newsUCIPEM n. 581 –24 gennaio 2016

                        newsUCIPEM n. 581 –24 gennaio 2016

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ADDEBITO                                       Tradimento: addebito automatico salvo prova contraria.

Matrimonio per interesse economico.

ADOZIONI                                       Stepchild adoption: ma è proprio necessaria?

Difficoltà, sogni e aspettative delle coppie adottive.

Così l’Italia abbandona gli orfani da 15 anni

ADOZIONI INTERNAZIONALI    Marocco. Oltre 8 mila i minori abbandonati all’anno.

AFFIDO CONDIVISO                     Diritto di visita e pernottamento dei figli: quali regole?

Se i figli rifiutano di vivere col padre che ha una nuova famiglia.

AFFIDO MONOGENITORIALE    PAS: no affidamento alla madre tiranna.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  Niente mantenimento a moglie e figli: quando scatta il reato.

No segreti sui redditi dell’ex: accesso all’anagrafe tributaria.

Niente carcere per chi versa ai figli solo le spese per vestiti, sport

Niente aumento se i figli scelgono un’università più lontana.

Il padre ha diritto di accedere alla documentazione fiscale.

ASSEGNO DIVORZILE                  Spetta anche al coniuge che occupi di fatto un immobile.

BIOETICA                                        Un testo personale del prof. Vittorio Possenti, filosofo a Venezia

CASA CONIUGALE                        Mantenimento: la casa coniugale va calcolata come vantaggio.

Metà affitto della moglie l’ex marito che vive nella casa coniugale.

CHIESA CATTOLICA                    Bregantini: un testo sbagliato, però le proteste spettano ai laici.

                                   I confini della misericordia. Vito Mancuso.

CICRNF –                                                        Laudato si’…per l’amore coniugale

CONSULTORI Familiari UCIPEM Belluno. Oltre i 50. Incontri: cambiamenti psicologici e fisiologici

Latiano (BE) Servizio sperimentale di welfare scolastico Erchie.

Parma. Gruppo d’incontro per persone in lutto

Padova. Vita di coppia: bellezza, desiderio, responsabilità

” …all’improvviso soli “

Pescara. Percorso di conoscenza di se stessi.

Portogruaro. Consultorio familiare fondaco onlus. Percorsi

Roma 1. Seminario Consapevolezza dei nostri limiti.

DALLA NAVATA                            3° Domenica del tempo ordinario – anno C – 24 gennaio 2016.

DIRITTI                                            I diritti del figlio (non al e sul figlio).

EUROPA                                           La Corte europea rafforza i diritti del padre biologico.

FORUM Associazioni FAMILIARI Ddl Cirinnà, non si spacca il paese per una legge così.

FRANCESCO Vescovo di ROMA    A Rota Romana: la famiglia non sia confusa con altre unioni.

MINORI NON ACCOMPAGNATI La fuga di massa dei minori albanesi non accompagnati.

NONNI                                              Le vecchie liti non possono pregiudicare i rapporti nonni-nipoti.

OMOFILIA                                       «Io, gay, dico: no a nozze e adozioni».

ONLUS                                              Legge di Stabilità 2016: erogazioni liberali con limite innalzato.

SCIENZA&VITA                             Idea diVeronesiutero in affitto è espressione d’una scienza antiquata.

SEPARAZIONE                                Dichiarazione sui redditi va depositata X l’udienza presidenziale.

UCIPEM                                            Congresso nazionale 2016 ad Oristano.

UNIONI CIVILI                                Manuale per il perfetto matrimonio omosex

Dieci domande su “stepchild adoption” e dintorni

Stepchild adoption: in Italia 14 adozioni a coppie omosessuali.

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ADDEBITO

                                                   Tradimento: addebito automatico salvo prova contraria.

Tribunale di Nuoro – Sezione collegiale civile – Sentenza 29 settembre 2015 n. 552

Separazione: l’infedeltà legittima l’automatica imputazione di responsabilità a carico del coniuge fedifrago salvo che questi dimostri che la crisi della coppia era già in atto. Se il coniuge tradito riesce a dimostrare, nella causa di separazione, l’infedeltà dell’altro, il giudice pronuncia automaticamente, a carico di quest’ultimo, la sentenza di condanna con addebito: imputa, cioè, al coniuge fedifrago le responsabilità per la rottura del matrimonio. Ciò comporta, come conseguenza per colui che subisce l’addebito, la perdita:

  • del diritto al mantenimento (qualora il “traditore” ne avesse avuto diritto, poiché titolare di un reddito inferiore all’altro)
  • dei diritti successori (ossia l’impossibilità ad essere erede dell’altro coniuge qualora questi deceda prima del divorzio).

