newsUCIPEM n. 587 –6 marzo 2016

newsUCIPEM n. 587 –6 marzo 2016

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

20135 MILANO – via S. Lattuada, 14-c.f. 801516050373-. ☎ 02.55187310

ucipem@istitutolacasa.it                                          www.ucipem.com

“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line               Direttore responsabile Maria Chiara Duranti.

Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le “news” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultorifamiliari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

Le news sono così strutturate:

  • Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.
  • Link a siti internet per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto di questo new è liberamente riproducibile citando la fonte.

Per i numeri precedenti, dal n. 527 al n. 586 andare su:

http://ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=category&id=84&Itemid=231

In ottemperanza alla direttiva europea sulle comunicazioni on-line (direttiva 2000/31/CE), se non desiderate ricevere ulteriori news e/o se questo messaggio vi ha disturbato, inviateci una e-mail all’indirizzo: newsucipem@gmail.com con oggetto: “richiesta di disconnessione news”.                         976 iscritti

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ADDEBITO                                      

ADOZIONI                                        Le adozioni e l’interesse del bambino.

Tanti genitori adottivi ma pochi bambini: 1 coppia su 4 ce la fa.

ADOZIONI INTERNAZIONALI    Moldova: gli enti autorizzati scendono a 14.

 

AFFIDO                                           

ASSEGNO DI MANTENIMENTO 

 

ASSEGNO DIVORZILE                  L’assegno di divorzio resta anche con la nuova convivenza

 

BIOETICA                                       

CHIESA CATTOLICA                    Il matrimonio consensuale è la grande rivoluzione.

CONSULTORI Familiari UCIPEM Rieti. Letture ad alta voce per bambini al Consultorio.

CONTRACCEZIONE                      “Humanae vitae” e “Dignitatis Humanae”: la sintesi di Francesco.

DALLA NAVATA                            4° Domenica di Quaresima – anno C –6 marzo 2016.

Commento al Vangelo di Enzo Bianchi, priore a Bose.

DIVORZIO                                      

EUROPA                                           Maternità surrogata al centro dei lavori de Conferenza dell’Aja.

La maternità surrogata approda al Parlamento europeo.

EVANGELIZZAZIONE                   Le donne dovrebbero predicare durante la messa.

FAMIGLIA                                      

FAMIGLIE OMOGENITORIALI  

FECONDAZIONE ARTIFICIALE 

FERTILITÀ                                     

FORUM Associazioni FAMILIARI

GARANTE PER L’INFANZIA        Filomena Albano, è il nuovo Garante nazionale per l’infanzia.

GESTAZIONE PER ALTRI            Sara e Rachele l’utero in affitto ai tempi dei patriarchi.

Commissionare un figlio? Meglio adottarlo

Dove porta la fabbrica dei bambini.

 

GOVERNO                                       Qual è la priorità? I presidenti delle associazioni rispondono.

 

OMOADOZIONE                             Stepchild per sentenza, oltre la legge.

Maternità surrogata: ecco come funziona (in Italia e all’estero).

OMOFILIA                                       Misericordia e amore: così la Chiesa accoglie gli omosessuali.

ONLUS NON PROFIT                    

PARLAMENTO Senato C. Giustizia               Divorzio diretto

Camera  Assemblea   Mozioni concernenti politiche a sostegno della famiglia

   C. GiustiziaUnioni civili.

PATERNITÀ                                   

PEDOFILIA                                      Proteggere i minori: nota di padre Lombardi.

SEPARAZIONE E DIVORZIO      

SINODO SULLA FAMIGLIA          4 ipotesi: verso la postsinodale.

TRIBUNALE PER I MINORI         I minori Saranno più tutelati all’ interno dei tribunali ordinari.

UNIONI CIVILI                                          Contratti di convivenza: se la coppia ha figli.

Agli avvocati i nuovi contratti di convivenza

VIOLENZA                                      

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

.

ADDEBITO

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ADOZIONE

 

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

                                                                       ADOZIONI

Le adozioni e l’interesse del bambino.

Nel dibattito che si è avviato sulla riforma della legge sull’adozione si mescolano motivazioni e obiettivi diversi. Essi andrebbero esplicitati e tenuti distinti, a partire da una premessa importante: la legge italiana è una buona legge, anzi una delle migliori per quanto riguarda le garanzie che offre nella selezione dei potenziali genitori adottivi e nell’abbinamento tra questi e il bambino da adottare. Certo, le procedure sono lunghe e spesso sono rese ancora più lunghe dal ritardo — per negligenza, o più spesso per sovraccarico del personale interessato — con cui vengono effettuati i singoli passaggi.

Gli assistenti sociali e gli psicologi che svolgono i colloqui possono essere più o meno simpatici e preparati. Ma in generale l’obiettivo è garantire che gli aspiranti genitori adottivi siano consapevoli delle difficoltà che incontreranno con i figli adottivi, in parte simili, ma in parte specifiche. Nessun fai da te lasciato alla libera iniziativa di aspiranti genitori adottivi e agenzie private, come avviene, ad esempio, negli Stati Uniti. Perché, nonostante ogni fantasia di “nuova nascita”, i figli adottivi e i loro genitori dovranno sempre fare i conti con il perché di questa seconda nascita. Anzi, se c’è un limite nella attuale legge sull’adozione, è che l’adozione non viene accompagnata abbastanza dopo, non solo prima, essere avvenuta.

Un secondo limite, a mio parere, è la limitazione dell’adozione legittimante alle coppie (di sesso diverso) sposate, con l’esclusione dei conviventi, dei single e delle coppie dello stesso sesso. Se un tempo questa restrizione poteva avere un fondamento nel fatto che si riferiva alla modalità prevalente di essere genitori, oggi non è più così. Anche chi si sposa e ha figli, anche adottivi, può divorziare. Anche chi convive ha rapporti duraturi ed ha figli. Molti genitori, per lo più madri, tirano su i figli da soli. Ciò che interessa è la capacità genitoriale, che non è né garantita né particolarmente concentrata tra chi si sposa e neppure determinata dall’orientamento sessuale.

Proprio l’attenzione e le procedure richieste dall’attuale legge consentono di verificare se ci sia questa capacità, a prescindere dallo status legale degli aspiranti genitori. Chi pensa che se ci fossero meno “pastoie burocratiche” ci sarebbero più adozioni nazionali e internazionali è bene che si ricreda. È vero che ci sono molti, troppi, minori in istituto. Ma non tutti sono formalmente adottabili, perché hanno parenti, anche un genitore, anche se non possono tenerli con sé. Occorrerebbe non adottare questi bambini, ma aiutare i loro genitori e parenti ad accoglierli, o favorire l’affido, o ancora una forma di adozione leggera, che non interrompa i rapporti con la famiglia di origine. Altri minori, che sarebbero adottabili, non vengono adottati per mancanza di genitori disponibili. Perché sono troppo grandi, con esperienze negative alle spalle, quindi inevitabilmente più difficili da integrare in una famiglia, o perché disabili. Adottare questi minori richiede una disponibilità e una capacità non comune, oltre che il sostegno di servizi adeguati.

Infine, non va dimenticato che l’adozione internazionale è diventata più difficile non solo perché costosa, ma perché i Paesi sono diventati più attenti e protettivi rispetto ai propri bambini più vulnerabili, privilegiando adozioni o affidamenti autoctoni, che non costringano i bambini ad emigrare per avere una famiglia. Alcuni hanno anche chiuso le porte all’adozione internazionale a genitori di Paesi che consentono l’adozione alle coppie dello stesso sesso. È una scelta che si può discutere, di cui si possono rilevare le contraddizioni con altre norme (la Russia, ad esempio, che è uno di questi Paesi, consente la gestazione per altri, anche stranieri). Ma è una scelta di cui occorre tenere conto. Ad esempio, l’Olanda dei matrimoni dello stesso sesso consente a queste coppie solo l’adozione nazionale, per rispettare le scelte di Paesi culturalmente diversi su questo punto.

In altre parole, l’adozione non è, non può essere, solo l’esito di scelte individuali anche motivate da generosità e disponibilità all’accoglienza. È un processo che avviene in società, regolato da norme insieme culturali e legali, ancorché modificabili per adeguarsi ai mutamenti culturali rispetto a ciò che è una famiglia e a chi può essere genitore. Dove l’interesse prioritario è quello del bambino ad avere il migliore possibile, per lui o lei, contesto di accoglienza e crescita, per quanto imperfetto — come sono tutte le famiglie e tutti i genitori.

Chiara Saraceno        la Repubblica, 3 marzo 2016.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/03/03/le-adozioni-e-linteresse-del-bambino29.html?ref=search

 

                                               Tanti genitori adottivi ma pochi bambini una coppia su 4 ce la fa.

Sono 1.072 i bambini “italiani” entrati a far parte di una famiglia nel 2014. “Italiani” in quanto residenti nel nostro Paese, ma figli anche di non italiani. E sono 2mila i minori stranieri giunti in Italia nello stesso anno per essere adottati. Due dati cui si possono sommare anche gli affidamenti preadottativi, 940 sempre nel 2014. Si arriva a fatica a 4mila minori che hanno trovato casa, a fronte nello stesso anno di 9.657 domande di adozione (che possono riguardare anche una famiglia che ha chiesto più di un bambino) e di 3.857 famiglie che hanno ufficializzato la disponibilità a prendersi cura di un minore straniero.

Sorprese dalla banca dati. A via Damiano Chiesa 24, quartiere Balduina a Roma, c’è il Dipartimento per la giustizia minorile guidato da Francesco Cascini. Qui, in un palazzo super sorvegliato, viene gestita la banca dati sulle adozioni nazionali. Frutto dei dati inviati dai 29 tribunali minorili che gestiscono la complessa materia. Dati di cui non viene garantita la piena omogeneità perché non tutti i tribunali trasmettono on gli stessi criteri. Comunque una cassaforte numerica che, assieme a quella della Commissione per le adozioni internazionali di palazzo Chigi, consente di avere un quadro sufficiente della situazione italiana.

Focus sul 2014. Partiamo da qui allora. Dagli ultimi dati disponibili. Perché il 2015 è ancora un buco nero. Nel 2014, nei 29 tribunali, sono giunte 9.657 «domande di disponibilità all’adozione». Di cui 3.345 con un coniuge di più di 45 anni. Attenzione, è importante insistere sul fatto che le domande non corrispondono ad altrettante famiglie, perché una famiglia può aver chiesto più adozioni. Solo a Roma se ne contano 878, 542 a Bologna, 478 a Firenze, 359 a Bari. Ben 3.857 domande “aprono” anche a minori stranieri.

Stepchild “in famiglia”. Sempre nel 2014 sono stati 1.397 i minori dichiarati adottabili, di cui 1.119 con genitori noti e 278 ignoti. Ben evidente, già nel corso di un anno, la sproporzione tra le richieste e la disponibilità di bambini. Le sentenze di adozione risultano 1.072, mentre i cosiddetti “affidamenti preadottivi” sono 940. Da segnalare i 413 minori che sono stati adottati da un coniuge. Ovviamente siamo nell’ambito di una coppia eterosessuale regolarmente sposata.

Bambini stranieri. Nel 2014 sono state 3.141 le coppie che, dopo aver presentato una domanda di adozione, hanno ricevuto dai tribunali minorili un decreto di idoneità all’adozione stessa spendibile all’estero, un documento essenziale per qualsiasi procedura. Gli affidi di minori stranieri sono risultati 75. Le adozioni 1.969. Anche in questo caso è evidente la sproporzione tra la domanda per ottenere un bambino e l’effettiva adozione.

Il trend internazionale. La Commissione di palazzo Chigi fornisce le statistiche dei maschi e delle femmine stranieri giunti in Italia per entrare in una famiglia. Dati che, dal 2006, corrono stabili, 3.188 nel 2006, 3.420 nel 2007, 3.977 nel 2008, 3.964 nel 2009, 4.130 nel 2010, 4.022 nel 2011, 3.106 nel 2012, 2.825 nel 2013 e circa 2mila nel 2014. Come spiegano i magistrati esperti di adozioni, come Daniela Bacchetta che lavora al Dipartimento giustizia minorile dopo l’esperienza al vertice della Commissione per le adozioni internazionali, la situazione è cambiata e nei paesi stranieri dove ci sono meno bambini disponibili.

Il trend italiano. È utile scorrere la tabella che fornisce il quadro delle adozioni di bambini “italiani” (lo ricordiamo, quelli che vivono in Italia ma possono essere anche figli di genitori stranieri) dal 2001 a oggi. Il trend è di fatto stabile. Si parte con 1.290 adozioni, che scendono a 972 tre anni dopo, per risalire a 1.133 nel 2007. Poi dati simili. Le città che adottano di più sono Roma, Milano, Napoli e Torino.

Gli affidi. Anche qui un trend equilibrato. Dai 930 del 2001, ai 1.006 l’anno seguente, picco nel 2006 con 1.042 affidi, giù a 788 nel 2008, si va oltre i mille nel 2013, per assestarsi a 940 nel 2014.

I bambini adottabili. Distinguiamo tra i figli di genitori noti e quelli di ignoti. Il dato complessivo degli uni e degli altri vede anche in questo caso un andamento simile, siamo sempre intorno al migliaio dal 2001 a oggi. Cifre più alte nel 2007 (1.345), nel 2008 (1.405), nel 2009 (1.320), nel 2012 (1.410) e nel 2013 (1.429). Gli adottabili che non sapranno mai chi erano i genitori “pesano” di meno, 327 nel 2001, 642 nel 2007, 575 nel 2008, fino ai 278 del 2014. Negli anni centrali conta ovviamente l’immigrazione. Gli adottabili con genitori noti sono in crescita lieve, 769 nel 2001, 1.073 nel 2012, 1.103 nel 2013, 1.119 nel 2014. Segno, dicono alla Giustizia, che servizi sociali e scuola funzionano meglio.

Liana Milella              la Repubblica, 3 marzo 2016

www.repubblica.it/politica/2016/03/03/news/adozioni_numeri-134668015

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ADOZIONI INTERNAZIONALI

                                             Moldova: gli enti autorizzati scendono a 14.

Dall’Europa dell’Est arrivano buone notizie per l’adozione internazionale. Ai.Bi è stata riaccreditata fino al 31 gennaio 2017 come ente abilitato a operare in Moldova per l’adozione di bambini orfani o abbandonati da parte di coppie italiane.            Un risultato raggiunto grazie allo storico impegno di Ai.Bi. nel Paese ex sovietico ampiamente riconosciuto dal ministero del Lavoro, della Protezione sociale e della Famiglia di Chisinau. Nonostante, dunque, la crisi che attanaglia da alcuni anni questa forma di accoglienza, non mancano segnali di schiarite all’orizzonte che lasciano sperare un po’ più concretamente del recente passato in una vera rinascita di un istituto come l’adozione internazionale.

Analoga autorizzazione è stata riservata dal ministero moldavo ad altri 13 enti autorizzati di cui 10 italiani, 2 statunitensi, uno svizzero e uno spagnolo. Nel complesso, comunque, viene ridotto da 16 (nel 2015) a 14 il numero di enti autorizzati a operare in Moldova. Questi potranno lavorare nell’ambito di un sistema delle adozioni internazionali riformato dalla nuova legge in materia. Una legge varata a maggio 2010 ed entrata in vigore inizialmente a gennaio 2011. Modificata e integrata a dicembre 2012, la nuove versione della norma è entrata in vigore ad aprile 2013 ed è ora effettivamente operativa.

La legge, varata dopo 3 anni di chiusura delle adozioni internazionali in Moldova, è centrata principalmente attorno a due aspetti. In primo luogo l’istituzione dell’Autorità Centrale che per la Repubblica Moldova è il Ministero del Lavoro, Protezione Sociale e Famiglia, a cui spetta il compito di esaminare il dossier delle coppie straniere. A titolo consultativo, gli abbinamenti sono proposti da un organo composto da rappresentanti del Ministero stesso, del Ministero della Giustizia, della Società Civile, quale Consiglio Consultativo per le Adozioni. Oltre agli abbinamenti, tale Consiglio esamina anche i casi di separazione delle fratrie. In secondo luogo, l’introduzione di un iter procedurale diverso per i bambini “speciali” rispetto agli altri. Mentre questi ultimi non dovranno attendere più di 1 anno per essere adottabili a livello internazionale, i bambini “speciali” potranno seguire una corsia “prioritaria” e quindi essere adottati entro 6 mesi dalla definizione del loro status di adottabili. I gruppi di fratelli, inoltre, non potranno essere separati, tranne che in alcuni casi eccezionali, con l’avviso positivo da parte del Consiglio Consultativo per le Adozioni.

Ai. Bi.   01 marzo 2016           www.aibi.it/ita/category/archivio-news

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

AFFIDAMENTO DEI FIGLI

 

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

 

.

 ▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Spese straordinarie e scolastiche per i figli: dovute anche senza accordo.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 4182, 2 marzo 2016.

Iscrizione alla scuola privata: non c’è bisogno di un accordo preventivo dei coniugi se la spesa corrisponde all’interesse superiore del figlio minore. Mantenimento e rimborso delle spese straordinarie per i figli: la Cassazione scrive una ordinanza che alimenterà le liti, tra coniugi separati, sulla gestione della prole. Questo perché, secondo tale pronuncia, quando la spesa straordinaria è effettuata per l’esclusivo interesse del minore, essa non va previamente concordata tra gli ex, ma l’importo deve essere comunque diviso secondo la propria percentuale stabilita dal giudice. In buona sostanza, non conta tanto il fatto che la spesa sia ordinaria o straordinaria per definire ciò che debba essere previamente concertato tra i coniugi e ciò che, invece, non lo richiede. Al contrario è l’esigenza superiore del minore a fare la differenza.

            Così, chiarisce la Corte, non esiste l’obbligo di concordare preventivamente le spese straordinarie quando esse corrispondono al “maggior interesse” dei figli. Nei casi di mancato accordo tra i due, entrambi i coniugi sono comunque tenuti a versare la loro parte di quota. Nel caso di rifiuto a provvedere al rimborso della quota spettante al coniuge che ha sostenuto l’esborso, il giudice deve verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore. A tal fine dovrà valutare l’entità della spesa rispetto all’utilità che ne deriva ai minori e la sostenibilità della spesa stessa se rapportata alle condizioni economiche dei genitori. In altre parole, nessun dubbio che una scuola privata possa far bene al figlio indietro con gli studi, ma se il costo è superiore alle possibilità economiche di uno dei due coniugi, la spesa non può essere autorizzata.

