newsUCIPEM n. 583 –7 febbraio 2016

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ABORTO                                          Prevenzione della rosolia in gravidanza.

ADOZIONE                                       Inserimento scolastico dei minori adottati.

ADOZIONE DI OMOSESSUALI    L’adozione da parte della co-madre è nell’interesse della minore

                                                           Unioni civili e “stepchild adoption”

ADOZIONI                                       Giudici, burocrazia, costi altissimi In Italia è crollo di adozioni

ADOZIONI INTERNAZIONALI    Quali conseguenze sull’adozione internazionale il Ddl Cirinnà?

AFFIDO CONDIVISO                     Spese straordinarie: rimborsate al coniuge che vive con i figli.

Affido condiviso: giusta la frequenza graduale con il padre.

AFFIDO ESCLUSIVO                      Perde i figli il padre troppo arrabbiato coll’ex per fare il genitore

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  I figli, universitari, non sfruttano l’opportunità di studiare.

ASSEGNO DIVORZILE                  Mancata reciproca discovery delle risultanze bancarie.

Riconoscimento della sentenza straniera: sì Italia per l’assegno.

CASA FAMILIARE                          L’abitazione in comodato resta alla nuora se casa familiare.

CHIESA CATTOLICA                    Le unioni civili tra diritto ed etica.

DALLA NAVATA                            4° Domenica del tempo ordinario – anno C –31 gennaio 2016.

Commento al Vangelo di Enzo Bianchi.

FAMILY DAY                                  Dopo il Family Day. La lezione del “marxista ratzingeriano”.

FECONDAZIONE ARTIFICIALE  Utero in affitto da perseguire ovunque.

FRANCESCO Vescovo di ROMA    Papa: vera giustizia è il perdono, Dio vuole salvare tutti

GENITORI                                        In Cassazione la responsabilità dei genitori.

GENITORI OMOSESSUALI                       Il numero uno dei pediatri: “Non si escludono danni ai figli”.

Il pediatra: “Ogni caso va valutato singolarmente”.

Adozioni di coppie gay: i bambini crescono meglio o peggio?

Che succede a un bambino che cresce in famiglia omogenitoriale?

NULLITÀ MATRIMONIALI                      Quando le nozze sono nulle Un vademecum sulla riforma.

OMOFILIA                                       Gay, numeri e sensazioni: l’Istat precisa e sorprende.

ONLUS NON PROFIT                     Semplificazioni in materia di sicurezza e infortuni sul lavoro

PARLAMENTO Senato Assemblea Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili Unioni Civili

                                                           Mirabelli: Ddl Cirinnà in contrasto con la Costituzione.

PATERNITÀ                                     La mia ragazza è incinta e non voglio riconoscere il bambino.

SCIENZA&VITA                             Organigramma dell’Associazione.

SEPARAZIONE                                Accordi di separazione agevolati.

SEPARAZIONE E DIVORZIO       Mantenimento: come conoscere i redditi dell’ex coniuge.

UCIPEM                                            Congresso nazionale 2016 ad Oristano.

UNIONI CIVILI                                         Unioni civili, cosa prevede il Ddl Cirinnà per le coppie etero.

Ora i conviventi eterosessuali diventano famiglie di serie B

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ABORTO

Prevenzione della rosolia in gravidanza.

In Italia le coperture vaccinali per rosolia sono ancora lontane dagli obiettivi stabiliti dall’Oms per raggiungere l’eliminazione (=95%) e, negli ultimi anni, sono in diminuzione. I dati mostrano che nel 2014, solo l’86,6% dei bambini aveva ricevuto la prima dose di vaccino anti-rosolia entro due anni di età. Inoltre, nel nostro Paese ancora si verificano casi di rosolia in gravidanza e rosolia congenita. Da gennaio 2005 ad agosto 2015 sono stati segnalati 163 casi di rosolia in gravidanza e 77 infezioni di rosolia congenita (probabili o confermati), con due picchi d’incidenza, di cui uno nel 2008 e uno più recentemente nel 2012. Nello stesso periodo, tra le donne con diagnosi confermata di rosolia in gravidanza, sono state registrate 32 interruzioni volontarie di gravidanza, 1 nato morto e 1 aborto spontaneo. Sebbene, negli anni 2014 e 2015 l’incidenza di rosolia in Italia sia stata molto bassa, è necessario mantenere alta l’attenzione, considerando l’andamento ciclico-epidemico della rosolia, con epidemie ogni 4-6 anni.

            Visto il contesto epidemiologico italiano, lo screening delle donne gravide per verificare il loro stato anticorpale (anticorpi IgG) verso la rosolia, rappresenta un’opportunità per identificare le donne ancora suscettibili (non identificate prima della gravidanza) e offrire loro la vaccinazione nel post partum o post interruzione di gravidanza, in modo che siano protette contro la rosolia in una eventuale successiva gravidanza. Pertanto, non esiste al momento attuale una raccomandazione a interrompere lo screening.

            È importante però ribadire che, per prevenire la rosolia congenita, la migliore arma rimane quella di garantire la vaccinazione delle donne suscettibili prima della gravidanza. Come raccomandato dal Piano nazionale di eliminazione del morbillo e della rosolia congenita 2010-2015, è fondamentale incrementare i livelli di copertura per Mpr, anche attraverso campagne supplementari di vaccinazione, e utilizzare qualsiasi occasione opportuna (ogni accesso al sistema sanitario, ad esempio per altre vaccinazioni, per il Pap Test, ecc) per verificare la situazione immunitaria delle donne in età fertile e offrire la vaccinazione alle donne suscettibili. Deve essere considerata suscettibile qualsiasi donna che non abbia documentazione scritta di avvenuta vaccinazione contro la rosolia o di positività per anticorpi IgG rosolia-specifici, e la vaccinazione deve essere effettuata almeno 28 giorni prima del concepimento.

            Estratto da epicentro – Istituto Superiore di sanità            4 febbraio 2016

www.epicentro.iss.it/problemi/rosolia/UkStopScreening.asp

Risorse utili

v  Il bollettino semestrale Rosolia congenita e in gravidanza News che riporta i dati nazionali della sorveglianza della rosolia congenita e della rosolia in gravidanza.

www.epicentro.iss.it/problemi/rosolia/bollettino.asp

v  L’approfondimento “Piano nazionale di eliminazione del morbillo e della rosolia congenita 2010-2015”, a cura di Antonietta Filia (Cnesps-Iss), pubblicato su EpiCentro il 21 aprile 2011

www.epicentro.iss.it/focus/morbillo/PianoEliminazioneMorbilloRosoliaCongenita2010-2015.asp

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ADOZIONE

                                                     Inserimento scolastico dei minori adottati.

Con Miur e Care, al via la formazione ad hoc per i docenti e lo spazio web dedicato. Monitoraggio delle linee di indirizzo, formazione ad hoc per docenti e dirigenti e apertura di uno spazio dedicato sul sito ufficiale del ministero. Queste le novità in termini di inserimento scolastico e diritto allo studio per i minori adottati annunciate nel corso del convegno organizzato mercoledì 3 febbraio 2016 alla Camera dei Deputati dal Care, il Coordinamento delle associazioni familiari adottive e affidatarie in rete.

Tanti gli impegni assunti dal ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca attraverso la direttrice generale della Direzione Studente, Giovanna Boda, riguardo all’accoglienza scolastica degli alunni adottati e l’attuazione delle Linee di indirizzo elaborate dal Miur e dallo stesso Care ed entrate in vigore nel luglio 2015 come parte della legge 107 sulla Buona Scuola.

Boda ha annunciato l’impegno del ministero ad avviare il monitoraggio dell’attuazione delle Linee di indirizzo e delle forme di accoglienza riservate alle famiglie. Inoltre, il Miur avvierà una formazione specifica per insegnanti e dirigenti, a partire da alcune regioni pilota ancora da identificare. Tra le novità più importanti anche l’apertura di uno spazio web specifico sul sito del ministero. “Non sono pochi gli Uffici Scolastici Regionali che hanno fatto delle attività su questo tema – ha ricordato Anna Guerrieri, vicepresidente del Care -, ma un conto è andare in ordine sparso, un altro conto è che dal ministero ci sia un impegno e delle indicazioni precise. È un punto di vista importante”.

Recentemente il Care ha concluso i lavori per un protocollo in Umbria, mentre in Campania e nel Lazio si sono organizzate giornate di formazione per i dirigenti. Azioni concrete per realizzare le vie di attualizzazione delle Linee di indirizzo. “Ora stiamo partendo per avviare i contatti con il ministero della Salute e del Lavoro – ha annunciato Guerrieri -: è questo il nostro prossimo impegno”. “Le Linee di indirizzo – ha ricordato Milena Santerini del Care, organizzatrice del convegno – sono frutto della collaborazione tra Miur, Commissione Adozioni Internazionali, enti autorizzati e associazioni familiari. Puntiamo ora a creare un discorso analogo anche su altri temi specifici che riguardano l’adozione. Le Linee guida hanno fatto maturare molto la scuola: queste non sono più solo un documento, ma un percorso, costringono la scuola a essere più flessibile, più a misura di ogni alunno, facendola uscire dalle rigidità che ha ancora”.

 Ai. Bi 4 febbraio 2016                                  www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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ADOZIONE DI OMOSESSUALI

L’adozione da parte della co-madre è nell’interesse della minore

Corte d’Appello di Roma, Sezione minori, Sentenza 23 dicembre 2015

La Corte d’appello di Roma ha rigettato il ricorso del P.M. avverso la sentenza del Tribunale per i minorenni di Roma del luglio 2014 che aveva disposto l’adozione di una bambina da parte della co-mamma.

Anche i giudici d’appello affermano, dunque, che quando vi sia una stabile relazione genitore/figlio, l’art. 44 lett. D della Legge n. 184 del 1983 consente di disporre l’adozione. Si riafferma così che il giudice può e deve valutare se nel caso concreto l’adozione da parte della co-madre è nell’interesse del minore.

La sentenza della Corte d’Appello di Roma rappresenta dunque una importante affermazione dell’indirizzo interpretativo, già fatto proprio dal Collegio di primo grado, che di recente aveva trovato conferma anche in una decisione dalla Corte d’Appello di Milano: l’art. 44 lett. D della Legge sull’adozione rappresenta «una clausola residuale in cui valutare tutti quei casi non sempre esemplificabili che nella realtà possono presentarsi e che non possono farsi rientrare nelle ipotesi di cui alle lettere a), b) e c)» e che, secondo la valutazione del giudice minorile, consigliano l’affermazione giuridica del rapporto di genitorialità nell’esclusivo interesse superiore del minore.

Tale interesse è sicuramente sussistente nell’ipotesi «di un profondo legame» della minore instaurato con la co-madre «sin dalla nascita e caratterizzato da tutti gli elementi affettivi e di riferimento relazionale, interno ed esterno, qualificanti il rapporto genitore/figlio». La Corte d’Appello capitolina rammenta, peraltro, che «non si tratta, quindi, come ritenuto dal PM appellante, di affiancare una seconda figura materna o creare un nuovo rapporto genitore-figlio, ma di prendere atto di una relazione già sussistente e consolidata nella vita della minore e valutare l’utilità per quest’ultima che la relazione di fatto esistente sia rivestita giuridicamente a tutela della minore medesima».

Con le due decisioni della Corte d’Appello di Roma e di Milano, in rapida successione, si consolida così una interpretazione aperta dell’art. 44 lett. D che consente di dare immediata tutela ai bambini che vivono con due genitori dello stesso sesso. Mentre il Parlamento italiano inizia finalmente, in gennaio, a discutere dell’introduzione della stepchild adoption ex art. 44 lett. B (previsto nel testo Cirinnà), la giurisprudenza torna a confermare che l’ordinamento contempla già una norma, l’art. 44 lett. D della Legge Adozioni, che consente di raggiungere da subito questo risultato.

Ne consegue che se la legge sulle Unioni civili non recasse una espressa ed univoca conferma di tale orientamento, la nuova legge finirebbe, paradossalmente, col sottrarre ai bambini diritti già riconosciuti.

Articolo 29     23 dicembre 2015      cliccare su sentenza di

www.articolo29.it/2015/ladozione-da-parte-della-comadre-e-nellinteresse-della-minore-conferma-anche-dai-giudici-dappello

{La magistratura per i minorenni ha un campo delimitato di valutazione e di intervento. Ci sono altri problemi: Come è stata concepita la bambina, in Spagna? con procedura di fecondazione artificiale eterologa vietata in Italia eccetto “qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili” (Corte Costituzionale sentenza 162\10 giugno 2014) ndr}

www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=162

 

Unioni civili e “stepchild adoption”

1. Premessa. Con l’approssimarsi della discussione, in Senato, del disegno di legge in materia di unioni civili e disciplina delle convivenze, è tornato ad accendersi il dibattito, in particolare in relazione al suo art. 5, che prevede l’estensione alle parti di una unione civile dell’art. 44, lett. b) della legge n. 184/83. In base a quest’ultima disposizione, nel testo attualmente vigente, il coniuge può adottare il figlio, anche adottivo, dell’altro coniuge: si tratta, come noto, di una delle ipotesi di “adozione in casi particolari”, vale a dire di adozione che prescinde dalle condizioni di cui all’art. 7, comma 1, della medesima legge, e cioè dallo stato di adottabilità del minore.

 2. Che cos’è la cd. stepchild adoption? Rispetto all’adozione cd. “legittimante” o piena, che continuerà ad essere consentita, ai sensi dell’art. 6 della stessa legge, unicamente alle coppie unite in matrimonio, l’adozione di cui all’art. 44, lett. b) (cd. adozione coparentale-successiva, adozione interna alla coppia o stepchild adoption) garantisce – non automaticamente, ma previa valutazione del Tribunale dei minori, è bene sottolinearlo – il riconoscimento giuridico del rapporto tra il minore ed il coniuge (o, secondo il disegno di legge in esame, il partner civile) del genitore biologico o adottivo, e questo soltanto. Non vengono dunque stabiliti, per effetto di tale forma di adozione, rapporti di parentela né in linea retta né in linea collaterale. In altre parole, l’adottato diviene sì figlio del genitore cd. “sociale”, ma non diviene nipote dei genitori di questo né fratello di altri figli eventualmente nati, accolti o cresciuti dalla coppia, con conseguenze rilevanti, ad esempio in materia successoria e in materia di garanzia della continuità affettiva con i parenti del genitore adottivo, in caso di morte di quest’ultimo. Proprio per queste ragioni, la cd. stepchild adoption – seppure prevista, per le parti di una unione civile, negli ordinamenti che già conoscono tale istituto (come Germania o Austria) – non ha mai rappresentato l’unico istituto capace di offrire riconoscimento giuridico ai legami parentali instaurati nell’ambito delle famiglie omogenitoriali. Accanto ad essa esistono, per un verso, la possibilità di procedere ad adozione congiunta del figlio di terzi che versi in stato di adottabilità, o ancora l’estensione delle norme in tema di riconoscimento del figlio alla nascita, previste però, nel nostro ordinamento, soltanto per i coniugi (l’adozione) e per i genitori biologici, coniugati e non (il riconoscimento). Gli ultimi due istituti richiamati, è bene precisarlo, rappresentano la più completa forma di riconoscimento giuridico del legame parentale, a tutela del figlio, con pienezza di effetti sul piano personale, patrimoniale e successorio. La scelta degli estensori del disegno di legge in discussione, pertanto, si pone già quale soluzione di mediazione tra l’istanza di pieno riconoscimento dei diritti (e dei doveri) all’interno delle famiglie omogenitoriali – con effettiva garanzia della pari dignità sociale tra i bambini che crescono al loro interno e i figli di coppie eterosessuali – e le posizioni di quanti a tale riconoscimento si oppongono.

            3. Le ipotesi di mediazione. Ciononostante, il dibattito politico è caratterizzato, in questa fase, dalla ricerca di ulteriori ipotesi di mediazione, volte ad evitare, in buona sostanza, ogni assimilazione tra il riconoscimento della relazione tra il minore e il genitore omosessuale non biologico e gli istituti che disciplinano le relazioni parentali nelle famiglie eterogenitoriali. Come già avvenuto in altre fasi dell’iter di discussione del disegno di legge – penso, in modo particolare, all’approvazione dell’emendamento che definisce l’unione civile “specifica formazione sociale”, così come, a ben vedere, alla stessa scelta originaria a favore dell’introduzione dell’unione civile in luogo dell’estensione del matrimonio civile – anche in questo caso la ricerca di un compromesso politico rischia di pregiudicare in modo molto serio la tenuta tecnico-giuridica delle ipotesi alternative e, soprattutto, di misconoscere le concrete istanze di riconoscimento e tutela.

            Sembra pertanto opportuno spendere qualche considerazione sulle ipotesi di mediazione che vengono agitate – con maggiore o minore fondamento – all’interno come all’esterno del Parlamento, per verificarne la compatibilità con il quadro costituzionale e con alcune indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

            L’unica ipotesi che, finora, si trova realmente sul tavolo è rappresentata dall’emendamento n. 5.19 (presentato in Commissione dai Senn. Lepri, Fattorini, Del Barba ed altri): esso punta a sostituire il ricorso alla cd. stepchild adoption con un istituto di nuova introduzione, ricalcato sull’affidamento e rispetto a questo in qualche misura “rinforzato”, con riferimento alla durata e alla possibilità di una sua conversione in adozione coparentale al verificarsi di talune condizioni (in particolare, la maggiore età dell’affidato e la morte del genitore biologico). Il 14 gennaio 2016, è stata diffusa una nuova versione dell’emendamento, che ripropone l’istituto dell’affido rinforzato, con l’unica differenza che non è prevista, per il caso di scioglimento dell’unione civile, l’automatica cessazione dell’affidamento.

            Come evidente, il cd. affido rinforzato caratterizza il rapporto tra il minore ed il genitore sociale in termini di minore certezza rispetto a quello instaurato con l’adozione coparentale. Mentre infatti il legame adottivo è di regola irreversibile, con piena assunzione di responsabilità genitoriale e connessi doveri da parte dell’adottante, i rapporti tra affidatario e minore sono esposti alla possibilità di revoca (nell’ipotesi di “sussistenza o sopravvenienza di condizioni che possano recare pregiudizio al minore”), così come alla rinuncia da parte dell’affidatario. Alla morte dell’affidatario, inoltre, il minore non ha alcun diritto sul piano successorio: questi, al più, potrebbe ereditare “indirettamente”, alla morte del genitore biologico, partner civile – e dunque erede – dell’affidatario deceduto. Va rilevato, tuttavia, che mentre il minore adottato eredita immediatamente dal genitore adottivo, il minore affidato erediterebbe “indirettamente” dall’affidatario solo alla morte del genitore biologico che, beninteso, in vita sarebbe libero di disporre dei beni ereditati dal partner affidatario. Il tutto a tacere del profilo delle diverse quote di eredità di cui, direttamente dall’adottante o indirettamente dal partner dell’affidatario, il minore verrebbe infine in possesso. Infine, alla morte del genitore biologico, la possibilità di adozione da parte dell’affidatario è possibile solo su richiesta di quest’ultimo. Si tratta, come si vede, di differenze assai rilevanti, e suscettibili di incidere in maniera significativa sulla condizione di vita del minore, in quanto l’affido – seppure “rinforzato” – è e resta istituto strutturalmente precario, a prescindere da quali siano i doveri che l’affidatario si assume, laddove invece il genitore adottivo resta vincolato a tali doveri.  Allo stesso tempo – considerato che alcuni Tribunali dei minori (e, da ultimo, App. Roma, 23 dicembre 2015) hanno già accordato l’adozione in casi particolari ex art. 44, lett. d) (da disporsi quando vi sia constatata impossibilità di affidamento preadottivo) nell’ambito di famiglie omogenitoriali – sembra potersi escludere che l’eventuale introduzione di una nuova ipotesi di affidamento rinforzato, riservata alle coppie unite civilmente, possa ostacolare ulteriori pronunce di questo genere: affidamento e adozione (sia pure “in casi particolari”), infatti, si pongono su piani distinti e non concorrenti tra di loro, rispondendo a ragioni giustificative del tutto diverse.

