et al. (Human Reproduction n. 3, 2012) riporta una serie di dati tra l’ovodonazione e gli outcomes materni e perinatali in donne di 43 anni o più. Una prima evidenza è che l’ovodonazione è cresciuta dal 29 al 48%. Mentre il lavoro di Krul et al.(European Journal of Cancer n. 51, 2015) riporta i dati relativi a 12.589 donne trattate con IVF e su 1688 gravidanze multiple: si evidenzia un aumento del rischio di tumore al seno per la iperstimolazione ovarica connessa col numero delle gravidanze multiple.
Tale rischio aumentava maggiormente quanto più numerosi erano gli embrioni trasferiti. Una delle ipotesi di questa relazione è stata quella relativa all’aumento statisticamente significativo del VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) che è lo stesso fattore implicato nella progressione del tumore della mammella. Tuttavia questo stesso fattore di crescita viene prodotto dall’embrione prima dell’impianto, durante il fenomeno del cross-talk (scambio di informazioni biologiche, immunologiche ed ormonali con la propria madre) nella preparazione ottimale dell’impianto dello zigote nell’endometrio. Una normale riflessione relativa a questi dati è che quando questo fattore di crescita viene prodotto naturalmente gli impianti non sono correlati ad un aumentata incidenza del tumore del seno; mentre quando questo fattore di crescita viene iperstimolato (iperstimolazione e ovodonazione) esso diventa un fattore protumorale.
Una metanalisi di 20 lavori degli ultimi 20 anni di Gennari et al. (Breast Cancer Research Treat, n. 150, 2015) valuta la relazione tra superovulazione correlata alla fecondazione extracorporea e cancro del seno: nel 65% dei lavori (12 su 20) si evidenziava un aumentato rischio di tumore del seno dopo trattamento ormonale di sterilità. Nel lavoro di Marte Myhre Regstad (International Journal of Cancer, n. 136 (5), 2015) lo studio è stato condotto tra il 1984 e il 2010 utilizzando il Medical Birth Registry of Norway. Si è evidenziato un rischio aumentato del tumore della mammella che aumentava quando il follow up superava i 10 anni.
Vi sono anche altri dati in letteratura che evidenziano chiaramente che, oltre alle complicazioni immediate che il 7.2 % delle donne donatrici di ovuli ha avuto con la sindrome da iperstimolazione ovarica, vi sono anche conseguenze a distanza nell’11.5 % delle stesse poiché per l’esaurimento della riserva ovarica le pazienti vanno incontro ad una sterilità successiva (Soderstrom-Anttila V. et al., Human reproduction, 2006; n. 324, 2016).
Se poi consideriamo i rischi relativi alle pazienti in termini di outcomes perinatali dopo ovodonazione, il già citato articolo di Le Ray mostra chiaramente un rischio maggiore di preeclampsia (OR: 3.5) rispetto alle gravidanze naturali, un rischio maggiore di gravidanze gemellari (39.4 vs 15 %) e parti pretermine (OR: 8.9). Anche in caso di ovodonazione con ovociti autologhi c’è un aumento del rischio di preeclampsia, ipertensione gestazionale, ridotta crescita intrauterina e una percentuale di anomalie placentari, soprattutto placenta accreta, che arriva fino al 28 %. Quest’ultimo dato è particolarmente preoccupante vista l’alto rischio di emorragie gravi e di perdita del viscere uterino post partum con grosso impatto sulla capacita gestazionale futura (Corradetti et al., Pregnancy Hypertention, Jul 2/3, 2012). La stessa relazione è stata evidenziata da Sekhon L.H. et al. (Fertil Steril, n.101(5), 2014) confrontando gli outcomes di gravidanze gemellari ottenute con ovodonazione e con ovuli autologhi: rischio aumentato di ipertensione gestazionale (32.1 % vs 13%) e di preeclampsia (28.3 % vs 13%) nelle pazienti con ovodonazione.
Una metanalisi di 23 studi si è interessata infine della salute neonatale di bambini concepiti con ovodonazione (Adams D.H. et al., J. Dev Orig Health Dis, n. 27, 2015): in essa è stato dimostrato incremento di rischio di neonati con basso e bassissimo peso alla nascita e neonati con bassa età gestazionale nelle gravidanze ottenute con ovodonazione rispetto a quelle con ovociti autologhi. Questi outcomes valgono sia per gravidanze singole che multiple. Un’altra metanalisi di 19 studi per un totale di 86.515 gravidanze, ha mostrato un aumentato rischio di ipertensione gestazionale e di preeclampsia in gravidanze ottenute con ovodonazione (Masoudian P et al., American Journal of Obstet Gynecol, 2016).
Infine, considerando globalmente gli outcome ostetrici in gravidanze da ovodonazione attraverso uno studio retrospettivo in Svezia, si evidenzia un rischio aumentato di disordini ipertensivi, di placenta ritenuta ed emorragia post partum, di parti indotti e di tagli cesarei nelle gravidanze ottenute con ovodonazione rispetto a quelle naturali. Questo lavoro ha una indubbia originalità: quella di aver dimostrato che le stesse complicanze che avvengono in donne con età più avanzata, si verificano anche in donne giovani e senza comorbidità (analisi di 76 gravidanze con ovodonazione, 63 con IVF autologa e 150 gravidanze naturali) (Evangelia Elenis et al., Pregnancy and Childbirth, 2015).
Le conclusioni generali evidenziano che l’ovodonazione si correla con aumentato rischio di tumore del seno, con la perdita di fertilità successiva nelle ovodonatrici nell’11.5% dei casi e con complicanze gravi che vanno dalla sindrome da iperstimolazione fino all’esito fatale delle ovodonatrici. Per quanto riguarda gli outcome ostetrici si correla con aumentato rischio di disordini ipertensivi e preeclampsia, di taglio cesareo e placenta accreta con grave impatto emorragico postpartum e rischio di perdita dell’utero. Infine per i bambini i rischi sono quelli della ridotta crescita feto-neonatale e di alta prevalenza di parti pretermine con conseguenze neuromotorie e psico-intellettive dei neonati. Tutte queste considerazioni di ordine medico scientifico non possono non essere accompagnate da valutazioni etiche.
Il nostro tempo parla sempre più di diritti ma in questo percorso vi sono due categorie a cui sono negati i diritti: la prima riguarda le donne donatrici di ovuli e le donne che donano il proprio utero. Esse non hanno diritti perché trattate commercialmente come schiave da contratto poiché viene espropriata la loro salute procreativa, la loro dignità e il loro futuro. La seconda categoria riguarda i bambini concepiti: a loro è negato il diritto di incarnare i 9 mesi della loro vita prenatale in una figura materna che avrebbero dovuto chiamare mamma. Questo non sarà mai possibile. La salute della donna è un bene prezioso da salvaguardare così come la capacità di procreare ma nell’ovodonazione la donna viene espropriata della verità di informazione per non creare consapevolezza. Rubare beni materiali è un fatto grave ma rubare l’anima e la dignità delle persone è un delitto contro l’umanità, tutta l’umanità.
Giuseppe Noia – Bene comune.net 14 marzo 2016
www.benecomune.net/articolo.php?notizia=2038
Surrogata o adozione cambia la garanzia?
Michela Marzano ha condiviso il 16 marzo (attraverso il ‘Corriere della sera’) un articolo bello e ricco di spunti e suggestioni: come non condividere molte delle cose che afferma?
Essere madre non è solo partorire un figlio, ma anche assumersi la responsabilità di occuparsi di lui con generosità e amore. E ancora, è assolutamente vero che «non si cresce e non si ha accesso alla propria umanità senza il desiderio profondo di chi, diventato padre o madre, cerca di trasmetterci il senso dell’esistenza», ed è vero anche che della maternità (e paternità) buona è parte integrante il riconoscere e accettare il figlio per quello che è, e trattarlo come soggetto portatore dei suoi propri desideri (dice Marzano: «Che gli si permetta di essere sempre ‘altro’ rispetto alle nostre aspettative e alle nostre domande»).
Ma è proprio a partire da queste premesse così condivisibili che le conclusioni appaiono invece davvero sconcertanti. Per prima cosa, chi si occupa per lavoro di madri, figli e relazioni non può che contestare l’affermazione secondo cui ciò che decide della bontà del rapporto è ‘sempre e solo‘ il desiderio di maternità. Le madri (e i padri) reali, quelli che si incontrano nella vita vera, camminano sempre sulle fragili gambe di uomini e donne con i loro limiti e le loro fatiche, e neppure la maternità che nasce da un preciso e consapevole desiderio garantisce di per sé un migliore accesso alle necessarie capacità genitoriali: ho conosciuto, professionalmente e non, donne che si sono ritrovate incinte senza volerlo e che sono diventate capaci di vero amore per il figlio, e donne che invece lo hanno desiderato e cercato, ma che sono in seguito arrivate a rifiutarlo. I percorsi umani sono sempre complessi, intricati, mai scontati, e la relazione tra una madre e un figlio (quello specifico figlio) si inserisce in un tessuto che la precede, la accompagna, e spesso ne determina in modo imprevedibile gli esiti. Ma non è solo questo il punto: anche il passaggio sulla trasformazione della «sterilità biologica» in «fecondità simbolica» mi sembra trattato da Marzano in modo fuorviante.
Secondo Marzano, infatti, la maternità surrogata permetterebbe alle donne sterili di accedere alla fecondità simbolica attraverso l’aiuto di un’altra donna. Ma è proprio di questo che si tratta? Il tema della propria fecondità è centrale nella vita di ogni donna, e la capacità di portarlo su un piano simbolico è cruciale: sia che diventi madre sia che non lo diventi, per poter stare bene con se stessa la donna deve infatti poter declinare nel mondo ciò che di lei è il ‘materno’, quella specificazione di sé che la porta ad avere capacità di accoglienza, di cura, di immaginazione concreta e creativa a favore dell’altro. Per questo tutte le donne, anche la donna sterile o la donna vergine, sono potenzialmente capaci di grande fecondità se fanno fiorire il proprio ‘materno’ nei diversi ambiti della vita, dal lavoro a tutte le loro relazioni, senza che questo significhi piegarsi ad alcun genere di stereotipo. Ma il vero ‘materno’ è, appunto, qualcosa che riguarda la capacità di centrarsi fuori di sé, mettendo l’altro al centro.
Proprio per questo, ciò che la maternità surrogata ci propone va nella direzione sbagliata: perché il focus della questione viene messo sul ‘dono’ tra adulti (la madre che dona, la madre che riceve il ‘dono’, a patto che di questo si tratti e non di commercio) dimenticando completamente colui o colei che è il dono stesso, il figlio che deve nascere. Solo questa ‘dimenticanza’ cruciale può far paragonare questo tipo di ‘dono’ al dono di un organo, come se il figlio concepito, cresciuto nel proprio grembo e partorito, non avesse una sua specifica e originale dignità, una sua soggettività, proprio quella che, se riconosciuta, permetterà di considerarlo davvero, come la stessa Marzano auspica, portatore legittimo dei propri desideri.
Davvero possiamo dire la stessa cosa di un rene o di un pezzo di fegato? E dunque, è proprio il vero amore per ogni figlio dell’uomo ciò che impedisce di farne qualcosa che si regala (ammesso che di ‘regalo’ si tratti). Il desiderio legittimo di declinare la propria ricchezza materna nell’accudire e far crescere un figlio potrebbe dunque essere meglio speso nell’aprire il cuore e la vita a tutti quei piccoli già nati e che nessuno vuole: bambini che aspettano il dono di un amore che sa sceglierli, e che possono a loro volta essere dono, facendo germogliare la maternità e la paternità di adulti biologicamente sterili. E allora mi chiedo: cosa differenzia, agli occhi di chi sostiene la pratica della maternità surrogata, un neonato abbandonato in ospedale da un neonato che si riceve dalle braccia di una donna che lo ha partorito appositamente per te? Qual è la vera differenza? Non sarà forse che di un bambino abbandonato non si conosce l’origine e il bambino cosiddetto ‘donato’ è un bambino ‘fabbricato’ con qualche garanzia?