            Quindi, il genitore che non ha prestato il consenso a tale spesa e si rifiuti di rimborsarla deve specificare al giudice i motivi di tale dissenso, affinché il magistrato possa valutare se vi sia o meno un collegamento tra la spesa e l’interesse del minore o se sia una spesa sostenibile per le condizioni economiche dei genitori e all’utilità dei figli.

Redazione Lpt            3 marzo 2016                         ordinanza

www.laleggepertutti.it/113666_spese-straordinarie-e-scolastiche-per-i-figli-dovute-anche-senza-accordo

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ASSEGNO DIVORZILE

L’assegno di divorzio resta anche con la nuova convivenza

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 4175, 2 marzo 2016

L’obbligo di versamento dell’assegno divorzile viene meno solo se l’interessato dimostra al giudice che l’ex ha ormai una nuova famiglia di fatto dalla quale può trarre risorse economiche. Il coniuge conserva il diritto all’assegno di divorzio anche se convive con il nuovo partner qualora la convivenza non sia stabile e continuativa e non vi sia condivisione di spese. È quanto affermato da una recente ordinanza della Cassazione in linea con l’orientamento interpretativo in materia.

            Affinché cessi l’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile da parte dell’ex non basta il semplice rapporto di convivenza del coniuge beneficiario con un nuovo partner. Occorre che la convivenza sia stabile e continuativa, che i soggetti abbiano un progetto di vita comune e costruiscano dunque una famiglia di fatto in cui vi è condivisione di spese e risorse. Difatti è naturale che chi si rifà una famiglia deve rinunciare al sostentamento da parte dell’ex coniuge, perché può ormai fare affidamento sulle risorse derivanti dalla nuova famiglia di fatto.

            Ciò si spiega con la funzione assistenzialistica dell’assegno divorzile, volto ad evitare che, a causa del divorzio, si deteriorino le condizioni patrimoniali e vitali del coniuge economicamente più debole, almeno fino a quando egli non contragga un nuovo matrimonio o l’obbligato muoia o fallisca.

            La nuova convivenza che abbia i requisiti della famiglia di fatto ha lo stesso valore di un nuovo matrimonio e pertanto scinde completamente ogni nesso assistenzialistico con il precedente rapporto coniugale. Ne deriva la necessità di escludere l’assegno divorzile. Ricade però sul soggetto obbligato la dimostrazione del venir meno delle ragioni dell’assegno divorzile e quindi la prova della nuova convivenza stabile e continuativa dalla quale l’ex può trarre il proprio sostentamento economico.

Mara Monteleone      Lpt      2 marzo 2016             sentenza

www.laleggepertutti.it/113554_lassegno-di-divorzio-resta-anche-con-la-nuova-convivenza

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CASA CONIUGALE

.

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

                                CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA – CISF       

.

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CHIESA CATTOLICA

Amore e sessualità nel cristianesimo “Il matrimonio consensuale è la grande rivoluzione”.

Arnold Angenendt è uno dei più importanti storici della Chiesa tedeschi. È nato nel 1934 a Niederrhein. È prete, vive quindi da celibe – e ha scritto un libro su “Matrimonio, amore e sessualità nel cristianesimo”. Argomento difficile – anche in considerazione del fatto che papa Francesco non ha ancora chiarito se ci saranno cambiamenti nella morale sessuale cattolica.

Arnold Angenendt è stato per quasi 20 anni professore di storia della Chiesa medioevale e moderna alla facoltà teologica cattolica dell’Università di Münster. Aver integrato nella storiografia della Chiesa l’approccio relativo alle mentalità e all’aspetto storico-sociale è il suo grande merito. Angenendt sostiene in questo colloquio che la Chiesa cattolica deve adeguare alla realtà il suo insegnamento sul matrimonio e sulla sessualità. In questo, potrebbe essere utile avere chiaro il fatto che l’immagine del matrimonio è spesso cambiata, anche nelle Chiese. E ritiene che lo stesso valga per il celibato dei preti. Angenendt chiede urgentemente che anche uomini sposati, i cosiddetti “viri probati”, debbano venire ordinati. E non esclude neppure l’ordinazione di donne.

Andreas Main: Il teologo e storico della Chiesa Arnold Angenendt ha più di 80 anni. Ad ogni modo, giorno dopo giorno, va all’università il più spesso possibile, studia, legge e scrive. Ed èancora molto attivo. È apparso recentemente il suo libro “Ehe, Liebe, Sexualität im Christentum” (Matrimonio, amore e sessualità nel cristianesimo). In circa 300 pagine attraversa la vita amorosa di noi esseri umani dall’antichità fino all’alto Medioevo e al secolo della pruderie – Capitolo 11 – fino al capitolo 14 – con la rivoluzione sessuale. Il suo libro è stato definito da un recensore “Un capolavoro di antropologia storica”.

 

Buon giorno e grazie di aver trovato il tempo di venire da noi, professor Angenendt.

Angenendt: Mi fa piacere essere qui.

Main: Professor Angenendt, qual è stata la molla che l’ha spinta a scrivere questo libro?

Angenendt: Con questo libro mi si è chiarita una cosa di cui prima non era pienamente consapevole, e cioè che per centinaia di migliaia di anni la donna ha dovuto mettersi sotto la protezione dell’uomo. Essendo fisicamente più debole, dipende dalla protezione di qualcuno. Questo ha impedito che le donne potessero avere un ruolo totalmente indipendente. A questo bisogna aggiungere un’altra cosa. La mortalità da parto, la mortalità delle donne incinte, era alta, la mortalità infantile era altrettanto alta. Le donne di conseguenza venivano fatte sposare molto presto, appena raggiungevano la maturità sessuale. Un esempio di questo è la madre di Dürer. A 15 anni era già sposata, ha messo al mondo 18 figli, di cui solo tre sono sopravvissuti alla madre. Quindi ha corrisposto esattamente a quello che per le donne era stato per centinaia di migliaia di anni – dobbiamo averlo chiaro – lo schema determinante: su cinque figli, quattro morivano e uno solo sopravviveva. Solo la medicina moderna ha superato la mortalità da parto e infantile, e ha quindi creato una situazione completamente nuova per le donne.

Main: Quindi, come teologo, come storico della Chiesa, Lei nel suo approccio guarda prima agli sviluppi demografici e medici e solo in un secondo momento guarda ai concetti teologici e poi li mette in relazione.

Angenendt: Proprio così.

Main: Una cosa si estende in tutto il suo libro: la tesi che ciò che noi definiamo amore romantico, amore tra partner, dal punto di vista storico è qualcosa che arriva in epoche successive. In base a che cosa arriva a questa conclusione?

Angenendt: L’amore romantico nasce attorno al 1800. Jean Jacques Rousseau è il primo a farne cenno. Descrive l’amore tra i due sessi come sensibile, ma distingue poi uomo e donna. L’amore romantico è: uno sguardo! Colpito per sempre! L’amore al primo sguardo! E: l’esserne definiti. Sapere: noi due per sempre! Ma questo porta anche al grande fallimento. Il sociologo Beck ha detto che questo tipo di amore promette il paradiso in terra, ma il paradiso in terra non può essere creato da noi. Questo è al contempo il motivo del fallimento di molti matrimoni oggi. E per questo anche la domanda alla Chiesa cattolica: non c’è una possibilità di rendere possibile un secondo matrimonio?

Main: Si batterebbe per questa causa?

Angenendt: Anche solo guardando alla propria cerchia familiare, bisogna dire che questi casi ci sono, e ho anche consigliato di risposarsi.

Main: Non dovremmo proiettare sul passato le nostre concezioni di amore, matrimonio, sessualità. Mi sembra che questa sia la tesi centrale di questo libro. Se noi però lo facciamo, qual è la conseguenza?

Angenendt: Se però lo facciamo, condanniamo tutte le altre culture precedenti che procedevano diversamente e dovevano procedere diversamente.

Main: Lei scrive, anche tenendo conto del più recente passato, che la pillola opera la rivoluzione fondamentale. Ciò che prima era considerato impensabile – un rapporto sessuale senza conseguenze fisiche – da allora è possibile, apparentemente possibile. Retrospettivamente cresce poi anche l’indignazione contro le restrizioni della morale sessuale cristiana, o meglio cattolica. L’indignazione, dal suo punto di vista, è evidentemente ingiusta. Perché?

Angenendt: È ingiusta perché questa pruderie innanzitutto era utile alla donna. Perché fino a che una donna non era sposata, correva il pericolo di essere abbandonata. E nel rapporto tra i due sessi, è la donna quella assolutamente svantaggiata. Deve ammetterlo: la maggior parte dei bambini che partorisce muoiono già da piccoli, ad ogni modo prima di diventare adulti. Quindi le donne hanno sofferto per il trauma della nascita, che avveniva tra urla, e il travaglio poteva durare giorni. Si può solo dire che le donne nella nascita, nella sessualità, sono svantaggiate dalla natura. E solo la medicina moderna ha cambiato questa situazione. Come teologo lo devo dire drasticamente: non la grazia di Dio, ma la medicina moderna ha creato una nuova situazione per le donne. E da quando c’è la pillola e il progresso medico ha permesso nel complesso la diminuzione della morte per parto e della mortalità infantile, non è più necessario partorire così tanti bambini.

Main: Ma, con questo, Lei continua ad essere contrario all’insegnamento attuale della Chiesa.

Angenendt: La dottrina della Chiesa innanzitutto interessa meno a chi si interessa di fatti storici. Io penso che sia la pillola ad aver creato una situazione completamente nuova per la donna. Non c’è più bisogno di partorire 18 figli per farne sopravvivere tre. E questa situazione è completamente nuova e costituisce assolutamente una chance per le donne di poter diventare vere partner nel matrimonio e offre alla donna anche la possibilità di giocare un ruolo proprio.

Main: Consideriamo ora in modo più specifico la situazione nel Medio Evo. Negli ambienti di corte dei secoli passati l’amore poteva vincere molto raramente, allora la donna era un mezzo per realizzare una politica di potere dinastico. Con quali conseguenze?

Angenendt: Con notevoli conseguenze. Porto l’esempio dei merovingi e dei carolingi. Forse ci ricordiamo le lezioni di storia. Un re merovingio si sposava a 15 anni, la moglie aveva 13-14 anni. Questo significa che dei bambini procreavano bambini. Dei bambini facevano perfino la guerra. Questi giovani re facevano la guerra. Dei re merovingi dopo il 615 uno solo ha raggiunto un’età superiore ai 40 anni. (…) La grande rivoluzione nel cristianesimo è il matrimonio consensuale. Uomo e donna devono essere d’accordo per concludere il matrimonio. Quindi, l’invenzione del matrimonio consensuale è filosofica, deriva dalla filosofia antica. Aristotele può dire: nell’amore si deve amare la persona, non il veloce atto sessuale. Devi amare la persona. Ma dato che ci si sposava molto presto, Aristotele dice: l’uomo rimane capo della donna. Lui sposa una quindicenne. Normalmente, l’uomo aveva dieci anni di più perché doveva essere abile al lavoro e avere diritti politici. Quindi doveva educare la sua giovane moglie. Ma parte dal consenso: l’uomo deve amare sua moglie, ed è necessario l’accordo della giovane donna.

Main: E questa idea del consenso era andata perduta ed è stata fatta rinascere nell’alto Medioevo?

Angenendt: No, la cosa va diversamente.

Main: Come?

Angenendt: Il cristianesimo adotta subito il matrimonio consensuale – dall’inizio. Ma con il crollo della civiltà occidentale nel periodo delle invasioni barbariche compare un modello matrimoniale completamente nuovo – cioè quello in cui viene sposata la giovane moglie. Solo nel XII secolo l’Europa si rigenera, aumenta la popolazione, rinascono le università. E a quel punto l’idea del matrimonio consensuale torna in vigore. E questa idea ha cambiato totalmente il matrimonio. Inizialmente rimaneva la necessità di sposarsi molto giovani. Ma il cristianesimo ha poi cercato… è successo spesso in una linea anti-sessuale il fatto di alzare l’età per le nozze, affinché la donna fosse sentita più come partner che come oggetto sessuale. Nel XV secolo sono stati fatti migliaia di processi relativi a matrimoni perché gli uomini promettevano alle donne il matrimonio, ma senza testimoni, e poi non mantenevano la promessa. Ed è il matrimonio consensuale la grandissima rivoluzione, perché comporta il rapporto paritario nel matrimonio.

Main: Questo significa che la nostra immagine di matrimonio e di donna, quella che abbiamo oggi nel XXI secolo, ha il suo fondamento nell’alto Medioevo cristianamente caratterizzato.

Angenendt: Sì, possiamo dire così. A proposito del matrimonio consensuale bisogna dire che la Riforma adotta questo matrimonio consensuale, ma pretende, affinché l’uomo non possa filarsela, che il contratto avvengo davanti a testimoni. Questo è l’approccio di Lutero. Il Concilio di Trento lo segue. Ma ora nasce un nuovo problema. Con il cambiamento della situazione grazie al miglioramento del progresso medico, nasce il problema del rapporto sessuale prima del matrimonio. Nel XVIII secolo l’età media delle nozze è di 24 anni per la donna e di 26 per l’uomo. Ma entrambi raggiungono la maturità sessuale a 15 anni. Come superare il periodo tra la maturità sessuale e la maturità umana? Questo diventa il grosso problema, e ne nasce il secolo della pruderie: non si può mettere incinta una donna senza averla sposata!

Main: Lei è ben lontano dal sottolineare solo il contributo positivo del cristianesimo alla storia del matrimonio. Lei affronta il fatto che teologi e uomini di chiesa hanno caricato pesi enormi sulle ersone in quanto esseri sessuati. Dal punto di vista storico, a suo avviso, che cosa è particolarmente problematico?

Angenendt: Problematica è la condanna del piacere. Nel cristianesimo questa tendenza è notevole. Dipende da Agostino. Agostino ha introdotto nel mondo un’idea veramente inedita – e cioè dice: nel paradiso l’uomo e la donna erano sullo stesso piano, entrambi partecipavano alla gioia sessuale. Ma il paradiso è finito in fretta, i figli di Adamo ed Eva sono nati al di fuori del paradiso. Da questo Agostino trae più tardi l’idea – salmo 50: “nel peccato sei stato generato” – del peccato originale, per cui il danno viene trasmesso con l’atto sessuale. Questo ha naturalmente demonizzato il piacere sessuale per secoli. Ma nell’alto Medioevo – ad esempio Abelardo può dire: “Il piacere sessuale! Non si prova forse piacere nel mangiare buoni cibi? Non si ha forse piacere nel bere un buon vino? Non provi forse piacere quando vedi una bella donna?! Allora il piacere sessuale non può essere nulla di sbagliato, è un dono della creazione!” E a partire da qui si riattiva l’approvazione per il piacere sessuale. E, ad esempio, un poeta come Goffredo di Strasburgo, è il primo in cui si riscontrerà qualcosa come l’amore romantico. Entrambi con gli stessi diritti nell’amore. E per sempre e assolutamente indivisibili!

Main: Se penso alle sue lezioni e seminari negli anni 80 e se leggo il suo libro oggi, devo dire che lei è assolutamente ottimista, che lei è sicuro che l’essere umano può imparare dalla storia. Adattando questo alla Chiesa, quindi, anche la teologia e il magistero ecclesiastico devono e possono cambiare. Su quali punti la dottrina sessuale cattolica dovrebbe cambiare se tiene conto della storia?

Angenendt: Adesso dico qualcosa di assolutamente non ortodosso. Perché, dopo l’invenzione della pillola e di fronte agli alti numeri di divorzi – grazie all’amore romantico – perché non ridiamo vita al periodo di fidanzamento? Almeno per il 90% dei giovani l’amore romantico è l’ideale. Perché non rimettiamo in auge il periodo di fidanzamento e diciamo loro di vivere insieme per vedere se stanno bene insieme!? (…)

Main: Quali sono gli altri punti per i quali ritiene necessaria una riforma nell’insegnamento sessuale

cattolico?

Angenendt: Il problema dei divorziati risposati deve avere una soluzione. Gesù proibisce il divorzio – tanto per l’uomo che per la donna. Questo era qualcosa a favore della donna. Secondo la legge di allora, una donna poteva essere abbandonata anche solo perché aveva lasciato bruciare il cibo o perché non governava bene la casa. Erano motivi che potevano essere addotti per il divorzio. In questo senso, il divieto di divorzio è a favore della donna. Ma cosa succede adesso se un matrimonio fallisce? Ed oggi falliscono per il 30-40%. Bisogna trovare una soluzione. Io ho trovato un documento cristiano di divorzio che risale al periodo merovingio: “Il nostro matrimonio è fallito, ci separiamo, con la possibilità di risposarci, o di entrare in convento”.

Main: Nel recente sinodo c’è stato il dibattito sui divorziati risposati. La Chiesa universale ha cercato per due settimane di mettersi d’accordo in maniera sinodale su questo fenomeno. Ora il papa si esprimerà con una sua posizione. Che cosa si aspetta e che cosa spera dalla presa di posizione del papa su questi temi?

Angenendt: Penso che dopo gli sviluppi storici che abbiamo vissuto non possiamo più tornare indietro rispetto al matrimonio romantico. Dobbiamo cercare di venire a capo delle difficoltà che questo matrimonio romantico porta con sé. Penso ad un famoso giornalista di “Die Zeit” che ha detto di sé: “Alla terza volta ha funzionato così bene che posso dire che è davvero un matrimonio felice”. Dobbiamo veramente superare questo problema. Non possiamo lasciare a se stesse le persone che hanno fallito una volta col matrimonio. Questa è la mia esortazione. Non sono un teologo pastorale per poter dare indicazioni più precise in merito, ma la penso così.

Main: Da dove trae il suo ottimismo, per cui la teologia e il magistero ecclesiastico possono imparare dalla storia anche riguardo a matrimonio, amore e sessualità?