            Solo per fare alcuni ulteriori esempi, altre ipotesi di mediazione circolate in queste settimane punterebbero ad introdurre un trattamento differenziato tra minori, in relazione alla diversa cornice familiare in cui essi siano nati, accolti e cresciuti. Così, dall’ipotesi di concedere il ricorso all’adozione coparentale solo dopo cinque anni di affido preadottivo obbligatorio (La Repubblica, 10 gennaio 2016), si passa all’idea di subordinare il ricorso alla cd. stepchild adoption al previo accertamento, da parte del giudice, di una convivenza almeno biennale tra il minore e l’adottando (così, La Stampa, 14 gennaio 2016), o ancora, alla proposta di escludere dall’adozione coparentale i minori nati con tecniche di procreazione medicalmente assistita non consentite dall’ordinamento italiano (ed in particolare, dunque, attraverso la gestazione per altri).

            Nel primo caso, si mira ad estendere un istituto tipico del procedimento di adozione del figlio di terzi – l’affidamento preadottivo – e finalizzato a garantire l’inserimento in famiglia di un minore ad essa esterno in vista della stabilizzazione del legame sul piano giuridico, alla diversa ipotesi dell’adozione interna alla coppia, ma solo con riferimento alla coppia omosessuale. In assenza di altre giustificazioni plausibili, tale soluzione sembrerebbe fondarsi unicamente su un giudizio di disvalore a priori in merito all’idoneità della coppia omogenitoriale a garantire un ambiente familiare idoneo allo sviluppo del minore.

            Allo stesso modo, la seconda ipotesi “dimentica” che l’accertamento positivo dell’idoneità del contesto familiare alla crescita del minore è già una delle valutazioni che il giudice è chiamato a fare in sede di decisione sul riconoscimento dell’adozione coparentale ex art. 44 lett. b) della legge n. 184/83: in questo senso, cfr. ad esempio Cass. Civ. sez. I, 19/10/2011,  n. 21651. E non si vede come il requisito della convivenza biennale – tanto più se riferita unicamente alla domanda di adozione proveniente dal partner civile omosessuale – possa offrire ulteriori criteri di valutazione dell’idoneità del contesto familiare, mentre priva di tutele il bambino e la bambina proprio nei primi anni di vita (cioè quando particolarmente stringente è l’istanza di protezione del superiore interesse del minore). Anche in questo caso, pertanto, sembra difficile individuare specifiche ragioni giustificative del trattamento differenziato, al di là di un generico giudizio di disvalore sull’idoneità genitoriale della coppia omosessuale.

            Quanto alla terza ipotesi – quella di un trattamento differenziato del minore, conseguente al modo in cui questi sia venuto al mondo – basti richiamare l’attenzione su due elementi. In primo luogo, la legge n. 40/2004 (che disciplina l’accesso alle tecniche di p.m.a.) pur vietando espressamente la gestazione per altri, sanziona unicamente coloro che vi fanno ricorso e non prevede nessuna conseguenza sulla riconoscibilità del minore nato grazie a tale tecnica. Ciò discende, in secondo luogo, dal fatto che nel nostro ordinamento non esistono né possono esistere “figli irriconoscibili” (si pensi, mutatis mutandis, alla vicenda dei figli nati da rapporti incestuosi, risolta dalla Corte costituzionale con la storica sentenza n. 494/02). In altre parole, l’interesse superiore del minore a veder riconosciute e disciplinate in forma certa e stabile le proprie relazioni familiari non può che prevalere – sempre e comunque – su interessi ordinamentali di segno opposto, quali il giudizio di disvalore sul ricorso a talune tecniche di procreazione medicalmente assistita.

            4. È legittimo il trattamento differenziato? Viene in questione, alla luce della disamina sin qui sinteticamente condotta, una domanda fondamentale: a rigore di Costituzione può ritenersi consentito, ed eventualmente in quale misura, il trattamento differenziato tra figli di coppie omosessuali unite civilmente e figli di coppie eterosessuali, coniugate e non? Pare necessario, anzitutto, sgomberare il campo da un’obiezione diffusa: si ritiene, infatti, che il trattamento differenziato, a monte, delle coppie omosessuali (cui sarà riservata l’unione civile) e delle coppie eterosessuali (che possono accedere al matrimonio civile) possa implicare, a valle, il diverso trattamento delle relazioni genitoriali che sussistono nell’ambito della coppia. Come noto, il trattamento differenziato delle coppie formate da persone dello stesso sesso discenderebbe – alla luce dell’attuale sistema matrimoniale previsto dal codice e secondo una delle possibili letture, invero non esente da profili di rigidità, delle sentenze n. 138/2010 e 170/2014 della Corte costituzionale – dalla diversa copertura costituzionale delle prime rispetto alle unioni coniugali (art. 2, in luogo dell’art. 29). Anche a voler ritenere giustificato un simile approccio – ma non è questa la sede per tornare sulle interpretazioni della giurisprudenza costituzionale sul punto – esso non potrebbe estendersi alla differente disciplina dei rapporti genitoriali sorti in seno all’una o all’altra unione. Il trattamento differenziato dell’unione civile rispetto al matrimonio, infatti, attiene alla disciplina dei rapporti tra i partner (personali, patrimoniali, successori), mentre la disciplina dei rapporti parentali attiene ad altra fattispecie e, soprattutto, è dettata in vista del perseguimento di obiettivi del tutto diversi, primo fra tutti la tutela del minore e del suo superiore interesse.

            Deve essere sottolineato, infatti, che la parità di stato tra tutti i figli è ormai principio recepito dall’ordinamento (cfr. l’art. 315 del Codice civile, come modificato dalla legge n. 219/2012) e che la definitiva eliminazione della distinzione tra figli legittimi e figli naturali (art. 1, comma 11, della medesima legge) ha l’effetto di rendere la cornice giuridica del rapporto di coppia tra i genitori del tutto irrilevante ai fini dell’assunzione della responsabilità genitoriale e della relativa disciplina: la stessa Corte costituzionale, peraltro, ha da tempo affermato con chiarezza che “la condizione giuridica dei genitori tra di loro, in relazione al vincolo coniugale, non può determinare una condizione deteriore per i figli, poiché quell’insieme di regole, che costituiscono l’essenza del rapporto di filiazione e che si sostanziano negli obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione della prole, derivante dalla qualità di genitore, trova fondamento nell’art. 30 della Costituzione che richiama i genitori all’obbligo di responsabilità” (sent. 166/1998). Pertanto, l’introduzione di un nuovo istituto di diritto familiare riservato alle coppie dello stesso sesso – l’unione civile – non può essere posta a fondamento di una diversa disciplina dei rapporti di filiazione.

            Nel caso in esame, peraltro, considerando che il differente trattamento di unione civile e matrimonio discende unicamente da valutazioni legate all’orientamento sessuale delle parti – ciò che pure molto dovrebbe ancora far riflettere sulla tenuta del principio costituzionale di non discriminazione in ragione delle condizioni personali (art. 3) – si rischierebbe di far ricadere sui figli “il peso e le conseguenze di una ascrizione di status che discende dall’orientamento sessuale dei genitori” e dalle preclusioni che l’ordinamento fa derivare da tale condizione. D’altro canto, almeno a partire dalla nota sentenza Cass. Civ., sez. I, 11 gennaio 2013, n. 601, è stato chiarito che l’omosessualità non è elemento sufficiente per escludere l’idoneità della persona all’adempimento dei doveri connessi all’assunzione della responsabilità genitoriale, a nulla potendo rilevare il “mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale”, poiché esso “dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino”. Va inoltre ricordato, in prospettiva analoga, che la Corte europea dei diritti dell’uomo, sia pure in un caso leggermente diverso da quello in esame – sentenza X c. Austria del 19 febbraio 2013, che aveva ad oggetto il confronto tra coppie eterosessuali non coniugate, cui era consentito il ricorso all’adozione coparentale, e coppie omosessuali non unite civilmente, cui questo era precluso – ha avuto modo di affermare l’importante principio secondo cui il trattamento differenziato delle relazioni parentali in ragione dell’orientamento sessuale dei genitori deve essere giustificato sulla base di “motivi particolarmente gravi e convincenti” (cfr. par. 99), con conseguente compressione del margine di apprezzamento normalmente riconosciuto agli stati membri nell’interpretazione della Convenzione.

            Più in generale, dunque, sembra che anche (e soprattutto) in questo caso, ad un approccio incentrato sul modello astratto di disciplina delle unioni, debba sostituirsi una prospettiva di analisi attenta alle concrete caratteristiche delle situazioni e delle esperienze di vita che richiedono riconoscimento e tutela, con particolare riferimento alla posizione del minore. In questo senso, ad esempio, si è già mossa quella giurisprudenza che, pure in assenza di un dato normativo esplicito, ha accordato l’adozione in casi particolari ex art. 44 lett. d) della legge n. 184/1983 (figura residuale, da disporsi “quando vi sia la constatata  impossibilità  di  affidamento preadottivo”) nell’ambito di coppie omogenitoriali, proprio sulla base di una analisi penetrante dei concreti caratteri del rapporto tra l’adottante e l’adottato, nonché del contesto familiare (cfr. da ultimo App. Roma, 23 dicembre 2015).

            Solo se ci si pone in tale prospettiva – ancorando il giudizio di eguaglianza alla concretezza delle situazioni di vita e di esperienza, piuttosto che alla comparazione astratta tra modelli – è possibile avvedersi che non esistono, sul piano delle concrete circostanze di fatto, differenze di condizione tra i figli di coppie omogenitoriali e figli di coppie eterogenitoriali, tali da giustificare un trattamento deteriore dei primi rispetto ai secondi: identiche sono le esigenze di cura, identici i diritti del figlio a crescere in sicurezza nel contesto familiare in cui è nato o è stato accolto, identici – soprattutto – i doveri dei genitori, che devono essere inquadrati in un istituto giuridico che ne garantisca la piena effettività.

            5. Per concludere. Questo, dunque, il quadro nel quale iscrivere la valutazione della ragionevolezza del trattamento differenziato dei figli di coppie formate da persone dello stesso sesso, e dunque la conseguente fragile tenuta tecnico-giuridica delle ipotesi di mediazione prima ricordate. Come noto, uno dei più discussi corollari del principio costituzionale di eguaglianza è quello secondo il quale situazioni simili vadano disciplinate in modo simile, e situazioni diverse in modo diverso, e secondo la loro specificità. Simile posizione, tuttavia, non implica – ed è quasi superfluo ribadirlo – che il trattamento differenziato di situazioni difformi sia ammesso in ogni caso: accanto alle discriminazioni espressamente vietate dall’art. 3 Cost., vige infatti il più generale principio secondo cui il trattamento differenziato è costituzionalmente ammesso solo nella misura in cui possegga una giustificazione ragionevole, attinente alle concrete condizioni di fatto su cui si fonda e, soprattutto, al perseguimento di un obiettivo costituzionalmente rilevante. Una giustificazione che, nel caso di specie, è davvero difficile individuare, se si esclude – com’è doveroso, alla luce della giurisprudenza richiamata (ed in specie di Cass. Civ., sez. I, sent. n. 601/2013) – la rilevanza di precomprensioni di tipo ideologico, e conseguenti pregiudizi relativi all’idoneità delle famiglie omogenitoriali a fornire un adeguato ambiente di crescita ai bambini e alle bambine in esse nati, accolti e cresciuti.

            D’altronde, come ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 494/2002, “la Costituzione non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti”, ivi compreso nella specie “il diritto del figlio, ove non ricorrano costringenti ragioni contrarie nel suo stesso interesse, al riconoscimento formale di un proprio status filiationis, un diritto che […] è elemento costitutivo dell’identità personale, protetta, oltre che dagli artt. 7 e 8 della citata Convenzione sui diritti del fanciullo, dall’art. 2 della Costituzione”.

            Angelo Schillaci, assegnista di ricerca in diritto pubblico comparato, Università di Roma Sapienza.

art. 29             17 gennaio 2016

http://www.articolo29.it/2016/unioni-civili-e-stecphild-adoption-limpossibile-mediazione/#more-11227

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ADOZIONI

Giudici, burocrazia, costi altissimi In Italia è crollo di adozioni

Mentre in Parlamento tiene banco il dibattito sulla stepchild adoption, la realtà con cui gli aspiranti genitori adottivi sono costretti a scontrarsi è infatti così punitiva da avere dell’incredibile. “In Italia da 15 anni a questa parte le adozioni nazionali sono circa un migliaio, non di più, nonostante il numero dei minori che vivono fuori dalla famiglia sia cresciuto in 10 anni da 28mila a 35mila nel totale disinteresse delle istituzioni”, denuncia Marco Griffini, presidente dell’Ai.Bi, l’Associazione amici dei bambini che riunisce famiglie adottive e affidatarie.

Il presidente Griffini è stato intervistato sul crollo delle adozioni internazionali.

Se non è una missione impossibile, poco ci manca. Tra passaggi burocratici, cattiva organizzazione, disinteresse della politica e costi esagerati per chi sceglie la strada internazionale, in Italia adottare un bambino è talmente complicato che la maggior parte delle coppie rinuncia a farlo. Mentre in Parlamento tiene banco il dibattito sulla stepchild adoption, la realtà con cui gli aspiranti genitori adottivi sono costretti a scontrarsi è infatti così punitiva da avere dell’incredibile. «In Italia da 15 anni a questa parte le adozioni nazionali sono circa un migliaio, non di più, nonostante il numero dei minori che vivono fuori dalla famiglia sia cresciuto in 10 anni da 28mila a 35mila nel totale disinteresse delle istituzioni», denuncia Marco Griffini, presidente dell’Ai.Bi, l’Associazione amici dei bambini che riunisce famiglie adottive e affidatarie.

            Perché alla crescita della platea dei minori fuori famiglia non è corrisposta una crescita delle adozioni?

«Intanto, nonostante ci fosse una legge del 2000 che ne prevedeva la costituzione e nonostante come Ai.Bi avessimo vinto un ricorso al Tar del Lazio nel 2012, in Italia non è mai stata costituita una banca dati che consenta di sapere quanti di questi bambini e ragazzi che sono accolti nelle comunità educative, case famiglia e famiglie affidatarie siano effettivamente adattabili», spiega Griffini. Poi, tra tribunali, colloqui psicologici, trafile burocratiche e tempo trascorso in vana attesa, il percorso è tanto accidentato da scoraggiare anche i più motivati. Tutti quei passaggi che nella teoria dovrebbero servire per tutelare il minore, dalla presentazione della domanda a uno dei 29 Tribunali peri minorenni, al percorso con i servizi sociali, che può richiedere anche 20 colloqui psicosociali, fino alla lista di attesa per un’eventuale chiamata, finiscono per tradursi in «un atteggiamento quasi sanzionatorio» prosegue il presidente di Ai.Bi.

            Per chi sceglie la strada delle adozioni internazionali le cose vanno anche peggio. Qui, infatti, l’iter prevede che sia «uno dei 29 tribunali a dire se sei idoneo per adottare un bambino straniero», spiega Griffini. «Nel resto d’Europa sono i servizi sociali a decidere». Ulna volta ottenuto il via libera dal giudice, «ci si rivolge a uno dei 66 enti autorizzati che operano in Italia, che prende in carico la coppia e con il quale si decide da quale Paese adottare». Passaggi che hanno un costo. Non solo in termini di tempo ed energie. Tra pratiche in Italia e all’estero, traduzioni, professionisti coinvolti e viaggi un’adozione internazionale può costare da un minimo di l0mila euro a 25-30mila euro.

            Come se non bastasse, «la Commissione per le adozioni internazionali praticamente non funziona», denuncia il presidente dell’Ai.Bi. Non a caso, negli ultimi 4 anni il numero di adozioni internazionali si è dimezzato. «Con il governo Renzi in due anni non sono mai state convocate le associazioni né sono state aperte relazioni con nuovi Paesi: così per lo scorso anno si stima, visto che dati ufficiali per gli ultimi anni non ne esistono, che le adozioni internazionali siano state solo 2.070-2.080, la metà rispetto alle 4mila del 2011», conclude Griffini.

Dino Bondavalli,        “Libero”         05 febbraio 2016.

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                        Ai. Bi.  5 febbraio 2016                     www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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                                                     ADOZIONI INTERNAZIONALI

                      Quali conseguenze avrebbe il Ddl Cirinnà sull’adozione internazionale?

            Una legge che mette in pericolo il futuro di migliaia di minori fuori famiglia in Italia e di milioni di bambini abbandonati nel mondo. Il disegno di legge Cirinnà, aprendo la strada, attraverso la stepchild adoption, all’adozione per le coppie omosessuali e al ricorso alla disumana pratica dell’utero in affitto, non va certo incontro ai diritti dei bambini. Anzi, a giudicare dall’attuale situazione dell’adozione e ai recenti rapporti tra alcuni dei Paesi di origine e di destinazione dei minori adottati, il Ddl sulle unioni civili pare andare esattamente nella direzione opposta.

A lanciare l’allarme è stato il presidente di Amici dei Bambini Marco Griffini in un’intervista rilasciata al quotidiano “Avvenire”. “Prima vengono i diritti dei bambini che sono abbandonati – ha detto il numero uno di Ai.Bi. -, mentre non lo sono i minori che vivono in 529 coppie omosessuali. E la disciplina giuridica già permette di sistemare i loro casi in poco tempo”. Quelle 529 coppie sono le uniche che – secondo i dati emersi dal censimento più recente, quello del 2011 – si sono dichiarate omosessuali conviventi e mantengono il figlio biologico minorenne di uno dei due partner. Insomma, come denunciato da Griffini, l’attuale dibattito sul Ddl Cirinnà è “strumentale e interessa solo pochi adulti”. Prioritario sarebbe invece, per il governo, dedicarsi “ai 35mila minori che in Italia vivono fuori da una famiglia” e non intraprendere percorsi legislativi che rischierebbero di deteriorare ulteriormente la situazione delle adozioni internazionali in Italia

Queste ultime si sono già dimezzate nel breve volgere di 5 anni, passando dagli oltre 4mila minori stranieri accolti del 2010 ai circa 2mila stimati per il 2015. Una situazione che andrebbe a peggiorare nel caso in cui il nostro Parlamento desse il via libera alle adozioni per le coppie omosessuali. A far temere il peggio, in questo caso, è la storia recente dei rapporti tra alcuni Paesi di origine dei minori e alcuni di quelli di destinazione in cui l’adozione gay ha già avuto il semaforo verde.

Emblematico il caso della Russia. Il Cremlino ha deciso di non concedere più l’adozione dei suoi minori abbandonati alle coppie, anche eterosessuali, provenienti da quei Paesi in cui è autorizzato il matrimonio omosessuale. Questo ha portato alla chiusura delle adozioni internazionali verso Paesi tradizionalmente accoglienti, quali ad esempio Stati Uniti, Francia e Spagna. Con Madrid c’è poi stato un “disgelo”, solo a seguito di un nuovo accordo bilaterale in cui si è precisato che l’adozione dei minori russi sarebbe stata possibile solo per le coppie eterosessuali e non per i single o le coppie gay.