Mariolina Ceriotti Migliarese neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta avvenire 1 aprile 2016
www.avvenire.it/Commenti/Pagine/SURROGATA-O-ADOZIONE-CAMBIA-LA-GARANZIA-.aspx
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MATERNITÀ
Renzi: «Piano per la maternità. Non è la fine della carriera».
Il governo presenterà il prossimo mese un documento dal titolo «La maternità è un must». L’annuncio del premier Matteo Renzi, da Harvard, rispondendo alla domanda di una ragazza sull’impegno dell’Italia per la parità di genere. «Ho scelto molte donne per posti di responsabilità al governo, ma anche nelle aziende», rivendica. Ma ora si tratta di intervenire su un «errore culturale importante». Ossia il fatto che «se si decide di avere un figlio si può dire che questo significa la fine della carriera di una donna». La «sfida culturale» diventa quella di «dare possibilità e opportunità concrete alle donne, creare un contesto che incoraggi le donne».
E il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin annuncia una «proposta sulla famiglia da presentare nella prossima legge di Stabilità», intervenendo al convegno “Welfare in progress” organizzato da Confcooperative, promettendo per il 4 e il 5 maggio, di «venire alla vostra assemblea e presentarla, con una piccola sorpresa.» Ricorda il bonus bebè e il piano nazionale fertilità ma, aggiunge, «non è sufficiente, ci vuole che l’interno governo, per i prossimi 20 anni, faccia un investimento sulla genitorialità».
Avvenire 1 aprile 2016
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MATRIMONIO
7 motivi per non sposarsi.
Se giustificate la vostra scelta con qualcuna di queste ragioni, rimandate per il vostro bene il progetto di unirvi per sempre a qualcuno. Quella di sposarsi è la più grande decisione che la maggior parte delle persone prende nella vita. Per questo, bisogna essere prudenti. Vorremmo indicare qualche segnale di pericolo. Se qualcuno di questi è presente nel rapporto che avete, è meglio rimandare il matrimonio fino a quando la questione non sarà risolta. Il matrimonio non può essere visto come un mezzo per risolvere i problemi.
- Sposarsi per uscire di casa. È scambiare una serie di problemi con un’altra. Esistono opzioni meno compromettenti per uscire da una famiglia problematica, come fare un lungo viaggio, affittare una stanza o andare ad abitare con un/a amico/a per un po’.
- “Non arriverà nessuno di meglio”. Pensieri di questo tipo suggeriscono che non avete una grande opinione di voi stessi, e la mancanza di autostima è un ingrediente essenziale per un matrimonio infelice. Se questa è la vostra motivazione principale per unirvi per sempre a qualcuno, sappiate che vi state incamminando verso una tristezza ancor maggiore, non verso l’alleviamento della vostra condizione.
- È semplicemente ora di sposarsi. Se non esiste la persona giusta, semplicemente non esiste il momento giusto. Sposarsi per fretta, con una persona qualsiasi, è uccidere la propria felicità.
- Essere minacciati, forzati o intimiditi dal partner a fare cose che non si vogliono fare. Non potete rassegnarvi ad essere trattati così. Non è il modo normale in cui si relaziona una coppia. Il matrimonio si basa sul rispetto, non sulla paura e sulla forza. Non vi lasciate ingannare dalla promessa del vostro partner di cambiare. Se minacce e intimidazioni si verificano già nel fidanzamento, è molto probabile che dopo il matrimonio si acuiscano.
- Voi o il vostro partner siete dipendenti da alcool o droghe. Fate attenzione se uno di voi due assume alcool o droghe per consolarsi dalle frustrazioni o non riesce a divertirsi o a rilassarsi senza di essi. Una persona che ha questi vizi non è libera. Il rapporto amoroso finisce per essere con l’alcool o con la droga, non con il partner.
- Avete serie divergenze con il vostro partner su questioni importanti e non ne parlate per non discutere. Evitare le conversazioni che possono provocare tensione porta a vivere in un mondo di illusioni. Prima o poi sorgeranno questioni controverse, come avere o meno dei figli, il modo migliore per amministrare il denaro di casa, la divisione più giusta dei compiti, l’educazione religiosa dei bambini, ecc. Bisogna parlarne prima del matrimonio.
- Il matrimonio sembra essere semplicemente il passo successivo. Succede molte volte alle coppie che già vivono insieme. Si sposano non perché abbiano riflettuto molto sull’idea di un impegno per sempre, di formarsi una famiglia e di scegliersi liberamente l’un l’altro. Visto che già condividono lo stesso tetto, ritengono semplicemente che ufficializzare l’unione sia una tappa burocratica “normale”. Se vi identificate in questa situazione, procedete con calma e pensate seriamente a cos’è un matrimonio, soprattutto quando arrivano i figli. Siete preparati e disposti ad affrontare tutte le responsabilità che comporta?
Felipe Koller Traduzione dal portoghese di Roberta Sciamplicotti] Aleteia 31 marzo 2016
http://it.aleteia.org/2016/03/31/7-motivi-per-non-sposarsi/
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PARLAMENTO
Senato Assemblea Approvata la delega per la riforma del terzo settore.
30 marzo2016. L’Assemblea ha approvato, con modifiche, il Ddl n. 1870, di delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale; il provvedimento torna alla Camera dei deputati. Leggi sotto in paragrafo Terzo settore
www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=968940
Camera 1° Commissione Affari costituzionali. Giornata nazionale della famiglia.
Proposta di legge C1950 Sberna e altri Istituzione della Giornata nazionale della famiglia, presentata il 14 gennaio 2014.
www.camera.it/leg17/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=17&codice=17PDL0019090&back_to=http://www.camera.it/leg17/126?tab=2-e-leg=17-e-idDocumento=1950-e-sede=-e-tipo=
31 marzo 2016. La Commissione prosegue l’esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 14 ottobre 2015.
www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2016&mese=03&giorno=31&view=&commissione=01&pagina=data.20160331.com01.bollettino.sede00010.tit00020#data.20160331.com01.bollettino.sede00010.tit00020
Camera 2° Commissione Giustizia Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili.
Proposta di legge C3634. “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” (approvata dal Senato), in sede referente, relatrice Micaela Campana, PD.
9, 10 e 15 marzo 2016 Chiusa la fase preliminare in Commissione alla Camera
E’ pubblicato il resoconto stenografico della indagine conoscitiva condotta presso la seconda Commissione della Camera in merito all’esame della proposta di legge approvata dal senato sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze
9 marzo 2016
www.camera.it/leg17/1079?idLegislatura=17&tipologia=indag&sottotipologia=c02_convivenze&anno=2016&mese=03&giorno=09&idCommissione=02&numero=0001&file=indice_stenografico#stenograficoCommissione.tit00020.int00020
Estratto pag. 3
Stefano Ceccanti, professore di diritto pubblico comparato presso l’Università degli studi «La Sapienza» di Roma. Ho preparato un breve testo scritto che qui riassumo, riservandomi di lasciare agli atti il testo integrale. Mi concentrerò su quattro punti.
- Il primo punto è, per così, dire metodologico. Noi oggi ragioniamo sulla costituzionalità di un testo di un progetto di legge, però la premessa dovrebbe essere che la situazione attuale è incostituzionale, prima della legge. Comunque la vogliamo mettere, la sentenza – soprattutto la seconda, la 170 del 2014 – è un’additiva di principio. C’è un principio, che è stato richiesto al Parlamento, e il Parlamento al momento non ha risposto. Quindi, finché il Parlamento non risponde, la Corte ci dice che c’è un vincolo che deriva dall’articolo 2 della Costituzione, rispetto al quale il Parlamento è inadempiente. Quindi, giustamente, noi ci preoccupiamo dei problemi de iure condendo, però è problematico lo status quo. Come se ciò non bastasse, la sentenza «Oriali contro Italia» aggiunge un ulteriore problema, perché dopo il testo del Titolo V, l’articolo 117, primo comma, della Costituzione ci porta a considerare le norme della Convenzione europea come interpretate dalla Corte europea come norme interposte, e la Corte europea ci ha detto che noi siamo inadempienti, perché possiamo decidere il come tuteliamo le coppie omosessuali, ma non il se, perché il se deriva dall’articolo 8 della Convenzione europea. Inoltre, il paragrafo 182 non ci fa fare una bella figura, perché ricorda che ci sono sentenze della Corte e che il Parlamento è inadempiente. Quindi, oltre al dato meramente giuridico, il quadro dell’Italia che ne esce non è particolarmente positivo.
- Punto secondo. La notizia, nella sentenza della Corte costituzionale 138 del 2010, non era, così come la dottrina maggioritaria non considera fattibile a Costituzione vigente, l’estensione del matrimonio alle coppie omosessuali, perché questa era al momento ed è un’opinione maggioritaria in dottrina ed era prevedibile. La notizia è l’altra, cioè la che la Corte dice che occorre una legge non genericamente sulle convivenze ma sulle unioni civili omosessuali. Con la sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010 c’è un passaggio radicale. Prima della citata sentenza la riflessione era: come si fa a fare una legge sulle convivenze che riguarda tutti, comprese le coppie omosessuali? La citata sentenza n. 138 del 2010, il cui testo è chiarissimo, ci dice che ci sono due problemi diversi, uno è quello delle unioni civili omosessuali che prendono un impegno simile al matrimonio, l’altro è quello delle convivenze di fatto delle persone omosessuali che non scelgono l’unione civile e delle persone eterosessuali che non scelgono il matrimonio. I due livelli sono nettamente distinti tra di loro. Lo si capisce perché, con questo schema, ciascuno ha due opzioni: unione civile o convivenza di fatto; matrimonio o convivenza di fatto. Viceversa, in quell’altro schema, gli eterosessuali avevano due opzioni e gli omosessuali ne avevano una, con il problema che, poiché la convivenza di fatto non può svuotare il matrimonio, finire nella convivenza di fatto, non per scelta ma per forza, porta comunque a una tutela minore, che per gli eterosessuali è scelta, perché lo scelgono, ma per gli omosessuali sarebbe stata, invece, obbligata. La tesi minimalista che è presente nel dibattito – fate una legge per tutte le convivenze e le coppie omosessuali vanno ricomprese in blocco nel gradino più basso – va palesemente Pag. 5contro la citata sentenza n. 138 del 2010, oltre che contro la sentenza n. 170 del 2014. Dal punto di vista testuale non ci sono dubbi.
- Terzo punto. C’è, invece, una tesi libertaria che attacca la seconda parte della legge, quindi le convivenze di fatto. Questa tesi libertaria dice che fuori da ciò che è normato come matrimonio e unione civile non bisogna fare niente. Anche su questa, però, e qui addirittura da metà degli anni Ottanta, la Corte costituzionale ci dice che un conto è la scelta di restare in un ambito di fatto, ma anche quella scelta, dentro una Costituzione che è improntata a principi solidaristici, è una zona grigia del diritto costituzionale. Quindi, un insieme di garanzie, soprattutto a favore del partner più debole della convivenza, va approntato, altrimenti significa che noi teorizzano che c’è una zona grigia dove il diritto non entra; invece, il diritto entra anche in questo tipo di convivenza, sia pure in maniera proporzionata alla scelta delle persone.