Angenendt: Traggo questa speranza dal fatto che il matrimonio consensuale è una unicità cristiana. Non è stata inventata nel cristianesimo, ma il cristianesimo l’ha imposta. Ho lavorato una volta per un anno in un istituto nel Nordamerica. Un giorno avevo accanto a me una giapponese, che mi disse di essere stata diseredata dalla sua famiglia. Allora con delicatezza ho cercato di saperne i motivi. Mi ha detto di essere stata per un anno in un college negli USA e di essersi innamorata. Quando è tornata in Giappone, ha scoperto che i suoi genitori avevano scelto lo sposo per lei. Al che lei se ne è andata per sempre, e per questo è stata diseredata. Benché nella costituzione giapponese del 1946 ci sia scritto che il matrimonio deve essere libero, ancor oggi almeno un terzo dei matrimoni giapponesi sono matrimoni combinati. Oggi in India, la metà delle ragazze di 15 anni sono sposate con matrimoni combinati. Non possono fare dei matrimoni consensuali, vengono fatte sposare. E le conseguenze ce le possiamo immaginare.

Main: Matrimonio, amore, sessualità – tutto è mutevole. Anche nella Chiesa cattolica. Lo si vede chiaramente leggendo il suo libro. E questo vale anche per il celibato e per l’ideale di castità. Parliamo del celibato. Il celibato per i preti si è imposto nell’alto Medioevo. Oggi nelle comunità cristiane viene messo in discussione anche dai più fedeli dei fedeli. Che cosa può dire uno storico della Chiesa in questo dibattito?

Angenendt: Può dire molto.

Main: E cioè?

Angenendt: Gesù ha superato la cosiddetta purezza legata al culto. Purezza legata al culto significa questo: si è impuri, e quindi non adatti al culto, se si assumono determinati cibi o se si viene in contatto con cose di tipo sessuale, come seme maschile o sangue di mestruazioni femminili. Questo, Gesù lo ha messo da parte. Gesù si lascia baciare i piedi da una prostituta. L’impurità rispetto alculto torna nell’alto Medioevo, è un regresso al Vecchio Testamento. E quindi non è un obbligo del cristianesimo. Sono a favore del cercare una nuova soluzione.

Main: In quale direzione?

Angenendt: Bisogna essere prudenti. La mia idea è questa: abbiamo teologi formati più che a sufficienza, li chiamiamo “viri probati”. Sono persone che hanno mostrato una buona condotta di vita e che non hanno fallito neanche nel matrimonio. E sarebbe urgente far ricorso a loro, se osservo che cosa succede nella situazione attuale dei curatori d’anime, con le messe raffazzonate e con i preti stranieri. Non è un verdetto contro questi preti – ma per risolvere il nostro problema dobbiamo cominciare subito ad ammettere all’ordinazione presbiterale i Viri Probati.

Main: Significherebbe avere dei referenti pastorali che hanno fatto uno studio teologico, che sono sposati.

Angenendt: Sì, oppure insegnanti di religione.

Main: O anche ex preti sposati. Cioè preti che si sono sposati e che non hanno più l’incarico.

Angenendt: Sì, si dovrebbe riflettere anche su questo.

Main: Questo però non significa che lei possa togliere qualcosa al celibato. Al contrario. È specifico forse delle comunità di monaci, delle congregazioni, che con questo furono anche rafforzate avendo una caratteristica loro propria?

Angenendt: Sì, la grande eccezione nel cristianesimo è Paolo con la sua preferenza per il celibato. Gesù ha vissuto da celibe, per quanto ne sappiamo. Paolo ha vissuto da celibe. E questa è diventata una grande opportunità per le donne: tutta la cultura della prima metà del Medioevo è conventuale – i manoscritti, le opere d’arte, gli edifici d’arte. Ho trovato ancora fonti del tardo Medioevo in cui una giovane donna dice: è meglio andare in convento piuttosto che rischiare la vita nel parto. Il convento ha ripercussioni culturali infinitamente grandi.

Main: Ora Lei, che ha 81 anni e non ha più nulla da perdere, si spinge a chiedere l’ordinazione presbiterale per le donne, o no?

Angenendt: La mia teoria è questa: sono stato un anno in Canada e ogni domenica sono andato in una diversa denominazione cristiana. E per la prima volta nella mia vita ho sentito predicare delle donne. E su questo devo dire: è un altro tono. Nel cristianesimo uomo e donna sono entrambi creati a immagine di Dio. Questa è la grande eccezione dal punto di vista storico religioso. E se si prende la diaconessa Febe, vediamo che nella traduzione unificata non viene definita “diaconessa” ma “serva”, mentre quando viene nominato un diacono maschio, viene mantenuta la parola diacono, che diventa la sua qualifica. Secondo il mio parere, alla lunga non si può impedire che le donne facciano valere la loro originaria uguaglianza di diritti e chiedano di essere ammesse.

Main: Ammesse al diaconato, non al presbiterato?

Angenendt: Come minimo al diaconato. Ma non escluderei mai il presbiterato.

Colloquio con Arnold Angenendt di Andreas Main www.deutschlandfunk.de22 febbraio 2016

traduzione: www.finesettimana.org

www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=numaut8069

Il sogno di una chiesa diversa.

Umiltà, povertà, spirito evangelico. I richiami di Francesco in questo senso sono continui. E li rivolge prevalentemente ai chierici, spesso ai vescovi. Se lo fa, vuol dire che la Chiesa, specie nei suoi vertici gerarchici, è malata. Malata di superbia, sfarzo, ricchezza, mancanza di spirito evangelico. Ma siamo sicuri che i richiami bastino?

Don Vinicio Albanesi, nel libro Il sogno di una Chiesa diversa. Un canonista di periferia scrive al Papa (Áncora, 112 pagine, 14 euro), sostiene che l’umiltà e la povertà, anche quando vengono applicate e realizzate, non bastano più. Occorre la riforma del sistema. Non solo le persone devono ispirarsi al Vangelo, ma anche l’organizzazione. L’appello a un comportamento evangelico non può avvenire continuamente in opposizione alla struttura. Occorre rivedere in senso evangelico lo schema strutturale dell’organizzazione della Chiesa.

Don Vinicio, responsabile della Comunità di Capodarco, che conta quattordici comunità residenziali sparse in dieci regioni, parla da prete di strada, abituato al confronto duro con la realtà. Ma parla anche da canonista (è docente di diritto canonico e vicario giudiziale del Tribunale ecclesiastico delle Marche): una doppia prospettiva che gli consente di dare giudizi accorati ma mai generici. Prendiamo il problema del distacco tra apparato ecclesiastico e fede delle persone. I due mondi, denuncia don Vinicio, sono distanti. L’apparato è lontano, estraneo, diffidente, se non oppositivo, rispetto a quanto le persone vivono ogni giorno. Ma, anche qui, i richiami alla buona volontà dei singoli non sono sufficienti. Il problema va affrontato mettendo mano alla struttura. Il diritto della Chiesa trasuda di clericalismo, maschilismo e autoritarismo. I contenuti della legge ecclesiastica sembrano preoccuparsi solo della vita del clero. I laici sono presi in considerazione in modo marginale e quasi come sudditi.

Nel Codice di diritto canonico c’è un’attenzione ossessiva alla questione della potestà: chi comanda e come. Di qui l’autoritarismo. Il papa Francesco fa sentire la sua voce contro carrierismo e arrivismo, e fa bene. Ma il problema è strutturale. E accanto all’autoritarismo c’è il burocraticismo. L’attenzione è tutta per la norma, non per la persona. La coscienza non è coinvolta. Lo spirito evangelico sembra una cosa estranea.

La comunione non ha luoghi in cui esprimersi, e così la collegialità episcopale. Lo schema è autoritario e gerarchico. E chi pone il problema viene guardato come pericoloso contestatore che pretende di portare la democrazia nella Chiesa. La Chiesa, si risponde, non è realtà politica! E così si chiude ogni possibilità di discussione. La verità, sostiene don Vinicio, è che il sistema, così com’è, è fatto per garantire l’uniformità, non la libertà e l’unità.

E vogliamo parlare della commistione tra sacro e profano? Le domande di don Vinicio sono pressanti. Perché il papa deve essere capo di Stato? Che cosa c’entra il ruolo politico con il Vangelo? Perché la Santa Sede deve avere ambasciatori, i nunzi, come uno Stato? Perché la Chiesa cattolica deve stipulare concordati con il potere politico, entrando in una logica di do ut des che inevitabilmente la lega ai potentati? Si dice che questi meccanismi garantiscono la libertà. Ne siamo certi? Non garantiscono forse qualcosa d’altro: entrate economiche, privilegi, compromessi?

Tutto da rivedere anche il quadro per ciò che concerne la gestione di denaro e ricchezze. La storia ci dice che gli appelli all’onestà e alla trasparenza, per quanto nobili, sono ininfluenti. Il problema, ancora una volta, sta nelle strutture. Solo la riduzione drastica delle funzioni civili (pensiamo alle nunziature) ed ecclesiali (le varie curie) può permettere una riduzione dei costi e un allontanamento reale della Chiesa dalla ricchezza e dalle tentazioni. Non si possono condannare, giustamente, le speculazioni finanziarie e nello stesso tempo mantenere un sistema che ne ha bisogno per alimentare se stesso.

Quale Chiesa vogliamo? Questa è la vera domanda. Secondo don Vinicio, già autore di un altro libro istruttivo e coraggioso come I tre mali della Chiesa in Italia, oggi, a ogni livello, la Chiesa appare ed è un apparato che ha molto a che fare con le norme, con le leggi, e poco o nulla con lo Spirito. Abbiamo una visione di Chiesa distorta. Diciamo Chiesa e pensiamo a una piramide, a un sistema gerarchico, dominato dall’ossessione della potestà: la Chiesa come struttura che gestisce e amministra il potere. E il Vangelo dov’è?

Bisogna avere il coraggio di introdurre la riflessione sulla natura della Chiesa. Se lo si fa, ci si accorge che gran parte delle strutture non hanno nulla a che fare con Gesù e il suo Vangelo. Sono realizzazioni umane, incrostazioni storiche, meccanismi mutuati dalla società civile e politica. In quanto società umana la Chiesa ha certamente bisogno anche di regole. Ma oggi la regola prevale sullo Spirito e sembra allontanare la persona e le comunità da Dio. Le regole nella Chiesa hanno senso solo se favoriscono l’incontro con Dio. C’è bisogno di un grande lavoro di semplificazione, e c’è bisogno di mettere al primo posto non lo strumento (la norma), ma il fine (l’avvicinamento a Dio).

Il modello di Chiesa andrebbe ripensato completamente. Da gerarchico, normativo e chiuso dovrebbe diventare spirituale, leggero, aperto. Senza questo ripensamento anche le più nobili esortazioni di un papa come Francesco sono destinate a incidere solo superficialmente. Una Chiesa ossessionata dalla questione della potestà e delle funzioni è una Chiesa debole, che in fondo ha paura. E’ la paura che la spinge a dotarsi di questa struttura pesante e clericale. Da dovei può venire il cambiamento? Non dai soli appelli, ma da un ripensamento profondo dell’idea di Chiesa. E dall’apertura ai laici. Oggi il laico è guardato in fondo con sospetto dalla struttura clericale. Bene che vada, lo si considera uno strumento utile per svolgere alcune funzioni di servizio. E’ un collaboratore, un subordinato. Non è una risorsa, non lo è pienamente. Anche del laico, in fondo, si ha paura. Ci si fida solo dei laici clericalizzati. Non si capisce che una maggiore presenza dei laici, e un loro maggiore coinvolgimento, garantirebbe al chierico, a tutti i livelli, di limitare il rischio della chiusura e del clericalismo. E’ il laico che apre al mondo. E’ il laico che porta il mondo nella Chiesa, che mette a confronto i mondi, che permette di fare i conti con la realtà.

La questione del ruolo dei laici porta con sé quella del sacerdozio comune. Nonostante il Concilio Vaticano II, oggi pensiamo alla Chiesa come gerarchia (la piramide) e non come comunità di battezzati uguali. Ha voglia il papa Francesco di ricordare che nella Chiesa non ci sono differenze! In realtà tutta l’organizzazione privilegia la differenza a scapito dell’uguaglianza. Abbiamo una radicata visione di Chiesa che ignora totalmente il fatto che ogni battezzato, in quanto tale, partecipa alla triplice funzione di insegnare, santificare e governare.

In conclusione, Il sogno di una Chiesa diversa è una lettura altamente consigliabile.

Aldo Maria Valli        3 marzo 2016 www.aldomariavalli.it/2016/03/03/il-sogno-di-una-chiesa-diversa

Don Vinicio Albanesi è stato relatore al 17° Congresso dell’UCIPEM a Senigallia nel 2001 “Fare ed essere famiglia e il consultorio familiare” con la relazione ” Leggere la famiglia attraverso il diritto canonico.

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬ ▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CHIESE EVANGELICHE

.

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

                                           CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Rieti. Letture ad alta voce per bambini al Consultorio.

Proseguono l’11 e il 18 marzo presso il Consultorio Familiare Sabino Onlus dalle ore 16.45-17.45 le sessioni di lettura ad alta voce per bambini dai 3 agli 8 anni organizzate in adesione a quella visione che si fonda sul principio che ogni bambino ha diritto ad essere protetto, non solo dalla malattia e dalla violenza, ma anche dalla mancanza di adeguate occasioni di sviluppo affettivo e cognitivo.

In sintonia con lo stile consultoriale le sessioni di lettura ad alta voce partono dalla consapevolezza che “persona” non si nasce ma si diventa progressivamente lungo un percorso che dura tutta la vita. Il giovane adolescente e l’adulto di domani è il piccolo bambino di oggi.

Per un bambino ascoltare una fiaba è fondamentale perché in essa il bimbo proietta le proprie paure, ansie, a volte inaccettabili nella realtà. Attraverso la favola viene rappresentato il sentire interiore, la sua paura di essere abbandonato, la paura di perdere l’amore dei genitori, della famiglia, etc. Nel racconto fantastico la logica del pensiero razionale ai intreccia con la fantasia e i confini tra reale e non si assottigliano. Il bambino viene aiutato a comprendere e trovare un senso al suo mondo: i diversi personaggi e le storie divengono lo specchio di tanti conflitti interiori che qui si rielaborano e nello stesso tempo offrono soluzioni per risolverli.

Molti ci sono cresciuti, ascoltandole la sera raccontate dalla mamma – ad alta voce – prima di andare a letto. Quando non c’era internet né gli smatphone. Quando la tv aveva un canale solo e si andava a letto rigorosamente “dopo Carosello”, unico strappo alla regola consentito ai piccoli in famiglia, di sera. Ma forse pochi di coloro che hanno goduto di un tale privilegio sanno quanto tale pratica, che ha origine dall’usanza antichissima di tramandare – di generazione in generazione – fatti, storie ed avvenimenti, abbia un riscontro positivo ed a volte fondamentale nello sviluppo della personalità di un bambino. Ed è quello che vuole riscoprire il Consultorio Familiare Sabino Onlus, presso il quale hanno avuto inizio lo scorso 26 febbraio le sessioni di lettura ad alta voce per bambini dai 3 agli 8 anni.

            Tra gli obiettivi statutari del Consultorio primeggia, ovviamente, il sostegno e la tutela della famiglia: i bambini, che di essa sono fulcro e linfa vitale, costituiscono una priorità assoluta per la onlus presieduta da Silvia Vari. Non solo, dunque, azioni a tutela dell’infanzia in forza del principio che ogni bambino ha diritto ad essere protetto dai soprusi e dalla violenza e curato ed accudito nel disagio e nella malattia: ad esso, difatti, è necessario garantire occasioni ed opportunità che consentano un adeguato sviluppo affettivo e cognitivo.

            Ed è qui che entra in gioco la “lettura ad alta voce” visto che le ricerche scientifiche comprovano quanto è palesemente visibile in un bimbo a cui si racconta una storia: e cioè che il leggere ad alta voce, con una certa continuità, ha una positiva influenza sul suo sviluppo relazionale e cognitivo. Il bimbo diviene protagonista attivo della storia, a differenza di quanto accade nelle stimolazioni visive, oggi assolutamente prevalenti nella vita dei piccoli, ove questi ricevono passivamente imput quasi “imposti” e già confezionati. Ascoltando una favola il bambino fantastica, si immedesima ed impara. Il suo apprendimento è stimolato e cresce in lui l’autonomia e la capacità nel gestire emotività e sentimenti.

            La lettura ad alta voce sdrammatizza paure e tensioni, risponde a tanti suoi perché, soddisfa il suo bisogno di essere capito. Una fiaba calma, rassicura, consola. È così che la lettura ad alta voce diviene un vero e proprio atto d’amore, tanto più gratuito quanto più prezioso per un bimbo che cresce. Aiuto, sostegno e comprensione nella gratuità e come atto d’amore: si rinnova anche in questa iniziativa l’obiettivo fondamentale del nuovo corso del Consultorio, oramai prossimo a compiere un anno di cammino. Un anno denso di novità ed iniziative tutte, nessuna esclusa, rivolte all’aiuto ed al sostegno di chi ha bisogno.

www.frontierarieti.com/wordpress/proseguono-le-letture-ad-alta-voce-per-bambini-al-consultorio

www.consultoriosabino.org

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CONTRACCEZIONE

“Humanae vitae” e “Dignitatis Humanae”: la sintesi di Francesco.