Drammatico il caso della Repubblica Democratica del Congo. Il governo di Kinshasa il 25 settembre 2013 ha bloccato l’emissione dei visti di uscita per i minori adottati da famiglie straniere. Lasciando così in una situazione di stallo e di angosciosa attesa anche circa 150 famiglie italiane con bambini già adottati. La decisione del governo congolese scaturì proprio dal fatto che un cittadino canadese, dichiaratosi single, dopo aver adottato un minore del Paese africano, tornò nel suo Paese e, insieme al compagno omosessuale, “celebrò” la sua adozione non come single, ma come membro di una coppia gay. Cosa che non venne digerita dalle autorità di Kinshasa che decisero per la moratoria sulle adozioni internazionali, non ancora superata due anni e mezzo dopo la vicenda.

Ai. Bi.  3 febbraio 2016                     www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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AFFIDO CONDIVISO

    Spese straordinarie: vanno rimborsate al coniuge che vive con i figli, anche se non concordate.

                  Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 2127, 3 febbraio 2016

            Il coniuge che vive con i figli, affidatario o collocatario che sia, ha diritto al rimborso per le spese straordinarie sostenute anche se non concordate con l’ex. Lo ha stabilito la Cassazione, con l’ordinanza depositata oggi (allegata), dando ragione ad una madre in relazione alle spese sostenute per l’asilo privato delle due bambine.

Il padre ricorreva di fronte al Palazzaccio avverso la sentenza del tribunale di Monza che in accoglimento dell”appello della donna, confermava il decreto ingiuntivo di 4.971 euro (corrispondente al 50% delle spese sostenute dalla madre per la retta dell’asilo nido e infantile delle minori) emesso dal giudice di pace di Desio. Ma per gli Ermellini, a nulla valgono le doglianze dell’uomo che sosteneva di non aver mai preso accordi con l’ex sulla frequentazione dell”asilo da parte delle figlie. Ha ragione, invece, la donna che sosteneva che la decisione era stata assunta concordemente da entrambi quando erano ancora conviventi senza che fosse necessario un nuovo accordo dopo l’autorizzazione a vivere separati.

Secondo quanto affermato dall”indirizzo costante della giurisprudenza in materia di partecipazione alle spese straordinarie per l”educazione e l”istruzione dei figli, hanno ricordato infatti da piazza Cavour, “non esiste a carico del coniuge affidatario dei figli un obbligo di concertazione preventiva con l”altro coniuge in ordine alla determinazione delle spese straordinarie, nei limiti in cui esse non implichino decisioni di maggior interesse per i figli” (cfr. Cass. n. 19607/2011). E anche in tale ultima ipotesi, ha aggiunto la Corte, non è configurabile comunque a carico del coniuge che vive con la prole, “un obbligo di concertazione preventiva con l”altro genitore, in ordine alla effettuazione e determinazione delle spese straordinarie, che, se non adempiuto, comporta la perdita del diritto al rimborso”. Nel caso di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non ha effettuato le spese, si legge ancora nella sentenza, “il giudice è tenuto a verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore mediante la valutazione della commisurazione dell’entità della spesa rispetto all’utilità derivante ai figli e della sostenibilità della spesa stessa, rapportata alle condizioni economiche dei genitori”.

Marina Crisafi                       Newsletter studio Cataldi.it   4 febbraio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20925-spese-straordinarie-vanno-rimborsate-al-coniuge-che-vive-con-i-figli-anche-se-non-concordate.asp

 

                                Affido condiviso: giusta la frequenza graduale con il padre.

Tribunale di Roma.    Prima Sezione civile   24 dicembre 2015

Se il genitore, non allocatario, non ha sviluppato il rapporto quotidiano con la figlia, è opportuno attendere il tempo necessario a costruirlo. Anche nel caso in cui il minore avvii il suo pernottamento presso il genitore non allocatario in maniera graduale, il suo diritto a mantenere rapporti significativi sia con la mamma che con il papà deve ritenersi comunque rispettato.

Questo, almeno, è quanto emerge dal provvedimento presidenziale emesso dal Tribunale di Roma. Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto che gli impegni lavorativi dell”uomo siano idonei a giustificare una differente presenza della bimba nella sua vita, senza che ciò possa costituire una violazione dell”articolo 337-ter del codice civile.

Del resto, al momento della nascita della piccola, il papà si trovava all”estero e lì rimase per i primi mesi di vita della figlia. Al suo ritorno, il legame con la moglie cessò da subito. Con la conseguenza che la piccola, di soli tre anni, non ha mai acquistato quel rapporto con il padre che deriva dalla quotidianità. Pur essendoci tra i due una bella relazione, non può comunque essere trascurato che la bambina potrebbe riscontrare delle iniziali difficoltà a pernottare presso il padre, specie per periodi consecutivi.

Ecco spiegata la legittimità, anche ai sensi dell”articolo 337-ter, della previsione in base alla quale il padre potrà tenere con sé la bimba per tre ore almeno due pomeriggi a settimana e, a fine settimana alternati, per l”intera giornata del sabato e della domenica. Per il pernottamento, invece, bisognerà procedere con calma: per i primi mesi esso è previsto per una sola volta al mese, anche con l”ausilio della madre.

Tale previsione, insomma, per il Tribunale capitolino non rappresenta una violazione del diritto del minore a mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori, ma solo una tutela per rendere tali rapporti pienamente accettati.

Valeria Zeppilli          Newsletter studio Cataldi.it   5 febbraio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20936-affido-condiviso-giusta-la-frequenza-graduale-con-il-padre.asp

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AFFIDO ESCLUSIVO

Perde i figli il padre troppo “arrabbiato” con la ex per fare il genitore.

Tribunale di Roma, sentenza n. 2546/2015.

I figli vanno affidati esclusivamente alla madre se lui è incapace di isolare il rapporto conflittuale con la moglie dal suo ruolo di genitore. Al momento della separazione, i figli vanno affidati esclusivamente alla madre se il padre è incapace di isolare il rapporto conflittuale con la moglie dal suo ruolo di genitore. Al fine di stabilire una sua inidoneità, giocano un ruolo fondamentale i rapporti sempre più distanti con i bambini e la difficile, se non assente, collaborazione con i servizi sociali.

            Lo ha stabilito il Tribunale che, nel pronunciare la separazione personale tra due coniugi, ha scelto la strada dell’affido esclusivo della prole alla madre alla quale ha anche riconosciuto un doppio assegno di mantenimento, sia personale che per i figli. L’affido congiunto è apparso impraticabile per i giudici del Collegio, stante il comportamento del padre, totalmente disinteressato a mantenere stabili rapporti con i figli.

Infatti, l’uomo è apparso sin dal momento della separazione, eccessivamente influenzato dal conflittuale rapporto con l’ex senza riuscire a scindere il suo ruolo di genitore dalla situazione pregressa che aveva portato alla crisi di coppia. Ciò ha comportato che i figli, abbandonati in un primo momento da ambedue i genitori, reagissero a tale disinteresse con un calo delle prestazioni scolastiche e con atteggiamenti di isolamento e chiusura.

            Ciononostante la madre, intraprendendo un percorso di sostegno con l’aiuto dei servizi sociali, è riuscita a ristabilire un rapporto con i bambini recuperando il suo ruolo; ciò non è accaduto per il padre, progressivamente allontanatosi sia affettivamente che fisicamente dalla prole: infatti, a una “rarefazione degli incontri” con i figli è seguito anche il trasferimento in altra regione. L’aver rifiutato il sostegno e la collaborazione dei servizi sociali, inoltre, è apparso indice sintomatico per i giudici di un’inidoneità dell’uomo ad assumere “le maggiori responsabilità che l’affido condiviso comporta e dell’indisponibilità alla cooperazione e collaborazione con l’altro genitore”. Per il collegio dunque appare necessario disporre l’affido esclusivo dei piccoli alla madre.

Lucia Izzo      Newsletter Giuridica Cataldi            01 febbraio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20840-perde-i-figli-il-padre-troppo-quotarrabbiato-quot-con-l-ex-per-fare-il-genitore.asp

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

I figli, studenti universitari, non sfruttano l’opportunità di studiare. Niente assegno di mantenimento.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 1858, 1 febbraio 2016

“Va innanzitutto considerato che, per giurisprudenza consolidata il dovere di mantenimento del figlio maggiorenne cessa ove il genitore onerato dia prova che il figlio abbia raggiunto l’autosufficienza economica pure quando il genitore provi che il figlio, pur posto nelle condizioni di addivenire ad una autonomia economica, non ne abbia tratto profitto, sottraendosi volontariamente allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita ( tra le altre Cass. n. 407 del 2007; n. 8954 del 2010)”

Sentenza                www.divorzista.org/sentenza.php?id=11367

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ASSEGNO DIVORZILE

Mancata reciproca discovery delle risultanze bancarie.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 225, 11 gennaio 2016

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ribadito un principio già espresso di recente (Cass. n. 6855/2015) secondo cui l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, è di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti, la formazione di una famiglia di fatto è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo.

Inoltre, la Corte riprende un principio assodato secondo cui la mancata reciproca discovery delle risultanze bancarie, una volta che il giudice ne aveva ordinato il deposito ad entrambe, ottenendo il rispetto di solo una delle due parti in contesa, costituisce un’asimmetria comportamentale ed informativa da cui desumere argomenti di prova a norma dell’art. 116, comma II, c.p.c.

AIAF – Newsletter 2 febbraio 2016              www.aiaf-avvocati.it/archivio-newsletter

Testo   www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=488996797951654&id=223106254540711

 

Riconoscimento della sentenza straniera di divorzio: sì all’azione in Italia per l’assegno divorzile

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 1863, 1 febbraio 2016

La sentenza di divorzio emessa all’estero e riconosciuta in Italia lascia aperta la possibilità per uno degli ex coniugi di far valere le proprie pretese economiche in un procedimento dinanzi ai giudici italiani. Lo ha precisato la Corte di cassazione. La Suprema Corte ha respinto il ricorso di un coniuge il quale si opponeva alla decisione della Corte di appello di Firenze che aveva accolto l’istanza della ex moglie per la corresponsione dell’assegno divorzile. La coppia aveva ottenuto il divorzio dal Tribunale di Zlin (Repubblica Ceca) ma quest’ultimo non aveva disposto nulla sugli aspetti economici. La donna si era così rivolta ai giudici italiani, ma l’ex marito ha impugnato in Cassazione la decisione della Corte di appello che aveva fissato un assegno a vantaggio della ex moglie, ritenendo, tra gli altri motivi di ricorso, che fosse stato violato l’articolo 30 della legge n. 218/1995 e il regolamento Ue n. 2201/2003 sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale. A suo dire, poiché la sentenza del Tribunale di Zlin è stata immediatamente riconosciuta in Italia, la pronuncia straniera deve essere assimilata, per quanto riguarda gli effetti, a una pronuncia emessa dall’autorità giudiziaria italiana, con la conseguente preclusione processuale all’accertamento dell’assegno divorzile che doveva essere deciso congiuntamente alla sentenza di divorzio.

Una tesi respinta dalla Suprema Corte. Prima di tutto perché non è imposta la regolamentazione contestuale dei diritti e doveri “scaturenti da un determinato status tant’è che nel nostro ordinamento è prevista la sentenza non definitiva di divorzio, che statuisce sullo status, e rinvia al successivo corso del giudizio per l’adozione dei provvedimenti conseguenti”. In secondo luogo perché il riconoscimento automatico previsto dal regolamento Ue produce la ricezione nel nostro ordinamento del contenuto specifico della sentenza resa in un altro Stato e, quindi, in questo caso, unicamente delle questioni relative all’accertamento delle condizioni per il divorzio, lasciando aperta “la possibilità di far valere le pretese economiche in un separato procedimento”. Dalla pronuncia resa dal giudice della Repubblica Ceca – prosegue la Cassazione – non può certo desumersi un giudicato che impedisce la domanda sull’assegno divorzile. Inoltre, l’ex moglie può legittimamente rivolgersi al giudice italiano senza alcuna preclusione tanto più che nell’ordinamento della Repubblica Ceca è prevista la possibilità di proporre la domanda sulle questioni economiche in un giudizio separato.

            Marina Castellaneta  2 febbraio 2016

www.marinacastellaneta.it/blog/category/regolamento-n-22012003

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CASA FAMILIARE

L’abitazione in comodato resta alla nuora se destinata a casa familiare.

Corte di Cassazione, terza Sezione civile, sentenza n. 1666, 29 gennaio 2016

Nonostante la suocera conceda l’immobile in comodato al figlio ‘finché non le serve’, ciò non giustifica la possibilità di recedere ad nutum. Resta alla nuora la casa data in comodato dalla suocera, se l’immobile ha come destinazione quella di casa familiare. Lo ha disposto la Corte di Cassazione (sentenza allegata).

            Il Tribunale aveva rigettato la domanda di una donna, proprietaria e comodante dell’alloggio, nei confronti del figlio e della nuora, tesa a ottenere il rilascio dell’alloggio dato verbalmente in comodato. L’istanza viene, tuttavia, accolta in appello e la coppia condannata a rilasciare l’immobile di cui è causa.

            Dinnanzi agli Ermellini ricorre la nuora, lamentando che la Corte territoriale abbia omesso di valorizzare la destinazione dell’immobile a casa familiare, quale oggettivamente emergente dalla realtà procedimentale e in primis dal comportamento delle parti. La problematica, rammenta il Collegio, è stata oggetto di rimeditazione dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 20448/2014, che ha delineato la distinzione tra due forme di comodato, quello propriamente detto e regolato dagli artt. 1803 e 1809 c.c. e il c.d. precario, al quale si riferisce l’art. 1810 c.c., sotto la rubrica “comodato senza determinazione di durata”.

            Si è precisato che è consentito richiedere ad nutum il rilascio al comodatario solo nel caso di cui all’art. 1810 c.c., stante la mancata pattuizione di un termine e l’impossibilità di desumerlo dall’uso cui doveva essere destinata la cosa. Invece, l’art. 1809 concerne il comodato sorto con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso che consente di stabilire la scadenza contrattuale ed è caratterizzato dalla facoltà del comodante di esigere la restituzione immediata solo in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno. Va ricondotto a questo tipo contrattuale il comodato di immobile che sia stato pattuito per la destinazione di esso a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario: si tratta di contratto sorto per uso determinato e dunque per un tempo determinabile per relationem, ossia individuabile in considerazione della destinazione a casa familiare contrattualmente prevista, indipendentemente dall’insorgere di una crisi coniugale. Va dunque, secondo gli Ermellini, applicato al caso di specie il disposto dell’art. 1809, comma 2, c.c., norma che riequilibra la posizione del comodante ed esclude distorsioni della disciplina negoziale.

I giudici di merito hanno focalizzato l’indagine sul momento costitutivo del rapporto e sul mero dato che la signora avesse concesso al figlio l’uso dell’abitazione “fintanto che a lei non serviva”, deducendo da ciò che il contratto fosse risolvibile ad nutum. Non hanno, invece, verificato se, dal complesso delle prove e dal comportamento delle parti anche successivo all’accordo, emergesse la concorde volontà di imprimere all’immobile quella destinazione a casa familiare che, in effetti, ha avuto e che sarebbe incompatibile con un godimento contrassegnato dalla provvisorietà e dall’incertezza proprie del comodato “precario”. Per questo la sentenza impugnata va cassata: il giudice del rinvio dovrà verificare se la concessione del godimento del bene avvenne in prospettiva della sua utilizzazione quale casa familiare.

Lucia Izzo      Newsletter Giuridica 01 febbraio 2016 – – studiocataldi.it             sentenza

www.studiocataldi.it/articoli/20879-l-abitazione-in-comodato-resta-alla-nuora-se-destinata-a-casa-familiare.asp

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CHIESA CATTOLICA

                                                     Le unioni civili tra diritto ed etica.

            Mi è chiesto un commento sulla nuova disciplina sulle unioni civili, cd. Cirinnà, come giurista, docente universitaria ma anche donna credente impegnata all’interno della Chiesa locale. Premetto che in queste settimane ho vissuto con fatica e disagio, sul tema, queste mie diverse «appartenenze» nella ricerca di un’analisi fedele al dettato normativo ma anche filtrata dall’universo dei valori della mia formazione cristiana, sui quali cerco di fondare la mia vita. Questo scritto riflette dunque il difficile equilibrio che ho individuato fra queste mie diverse «radici».

Non ho condiviso, anzitutto, l’affermazione ricorrente per cui un intervento del legislatore sul tema delle unioni civili non è affatto urgente, data l’emergenza ben più pressante della tutela dei diritti sociali, imposta dalla crisi economica. L’attuazione dei diritti fondamentali, in realtà, è sempre essenzialmente indivisibile; ogni diritto è uno specchio o un Giano Bifronte che impone responsabilità e solidarietà parallele.

Così proclama la stessa Costituzione nei Principi fondamentali, dove il riconoscimento dei diritti fondamentali, civili e sociali, all’art. 2, è associato al rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale. Il diritto all’assistenza in ospedale al partner comporta dunque, inevitabilmente, la responsabilità di provvedervi, come quello al mantenimento successivo alla cessazione della convivenza implica l’assunzione del relativo dovere.

Se legiferare sui diritti impone sempre, certamente, la prudenza e la cautela richieste dalla delicatezza delle situazioni personali coinvolte, la loro appartenenza ad una minoranza non pare liquidabile con il pretesto di un interesse generale giudicato più rilevante; il rispetto e la dignità di ogni persona, alla base del riconoscimento dei diritti civili, ne sono componenti essenziali e irrinunciabili. Con la stessa logica irragionevole si sarebbero dovute procrastinare sine die la tutela delle minoranze linguistiche o l’integrazione scolastica dei disabili, in entrambi i casi giudicate viceversa, a ragione, un ineludibile dovere costituzionale.

Da giurista mi è imposta, ancora, una collocazione della disciplina sulle unioni civili nel diritto europeo e nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo; questo non per supina imitazione di altre discipline nazionali ma perché da tempo è quello il contesto obbligato in cui situare il tema della tutela dei diritti civili e sociali, per la nostra stessa adesione alla Convenzione europea dei diritti fondamentali e al processo di integrazione europeo.

La condanna del nostro Paese da parte della Corte europea di Strasburgo, con la sentenza del 21 luglio 2015, ad attuare i diritti fondamentali alla vita privata e familiare delle coppie omosessuali, al pari di quanto hanno già fatto tutti gli altri Stati europei, è, dunque, un obbligo ineludibile, non una volubile convinzione del nostro legislatore nazionale. Se ne impone, pertanto, l’attuazione con la sollecitudine invocata anche dalla nostra stessa Corte costituzionale, senza che nessun alibi possa essere ritrovato nel nostro sistema giuridico, nazionale ed europeo.

Certamente il costituente del 1948 non aveva in mente l’unione di persone omosessuali quando scrisse l’art. 29 sulla «famiglia come società naturale fondata sul matrimonio»; l’innovazione decisiva dell’art. 29 Cost. fu quella, in realtà, di introdurre «l’uguaglianza giuridica e morale dei coniugi» per sancire il progressivo superamento, nella realtà sociale, del modello di famiglia patriarcale. E’ in ogni caso da escludersi, allo stesso modo, un’interpretazione dell’aggettivo «naturale» utilizzato dall’art. 29 in relazione alla famiglia, inteso come riferito al dato biologico della diversità dei sessi che precluda il riconoscimento dei diritti civili ad una coppia omosessuale. Come precisò Aldo Moro all’Assemblea costituente l’intenzione del legislatore costituzionale era piuttosto quella di scongiurare un’ingerenza indebita dei pubblici poteri nelle dinamiche della vita familiare, non di irrigidire il modello familiare in uno specifico dato biologico.