Il coniuge responsabile del tradimento, tuttavia, può dimostrare, a propria difesa, che l’infedeltà è avvenuta quando già la coppia era in crisi. In pratica deve fornire le prove che la relazione extraconiugale non è stata la causa, ma la conseguenza di una situazione familiare già irreversibilmente compromessa. Si pensi al caso di Tizia che vada via di casa, abbandonando il tetto domestico, e Caio che, in conseguenza di ciò, inizi una relazione con un’altra donna. O all’ipotesi in cui Sempronio usi violenze ripetute nei confronti della moglie e quest’ultima trovi conforto in un altro uomo. È quanto chiarito dal Tribunale di Nuoro.

L’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale è una violazione molto grave e giustifica di suo l’addebito della separazione, in quanto determina l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza. Non è così se il coniuge che ha tradito dimostra che l’infedeltà non ha causato la crisi matrimoniale, anteriore alla relazione extraconiugale. Ma per fornire questa dimostrazione non basta che egli si rivolga a uno psicoterapeuta per rimediare alle difficoltà di comunicazione createsi nella coppia. Per il Tribunale ciò non è tale da provare l’esistenza di una crisi irrimediabile e quindi non giustifica il tradimento.

Il caso dell’infedeltà coniugale è l’eccezione rispetto alla regola in tema di addebito della separazione. Infatti, in tutte le altre ipotesi, il coniuge che chiede l’addebito deve fornire le prove non solo dell’altrui comportamento colpevole (per es.: il comportamento violento e prevaricatore, l’abbandono del tetto coniugale, ecc.), ma anche del fatto che sia stato proprio questo comportamento a causare l’intollerabilità della convivenza (cosiddetto rapporto di causalità). Invece, nel caso di tradimento, questa seconda prova non è necessaria perché si presume sempre che l’infedeltà sia un comportamento già di per sé intollerabile.

Redazione LPT                          21 gennaio 2016                                                               

Sentenza            www.laleggepertutti.it/109328_tradimento-addebito-automatico-salvo-prova-contraria

Matrimonio per interesse economico: negato l’assegno di mantenimento e la casa coniugale.

Tribunale di Roma, prima Sezione civile, sentenza n. 17286/2015

In Italia ci si può separare senza colpa e senza conseguenze penalizzanti solo dichiarando di non essere più innamorati; ma le cose vanno diversamente se, nel corso del processo, dovesse invece risultare che già prima del matrimonio non c’era alcun vero legame sentimentale e il sì sull’altare è stato detto solo per interesse economico. In casi del genere, infatti, la nostra legge prevede il cosiddetto “addebito” ossia la dichiarazione di responsabilità per la crisi dell’unione. E chi riceve l’addebito paga la propria colpa perdendo sia la possibilità di chiedere il mantenimento, sia la casa coniugale, sia i diritti di successione sull’altro coniuge.

            È quanto chiarito dal Tribunale di Roma che ha addebitato a una donna il fallimento del matrimonio per non aver mai vissuto col proprio marito, approfittando delle difficoltà psicologiche di questi e intrattenendo un’altra relazione. Dunque, la separazione va addebitata al coniuge convolato a nozze solo per interesse economico. Un chiaro indice di tale comportamento è il non prestare assistenza materiale e morale all’altro, dovere che, invece, scatta automaticamente con il matrimonio ai sensi di quanto previsto dal codice civile. Il marito e la moglie si devono prendere cura l’uno dell’altro sia a livello materiale che morale, con l’assistenza e il conforto. È su tale solidarietà, del resto, che si fonda il matrimonio ed il suo venir meno è causa di imputazione dell’addebito.