Nella sua utile sintesi, che ho letto su l’Indice del Sinodo

www.lindicedelsinodo.it/2016/02/il-virus-zika-e-la-pillola-congolese.html#more

Andrea Tornielli ha fatto il punto sulla questione “contraccezione”, dopo le parole di Francesco sul tema pronunciate nella intervista “ad alta quota” al ritorno dal Messico. Mi pare, tuttavia, che la preoccupazione di Tornielli, del tutto comprensibile, di rassicurare sulla continuità tra le parole di Francesco e quelle della tradizione cattolica dal 1961 in poi, ivi comprese anche quella di Benedetto XVI, non riesca a tener conto di alcuni elementi di obiettiva novità, che tuttavia permettono oggi di cogliere meglio la questione e di assicurare alla prospettiva ecclesiale un orizzonte di maggior respiro. In altri termini, vorrei dire che la ricostruzione di Tornielli, pur nella sua indiscutibile utilità, ha inevitabilmente “il fiato corto”, perché inizia solo dal 1961, mentre per capire bene la posizione cattolica in materia di “anticoncezionali” bisogna iniziare almeno dal 1880! Altrimenti ci si chiude in una prospettiva soltanto “bioetica”, cosa che non sempre è opportuna. La bioetica, infatti, non sempre riesce a cogliere gli orizzonti più ampi e più complessi in cui le tematiche “circa la vita” si istituiscono e si articolano. Ma andiamo per ordine

1. La prospettiva “secolare” della questione- Se è evidente che la “questione anticoncezionale” ha acquisito maggiore rilievo da quando esiste la “pillola anticoncezionale” – ossia un farmaco chimico e non solo “meccanico” – e quindi dai primi anni ’60 del XX secolo, altrettanto evidente è che la questione sia stata affrontata dalla “dottrina cattolica” già prima, e assunta ufficialmente dal magistero con Casti connubii di Pio XI, nel 1930, in seguito alla “approvazione” in determinate circostanze degli anticoncezionali meccanici da parte della confessione anglicana. La posizione del 1930, espressa da Pio XI nella citata enciclica, risponde ad una “evoluzione dottrinale e disciplinare” da parte dei cristiani anglicani. Ma prima ancora, nel 1880, in Arcanum divinae sapientiae, di Leone XIII, troviamo affermata, a chiare lettere, la “esclusiva competenza ecclesiale” in materia di matrimonio, contro le “pretese” dello stato moderno. Dobbiamo dunque riconoscere che la questione della maternità/paternità responsabile si inserisce nel più ampio quadro di una “reazione ecclesiale” al configurarsi di un mondo strutturato sulla “libertà del soggetto” e rispetto al quale la Chiesa, certamente dal 1870 al 1965, tende ad assumere come evidente il seguente ragionamento: ogni maggiore riconoscimento della libertà dell’uomo/donna sottrae a Dio autorità e “potere”. Questo ragionamento, tuttavia, facilmente si traduce nella “lotta” tra Stato e Chiesa, tra “soggetto moderno disobbediente alla Chiesa” e “fedele cattolico obbediente alla Chiesa”. In qualche modo, il tema del matrimonio, della famiglia, della generazione diventa “il” terreno su cui la Chiesa cerca di conservare una autorità e un potere temporale.

2. Il condizionamento della “lotta contro la libertà” e la faticosa acquisizione della “libertà del soggetto”. Non è un caso che le “eccezioni” – ricordate opportunamente da Tornielli – siano tutte maturate in contesti “non familiari”: le suore fatte oggetto di possibile violenza sessuale applicano semplicemente il “caso bioetico”, o il caso etico, non la logica di una “paternità responsabile”. Lo spazio delle “eccezioni”, pur facendo il servizio di creare il “precedente”, non intacca il “potere ecclesiale” sulla materia e, anzi, ne giustifica ancora meglio l’esercizio. Per questo io trovo particolarmente rischioso parlare di “dottrina tradizionale della Chiesa in materia di anticoncezionali” come un orizzonte “dato”, perché con tale espressione si giustifica un rapporto conflittuale tra dottrina ecclesiale e mondo moderno che non è affatto scontato. Qui occorre, piuttosto, guardare con lungimiranza a che cosa è in gioco, in tale questione. Ossia, da un lato, il superamento della “autoreferenzialità ecclesiale”; dall’altro la conseguente esigenza di una più accurata comprensione della integrazione tra libertà responsabile dei soggetti e custodia ecclesiale del mistero della vita. Che il giudizio sui singoli “metodi” di paternità/maternità responsabile sia “sottratto” alla coscienza libera e formata dei soggetti appare, oggi, in stridente contrasto con la acquisizione della libertà di coscienza che Dignitatis Humanae ha registrato, una volta per tutta, nella storia della chiesa moderna. Da quel documento in poi ogni tema “morale” deve fare i conti con la coscienza di ogni singolo, senza cortocircuiti o scorciatoie.

3. La svolta prima del Concilio e oggi di Francesco. Non vorrei quindi che si perdesse l’occasione di queste risposte di Francesco, per rassicurar e anzitutto su una lettura “premoderna” del rapporto tra Magistero e libertà dei soggetti. Questa, infatti, mi sembra la logica che risulta dalla analisi di Tornielli, che, senza negare la pertinenza delle affermazioni di Francesco, tende a chiuderle nel quadro vecchio e superato di una “tolleranza ecclesiale” per la libertà del soggetto solo “in stato di necessità”. Questa è la lettura vecchia, che già le commissioni di Giovanni XXIII e di Paolo VI avevano riconosciuto come superata. Anche nel mondo antico e medievale questa sarebbe stata la logica “eccezionale”, del tutto giustificabile. La questione, invece, per il mondo tardo moderno deve essere formulata diversamente. Ossia, in quale misura possa far parte dell’esercizio ordinario della responsabilità di uomini e donne battezzati il ricorso ai diversi “metodi” per mediare il rapporto con la generazione? Humanae Vitae, pur essendo un documento del 1968, argomenta con gli strumenti teorici del 1930 e del 1880, quasi non accorgendosi che 3 anni prima, nel 1965, con Dignitatis Humanae, la Chiesa era uscita dal lungo tunnel in cui in parte era stata chiusa – e in parte si era chiusa – rifiutando la “libertà di coscienza” come ricchezza evangelica del mondo tardo moderno. Francesco, dopo 50 anni da allora, ci accompagna, pastoralmente, a prendere atto di questa novità. Che non indica semplicemente una “nuova disciplina” dei “metodi di controllo delle nascite”, ma anzitutto un diverso rapporto tra autorità della grazia e libertà della esperienza. Su questo punto, io credo, dobbiamo riconoscere non solo una continuità, ma anche una significativa discontinuità. Cosa che ci mette in crisi, certo, ma che ci fa crescere. E nella quale, con tutta la prudenza e la determinazione del caso, molto è in gioco: ma anzitutto corriamo tutti il rischio di comprendere il Vangelo molto meglio di quanto non facessimo fino ad ora.

Andrea Grillo       “Come se non”    22 febbraio 2016

www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non

www.cittadellaeditrice.com/munera/humanae-vitae-e-dignitatis-humanae-la-sintesi-di-francesco

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

DALLA NAVATA

4° Domenica di Quaresima – anno C –6 marzo 201

Giosuè                        05,10 «Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico.»

Salmo                         34, 02 «Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode.»

2 Corinzi        05, 20 «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.»

Luca               15, 02 «I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro.»

            Commento al Vangelo di Enzo Bianchi, priore a Bose.

 (…).    Eccoci così all’inizio del capitolo 15, dove Luca racconta che i pubblicani, cioè coloro che erano manifestamente peccatori, gente perduta, venivano ad ascoltare Gesù. Perché costoro erano attirati da Gesù, mentre fuggivano dai sacerdoti e dai fedeli zelanti? Perché sentivano che questi ultimi non andavano a cercarli, non li amavano, ma li giudicavano e li disprezzavano. Gesù invece aveva un altro sguardo: quando vedeva un peccatore pubblico, lo considerava come un uomo, uno tra tutti gli uomini (tutti peccatori!), uno che era peccatore in modo evidente, senza ipocrisie né finzioni. A questa vista Gesù sentiva com-passione: non giudicava chi aveva di fronte, non lo condannava, ma andava a cercarlo là dov’era, nel suo peccato, per proporgli una relazione, la possibilità di fare un tratto di strada insieme, di ascoltarsi reciprocamente senza pregiudizi (cf. Lc 19,10). Così i peccatori fuggivano dalla comunità giudaica e si recavano da Gesù, il che scandalizzava gli uomini religiosi per mestiere, i quali “mormoravano dicendo: ‘Costui accoglie i peccatori e addirittura mangia con loro!’.

            Gesù è dunque costretto a difendersi, e lo fa non con violenza e neppure con un’apologia di se stesso, ma raccontando a questi farisei e scribi delle parabole, per l’esattezza tre: quella della pecora smarrita (cf. Lc 15,4-7), quella della moneta smarrita (cf. Lc 15,8-19) e quella che ascoltiamo nella liturgia, la famosa parabola dei due figli perduti e del padre prodigo d’amore. Cerchiamo di leggerla, ancora una volta, in obbedienza alle sante Scritture e formati dall’insegnamento che ci viene dalle nostre esperienze, dalle nostre storie. (…)

Testo completo      http://alzogliocchiversoilcielo.blogspot.it/2016/03/enzo-bianchi-commento-vangelo-6-marzo.html

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

EUROPA

Maternità surrogata al centro dei lavori della Conferenza dell’Aja.

Il Gruppo di esperti sulla maternità surrogata istituito dalla Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato chiede più tempo per arrivare a un rapporto conclusivo sul tema. Nella riunione di febbraio 2016 il Gruppo ha diffuso uno studio (8767f) sulle questioni legate alla legge applicabile, alla giurisdizione e al riconoscimento di atti emessi all’estero, ma ha preso atto che la complessità delle problematiche connesse alla maternità surrogata e le diversità di approccio nella regolamentazione da parte degli Stati richiedono un ulteriore approfondimento e una continuazione dei lavori. Nel rapporto sono analizzate le regole di diritto internazionale privato nei diversi ordinamenti (anche se in molti Paesi mancano norme ad hoc) con particolare riguardo all’operatività del limite dell’ordine pubblico che determina incertezze sullo status legale dei bambini e rischi di sfruttamento delle donne. L’approccio, come risulta anche dall’analisi della giurisprudenza di diversi Stati e da alcune novità legislative, è molto variabile con inevitabili conseguenze sul riconoscimento dei certificati di nascita e incertezze sullo status dei minori e dei genitori. Con effetti su larga scala non solo nell’ambito dei rapporti familiari ma anche in altri ambiti come quello dell’immigrazione. Adesso tocca al Consiglio sugli affari generali, che si riunirà a metà marzo, decidere se proseguire nei lavori.

            Marina Castellaneta              4 marzo 2016

www.marinacastellaneta.it/blog/maternita-surrogata-al-centro-dei-lavori-della-conferenza-dellaja.html

La maternità surrogata approda al Parlamento europeo.

Prima discussione in programma per il 15 marzo 2016. La preoccupazione della Federazione delle associazioni delle famiglie cattoliche: il rischio del «compromesso». È in agenda per il 15 marzo al comitato per gli affari sociali e la salute dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa la discussione del primo testo su “Diritti umani e temi etici in relazione alla maternità surrogata”. Immediata la reazione della Federazione delle associazioni delle famiglie cattoliche (Fafce), che si dichiara «molto preoccupata per il rischio che si legittimi la maternità surrogata, pratica di sfruttamento delle donne e dei bambini».

            In una nota, Fafce denuncia il conflitto d’interessi che pende sulla relatrice del Rapporto, Petra De Sutter, capo dipartimento di medicina riproduttiva all’Ospedale universitario di Gant (Belgio), dove si pratica la maternità surrogata anche in collaborazione con la clinica indiana Seeds of Innocence (Semi di innocenza). Un tema così «fortemente controverso», denuncia ancora la Federazione, verrà discusso a porte chiuse invece di essere oggetto di «un dibattito pubblico e trasparente».

            Per il presidente della Fafce Antoine Renard il rischio è che «l’assemblea parlamentare sia tentata di scegliere una soluzione di compromesso dietro la forte pressione d’interessi ideologici ed economici», contraddicendo anche la chiara posizione espressa dal Parlamento europeo contro tale pratica. Di qui l’appello alle associazioni e ai cittadini a far sentire la propria voce per «un divieto totale della maternità surrogata con un regolamento internazionale», anche con la firma della petizione www.nomaternitytraffic.eu.

            Redazione online        4 marzo 2016

www.romasette.it/la-maternita-surrogata-approda-al-parlamento-europeo

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

EVANGELIZZAZIONE

Le donne dovrebbero predicare durante la messa.

Alcuni articoli sul giornale semi-ufficiale del Vaticano sollecitano la Chiesa cattolica a permettere alle donne di predicare dal pulpito durante la messa, un ruolo che è stato riservato quasi esclusivamente al presbiterato – che è solo maschile – per quasi 800 anni. “Il tema è delicato, ma ritengo sia urgente affrontarlo” ha scritto nel suo articolo sull’Osservatore Romano Enzo Bianchi, a capo di una comunità religiosa ecumenica nel nord dell’Italia e conosciuto commentatore cattolico.

“Certamente per i fedeli laici in generale, ma soprattutto per le donne, ciò costituirebbe infatti un mutamento fondamentale nella forma di partecipazione alla vita ecclesiale”, scrive Bianchi, che ha definito questa riforma un “percorso decisivo” per rispondere ai richiami diffusi – anche da papa Francesco – per trovare i modi di dare alle donne un ruolo maggiore nella Chiesa.

Anche due suore hanno contribuito con i loro articoli nella sezione speciale di marzo 2016 dell’Osservatore Romano, sezione dedicata alle donne e chiamata “Donne-Chiesa-Mondo” (n. 44). Nel suo intervento, Suor Catherine Aubin, una domenicana francese che insegna teologia in una università pontificia a Roma, fa notare che Gesù incoraggiava le donne a predicare il suo messaggio di salvezza, e che nel corso della storia della Chiesa ci sono state molte donne straordinarie evangeliste. Anche oggi vi sono donne che guidano ritiri e che predicano di fatto in altri modi, afferma. “Poniamoci sinceramente una domanda allora”, scrive Aubin, “Perché le donne non possono predicare davanti a tutti durante la celebrazione della messa?”

Un’altra domenicana, Suor Madeleine Fredell, svedese, ha scritto: “Predicare è la mia vocazione come domenicana, e sebbene possa farlo quasi ovunque, talvolta perfino nella chiesa luterana, sono convinta che ascoltare la voce delle donne al momento dell’omelia arricchirebbe il nostro culto cattolico”. Se un simile cambiamento ci fosse, sarebbe un mutamento contrastato.

Nei primi tredici secoli, nel movimento verso il consolidamento del potere ecclesiastico nel papato e nel clero, papa Gregorio IX effettivamente proibì ai laici – cioè ai non ordinati, sia donne che uomini – di predicare, specialmente su temi teologici o dottrinali che erano considerati temi riservati al clero istruito. Furono poi ammesse eccezioni occasionali, ma si dovette arrivare fino all’inizio degli anni 70 del secolo scorso per trovare accenni a riconsiderare il divieto, incoraggiati dalle richieste crescenti che anche le donne – e tutti i laici – assumessero maggiori ruoli e responsabilità nella Chiesa. Nel suo articolo, Bianchi nota che nel 1973 il Vaticano diede ai vescovi tedeschi l’autorizzazione a permettere a dei laici, molti dei quali donne, a predicare con uno speciale permesso per un periodo sperimentale di otto anni.

Ma l’elezione di San Giovanni Paolo II, un papa conservatore sul piano dottrinale, nel 1978 fu l’inizio di un periodo di divieti più severi. Il Codice di Diritto Canonico promulgato nel 1983 da Giovanni Paolo II stabiliva che l’omelia “è riservata a un prete o a un diacono” (c. 767) perché è parte integrante della messa e deve essere fatta da un maschio ordinato che agisce “in persona Christi”. Poi nel 1997 un documento Vaticano supportato da otto diversi uffici della Curia Romana cercò di rafforzare ulteriormente il divieto della predicazione di laici; esso avvertiva inoltre i vescovi che non potevano permettere alcuna eccezione.

Tuttavia, nello stesso periodo in cui il Vaticano rafforzava la distinzione tra laici e clero, i laici –molti di loro donne – svolgevano un ruolo più visibile nella messa come lettori e ministri dell’eucaristia. Le ragazze erano ammesse come chierichette, una pratica molto diffusa. Quei cambiamenti hanno portato diversi conservatori a condannare la “femminizzazione della Chiesa cattolica, e qualsiasi proposta seria di permettere alle donne di predicare aumenterebbe certamente la loro preoccupazione.

L’argomento a favore del cambiamento è che non si tratta di “modernizzare” la Chiesa, ma piuttosto di tornare alla tradizione dei primi mille anni di cristianesimo, quando, come Bianchi e gli altri interventi fanno notare, alle donne era regolarmente dato il permesso di predicare, e spesso lo facevano di fronte a preti, vescovi e perfino al papa. Maria Maddalena, infatti, era conosciuta come “apostola degli apostoli”, perché i Vangeli raccontano come Gesù apparisse a lei per prima la mattina di Pasqua, e mandasse lei a comunicare la notizia della resurrezione – elemento fondamentale della fede cristiana – ai seguaci maschi di Gesù.

Allora, che cosa farà Francesco? Il pontefice ha ripetutamente invitato a far sì che le donne abbiano un ruolo più attivo nella Chiesa, ma ha anche ribadito il divieto di ordinare donne al presbiterato e ha messo in guardia dalla “clericalizzazione” delle donne nel tentativo di farne dei cardinali o di focalizzarsi sulla loro promozione a incarichi superiori nella Chiesa.

Ma che il giornale del Vaticano dedichi tanto spazio al problema della predicazione delle donne è interessante, ha detto Massimo Faggioli, storico della Chiesa presso l’Università St. Thomas nel Minnesota. “Penso che sia un grande segnale”, ha detto.

David Gibson “ncronline,org” 2 marzo 2016 (traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=numaut3656

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

FAMIGLIA

.

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

FAMIGLIE OMOGENITORIALI

            Redattore Sociale      19 febbraio 2016

www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/501141/Le-famiglie-omogenitoriali-in-Italia-il-peso-crescente-di-una-minoranza-trascurata

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

FECONDAZIONE ARTIFICIALE

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

            GARANTE PER L’INFANZIA

Filomena Albano, è il nuovo Garante nazionale per l’infanzia.

L’Italia ha un nuovo Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza. È il magistrato Filomena Albano, nominata giovedì 3 marzo 2016 dai presidenti del Senato e della Camera dei Deputati, Pietro Grasso e Laura Boldrini. Succede a Vincenzo Spadafora, che ha ricoperto lo stesso ruolo dal 29 novembre 2011, e resterà in carica per i prossimi 4 anni.

            Giudice del Tribunale di Roma, la dottoressa Albano è stata anche membro della Commissione Adozioni Internazionali in rappresentanza del ministero della Giustizia per 6 anni, dal novembre 2009 al 25 febbraio 2016. Nel corso della sua carriera di magistrato, Filomena Albano è salita agli onori delle cronache per avere firmato l’ordinanza del 14 gennaio 2014 che sollevava, davanti alla Corte Costituzionale, la questione di legittimità di alcuni articoli della legge 40 sulla fecondazione assistita. L’ordinanza interveniva sulla legge in particolare nella parte in cui essa non consentiva il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e alla diagnosi reimpianto alle coppie fertili portatrici di patologie geneticamente trasmissibili.