Il diritto regola i rapporti sociali e ne coglie, recepisce e orienta i mutamenti in atto, non dovrebbe mai imporre modelli astratti o lontani dalla realtà, pena la sua disapplicazione o irrilevanza. Ci è richiesto inoltre un grande sforzo, come cittadini e credenti, per mutare e adeguare i nostri schemi concettuali alla realtà del mutamento sociale e abbandonare quelli ormai inadatti a interpretarlo senza paure o resistenze irragionevoli che non siano effettivamente fondati su valori meritevoli di tutela.

L’universo familiare si presenta, oggi, come una realtà molto variegata riconducibile ormai con difficoltà al modello costituzionale di famiglia, se rigidamente interpretato o alla fissità dello schema convenzionale «mamma, papà, bambino/a». Vi sono convivenze di fatto, nuclei monogenitoriali con minori, coppie sterili o adottive, coniugi rimasti soli per la morte del coniuge, nuclei riformati dopo lo scioglimento di un precedente matrimonio, genitori separati e divorziati con figli e coppie omosessuali, talora con figli. A queste realtà negheremmo oggi con difficoltà, nella sostanza e nel linguaggio quotidiano, la definizione di «famiglia».

Appare quindi altrettanto inconcepibile negare a qualcuna di queste il riconoscimento dei diritti e l’imposizione delle responsabilità necessarie a garantire il rispetto e la dignità di ciascuna persona impegnata in una convivenza affettiva stabile, solo sulla base del suo orientamento sessuale. La fedeltà al dato costituzionale vigente va dunque necessariamente coniugata con il rispetto dei vincoli costituzionali europei e l’adeguamento al mutamento sociale in atto. Un’equiparazione assoluta dell’unione civile fra omosessuali al regime giuridico del matrimonio sarebbe oggi probabilmente dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale alla luce dell’attuale formulazione dell’art. 29 Cost.. Allo stesso modo, tuttavia, qualsiasi discriminazione nel riconoscimento dei diritti civili ad un’unione affettiva stabile fra persone dello stesso sesso derivante dall’orientamento sessuale sarebbe da giudicarsi, oggi, altrettanto incostituzionale. La Carta europea dei diritti fondamentali, infatti, ha eliminato il requisito della diversità dei sessi per la costruzione di un’unione affettiva stabile e ha reclamato con forza l’inammissibilità di discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale per l’insieme dei diritti e doveri diretti a disciplinarne la convivenza.

Nessun alibi ad evitare l’approvazione di tale disciplina può essere rinvenuto, infine, nel pericolo, tanto paventato, del ricorso alla maternità surrogata da parte dei partner di un’unione civile. Il suo utilizzo, peraltro praticato illegalmente, per il 98%, da coppie eterosessuali, non è in alcun modo previsto dalla disciplina in corso di approvazione ed è anzi sanzionato nel nostro Paese con la reclusione fino ai due anni, oltre che nella maggior parte dei Paesi europei. Utilizzare questo argomento logico per negare il riconoscimento dei diritti civili di una coppia omossessuale equivarrebbe ad impedire l’accesso al matrimonio a due persone di sesso diverso, per la sterilità di una o entrambe, per l’eventuale pericolo del ricorso ad una pratica illegittima di filiazione.

L’eventuale introduzione della stepchild adoption, la cd. «adozione in casi particolari» ossia la possibilità di adozione del figlio naturale del partner di un’unione civile è, giustamente, da valutare con la massima prudenza e delicatezza richieste dal rischio di assegnare una priorità ai desideri degli adulti sui diritti dei minori. A questo pericolo si cerca di far fronte, nella nuova disciplina, prevedendo una previa e rigorosa valutazione dell’ammissibilità della richiesta da parte del Tribunale dei minori, diretta ad assegnare la giusta priorità all’interesse del minore e pretendere un’adeguata capacità dei richiedenti nell’assolvere la responsabilità genitoriale.

A chi obietta, in modo condivisibile, che «ogni bambino ha diritto di crescere con un padre e una madre» secondo una logica antropologica e non ideologica, si può rispondere che questa condizione in linea di principio può venir meno o non essere possibile, per mancato riconoscimento, abbondono o morte di uno dei genitori naturali. Se infatti non sempre la sessualità coincide con la procreazione, non sempre il concepimento comporta assunzione di responsabilità genitoriale. In questa condizione, purché non artificiosamente o illegalmente precostituita allo scopo, sarebbe altrettanto ideologico negare ad un Tribunale la possibilità di valutare, con il massimo rigore possibile e nell’interesse esclusivo del minore, la capacità del convivente di assumere la responsabilità genitoriale, con i conseguenti doveri di mantenimento, assistenza e cura, solo perché di un determinato orientamento sessuale. Non bisogna trascurare, infatti, che l’assunzione di questi compiti da parte del cd. genitore sociale avverrebbe in una situazione di fatto già esistente in cui il minore avrebbe, in alternativa, un unico riferimento genitoriale ed è già stata riconosciuta, nella prassi, dai Tribunali dei minori attraverso il ricorso all’art. 44 lett. d), della legge sull’adozione.

Infine, da credente impegnata nella Chiesa locale, aggiungo che proprio il Vangelo della Misericordia imporrebbe la massima delicatezza e rispetto umano nell’affrontare temi così legati alla vita intima e affettiva delle persone e l’astensione da alcun giudizio o condanna che possa ferirne la dignità o produrre inutili sofferenze.

                                           Monica Cocconi             28 gennaio 2016

http://ilborgodiparma.net/web/index.php?option=com_content&view=article&id=1397:le-unioni-civili-tra-diritto-ed-etica&catid=13:il-palco&Itemid=34

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DALLA NAVATA

5° Domenica del tempo ordinario – anno C –7 febbraio 2016.

Isaia                  06, 08 «Poi udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò e chi andrà per noi?”. E io risposi: “Ecco, manda me!”.

Salmo                         138, 01 «Ti rendo grazie, Signore con tutto il cuore: hai ascoltato le parole della mia bocca.»

1 Corinzi        15, 10 «Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, così predichiamo e così avete creduto.»

Luca                05, 11 «E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.»

           

Commento al Vangelo di Enzo Bianchi

 Siamo sempre agli inizi della predicazione e dell’attività di Gesù e anche Luca colloca in questo esordio del ministero pubblico del profeta di Galilea la chiamata dei primi discepoli. Rispetto però al vangelo secondo Marco (cf. Mc 1,16-20), ripreso negli stessi termini da Matteo (cf. Mt 4,18-22), Luca dà una lettura più teologica della vocazione. Il racconto si arricchisce di particolari, è espresso con un’ottica diversa, sicché già qui vi è un messaggio che riguarda la teologia della chiesa. (…)

                Ormai non sono più addetti alla barca, alla pesca, al loro mestiere, ma tutte queste cose sono abbandonate per sempre sulla riva del lago. Ora è avvenuto il “sì”, l’“amen” al profeta Gesù, affidabile e dunque autorevole: vale la pena seguirlo e fondare la propria vita sulla sua parola. Luca ha utilizzato la metafora della pesca – come accade altre volte nei vangeli – per dirci una cosa semplice: quando Gesù chiama, trasforma quello che facciamo, e questa trasformazione richiede un abbandono di ciò che eravamo e una novità di vita, di forma di vita, nel futuro che si apre davanti a noi.

http://alzogliocchiversoilcielo.blogspot.it/2016/02/enzo-bianchi-commento-vangelo-7.html

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FAMILY DAY

Dopo il Family Day. La lezione del “marxista ratzingeriano”

Tra le numerose prese di posizione riguardo al ” Family Day” del 30 gennaio 2016 contro l’incombente legalizzazione in Italia delle unioni omosessuali con connessi “diritti” di adozione, ce n’è una che si è distinta su tutte: per l’autore, per il campo progressista e marxista da cui proviene e più ancora per le cose dette.

            È l’intervista al “Corriere della Sera” del 3 febbraio del professor Giuseppe Vacca, presidente dell’Istituto Gramsci, un intellettuale di cui Settimo Cielo e www.chiesa hanno già segnalato a suo tempo il singolare percorso: non resta che leggerla, l’intervista, per valutarne l’originalità. In essa il professor Vacca fa tra l’altro rimando a un’altra intervista da lui definita “molto bella”: quella del cardinale Camillo Ruini al “Corriere della Sera” del 31 gennaio, a Family Day da poco concluso:

Vacca: “la sinistra rischia la deriva nichilista”. Intervista a cura di Massimo Rebotti.

            Giuseppe Vacca è un filosofo marxista, una vita nel Partito comunista italiano e nelle sue successive declinazioni, fino al Partito democratico di cui è uno degli intellettuali più autorevoli. Nel 2012, insieme ad altre figure di riferimento della sinistra, come Mario Tronti e Pietro Barcellona, firma un documento sull’”emergenza antropologica”: si sostiene che esistono “valori non negoziabili” e si apprezza l’impegno della Chiesa, allora di Benedetto XVI, per difenderli. Ai firmatari viene affibbiata l’etichetta di “marxisti ratzingeriani”.

            Qualche anno dopo questi temi sono al centro del dibattito sulle unioni civili. Il professor Vacca ha seguito con attenzione sia il Family Day che le iniziative a favore del disegno di legge Cirinnà.

D. – Cosa pensa di chi dice che le piazze contro le unioni civili sono reazionarie?

            R. – Definire il Family Day reazionario è assolutamente improprio. Su come regolare le questioni della vita non si può applicare la coppia progresso-reazione. Quella folla esprime un modo di vedere la famiglia che appartiene a una vasta parte della società italiana.

            D. – Si sente equidistante?

R. – No. Io penso che sia un bene che la legge sulle unioni civili passi. Ma si deve risolvere il nodo della “stepchild adoption“: trovo fondate le osservazioni di chi dice che può essere un modo surrettizio per introdurre la maternità surrogata, l’utero in affitto.

D. – Hanno quindi ragione i manifestanti del Family Day?

R. – Sul punto sì, il problema c’è. Così come penso che non sia necessario declinare al plurale la famiglia, che è una. Detto questo, è necessario riconoscere le unioni civili.

D. – C’è un clima da fronti contrapposti?

R. – Direi di no. Al netto delle sigle politiche che si sono aggiunte, penso che entrambe le piazze fossero dialoganti. Chiunque giochi alla contrapposizione, sbaglia.

            D. – Un passo avanti rispetto ad altri «scontri» tra laici e cattolici?

            R. – Sì, il confronto è più maturo rispetto ai tempi dell’aborto o del divorzio. Basta guardare l’intervista, molto bella, che il cardinale Ruini ha rilasciato al “Corriere” quando ha detto che non c’è una sola modernità.

            D. – A proposito di modernità: lei ha parlato di un’”emergenza antropologica”.

R. – È un’epoca in cui ci sentiamo sottoposti a varie minacce, il discrimine tra il naturale e l’artificiale si mescola, non ci sono solo “magnifiche sorti e progressive”. È una deriva per cui, come diceva la signora Thatcher, la società non esiste ma esistono solo gli individui.

            D. – C’entra con le unioni civili?

            R. – Come si fa a dire, per esempio, che avere un figlio è un diritto? Come si può pensare di declinare tutto nella chiave della libertà individuale, come se ciò che accade prescindesse dal modo in cui si compongono le volontà e le coscienze dei gruppi umani?

            D. – Sbaglia la sinistra a fare dei diritti individuali il fulcro della sua azione politica?

R. – Assolutamente sì. La sinistra subisce una deriva nichilista, in termini marxisti la definiremmo spontaneista.

            D. – Cioè?

            R. – Non è più capace di grandi visioni sul mondo, dalle guerre ai conflitti economici. Assolve mediamente i suoi compiti nazionali, ma sui grandi scenari mostra un impoverimento culturale che genera analisi povere. Negli anni Settanta laici e cattolici hanno fatto la più bella riforma del diritto di famiglia. E dopo? Di fronte a quello che cambia su questi temi, la sinistra non ha più niente da dire? Penso al referendum sulla fecondazione assistita, quando tutto è stato ridotto a uno scontro tra fede e scienza. Insomma, il professor Veronesi è un grande medico, ma non è uno statista.

            D. – La piazza cattolica le è sembrata più consapevole dei “grandi scenari”?

            R. – Lì si è manifestato un denominatore comune, la nostra civiltà cristiana. È una grande eredità.

Sandro Magister        5 febbraio       2016                http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it

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FECONDAZIONE ARTIFICIALE

Utero in affitto da perseguire ovunque.

            Il delicato nodo nell’intricata vicenda del Ddl Cirinnà. In questi giorni di intensa discussione sulle unioni civili e il Ddl Cirinnà vi è un tema che, nonostante veli e cortine fumogene, sta emergendo come centrale e che, infatti, questo giornale indaga e propone da tempo. È la questione dell’utero in affitto, che riveste un’importanza immensa in ordine ai diritti umani e che coinvolge in maniera profonda i destini del nascituro, della madre a pagamento e dei committenti. Non c’è chi non veda che, una volta varate le unioni civili omosessuali, un numero più o meno grande di queste si rivolgerà ai Paesi in cui la maternità surrogata è legale per ‘prenotare’ un bambino. Poi si cercherà di aggirare, come del resto è già avvenuto, il divieto italiano di utero in affitto chiedendo la trascrizione del bambino come ‘proprio’ figlio.

            Sinora diverse sentenze della magistratura hanno sorvolato sulla surrogazione di maternità, affidando il bambino alla coppia che lo ha commissionato. Di fronte a una situazione di questo tipo e di questa evidente gravità, la senatrice che ha strutturato il Ddl, Monica Cirinnà, e varie altre espressioni della politica e della società civile (si veda un recente appello firmato da un gruppo di avvocati, docenti e magistrati) oppone l’idea che la questione dell’utero in affitto è e deve rimanere estranea al suddetto Ddl perché già vietata dalla legge 40\2004. Una risposta di questo genere non è fatta per tranquillizzare e sembra mirata a distogliere l’attenzione dal problema e ad evitare che si entri nel merito. Probabilmente l’orientamento a tralasciare nel Ddl la surrogazione di maternità presuppone un’accettazione della pratica. Inoltre esso può prefigurare obliquamente future iniziative legislative per portare alle nozze omosessuali e al riconoscimento del ‘diritto al figlio’ comunque ottenuto. Una legge sulle unioni civili improntata a giustizia non può nascondersi dietro interessati silenzi, che finiscono per trasmettere l’idea che non ci si voglia realmente opporre all’utero in affitto.

            La legge dovrebbe includere rigorose misure per sanzionare la pubblicità a favore della maternità surrogata, l’intermediazione praticata da agenzie e cliniche, e i fruitori stessi della pratica. L’utero in affitto va considerato come un crimine contro la persona (della madre surrogata e del bambino prenotato) e un reato universale da perseguire ovunque (come sollecita anche il documento varato martedì scorso dai partecipanti al Convegno internazionale promosso dal movimento femminista all’Assemblea Nazionale di Parigi): l’aspetto più appariscente, ma tutt’altro che unico, di questa pratica schiavistica è l’introduzione del mercato capitalistico nell’area delicatissima della generazione umana. Emendamenti in merito sono stati presentati da un gruppo di senatori dem, ma nell’attuale bagarre non si sa che esito avranno. Anche l’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani, aveva fatto cenno a un «divieto rafforzato» dell’utero in affitto, senza peraltro specificare in che senso. Il direttore di questo giornale in dialogo con esponenti politici e della società civile ha invece sottolineato la necessità di un «divieto insuperabile» che d’ora in poi scoraggi totalmente quello che definisce un «commercio disumano».

            A mio avviso, tale divieto dovrebbe significare due cose: aumentare le sanzioni per la pratica ovunque messa in atto, e vietare la trascrizione in Italia del nato da utero in affitto. Su questi e altri aspetti vitali del Ddl non poco dipenderà dalle dinamiche in corso entro il Pd. In merito il capogruppo Luigi Zanda ha informato che presto il partito indicherà i temi su cui sarà permessa la libertà di coscienza. Nonostante l’espressione non sia tra le più felici, si può confidare che l’area in cui essa verrà esercitata sia la più ampia possibile, sino a coinvolgere non solo singoli emendamenti, ma il voto finale, considerata l’estrema importanza e delicatezza della posta in gioco.

.           prof. Vittorio Possenti                       avvenire            6 febbraio 2016

www.avvenire.it/Commenti/Pagine/UTERO-IN-AFFITTO-DA-PERSEGUIRE-OVUNQUE-.aspx

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Papa: vera giustizia è il perdono, Dio vuole salvare tutti

Dio non cerca mai la condanna di un peccatore ma la sua salvezza, perché “la giustizia di Dio è il perdono”. Il pensiero-cardine del Pontificato di Francesco è stato ripetuto durante la catechesi dell’udienza generale in Piazza San Pietro, dedicata al rapporto tra giustizia e misericordia.

(…)      Per redimere un colpevole la giustizia umana lo condanna e lo punisce, quella divina lo comprende e lo perdona. Quello che sulla terra appare del tutto inconciliabile – il diritto scritto nei codici non si basa sull’esercizio della misericordia – è invece legge nel cielo perché, afferma in modo limpido Papa Francesco, “la giustizia di Dio è il perdono”.

Il tribunale della coscienza. La catechesi tenuta in Piazza San Pietro si addentra in un ambito in partenza ostico. Chi amministra la giustizia, spiega Francesco, lo fa in modo “retributivo”, infliggendo cioè una pena al colpevole. Ma questa strada, osserva, “non porta ancora alla vera giustizia perché in realtà non vince il male, ma semplicemente lo argina”. “Vera giustizia”, sostiene il Papa, è invece quella di Dio, che risponde al male “con il bene”. Una giustizia che non passa per il tribunale ma si appella alla coscienza del colpevole, “per invitarlo alla conversione, aiutandolo a capire che sta facendo il male”: “E questo è bello: la persuasione. Questo è male, questo è così… Il cuore si apre al perdono che gli viene offerto. È questo il modo di risolvere i contrasti all’interno delle famiglie, nelle relazioni tra sposi o tra genitori e figli, dove l’offeso ama il colpevole e desidera salvare la relazione che lo lega all’altro. Non tagliare quella relazione, quel rapporto”. (…).

Alessandro De Carolis                      Notiziario Radio vaticana – 3 febbraio gennaio 2016

http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

Testo integrale                http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2016/documents/papa-francesco_20160203_udienza-generale.html

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GENITORI

                                             In Cassazione la responsabilità dei genitori.

                   Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 439, 29 gennaio 2016

La Corte di legittimità, modificando un consolidato orientamento, afferma la ricorribilità per Cassazione provvedimenti in materia di decadenza e limitazione della responsabilità genitoriale, rivisitandone la natura.

Il caso riguarda un minore affidato alla nonna paterna, in forza di una pronuncia del Tribunale minorile che disponeva la decadenza della responsabilità genitoriale della madre, stabilendo un regime di frequentazione con i nonni materni. Questi ultimi lamentando che non fosse stato mantenuto l’affidamento condiviso provvisoriamente previsto tra tutti i nonni, chiedevano maggiori tempi di permanenza con il minore. La Corte d’Appello riformava parzialmente la pronuncia, prevedendo più ampia frequentazione tra il minore e i nonni materni.