            Nel corso del processo, peraltro, tutti i testi escussi dal giudice avevano confermato che la moglie non aveva mai coabitato col marito, e lei non era riuscita a fornire una valida giustificazione di ciò. Pertanto la casa definita coniugale, che la donna aveva chiesto le venisse assegnata, non poteva neppure essere qualificata come dimora familiare e, quindi, è rimasta al marito. Se vogliamo possiamo anche affermare che non è stata neppure troppo scaltra la signora. Se infatti da quelle nozze fossero nati dei figli il discorso sarebbe stato diverso in virtù del consolidato orientamento della Cassazione per cui: “In materia di separazione e divorzio l’assegnazione della casa coniugale postula che i soggetti, alla cui tutela è preordinata, siano figli di entrambi i coniugi, a prescindere dal titolo di proprietà dell’abitazione”. Non essendoci figli, non essendo stata vissuta la casa da entrambi i coniugi, ed essendo stato contratto matrimonio solo per interesse, essa resta al marito. La separazione, visti i fatti va addebitata alla donna che, quindi, non ha diritto neppure al mantenimento.

Redazione       LPT                18 gennaio 2016

www.laleggepertutti.it/109054_niente-casa-e-mantenimento-a-chi-si-sposa-senza-amore

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ADOZIONI

Stepchild adoption: ma è proprio necessaria?

La stepchild adoption, cioè l’adozione del figlio del partner: una delle norme più controverse della proposta di legge sulle unioni civili; di che si tratta? Il disegno di legge per le unioni civili corre il rischio di arenarsi a causa della stepchild adoption: la possibilità, inserita nella proposta di legge Cirinnà, di adozione del figlio del partner. Farne una questione di principio non sembra utile né per i sostenitori della normativa in discussione, né per gli oppositori.

E se il discorso sulle adozioni subisse un’inversione di ottica? Se si guardasse all’interesse dei minori, piuttosto che a quello degli adulti?

  1. Unioni civili ed adozione sono entrate in un unico dibattito. È proprio indispensabile? Perché non pensare, con l’occasione offerta dal disegno di legge sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto, a riprendere in modo organico la materia delle adozioni e del diritto del bambino ad avere una famiglia, spogliando questa esigenza fondamentale e di civiltà, dalle prospettive degli adulti? Un problema annoso come quello della difficoltà delle coppie prive di figli di avere in tempi accettabili la possibilità di adottarne uno, rimane ai margini di un dibattito politico in corso sulle unioni civili. Ciò appare a chi scrive, il frutto di strumentalizzazioni ideologiche e di schieramento. E’ necessario, in definitiva ed a prescindere dalle soluzioni suggerite dalle diverse concezioni etiche, regolamentare senza ulteriori ritardi le unioni civili: è proprio indispensabile, in questo momento, rischiare di arenare il dibattito sulla questione delle adozioni? Se si vuole, si può dare soluzione ad entrambe le problematiche spogliandole da riflessioni filosofiche e religiose; sembra però opportuno che ciascuno dei due temi vada affrontato separatamente e nell’ambito di una visione organica dei fenomeni che si vuole disciplinare legislativamente.
  2. Cos’è l’adozione? Il Codice Civile del 1942 prevedeva l’adozione come istituto destinato a consentire a chi ha un’età superiore ai 50 anni ed è priva di figli, di assumere come figlio una persona di almeno 18 anni di età inferiore, cui trasmettere il proprio cognome ed il proprio patrimonio. La norma guardava con più attenzione all’interesse dell’adottante, che a quello dell’adottato. L’ottica si è contrapposta successivamente, quando la legislazione ha dato rilievo piuttosto all’interesse del bambino privo di genitori di avere una famiglia. L’adozione “speciale” secondo questa nuova ottica è stata introdotta nel 1983 con una legge ulteriormente riformata nel 2001, che oggi porta il titolo: “Diritto del minore ad una famiglia”.
  3. Cos’è l’affidamento dei minori? L’affidamento consiste in un rimedio di carattere temporaneo teso a superare una situazione di difficoltà del minore perché “privo di un ambiente familiare idoneo” ad assicurargli il mantenimento, l’istruzione, l’educazione e le relazioni affettive di cui ha bisogno. Prevede che il minore sia custodito da qualcuno che si prenda cura di lui e provveda alle sue necessità morali e materiali. La sua caratteristica è che si tratta di una situazione provvisoria e non definitiva, a differenza dell’adozione.
  4. Qual è la funzione dell’adozione di minori? Lo scopo primario dell’adozione nella sua nuova accezione è quello di procurare una famiglia ai minori che ne siano privi o che non ne hanno una idonea. La possibilità di crescere ed essere educato nella famiglia naturale è visto come un vero e proprio diritto a prescindere dal sesso, dall’etnia, dalla lingua, dalla religione. L’adozione è nella legislazione vigente, in seconda battuta, come lo strumento per superare situazioni valutate come “patologiche” da cui sollevare il minore, sostituendo alla famiglia d’origine inesistente o impossibilitata ad assecondare le esigenze del figlio, una nuova famiglia. L’adottabilità presuppone uno “stato di abbandono”.
  5. Stepchild adoption, cosa vuol dire? Letteralmente si traduce: “adozione del figliastro”. Nel dibattito in corso sul progetto di legge Cirinnà sulle unioni civili, indica la possibilità, per uno dei componenti di una coppia, di divenire genitore riconosciuto del figlio del partner, a prescindere dal tipo di unione, etero od omo sessuale. La possibilità di adottare il figlio del partner esiste, nell’attuale ordinamento, solo per le coppie sposate da almeno tre anni o che convivono da almeno tre anni, purché abbiano contratto matrimonio prima della richiesta.
  6. Qual è la posizione degli oppositori della stepchild adoption? Una parte dei parlamentari, specie di quelli di orientamento cattolico, propone di sostituire l’adozione del figlio del partner con l’affido del minore: o fino al raggiungimento della maggiore età, ed a quel punto egli sarà in grado di decidere, o per un tempo abbastanza lungo tale da consentire ad un Tribunale di valutare se l’adozione sia utile per il minore.
  7. Perché la questione delle adozioni gay richiama quella del cosiddetto “utero in affitto”? La pratica per cui una donna porta avanti una gravidanza per conto d’altri, a volte a pagamento, è vietata dall’ordinamento italiano. Gli oppositori all’adozione per le coppie gay temono che essa possa indurre molte persone a recarsi all’estero per avere un figlio o mediante inseminazione artificiale, o mediante utilizzo dell’utero di un’estranea, per poi riportarlo in Italia e farlo diventare figlio della coppia gay.