            L’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza esiste dal 2011 è ha il compito di promuovere l’attuazione delle misure previste dalla Convenzione di New York e da altri documenti internazionali per la promozione e la tutela dei diritti dei minori. A questo scopo, il Garante prende in esame e segnala alle autorità competenti le eventuali situazioni di abbandono, disagio o violazione dei diritti dell’infanzia. Nel suo ruolo, Albano potrà anche esprimere al governo il proprio parere sui disegni di legge relativi ai minori e richiedere alle pubbliche amministrazioni e agli enti, sia pubblici che privati, di fornire informazioni ai fini della tutela dell’infanzia e dell’adolescenza.

            Per raggiungere queste finalità, il Garante può avvalersi della collaborazione di commissioni consultive composte da esperti e rappresentanti delle istituzioni, delle associazioni e degli stessi minori. Ogni anno il Garante predispone una relazione sulle attività realizzate e la presenta al Parlamento. Albano, infine, avrà anche il compito di presiedere la Conferenza nazionale per la garanzia dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, composta dai garanti regionali.

Ai. Bi.  4 marzo 2016             www.aibi.it/ita/nominato-il-nuovo-garante-nazionale-per-linfanzia-e-filomena-albano-magistrato-ed-ex-membro-della-cai

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

GESTAZIONE PER

Sara e Rachele l’utero in affitto ai tempi dei patriarchi.

Nella animata discussione che si sta sviluppando sul tema della maternità surrogata è stata tirata in ballo la matriarca Rachele come modello antico e sacro. La storia biblica racconta che la moglie prediletta del patriarca Giacobbe non riusciva ad avere figli e questo la faceva molto soffrire, fino al punto di offrire al marito la serva Bilhà: «unisciti a lei, che partorisca sulle mie ginocchia, e anche io possa avere figli da lei» (Gen. 30:3). Giacobbe obbedisce, Bilhà partorisce e Rachele dice: «il Signore mi ha giudicato e ha anche ascoltato la mia voce e mi ha dato un figlio» (v. 6). Il paragone con la maternità surrogata starebbe nel fatto che una donna che non riesce ad avere figli ricorre a un’altra donna per averli. Ma fino a che punto il paragone regge? Intanto bisogna ricordare ai frequentatori casuali della Bibbia che la storia di Rachele che citano è la seconda di questo tipo, essendo preceduta da quella di Sara, moglie di Abramo, nonno di Giacobbe. Al capitolo 16 della Genesi si racconta che Sara non avendo figli consegna al marito Hagàr, la sua serva con la speranza di avere figli da lei; Abramo obbedisce, la mette incinta e a questo punto si scatena un dramma tra le due donne che porta alla cacciata di Hagàr, poi al suo ritorno e alla nascita di un figlio: «Abramo chiamò il nome di suo figlio che aveva generato Hagàr, Ismaele» (v. 15; si noti l’attribuzione della paternità e maternità). Anche qui c’è una situazione di sterilità che viene gestita con l’aiuto di una seconda figura femminile. L’analogia con la maternità surrogata ci sarebbe solo nel primo caso, ma con una fondamentale differenza: nella surrogata («in affitto») la madre biologica scompare del tutto di scena, nella storia biblica la madre affronta diverse vicende: Bilhà resta in famiglia, fa un altro figlio e alla morte di Rachele diventa la favorita; Hagàr entra in contrasto definitivo con Sara che la caccia via di nuovo e per sempre (almeno finché vivrà Sara); quanto ai figli, altra differenza essenziale: quelli di Bilhà, benché Rachel dica «mi ha dato un figlio», restano figli della madre biologica, divenuta «moglie» (Gen. 37:2), e quello di Sara rimane legato al destino di Hagàr e per questo vittima di una violenta reazione di rigetto («caccia via questa amà (schiava) e suo figlio», ibid. 21:10).

Nel caso di Rachele, quindi, il tentativo di appropriarsi di un figlio altrui sottraendolo alla madre biologica riesce solo in parte e questa madre non scompare; nel caso di Sara tutta la procedura sembra essere piuttosto una cura contro la sterilità, e il legame naturale tra madre e figlio non si interrompe. Tutto molto diverso dalla maternità surrogata. E ovviamente non si può dimenticare l’altra differenza: l’inevitabile necessità – in tempi biblici – di ricorso alle vie naturali di procreazione, mentre, e solo ai nostri giorni, queste possono essere sostituite dalla più asettica e certo meno appassionante soluzione della provetta. In più il modello biblico è quello di una famiglia patriarcale dove c’è un uomo fecondo con la sua signora sterile, diverso da alcune situazioni di single o di coppia in cui oggi si ricorre alla maternità surrogata; nella Bibbia in queste storie si apprezza il desiderio di maternità, non quello di paternità. Il messaggio biblico poi insegna una morale: nel caso di Bilhà il dramma si ricompone integrando in famiglia madre e figli, che però restano con una connotazione un po’ secondaria, come figli di una madre meno importante; nel caso di Sara c’è solo dramma, e addirittura, secondo la spiegazione di Nachmanide, questo dramma starebbe all’origine del risentimento storico dei discendenti di Ismaele nei confronti dei discendenti del figlio naturale di Sara, Isacco.

Come a dire: andiamoci piano con certe procedure. Un’ultima considerazione: le persone che vengono usate per questo «esperimento» biologico sono delle serve. Se si fanno confronti tra maternità surrogata e storia di Rachele e Sara, per dire che c’è un precedente che la giustifica, va tenuto ben chiaro che si tratta di sfruttamento di persone non libere. Il che non è un bel modo per giustificare moralmente una procedura attuale.

Riccardo Di Segni, Rabbino capo di Roma Vicepresidente del Comitato nazionale di Bioetica

            “La Stampa” 4 marzo 2016  Stralci dell’articolo tratto da “Pagine Ebraiche”

http://www.lastampa.it/2016/03/04/cultura/opinioni/editoriali/sara-e-rachele-lutero-in-affitto-ai-tempi-dei-patriarchi-qFdgXeQrB2cQJcb4iVMlXN/pagina.html

Commissionare un figlio? Meglio adottarlo

Nichi Vendola e il suo compagno canadese hanno appena ottenuto un bambino da una madre «surrogata». Il caso, inevitabilmente, ha riacceso la questione sui diritti del piccolo, che non può scegliere. Ma soprattutto interroga le nostre coscienze sulle migliaia di orfani che anche in Italia vivono, abbandonati, tra case famiglia e comunità. Sull’argomento torna Stefano Zecchi, docente di estetica Università di Milano, sul numero di Panorama in questi giorni in edicola.

Il primo, fondamentale diritto di ogni bambino è quello di avere una famiglia. Ci sono tanti bambini orfani che aspettano di essere adottati. Questo è il vero atto d’amore: accoglierli è uno dei gesti più belli e generosi che si possano compiere. La legge 149 del 2001 ha stabilito la chiusura degli orfanotrofi: oggi i bambini abbandonati vivono in “case famiglia”, dove una coppia ospita un numero limitato di minori, o in “comunità” gestite da addetti ai lavori che in molti casi somigliano ai vecchi orfanotrofi che dovevano sparire. È cambiato il nome, e tutto viene regolato da leggi opache; scarsi controlli: un bambino è un affare dai 70 ai 400 euro al giorno per il pagamento della sua retta a carico dei Comuni; duole dirlo ma un piccolo adottato in più significa una retta in meno.

Un vero atto d’amore è adottare un bambino, non commissionarlo a un utero preso in affitto. Si provi a visitare una di queste «comunità» e ci si trattenga alla sera, quando nelle grandi camere vengono spente le luci. Spesso si ascolta sommessa, poi sempre più intensa la voce dei bambini che invocano la mamma. «Mamma, mamma», chiamano ossessivamente. Si va via, potendo si scappa da quella camerata con le lacrime agli occhi. Un vero atto d’amore sarebbe portarsi con sé uno di quei piccoli che disperatamente chiama la mamma, e fregarsene delle leggi e delle burocrazie.

            Una mamma tiene in grembo per nove mesi il suo bambino. Poi la miseria, l’irresponsabilità, la violenza o ciò che si chiama destino la privano di questo grandioso atto d’amore che è la vita. Qual’è la madre che, tenuto in grembo il bambino per nove mesi, lo vende, essendo la sua gestazione per commissione? È una donna disperata, o perché senza denaro o perché è violentata psichicamente dall’idea di ricevere tanto denaro.

Ci può essere felicità nel possesso di un bambino, nato attraverso un volgare commercio con una donna disperata, strappato alla madre naturale per rispetto di un contratto d’affari? Si, è quella felicità che si compiace del mostruoso: dal latino «monstrum», cioè, seguendo l’etimologia, “fenomeno contro natura fra gli uomini o nella natura”.

Queste mostruosità sono il regalo moderno dell’ingegneria genetica, che esalta il potere dell’uomo sulla natura, trasformando l’umiltà della ricerca scientifica in una devastante, superba volontà di potenza, scambiando il vero atto d’amore per la vita, che è la generazione di un bambino, in un’irresponsabile prevaricazione dei limiti della vita.

Dalla magistrale penna di Charles Dickens, dai suoi Oliver Twist, Davis Copperfield, è cresciuta nell’Ottocento la coscienza pubblica del male, dei soprusi contro l’infanzia commessi da una società cieca verso la sofferenza dei piccoli, abbagliata dalla ricchezza prodotta dall’economia industriale. Ci vorrà una nuova letteratura per far capire alla politica, alla giustizia, agli stessi scienziati quale violenza contro i bambini si può compiere attraverso l’ingegneria genetica, contrabbandata con indecente ipocrisia per un vero atto d’amore.

3 marzo 2016             www.aibi.it/ita/commissionare-un-figlio-meglio-adottarlo

 

Dove porta la fabbrica dei bambini.

Tobia Antonio è un bambino. Fiocco azzurro. Contiamo su una coppia, Nichi e Eddie, per crescerlo, per educarlo e consegnarlo al meglio delle possibilità a una vita adulta libera e responsabile e felice. Bambini senza mamma ce n’ è stati tanti. Molte madri sono morte di parto. Figure femminili sostitutive se ne troveranno nella famiglia di Nichi e di Eddie. Produrranno presumibilmente un affetto esplosivo ma equilibrato, una cura nella specificità del femminile, atti e sentimenti, non dovesse bastare la doppia indifferenziata cura paterna (e non basta, in genere). E’ una essere, del possibile. L’argomento “voglio la mamma” è in questo senso una cretinata. Quanto all’argomento dell’egoismo, per di più “disgustoso”, è un’altra cretinata, ovvio. Chi è senza peccato di egoismo, di possessività, scagli la prima pietra. Il nostro mondo odierno ha ratificato per ogni genere di coppia, quelle eterosessuali incluse, e sono il numero maggiore, la fine della filiazione come attesa delle conseguenze dell’amore produttivo dell’altro, del futuro e della speranza. I bambini attesi tendono a essere eccezioni. I bambini sono desiderati all’ interno di un progetto che prevede anche l’amore, certo, e la vocazione al futuro e alla speranza, ma entro le condizioni della loro riproducibilità tecnica, come le opere d’ arte analizzate da Walter Benjamin. E’ il mondo seriale della libertà riproduttiva, della scelta dei tempi e delle compatibilità di vita. E’ il mondo in cui la gestazione e la sua interruzione volontaria, l’aborto, tendono a divenire valori equipollenti, espressioni della libertà della persona. L’ egoismo è anche energia, è spesso il motore delle cose naturali e spirituali, disgustoso politicismo demagogico è censurarlo con disprezzo all’ atto di una nascita e di una duplice rivendicazione di paternità, quella di una coppia omosessuale.

Sia benedetto Tobia Antonio, che condivide con tutti gli uomini e le donne la dannazione dell’origine, nasce eguale per il bene e per il male, e a salvarsi ci penserà da sé o con l’assistenza di una fede e di una chiesa o con le forze vive e morali della ragione umana o con una combinazione dei due fattori. D’ altra parte, come diceva Hannah Arendt, “la nascita di ogni bambino è un nuovo inizio”. Detto questo per non confonderci la testa con le frasi fatte e le semplificazioni volgari, noi che abbiamo plaudito a George W. Bush quando ricevette alla Casa Bianca una masnada di ragazzini nati tecnicamente da embrioni non scartati e adottati, e lo fece in nome di una visione misericordiosa dell’esistenza umana, bisogna aggiungere qualcosa di più problematico e di meno tenero. Che non riguarda il neonato ma la coppia che lo ha voluto, desiderato, fabbricato con l’onanismo e la tecnica bioingegneristica applicata a corpi di donna, in un quadro di commercializzazione della gravidanza. E ci riguarda tutti in quanto elementi dell’umanità comune. Qui le cose si fanno più opache. Entra in gioco lo statuto della filiazione, che è, come direbbe il filosofo Rémi Brague, “l’elemento proprio dell’umano”. Infatti il papà di Nichi e di Eddie è non tanto metaforicamente Dio, creatore di Adamo e di Eva e del racconto della Genesi biblica. Se preferite la metafora darwiniana il papà dei due è l’evoluzione per selezione naturale, dico naturale.

Mentre i due papà e la madre surrogatoria di Tobia Antonio sono parti di un atto creativo della volontà soggettiva, un atto sottomesso a regole e contratti definiti dall’ uomo moderno, in questo caso con la speciale e discutibile funzione riproduttiva di una donna che affitta il proprio corpo. Le parti in commercio fanno uso di sé, per evocare la proibizione etica di Immanuel Kant, come strumenti, come mezzi e non come un fine. L’ amore disincarnato e sentimentale che non discrimina e rende tutto possibile sorveglia alla dovuta distanza il procedimento, e in apparenza lo legittima senza riserve, ma ne risulta, Tobia Antonio a parte, una minaccia alla legittimità dell’umano. Il fatto che due maschi o due femmine decidano la filiazione per maternità o paternità surrogate, il che è altro rispetto all’ amore e ai suoi codici tradizionali, ed entrino in azione e si procurino i mezzi per essere creatori di sé stessi, e li usino senza tentennamenti, non è cosa da niente, non è scontato, è ormai facile da fare ma tuttora difficile da pensare, da giustificare. La generazione artificiale di esseri umani e la fine della differenza parentale è il più radicale sradicamento immaginabile della trascendenza, della storia e dei codici dell’umano come li abbiamo conosciuti per millenni. Tobia Antonio farà la sua strada, per quanto complicata (esistono vie facili?), ma su quale strada sono incamminati i loro progenitori A e B? Vogliamo pensarci, mentre ci amiamo gli uni sugli altri?

Giuliano Ferrara       Il Foglio                                 1 marzo 2016

www.ilfoglio.it/cultura/2016/03/01/vendola-figli-dove-porta-la-fabbrica-dei-bambini___1-v-138851-rubriche_c945.htm

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

GOVERNO

Qual è la priorità per l’Italia? I presidenti delle associazioni cattoliche rispondono a Renzi.

Presentando i risultati dei primi due anni di governo, il presidente del Consiglio ha lanciato un sondaggio chiedendo agli italiani di indicare quale riforma ritengano prioritaria e urgente. Ecco le risposte di cinque presidenti delle maggiori associazioni cattoliche Gigi De Palo (Forum delle associazioni familiari), Carlo Costalli (Mcl), Matteo Truffelli (Azione cattolica), Gianni Bottalico (Acli) e Massimiliano Padula (Aiart). Concordi: non servono operazioni di maquillage, ma un sostegno (vero) alla famiglia.

In un’epoca di sfide sui social, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha lanciato sulla sua pagina Facebook un peculiare sondaggio/referendum: “Buongiorno. Qui trovate 24 slide sui primi 24 mesi di governo. Siamo a metà del cammino, mancano ancora due anni, qual è per voi la priorità? Qual è secondo voi la riforma più urgente adesso?”.

“Oggi come oggi la più grande emergenza che abbiamo si chiama famiglia – assicura Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari -. Viviamo la più grave crisi demografica dalla seconda guerra mondiale: di questo passo, gli enormi sacrifici che sosteniamo non serviranno a nessuno, perché non ci saranno figli e quei pochi saranno costretti a emigrare a causa di una situazione insostenibile dal punto di vista sanitario e pensionistico”. I segnali sono forti: “una delle prime cause di povertà in Italia è mettere al mondo un figlio. Non si può andare avanti a colpi di bonus bebè, è necessario prendere un impegno preciso, coordinato e non spot”. La ricetta per De Palo è nel fisco a misura di famiglia: “La prima priorità è un fisco che tenga conto del costo dei figli. Ben vengano i servizi, ma quello che le famiglie chiedono è un po’ di soldi in tasca: non serve avere il nido se poi devo scegliere tra pagare la retta dell’asilo a mio figlio o mettergli l’apparecchio ai denti”.

Famiglia al centro anche per Carlo Costalli, presidente Mcl (Movimento cristiano lavoratori): “Il primo punto all’ordine del giorno di una seria agenda delle riforme deve essere la famiglia, vero ammortizzatore sociale dei nostri tempi, costretta a compensare i tanti vulnus legislativi di uno Stato assente e spesso colpevolmente distratto”. Per Costalli la famiglia “Cenerentola della società di oggi” è, come denunciato da tempo da Mcl, “bersaglio di decenni di politiche fiscali e sociali miopi e inadeguate e va sostenuta con sostegni al reddito e politiche scolastiche, sanitarie e occupazionali che ne allevino i pesi che da troppo tempo sopporta”.

Ridurre le disuguaglianze per unire il Paese è l’indicazione di Matteo Truffelli, presidente nazionale

dell’Azione cattolica: “La questione non è fare un elenco di priorità, ma creare nel sistema-Italia le condizioni di una buona vita per tutti. Ci sono ancora troppe disuguaglianze nel nostro Paese: quelle tra aree economicamente più forti e più deboli; il disomogeneo trattamento tra le generazioni”. E ancora, “le tante forme di povertà, quelle estreme, quelle legate all’occupazione precaria. Come non pensare a milioni di famiglie che sperimentano la fatica quotidiana della cura dei figli?”. Come evidenziato al Convegno Bachelet, “serve una complessità di interventi volti a ridurre le disuguaglianze, per vivere meglio insieme e unire davvero il Paese. Le disuguaglianze rendono precaria la vita stessa della democrazia”.