            Avverso tale statuizione, proponeva ricorso in Cassazione la nonna affidataria. Nell’argomentare sull’ammissibilità del ricorso, la Corte afferma alcuni importanti principi relativi ai procedimenti sulla responsabilità genitoriale. Richiamando l’univoco e pressoché granitico orientamento in ossequio al quale si tendeva ad escludere la ricorribilità per Cassazione dei provvedimenti ablativi e limitativi della responsabilità genitoriale, la Suprema Corte ripercorre alcune cruciali e già note premesse, giungendo a conclusioni innovative.

Rammenta che tali statuizioni, legate a diritti-doveri personali e personalissimi, sarebbero di prassi provvisorie in quanto fasi di un procedimento non concluso, restando sovente pendente o sopito fino al compimento della maggiore età del minore e, per loro natura non definitive, potendo essere revocate o modificate indipendentemente dall’insorgenza di circostanze nuove e, dunque, insuscettibili di passare in giudicato o comunque di divenire irrevocabili, trascorso il termine di impugnazione.

Tuttavia, aprendo un varco a una soluzione differente (non applicata al caso concreto, trattandosi di provvedimenti provvisori), si ammette che, qualora il giudice, nell’emettere un simile provvedimento si spogli definitivamente della giurisdizione sulla questione, trascorsi i termini per l’impugnazione, esso diventi definitivo e irrevocabile, salvo la sopravvenienza di fatti nuovi, analogamente a quanto accade per i provvedimenti relativi ai figli in sede di giudizio separativo. Per quanto nei procedimenti in esame sia preminente un’attività di controllo del giudice sulla responsabilità genitoriale, orientato al preminente interesse del minore, con le recenti riforme la procedura camerale che lo caratterizza ha acquisito forti profili contenziosi e la circostanza viene posta in luce come elemento che accomuna simili giudizi agli altri procedimenti afferenti i minori.

            Ancora più significativo è l’iter argomentativo a mezzo del quale la Corte fornisce una lettura coerente del passaggio delle competenze al giudice ordinario disposto dall’articolo 38 disposizioni attuative, dei procedimenti limitativi della responsabilità genitoriale e dei provvedimenti conseguenti ad una pronuncia di decadenza, in pendenza di giudizi separativi in genere. Sarebbe contraddittorio – secondo i giudici di legittimità – considerare definitivi i provvedimenti relativi ai figli resi in un procedimento di separazione in genere e non altrettanto quelli limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale resi nella medesima pronuncia. Una proclamazione di parità: analoga natura può dirsi riconosciuta a tutti i provvedimenti concernenti i minori.          Marina Florio                                    il sole 24 0re                                   3 febbraio 2016

Testo   www.edotto.com/download/corte-di-cassazione—sentenza-n-1743-del-29-gennaio-2016

www.oua.it/NotizieOUA/scheda_rassegna.asp?ID=17144

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GENITORI OMOSESSUALI

Adozioni omosessuali, il numero uno dei pediatri: “Non si escludono danni ai figli”

Allarme del presidente della Società italiana di pediatria Giovanni Corsello: “Convivere con due genitori dello stesso sesso può avere ricadute negative sui processi di sviluppo psichico e relazionale nell’età evolutiva”. È l’allarme lanciato dalla Società italiana di pediatria, secondo cui, come spiega il presidente Giovanni Corsello, la discussione sulle unioni civili e la stepchild adoption “dovrebbe comprendere anche i profili clinici e psicologici del bambino e dell’adolescente. Non si può infatti escludere che convivere con due genitori dello stesso sesso abbia ricadute negative sui processi di sviluppo psichico e relazionale nell’età evolutiva”. “La maturazione psicologica di un bambino – spiega Corsello – si svolge lungo un percorso correlato con la qualità dei legami affettivi all’interno della famiglia e con i coetanei. La qualità delle relazioni umane e interpersonali, nonché il livello di stabilità emotiva e la sicurezza sociale di un bambino, sono conseguenze di una maturazione psicoaffettiva armonica. Studi e ricerche cliniche hanno messo in evidenza che questi processi possono rivelarsi incerti e indeboliti da una convivenza all’interno di una famiglia conflittuale, ma anche da una famiglia in cui il nucleo genitoriale non ha il padre e la madre come modelli di riferimento”, aggiunge il presidente Sip. “Quando si fanno scelte su temi di così grande rilievo sociale, che incidono sui diritti dei bambini a crescere in sistemi protetti e sicuri, non possono essere considerati solo i diritti della coppia o dei partner, ma va valutato l’interesse superiore del bambino”. Corsello però ci tiene a sottolineare che “ogni caso andrebbe esaminato tenendo conto dell’individualità biologica e psicologica” del minore, in modo da “gestire singole situazioni al meglio. Questa tematica si presta poco a un inquadramento legislativo di carattere solo ideologico e politico”, ribadisce lo specialista. Se legge deve essere, per il pediatra “bisognerebbe che la normativa prevedesse in modo chiaro la necessità di tener conto delle peculiarità di ogni singolo caso”

 La repubblica on line                       3 febbraio 2016  (in seguito ritirato)

Un’affermazione che riaccende il dibattito intorno alla legge Cirinnà. “Vivere in una famiglia senza la figura materna o paterna potrebbe danneggiare il bambino”. Ad affermarlo in un primo momento è stato il presidente della Società italiana di pediatria Giovanni Corsello: “La discussione sulle unioni civili e la stepchild adoption dovrebbe comprendere anche i profili clinici e psicologici del bambino e dell’adolescente. Non si può infatti escludere che convivere con due genitori dello stesso sesso abbia ricadute negative sui processi di sviluppo psichico e relazionale nell’età evolutiva”. Che poi rettifica, aggiungendo: “Mi riferivo sia alle famiglie etero che omosessuali”.

“La maturazione psicologica di un bambino – spiega Corsello – si svolge lungo un percorso correlato con la qualità dei legami affettivi all’interno della famiglia e con i coetanei. La qualità delle relazioni umane e interpersonali, nonché il livello di stabilità emotiva e la sicurezza sociale di un bambino, sono conseguenze di una maturazione psicoaffettiva armonica. Studi e ricerche cliniche hanno messo in evidenza che questi processi possono rivelarsi incerti e indeboliti da una convivenza all’interno di una famiglia conflittuale, ma anche da una famiglia in cui il nucleo genitoriale non ha il padre e la madre come modelli di riferimento”, aggiunge il presidente Sip. “Quando si fanno scelte su temi di così grande rilievo sociale, che incidono sui diritti dei bambini a crescere in sistemi protetti e sicuri, non possono essere considerati solo i diritti della coppia o dei partner, ma va valutato l’interesse superiore del bambino”.

Raggiunto al telefono da Repubblica.it Corsello si è spiegato meglio: “Il mio voleva essere un contributo positivo al dibattitto, non una presa di posizione pro o contro la stepchild adoption. Era solo per dire che la priorità è la salute psicologica del bambino e la legge deve considerare prima di tutto questo. Instabilità e conflittualità in famiglia, sia esso etero che omosessuale, possono avere ripercussioni negative sullo sviluppo del bambino. Così come la percezione della diversità coi suoi coetanei. È questo l’aspetto a cui mi riferisco quando parlo di ricerche e studi: come l’equilibrio della famiglia e la percezione che il bambino ne ha all’esterno, quando si relaziona coi coetanei, influenza la sua crescita psicologica. Non volevo mettere in correlazione danni allo sviluppo e famiglia gay però non li escluderei nemmeno. Vorrei sottolineare che ogni caso è a sé, che la conflittualità può svilupparsi o no: va analizzato ogni singolo caso, non è una posizione ideologica, è una sollecitazione a chi fa le leggi a tenere conto di ogni situazione”.

Agnese Ananasso  la Repubblica on line                  3 febbraio 2016

www.repubblica.it/politica/2016/02/03/news/unioni_civili_figli_pediatri-132643266

 

Il pediatra: “Ogni caso va valutato singolarmente”

Tre ore dopo il vespaio di polemiche sollevato dalle sue frasi su presunte “evidenze scientifiche” contro le adozioni da parte di omosessuali, assicura di “non essere contrario” tout court alla stepchild adoption. Eppure le sue dichiarazioni hanno scatenato la reazione anche della senatrice a vita e ricercatrice Elena Catteneo: “Parole insensate”. Ma il presidente della Società italiana di pediatria, Giovanni Corsello, da un lato corregge il tiro, dall’altro ribadisce: “Vivere in una famiglia senza la figura materna o paterna potrebbe avere delle conseguenze negative”.

Professore, davvero crescere in una coppia omosessuale potrebbe creare danni allo sviluppo del bambino?

“Ogni caso va valutato singolarmente. Non ci sono studi scientifici che dimostrano che un bambino non può crescere bene in una famiglia con componenti dello stesso sesso. Ma ci sono studi che dimostrano che la crescita di un bambino e la sua maturazione psicologica e affettiva dipende dal contesto familiare ma anche dal confronto con i coetanei. Una sensazione di diversità per chi cresce in una coppia gay può essere causa di sofferenza o ansia nel bambino e nell’adolescente. Non si può escludere che avere genitori dello stesso sesso sia causa di diversità e di sviluppo non perfettamente regolare”.

Quindi lei è contrario all’adozione di bambini da parte di famiglie omosessuali?

“Io sono favorevole a un meccanismo che consenta le adozioni in situazioni che sono già consolidate da tempo e che quindi vedono il minore in piena armonia con la coppia. Per me va bene la stepchild adoption, ma nel caso di nuove adozioni prevederei dei meccanismi di valutazione più stringenti”.

Più stringenti di quelli attuali?

“Sì, serve una valutazione alternativa e molto attenta. Occorre valutare bene per la crescita del minore”.

Nella sua esperienza ha vissuto casi di disagi di bambini in famiglie omosessuali?

“Mi è capitato di assistere a un disagio del minore non tanto nel nucleo familiare ma nel suo rapportarsi con gli altri. Sentendosi diverso e quindi chiudendosi in se stesso. L’impatto con gli altri è importante nella crescita di un bambino”.

Scusi, ma non ci possono essere anche in famiglie etero delle situazioni di sofferenza?

“Certo, ci sono situazioni devastanti. Le conflittualità esistono anche nelle famiglie etero e i bambini vanno supportati con aiuti psicologici. Ma in quei casi le dinamiche hanno altre radici “.

Quindi lei cosa propone?

“C’è bisogno di una norma di legge che consideri le situazioni nella loro individualità per quanto riguarda le coppie gay, con dei passaggi intermedi che valutino l’evoluzione del percorso fino all’adozione. Il mio vuole essere soltanto un contributo per migliorare la norma. Io non sono contro le adozioni gay

Di opinione diametralmente opposta è Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria, che sottolinea come ci siano studi e ricerche che affermano esattamente il contrario: “Su questo tema si stanno ancora raccogliendo dati ed è quantomeno prematuro esprimere opinioni scientifiche su situazioni sociali molto recenti. Ciò che conta è valutare la capacità affettiva dei genitori, la capacità di accogliere e seguire la crescita dei bambini, creando un ambiente sicuro, sereno e protettivo. E questo non dipende certo dal ‘genere’ dei genitori. Mentre è dimostrato – questo invece è sicuro – che nelle famiglie ‘etero’ possono prodursi danni nella psiche dei bambini quando il rapporto tra i genitori è in crisi”. Mencacci evidenzia inoltre che spesso sono proprio le basi su cui viene elaborata una ricerca a non essere: “Quasi tutti gli studi prodotti finora partono con un gap: vogliono dimostrare la validità di una testi piuttosto che di un’altra. E quindi non sono affidabili”.

Dello stesso parere la senatrice a vita e accademica Elena Cattaneo: “Numerosi studi scientifici affermano il contrario di quanto affermato da Corselli. Come quello dell’American Academy of Pediatrics del 2006, secondo cui i bambini cresciuti da genitori dello stesso sesso si sviluppano come quelli cresciuti da genitori eterosessuali. Affermazione fondata a seguito delle osservazioni condotte direttamente su un campione di famiglie omogenitoriali. Infine, relativamente alle preoccupazioni del dottor Corsello sulla necessità di valutare caso per caso le condizioni di adottabilità del minore, ricordo che l’articolo 5 del disegno di legge Cirinnà non fa altro che estendere la possibilità di adozione coparentale disciplinata dalla legge 184 del 1983 al genitore sociale. Legge che prevede già il passaggio dal Tribunale dei minori che vaglia la sussistenza dei legami affettivi necessari per procedere all’adozione da parte del partner, sempre e comunque nell’interesse predominante del minore”.

L’associazione Famiglie Arcobaleno ricorda quanto detto due anni fa dal presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologici, Fulvio Giardina: “Non è certamente la doppia genitorialità a garantire uno sviluppo equilibrato e sereno dei bambini, ma la qualità delle relazioni affettive. Da tempo infatti la letteratura scientifica e le ricerche in quest’ambito sono concordi nell’affermare che il sano e armonioso sviluppo dei bambini e delle bambine, all’interno delle famiglie omogenitoriali, non risulta in alcun modo pregiudicato o compromesso. La valutazione delle capacità genitoriali stesse sono determinate senza pregiudizi rispetto all’orientamento sessuale e affettivo. Bisogna garantire la tutela dei diritti delle famiglie omogenitoriali al pari di quelle etero senza discriminazioni e condizionamenti ideologici.

Antonio Fraschilla e Romina Marceca           la Repubblica on line            4 febbraio 2016

www.repubblica.it/cronaca/2016/02/04/news/giovanni_corsello_avere_genitori_dello_stesso_sesso_causa_diversita_-132713485/?ref=search

 

Adozioni da parte di coppie gay: i bambini crescono meglio o peggio?

            Crescere ed educare un figlio in una coppia omosessuale è come crescerlo ed educarlo in una coppia eterosessuale? Ci sono più implicazioni positive o negative? L’argomento è molto controverso e diciamo subito non esistono studi certi che supportano la causa omosessuale.

Tutt’altro. Ma proviamo a fare chiarezza su questo argomento basandoci su una serie di studi scientifici.

            Il documento dell’accademia di pediatria. In un articolo su Corriere.it (4 aprile 2013), lo psichiatra Vittorio Lingiardi cita un documento dell’American Academy of Pediatrics del 20 marzo 2013, secondo cui crescere con genitori gay non danneggia la salute psicologica del bambino. Conta l’amore. E allora non parliamo di “etero” e “omo”, ma di “genitori”. Il documento, oltre a ribadire le conclusioni di una ricerca pubblicata nel 2006 («adulti coscienziosi e capaci di fornire cure, siano essi uomini o donne, etero o omosessuali, possono essere ottimi genitori»), afferma che, «nonostante le disparità di trattamento economico e legale e la stigmatizzazione sociale», trent’anni di ricerche documentano che l’essere cresciuti da genitori lesbiche e gay non danneggia la salute psicologica dei figli e che «il benessere dei bambini è influenzato dalla qualità delle relazioni con i genitori, dal senso di sicurezza e competenza di questi e dalla presenza di un sostegno sociale ed economico alle famiglie».

http://27esimaora.corriere.it/articolo/si-cresce-bene-anche-con-genitori-gayecco-i-risultati-di-30-anni-di-ricerche/

            Nove riferimenti pieni di contraddizioni. Lo psicologo e psicoterapeuta Roberto Marchesini, che ha già spiegato i limiti di questo documenti per Le Manif, Scienza e Vita e Studi Cattolici, chiarisce ad Aleteia: «La “considerevole mole di letteratura professionale” che l’American Academy of Pediatrics fornisce a sostegno della sua posizione si limita purtroppo a soli nove riferimenti».

Il primo è una ricerca empirica nella quale genitori gay e lesbiche raccontano la loro esperienza con il sistema pediatrico. Il secondo e il terzo sono due amicus brief dell’American Psychological Association (nel linguaggio giudiziario statunitense, si tratta di un saggio sull’argomento del contendere offerto spontaneamente al tribunale da qualcuno che non è parte in causa. In questi casi l’American Psychological Association ha offerto due saggi in sostegno, rispettivamente, di una madre lesbica alla quale era stata negato l’affidamento della figlia e di un padre gay al quale la moglie voleva impedire le visite del figlio alla presenza del compagno)

Il quarto è un articolo nel quale gli autori, dopo aver dichiarato che «sfortunatamente, la ricerca ha tuttora delle limitazioni, tra le quali campioni di piccole dimensioni, selezione di soggetti non casuale, una gamma ristretta di contesti socioeconomici e razziali e la mancanza di follow-up longitudinali», rivendicano l’assenza di differenze tra genitori omosessuali ed eterosessuali.

            Il quinto riferimento bibliografico è una rassegna che l’autrice, la dottoressa Fiona Tasker, dedica a due studi britannici. Il primo compara campioni molto piccoli, utilizzando il metodo controverso delle interviste semi-strutturate Secondo la stessa Tasker, «gli esiti delle interviste sono sempre oggetto di critiche di parzialità a causa di effetti di presentazione di sé», e «considerate le piccole dimensioni del campione, differenze relativamente sottili tra i due tipi di famiglia posso essere andate perdute». Nel secondo studio il campione è più ampio ma costituito su base volontaria e dunque non rappresentativo della popolazione. Se poi aggiungiamo l’utilizzo delle interviste semi-strutturate e la correlazione positiva tra l’autostima dei bambini e la presenza del padre, è piuttosto azzardato credere che «i bambini nati da madri lesbiche non divergono né nello sviluppo psicologico, né nello sviluppo di genere rispetto a bambini cresciuti in famiglie eterosessuali».

            Il sesto riferimento è una rassegna delle ricerche della dottoressa Charlotte Patterson curata da lei stessa; inoltre la dottoressa Patterson è nota per essere una attivista lesbica, convivente con la sua compagna con la quale ha allevato tre figli. Delle tre ricerche la prima è senza gruppo di controllo; la seconda attinge il campione dalla Banca dello Sperma in California (la stessa autrice ammette che «le donne che concepiscono bambini alla Banca dello Sperma generalmente hanno sia un alto grado di istruzione che una buona disponibilità di denaro»); la terza si basa su resoconti di 44 madri lesbiche conviventi con un gruppo di controllo costituito da 44 madri conviventi eterosessuali. La conclusione è prudente: «Qualunque correlazione possa esistere tra gli esiti dei bambini e l’orientamento sessuale dei genitori, è meno importante di quella tra i risultati dei bambini e la qualità della vita famigliare».

            Il settimo riferimento è un libro nel quale l’autrice intervista genitori omosessuali e figli di genitori omosessuali.

            L’ottavo è una rassegna di studi condotta dalla dottoressa Cheryl Parks. Dopo aver analizzato 17 ricerche sulla genitorialità lesbica, conclude che i soggetti di questi studi sono tipicamente «giovani, bianche, di classe sociale medio-alta, di elevata istruzione, residenti in aree urbane e aperte circa la loro sessualità»; in altri termini, i campioni non sono rappresentativi della popolazione.

Il nono ed ultimo riferimento è un Technical Report (TR) firmato dalla dottoressa Ellen Perrin. Queste le contraddittorie conclusioni: «I campioni piccoli e non rappresentativi presi in considerazione e l’età relativamente giovane della maggior parte dei bambini suggeriscono qualche riserva. Tuttavia, il peso delle prove raccolte nel corso di diversi decenni usando diversi campioni e metodologie è convincente nel dimostrare che non vi è alcuna differenza sistematica tra genitori gay e non gay per salute emotiva, capacità genitoriali, e atteggiamenti nei confronti della genitorialità»

La dottoressa Sharon Quick ha criticato il TR sostenendo che le affermazioni contenute nel documento non sono confortate dai riferimenti scientifici forniti. Infine, va segnalata una presa di posizione dell’American College of Pediatricians che critica le affermazioni dell’American Academy of Pediatrics. I membri del consiglio dell’American College of Pediatricians hanno inviato alla redazione di Pediatrics una lettera nella quale contestano le affermazioni a favore dell’omogenitorialità.