Vincenzo Rizza                          LPT         22 gennaio 2016

                                   www.laleggepertutti.it/109478_stepchild-adoption-ma-e-proprio-necessaria

Difficoltà, sogni e aspettative delle coppie adottive.

Quanti anni deve avere un bambino per essere adottato e per evitare “che si creino problemi”? Esiste l’età giusta per permettere a un bambino di essere figlio? Sono tante le domande che assalgono gli aspiranti genitori adottivi nel corso del percorso che li conduce dalla presentazione della domanda di adozione all’incontro con il proprio figlio. Al loro fianco, in ogni momento, ci sono gli operatori e gli psicologi dell’ente autorizzato a cui la coppia si è rivolta. Del ruolo di questi ultimi si parlerà a Bologna, in occasione della conferenza “Genitorialità adottiva: tra crescita, difficoltà, sogni e aspettative”, tenuta da Ester Bianchini, psicologa della sede bolognese di Amici dei Bambini. Nel corso della serata, la dottoressa Bianchini metterà in luce gli aspetti della genitorialità adottiva legati a fattori fondamentali quali le componenti del bambino, come portatore di aspettative e delle sue esperienze pre-adottive, e quanto queste si connettono con le aspettative e le esperienze pregresse di una coppia di genitori pronta all’accoglienza.

“Insieme al bambino – precisa Ester Bianchinisi adottano anche i fantasmi del suo passato”. Una difficoltà che va affrontata insieme a quella dei genitori che spesso decidono di intraprendere il cammino dell’adozione, sia nazionale che internazionale, dopo essere passati per diversi fallimenti di genitorialità biologica. Arrivano quindi con il cuore pieno di amore, di voglia di accoglienza e delle normali aspettative su come sarà il loro figlio e su come essi stessi interpreteranno il ruolo di genitori. “A volte, però – avverte la psicologa di Ai.Bi. Bologna – il loro immaginario non corrisponde alla realtà e spesso le competenze genitoriali stanno nello sperimentarsi giorno per giorno in quel gioco a incastro e smussamento degli angoli”.