Di famiglia, demografia e scarsità parla anche Gianni Bottalico, presidente nazionale Acli: “La lotta alla povertà va considerata prioritaria. Impegnarsi su questo terreno significa fare qualcosa di concreto su più livelli: per la famiglia, per arginare la profondissima crisi demografica, per incentivare la ripresa dei consumi, per sostenere la coesione sociale”. Per questo le Acli “attraverso l’Alleanza contro la povertà, propongono l’introduzione del reddito di inclusione sociale come misura strutturale su cui incentrare un piano nazionale di lotta alla povertà e su cui costruire un nuovo modello di welfare”.

Infine, Massimiliano Padula, presidente dell’Aiart (Associazione spettatori di ispirazione cattolica), pone l’accento sull’idea stessa di riforma: “il termine ‘riformare’ rimanda all’azione ‘trasformante’, alla costruzione di nuove strutture e di nuovi equilibri sociali. Un’accezione che rappresenta la sfida più importante per il nostro Paese: una riforma organica della comunicazione sociale in Italia, dimensione trasversale che tocca tutti gli ambiti istituzionali”. È questa secondo l’Aiart, “l’idea da cui il Governo Renzi dovrebbe partire per ‘pensare’ una nuova riforma che non sia soltanto un “maquillage” ma una vera e propria educazione mediale che parta dagli organi di controllo e, passando attraverso tutte le forme del comunicare, raggiunga tutta la cittadinanza attraverso percorsi formativi ad hoc organizzati nelle diverse agenzie educative (famiglie, scuole, associazioni, istituzioni, aziende)”. Perché, ricorda Padula, “come sostiene Papa Francesco nel Messaggio per la 49° Giornata mondiale della pace: ‘il legame tra educazione e comunicazione è strettissimo: l’educazione avviene, infatti, per mezzo della comunicazione, che influisce, positivamente o negativamente, sulla formazione della persona’”.

            Emanuela Vinai         agensir                        1 marzo 2016

http://agensir.it/italia/2016/03/01/qual-e-la-priorita-per-litalia-i-presidenti-delle-associazioni-cattoliche-rispondono-a-renzi

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ISTAT

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

LEGISLAZIONE

www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/02/01/16G00016/sg

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

OMOADOZIONE

Stepchild per sentenza, oltre la legge.

Stepchild adoption per le coppie dello stesso sesso: mentre l’Italia discute se introdurla con una legge, il Tribunale per i minori di Roma la dichiara con sentenza. Non è la prima volta che ciò accade. Ma la pronuncia di ieri ha una particolarità: pur unica, è scaturita da due ricorsi incrociati di altrettante donne (italiane, conviventi da oltre 10 anni), ognuna delle quali aveva partorito una bimba concepita con fecondazione artificiale in Danimarca. Questo il verdetto di primo grado, dunque ancora impugnabile dal pubblico ministero: la responsabilità genitoriale delle piccole è stata posta in capo a entrambe le madri. E le figlie – ora di 4 e 8 anni – hanno acquisito lo stesso doppio cognome. Ma non sono diventate sorelle: «L’adozione – spiega Francesca Quarato, il legale di Rete Lenford che ha seguito l’iter giudiziario – è stata pronunciata sulla scorta della legge 184/1983, articolo 44, lettera d)». Una previsione che opera solo nei cosiddetti «casi particolari», e che attua un’adozione non legittimante: la nuova famiglia non sostituisce la precedente ma vi si affianca secondo una libera decisione delle parti.

            La norma utilizzata dai magistrati minorili consente questo tipo di filiazione qualora sia stata accertata l’impossibilità di affidamento pre-adottivo. Situazioni tipiche di questa fattispecie sono quelle di bimbi con gravi handicap o in condizioni tali per cui non esistano coppie in grado di accoglierli. Ma non è certo il caso romano, dove l’assenza di questo requisito era dovuta al fatto che entrambe le bimbe avevano e hanno una madre in grado di accudirle. Mancando lo stato d’abbandono non vi era dunque possibilità di procedere all’adozione. E ancora prima di pensare a un affidamento pre-adottivo. Ma proprio su questo hanno fatto leva i giudici: siccome per le minori non era praticabile l’affidamento allora avrebbe potuto operare l’adozione «in casi particolari». Curioso ragionamento, quello del Tribunale. E, tra l’altro, potenzialmente idoneo ad aprire a chiunque questo istituto giuridico. Con l’ovvio effetto di snaturarlo.

            Ma se questo è il passaggio più tecnico della pronuncia, altri sgorgano da un’analisi della situazione di fatto in cui vivono le bambine. «Il Tribunale – prosegue Quarato – ha ritenuto di tutelare il legame genitoriale intercorrente tra ogni bambina e la propria madre sociale». Vale a dire la convivente della madre vera. «Un legame già esistente – precisa l’avvocato –, e per cui noi abbiamo semplicemente chiesto la tutela». Nel caso specifico, i giudici hanno dato rilevanza anche al fatto che le due piccole erano nate in un progetto genitoriale di coppia, entrambe volute dalle due donne quando già era iniziata la loro relazione. Ma con altrettanta evidenza, hanno ritenuto che l’assenza della figura paterna non avrebbe avuto ripercussioni sulla loro crescita. Per sottolineare la bontà della sentenza Quarato racconta che le bimbe «vanno a scuola, hanno tanti amici, e frequentano famiglie di tutti i tipi». Ma che si tratti di una pronuncia “creativa” lo ammette persino la presidente di Rete Lenford, Maria Grazia Sangalli: «L’adozione da parte di queste coppie – spiega – è possibile interpretando la normativa in vigore in senso ampio ed evolutivo». Le sue parole cozzano però con il principio fondamentale dello Stato di diritto, nel quale ogni potere – dunque anche quello giudiziario – deve rimanere assoggettato alla legge vigente. Lenford giustifica questo attivismo giudiziario con «la mancanza di una normativa» per le adozioni gay.

            Ma la disciplina della filiazione non biologica già esiste. E prevede che i piccoli debbano essere accolti in una famiglia con mamma e papà. Nonostante questo, alcune magistrature stanno decidendo in senso opposto. Ad aprire la via era stato proprio il Tribunale minorile di Roma, che aveva pronunciato la prima stepchild adoption tra persone dello stesso sesso nell’agosto 2014. La sentenza è stata poi confermata in appello lo scorso dicembre. Nello stesso mese la Corte d’appello di Milano aveva ribaltato una precedente sentenza del tribunale minorile, riconoscendo una stepchild pronunciata in Spagna: in questo caso, la famiglia era composta da due donne sposate e poi divorziate. Dello stesso tenore sono anche altre pronunce. Ma è una prospettiva totalmente diversa da quella disegnata dalla Consulta: il “giudice delle leggi”, già nella celebre sentenza 138 del 2010, aveva chiarito come la responsabilità genitoriale fosse propria solo delle coppie eterosessuali. Così accade in natura, e così dice la nostra Costituzione.

Marcello Palmieri      Avvenire         1 marzo 2016

www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/adozione-coppia-donne.aspx

Maternità surrogata e utero in affitto: ecco come funziona (in Italia e all’estero)

Domande e risposte: per le adozioni tra due padri resta la strada del tribunale.

Che cosa è la maternità surrogata?

   Un embrione viene impiantato in una donna che si impegna a consegnare il figlio ad una coppia committente subito dopo il parto. Questa pratica è ammessa in alcuni Stati a condizione che la gestante agisca solo per finalità altruistiche; in altri Stati è ammessa anche se la donna riceve un pagamento. Alla maternità surrogata ricorrono sia coppie omosessuali maschili, sia coppie eterosessuali nelle quali la donna non può portare a termine una gravidanza.

E in Italia?

   È vietata. L’art. 12 della legge n. 40 del 2004 afferma che il ricorso a pratiche di surrogazione di maternità è un reato punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino ad un milione di euro.

   Come mai allora ci sono coppie italiane che ricorrono alla maternità surrogata all’estero?

   Perché, almeno in generale, i giudici italiani non possono sanzionare i reati commessi all’estero.

Quindi gli italiani che ricorrono alla maternità surrogata all’estero possono tranquillamente venire in Italia con il bambino ed essere riconosciuti come genitori?

   Non è così semplice. Se i committenti sono una coppia eterosessuale, questi generalmente si presentano all’ufficiale di stato civile italiano con un certificato di nascita del bambino redatto all’estero nel quale sono indicati come genitori e chiedono la trascrizione in Italia senza dichiarare che il bambino è nato a seguito di surrogazione della maternità. Così facendo commettono il reato punito dall’art. 495 c.p. (falsità in atti dello stato civile). Ci sono precedenti di coppie punite con sanzioni molto severe, anche se in altri casi invece i giudici hanno mostrato una certa tolleranza. Inoltre, se il bambino non ha un legame genetico con alcuno dei genitori e l’autorità italiana scopre l’inganno, coloro che si presentano come genitori senza esserlo rischiano che il bambino sia dichiarato adottabile. Se invece il bambino è figlio di almeno uno dei genitori (di solito il padre), allora la legge italiana considera solo lui come genitore ma l’altro potrà chiedere di adottarlo applicando la norma che consente l’adozione del figlio del coniuge. Si tratta della cosiddetta “stepchild adoption”, che nell’ambito del matrimonio è ammessa dalla legge.

Che cosa accade invece se a ricorrere alla maternità surrogata è una coppia omosessuale?

   La coppia si presenta all’ufficiale di stato civile italiano con un certificato di nascita redatto all’estero nel quale entrambi i componenti vengono indicati come padri. Emerge subito che il bambino è nato a seguito di maternità surrogata. L’ufficiale registrerà quindi il bambino unicamente come figlio del padre biologico.

   Perciò il padre non biologico non potrà mai essere considerato genitore del bambino per la legge italiana?

   Se la legge sulle unioni civili fosse stata approvata secondo il testo che era in discussione prima dell’emendamento del governo, vi sarebbe stata una strada nitida che avrebbe portato al riconoscimento della paternità anche a favore del genitore non biologico. Sarebbe stato infatti possibile per un partner adottare il figlio dell’altro, la “stepchild adoption”. Invece, il testo finale approvato non la consente. Tuttavia, indipendentemente dalla nuova legge, alcuni tribunali hanno comunque affermato la possibilità di interpretare analogicamente la norma sulla adozione del figlio del coniuge anche alle unioni omosessuali.

   E quindi?

   Vedremo quale sarà l’orientamento della giurisprudenza. È possibile che, di fronte ad ipotesi di maternità surrogata, i giudici siano molto più cauti nel concedere l’adozione al partner del padre biologico. Certo la vicenda di cui si parla in questi giorni è una conferma delle paure di coloro che affermano che consentire la “stepchild adoption” nelle unioni omosessuali spiana la strada al ricorso alla maternità surrogata all’estero. 

Carlo Rimini   ordinario di Diritto privato all’Università di Milano   la stampa   1 marzo 2016

www.lastampa.it/2016/03/01/italia/cronache/per-le-adozioni-tra-due-padri-resta-la-strada-del-tribunale-ma-potrebbe-complicarsi-H7aJbfR1Gr91IYCj12N7ZI/pagina.html

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

OMOFILIA

Misericordia e amore: così la Chiesa accoglie gli omosessuali.

“Vivere la verità nell’amore” è il tema della giornata di formazione pastorale per accogliere le persone che provano attrazione verso lo stesso sesso, svoltasi questa mattina a Roma alla Pontificia Università Lateranense. L’iniziativa, è stata promossa dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II e da “Courage Italia”, una associazione cattolica americana che offre sostegno spirituale e psicologico agli omosessuali in difficoltà.

Misericordia, amore e attenzione queste le tre parole chiave che vanno a riassumere la Giornata di formazione pastorale per l’accoglienza verso le persone che provano attrazione verso lo stesso sesso. Ascoltiamo Robert Gahl, docente presso la Pontificia Università della Santa Croce:

R. – La Chiesa può accogliere queste persone come accoglie tutti: cioè, non devono esserci categorie a parte, anche se possono esserci attività specifiche per le persone che sperimentano attrazione verso persone dello stesso sesso. E queste altre attività possono aiutarle anche a trovare senso di vita vocazionale. Quindi la Chiesa offre loro soprattutto i sacramenti, e quindi la Confessione – il Sacramento della Penitenza – e l’Eucaristia – la Santa Comunione – sono un grandissimo aiuto, come lo sperimentiamo tutti, per lottare, per cercare la santità.

D.In che modo si può aiutarli a superare anche le loro paure, soprattutto quella della discriminazione?

R. – Alcuni hanno paura di essere guardati male quando svelassero questa loro tendenza. Però, la Chiesa – e penso che la Chiesa stia facendo grandi passi avanti in questo senso – deve far capire che tutti sono accolti, tutti sono benvenuti. C’è la questione delle coppie omosessuali, che hanno anche figli che sono stati affidati loro o che sono stati adottati, e così via. Alcuni di questi si avvicinano alla Chiesa e chiedono l’aiuto della Chiesa, per esempio, perché i loro figli vengano formati nella Chiesa, che vengano battezzati. Questo offre al tempo stesso una sfida, ma anche un’opportunità alla Chiesa per manifestare che è veramente Madre e che vuole offrire la santità anche ai figli di queste coppie.

E fondamentale diventa soprattutto l’ascolto dell’esperienza umana vissuta. Alberto Corteggiani, responsabile di “Courage Italia” l’associazione cattolica nata in America nel 1980, con l’obiettivo di far sentire la propria vicinanza alle persone omosessuali.

R. – L’ultimo Sinodo sulla famiglia ci chiede di approfondire la tematica della cura pastorale delle persone che provano un’attrazione per lo stesso sesso. In quanto rappresentante dell’Associazione “Courage” in Italia, ho sperimentato una diffusa inadeguatezza, riconosciuta da parte di molte delle diocesi, ad accogliere le persone che provano attrazione per lo stesso sesso e che chiedono di poter intraprendere un cammino che le aiuti a vivere le virtù, in particolar modo la virtù della castità.

D. – Quali sono gli aiuti maggiori che vi chiedono?

R. – Anzitutto, provano un forte senso di solitudine e sono alla ricerca di una comunità che si in grado di accoglierli senza giudicarli. Sicuramente, in molte persone che provano un’attrazione omosessuale c’è questa percezione di diversità rispetto al mondo che le circonda. Il percorso promosso dall’Apostolato “Courage” aiuta a restituire senso a questa forma di fragilità, a questa sofferenza, e in questo modo le persone vedono con occhi nuovi il loro percorso e gli attribuiscono un nuovo significato.

Marina Tomarro       Notiziario Radio vaticana 4 marzo 2016

            http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

            ONLUS NON PROFIT

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

PARLAMENTO

Senato 2° Comm. Giustizia   Divorzio diretto

1504 bis Modifiche alla legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di legittimazione alla richiesta di scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio.

1 marzo 2016 Prosegue l’esame congiunto sospeso nella seduta del 3 febbraio 2016.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=966188

Camera Assemblea seduta n. 581 Mozioni

2 marzo 2016 mozioni Lupi ed altri n. 1-01124, Sberna ed altri n. 1-01146, Nicchi ed altri n. 1-01170, Palese e Pisicchio n. 1-01171, Vezzali ed altri n. 1-01172, Occhiuto ed altri n. 1-01173, Sbrollini ed altri n. 1-01174, Rondini ed altri n. 1-01175, Bechis ed altri n. 1-01176 e Giorgia Meloni ed altri n. 1-01180 concernenti politiche a sostegno della famiglia

pag. 62, 87, 103

www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0581&tipo=stenografico#sed0581.stenografico.tit00070

Mozione 1-01146 «Sberna, Gigli, Dellai, Capelli, Fauttilli, testo presentato il 9 febbraio 2016, modificato il 2 marzo 2016.                                      http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1-01146&ramo=C&leg=17