- Quarto e ultimo punto. C’è, però, una variante della posizione minimalista che, dopo aver affermato in linea principale che le unioni civili omosessuali dovrebbero finire dentro le convivenze di fatto, sostiene un’altra cosa, come piano B. Il piano B sostiene questo: «accetto anche che ci siano le unioni un gradino più su e le altre convivenze più sotto, però il testo attuale in realtà parifica al matrimonio, e quindi sarebbe incostituzionale non in sé per l’unione civile, ma perché l’unione civile quale concretamente realizzata parificherebbe». Secondo me, però, qui c’è una confusione tra il fondamento e il trattamento. Un conto è dire che il fondamento delle unioni civili è l’articolo 2 e che quello del matrimonio è l’articolo 29 della Costituzione; un altro conto è dire che il trattamento deve essere per forza sempre diverso o che non possono richiamare gli articoli del codice civile, perché la citata sentenza n. 138 del 2010 dice che spetta al legislatore, poi, valutare con ragionevolezza quando ritiene di dover parificare o richiamare i matrimoni e quando ritiene di dover distinguere. La Corte dice che si riserva poi di valutare effettivamente. Però, in larga parte, decidere quali articoli richiamare del codice civile e quali no, come richiamarli e come non richiamarli, è una scelta che è data al legislatore, altrimenti la Corte non avrebbe fatto un’additiva di principio, ma avrebbe fatto un’additiva secca. Se dalla Costituzione discendeva una soluzione unica, lo faceva direttamente la Corte; già che faceva l’additiva, scriveva direttamente le norme. La circostanza che non l’abbia fatto, ma abbia solo dettato il principio, vuol dire che il legislatore, come ha fatto questi richiami al codice civile che sono qui presenti – poteva farne di più, poteva farne di meno – ma rientra nel suo ambito di scelta. Quindi, da questo punto di vista, giustamente la Commissione farà il suo dibattito politico, se quei rinvii al codice civile le sembrano ragionevoli oppure no, ma non è un problema costituzionale. Dentro la Costituzione ci sono un po’ più di richiami, un po’ meno di richiami, delle parafrasi maggiori, delle parafrasi minori e così via.
Stefano Ceccanti, estratto pag. 32
Riassumo le domande a me rivolte in cinque punti.
- Parto dal punto primo. Sulla base della sentenza n. 138 del 2010, non si potrebbero fare matrimoni omosessuali con legge ordinaria. Si può chiedere: la Corte, se noi facessimo con una legge ordinaria il matrimonio omosessuale, cosa farebbe? Questo non lo so, magari la Corte cambierà giurisprudenza, ma a oggi la mia risposta è che, se prendo la sentenza n. 138 del 2010, lì c’è scritto che non si può fare il matrimonio omosessuale con legge ordinaria. Possono aver torto, possono aver ragione. Infatti, i vostri colleghi del Senato, che in Commissione affari costituzionali erano in maggioranza favorevoli al matrimonio omosessuale, hanno redatto un parere, affermando: «la legge è costituzionale, ma noi invitiamo la Corte a cambiare giurisprudenza e a consentirci di fare con legge ordinaria il matrimonio omosessuale». Questa è la risposta allo stato: la sentenza n. 138 del 2010 dice una cosa, ma non sappiamo cosa dirà la Corte. Nel diritto di famiglia è capitato spesso. La sentenza sull’adulterio femminile dal 1961 al 1968 si è capovolta. Io non lo so, io so che la sentenza n. 138 del 2010 mi dice che non si può fare con legge ordinaria. Se ci fosse la sentenza n. 210 del 2020, non so cosa direbbe.
- Passo al secondo punto. Sull’adozione me la cavo così: la legge è costituzionale senza l’adozione e lo sarebbe stata anche con l’adozione. È un problema politico, non è un problema costituzionale.
- Arrivo al terzo punto. Sull’obbligo di fedeltà, io ho dei dubbi che le conseguenze pratiche effettive siano diverse se lo si scrive o se non lo si scrive. Al di là della dimensione morale, che rileva fino a un certo punto nel diritto, se c’è un fenomeno di infedeltà che funziona in maniera sprezzante contro la dignità dell’altra persona, ovvero, se c’è una forma di infedeltà ostentata per ferire l’altra persona, questo è già colpito da clausole generali che ci sono nel codice. Pertanto, non vedo grandi differenze tra scriverlo o non scriverlo, scriverlo da una parte e non scriverlo dall’altra. In termini effettivi, secondo me, non cambia niente. Il punto chiave è che l’infedeltà diventa problema di diritto quando è una forma per colpire la dignità del partner. Persino nelle convivenze di fatto, che sono ovviamente meno stabili, se ci fossero delle forme di infedeltà che colpissero la dignità dell’altro, siamo sicuri che nell’ordinamento non ci sarebbero delle conseguenze? Il problema è sempre la dignità dell’altra persona, non è tanto la codificazione di un obbligo morale. Può darsi che mi sbagli.
- L’impostazione libertaria in buona parte può andare contro l’obbligo degli alimenti. Chi contesta le altre cose, tipo la visita in carcere? Nessuno, ovviamente. Invece, sotto quest’aspetto, da metà degli anni 80 del novecento, la Corte ci dice che anche stabilire una convivenza di fatto di una certa stabilità, che viene normalmente identificata in un biennio, comporta degli obblighi, perché stiamo dentro a una costruzione solidaristica. Dunque, se si viene a creare una convivenza stabile che dura più di due anni, in cui c’è un rapporto economico-sociale fortemente asimmetrico, è un po’ difficile, anche sulla base dell’articolo 2 della Costituzione, che parla di doveri, che la cosa si sciolga da un momento all’altro e che non ci sia una qualche forma di dovere di solidarietà verso il partner più debole da parte di quello più forte, perché questo sta dentro la logica dell’articolo 2. Certamente questo urta contro una concezione libertaria, secondo cui io non ho scelto il matrimonio, non ho scelto l’unione civile e devo autodeterminarmi completamente. Tuttavia, dall’articolo 2 della Costituzione italiana non discende questa impostazione libertaria. Ci può piacere o non piacere, ma le culture politiche dei costituenti avevano un approccio solidaristico. Potrà sembrare troppo o non sembrarlo, però questo, secondo me, giustifica queste misure della proposta di legge.
- Un quinto punto è relativo al comma che affronta il problema della sentenza n. 170 del 2014 e del cambiamento di sesso. Praticamente la sentenza n. 170 ci dice che tutto sarebbe risolto se ci fosse un’unione civile, perché, cambiando sesso, se tu lo volessi, passeresti dal matrimonio all’unione civile. Quel comma è la conseguenza esatta della sentenza n. 170.
10 marzo 2016
www.camera.it/leg17/1079?idLegislatura=17&tipologia=indag&sottotipologia=c02_convivenze&anno=2016&mese=03&giorno=10&idCommissione=02&numero=0002&file=indice_stenografico
Estratto passim pag. 3
Cesare Mirabelli, Presidente emerito della Corte costituzionale.
Mi riserverei, se si ritiene, anche in risposta a eventuali domande, di depositare un breve testo scritto. Molto telegraficamente e schematicamente, segnalo alcuni punti critici, che non significa punti negativi, ma valutazioni del contenuto e della forma del provvedimento attualmente all’esame.
La proposta di legge consiste in un articolo unico, che ha assemblato, riunito, due titoli distinti del disegno di legge iniziale e una serie di commi. Segnalo, solamente per un’attenzione e il profilo di responsabilità o meglio di costituzionalità che ne può derivare, come questo possa essere che in contrasto con l’articolo 72 della Costituzione, che prevede l’approvazione articolo per articolo dei disegni di legge con voto finale. Riconosco che vi è una prassi in questo senso in alcune situazioni del tutto eccezionali, che è stata praticata con dimensioni molto più ampie nelle leggi di stabilità e in precedenza nella finanziaria, ma mi permetto di segnalare come questo sia stato oggetto di informali osservazioni da parte del Presidente Napolitano e della Corte Costituzionale come prassi non in linea con la Costituzione. In questo caso, la curvatura che può essere critica è che si tratta di un istituto complesso, anzi di due istituti che vengono aggregati in una stessa proposta di legge per una qualche affinità di oggetto. Mi permetto di segnalare un’ipotesi di garanzia della procedura della proposta di legge usando un termine inappropriato, lo spacchettamento del testo e la riarticolazione, cosa che tocca non i contenuti, ma la modalità espressiva e la procedura di approvazione.
Dal punto di vista del contenuto della proposta di legge, segnalo il perimetro nel quale il Parlamento è chiamato a stare alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e alla giurisprudenza costituzionale a operare. Un punto di partenza, che in quest’ambito è sottolineato giustamente per il rilievo diretto e indiretto che ha, è quello della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, per la quale viene in gioco non tanto l’aspetto direttamente matrimoniale, quanto il diritto alla vita privata e alla vita familiare, che è l’articolo 8 della Convenzione e che è preso a base delle decisioni.
Da questo punto di vista, come anche la Corte Costituzionale ha segnalato e sottolineato, vi è la necessità di addivenire a una disciplina di questa materia, un quadro giuridico che consenta alle coppie formate da persone dello stesso sesso di far riconoscere la loro relazione. Questo è uno dei punti che vede convergenti le giurisprudenze delle due Corti, essenzialmente sono indicati come oggetto di garanzia che deve essere assicurato alle parti l’assistenza morale e materiale, il mantenimento e i diritti successori, mentre la Corte di Strasburgo non richiede che vi sia una disciplina matrimoniale e lascia alla responsabilità degli Stati, non essendovi un sufficiente consenso tra gli Stati, le modalità con le quali può essere disciplinata questa materia.
Qui vengono la convergenza e la restrizione del perimetro che la giurisprudenza costituzionale determina. Richiamerei essenzialmente la sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010, che stabilisce con chiarezza come vi sia la necessità di disciplinare la materia, ma che queste comunioni non possono essere ritenute omogenee al matrimonio. Occorre una differenza di disciplina e difatti l’ancoraggio è all’articolo 2 e non all’articolo 29 della Costituzione.
Da questo discendono delle conseguenze, perché non è solamente l’aspetto formale del richiamo o meno di una disposizione costituzionale, ma è l’assetto sostanziale della disciplina. Sotto questo profilo, mi pare che vi siano nel testo in discussione dei discostamenti di modello, nel senso che vi è un rilevantissimo rinvio alle norme del codice civile che disciplinano il matrimonio.
Mi permetto di esprimere una valutazione personale: con maggiore fantasia giuridica e con maggiore impegno di elaborazione, si sarebbe potuti pervenire a un modello appropriato e originale, senza un ricorso così puntuale a norme che hanno un qualche carattere di diversità rispetto al tema e non si collocano espressamente nel perimetro ristretto che la giurisprudenza costituzionale ha determinato. Questo vale per molte delle disposizioni che richiamano espressamente articoli del codice civile, e ci sono in singoli ambiti delle criticità tecniche che potrebbero essere agevolmente superate. In materia successoria, ad esempio, una disciplina più ariosa, che tenga conto degli orientamenti che si vanno manifestando addirittura per la modifica della disciplina dei vincoli derivanti dalla successione necessaria e delle restrizioni che si determinano per la libertà del testatore o della persona di disciplinare l’assetto patrimoniale che ne deriva, potrebbe essere oggetto di migliore riflessione.
C’è una serie di altri punti sui quali si potrebbe intervenire, ma non segnalerei tutti questi aspetti, se fosse opportuno o necessario mi permetterei di rimandarli a un’indicazione scritta.
Uno dei punti che a mio modo di vedere sarebbe importante riesaminare e rimeditare è la norma, il comma 20 dell’articolo 1 della proposta di legge, che detta quasi un’indicazione di principio con l’assimilazione e l’estensione nella nomenclatura ma anche nella disciplina della condizione del coniuge con la condizione del partner dell’unione civile, perché questo può essere problematico in quanto crea un’assimilazione di principio che potrebbe, in ipotesi, rendere inutile tutta un’altra serie di richiami, ma che verrebbe a collidere con quel perimetro che avevo in precedenza indicato.
Mi permetto di segnalare anche come, nel corso delle discussioni, sia rimasto totalmente in ombra quello che era il secondo titolo del disegno di legge, che ha pari – e per qualche aspetto più accentuata – importanza per la remotezza delle esigenze sociali manifestate in questo settore. In questo secondo titolo si vede recepito quello che la giurisprudenza ordinaria diffusamente riconosce. Anche qui ci sono delle curvature tecniche che potrebbero essere riesaminate e riviste per dare maggiore appropriatezza e maggiore puntualità alla disciplina.