Lo studio dell’associazione di psicoanalisi. Nell’articolo su Corriere.it, Lingiardi cita anche l’American Psychoanalytic Association (APA) secondo cui «è nell’interesse del bambino sviluppare un attaccamento verso genitori coinvolti, competenti, capaci di cure e di responsabilità educative. La valutazione di queste qualità genitoriali dovrebbe essere determinata senza pregiudizi rispetto all’orientamento sessuale». Nel 2005 l’American Psychological Association ha pubblicato un corposo documento intitolato Lesbian & gay parenting, di cui la dottoressa Patterson ha curato una rassegna di studi e afferma: «in conclusione, sostiene, non esistono prove che suggeriscano che donne lesbiche e uomini gay siano inadatti come genitori o che lo sviluppo psicologico di bambini di donne lesbiche o uomini gay sia compromesso relativamente in confronto a quello di figli di genitori eterosessuali. Non una sola ricerca ha dimostrato che figli di lesbiche o gay siano svantaggiati in qualsiasi aspetto significativo rispetto a bambini di genitori eterosessuali. In realtà, le prove fino a oggi raccolte suggeriscono che l’ambiente famigliare fornito da genitori gay e lesbiche ha la stessa probabilità di sostenere e consentire lo sviluppo psico-sociale dei bambini rispetto a quello fornito da genitori eterosessuali».

            «Questa affermazione – ribatte Marchesini – abbastanza lapidaria, desta stupore. I figli di coppie omosessuali, infatti, o sono adottivi o sono figli di un precedente matrimonio; e la ricerca ha rilevato differenze significative tra coppie sposate, coppie conviventi e coppie separate per quanto riguarda il benessere dei bambini. Come è possibile che l’orientamento omosessuale dei genitori adottivi o separati e di madri che hanno concepito tramite tecniche di procreazione medicalmente assistita azzeri tali effetti?». La rassegna citata da Patterson è scientificamente non credibile, osserva Marchesini, per diverse ragioni. 1) La bibliografia di Patterson include ben 8 tesi di laurea non pubblicate, cioè non verificabili; 2) nessuna delle ricerche citate dall’APA ha un numero di soggetti sufficiente per prenderne in considerazione gli esiti: solo 7 ricerche su 67 hanno un campione superiore ai 100 individui (c’è anche una ricerca che ha solo 5 soggetti); 3) nella maggior parte dei casi lo strumento utilizzato è l’intervista o il questionario aperto somministrato ai genitori; in pochi casi sono stati utilizzati strumenti più oggettivi; 4) la maggior parte degli studi in esame (64 su 67, il 95,5%) non utilizza un campione rappresentativo: quasi tutti hanno un campione di volontari. Solo 2 ricerche hanno un campione rappresentativo.

E fuoriesce un risultato paradossale, in particolar modo sulla prima: il dottor Sarantakos, basandosi su un campione rappresentativo, ha analizzato lo sviluppo di 58 bambini cresciuti da coppie omosessuali, 58 bambini cresciuti da coppie eterosessuali non sposate e 58 bambini cresciuti da coppie eterosessuali sposate. Sarantakos ha scoperto che le competenze cognitive, valutate in modo oggettivo dagli insegnanti, decrescono in modo significativo passando dai figli di coppie eterosessuali sposate, a quelli di coppie eterosessuali conviventi a quelli di coppie omosessuali. «Tuttavia, Patterson – evidenzia Marchesini – ignora completamente questa ricerca, adducendo due sconcertanti motivazioni: 1) i risultati di Sarantakos sono “anomali” rispetto alla totalità delle ricerche accumulate sull’argomento e 2) Children Australia è una rivista regionale che non è molto conosciuta al di fuori dell’Australia”.

            Tra le ricerche presentate da Patterson per l’APA, chiosa lo psicologo, «quante rispettano i requisiti minimi per giustificare l’affermazione “non una sola ricerca ha dimostrato che figli di lesbiche o gay siano svantaggiati in qualsiasi aspetto significativo rispetto a bambini di genitori eterosessuali”? In conclusione, il materiale presentato è ben lungi dal sostenere l’affermazione contenuta nel documento APA».

            Lo studio australiano. Ancora più limitato è uno studio, etichettato da Il Post.it (luglio 2014) come il più grande mai realizzato al mondo sull’argomento – secondo cui i figli e le figlie di genitori dello stesso sesso hanno un maggior stato di salute e benessere rispetto alla media dei loro coetanei. Lo studio è stato condotto a partire dal 2012 da un gruppo di ricercatori dell’università di Melbourne, in Australia, su 315 genitori (80 per cento donne, 18 per cento uomini e 2 per cento di altro genere) e su 500 bambini tra zero e diciassette anni, con l’obiettivo di misurare il loro stato di salute, ossia il loro benessere fisico, mentale e sociale. Lo studio si basa sulla definizione di “salute” data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, intesa non semplicemente come “assenza di malattia o infermità”. Secondo Marchesini la ricerca australiana – che presentava nell’abstract questa affermazione: “Bambini in famiglie omogenitoriali hanno avuto punteggi più elevati nelle misure di comportamento generale, salute generale e coesione familiare rispetto a normative popolazione dati” – come la stragrande maggioranza delle ricerche condotte in questo campo, anche questa presenta dei difetti tali da invalidarne i risultati:

1) il campione non è casuale, ma “auto-selezionato” tra soggetti militanti;

2) il campione ha genitori con maggiori disponibilità economiche e una istruzione superiore ai genitori del gruppo di controllo;

3) lo studio non confronta bambini cresciuti da coppie omosessuali con bambini cresciuti in famiglie tradizionali (ossia con un gruppo di controllo selezionato con caratteristiche simili al campione), ma con la popolazione generale che contiene bambini allevati in famiglie tradizionali, bambini orfani, adottati, con genitori separati e divorziati;

4) i risultati non sono stati ottenuti tramite strumenti oggettivi, ma tramite valutazioni date dai genitori (che, lo ricordiamo, hanno partecipato a questa ricerca come volontari e appartenenti alla militanza omosessualista).

«Nonostante questo – sentenzia Marchesini – la ricerca ha avuto un importante eco sui media nazionali con titoli enfatici e fasulli. Peraltro questo non è certo “il più grande studio mai realizzato sui figli delle coppie gay”: ad esempio, Regnerus ha 3.000 soggetti, Sullins 512».

                Limiti comuni. In effetti ciò che accomuna le ricerche sulla comparazione tra figli di famiglie omogenitoriali e famiglie eterosessuali è un’approssimazione che vuol tenere a giustificare l’equiparazione. Una serie di limiti che vengono ben rilevati in rassegna da Costanza Stagetti, su aquaviva2000.com (2004). E sono: controversie metodologiche come ammette la stessa Patterson; numero insufficiente di campioni; appena la ricerca si fa approfondita, subito risaltano le differenze tra i due tipi di genitorialità; la mancanza di campioni casuali; la mancanza di anonimato dei partecipanti alla ricerca; una falsa rappresentazione di sé (la mancanza di campionamento casuale e l’assenza di controlli che garantiscano l’anonimato fanno sì che i soggetti  presentino al ricercatore un’immagine fuorviante che si conforma alle opinioni del soggetto).

Messaggi preoccupanti. Sul fronte opposto sono altrettanto numerosi gli studi che attestano le differenze comportamentali tra figli di famiglie eterosessuali e figli di famiglie omosessuali. R. Green in Archives of Sexual Behavior ha scoperto che i pochi studi sperimentali che includevano un numero di campioni anche solo modestamente più alto (13-30) di maschi e femmine educati da genitori omosessuali «hanno rilevato differenze di sviluppo statisticamente significative fra bambini allevati da genitori omosessuali in confronto a quelli allevati da genitori eterosessuali Ad esempio, i bambini educati da omosessuali hanno un maggiore incoraggiamento dai genitori nello scambio dei ruoli di genere e una maggiore inclinazione al travestitismo».

Daniel Potter ha rilevato che i figli cresciuti da coppie omosessuali hanno risultati scolastici peggiori rispetto ai figli di genitori sposati e conviventi, di genitori risposati, divorziati, soli, vedovi o conviventi non sposati. Ma il principale studio sull’argomento è quello del sociologo Mark Regnerus, dell’Università del Texas: una ricerca che ha coinvolto 3.000 giovani dai 18 ai 39 anni. Tra questi, 175 erano figli di donne coinvolte in una relazione omosessuale e 73 figli di uomini nella stessa condizione. Questo campione è stato confrontato con un gruppo di controllo formato da figli di genitori sposati e conviventi, figli adottivi, figli di separati, figli di genitori risposati, figli di genitori soli.

Questi gli esiti: «Le differenze, a quanto pare, erano numerose. Per esempio, 1) il 28% dei figli adulti di donne che hanno avuto relazioni omosessuali sono attualmente disoccupati, contro l’8% di quelli provenienti da famiglie con un papà e una manna sposati. 2) Il 40% dei primi ammette di aver avuto una relazione durante il matrimonio o la convivenza, rispetto al 13% dei secondi. 3) Il 19% dei primi hanno dichiarato di essere attualmente o di essere stati recentemente in psicoterapia per problemi connessi con l’ansia, la depressione o problemi relazionali, contro l’8% dei secondi. E queste sono solo tre delle 25 differenze emerse».

«Si tratta di una ricerca unica – rileva Marchesini – tra quelle sull’argomento, per l’ampiezza del campione e il rigore scientifico; tuttavia, lo studio di Regnerus (così come il suo autore) è stato pesantemente attaccato dagli attivisti omosessualisti. Sostanzialmente, allo studio di Regnerus vengono mosse due critiche.

La prima è quella di essere cattolico e di essere stato finanziato da due fondazioni conservatrici; tuttavia, la maggior parte delle ricerche sui figli di persone con tendenze omosessuali (e sull’omosessualità in genere) sono state condotte da ricercatori gay e finanziate da associazioni omosessualiste, ma nessuno se n’è mai lamentato». La seconda, prosegue lo psicologo, «è quella di aver utilizzato figli di genitori coinvolti in una relazione omosessuale anziché figli cresciuti in coppie omosessuali. Regnerus si è giustificato dicendo che tra i 3.000 ragazzi intervistati pochissimi hanno affermato di essere cresciuti da una coppia omosessuale

Il blogger gay Scott Rose ha addirittura accusato Regnerus di aver falsificato i dati della ricerca, chiedendo all’Università del Texas di istituire una inchiesta; l’ateneo ha risposto in questo modo: «La ricerca è stata gestita in modo coerente con la politica universitaria, ed è anche in linea con i requisiti normativi federali che regolano le indagini sulla cattiva condotta nella ricerca».

            Gelsomino Del Guercio                     Aleteia                        4 febbraio 2016

http://it.aleteia.org/2016/02/04/adozioni-omosessuali-coppie-gay-studi-risultati

           

Cosa succede, sul piano psicologico, a un bambino che cresce in una famiglia omogenitoriale?

E’ una questione molto attuale che si pone spesso di questi tempi, parlando di diritti delle coppie omosessuali e di unioni civili. Generalmente, due genitori dello stesso sesso che convivono ed hanno uno o più figli tenderanno naturalmente a dividersi i ruoli, in modo piuttosto simile a quanto accade in una coppia uomo-donna, cosicché l’uno si ritroverà a ricoprire prevalentemente un ruolo materno, e l’altro, uno più paterno.

            Nel tempo, tenderanno a consolidarsi dinamiche relazionali legate ai bisogni affettivi del bambino, per cui ognuno dei due partner rivestirà, in base alla sua propensione naturale, un ruolo più normativo e rivolto all’ambiente esterno o, viceversa, uno più protettivo e di accudimento, rivolto al mondo interno. Una complementarietà di ruoli che risulta fondamentale per una sana crescita e per la corretta costruzione dell’identità personale del minore.

            La questione, tuttavia, si pone anche su un piano sociale, laddove il bambino si trova ad interagire con i suoi pari e, anche in base al contesto di appartenenza, può sentirsi diverso e discriminato dagli altri. In casi come questi, le coppie omogenitoriali tendono spesso ad attivarsi per creare un ambiente il più possibile facilitante e quanto più favorevole possibile all’inserimento dei propri figli, magari frequentando altri nuclei familiari simili o realtà scolastiche con una visione più ‘aperta’.

            Un’altra domanda che spesso si pone è se un piccolo, che cresce in famiglie omogenitoriali, tenderà naturalmente a seguirne il modello proposto, sviluppando, a sua volta, un orientamento omosessuale. A questo proposito, possiamo dire che un minore cresciuto in un contesto omogenitoriale tenderà ad intraprendere il proprio percorso di vita e a definire il proprio orientamento sessuale, partendo da un bagaglio di conoscenze maggiore, riguardante sia il mondo etero che quello omo. In adolescenza, tra l’altro, non è raro che il giovane, ribellandosi (come naturalmente accade) all’autorità familiare, valorizzi reattivamente il mondo etero e ne assuma le attitudini.

            L’equilibrio psicologico che spesso si riscontra nei figli delle cosiddette ‘famiglie arcobaleno’ (confermato da diversi studi scientifici) può derivare, almeno in parte, anche dalla maggior attenzione e sensibilità che queste coppie dedicano al benessere psicologico dei propri figli, alle prese con i pregiudizi del mondo esterno. Si tratta di coppie che attivano molte risorse nel costruire un equilibrio familiare il più possibile solido, nonostante gli ostacoli esterni e questo fa sì che la loro sensibilità ai bisogni dei figli sia un po’ più elevata rispetto alle cosiddette ‘famiglie tradizionali’.

            I nuclei omogenitoriali sono una realtà ancora piuttosto recente nel nostro Paese rispetto ad altri. L’attuale confronto sulle unioni civili, la stepchild adoption, l’adozione da parte di coppie omosessuali e l’utero in affitto divide fortemente l’opinione pubblica, in parte non ancora pronta a ‘mettersi al passo coi tempi’ e ad accettarne gli inevitabili cambiamenti (come l’appena concluso ‘Family Day’ ci dimostra). Al giorno d’oggi ci sono diverse forme inedite di famiglia: quelle arcobaleno, monogenitoriali, allargate, ricomposte, adottive e ci sentiamo tutti un po’ disorientati di fronte a tanta variabilità. Ecco perché è fondamentale conoscere queste realtà (considerando che il pregiudizio si nutre della paura per il diverso), prima di esprimere qualsiasi giudizio.

            In questo campo non esistono certezze assolute ma solo ipotesi, e anche la psicologia si adegua, utilizzando i vari studi e l’esperienza in campo clinico per avanzare considerazioni. Le famiglie omogenitoriali sono una realtà sempre più diffusa in molti Paesi e non è possibile arrestare il corso degli eventi. E’ importante dunque lavorare per contrastare quei pregiudizi che potrebbero realmente interferire con il corretto sviluppo di questi bambini. Qualsiasi scelta va fatta sempre nel loro preciso interesse.

            dr Laura Tirloni, psicologa – psicoterapeuta a Milano                     4 febbraio 2016

            www.lasaluteinpillole.it/news_salute/cosa-succede-sul-piano-psicologico-a-un-bambino-che-cresce-in-una-famiglia-omogenitoriale.asp

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NULLITÀ MATRIMONIALI

Quando le nozze sono nulle Un vademecum sulla riforma.

Il sussidio applicativo pubblicato dalla Rota Romana. Ora non ci sono più alibi. La riforma dei processi di nullità matrimoniale, decisa dal Motu proprio del Papa lo scorso settembre, può decollare in modo definitivo.

La svolta di Francesco, decisa per tradurre in indicazioni coerenti la volontà da parte della Chiesa di abbracciare le famiglie ferite in una prospettiva di verità nella misericordia, dispone da ieri di un nuovo strumento tecnico per chiarire i dubbi residui. Una sorta di vademecum che mette nero su bianco tutto quello che c’ è da sapere sulla riforma. È stato infatti pubblicato dal Tribunale apostolico della Rota Romana, il “Sussidio applicativo del Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus“. Una settantina di pagine suddivise in tre capitoli oltre a corpose appendici che hanno lo scopo di rispondere a tutte le possibili difficoltà «concernenti i modi, i tipi, le persone, le figure» riguardante i due processi, quello breve e quello ordinario. Il testo si rivolge agli addetti ai lavori con un linguaggio tecnico-giuridico, e rimanda per quanto non esplicitato all’ articolato del Motu proprio e al “Rescritto” sulla stessa riforma diffuso, sempre a firma di papa Francesco, lo scorso 11 dicembre2015.

Il primo capitolo affronta i capisaldi della riforma, a cominciare dalla centralità del vescovo. Si ribadisce che l’ordinario è figura insostituibile nell’ amministrazione della giustizia canonica, che ha facoltà di erigere un tribunale diocesano, oppure di aderire a un tribunale interdiocesano. Ma si parla anche della «sinodalità del servizio pastorale della giustizia». Vuol dire che il vescovo esercita la sua funzione in rete con altre figure per esempio i vescovi della metropolia o della regione ecclesiastica utilizzando il supporto dei vicari giudiziali. Per quanto riguarda i processi brevi, il vescovo è giudice ma per istruire il processo si serve degli esperti a sua disposizione. Il vademecum approfondisce le modalità delle altre procedure, sottolinea ancora una volta la gratuità dei processi per i fedeli e mette in luce l’urgenza di costituire in ogni diocesi un Servizio giuridico-pastorale per le persone separate o divorziate in nuova unione. L’ ufficio, che deve nascere nell’ ambito della pastorale familiare diocesana, ha come obiettivo quello di accompagnare i fedeli che, alla luce di un fallimento, vogliono verificare la nullità del proprio matrimonio.

L’ approccio, si ribadisce, deve essere pastorale in una prospettiva di accoglienza e di misericordia. Ma chi svolgerà questo servizio? Naturalmente persone che sono in grado di offrire competenze giuridiche, pastorali e teologiche in modo armonico. Quindi parroci con preparazione specifica, laici formati per questo scopo, ma anche strutture più complesse. Nell’ incontro organizzato una decina di giorni fa dall’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della famiglia alla presenza dei delegati regionali, è stato proposto a questo riguardo di verificare la possibilità di coinvolgere la rete dei Consultori familiari che oggi già in parte assicurano le competenze richieste dal testo applicativo del Motu proprio.

Di grande rilevanza il capitolo del Sussidio che offre indicazioni pratiche sul modo di interpretare gli «indizi di nullità». Si spiega che questi “indizi” non sono di per sé capi di nullità, ma devono sempre essere sostenuti da testimonianze e documenti probanti. Anche gli “indizi” all’ apparenza più clamorosi, come l’aborto procurato o la mancanza di fede, rimangono «elementi sintomatici di invalidità» se non sono suffragati da altre circostanze. Nel discorso rivolto alla Rota Romana il 22 gennaio 2016 scorso, il Papa aveva ricordato il caso della mancanza di fede che, come attesta la giurisprudenza classica, non costituisce di per sé elemento di nullità. Anche il vademecum specifica che l’invalidità del matrimonio si concretizza quando la fede debole determina un difetto nella volontà. Se chi si sposa rifiuta, per esempio, il principio dell’indissolubilità o manifesta la volontà di non avere figli, contraddice la natura del matrimonio cristiano e quindi pone le premesse per l’invalidità delle nozze. Altro «indizi di nullità» esaminato dal nuovo Sussidio è per esempio «l’ostinata permanenza di una relazione extraconiugale al tempo delle nozze».