La Camera, premesso che:

la Costituzione italiana dedica alla famiglia una serie di importanti disposizioni comprese negli articoli 29-31 e 37, che evidenziano chiaramente la rilevanza di questa struttura sociale, vera istituzione cardine dell’assetto istituzionale sottolineandone la specifica rilevanza valoriale;

la famiglia è una realtà originaria e antecedente lo stesso Stato, il quale, come recita l’articolo 31 della Costituzione, «agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi con particolare riguardo alle famiglie numerose»;

possono definirsi autentiche politiche familiari conformi ai ricordati articoli della Costituzione dedicati alla famiglia, solo quelle politiche pensate e organizzate sul territorio a partire dall’esperienza delle famiglie, tenendo conto dei loro tempi, ritmi di vita e bisogni specifici, nell’ambito di un progetto organico di interventi specifici a sostegno dell’istituto familiare;

solo in questo modo, infatti, dette politiche risulterebbero conformi a quella peculiare attenzione, al tempo stesso rispettosa della sua autonomia e garante della sua tutela, riservata dalla Costituzione a questo fondamentale nucleo sociale;

la situazione attuale del nostro Paese è tuttavia caratterizzata da una troppo timida attenzione alle famiglie e alle criticità che esse oggi si trovano ad attraversare;

risulta dal rapporto Istat che l’Italia occupa la penultima posizione tra i Paesi europei per le risorse dedicate alle famiglie, per le quali lo stanziamento, che si mantiene sostanzialmente stabile dal 2008, ammonta al 4,8% della spesa, sotto forma di benefici finalizzati al sostegno del reddito a tutela della maternità e della paternità, di assegni familiari e di altri trasferimenti erogati a supporto di alcune tipologie familiari, asili nido, strutture residenziali per le famiglie con minori e assistenza domiciliare per famiglie numerose;

si osserva, inoltre, che: il rapporto tra prestazioni fornite dall’INPS per quel che riguarda gli assegni familiari e l’ammontare del prodotto interno lordo italiano, dopo essere cresciuto dal 15,03% del 1975 al 3% del 1994, è precipitato nel 2012 allo 0,3%;

l’Italia è il Paese dell’Unione europea con gli assegni familiari più bassi, mentre la somma dei contributi incassati dalla Cassa unica assegni familiari è superiore del 40% in media rispetto a quella effettivamente erogata;

la situazione della famiglia è oggi aggravata dalla compressione del welfare e dalla mancanza di lavoro, mentre le criticità da affrontare sono molteplici e relative al reddito della famiglia, al costo dei figli, ai limiti di un sistema fiscale non adeguatamente commisurato alle esigenze delle famiglie con figli, alla difficoltà di conciliazione tra vita lavorativa e vita affettiva e familiare, al costo e alla reperibilità delle abitazioni, ai carichi delle responsabilità che gravano sulla famiglia – in particolare sulla donna – che deve occuparsi «autonomamente» e senza ausili della cura e dell’assistenza dei propri componenti più deboli;

inoltre, il sistema fiscale italiano tiene conto solo dell’equità verticale, ma non di quella orizzontale, come dimostra il fatto che, in qualunque provvedimento in materia fiscale o sanitaria, si valuta quasi sempre il reddito familiare tout court, senza tenere in debito conto il numero dei componenti del nucleo stesso;

nel nostro Paese le reti di aiuto informale hanno svolto e svolgono un ruolo molto importante nel sostenere le persone nei momenti della vita caratterizzati da maggiore vulnerabilità: i giovani che non hanno un lavoro, le madri lavoratrici con figli piccoli, gli anziani non autosufficienti, le persone disabili;

però, per un malinteso senso della sussidiarietà le famiglie si sono trovate – in modo particolare negli ultimi anni segnati da una profonda crisi economica – a rappresentare un vero e proprio ammortizzatore sociale;

la forte prevalenza dei cosiddetti aiuti informali, quale quello della famiglia sopra ricordato, sarà messa sempre più a dura prova a causa delle trasformazioni demografiche e sociali caratterizzate dall’accelerazione del processo di invecchiamento della popolazione, dalla modificazione delle reti relazionali e dai mutamenti della struttura delle famiglie;

i dati relativi al tasso di occupazione femminile, alle nascite, alle dimissioni delle madri nel primo anno di vita del figlio, alla copertura di servizi per l’infanzia e alle spese investite dallo Stato per il sistema sociale suggeriscono che non bastano soluzioni volontaristiche;

diritti fondamentali quali quello al lavoro e alla famiglia, alla maternità e alla paternità non possono essere affidati alla sensibilità o alla volontà di amministrazioni locali, aziende, associazioni;

già nel breve periodo, infatti, le dinamiche demografiche condizionano un sistema economico: non c’è bisogno di aspettare decenni per verificare gli effetti dell’assenza di figli sull’economia nazionale;

gli studi di Amlan Roy, responsabile delle ricerche demografiche per il Crédit Suisse, dimostrano che l’invecchiamento demografico rallenta il prodotto interno lordo, gonfia il debito pubblico, fa calare gli investimenti e indebolisce l’efficacia delle politiche monetarie delle banche centrali;

questo quadro si sta già evidenziando ora nel nostro Paese rivelando così che la questione va affrontata rapidamente per evitare che il Paese muoia di vecchiaia e di povertà;

si tratta di uno scenario drammatico prospettato dagli studi demografici e che mette in luce un malessere profondo, una crisi dove la rinuncia endemica alla maternità di moltissime coppie giovani, che ripiegano, spesso tardivamente, sul figlio unico, si somma a una nuova dinamica dei flussi migratori;

da una parte ci sono i mancati arrivi degli immigrati, che arricchivano il nostro tasso di fecondità. Dall’altro la fuga degli italiani stessi. Si calcola che ogni anno oltre 130mila abitanti si cancellino dalle anagrafi italiane per fissare la propria residenza altrove;

dati recenti – rapporto Istat 2015 – evidenziano che in Italia il tasso di fecondità è pari a 1,37 contrariamente a quanto accade nel Nord Europa, dove oscilla tra 2 e 1,8 figli per donna. In Italia aumenta la disoccupazione femminile e diminuiscono le nascite, in particolare nel Mezzogiorno nonostante il desiderio del 60% delle italiane di avere almeno due figli senza rinunciare a lavorare;

gli anni di crisi economica che il Paese ha attraversato – e attraversa – hanno evidenziato come la famiglia rappresenti ancora il pilastro su cui si fondano le comunità locali, il sistema educativo, le strutture di produzione di reddito, il contenimento delle forme di disagio sociale. Eppure ancora se ne sottovaluta l’importanza e non se ne considera sufficientemente il valore;

è necessario, allora, mettere in campo nuovi strumenti a sostegno delle responsabilità della famiglia e soprattutto misure che ne definiscano in modo coerente il carattere di soggetto attivo, titolare di diritti e di doveri, garantendo il diritto di ogni persona a formare una famiglia o a essere inserita in una comunità familiare. Deve, inoltre, essere sostenuto il diritto delle famiglie al libero svolgimento delle loro funzioni sociali, riconoscendone la fondamentale rilevanza sociale e personale della maternità e della paternità. È anche necessario sostenere in modo più adeguato la corresponsabilità dei genitori negli impegni di cura e di educazione dei figli, promuovendo e valorizzando la famiglia come struttura sociale primaria di fondamentale interesse pubblico;

è necessario, inoltre, individuare misure che possano favorire la crescita della natalità nel nostro Paese. Molti studi mettono in luce, infatti, che uno dei principali fattori deterrenti per la costituzione di una nuova famiglia e per la genitorialità è la mancanza di risorse economiche;

sempre secondo l’Istat, infatti, la nascita di un primo figlio fa aumentare di poco, rispetto alle coppie senza figli, il rischio di finire in povertà, mentre la nascita del secondo figlio fa quasi raddoppiare il citato rischio, che si triplica all’eventuale nascita di un terzo figlio. Inoltre, gli stessi dati rilevano che avere figli raddoppia il rischio di contrarre debiti per mutuo, affitti, bollette o altro rispetto alle coppie senza figli;

occorre allora riconsiderare il sistema di welfare perché sia maggiormente orientato al sostegno della famiglia, perché investire nelle politiche familiari significa investire sulla qualità della struttura sociale e, di conseguenza, sul futuro stesso della nostra società;

non sono sufficienti interventi puntuali neanche quando hanno natura di sostegno economico, anche se sono sicuramente segnali positivi l’istituzione della Carta famiglia, l’attribuzione del «bonus bebé», le previsioni per favorire la conciliazione lavoro-famiglia. Ma non è sufficiente. Si potrebbe e si dovrebbe dare vita ad un sistema organico che valorizzi il ruolo di soggetto attivo della famiglia mettendola nelle condizioni di poter scegliere di essere generativa e di armonizzare i diversi compiti e funzioni che è chiamata a svolgere,

                               impegna il Governo:

ad assumere iniziative volte a rispondere alla crisi demografica in atto, anche attraverso l’individuazione di misure concrete di sostegno alla genitorialità e alla formazione di nuove famiglie;

a riconoscere come priorità la valorizzazione dell’istituto familiare, anche promuovendo una revisione del sistema fiscale che tenga maggiormente conto della famiglia come soggetto e che riordini le obbligazioni tributarie a carico dei membri della famiglia;

ad assumere iniziative per prevedere l’introduzione di forme di detassazione dei costi destinati obbligatoriamente per legge all’acquisto di beni e servizi a favore dei membri della famiglia, applicando anche dei coefficienti familiari per la determinazione del carico fiscale complessivo;

a promuovere una politica alloggiativa che sostenga le giovani famiglie favorendone l’accesso alla casa in affitto o in proprietà;

a valutare l’opportunità di intraprendere iniziative di tipo normativo in materia previdenziale, volte a superare la discriminazione tra le donne che hanno messo al mondo e allevato figli e donne che non lo hanno fatto, anche attraverso la previsione dell’attribuzione di contributi figurativi per ogni figlio anche adottato, in linea con quanto disposto al riguardo in diversi ordinamenti europei;

a istituire un tavolo di consultazione con la società civile e, in particolare, con le associazioni familiari per l’individuazione di misure idonee a sostenere la famiglia;

a dare vita a nuove e strutturate politiche per la famiglia, considerando anche l’impatto sulle stesse famiglie delle leggi in via di approvazione;

ad assumere le iniziative di competenza per prevedere che il 15 maggio 2016 sia celebrata anche in Italia la Giornata internazionale della famiglia stabilita dalle Nazioni Unite già del 1995».

Enrico Costa, Ministro per gli affari regionali e le autonomie. Grazie Presidente. Formulo i pareri del Governo. (…)      La mozione Sberna ed altri n. 1-01146 ha parere favorevole.

 

Mario Sberna, (Brescia 1960) Dal 2005 Presidente dell’Associazione nazionale Famiglie Numerose, fondata da lui e dalla moglie Egle e presieduta fino al 2013 (candidatura alla Camera).

www.famiglienumerose.org

Dal 2009 al 2012 è stato membro del Consiglio Direttivo nazionale del Forum delle Associazioni familiari.                                                                                           www.mariosberna.it/chi-e-mario-sberna/chi-sono

Camera 2° Commissione Giustizia   Unioni civili.

Proposta di legge: C. 3634. “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” (approvata dal Senato).

3 marzo 2015 Micaela Campana (PD), relatrice, rammenta che la Commissione è chiamata ad avviare l’esame, nella seduta odierna, della proposta di legge C. 3634, in sede referente, già approvata dall’altro ramo del Parlamento. Presenta e illustra il testo.

Fa presente che il maxiemendamento sul quale è stata posta la fiducia ha sostituito interamente il contenuto dell’atto Senato 2081, senza stravolgerne i contenuti. Il provvedimento in esame prevede l’istituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso qualificandola quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione, recependo così le indicazioni della sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 2010 ed eliminando ogni riferimento con l’articolo 29 della Costituzione che disciplina la famiglia.

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2016&mese=03&giorno=03&view=&commissione=02&pagina=data.20160303.com02.bollettino.sede00010.tit00010#data.20160303.com02.bollettino.sede00010.tit00010

8 marzo 2015 Donatella Ferranti, presidente, nel ribadire che la Commissione disporrà del tempo necessario per effettuare un articolato e approfondito dibattito sul provvedimento in oggetto, rammenta come le modalità di svolgimento dei lavori saranno definite nell’ambito dell’Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi.

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2016&mese=03&giorno=08&view=&commissione=02&pagina=data.20160308.com02.bollettino.sede00010.tit00010#data.20160308.com02.bollettino.sede00010.tit00010

9 marzo 2016. Richieste, nell’ambito dell’indagine conoscitiva, le audizioni del consigliere Francesca Quadri, capo dell’Ufficio legislativo finanze del Ministero dell’economia e delle finanze e del dottor Domenico Airoma, Procuratore aggiunto del tribunale dei minori di Napoli.

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2016&mese=03&giorno=08&view=&commissione=02&pagina=data.20160308.com02.bollettino.sede00010.tit00010#data.20160308.com02.bollettino.sede00010.tit00010

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

PATERNITÀ

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 3332, 19 febbraio 2016.

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

PEDOFILIA.

Proteggere i minori: nota di padre Lombardi.

Sulla vicenda del cardinale Pell e l’impegno della Chiesa nella lotta contro gli abusi su minori, pubblichiamo una nota del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Le deposizioni del Card. Pell davanti alla Commissione Reale d’inchiesta in collegamento in diretta fra l’Australia e Roma, e la contemporanea assegnazione dell’Oscar per il miglior film a Spotlight, sul ruolo del Boston Globe nel denunciare le coperture dei crimini di numerosi sacerdoti pedofili a Boston (soprattutto negli anni 1960-80), sono state accompagnate da una nuova ondata di attenzione dei media e dell’opinione pubblica sulla questione drammatica degli abusi sessuali su minori, in particolare da parte di membri del clero.

La presentazione sensazionalistica di questi due eventi ha fatto sì che, per gran parte del pubblico – soprattutto se meno informato o di memoria corta – si pensi che nella Chiesa non si sia fatto nulla o assai poco per rispondere a questi drammi orribili e che bisogna ricominciare daccapo. Una considerazione obiettiva mostra che non è così. Il precedente Arcivescovo di Boston ha rinunciato nel 2002 in seguito alle vicende di cui parla appunto Spotlight (e dopo una famosa riunione dei cardinali americani convocata a Roma dal Papa Giovanni Paolo II nell’aprile 2002), e dal 2003 (cioè da 13 anni) l’Arcidiocesi è governata dal Card. Sean O’Malley, universalmente noto per il suo rigore e la sua saggezza nell’affrontare le questioni degli abusi sessuali, tanto da essere stato nominato dal Papa fra i suoi consiglieri e Presidente della Commissione da lui costituita per la protezione dei minori.

Anche le tragiche vicende di abusi sessuali in Australia sono oggetto di indagini e procedimenti legali e canonici da molti anni. Quando il Papa Benedetto XVI si trovava a Sydney per la Giornata Mondiale della Gioventù nel 2008 (cioè 8 anni fa) incontrò un piccolo gruppo di vittime nella stessa sede dell’Arcidiocesi governata dal Card. Pell, dato che la vicenda era già allora di forte attualità e l’Arcivescovo riteneva molto opportuno un tale incontro.

Solo per dare un’idea dell’attenzione con cui sono stati seguiti questi problemi, la sola sezione del Sito vaticano dedicata a “Abusi su minori. La risposta della Chiesa”, avviata circa 10 anni fa, contiene oltre 60 documenti o interventi.

L’impegno coraggiosamente dedicato dai Papi ad affrontare le crisi manifestatesi successivamente in diversi paesi e situazioni – come Stati Uniti, Irlanda, Germania, Belgio e Olanda, Legionari di Cristo…- non è stato piccolo né indifferente. Le procedure e norme canoniche universali rinnovate; le linee-guida richieste e formulate da parte delle Conferenze episcopali, non solo per rispondere agli abusi commessi ma anche per prevenirli adeguatamente; le visite apostoliche per intervenire nelle situazioni più gravi; la profonda riforma della Congregazione dei Legionari, sono state tutte azioni destinate a rispondere in profondità e con lungimiranza a una piaga che si era manifestata di gravità sorprendente e devastante, soprattutto in alcune regioni e in alcuni periodi. La Lettera di Benedetto XVI ai fedeli irlandesi del marzo 2010 rimane probabilmente il documento di riferimento più eloquente, ben aldilà della sola Irlanda, per comprendere l’atteggiamento e la risposta giuridica, pastorale e spirituale dei Papi a questi drammi della Chiesa del nostro tempo: riconoscimento dei gravi errori commessi e domanda di perdono, attenzione prioritaria e giustizia per le vittime, conversione e purificazione, impegno di prevenzione e rinnovata formazione umana e spirituale.

Gli incontri di Benedetto e di Francesco con gruppi di vittime hanno accompagnato questa ormai lunga strada con l’esempio dell’ascolto, della domanda di perdono, della consolazione e del coinvolgimento in prima persona dei Papi.

In molti Paesi i risultati dell’impegno di rinnovamento sono confortanti, i casi di abuso sono diventati molto rari e quindi la maggior parte di quelli di cui oggi si tratta e che continuano a venire alla luce appartengono a un passato relativamente lontano di diversi decenni. In altri Paesi, di solito a motivo di situazioni culturali molto diverse e ancora caratterizzate dal silenzio, c’è ancora molto da fare e non mancano resistenze e difficoltà, ma la strada da percorrere è diventata più chiara.

La costituzione della Commissione per la protezione dei minori annunciata da Papa Francesco nel dicembre 2013, costituita da membri di ogni continente, indica la maturazione del cammino della Chiesa cattolica. Dopo aver impostato e sviluppato al suo interno una decisa risposta ai problemi di abuso sessuale su minori (da parte di sacerdoti o altri operatori ecclesiali), si pone sistematicamente il problema non solo di come rispondere bene al problema in ogni parte della Chiesa, ma anche di come aiutare più ampiamente le società in cui la Chiesa vive ad affrontare i problemi degli abusi e delle violazioni compiute su minori, dato che – come tutti devono sapere, anche se vi è spesso ancora una notevole ritrosia ad ammetterlo – in ogni parte del mondo la stragrande maggioranza dei casi di abuso non avviene in ambiti ecclesiali, ma fuori di essi (in Asia si può parlare di decine e decine di milioni di minori abusati, non certo in ambito cattolico…).

Insomma, la Chiesa, ferita e umiliata dalla piaga degli abusi, intende reagire non solo per il suo proprio risanamento, ma anche per mettere a disposizione la sua dura esperienza in questo campo, per arricchire il suo servizio educativo e pastorale alla società intera, che generalmente ha ancora un lungo cammino da fare per rendersi conto della gravità dei problemi e per affrontarli. In questa prospettiva gli eventi romani degli ultimi giorni possono alla fine essere letti in una prospettiva positiva.

Si deve dare atto al Card. Pell di una testimonianza personale dignitosa e coerente (una ventina di ore di dialogo con la Commissione Reale!) da cui risulta una volta di più un quadro obiettivo e lucido degli errori compiuti in molti ambienti ecclesiali (in questo caso in Australia) nei decenni passati. E questa è un’acquisizione non inutile nella prospettiva della comune “purificazione della memoria”. Si deve dare anche atto a diversi membri del gruppo delle vittime venuto dall’Australia di aver dimostrato la disponibilità a stabilire un dialogo costruttivo con lo stesso Cardinale e con il rappresentante della Commissione per la protezione dei minori – il P.Hans Zollner S.I., della Pontificia Università Gregoriana – con cui hanno approfondito prospettive di impegno efficace per la prevenzione degli abusi.

Se dunque gli appelli seguiti a Spotlight e alla mobilitazione di vittime e organizzazioni in occasione delle deposizioni del Card. Pell contribuiranno a sostenere e intensificare la lunga marcia della lotta contro gli abusi su minori nella Chiesa cattolica universale e nel mondo di oggi (dove la dimensione di questi drammi è sconfinata), siano benvenuti.

Notiziario Radio vaticana – 4 marzo 2016   http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

scienza e vita

.

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

                                                                       SINODO SULLA FAMIGLIA

                                                                       4 ipotesi: verso la postsinodale.