Anche per quanto riguarda il godimento dell’alloggio e i contratti di locazione, ad esempio, ci sono dei problemi che possono far apparire riduttiva rispetto alla stessa giurisprudenza la previsione delle norme prefigurate, come anche alcuni aspetti di problematicità per la stessa negozialità dei rapporti che è prevista dalla legge, ma la cui disciplina potrebbe porre in sede applicativa problemi non indifferenti. Tenuto conto dei tempi, mi arresterei qui, salvo integrare in qualche modo
Cesare Mirabelli, estratto pag. 16
Risponderò molto rapidamente, riservando eventualmente allo scritto qualche ulteriore osservazione puntuale, se vi è spazio di rilettura della proposta di legge, perché non vorrei sia un’esercitazione puramente teorica e inutile.
Per il punto di partenza e l’omogeneità della disciplina, mi pare che la gran parte dell’istituto, così come viene configurato, rispecchi, recuperi, rinvii e recepisca norme che disciplinano nel codice civile il matrimonio.
Il punto di base sul quale mi permetto di dissentire dal mio collega audito è un punto fermo che la giurisprudenza costituzionale pone in maniera icastica con questa espressione: «le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio». Dall’enunciazione di questo principio, che è il fulcro della decisione, deriva la non ragionevolezza di un’assimilazione di cose disomogenee e, perciò, la necessità di una disciplina appropriata, che tenga conto in maniera opportuna dell’esigenza di regolamentare queste convivenze, che sono basate su un sostrato affettivo, solidaristico e di vita familiare che va in qualche modo disciplinato con originalità. Passo agli specifici punti che sono stati toccati.
Le successioni, anche se non sono l’aspetto più rilevante dal punto di vista culturale, sono un aspetto tecnicamente importante. Se mi è permesso, ricordo, in chiave quasi personale, l’insegnamento in camera di consiglio di Luigi Mengoni, che è forse uno dei più illustri civilisti che abbiano toccato gli aspetti successori: la ritrosia a entrare in un sistema delineato dal codice civile, il cui assetto può essere squilibrato da ogni intervento che ha un carattere di episodicità. In questo ambito, l’affermazione della quota di riserva, le modalità di concorso con gli altri eredi e il non tener conto di quello che può accadere nel caso di concorso del partner superstite con discendenti unilaterali del defunto sono una serie di problemi tecnici che mi paiono sottovalutati.
Segnalo una possibile rilettura migliorativa del testo, in chiave lessicale, istituzionale e giuridica. Quando per il regime patrimoniale dell’unione si riferisce che è costituito dalla comunione dei beni, probabilmente sarebbe molto più opportuno far riferimento alla comunione degli utili e degli acquisti. Infatti, la comunione dei beni richiede una lettura certamente non innovativa, ma un po’ al di là della lettera, per affermare che ci si riferisce esclusivamente a questo e non a ogni tipo di bene, anche se le norme successive richiamano la disciplina della comunione degli utili e degli acquisti che il codice delinea.
Laddove si fa riferimento alle parti che concordano l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune, al di là di questa specificazione, quando si afferma che a delle parti spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato, non so se sia solamente un potere o non ne derivi anche un obbligo. Me lo chiedo.
Ripeto che le imperfezioni tecniche sono numerose, ma, a mio modo di considerare le cose, è necessaria una profonda rilettura che rimodelli il sistema. A questo si aggiunge la sottolineatura dell’opportunità di un ritorno a un testo che sia articolato nelle due parti che disciplinano due istituti diversi e, all’interno di ciascuna delle parti, recuperi la possibilità di espressione specifica per ciascun tipo di disposizione. Al di là dei contenuti, questa sarebbe una garanzia del procedimento e della tenuta costituzionale della legge, alla quale sono anch’io, non solo attento, ma anche partecipe e desideroso, perché è opportuno che il Parlamento ci offra un prodotto che sia, anche sotto questo aspetto, non attaccabile. (…)
Il problema della reversibilità delle pensioni si pone anch’esso, per la verità, per le coppie omosessuali, ma si può porre in un’ottica diversa nella disciplina della reversibilità delle pensioni nel complesso. Può porre certamente dei problemi di legittimità costituzionale, anche se vi è una lata discrezionalità del legislatore in questo. In questo contesto, mi permetto di segnalare un aspetto positivo che viene inserito per le convivenze di fatto, cioè il contributo che un soggetto può dare a un’azienda nella quale opera con il convivente, in assenza di un rapporto societario o di tipo diverso. Tale contributo ha un suo valore sociale ed economico che verrebbe a essere disperso, laddove non si prevedesse specificamente il riconoscimento di questa attività. Mi pare che ciò avvenga con la modifica della norma di cui all’articolo 230-ter del codice civile. (…)
A questo proposito [coppie conviventi] il problema che c’è sempre, per quanto riguarda la valutazione sulla base del principio di eguaglianza, è la scelta e l’idoneità del tertium comparationis, ovvero dell’elemento rispetto al quale la comparazione viene effettuata, se vi è un’omogeneità delle situazioni prese in considerazione e messe a raffronto. Ciò può accadere in questo contesto, anche per quanto riguarda il rapporto tra disciplina della coppia omosessuale e disciplina matrimoniale, una volta che la legge in ipotesi ponga un’identità di disciplina, salvo poi valutare se questa differenziazione non sia necessaria in rapporto all’altro bene costituzionale, cioè la richiesta di differenziare il trattamento delle due situazioni che la giurisprudenza costituzionale ha posto. Come dicevo, per quel che riguarda il principio di eguaglianza, si tratta di vedere se la pensione di reversibilità non sia ancorata esclusivamente a una situazione di fatto, ma sia ancorata a una sorta di istituzionalizzazione del rapporto e di attesa di un riconoscimento in caso di decesso di uno dei partecipi alla comunione. Occorre dire anche che questo sistema ha trovato varietà di soluzioni, dando rilievo all’effettività, all’istituzionalizzazione e ai periodi di vita comune che vi sono stati, parcellizzando anche le stesse pretese che sono ancorate, ad esempio, al trattamento di fine rapporto, con delle quote rispetto ai diversi partecipi a questo diritto.
Alessandro Pagano. Presidente, in attesa di questo scritto, che certamente divoreremo, vista l’autorevolezza della fonte, mi interessa a questo punto aggiungere un particolare. Se ho capito bene, la durata è certamente un presupposto circa la stabilità. Probabilmente lo sono anche i figli. Sono tutti elementi che, se ho capito bene, creano le condizioni perché ci sia un’equiparazione rispetto alla fattispecie che stiamo trattando.
Cesare Mirabelli, «Possono creare» più che «creano».
15 marzo 2016
http://www.camera.it/leg17/1079?idLegislatura=17&tipologia=indag&sottotipologia=c02_convivenze&anno=2016&mese=03&giorno=15&idCommissione=02&numero=0003&file=indice_stenografico
Estratto passim pag. 40
Simone Pillon, vicepresidente del Comitato Difendiamo i nostri figli. Grazie, presidente. Rappresento il comitato Difendiamo i nostri figli che ha organizzato, come ben sapete, due manifestazioni nel Paese, con l’esplicito scopo di fermare questo progetto di legge. Reiteriamo, in questo luogo, la richiesta.
Questa legge va fermata, non perché siamo contro qualcuno o contro qualcosa, ma per ragioni che cercherò ora di elencare. Tali ragioni hanno a che fare con la sociologia, hanno a che fare con il diritto, hanno che fare anche con il buonsenso e hanno a che fare con la demografia. Questa proposta di legge, che voi lo vogliate o meno, introduce di fatto una cesura storica perché c’è stato fino ad oggi un modello antropologico che è stato quello della famiglia naturale, fondata sulla unione stabile tra un uomo e una donna. La rottura di questo modello, che storicamente si è radicato, non sarà senza conseguenze. Qui, si propone di affiancare al modello familiare naturale, o meglio attraverso questo affiancamento di decostruire, altri modelli che non sono uno, ma più di uno. È innegabile che ci saranno delle conseguenze. Quello che, però, a me colpisce particolarmente, signori deputati, è che nessuno si è premurato di studiare quali possano essere le conseguenze sul tessuto sociale di questa legge. Noi abbiamo già esperienze di altri Paesi che hanno scelto questa strada e che ci vengono costantemente sbandierati come esempio da seguire. Il punto è se in questa sede è stato audito qualcuno che abbia portato dati sulle conseguenze nel tessuto sociale del Paese dell’approvazione di quelle leggi. Lo dico perché qualche dato forse dovrebbe suonare come campanello di allarme.
Il fatto che nella Svezia civilissima, che approva le unioni omosessuali da ormai otto anni abbiamo il 65% delle persone che vivono da sole è un dato demografico che meriterebbe un adeguato approfondimento. Il fatto che, nel momento in cui si va a liquefare il modello familiare che è il vero collante del Paese, la conseguenza non è l’aumento dei diritti per tutti, ma è la solitudine, dovrebbe metterci in allarme.
Inoltre, come già è stato accennato, mi chiedo se ci siamo posti la preoccupazione che questa legge diventerà di fatto un modello educativo che sarà presentato alle giovani generazioni come opzione possibile. Oggi, un giovane che si affaccia alla vita ha davanti a sé essenzialmente il modello dell’impegno e del disimpegno, invece in questo modo noi andiamo a presentare un modello molteplice, con moltissime sfumature: il modello del disimpegno; il modello del disimpegno parziale; il modello dell’impegno fino a un certo punto. Tutto questo va considerato in un ambito, come quello del diritto di famiglia – seguo il diritto di famiglia da ormai quindici anni – in cui un semplice spostamento del codice legislativo porta conseguenze sociali che non sono misurabili.
Vi prendete, dunque, la responsabilità di andare contro la realtà della famiglia, per cui vi chiedo di farlo del tutto. Mi chiedo, se ci si assume come Parlamento la responsabilità di rompere modelli secolari, anzi millenari, perché non farlo completamente? Mi chiedo il perché della limitazione, per esempio, al numero di due dei contraenti l’unione civile oppure della convivenza di fatto, cioè perché non prevederne tre o quattro e perché limitiamo la libertà delle persone.
In tal senso, se il codice deve essere quello della libertà e dell’amore, vi comunico che nella civilissima Olanda già sono in vigore i cosiddetti «poliamori». Quello è il modello da seguire? Ci interessa quello? A contrariis, vi chiedo: perché non si può? Voi dite di no, sostenendo che questo non sia corretto, e va bene, però dovete giustificare perché non se ne possono prevedere tre. Voi dite che non siamo abituati, ma vorrei precisare che non siamo abituati neanche ad altro. Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo creare le abitudini, così poi possiamo creare le norme, oppure semplicemente prendere atto della realtà e giustificarla e custodirla al meglio? Questa insanabile contraddizione che sta alla base di questa norma è qualche cosa che non è ancora stato svelato. Inoltre, è un atteggiamento puramente ipocrita – consentitemi il termine un po’ forte – quello di cambiare il nome alle cose, lasciandone intatto il contenuto. Questo è un matrimonio omosessuale, per cui chiamiamolo con il suo nome ed evitiamo questi effetti che abbiamo definito in piazza «maquillage» perché non cambiano la sostanza delle cose.
In effetti, se si tratta di un matrimonio, è innegabile che sia un matrimonio. Inoltre, se è un matrimonio, siccome la giurisprudenza delle Corti europee e anche le Corti italiane è di natura sostanziale e non certo tecnica, è chiaro che al matrimonio andranno ricollegate tutte le conseguenze del matrimonio. Vorrò vedere, quando ci sarà una causa di divorzio tra due persone omosessuali che vorranno sciogliere l’unione civile, se la famosa fedeltà rileverà oppure no quale causa di scioglimento. Lo dico perché, se quello è un matrimonio, anche se l’obbligo di fedeltà è stato escluso, vorrò vedere se per i due contraenti sia o meno determinante.