Ester Bianchini collabora con Ai.Bi. Bologna dal 2013, sostenendo le coppie nel percorso adottivo e post-adottivo. Opera in sinergia con i servizi sociali del territorio della Provincia di Bologna per quanto riguarda sia la formazione che il sostegno alle coppie adottive. La sua collaborazione con Ai.Bi. è iniziata dopo un’importante esperienza in Sud America dove ha lavorato per la tutela dei bambini abbandonati e istituzionalizzati, frequentando anche percorsi di terapia familiare ed etnopsichiatria in Bolivia.

Ai. Bi. 21 gennaio 2016             www.aibi.it/ita/category/archivio-news

Adozioni, le leggi ci sono ma restano inapplicate. Così l’Italia abbandona gli orfani da 15 anni

Le leggi che incentiverebbero le adozioni, in Italia, ci sarebbero, ma restano inapplicate. Come dimostra il fatto che, dei circa 35mila minori fuori famiglia del nostro Paese, solo 1.300 all’anno vengono dichiarati adottabili, secondo quanto riferiscono i Tribunali per i Minorenni. Ne parla il giornalista Carmine Gazzanni in questo articolo, che riportiamo integralmente, pubblicato il 15 gennaio sul sito lanotiziagiornale.it.

No, l’Italia non è un Paese per orfani. Perché, pur essendoci una serie di leggi che incentiverebbero alle adozioni e che mirano alla tutela degli stessi bambini, restano carta straccia. Perché inapplicate. Eppure la questione, delicata visti i soggetti di cui si tratta, non è affatto secondaria. Negli orfanotrofi italiani si stima, infatti, siano ospitati circa 35 mila minori. Un numero, tuttavia, in continua espansione dato che, secondo le associazioni di categoria, si aggiungono ogni anno qualcosa come 400 neonati che, al momento della nascita, vengono puntualmente abbandonati.

            Insomma, non sono affatto pochi i bambini che sperano, un giorno, di essere accolti da una famiglia. Peccato, però, che dalle uniche fonti disponibili, quelle dei tribunali per i minorenni, si evince che sono dichiarati adottabili ogni anno soltanto 1.300 bambini italiani circa. Tra cavilli burocratici e leggi inapplicate, insomma, il quadro resta parecchio ingarbugliato. Perché, in realtà, il numero di adozioni potrebbe essere più elevato, come fa sapere l’Ai.Bi. (Associazione Amici dei Bambini). Ma, purtroppo, in Italia non esiste una banca dati che monitori il fenomeno e tenga d’occhio, in parallelo, di quante famiglie siano disposte ad adottare. Insomma, il sistema fa acqua da tutte le parti. Eppure le norme ci sono. E da tempo. Una fondamentale, ad esempio, risale al 28 marzo 2001 che modifica e amplia, a sua volta, una legge del 1983 recante, appunto la “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”.

            Tra le tante disposizioni, si prevedeva proprio la necessità di creare una banca dati per registrare le due categorie di persone interessate: nomi e profili dei minori adottabili, da un lato, e quelli di coppie e singoli disponibili all’adozione, dall’altro, al fine di agevolare la ricerca dei genitori più adatti all’adozione di ogni singolo bambino. Da allora sono passati ben 15 anni ormai, ma della banca dati nemmeno l’ombra. Zero. Niente di niente. E a nulla è servita anche la sentenza del Tar che ha dato ragione all’Aibi e che aveva obbligato l’Italia a realizzare la banca dati. Il nostro Paese ha preferito girarsi dall’altra parte e fare spallucce a migliaia di bambini. L’unico sprizzo di orgoglio c’è stato nel 2013 quando, tramite decreto, il Ministero della Giustizia ha disposto che si rendesse operativa la “Banca Dati dei coniugi aspiranti all’adozione nazionale ed internazionale”. Soluzione raggiunta? Niente affatto. Bufale su bufale. Anche in questo caso, infatti, niente di concreto è stato poi fatto. Ci hanno provato, allora, i tribunali dei minori a muoversi autonomamente, ma dei 29 esistenti lungo tutta la Penisola, solo 8 dispongono di una banca dati funzionante, mentre solo altri 3 la stanno avviando. Un disastro.