                                  Luciano Moia  Avvenire pagina 12    4 febbraio 2016.

www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/Quando-le-nozze-sono-nulle–Un-vademecum-sulla-riforma-.aspx

www.iuscanonicum.it/sussidio-della-rota-sullapplicazione-del-mitis-iudex/

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OMOFILIA

Gay, numeri e sensazioni: l’Istat precisa e sorprende.

Gentile direttore, in merito all’ articolo “Bimbi adottabili.

Non 100mila ma appena 500″, pubblicato il 27 gennaio 2016 da “Avvenire”, l’Istat precisa quanto segue.

newsUCIPEM n. 582, pag.4

            Secondo i dati raccolti nel 2011 in occasione del Censimento generale della popolazione, le coppie dello stesso sesso sono 7.513; i risultati si riferiscono solamente a quelle che così si sono dichiarate. Il questionario censuario prevedeva, infatti, che persone dello stesso sesso conviventi in coppia potessero dichiararsi come tali. Dai risultati emersi riteniamo che molte persone abbiamo preferito non dichiararsi nonostante le raccomandazioni dell’Istat sulla piena tutela della privacy. Oltre alle informazioni di fonte censuaria nell’ articolo sono citati, anche se non esplicitamente, dati relativi all’ indagine Istat “La popolazione omosessuale nella società italiana” del 2012.

Anche in questo caso i dati raccolti non possono essere considerati come indicativi della effettiva consistenza della popolazione omosessuale nel nostro Paese. Pertanto, non è corretto dedurre il numero reale dei figli di coppie omosessuali in Italia utilizzando le fonti Istat sopra citate.

Patrizia Cacioli direttore della comunicazione Istat

Prendiamo atto che l’Istat, confermando la correttezza dei numeri citati anche da noi (oltre che dall’ agenzia “Redattore Sociale” e da altre testate), dichiara la non piena attendibilità dei dati censuari e statistici che gestisce e divulga e giudica opportuno formalizzare “sensazioni” («riteniamo che molte persone abbiamo preferito»). È la prima volta che ci capita di leggere una precisazione di questo tenore da parte dell’Istituto nazionale di statistica: restiamo increduli, nonché francamente sorpresi e preoccupati. (Marco Tarquinio)

Avvenire         3 febbraio 2016          pagina 2          www.avvenire.it/Lettere/Pagine/gay-istat.aspx

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ONLUS NON PROFIT

Semplificazioni in materia di sicurezza e infortuni sul lavoro       

Il D.Lgs. 151/2015 (art. 20) apporta diverse modifiche al D.Lgs. 81/2008, che costituisce il Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (di seguito T.U.).

            (…) Anche per i volontari, compresi, tra l’altro, i volontari del servizio civile, delle associazioni di promozione sociale, delle associazioni sportive dilettantistiche, nonché i volontari delle associazioni religiose e dei programmi internazionali di educazione non formale (queste ultime due categorie prima non erano espressamente previste), l’applicazione del T.U. è limitata alle predette misure dell’art. 21 T.U. Si introduce però l’obbligo di informazione sui rischi specifici dell’ambiente di lavoro e sulle relative misure di prevenzione e protezione quando essi si trovino ad operare nell’ambito di un’organizzazione di un datore di lavoro; quest’ultimo estenderà, inoltre, l’obbligo di valutare, eliminare e prevenire i cd. rischi da interferenze anche tenendo conto delle interferenze tra l’attività dei volontari e quelle ordinariamente svolte da dipendenti ed altri collaboratori. (…)

Gli ulteriori interventi riguardano:

— eccetto che negli specifici casi di aziende a rischio previste dal T.U. (art. 34, co. 6), è sempre ammesso lo svolgimento diretto, da parte del datore di lavoro, dei compiti di primo soccorso, di prevenzione incendi e di evacuazione (prima del D.Lgs. 151/2015, tale facoltà era limitata alle imprese o unità produttive fino a 5 lavoratori). Resta fermo l’obbligo di preventiva formazione;

— nel concetto di «operatore», ai fini delle misure in materia di attrezzature di lavoro», è compreso anche il datore di lavoro che ne fa uso;(…)

Lpt                  3 febbraio 2016

www.laleggepertutti.it/110398_semplificazioni-in-materia-di-sicurezza-e-infortuni-sul-lavoro

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                                                                  PARLAMENTO

Senato Assemblea      Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili Unioni Civili

Nella seduta di martedì 2 febbraio 2016 l’Assemblea ha respinto le questioni pregiudiziali e sospensive sui disegni di legge in materia di unioni civili (Ddl 2081 e connessi), illustrate nella seduta antimeridiana di giovedì 28 gennaio. L’esame dei Ddl proseguirà fino all’11 febbraio. Sono stati presentati 6.104 emendamenti.

Come si legge nel comunicato di seduta, il Capo I del Ddl (articoli da 1 a 10) introduce l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale; disciplina le modalità per la costituzione delle unioni civili e ne delinea le cause di impedimento; definisce diritti e doveri derivanti dall’unione; estende alle parti le disposizioni in materia di diritti successori dei coniugi; permette alla parte dell’unione civile di ricorrere all’adozione non legittimante nei confronti del figlio naturale dell’altra parte; disciplina lo scioglimento dell’unione.

Il Capo II (articoli da 11 a 23) definisce la convivenza di fatto; stabilisce doveri di reciproca assistenza, diritti di permanenza nella casa comune di residenza, l’obbligo di mantenimento in caso di cessazione; parifica i diritti del convivente superstite a quelli del coniuge superstite; enuncia le cause di nullità del contratto di convivenza

Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e        disciplina delle convivenze

            2 febbraio 2016          seduta 569      estratto

GIOVANARDI- Signor Presidente, intervengo sulle nostre quattro questioni pregiudiziali (…)

Il primo problema è che il testo arriva all’esame dell’Aula dopo che l’articolo 72 della Costituzione è stato stracciato dalla Presidenza. Il testo in discussione è stato presentato al Senato il 6 ottobre, assegnato alla Commissione giustizia; il 12 ottobre la relatrice Cirinnà ha svolto la relazione; ci siamo iscritti a parlare come senatori, ma nessuno di noi è potuto intervenire, quindi l’esame in Commissione non è neanche cominciato. Il giorno dopo la Conferenza dei Capigruppo lo ha calendarizzato per l’Assemblea e dal 14 ottobre la Commissione giustizia è stata esautorata, tanto che il Presidente ha dovuto comunicare che il provvedimento sarebbe andato all’esame dell’Aula senza relatore. Poi dal 14 ottobre fino al 28 gennaio il testo non è stato esaminato dalla Commissione, che non poteva più farlo. (…)

PRESIDENTE. Senatore Giovanardi, si interrompa un momento e recupereremo questo tempo. Prego i senatori di fare silenzio o di accomodarsi fuori per perseguire le loro conversioni.

[Interessante il lapsus: …di accomodarsi fuori per perseguire le loro conversioni.]

GIOVANARDI (…) Qui i termini sono stati azzerati e non c’è stato neanche un minuto di tempo in Commissione per esaminare il provvedimento, come impone l’articolo 72 della Costituzione. Se verrà respinta la nostra richiesta di far tornare il provvedimento in Commissione, presenteremo nei prossimi giorni un conflitto d’attribuzione presso la Corte costituzionale, per la lesione senza precedenti, in sessanta anni di storia del Senato, delle prerogative costituzionalmente garantite dalla Commissione.

Il secondo riguarda la lesione dell’articolo 29 della Costituzione. (…), ma nei giorni scorsi i Presidenti o Vice Presidenti emeriti della Corte costituzionale Flick, Mirabelli, Chieppa, Santosuosso, De Siervo, Maddalena e Napolitano hanno tutti autorevolmente firmato appelli o rilasciato interviste, in cui si dice che il testo presentato in Assemblea confligge direttamente con l’articolo 29 della Costituzione, perché le unioni civili tra uomo e uomo o tra donna e donna si sovrappongono, richiamando le norme del codice civile, al matrimonio previsto dalla Costituzione. La Corte costituzionale ci ha chiesto di applicare l’articolo 2 della Costituzione, sulle formazioni sociali, e non di creare un matrimonio di serie B. Quindi, i maggiori costituzionalisti italiani hanno bollato questo testo come incostituzionale.

Passo dunque al terzo motivo di incostituzionalità, che abbiamo presentato: se passa questa legge avremo il matrimonio tra uomo e donna, regolato dall’articolo 29 della Costituzione, avremo le unioni civili, esclusivamente tra uomo e uomo o tra donna e donna, con la reversibilità e tutti i privilegi del matrimonio, avremo le convivenze eterosessuali, regolate dalla seconda parte della legge Cirinnà, che valgono solo per gli eterosessuali non sposati. Quindi i due uomini o le due donne avranno diritto alla pensione di reversibilità, ma la famiglia di fatto, magari con due figli, non avrà tale diritto, che è previsto solo per le coppie omosessuali. Esiste poi una quarta categoria, costituita dalle coppie di fatto, che non fanno le convenzioni, né le unioni civili, e che avranno la protezione che la giurisprudenza già assegna a quel tipo di coppie. Avremo poi le coppie che vivono in una situazione di solidarietà, ma non sulla base di un rapporto d’amore, prendiamo ad esempio il caso della convivenza tra due vedove, che pure hanno diritto a veder regolati tali rapporti, e poi avremo i single. Dunque avremo creato un codice civile a fette, diviso in sei parti, e i magistrati dovranno districarsi in questo ginepraio di norme. Dunque, invece di parificare i diritti di tutti, invece di dare a tutti i non sposati la possibilità di fruire di diritti per l’assistenza, l’ospedale, l’affitto, la casa o la successione nell’impresa, si stabiliscono diverse categorie, l’una diversa dall’altra, in base alla situazione in cui si trovano.

Un’ultima cosa, forse la più importante di tutte, che attiene alla pregiudiziale di costituzionalità è che questo disegno di legge apre la strada alla compravendita di bambini e noi diciamo che i bambini non si comprano. Oggi una coppia uomo-uomo, può andare all’estero e portarsi a casa un bambino fatto con l’utero in affitto, e se il padre vero, quello biologico, muore, il tribunale, secondo l’articolo 44, lettera a), in vigore, può dare in adozione il bambino al partner superstite, anche se non è il padre, perché si può accertare che ci sia un carattere stabile di affetto fra i due. Se passa invece il disegno di legge presentato dalla senatrice Cirinnà, chiunque, spendendo 80.000, 100.000 o 120.000 euro, va a procurarsi l’ovocita con una selezione eugenetica in alcuni Paesi che garantiscono che la persona sia bianca, bella, alta, sana, naturalmente con contratti che prevedono l’aborto se le cose vanno male. Poi si prende una donna del terzo mondo o in Ucraina, che per disperazione e per povertà è costretta a vendersi, e dopo nove mesi questo bambino viene strappato alla madre, programmato come orfano, portato in Italia da due uomini che, se passa il disegno di legge Cirinnà, un minuto dopo chiedono l’adozione e diventano genitore 1 e genitore 2: un’infamia nei confronti delle donne che vengono sfruttate; un’infamia nei confronti dei bambini privati del diritto che il Comune di Roma, su iniziativa della senatrice Cirinnà, ha dato ai cani e ai gatti dei canili, a cui non possono essere portati via i cuccioli per almeno quattro mesi perché mancherebbe loro l’affetto della madre. Questo e quanto capiterà con questo testo. (…) All’Assemblea costituente, quando l’articolo 2 prevedeva che si garantivano i diritti dei singoli e delle formazioni sociali, Moro, Amendola, la Iotti e Fanfani presentarono un emendamento che diceva: non i diritti dei singoli e delle formazioni; loro sostenevano di non riconoscere il diritto del sindacato o del patronato o del partito, bensì i diritti dei singoli nelle associazioni; quindi i diritti di due soggetti che vogliono fare un’unione civile o di un uomo e di una donna che vogliono fare queste convenzioni, i diritti dei due singoli nella formazione sociale; non c’è il diritto della formazione sociale. L’articolo 2 venne emendato, la Costituente approvò la modifica e le formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell’individuo. E questo ci ha chiesto di fare la Corte costituzionale con la sentenza n. 10, affermando che, neanche con la più grande fantasia del mondo un Parlamento, se non si modifica l’articolo 29, può attribuire il matrimonio se non esclusivamente a un uomo e a una donna. Purtroppo il disegno di legge Cirinnà sconvolge la Costituzione e quello che la Corte costituzionale ci ha detto di fare.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=964262

3 febbraio 2016 seduta 570

 www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=964302

                         seduta 571

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=964345

4 febbraio 2016 seduta 572

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=964397

                       

Mirabelli: Ddl Cirinnà in contrasto con la Costituzione.

In Italia, riprenderà martedì prossimo 9 febbraio 2016 al Senato il dibattito sulle unioni civili. Intanto, 40 senatori hanno proposto un ricorso alla Corte Costituzionale. A loro avviso, il disegno di legge Cirinnà ha violato l’articolo 72 della Carta, secondo cui ogni Ddl deve essere esaminato prima in Commissione e, successivamente, in aula parlamentare.

Intervista al presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli:

R. – Il vizio che viene indicato, se è un vizio di legittimità costituzionale della legge, dovrebbe essere prospettato e sollevato successivamente alla sua approvazione. Se viene presentato questo ricorso, un primo scoglio è quello dell’ammissibilità del ricorso stesso, dell’ammissibilità di un conflitto tra poteri per quel che riguarda l’esercizio di funzioni parlamentari all’interno dell’organo parlamentare al quale appartengono. Mi pare sia piuttosto un atto di denuncia politica in forme preannunciate giurisdizionali, che non un atto reale di avvio di una procedura dinanzi alla Corte.

D. – Quindi, lei interpreta questo ricorso di 40 senatori alla Corte Costituzionale più come un atto politico che non giuridico-costituzionale.

R. – Certamente denuncia se non una irregolarità, una qualche debolezza nel percorso, perché tutto il lavoro che l’assemblea ora è chiamata a fare si sarebbe svolto con molta maggiore efficacia nella Commissione. E in Commissione i lavori avrebbero consentito una partecipazione più diretta, più efficace dei diversi componenti. Viene denunciata la inosservanza di una disciplina costituzionale e, in qualche modo, ancorata ai regolamenti parlamentari.

D. – Durante il dibattito in aula sul disegno di legge Cirinnà per le unioni civili, ci sono molti riferimenti alla Costituzione italiana là dove si parla di famiglia naturale fondata sul matrimonio. Per alcuni, questa sarebbe un’affermazione da parte della Costituzione vaga che non chiuderebbe ad altre forme di convivenza. Lei cosa ne pensa? Che interpretazione le dà?

R. – Questo è un altro problema ed è un problema reale del distacco che questa disciplina prefigurata dal disegno di legge in discussione ha rispetto al modello costituzionale. Qui abbiamo due punti fermi. La Corte Costituzionale in precedenti sentenze, con molta chiarezza, ha stabilito che occorre una disciplina delle convivenze, delle unioni civili, perché si tratta di formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità degli individui e quindi sotto questo aspetto hanno un rilievo e una protezione nella Costituzione. Ma si tratta di realtà del tutto diverse rispetto al matrimonio che l’art. 29 considera fondamento della famiglia e non possono essere disciplinate in maniera omologa, non possono essere assimilate al matrimonio. Il disegno di legge si discosta da questa impostazione, perché sostanzialmente rinvia alla disciplina del Codice civile relativa al matrimonio e ne fa quasi una fotocopia. E lo fa anche con delle norme di chiusura nelle quali si identifica la posizione del partner dell’unione civile a quella del coniuge, dovunque sia prevista nella legge. Questo con effetti anche specificamente enunciati per quello che riguarda l’adozione. Sotto questo profilo della coerenza del disegno di legge, nel testo attuale, nel testo che ora è in discussione, con la Costituzione c’è un fortissimo dubbio – dal mio punto di vista una svalutazione di certezza – di un distacco, di un contrasto con l’impianto costituzionale, con il disegno costituzionale.

Luca Collodi   Notiziario Radio vaticana – 5 febbraio 2016          http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

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PATERNITÀ

La mia ragazza è incinta e non voglio riconoscere il bambino.

Sto per avere un figlio da una ragazza con cui ho avuto un rapporto occasionale: devo per forza disconoscere il figlio oppure posso raggiungere un accordo con la madre per cui lei si occuperà di tutto e non mi chiederà mai nulla?

            Innanzitutto va detto che il solo fatto che nasca un figlio fuori dal matrimonio non fa presumere automaticamente la paternità in capo all’uomo con cui la madre abbia avuto una relazione occasionale; è necessario, invece, da parte di uno o di entrambi i genitori, di un atto formale: il cosiddetto riconoscimento.

            Qualora l’uomo non riconosca il figlio, anche grazie all’accondiscendenza tacita della donna, potrebbe un giorno essere comunque convenuto nel giudizio di riconoscimento della paternità, promosso dal figlio stesso divenuto ormai maggiorenne.

            Inoltre, l’eventuale patto tra i genitori, secondo cui la madre rinuncia al mantenimento per il figlio, è privo di effetti. Difatti entrambi i genitori, anche se non sposati, sono tenuti al mantenimento del figlio finché questi non diventi autosufficiente (il che potrebbe voler dire anche dopo molto tempo dal compimento della maggiore età). Sicché, anche in tal caso, qualora l’uomo si disinteressi di fornire alla donna, in qualità di madre, gli alimenti, potrebbe essere un giorno citato dal figlio maggiorenne in un’azione civile di risarcimento del danno volta ad ottenere un indennizzo per le prestazioni non erogate negli anni pregressi.

            Sono numerose, infatti, le sentenze che attribuiscono alla prole il diritto al risarcimento del danno nei confronti del padre che, dopo aver messo incinta la propria compagna, è scomparso senza né riconoscere il figlio, né versare un contributo mensile in denaro per il suo mantenimento. Il risarcimento è volto da un lato a compensare i figli per l’assenza affettiva della figura paterna (cosiddetto danno non patrimoniale o morale), dall’altro a rimborsare alla madre le spese da questa sostenute per il sostentamento della prole (danno patrimoniale).

            Oltre all’azione civile di risarcimento del danno, il figlio potrebbe agire anche in via penale per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare. Ecco perché il padre è comunque tenuto a contribuire con la madre al mantenimento del figlio, versandole un assegno mensile che, in caso di mancato accordo tra le parti, viene determinato dal giudice. È bene precisare che l’assegno viene riconosciuto solo per il mantenimento del figlio e non anche della madre. L’assegno alla madre, infatti, scatta solo nei casi di matrimonio e successiva separazione, tutte le volte in cui la donna possiede un reddito insufficiente a mantenere lo stesso tenore di vita che aveva durante la convivenza coniugale.

            In ultimo è bene precisare che non sarebbe neanche valido un accordo tra padre e madre naturali che preveda, in capo al primo, il pagamento di un’unica somma iniziale a totale tacitazione di ogni pretesa presente o futura di lei o dei figli (la cosiddetta una tantum). In buona sostanza, l’uomo non può versare alla ex compagna un importo, con questa concordato, in un’unica soluzione e “a saldo e stralcio”. Il suo dovere di mantenimento deve essere periodico e, soprattutto, rapportato alle esigenze del figlio che non possono essere predeterminabili né nell’importo (si pensi a un bambino più cagionevole di salute che abbia bisogno di continue spese mediche) né nella durata nel tempo (si pensi al ragazzo che stenta a trovare collocazione nel mondo del lavoro anche dopo gli studi).

Come va effettuato il riconoscimento del figlio naturale? Il riconoscimento, che consiste nella dichiarazione fatta da uno o da entrambi i genitori che una data persona è proprio figlio naturale, può essere operato:

  1. nell’atto di nascita;
  2. con apposita dichiarazione posteriore alla nascita o al concepimento resa davanti all’ufficiale di stato civile;
  3. con atto pubblico;
  4. con un testamento in qualsiasi forma redatto.