Come vorrò vedere, quando le Corti europee si troveranno chiamate a scegliere se riconoscere o meno il diritto all’adozione, i diritti alla genitorialità, il diritto alla stepchild adoption eccetera, quale sarà l’atteggiamento che sceglieranno, cioè se sceglieranno di dire «non è un matrimonio, quindi non possiamo» oppure se, invece, come è già accaduto in Austria, facendo un discorso di tipo sostanziale, diranno «è matrimonio, anche se non l’avete chiamato così, quindi anche il diritto alla genitorialità deve essere riconosciuto». La foglia di fico dello stralcio della stepchild adoption non convince nessuno e sono sicuro che non convince neanche voi, tant’è vero che in questa stessa Commissione saremo auditi tra poco per la riforma della legge sulle adozioni, cioè si vuole fare entrare dalla porta quello che è stato fatto uscire dalla finestra. Ho invertito volutamente l’esempio.
Siamo davanti all’istituzione, di fatto, del gran bazar della famiglia perché, se tutto è famiglia, niente lo è. La proposta di legge presenta cinque modelli di famiglia perché, oltre alla famiglia naturale fondata sul matrimonio di cui all’articolo 29 della Costituzione, avremo, quindi, l’unione civile che francamente – perdonatemi – non ho capito perché debba essere riservata alle persone dello stesso sesso. Per quale motivo dobbiamo impedire a due persone di sesso diverso di accedere all’unione civile? Questa mi sembra una grande violazione del diritto di parità. Inoltre, abbiamo le convivenze registrate e i patti di civile convivenza che sono un’ulteriore specificazione e poi avremo e continueremo ad avere le libere convivenze, sulle quali tra l’altro mi soffermerò nella disamina breve degli articoli.
Questo è il modello educativo che proponiamo i nostri giovani, cioè cinque modelli familiari differenti. Questo porterà semplicemente a una classifica, per cui ci sarà la famiglia di serie A, la famiglia di serie B, la famiglia di serie C, la famiglia di serie D e la famiglia di serie E. In base al modello che sarà scelto, sarà evidente a tutti la qualità dell’impegno che quelle persone vorranno mettere nella loro relazione. Siamo convinti che questo sia un modello sociale virtuoso? Abbiamo verificato che questo promuova i giovani nella coesione sociale oppure non sia un incentivo al disimpegno?
Inoltre, come già è stato accennato, questa legge discrimina profondamente le coppie eterosessuali con figli, che non possono sposarsi, e le discrimina sia sulla reversibilità, sia di mantenimento, con riferimento alle unioni civili, sia sulla questione dei diritti all’eredità, per tutto quanto riguarda la legittima e i legittimari.
Inoltre, questa norma non prevede da nessuna parte la possibilità per i funzionari di esercitare il diritto all’obiezione di coscienza. So che altri parleranno di questo, quindi non mi soffermo sul punto. Ricordo semplicemente che il nostro Paese ha una forte appartenenza di carattere religioso e il fatto che la nostra cultura cristiana sia molto diffusa porterà certamente all’insorgere di questioni di questo tipo, come è successo negli Stati Uniti d’America, che peraltro hanno cultura completamente diversa.
Le stesse questioni che concernono la fede cattolica potrebbero sorgere anche con riguardo ad altre religioni, per esempio all’islam per citarne una, che su questo tipo di normativa non sarebbe certamente tenero.
Essendo anche un avvocato che si occupa di diritto di famiglia, mi permetto di segnalare brevemente tre punti che, a mio avviso, sono assolutamente privi di significato.
- Il primo concerne lo scioglimento dell’unione civile. Il disegno di legge Cirinnà, nella formulazione originaria, prevedeva anche per le coppie dello stesso sesso in unione civile l’istituto della separazione e poi del divorzio. Frettolosamente, in quella notte dei lunghi coltelli, è stato tagliato e incollato tutto, come è stato detto molto bene dal professor Quadri. (…) Deve avere un contenuto che sia giuridicamente sostenibile. Al comma 24 dell’articolo 1 si legge che l’unione civile si scioglie quando le parti hanno manifestato, anche disgiuntamente, la volontà di scioglimento dinnanzi all’ufficiale dello stato civile; in tal caso la domanda di scioglimento dell’unione civile è proposta decorsi tre mesi dalla data della manifestazione di volontà. Resta un punto di domanda: lo scioglimento deve essere chiesto da entrambi, oppure è sufficiente che lo faccia uno solo? L’espressione «disgiuntamente» di per sé non specifica. Infatti, il comma afferma che «l’unione civile si scioglie quando le parti», quindi il fatto che lo chiedano congiuntamente, ovvero che lo possano fare disgiuntamente non specifica se è sufficiente che anche solo una di queste chieda lo scioglimento. Se mi permettete, non è una cosa da poco. Infatti, se dovesse passare l’interpretazione, che è perfettamente compatibile con il testo, che serve che entrambe chiedano lo scioglimento, ciò significherebbe che una persona che ha stipulato un’unione civile, oltretutto senza obbligo di fedeltà, si potrebbe trovare a dover permanere in quell’unione civile nella quale l’altro partner nel frattempo coltiva relazioni con altre persone, senza poterne uscire, perché per poterlo fare è necessaria la richiesta di entrambi. Non è una questione di poco conto.
- C’è un altro punto che è già stato parzialmente evidenziato, ma che mi lascia molte perplessità. Mi riferisco al comma 43 dell’articolo 1 relativo alle convivenze di fatto, in relazione anche ai commi 36 e 37. Qual è la modalità con la quale si verifica se si sia giuridicamente in presenza di una convivenza di fatto o meno? Il comma 36 dell’articolo 1 parla di convivenza di fatto e prevede alcuni requisiti, che però sono di tipo squisitamente soggettivo e ben difficili da dimostrare in fase processuale. Ci si riferisce a legami affettivi di coppia e reciproca assistenza morale e materiale, che hanno a che fare più che altro con dei doveri o con degli obblighi che i contraenti hanno nei reciproci confronti, ma non possono essere qualitativamente comprovati in tribunale. Siccome l’ulteriore requisito è quello dell’automatico riconoscimento della semplice co-residenza, capirete che, ragionando per assurdo (ma non tanto, perché nei tribunali del nostro Paese arriva più l’assurdo che il non assurdo), potrebbe essere che taluno si trovi suo malgrado coinvolto in una situazione giuridica passiva, quale, per esempio, quella di essere caricato dell’obbligo degli alimenti, senza aver mai avuto la volontà di stipulare una convivenza di fatto. Faccio l’esempio dei due studenti universitari che, per ragioni di convenienza, pongano la residenza in comune. Uno dei due a un certo punto decide di chiedere all’altro l’assegno di alimenti. Come facciamo a comprovare che quel tipo di relazione fosse o meno fondata su legami affettivi e di reciproca assistenza morale e materiale? Uno dei due dirà che si volevano molto bene e l’altro, invece, dirà che non si volevano affatto bene. Chi sarà in grado di discernere se da quella situazione, che è una mera situazione di fatto, nascano o meno considerazioni di carattere giuridico?
- L’ultimo punto, che però è dirimente, è se in questo esempio aggiungiamo i diritti dei minori. Se dalla circostanza di cui ai commi 36 e 37 dell’articolo 1 derivano le conseguenze di cui agli alimenti. Infatti, da quello che ho capito anche leggendo le audizioni precedenti, mi sembra chiaro che la volontà del legislatore per quanto concerne il comma 65 dell’articolo 1 non sia di vincolare la sussistenza del diritto all’assegno di alimenti alla stipula del patto di civile convivenza. L’assegno di alimenti discende dalla mera convivenza di fatto, come stabilita dall’articolo 36 dell’articolo 1. Dunque, il convivente che voglia sottrarsi a tutte le conseguenze giuridiche della convivenza di fatto ha solo un’alternativa, che è quella di non porre la residenza insieme all’altro, ma questo – ricordiamocelo bene – ha delle conseguenze giuridiche su altri piani. Per esempio, non potrà beneficiare degli assegni familiari per l’eventuale prole, ove risulti non convivente con essa. Questa è solo una delle possibili conseguenze. Noi stiamo costringendo i conviventi a dividersi, ovvero a portare la residenza uno da una parte e una dall’altra, perché è l’unico modo per vedere rispettata la loro sacrosanta volontà di non riconoscersi reciprocamente diritti e doveri. Tutto questo, a mio avviso, costituisce una grave violazione dei diritti individuali delle persone.
Simone Pillon estratto passim pag. 63
Rispondo all’onorevole Marzano, che con la prima domanda chiedeva chi sono i deboli. Io non voglio identificare chi siano i deboli nella contrapposizione tra categorie presunte, omosessuali ed eterosessuali, non è questo il punto. Il problema su cui voglio portare la riflessione è un altro, onorevole: siamo sicuri che la risposta del dare il matrimonio sia una modalità per venire incontro alle esigenze dei deboli?
Se le categorie che non possono accedere al matrimonio sono tout court da considerare deboli, allora abbiamo anche i single che non possono accedere al matrimonio, quindi perché non garantire il matrimonio anche ai single, abbiamo anche i poliamori in Olanda, cioè tre persone che si vogliono molto bene, vivono insieme e hanno un progetto solidaristico di vita in comune, quindi perché non dobbiamo concedere il matrimonio anche a loro? Questa è una domanda che pongo. Se la società naturale configurata dalla Costituzione è fondata sul numero 2, forse ci sarà una ragione che viene anche dalla storia. La naturalità della differenza tra il maschile e il femminile: lei che per formazione filosofica è molto abile a giocare con le categorie (Derrida e Butler) chiede come si possa accostare il concetto di paternità al concetto di mascolinità, ma io vorrei citare in questa sede la risoluzione n. 2079 del 2015 del Parlamento europeo, che parla del ruolo dei padri nell’educazione dei figli e chiede che gli sia dato finalmente spazio. Il fatto che la mascolinità corrisponda alla paternità è qualcosa che chiedo a lei se ancora esista, anche perché (rispondo all’onorevole Pagano) questa norma pone grossi problemi anche in ordine alla determinazione di cosa sia maschio e cosa sia femmina.
La sentenza n. 15138 del 2015 della Corte di Cassazione ha stabilito che una persona con caratteristiche morfologiche di tipo maschile possa cambiare sesso senza modificare nulla del proprio corpo, quindi oggi siamo di fronte (…) Qui si pone un problema fondamentale, perché due persone anagraficamente maschi non è detto che lo siano dal punto di vista morfologico, allora debbono poter accedere all’unione civile oppure al matrimonio?
Se non possiamo più determinare giuridicamente chi è maschio e chi è femmina perché viene messo in discussione tutto, credo che a quel punto non possiamo più determinare neanche se questo è un microfono oppure se questo è un codice civile.
Proposta di legge C. 3684 presentata il 18 marzo 2016
Gian Luigi Gigli: “Disposizioni in materia di perseguibilità del reato di surrogazione di maternità commesso all’estero da cittadino italiano” (3684) assegnato alla Commissione Giustizia
www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/46635.htm
Art. 1.
- 1. I fatti previsti dal comma 6 dell’articolo 12, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, limitatamente alla fattispecie della surrogazione di maternità, sono puniti anche quando commessi all’estero da cittadino italiano.
- Il comma 1 del presente articolo costituisce disposizione speciale ai sensi dell’articolo 7, numero 5), del codice penale.
Testo e relazione
www.camera.it/leg17/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=17&codice=17PDL0039840&back_to=http://www.camera.it/leg17/126?tab=2-e-leg=17-e-idDocumento=3684-e-sede=-e-tipo=
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SINODO SULLA FAMIGLIA
“Amoris laetitia” verrà presentata venerdì 8 aprile
Si intitola “Amoris laetitia” e verrà presentata venerdì 8 aprile, alle 11.30 nella Sala Stampa vaticana, l’Esortazione Apostolica post-sinodale di Papa Francesco sull’amore nella famiglia.
Il documento è frutto dei due Sinodi sulla famiglia svoltisi in Vaticano nel 2014 e nel 2015. Alla presentazione interverranno il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, e i coniugi Francesco Miano e Giuseppina De Simone, lui docente di Filosofia Morale presso l’Università romana di Tor Vergata, lei docente di Filosofia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli. Hanno preso parte a entrambe le Assemblee, come esperti.