Se sono vere le “voci” che circolano negli ambienti ecclesiali, l’esortazione apostolica sulla famiglia dovrebbe avere, come data di pubblicazione, il 19 marzo 2016. Comunque dovrebbe essere pubblicata entro Pasqua. Sembra che qualche ritardo potrebbe derivare da problemi di traduzione. A ogni modo, può essere utile considerare, rispetto all’ampio testo che ne deriverà (oltre 100 pagine), quali vie verranno assunte per affrontare le questioni più spinose delle “crisi” di vita familiare e della nuove unioni che ne derivano. Proviamo ad ipotizzare le quattro soluzioni possibili secondo il dibattito pre e inter e post-sinodale.

a)      gli itinerari penitenziali: nell’originaria proposta Kasper, che a sua volta derivava dalla esperienza tedesca dei vescovi dell’ “Alto Reno”, il superamento della condizione di “scomunica sacramentale” avverrebbe nel lavoro penitenziale dei “singoli soggetti”, a determinate condizioni, con un punto di arrivo “individuale” di assoluzione e di comunione.

b)      la soluzione di foro interno: in questo caso, invece, come emerso dal documento conclusivo del Sinodo, non si parla di “tempi” e di “itinerari”, ma di “chiarificazioni” e di “convincimenti”. Sembra che “in foro interno” la persuasione maturata nel dialogo con un ministro potrebbe aprire la via alla comunione direttamente, senza mediazioni ulteriori.

c)      la analogia con la “morte dei coniugi”: questa prospettiva, elaborata originalmente da B. Petrà, propone una “analogia” con la tradizione orientale, considerando la possibilità che la Chiesa possa riconoscere a determinate condizioni il “fallimento” del matrimonio rato e consumato, aprendo lo spazio per nuovi inizi.

d)      il mutamento del concetto di “adulterio”: questa proposta è stata formulata da J.-P. Vesco, Vescovo di Oran, e suppone un adeguamento della normativa canonica e del concetto di adulterio come “reato istantaneo”, piuttosto che “permanente”, aprendo in tal modo alla possibilità della assoluzione e della comunione.

Ovviamente, ognuno di questi “modelli” di soluzione ha punti forti e punti deboli. I primi due, ad esempio, nella loro linearità, fanno fatica a raccordare livello “pastorale” e livello “giuridico”, creando possibili condizioni di “grave discordanza” tra foro interno e foro esterno. I secondi due, invece, lavorano in un accordo più forte tra dimensione giuridica e dimensione pastorale, ma richiedono passaggi concettuali e pratici molto più impegnativi e meno scontati. Tutte queste “soluzioni” determinano la “possibilità della assoluzione” e quindi della comunione per soggetti che, nella condizione attuale, possono trovare la “soluzione” soltanto in un processo di riconoscimento della nullità del vincolo coniugale. In tutti e 4 i casi, tuttavia, per entrare nella logica pastorale, occorrono due condizioni elementari:

  • si dovrebbe assumere il “tempo” come una variabile significativa per la identità dei soggetti battezzati: ossia non occorrerebbe soltanto “risalire all’origine del vincolo”, ma assumere la storia, la crisi, la possibilità e la realtà del vincolo in tutto il suo divenire;
  • sarebbe urgente uscire da categorie giuridiche tanto rigide da eliminare, di fatto, ogni spazio per una significativa azione pastorale, proprio perché pensate per ricondurre tutto il tempo della relazione soltanto all‘ ”atto iniziale”.

Non vi è dubbio che tutto questo ambito del dibattito presupponga la delicata rilevanza del rapporto tra “azione pastorale” e “normativa giuridica”, rapporto che deve essere ripensato e ristrutturato in tutti i suoi aspetti, con un parallelo adeguarsi delle logiche pastorali e della norme di diritto procedurale e sostanziale. Chi oggi lamenta “confusione” sul piano giuridico deve riconoscere che, per adeguare il sistema a nuove priorità, per far spazio ad un nuovo equilibrio tra giustizia e misericordia, un certo margine di “maggiore confusione” risulta assolutamente inevitabile.

Purché all’adeguamento del “foro esterno” corrisponda un progresso e una maggiore elasticità della pratica pastorale e della dottrina familiare. Ed è proprio un rinnovato sguardo su questa “ampia radura” ciò che attendiamo dalla prossima Esortazione Apostolica di papa Francesco: perché alla tanto grande e tanto preziosa “proporzione della giustizia” sia correlata una sempre più grande e più preziosa “sproporzione della misericordia”.

                                Andrea Grillo                 Come se non  1 marzo 2016

www.cittadellaeditrice.com/munera/waiting-for-adhortatio-apostolica-quattro-vie-di-soluzione-per-le-famiglie-ferite

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

TRIBUNALE PER I MINORI

                                «I minori Saranno più tutelati all’ interno dei tribunali ordinari»

Non cancellare, ma «valorizzare» il patrimonio della giustizia minorile italiana. Che deve «uscire dalla sua nicchia e intrecciarsi con quella ordinaria, contaminandola con le sue buone pratiche». Ma anche superare alcuni limiti: «Il “fai da te” di certe procure, la mancanza di un procedimento cadenzato, il dialogo problematico o addirittura assente con gli altri tribunali».

Donatella Ferranti, parlamentare del Pd e presidente della Commissione giustizia della Camera, difende a spada tratta il Ddl delega sulla riforma del processo civile, in cui un suo emendamento prevede l’accorpamento dei Tribunali dei minori a quelli ordinari e la trasformazione della Procura minorile in un gruppo specializzato presso la Procura ordinaria.

Presidente, perché la necessità di cancellare Tribunali e Procure dei minori e accorparli a quelli ordinari?

Non si tratta di sopprimere e tanto meno eliminare i tribunali dei minori, ma anzi di valorizzarne l’esperienza, che è sicuramente importante e positiva ma che non può più essere vista come separata dal resto della giurisdizione, in quanto per il minore le famiglie esigono da tempo un giudice unico specializzato che mantenga, però la necessaria prossimità con i servizi del territorio e un processo rafforzato nei principi del contraddittorio, del diritto di difesa e dell’ascolto.

Queste cose oggi mancano?

Al processo minorile manca oggi un rito specifico, un procedimento cadenzato nelle sue fasi specifiche. Anche la Cedu (la Corte europea dei diritti dell’uomo, ndr) ci ha rimproverato su questo punto.

Sono numerosi i dubbi e le criticità avanzate negli ultimi giorni non soltanto in ambito giudiziario, ma anche sociale, da chi da anni lavora a contatto col disagio e la fragilità dei più piccoli. Il timore diffuso è che si perda una esclusività e un’autonomia essenziali alla materia e alle tempistiche della giustizia minorile.

Qui credo si debba sgombrare il campo da timori del tutto infondati, legati a una certa resistenza ad abbandonare lo status quo, che presenta invece obiettivamente diverse disfunzioni. Autonomia e indipendenza sono riconosciute dalla Costituzione a tutta la magistratura, così come la specializzazione in alcune materie per esempio, impresa, lavoro, fallimento, criminalità organizzata rientra in modelli già ampiamente collaudati nella giurisdizione ordinaria.

Come coniugare la turnazione che vige in una Procura ordinaria con le urgenze, gli episodi di abuso o maltrattamenti per esempio, in cui viene richiesto alla giustizia di intervenire entro le 24 ore? Cosa succederà in questi casi, se il procuratore starà lavorando anche su un blitz con decine di arresti? Oggi la priorità dei Tribunali dei minori sono i minori.

Rispondo con un esempio: a Roma già ora, presso la procura, è previsto un turno specifico e permanente, 24 ore su 24, per i magistrati che compongono il gruppo, guidato dall’ aggiunto Maria Monteleone, che si occupa dei reati di violenza. Una turnazione che funziona ottimamente e non ha mai creato alcun problema, e un domani quello stesso gruppo, in sede distrettuale, potrà arricchirsi del prezioso contributo dei magistrati della procura minorile e quindi garantire turni esterni rafforzati e specializzati.

La proposta approvata in Commissione giustizia prevede la formazione di “sezioni specializzate” dei tribunali distrettuali e di corrispondenti “gruppi” nelle Procure: non c’ è il rischio che i magistrati chiamati a comporli col tempo finiscano per essere privi di una specifica professionalità, dovendosi occupare dei compiti più eterogenei?

Assolutamente no. In sede di tribunale distrettuale, dove confluirà il tribunale dei minori, le sezioni specializzate saranno istituite sul modello della sezione lavoro e i magistrati assegnati eserciteranno le funzioni in via esclusiva. Anche per la procura distrettuale la specializzazione dovrà essere garantita attraverso l’istituzione di gruppi specializzati, secondo il modello della Dda (Direzione distrettuale antimafia, ndr). Dunque, dov’ è il pericolo?

Un’ altra preoccupazione diffusa è che la riforma, così com’ è, possa disperdere la cultura e le buonepratiche maturate in decenni di lavoro.

Anzi, credo che si potrà creare un’osmosi al contrario: le buone prassi e la specializzazione maturate nell’esperienza minorile non saranno più un patrimonio e un “mondo” separati dal resto della giurisdizione. Anche perché il minore ha bisogno di un giudice accorto e professionalmente specializzato sia quando è autore di reato sia quando è vittima di violenze, abusi o disagi familiari. E in questi ultimi casi, voglio specificarlo, di un minore oggi non si occupa il Tribunale dei minori, ma quello ordinario.

Ci sono regioni che contano su quattro Tribunali dei minori come la Sicilia e altre è il caso di Valle d’ Aosta e Piemonte che si devono accontentare di un solo Tribunale per due. Non sarebbe più facile intervenire su questi casi, e magari accorpare Tribunali e procure dei minori, piuttosto che farli sparire tutti d’ un colpo?

Questo è un problema che va oltre la riforma perché afferisce alla distribuzione delle Corti d’appello sul territorio nazionale. Un domani ogni capoluogo di distretto, sede di Corte d’appello, avrà la sezione specializzata distrettuale con competenza e funzioni esclusive in materia di famiglia, minori e persona; in sede circondariale, ogni tribunale del distretto avrà una sezione specializzata per persone, famiglia, minori. Quindi di fatto non sparisce nulla, ma aumenta la specializzazione che deve essere garantita anche in secondo grado davanti ai collegi di Corte d’appello.

Sul nostro giornale il professor Mario Chiavario si chiedeva che ruolo avranno in futuro i giudici onorari, vale a dire gli esperti in problematiche dell’età evolutiva che fino a oggi hanno affiancato così proficuamente le procure dei minori.

Rimarranno come oggi assegnati di diritto alla sezione specializzata presso il tribunale distrettuale. Quel tribunale che d’ ora in poi avrà la competenza esclusiva, oltre che per il penale minorile, per tutta la materia delle adozioni e la decadenza della responsabilità genitoriale.

Viviana Daloiso      Avvenire                         1 marzo 2016

www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/I-minori-Saranno-pi-tutelati-allinterno-dei-tribunali-ordinari-.aspx.

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

UCIPEM

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

UNIONI CIVILI

                                Contratti di convivenza: se la coppia ha figli.

Conviventi: come viene regolato il riconoscimento dei figli e che succede se i partner si separano. Il tema della convivenza, recentemente disciplinato dal decreto Cirinnà insieme a quello delle unioni civili, è tornato di attualità: la nuova normativa consente alle parti, che non intendono optare per il matrimonio tradizionale, di regolare, attraverso il cosiddetto “contratto di convivenza”, i temi essenziali della loro vita in comune e dell’eventuale scioglimento. Il contratto di convivenza si rivolge principalmente agli aspetti patrimoniali della coppia.

La nuova legge, però, non tocca quelli che sono i problemi connessi alla nascita di figli. Cosa cambia, quindi, rispetto al passato? Nulla. Per essi, infatti, continuerà a valere la precedente normativa che ha sempre accordato massima tutela ai minori, siano essi di coppie sposati (un tempo chiamati “figli legittimi” ma oggi invece “figli nati nel matrimonio”) che di coppie di conviventi (un tempo chiamati “figli naturali” ma oggi invece “figli nati fuori dal matrimonio”).

Dal 1° gennaio 2013 i figli nati da genitori conviventi sono equiparati ai figli nati da genitori uniti in matrimonio [Art. 1 co. 11 L. 219/2012]. Non esiste più distinzione tra figli “naturali” e “legittimi”. Se nasce un figlio da genitori conviventi, uno di essi o entrambi devono effettuare il riconoscimento del nato.

Il riconoscimento del figlio di coppia di conviventi. Il riconoscimento è l’atto con il quale uno o entrambi i genitori dichiarano di essere padre o madre di un dato soggetto, attribuendogli lo status di figlio e creando in tal modo il rapporto di filiazione.

Chi può effettuare il riconoscimento? Il genitore o i genitori possono riconoscere un figlio a condizione che:

– i genitori non siano uniti in matrimonio tra loro;

– entrambi i genitori abbiano compiuto 16 anni.

Come avviene il riconoscimento? Il riconoscimento del figlio può avvenire

– al momento della nascita con l’atto di nascita;

– in un momento successivo alla nascita o al concepimento con un’apposita dichiarazione che deve essere resa in una delle seguenti forme:

1- davanti ad un ufficiale dello stato civile;

2- in un atto pubblico;

3- in un testamento, qualunque sia la forma di questo. In questo caso il riconoscimento ha effetto dal momento della morte del testatore anche se il testamento è stato revocato.

Il genitore che ha già effettuato il riconoscimento può rifiutare il consenso a che l’altro genitore riconosca il figlio che non ha compiuto 14 anni. Il genitore che voglia comunque effettuare il riconoscimento deve in tal caso promuovere un ricorso al giudice competente. Una volta compiuto, il riconoscimento è irrevocabile.

Il cognome del figlio di conviventi. Il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento viene effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori (riconoscimento congiunto) il figlio assume il cognome del padre.

A chi spetta la responsabilità e la potestà sui figli? I genitori conviventi che hanno riconosciuto il figlio esercitano congiuntamente la responsabilità genitoriale. Questi hanno quindi gli stessi obblighi di mantenimento, educazione, istruzione, assistenza e rappresentanza dei genitori sposati.

In caso di rottura della convivenza a chi vanno i figli? In caso di rottura della convivenza, l’affidamento dei figli segue le stesse regole previste per le coppie sposate. Dunque, il giudice dispone, come regola generale, l’affidamento condiviso. Da ciò deriva che entrambi i genitori mantengono pari diritti e doveri sulla prole. L’affidamento esclusivo è un’ipotesi eccezionale da applicarsi quando risponde all’interesse del minore (per esempio, nel caso in cui uno dei due coniugi si sia macchiato di gravi colpe nei confronti del figlio). Il giudice determina anche i giorni e gli orari di visita del minore da parte del coniuge non affidatario. La competenza a decidere sui provvedimenti riguardanti i figli spetta al tribunale ordinario. I provvedimenti in materia di mantenimento e affidamento sono pronunciati in camera di consiglio, sentito il P.M., e si concludono con decreto.

In caso di rottura della convivenza è dovuto il mantenimento? Come per le coppie sposate, anche per quelle di conviventi il giudice determina l’ammontare dell’assegno di mantenimento a favore del genitore presso il quale i figli vengono stabiliti.

A chi va la casa coniugale? La casa familiare è dunque assegnata al genitore con il quale i figli minorenni o i figli maggiorenni non economicamente dipendenti convivono o al quale sono affidati.

I conviventi possono adottare un figlio? In generale i conviventi non possono adottare un minorenne, tuttavia possono accedere all’adozione di un minore in una serie di casi particolari precisamente indicati dalla legge (per es. minore orfano di padre e madre, minore orfano di padre e madre e affetto da handicap, minore che si trova in una situazione in cui è impossibile l’affidamento preadottivo). Possono inoltre adottare un maggiorenne.

Raffaella Mari           Lpt     1 marzo 2016

www.laleggepertutti.it/113439_contratti-di-convivenza-se-la-coppia-ha-figli

Unioni civili: agli avvocati i nuovi contratti di convivenza

Il Ddl Cirinnà prevede che i rapporti patrimoniali tra conviventi possano essere regolati con atto pubblico o scrittura privata sia dai notai che dagli avvocati. Ai conviventi basterà recarsi da un avvocato (e non per forza da un notaio) per regolare i propri rapporti patrimoniali con apposito contratto. A prevederlo espressamente è il testo del maxiemendamento al Ddl Cirinnà approvato nei giorni scorsi al Senato e ora alla Camera per l’esame definitivo. Al comma 50, il testo del Ddl prevede infatti che “i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune, con la sottoscrizione di un “contratto di convivenza”. Il successivo comma 51 dispone, invece, che “il contratto di cui al comma 50, le sue modifiche e la sua risoluzione, sono redatti in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato, che ne attestano la conformità alle norme imperative ed all’ordine pubblico”.

            La norma accoglie l’appello della stessa avvocatura che ancor prima dell’approdo in aula per la discussione aveva sollecitato il Parlamento al fine di estendere i poteri di stipula e autentica sui nuovi contratti anche ai legali, al fine di evitare i costi elevati che sarebbero derivati per le unioni civili, giacché nel testo originario era previsto soltanto che i notai potessero stipulare i contratti di convivenza. Una scelta che ha ricevuto il plauso da parte del Consiglio Nazionale Forense per il “riconoscimento della funzione istituzionale e sociale dell’avvocatura” con l’affidamento ai professionisti forensi di “funzioni di estrema rilevanza come quella di contribuire, grazie alla scrittura privata da loro autenticata, alla redazione dei nuovi contratti di convivenza”. “Con il contributo e l’impegno dell’avvocatura – conclude la nota del Cnf – potranno essere stipulati accordi formali e vincolanti idonei a tutelare i valori affettivi di tutte le persone ed in particolare dei più deboli”.

Marina Crisafi                       newsletter       Studio Cataldi                                    3 marzo 2016

www.studiocataldi.it/articoli/21208-unioni-civili-agli-avvocati-i-nuovi-contratti-di-convivenza.asp

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

VIOLENZA

.

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

Le comunichiamo che i suoi dati personali sono trattati per le finalità connesse alle attività di comunicazione di newsUCIPEM. I trattamenti sono effettuati manualmente e/o attraverso strumenti automatizzati. Il titolare dei trattamenti è Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali Onlus- UCIPEM ONLUS – 20135 Milano-via S. Lattuada, 14. Il responsabile dei trattamenti è il dr Giancarlo Marcone, via Favero 3-10015-Ivrea. newsucipem@gmail.com

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

Condividi, se ti va!