Il riconoscimento può essere effettuato soltanto da chi abbia compiuto i sedici anni, ed è efficace nei confronti di un figlio ultrasedicenne soltanto se vi è l’assenso di questi.

            In quali casi è ammessa l’azione di disconoscimento della paternità? Con l’azione di disconoscimento della paternità si mira a far cadere la presunzione di paternità del marito. L’azione è consentita solo nei seguenti casi:

  1. se i coniugi non hanno coabitato nel periodo compreso fra il trecentesimo e il centottantesimo giorno prima della nascita;
  2. se durante il tempo predetto il marito era affetto da impotenza, anche soltanto di generare;
  3. se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la sua gravidanza e la nascita del figlio.

La sola dichiarazione della madre non esclude la paternità. Legittimati ad agire sono:

  • il padre, entro un anno dalla nascita, se si trovava nel luogo in cui è avvenuta, o dal giorno del suo ritorno nel luogo della nascita o della residenza familiare;
  • la madre, entro sei mesi dalla nascita, o nell’ipotesi di impotenza solo di generare del marito dal momento in cui è venuta a conoscenza dell’impotenza stessa;
  • il figlio, entro un anno dalla maggiore età o dal momento della conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento se è avvenuta dopo il compimento dei 18 anni;
  • un curatore speciale nominato dal giudice su istanza del figlio minore che abbia compiuto i 16 anni.

In caso di accoglimento dell’azione, il figlio risulta figlio naturale riconosciuto dalla madre

Redazione LPT                      3 febbraio 2016

www.laleggepertutti.it/110406_la-mia-ragazza-e-incinta-e-non-voglio-riconoscere-il-bambino

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SCIENZA&VITA

Organigramma dell’Associazione.

Il Consiglio Esecutivo dell’Associazione Scienza & Vita ha varato all’unanimità le nomine delle cariche associative che ne completano l’assetto.‎        

Presidente: Paola Ricci Sindoni

Vicepresidenti: Carlo Bellieni, Paolo Marchionni

Tesoriere: Daniela Notarfonso

Segretario: Emanuela Vinai

Consiglieri nazionali: Luciano Eusebi, Maurizio Faggioni, Alberto Gambino, Emanuela Lulli, Chiara Mantovani, Felice Petraglia, Dario Sacchini, Giacomo Samek Lodovici.

“Ringrazio tutti i Consiglieri per la loro disponibilità”, commenta la Presidente nazionale Paola Ricci Sindoni – “continueremo a lavorare proseguendo un cammino formativo e informativo sui temi che interpellano le coscienze, coinvolgono l’antropologia e incidono sulla società.

Comunicato stampa n. 205    3 febbraio 2016

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SEPARAZIONE

Accordi di separazione agevolati

Corte di cassazione con la sentenza n. 2111 3 febbraio 2016.

Volontà dei coniugi sempre più rilevante in materia di separazione. Tanto da rendere necessario un ripensamento del perimetro dei benefici tributari per gli atti di disposizione immobiliare in esecuzione di un accordo. Il cambiamento è fatto proprio dalla Corte di cassazione. La pronuncia rappresenta il primo intervento della Corte di cassazione in merito al nuovo istituto, la negoziazione assistita, introdotto da poco più di anno con un’applicazione peculiare in materia di diritto di famiglia.

Un istituto che ora la Corte considera determinante e indice di un cambiamento di clima. Le nuove disposizioni infatti, contenute nel decreto legge n. 132 del 2014, rappresentano un punto di svolta, «drasticamente riducendo l’intervento dell’organo giurisdizionale in procedimenti tradizionalmente segnati da vasta area di diritti indisponibili legati allo status coniugale ed alla tutela della prole minore». Così nell’ambito di un pacchetto di misure di degiurisdizionalizzazione, viene di fatto, sottolinea la Cassazione, attribuito al consenso tra i coniugi un valore «ben più pregnante rispetto a quello che, anche a seguito dell’introduzione del divorzio a domanda congiunta delle parti, aveva pur sempre indotto unanimemente dottrina e giurisprudenza ad escludere che nel nostro ordinamento giuridico potesse avere cittadinanza il cosiddetto divorzio consensuale».

            Del resto si tratta di una linea non episodica, visto che la Cassazione mette in relazione le misure sulla negoziazione assistita da avvocati su separazioni, divorzi e modifica delle condizioni degli stessi con quelle sul “divorzio breve” che dalla primavera scorsa hanno drasticamente ridotto a 12 mesi e 6 mesi, a seconda delle condizioni, il tempo di ininterrotta separazione consensuale richiesto per ottenere il divorzio. Ma il medesimo provvedimento ha anche previsto lo scioglimento della comunione tra i coniugi nel momento in cui il presidente autorizza i coniugi a vivere separati.

            Tutti elementi questi che servono a rafforzare la tesi che riconduce nell’ambito delle condizioni della separazione tutti gli accordi che prevedono atti che comportano trasferimenti patrimoniali da uno all’altro coniuge o a favore dei figli. Una sorta cioè di carattere di negoziazione globale che la coppia in crisi attribuisce al momento della liquidazione del rapporto coniugale. In questo contesto gli accordi vengono ad assumere i connotati di «contratti della crisi coniugale», la cui causa è proprio quella di definire in maniera non conflittuale e definitiva la crisi.

            E allora, decidendo l’estensione delle misure di esenzione fiscale previste dall’articolo 19 della legge n. 74 del 1987, la Corte è del parere che deve essere riconosciuto carattere di negoziazione globale «a tutti gli accordi di separazione che, anche attraverso la previsione di trasferimenti mobiliari o immobiliari, siano volti a definire in modo tendenzialmente stabile la crisi coniugale, destinata a sfociare, di lì a breve, nella cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario o nello scioglimento del matrimonio civile, cioè in un divorzio non solo prefigurato, ma voluto dalle parti».

            Non ha più diritto di cittadinanza quindi, ai fini dell’esenzione, ed è questa la conclusione innovativa della Cassazione, la distinzione tra atti stipulati in occasione della separazione e del divorzio e atti relativi al procedimento di separazione e divorzio. 

Giovanni Negri                      il Sole 24 ore  4 febbraio 2016

http://www.oua.it/NotizieOUA/scheda_rassegna.asp?ID=17172

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SEPARAZIONE E DIVORZIO

Separazione e mantenimento: come conoscere i redditi dell’ex coniuge.

Tar Sicilia, sezione Catania, Sentenza n. 29, 13 gennaio 2016.

L’Agenzia delle Entrate deve inviare al coniuge che chiede di conoscere i redditi dell’ex le dichiarazioni di tre annualità e tutte le comunicazioni; non basta esibire solo il quadro Rn con i redditi complessivi. In caso di separazione, la guerra dei coniugi sul mantenimento si gioca soprattutto con le dichiarazioni dei redditi di entrambi e, in caso di sospetto di utili nascosti al fisco, con le indagini della polizia tributaria delegate dal giudice. Ma se il soggetto interessato a ottenere i dati reddituali dell’ex non dispone della documentazione necessaria per dimostrare il tenore di vita di quest’ultimo, la richiesta può essere rivolta all’Agenzia delle Entrate che deve garantire all’interessato all’accesso all’anagrafe tributaria, il maxi database del fisco che consente di sapere tutto di tutti. Il chiarimento proviene da una recente sentenza del Tar Sicilia, che ha riconosciuto il diritto dell’uomo a conoscere le entrate della ex moglie onde verificare quale fosse la sua effettiva condizione di reddito e, quindi, ottenere uno sconto sull’assegno di mantenimento.

            Massima trasparenza: la pubblica amministrazione deve garantire ai cittadini la consultazione telematica delle proprie banche dati, in particolar modo quelle collegate a dichiarazioni dei redditi e conti correnti, in modo da consentire la tutela giudiziaria dei diritti. Anche nelle cause di separazione e divorzio. Il tutto entro trenta giorni, senza dunque aspettare che sia il giudice civile a disporre indagini della Finanza in corso di causa. E ciò perché il coniuge convenuto in giudizio ha un interesse diretto ad accedere ai documenti in possesso delle Entrate in base alla legge sulla trasparenza amministrativa [L. n. 241/1990 come modificata dalla 15/2005].

            In forza di tale principio, un marito ha ottenuto dall’Agenzia delle Entrate le dichiarazioni dei redditi della ex moglie degli ultimi tre anni e tutte le comunicazioni all’anagrafe tributaria che la riguardavano.

            Il fisco – si legge in sentenza – non può limitarsi a mandare per posta elettronica certificata al difensore del coniuge il semplice riepilogo dei redditi complessivi dell’altro coniuge, contenuti nei quadri Rn dei modelli Unico. L’accesso parziale ai dati fiscali non basta perché la domanda di esibizione dei documenti corrisponde a una situazione giuridicamente tutelata e collegata agli atti per i quali è richiesto l’accesso all’amministrazione finanziaria.

            Così di fronte alla domanda di mantenimento per moglie e figlia, il marito ha diritto di conoscere punto per punto le entrate della donna. E viceversa: se l’uomo sostiene di non avere redditi per mantenere la moglie, quest’ultima può verificare le effettive consistenze patrimoniali del marito chiedendo un resoconto dettagliato all’Agenzia delle Entrate.

            Ciascun coniuge, a difesa del proprio diritto a ottenere il mantenimento o a non versarne uno eccessivamente elevato, deve poter accedere alle comunicazioni inviate da tutti gli operatori finanziari all’anagrafe tributaria, sezione archivio dei rapporti finanziari, relative ai rapporti continuativi, alle operazioni di natura finanziaria e ai rapporti di qualsiasi genere, riconducibili all’ex.

            Lo stesso dicasi per la possibilità di accedere all’anagrafe dei conti correnti, contenente l’indicazione di tutti i depositi posseduti dal coniuge.

            Come si presenta la domanda di accesso. Ciò che può fare l’interessato, senza dover necessariamente proporre richiesta al giudice nel corso del giudizio, è presentare una istanza di accesso agli atti amministrativi all’Agenzia delle Entrate, la quale ha l’obbligo di rispondere entro 30 giorni. La domanda si presenta in carta esente da bolli e consegnata a mani, con raccomandata a.r. o con posta certificata. In caso di mancato riscontro o di diniego è possibile proporre opposizione al Tar. In alternativa si può fare richiesta di accesso all’Anagrafe tributaria, depositando istanza al Presidente del Tribunale con cui si chiede la possibilità di verifica telematica dei redditi dell’ex coniuge. In realtà tale ultima possibilità viene riservata nel caso successivo al giudizio, in cui si debba procedere ad esecuzione forzata.

Redazione       Lpt                  2 febbraio 2016

www.laleggepertutti.it/110423_separazione-e-mantenimento-come-conoscere-i-redditi-dellex-coniuge

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

Congresso nazionale 2016 ad Oristano.

Il prossimo congresso si terrà in Sardegna, a Oristano, da venerdì 2 a domenica 4 settembre 2016.

Sono invitati gli operatori dei consultori familiari pubblici e del privato sociale e quanti si interessano della famiglia e dei servizi a lei dedicati.

Il congresso tratterà della “Famiglia crocevia di differenze e il ruolo che il consultorio può assumere sia sotto il profilo gestionale che educativo”.

A breve sarà reso noto il programma definitivo.

L’assemblea dei consultori Soci dell’Unione si terrà venerdì 2 settembre 2016.

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UNIONI CIVILI

Unioni civili, cosa prevede il Ddl Cirinnà per le coppie di fatto ‘etero’

            La legge in discussione al Senato non riguarda solo le unioni omosessuali ma anche la convivenza tra eterosessuali. Ecco quali diritti e doveri acquisiscono i conviventi e in che misura

Il Familiarista.it, il portale tematico di Giuffrè Editore realizzato per gli avvocati e i magistrati specializzati in diritto di famiglia, risponde sui temi relativi a separazioni, divorzi, affidamento dei figli, successioni, rapporti patrimoniali, adozioni

            Il polverone sollevato attorno al Ddl Cirinnà ha portato i più a pensare che si discuta solo dei diritti degli omosessuali; pensiero sbagliato giacché il disegno di legge si compone di tre differenti capitoli: le unioni civili (solo per le coppie same sex); i contratti di convivenza (etero e omo) e la convivenza tout court (etero e omo). La legge dunque avrà effetti e ricadute sulla vita di tutti, a prescindere dall’orientamento sessuale.

            I conviventi oggi. Chi non può (perché aspetta il divorzio) o non vuole sposarsi ma solo convivere, in Italia, non ha alcuna forma di tutela: non può assistere il partner in ospedale od andarlo a trovare liberamente in carcere, non può prendere decisioni sulla sua salute, può essere cacciato di casa, da parenti rapaci, in caso di morte dell’altro. Per la legge, i conviventi sono invisibili. Certo, esistono degli escamotage, anche se usati pochissimo: redigere testamento (bastano un foglio di carta e una penna), regolamentare la convivenza e gli effetti della sua cessazione, nominare preventivamente l’altro come amministratore di sostegno (con atto notarile). Ma per la maggior parte degli aspetti della vita quotidiana mediati dallo Stato, non c’è scampo né speranza: i conviventi non esistono.

            La proposta Cirinnà. La legge in discussione al Senato si propone di eliminare proprio queste situazioni; il legislatore, però rischia, ove le norme fossero approvate, di farsi sfuggire la mano. Il disegno di legge infatti prevede che due persone, con un legame di coppia, che vivono insieme sotto lo stesso tetto, automaticamente e indipendentemente dalla loro volontà (art.11), abbiano gli stessi diritti dei coniugi per quanto riguarda le visite in carcere, in ospedale e l’accesso alle informazioni sanitarie (art. 12); in caso di morte del partner potranno rimanere a vivere nella casa familiare per un periodo da 2 a 5 anni (se la convivenza aveva superato i 24 mesi, art. 13) e avranno diritto al risarcimento del danno (art.18). In caso di rottura della coppia, il partner economicamente più debole avrà diritto all’assegno di mantenimento (come se fosse stato sposato) calcolato in proporzione alla convivenza; e ciò anche se la fine della storia è dovuta al tradimento proprio di chi reclama l’assegno.

            Diritti “imposti”? L’acquisizione di diritti e doveri in capo ai conviventi sarebbe automatica, prescindendo dalla volontà dei conviventi: una scelta troppo radicale che, seppur mossa dal lodevole intento di eliminare alcune odiose forme di discriminazione, rischia di comprimere la libertà di chi, autonomamente, non vuole impegnarsi, per ragioni che lo Stato deve rispettare. Chi vorrà assumersi obbligo verso l’altro, avrà, dopo l’approvazione della legge, tutte le possibilità: matrimonio (non necessariamente religioso) per gli etero non sposati; unione civile per gay e lesbiche, contratto di convivenza per gli etero non divorziati oppure per le coppie same-sex. Chi non vorrà impegnarsi, invece, non avrà via d’uscita, giacché la legge impone, anche a chi magari non lo vuole, diritti e doveri.

Alessandro Simeone   avvocato specializzato in diritto di famiglia

La repubblica on line 2 febbraio 2016

www.repubblica.it/cronaca/2016/02/02/news/unioni_civili_cosa_prevede_il_ddl_per_le_coppie_di_fatto-132556704/?ref=HREA-1

 

Ora i conviventi eterosessuali diventano famiglie di serie B

Per anni la sinistra ha portato avanti la battaglia per il riconoscimento delle coppie di fatto Oggi la frontiera si sposta, per la Cirinnà: «I diritti pieni per una coppia etero solo se si sposa». Le frontiere si spostano. Anche quelle dei diritti civili. Un tempo la sinistra portava le unioni eterosessuali in palmo di mano e i Comuni che con spirito pionieristico istituivano già negli anni Novanta i primi registri delle coppie di fatto venivano considerati l’avanguardia di un movimento democratico e illuminato. Oggi il politicamente corretto si è adeguato alle richieste delle persone dello stesso sesso e pazienza per le altre. Se sei un uomo e convivi con una donna non fai più tendenza e i tuoi problemi vengono in seconda battuta. Lo spiega senza tanti giri di parole proprio Monica Cirinnà, la paladina delle unioni omoaffettive: i legami, chiamiamoli così, tradizionali, non scaldano più il cuore.

«Le coppie etero che acquisiscono diritti afferma Cirinnà nel corso del programma Rai Radio anch’io, si sposano. Altrimenti sono garantiti i diritti civili minimi». Quali siano questi diritti minimi, la senatrice lo chiarisce en passant: «Il partner può salire su un’ambulanza se il compagno sta male, può andare in carcere per una visita». Poi la parlamentare butta lì: «Poi ci sono gli asili e le graduatorie».

Concetti già consolidati dalle leggi esistenti e dalla giurisprudenza. Ma ribadisce che si tratta di «diritti civili minimi». Una sorta di minimo sindacale. Altrimenti ci si deve sposare. Anche se il matrimonio a più d’uno fa arricciare il naso. Per chiarire quello che è già chiaro, lei specifica che la nuova legge ha due titoli: uno è dedicato alle coppie etero, l’altro a quelle omosessuali. Solo queste godono di tutti i diritti, le altre no. Con un trattamento molto diverso. Solo le famiglie omosessuali possono acquistare lo stesso cognome, solo per loro c’è l’obbligo di fedeltà e la possibilità di separarsi e divorziare.

Gli etero si devono arrangiare dopo anni e anni in cui sembrava che essere liberal volesse dire spingere per dare loro più chance. Era questa la grande battaglia che infiammava il popolo della sinistra. A macchia di leopardo tanti sindaci cercavano di garantire quei diritti che il Parlamento non voleva concedere. E innumerevoli erano i duelli fra i primi cittadini e autorità varie, dal Coreco al Tar, pronte ad annullare le loro decisioni. La sfida era partita da Empoli nel 1993, poi arrivarono tante altre città, molte nella democratica Toscana, a cominciare da Pisa. E ci fu un proliferare di mozioni, ordini del giorno, documenti che inneggiavano all’inclusione, alla famiglia plurale, all’ accoglienza del diverso e via aggiungendo e spalmando retorica dei nuovi diritti.

Naturalmente quando si apriva il libro si dedicava un capitolo anche alle coppie gay. E si assicurava di voler offrire anche a loro un’opportunità. Ma le coppie dello stesso sesso venivano dopo, erano un inciso dentro un movimento di liberazione che pareva inarrestabile. Oggi i ruoli sono capovolti: Cirinnà spiega subito che la nuova legge ha due titoli che equivalgono a due strade, diverse: per gli uni c’ è un’autostrada dei diritti, per altri la via stretta. Serie A e serie B. Senza offese ma è così. Quel che prima premeva adesso è retroguardia, ci si deve concentrare su gay. E fatalmente cambiano anche i protagonisti dei racconti e degli aneddoti: prima era un susseguirsi di storie di coppie etero che venivano discriminate nelle scuole, nelle graduatorie dei nidi, dentro gli ospedali. Con un ventaglio di sentimenti e sensazioni difficili: umiliazione, imbarazzo, solitudine. E Adele Parrillo, la vedova di Nassiriya che aveva perso il compagno nel massacro del 2003, acquistava una certa notorietà nel denunciare il sistema che le aveva tolto i presunti diritti di moglie non sposata. Altri tempi. Oggi si lotta per i figli delle famiglie arcobaleno, quelli con due mamme o due papà. Nuove frontiere. E facce nuove in prima fila.

            Il Giornale pagina 3   4 febbraio 2016

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