La Conferenza Stampa si potrà seguire in diretta streaming audio-video sul sito: http://player.rv.va (Vatican Player della Radio Vaticana), dove sarà disponibile anche in seguito on demand.
Notiziario Radio vaticana -31 marzo 2016 http://it.radiovaticana.va/radiogiornale
L’ Esortazione viene pubblicata in italiano, spagnolo, portoghese, francese, inglese e tedesco.
Il papa l’ha firmata il giorno di San Giuseppe, 19 marzo, custode della Sacra Famiglia. E’ un testo lungo, oltre duecento pagine e dovrebbe contenere 323 paragrafi. Arriva dopo la riflessione di due Sinodi a 35 anni dalla Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II, che contava 78 pagine e 86 paragrafi.
Esortazione apostolica. Kasper: “Non mi aspetto un documento rivoluzionario”
Il cardinale tedesco fa marcia indietro rispetto alle dichiarazioni di un paio di settimane fa e afferma la “profonda continuità” tra Benedetto XVI e Francesco. A una settimana dalla pubblicazione dell’Esortazione Apostolica post-sinodale Amoris laetitiae, il cardinale Walter Kasper corregge leggermente il tiro: il prossimo documento di papa Francesco, a suo avviso, non sarà “rivoluzionario” perché Bergoglio è un “riformatore”. Il presidente emerito del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani è intervenuto stamattina a Roma, al Congresso apostolico europeo sulla misericordia, ospitato presso la basilica di Sant’Andrea della Valle, dove, a margine delle sessioni, ha precisato non conoscere ancora i contenuti dell’Esortazione Apostolica.
“Non l’ho letta, non conosco nessuna riga – ha dichiarato il porporato tedesco, secondo quanto riferito dal SIR – ma ho fiducia che il Papa troverà le parole giuste anche per fare pace nel dibattito e soprattutto per confortare le famiglie e per spiegare quello che è il concetto cristiano, cattolico della famiglia e dare forza per vivere il mistero d’amore nella famiglia”.
Kasper è poi tornato sulla controversia dell’eucaristia ai divorziati risposati, sulla quale due anni fa, le sue ‘aperture’ avevano destato accese discussioni. “Ognuno di noi ha bisogno della misericordia, ma soprattutto queste persone, che hanno un percorso molto difficile”, ha detto il cardinale, sottolineando che “non cambia la dottrina, ma la disciplina può essere cambiata” e che le persone in situazioni matrimoniali irregolari potrebbero essere ammesse a ruoli di ministerialità laicale (padrini, lettori, ecc.)
Quanto all’Esortazione Apostolica, l’ex capodicastero si attende che il testo del Papa rimanga “sulla linea del Sinodo”, ricordando che il documento finale era stato votato “con la maggioranza dei due terzi”. La linea del Papa, ha ribadito il porporato, anche sulla famiglia, è quella della misericordia, ovvero “non il dito alzato ma la mano tesa per aiutare le persone in difficoltà”.
Le dichiarazioni odierne del cardinale Kasper appaiono come una parziale marcia indietro a quanto da lui stesso dichiarato lo scorso 17 marzo all’AGI: “Il documento segnerà l’inizio della più grande rivoluzione nella Chiesa da 1.500 anni a questa parte”, aveva affermato meno di due settimane fa il porporato tedesco.
Sempre in mattinata, Kasper ha dichiarato che tra Benedetto XVI e Francesco c’è “profonda continuità” e “non opposizione come alcuni dicono”. Papa Ratzinger, ha aggiunto, “lascia una grande, profonda eredità nella Chiesa, perché è un Papa teologo straordinario, come mostrano le sue omelie e le sue catechesi”.
Nel corso del convegno, il presidente emerito del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani ha anche puntualizzato che la misericordia non equivale affatto a “buonismo”, né a un “cristianesimo a buon mercato”, perché Dio non può essere “per così dire solo gentile e innocuo”, né evitare di prendere “sul serio il male e i peccati”. Inoltre, ha aggiunto, la misericordia non può essere soltanto “un linguaggio del cuore” o “una compassione emozionale passiva”, quando essa è soprattutto “un combattimento attivo contro il male”.
“Il problema fondamentale della pastorale”, ha poi concluso Kasper è “come parlare di Dio in una situazione secolarizzata, dove Dio è diventato uno straniero in Europa, dove in moltissimi cuori non c’è più, o sembra non esserci più, la domanda e il desiderio di Dio, e in molti contemporanei manca, per così dire, l’antenna che potrebbe captare il nostro messaggio”.
Luca Marcolivio zenit 1 aprile 2016
https://it.zenit.org/articles/esortazione-apostolica-kasper-non-mi-aspetto-un-documento-rivoluzionario/?utm_source=ZENIT+Italiano&utm_campaign=a52c801402-Italiano_Daily__Newsletter&utm_medium=email&utm_term=0_2ce633c7e0-a52c801402-40365985
Aspettando “Amoris Laetitia”.
I nomi dell’amore in 140 anni di magistero cattolico, da Leone XIII a Francesco.
Ora sappiamo con certezza almeno il titolo della prossima Esortazione apostolica: Amoris Laetitia, la gioia dell’amore, la letizia dell’amore, ma anche la fecondità e la creatività dell’amore. Ricca di risonanze – e di promesse – è la parola latina “laetitia”. Dopo alcune piccole, ma significative, indiscrezioni – sul numero delle pagine e sul numero dei paragrafi – ora abbiamo qualcosa di più. Un titolo. Ma solo un titolo, che, però, come accade in una lunga tradizione ecclesiale, coincide con un “incipit”. Così inizia il documento: con la gioia dell’amore. Dopo la gioia del vangelo, ora la gioia dell’amore. Francesco si distingue anzitutto per “gaudium” e per “laetitia”. Lo aveva segnalato prima ancora di diventare papa, in un discorso ai cardinali, ricordando, di Paolo VI, la “dolce e confortante gioia di evangelizzare”.
Più di questo non abbiamo: un titolo “gioioso”. Al quale possiamo unire una ampiezza di pagine e di paragrafi che lasciano intendere, o presagire, una ampiezza di sviluppo e di considerazione di ciò che, fin dal titolo, appare ancora più che famiglia e matrimonio. Appare come “amore”. Qui mi fermo. Ma penso che sia legittimo chiedersi: come siamo arrivati fin qui?
Può essere utile recuperare, in modo estremamente sommario, le grandi tappe che ci hanno portato fino a qui. In questi giorni “fra l’ottava di Pasqua”, che fanno risuonare con tanta forza l’annuncio più originario del Signore Risorto, possiamo francamente riconoscere che, in origine, tutto inizia lì, in quell’evento e in quell’annuncio. Ma poi, nel differenziarsi delle storie cristiane, siamo condotti ad identificare lo specifico di questo documento ormai imminente in una storia molto più breve della campata bimillenaria del cristianesimo.
Essa trova il suo inizio nel primo documento “tardo-moderno” che affronta la questione “matrimoniale” in un contesto nuovo. Siamo nel 1880, durante il pontificato di Leone XIII, a pochi anni dalla “breccia di porta Pia” e dalla perdita del “potere temporale”. Questa storia nuova, che comincia solo allora, è segnata profondamente da questioni istituzionali, giuridiche e politiche, che ne hanno caratterizzato lo sviluppo, per buona parte di questi 140 anni. Questioni teologiche e questioni istituzionali si sono dunque intrecciate in una forma nuova, che non ha precedenti nella storia della Chiesa. Tra qualche giorno, alla luce del nuovo testo, potremo rileggere questa storia diversamente. Ora possiamo però recuperarla, almeno per sommi capi.
- Arcanum divinae sapientiae, Enciclica di Leone XIII (1880). Tutta la grande tradizione medievale, mediata autorevolmente dal Concilio di Trento, assume, con questa enciclica, la problematica nuova e inedita di una ri-affermazione della “competenza ecclesiale” di fronte alla competenza degli stati moderni sul matrimonio, che il XIX secolo aveva appena inaugurato. Tutti i temi fondamentali tipici della tradizione risultano così “filtrati” da questo problema nuovo e drammatico. In questa Enciclica si mettono a punto le “forme di pensiero e di azione” che poi saranno fatte proprie dal Codice di diritto canonico del 1917. E che diverranno, per molti decenni, il punto di snodo decisivo della comprensione “cattolica” del matrimonio, della famiglia e dell’amore. Con i suoi pregi e i suoi difetti.
- Casti connubii), Enciclica di Pio XI (1930). Cinquant’anni dopo, in tutt’altro mondo, Pio XI assume un tema particolare, come quello della opposizione alla “contraccezione” – ammessa in quell’anno dalla confessione anglicana –, come “chiave di comprensione” del matrimonio e della famiglia. Esso determinerà, a partire da allora, una precisa priorità nella lettura “naturale” del matrimonio e della famiglia. La rinuncia alla “libertà” nel contesto matrimoniale viene tradotta nella norma di una sessualità puramente “oggettiva”, quasi depurata dalla soggettività e regolata solo naturalmente. In una abbraccio tra grazia e natura che, a lungo andare, rischierà di diventare asfissiante. E di polarizzare sempre più il rapporto con la cultura civile.
- Humanae vitae, Enciclica di Paolo VI (1968). Nonostante il parziale mutamento di linguaggio introdotto dal Concilio Vaticano II e il cammino verso una “personalizzazione” del matrimonio e della famiglia, ancora nel 1968 troviamo in Humanae Vitae di Paolo VI l’impostazione risalente a Arcanum divinae sapientiae e a Casti connubii: il matrimonio e la famiglia – come luoghi unici della sessualità – sono interamente “predeterminati” da Dio, lasciando all’uomo uno spazio di responsabilità così esiguo da risultare spesso quasi fittizio e sempre molto formale. Una “generazione responsabile” diventa un tema astratto, cui non corrispondono “pratiche” realistiche. Ma la soluzione inefficace dipende da un modo di pensare il matrimonio e la famiglia “in contrasto” con la cultura civile moderna. Matrimonio e famiglia si prestano ancora ad essere “usati” come baluardi antimodernisti e come riserve di competenza ecclesiastica. Ma in questo “uso” subiscono anche mortificazioni e riduzioni progressive.
- Familiaris consortio, Esortazione Apostolica postsinodale di Giovanni Paolo II (1981). Sia pure all’interno di una forte continuità con il linguaggio del secolo precedente, Familiaris Consortio opera due grandi mutamenti: da un lato introduce, persino nel titolo, la espressione “familiaris”, che è nuova nel magistero, che da sempre si era occupato di “matrimonio”, non di famiglia. Il precedente è qui il Concilio Vaticano II e il suo ripensamento ecclesiale della famiglia. Ma il secondo passaggio decisivo è il riconoscimento aperto di una “differenziazione” della società, che appare ormai evidente anche per la Chiesa. Non ci sono solo “famiglie regolari”, ma anche “irregolari”, che non sono più automaticamente “infami” e “scomunicate”. Il documento di Giovanni Paolo II non fa molto più di questa “ammissione”: ma è l’inizio di una piccola rivoluzione. La logica della contrapposizione alla società civile, inaugurata da “Arcanum divinae sapientiae” nel 1880, cento anni dopo non regge più sul piano pratico e operativo, anche se teoricamente può dare ancora qualche piccolo conforto. Alla contrapposizione frontale occorre sostituire la conciliazione nella differenziazione. E’ solo un compito, non svolto, ma chiaramente colto e indicato.
- Amoris laetitia, Esortazione Apostolica postsinodale di Francesco (2016). Così si giunge a Francesco. E qui ci fermiamo. Abbiamo però non solo un documento “ignoto”, ma abbiamo anche questa lunga storia recente, abbiamo un accurato percorso sinodale, abbiamo una esigenza vivace di conversione pastorale, abbiamo una ripresa vigorosa della consegna conciliare. Leggeremo venerdì prossimo il frutto di questa articolata elaborazione. Che ci consentirà di rileggere tutta questa storia in modo nuovo. Per ora osserviamo che, anche soltanto sul piano del “lessico” – almeno di quello dei titoli – i “nomi dell’amore” cambiano e si passano la mano: dall’ “arcano della sapienza divina” si passa al “casto coniugio”, poi alla “trasmissione della vita umana”, poi alla “comunione familiare”, per arrivare infine alla “gioia dell’amore”. In trasparenza vediamo, attraverso questi nomi, affiorare una storia complessa, sofferta, problematica e insieme promettente. Il nuovo documento dovrà essere letto in questo “ampio respiro”, nella lunga campata di questa storia recente, ma non schiacciata sulla storia recentissima. Alla luce di questo ultimo documento gioioso, tutti gli altri prenderanno, inevitabilmente, colori e forme nuove. Come è bene che sia. Come è sempre stato, tutte le volte in cui la tradizione ha saputo mostrarsi e riconoscersi non solo “viva”, ma anche “sana”.
Andrea Grillo in “Come se non” 1 aprile 2016
www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non
www.cittadellaeditrice.com/munera/aspettando-amoris-laetitia-i-nomi-dellamore-in-140-anni-di-magistero-cattolico-da-leone-xiii-a-francesco
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TERZO SETTORE
Il Senato approva la riforma.
L’Assemblea di Palazzo Madama ha approvato il 30 marzo 2016, con modifiche, il Ddl n. 1870, recante “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”. Il testo torna alla Camera dei deputati.
Con un emendamento del Governo viene istituita la Fondazione Italia sociale con lo scopo di sostenere interventi innovativi. Tra i punti qualificanti del Ddl: la previsione di un codice del terzo settore, con esclusione delle fondazioni bancarie, la disciplina unitaria del volontariato, che dà un contributo fondamentale all’inclusione sociale, la valorizzazione delle reti di secondo livello, la revisione della fiscalità di vantaggio.
Il Sottosegretario di Stato presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Luigi Bobba si dichiara soddisfatto e commenta: “Il risultato raggiunto è frutto di un intenso e proficuo lavoro che ha consentito di giungere ad un testo condiviso e soddisfacente che integra il testo Camera licenziato lo scorso aprile. L’iter della Riforma è stato piuttosto articolato perché la legge Delega di riforma interviene in modo strutturale su un settore che coinvolge indicativamente 5 milioni di volontari ed oltre 300 mila organizzazioni non profit, che hanno generato – nel solo 2011 – un volume di entrate di circa 64 miliardi di euro.
Il testo, che è giunto all’esame del Senato a seguito di uno stallo durato quasi 9 mesi, prevede sostanziali novità su alcuni dei punti chiave del complesso di riforma” continua il Sottosegretario. “All’art. 1 è stata rivista la definizione di Terzo Settore e resa più esaustiva e completa. Analogamente, va ricordata l’istituzione di un Registro unico degli enti di Terzo Settore, quindi, anziché i 33 diversi registri attualmente in vigore, avremo un unico Registro Nazionale pienamente accessibile e conoscibile. L’intento è di semplificare le procedure e rendere trasparente il mondo del Terzo Settore. All’art. 5 si sono ridefiniti i Centri di Servizio per il Volontariato, per la cui costituzione potranno concorrere buona parte degli enti di Terzo settore. All’art. 6 sono previste facilitazioni normative e fiscali per “fare impresa” con finalità sociali. Un ampliamento di quello che oggi accade con le cooperative sociali che sono più di 12.000; inoltre è stata integrata la previsione secondo la quale le imprese sociali debbano prioritariamente destinare i propri utili al raggiungimento degli obiettivi indicati nello statuto e, quindi, di obiettivi di utilità sociale. E, ancora, va richiamata l’istituzione del Consiglio Nazionale del Terzo settore quale organo di consultazione. Sulla riforma del Servizio civile di cui all’art. 8, ricordiamo viene inserito, a pieno titolo, il concetto di difesa non armata della Patria e della promozione dei valori fondativi della Repubblica, unitamente al principio per cui anche i giovani stranieri – regolarmente soggiornanti – possono finalmente partecipare ai bandi. Inoltre è prevista la possibilità di svolgere una parte del Servizio Civile in un altro Paese europeo. In materia di misure fiscali e di sostegno economico, l’art. 9 prevede la revisione della definizione di Ente non commerciale, razionalizzazione e semplificazione dei regimi fiscali e contabili, completamento della riforma dell’istituto del 5 per mille”.
“E’ importante richiamare – aggiunge Bobba – l’art. 9-bis con cui viene istituita la Fondazione Italia Sociale che ha lo scopo di sostenere la realizzazione e lo sviluppo di interventi innovativi da parte di enti di terzo settore rivolti, in particolare, ai territori e ai soggetti più svantaggiati, svolgendo – va precisato- una funzione sussidiaria e non sostitutiva dell’intervento pubblico”.
Ecco le prime reazioni dal mondo non profit. Positiva la dichiarazione del Portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore, Pietro Barbieri: “Salutiamo con soddisfazione l’approvazione da parte del Senato del Ddl di Riforma del Terzo Settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale. Il testo che l’Aula del Senato ha finalmente approvato risponde a molte delle istanze che abbiamo sollevato: la definizione di finalità e oggetto di ente di terzo settore e la questione della revisione fiscale, il riordino in materia di servizio civile nazionale con il riconoscimento della difesa non armata della patria e l’allargamento agli stranieri con regolare permesso di soggiorno. Molto buono l’articolo cui infine si è giunti sull’impresa sociale ed il complesso lavoro di sistematizzazione e riordino di tutto il quadro normativo che ha caratterizzato per trent’anni il nostro mondo. Rendiamo inoltre atto che il Relatore Senatore Stefano Lepri e il Sottosegretario Bobba nei delicati, ma politicamente illuminati, momenti finali, tra l’altro, hanno anche inteso introdurre norme che rinviano ai Decreti Legislativi la disciplina dell’autofinanziamento e il tema dei rimborsi spese ai volontari. Dopo tante vicissitudini, si è finalmente chiuso anche il capitolo delle coperture per il Ddl, che sembrerebbero certe e stabili. In un testo complessivamente positivo, certamente rimangono alcune zone d’ombra e qualche dubbio, che però confidiamo di fugare durante la fase di redazione – auspicando tempi rapidi per il nuovo passaggio del Ddl alla Camera dei Deputati – dei Decreti Legislativi, momento decisivo per delineare lo schema normativo effettivo in cui gli Enti di Terzo Settore dovranno operare, e nel cui iter chiediamo, come rappresentanti dei destinatari delle norme, di poter essere ancora coinvolti e ascoltati. Il Forum, come sempre in questi due lunghi e tormentati anni di gestazione della Riforma è pronto a fare la sua parte, con serietà e responsabilità, nell’interesse di tutto il Terzo Settore italiano.”
Giuseppe Guerini, presidente Federsolidarietà Confcooperative, ha commentato: “L’approvazione del disegno di legge per la riforma del terzo settore da parte del Senato segna un altro passo in avanti. Auspichiamo ora che la Camera dei Deputati approvi al più presto la legge e soprattutto che il Governo proceda entro il 2016 alla stesura dei decreti legislativi delegati. E’ ora che scatti il conto alla rovescia. A due anni dall’avvio dell’iter della riforma c’è molta attesa nel terzo settore. La riforma sarà in grado di non tradire le attese se creerà le condizioni per generare innovazione e sviluppo sociale soprattutto attraverso la possibilità di rispondere ai tanti bisogni insoddisfatti nel settore del welfare, e la creazione di nuove opportunità occupazionali, grazie alle nuove previsioni sulle imprese sociali, in particolare per i giovani. L’allargamento dei settori per le imprese sociali, la possibilità di attrarre capitali e finanziamenti “pazienti” (con basso rendimento e a lungo termine) per nuovi servizi, la semplificazione e la chiarezza delle procedure per acquisire la qualifica sono novità importanti che devono trovare nei decreti legislativi gli strumenti più idonei per avviare una nuova fase. Dalla riforma ci aspettiamo l’avvio di una stagione nuova in cui i cittadini abbiano l’opportunità per auto-organizzarsi e rispondere ai propri bisogni partecipando attivamente. Mettendosi insieme per valorizzare i beni culturali e ambientali abbandonati con azioni di sviluppo locale e di promozione turistica del territorio. Con risposte innovative nel settore del welfare per affrontare le nuove povertà con percorsi integrati di inclusione sociale e lavorativa. Per progettare servizi domiciliari e residenziali per le famiglie che devono fronteggiare la crescita della non autosufficienza. Con percorsi mirati di inserimento lavorativo per le persone disabili. Sarà una riforma epocale se i decreti legislativi porteranno a compimento il riconoscimento culturale e giuridico della dimensione economica e imprenditoriale del terzo settore, emersa negli ultimi trent’anni ma con un potenziale ancora oggi enorme”.
Questa la dichiarazione del presidente nazionale Anpas, Fabrizio Pregliasco: “Plaudiamo a questo risultato che arriva dopo due anni di lavoro che abbiamo condiviso con i deputati, con i senatori e, in particolare, con un ottimo rapporto di interlocuzione col sottosegretario al Ministero del lavoro e delle politiche sociali Luigi Bobba. Un testo che dobbiamo analizzare con cura soprattutto nelle sue pieghe ma che riteniamo un elemento fondamentale per tutto il terzo settore. Crediamo anche che gli elementi inseriti dal Senatore Stefano Lepri, e dal lavoro svolto dai deputati, come Donata Lenzi, abbiano posto una particolare attenzione al volontariato. Dobbiamo infatti ricordare che il volontariato è il motore del Terzo Settore e, nello specifico delle attività dei volontari delle pubbliche assistenze Anpas, è soggetto attivo nei servizi essenziali di emergenza, nei servizi sociali e nella protezione civile. Auspichiamo ora un rapido passaggio alla Camera e poi attenderemo quelli che saranno i decreti attuativi affinché i princìpi della legge vengano attivati. Speriamo di poter avere anche occasione per continuare questa interlocuzione e ribadire le peculiarità nostre e di realtà simili alla nostra, come fatto con Misericordie d’Italia e Croce Rossa Italiana, per fare bene insieme un volontariato che si occupa di servizi anche complessi. Speriamo sia un’opportunità per una peculiarità tutta Italiana che ha radici storiche con radici storiche ma già che mai attuali”.
Il commento del CNESC in un comunicato stampa: “Il testo colloca finalmente il Servizio Civile Universale nell’alveo costituzionale del diritto dovere di promuovere la pace con modalità civili e non armate e a questo riconduce gli altri riferimenti alla Costituzione, che fissa il diritto dei giovani, italiani e stranieri residenti in Italia di vivere questa esperienza, che potenzia il servizio civile all’estero in direzione anche di un servizio civile europeo, che stabilisce una governance statale dopo i conflitti e le duplicazioni causate dal decreto legislativo 77 del 2002, che apre la strada ad una sburocratizzazione e semplificazione per le organizzazioni accreditate di partecipare al Servizio Civile Universale. Restano incognite sia sul finanziamento (a cominciare dal 2017) che sulle concrete modalità di salvaguardare la funzione educativa e formativa con i giovani e di costruzione di un partenariato con le organizzazioni accreditate, a cominciare da quelle del Terzo Settore. Ora auspichiamo che, dopo lunghi mesi di stallo, l’iter parlamentare si concluda con la terza e definitiva lettura alla Camera e che già prima dell’estate possano iniziare i lavori per il decreti delegati. Lavori che chiediamo vedano coinvolti tutti i soggetti interessati e quindi anche le rappresentanze degli enti accreditati e dei rappresentanti dei giovani, che sul campo vivono i cambiamenti e l’impatto delle nuove normative e che saranno chiamati a realizzare il Servizio Civile Universale. Su questo aspetto il tempo delle attese e dei silenzi è finito. Se il bando ordinario continua a dimostrare capacità di attrazione verso gli enti e i giovani, la stessa cosa non può dirsi sui molti, troppi bandi speciali che si succedono. La sperimentazione e l’obiettivo di fare del servizio civile un’opportunità per tutti i giovani che vogliono farlo, fulcro della sua universalità, è rilevante se va a braccetto con la qualità delle esperienze e la sostenibilità per le organizzazioni”.
Testo aggiornato www.nonprofitonline.it/default.asp?id=466&id_n=6709
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UNIONI CIVILI
II giudizio dopo un paio di audizioni. Vedi Parlamento pag. 15
Tutti d’accordo sulla Cirinnà: è scritta da cani Per magistrati, professori e costituzionalisti la norma pro-gay è brutta, formulata male, tecnicamente fragile e imprecisa. Una legge brutta. Mal scritta. Confusa. Buttata giù in fretta e furia. A rischio di costituzionalità in ogni suo capitolo. Sono bastate due sedute della commissione giustizia della Camera per fare letteralmente a pezzi uno dei fiori all’occhiello di Matteo Renzi, Maria Elena Boschi e del loro governo: la legge sulle unioni civili che porta la firma della senatrice Pd, Monica Cirinnà. Due giorni di audizioni di esperti della materia: professori di diritto costituzionale, di diritto civile, di diritto privato e pubblico, magistrati. Ognuno dal suo punto divista ha spiegato ai componenti della commissione guidata da Donatelli Ferranti che quel testo di legge deve essere profondamente cambiato anche in parti ritenute sostanziali, perché non reggerebbe per più di un motivo al vaglio della Corte Costituzionale.
Il difetto principale è stato individuato da Francesco Saverio Marini, professore di istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli studi di Roma Torvergata, «è che si sia partiti dalla fine, cioè dall’equiparazione completa fra matrimonio e unioni civili, per poi sottrarre tessere al mosaico ed evitare la paventata assimilazione piena fra le due figure. Senonché, da un lato spacchettare i singoli profili in più disegni di legge non risolve né attenua il problema, perché come è ovvio la valutazione della Corte non potrà che tener conto dell’intero ordinamento e non del singolo atto normativo; dall’altro, tale opera di ritaglio non sembra sorretta da un disegno razionalmente unitario né, a monte, da un chiaro accordo circa l’ubi consistam dell’unione civile». Secondo lo stesso Marini per usare un eufemismo «il risultato non appare, almeno allo stato, dei più appaganti». E se non si riscrive quel testo secondo Marini rischia di franare davanti a un esame della Corte Costituzionale.
pag. 4
www.camera.it/leg17/1079?idLegislatura=17&tipologia=indag&sottotipologia=c02_convivenze&anno=2016&mese=03&giorno=15&idCommissione=02&numero=0003&file=indice_stenografico#stenograficoCommissione.tit00020.int00020
Secondo Enrico Quadri, professore di istituzioni di diritto privato e diritto di famiglia presso l’Università degli studi di Napoli Federico II la Cirinnà è soprattutto scritta male nei suoi impianti giuridici: «L’ansia di differenziazione ha intorbidato la disciplina, rendendola, come è sotto gli occhi di tutti, piuttosto disordinata e articolata, a un tempo, su numerosi richiami e su una trascrizione non sempre fedele e adeguata delle disposizioni del codice civile». Secondo il professore Quadri «anche il silenzio sull’obbligo di fedeltà finisce con il presentarsi come privo di qualsiasi concreta portata, non solo per la sua intima incongruenza con l’idea di unità di vita di coppia evocata fin dal comma 2 dell’articolo 1 della proposta di legge, ma, soprattutto, perché all’unione civile non risulta applicabile l’istituto della separazione personale, con quella possibilità di addebito in cui notoriamente si risolve la sanzione della violazione di un simile dovere».
pag. 10
www.camera.it/leg17/1079?idLegislatura=17&tipologia=indag&sottotipologia=c02_convivenze&anno=2016&mese=03&giorno=15&idCommissione=02&numero=0003&file=indice_stenografico#stenograficoCommissione.tit00020.int00020
Il costituzionalista Filippo Vari, professore presso l’Università europea di Roma, sostiene che il punto più critico è proprio l’architrave stessa della Cirinnà: «L’equiparazione tra unione civile e matrimonio emerge da tanti commi della proposta di legge e in particolare dalla clausola generale contenuta nel comma 20 dell’articolo 1. Questa equiparazione a mio avviso si pone in contrasto con il disegno costituzionale in materia di famiglia, in particolare con gli articoli 29 e 31. Non vi tedio con una lunga analisi del testo costituzionale, però è noto che la Costituzione assegna alla famiglia fondata sul matrimonio una posizione di preminenza». Vari spiega che «in Costituzione è ravvisabile un favor nei confronti del matrimonio e della famiglia intaccato nel momento in cui l’unione civile viene posta, con riferimento ai diritti sodali, sullo stesso piano della famiglia». Il costituzionalista fa anche due esempi concreti di questo. Il primo è quello «dell’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, le case popolari. Se le unioni civili e addirittura le convivenze, in forza del comma 45 dell’articolo 1, sono poste sullo stesso piano della famiglia, la preferenza per la famiglia si annulla». Il secondo caso è quello delle pensioni di reversibilità, che già aveva sollevato qualche perplessità alla Ragioneria generale dello Stato: «La pensione di reversibilità è un’eccezione, un privilegio di cui nell’ordinamento gode la famiglia per quella che Costantino Mortati chiamava “l’infungibile” funzione sociale anche se non statale della famiglia. Nel momento in cui si estende il novero dei beneficiari della pensione di reversibilità, inevitabilmente questa estensione avviene o tramite un inasprimento della leva fiscale o tramite lo storno di risorse pubbliche, che però non vengono impiegate, invece, per adempiere a uno specifico obbligo che la Costituzione impone all’articolo 31 ai poteri pubblici, ossia di promuovere la formazione della famiglia e agevolarne lo svolgimento delle relative funzioni. Siamo di fronte alla creazione di un modello concorrenziale rispetto all’istituto familiare».
pag. 27
www.camera.it/leg17/1079?idLegislatura=17&tipologia=indag&sottotipologia=c02_convivenze&anno=2016&mese=03&giorno=15&idCommissione=02&numero=0003&file=indice_stenografico#stenograficoCommissione.tit00020.int00020
Più gentile, ma non certo assolutorio il giudizio fornito da Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale (vedi pag.18): «Con maggiore fantasia giuridica e con maggiore impegno di elaborazione, si sarebbe potuti pervenire a un modello appropriato e originale, senza un ricorso così puntuale a norme che hanno un qualche carattere di diversità rispetto al tema e non si collocano espressamente nel perimetro ristretto che la giurisprudenza costituzionale ha determinato». Troppo vicina alla famiglia l’unione civile della Cirinnà, ma discriminatrice verso le coppie omosessuali sotto un altro aspetto che ha fatto notare Monica Velletti, magistrato presso il Tribunale di Roma I sezione civile: «La lacuna più evidente, che mi è balzata agli occhi, è il mancato richiamo nella disciplina delle unioni civili dell’articolo in materia di impresa familiare. L’articolo 230-bis del codice civile, che disciplina l’impresa familiare si applica soltanto ai familiari. In relazione ai familiari ovviamente il codice civile non poteva immaginare che vi fosse il partner dell’unione civile. Ci troviamo nell’assurdo che l’impresa familiare potrà essere applicata ai partner di una convivenza di fatto, ma non potrà essere applicata, perché manca l’esplicito riferimento, ai partner dell’unione civile. Io posso ravvisarvi un’espressa incostituzionalità».
pag. 18
www.camera.it/leg17/1079?idLegislatura=17&tipologia=indag&sottotipologia=c02_convivenze&anno=2016&mese=03&giorno=15&idCommissione=02&numero=0003&file=indice_stenografico#stenograficoCommissione.tit00020.int00020
Franco Bechis Libero, pag. 13 1 aprile 2016
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WELFARE
Nuovo bonus mobili per giovani coppie under 35: le Entrate spiegano come accedervi
Agenzia Entrate, circolare n. 7, 31marzo 2016.
Il Fisco aiuta le giovani coppie che comprano una casa da destinare ad abitazione principale. La legge di stabilità 2016, infatti, introduce un’agevolazione per l’acquisto di nuovi mobili da parte di coppie coniugate o conviventi da almeno tre anni. Sono inoltre prorogate le detrazioni collegate al recupero del patrimonio edilizio e quelle per l’acquisto di mobili per il relativo arredo. Questi alcuni dei chiarimenti forniti dalla circolare n.7/E pubblicata dall’Agenzia con cui vengono descritte le modalità per accedere al nuovo bonus.
Quali giovani coppie sono coinvolte – Il nuovo bonus mobili è riservato alle coppie che nel 2016 risultino coniugate o conviventi more uxorio da almeno tre anni. All’interno della giovane coppia è necessario che almeno uno dei componenti non abbia superato i 35 anni di età o che li compia nell’anno 2016. Infine la circolare spiega che la coppia deve essere acquirente di un’unità immobiliare e che la stessa sia adibita ad abitazione principale nell’anno 2016. L’acquisto può essere effettuato da entrambi i componenti della coppia o da uno solo di essi, purché quest’ultimo sia under 35 nel 2016. In particolare, l’immobile deve risultare acquistato nell’anno 2016 o nell’anno 2015. Gli immobili acquistati nel 2016 possono essere destinati ad abitazione principale entro i termini di presentazione della dichiarazione dei redditi per questo periodo d’imposta (termine di presentazione del modello Unico PF 2017).
I beni che rientrano nel bonus – Tra i mobili ammessi al beneficio rientrano, a titolo esemplificativo, letti, armadi, cassettiere, librerie, scrivanie, tavoli, sedie, comodini, divani, poltrone, credenze, nonché i materassi e gli apparecchi di illuminazione che costituiscono un necessario completamento dell’arredo dell’immobile. Sono esclusi, invece, gli acquisti di porte, di pavimentazioni (ad esempio, il parquet), di tende e tendaggi, nonché di altri complementi di arredo. La nuova detrazione è prevista per le spese sostenute dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016 per l’acquisto di mobili nuovi e destinati all’arredo dell’abitazione principale della giovane coppia, ad eccezione di quelle per l’acquisto di grandi elettrodomestici.
Come calcolare la detrazione – L’agevolazione, da ripartire tra gli aventi diritto in dieci quote annuali di pari importo, si applica nella misura del 50% delle spese sostenute dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016 e viene determinata su un ammontare complessivo non superiore a 16mila euro. L’ammontare massimo di spesa sul quale calcolare la detrazione deve essere comunque riferito alla coppia. Per fruire del beneficio è necessario che il pagamento per l’acquisto dei nuovi mobili sia effettuato solamente mediante bonifico o carta di debito o credito. Il nuovo bonus mobili giovani coppie non è cumulabile per lo stesso immobile con il bonus mobili e grandi elettrodomestici.
La proroga a tutto il 2016 della detrazione per le ristrutturazioni edilizie e del bonus mobili e grandi elettrodomestici – La circolare, peraltro, ricorda che la legge di stabilità 2016 ha prorogato al 31 dicembre di quest’anno l’aumento della detrazione dal 36% al 50% per le spese sostenute per interventi di recupero del patrimonio edilizio, nonché l’incremento delle spese ammissibili da euro 48.000 a euro 96.000. Per il 2016 è stato prorogato anche il bonus per l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici, di classe non inferiore ad A+, nonché di classe A per i forni e le apparecchiature per i quali sia prevista l’etichetta energetica, finalizzati all’arredo dell’immobile oggetto di ristrutturazione.
Agenzia delle Entrate, comunicato stampa 31 marzo 2016
www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/Nsilib/Nsi/Documentazione/Provvedimenti+circolari+e+risoluzioni/Circolari/Archivio+circolari/Circolari+2016/Marzo+2016
www.altalex.com/documents/news/2016/03/31/nuovo-bonus-mobili-per-giovani-coppie-under-35-una-circolare-delle-entrate-spiega-come-accedervi?utm_source=nl_altalex&utm_medium=referral&utm_content=altalex&utm_campaign=newsletter&TK=NL&iduser=144450
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