Ed ecco, allora, che dati precisi non ci sono. E in questo mare magnum diventano impossibili anche le stesse procedure di adozione. Già, perché la banca dati – che dovrebbe essere gestita dal dipartimento per la giustizia minorile – sarebbe stata accessibile proprio ai magistrati che si occupano di adozioni e aggiornata ogni tre mesi, di modo che gli stessi togati potessero essere realmente utili, per famiglie disposte ad adottare e bambini che non attendono altro. E invece nulla. L’ ennesima promessa infranta. Ma che questa volta fa più male trattandosi di bambini senza famiglia. E, a questo punto, anche senza Stato

Ai. Bi. 18 gennaio 2016             www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Marocco. Oltre 8 mila i minori abbandonati all’anno.

Ogni giorno in Marocco 24 bambini vengono abbandonati, per un totale di 8.760 ogni anno (“Le Maroc des mères célibataires” INSAF, 2010). Attualmente, il numero di minori in istituto si stima abbia raggiunto quota 70.000, distribuiti tra circa 816 “case per minori”. Dati preoccupanti che non possono passare inosservati. Per questo Ai.Bi. Amici dei Bambini scende in campo con il progetto “PLATEFORME CDE: Projet de création d’une Plateforme Nationale pour le développement, la mise en oeuvre et le suivi des politiques publiques en matière d’enfance, dans le respect de la CDE.” (Piattaforma CDE: Progetto per la creazione di una Piattaforma Nazionale per lo sviluppo, la messa in opera e il controllo delle politiche pubbliche in materia di infanzia, nel rispetto della Convenzione dei Diritti dell’Infanzia).

Lo scopo del progetto, finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma  di sostegno alla società civile in Marocco, è quello di migliorare l’accesso ai servizi sociali di base dedicati alla protezione e all’inclusione dell’infanzia abbandonata ed esclusa del Marocco, attraverso azioni comuni di controllo delle politiche pubbliche in tema di diritti dei minori, formazione degli operatori affinché siano effettivamente preparati alle sfide che ogni giorno si trovano ad affrontare, favorendo lo sviluppo di nuove proposte per la deistituzionalizzazione e il reinserimento sociale.

In tale contesto, risulta necessario indagare ed analizzare in maniera puntuale il funzionamento dell’unico sistema di deistituzionalizzazione possibile in Marocco: l’istituto della Kafala, istituto giuridico islamico di protezione dell’infanzia che consiste nell’impegno di prendersi carico della protezione, dell’educazione e del mantenimento di un minore abbandonato nello stesso modo in cui lo farebbe un genitore per il proprio figlio. Per questo verrà realizzata una ricerca che raccoglierà i dati, le caratteristiche, le procedure, i tempi e la percezione dell’opinione pubblica di questo tipo di sistema su tutto il territorio marocchino. I risultati della ricerca – la prima nel suo genere – verranno presentati ad una conferenza nazionale organizzata sul tema a Rabat, che sarà anche il primo passo per dare forza alle attività della Piattaforma e per procedere all’elaborazione di una proposta di legge volta a modificare la legge nazionale in materia di Kafala.

I dati sulla lunga istituzionalizzazione sono allarmanti: secondo le stime ufficiali infatti, l’80% dei ragazzi che passano tutta la loro infanzia e adolescenza in istituto finisce col diventare delinquente; il 10% si suicida e solo il restante 10% si realizza nella vita.

In Marocco l’unica alternativa all’istituzionalizzazione è la kafala: tuttavia tra kafil (genitore “adottivo”) e makfoul (bambino preso in carico) non si creano né vincoli giuridici, né diritti successori, né impedimenti matrimoniali. Il tutto perché non si può rescindere il legame di sangue che intercorre tra il minore e la sua famiglia d’origine. Per questo, quindi, secondo quanto stabilito dalla legge marocchina, il makfoul non assume il cognome dall’affidatario ma continuerà ad utilizzare il nome della sua famiglia biologica conservando altresì con essa tutti i legami giuridici. Purtroppo l’attuale legge marocchina che disciplina la kafala comporta tutta una serie di contraddizioni e vuoti giuridici che si riflettono poi nella pratica e che spesso scoraggiano le future famiglie interessate alla kafalae, quel che è peggio, non assicurano al bambino makfoul tutti i diritti di “figlio”.

Ai. Bi. 20 gennaio 2016             www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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AFFIDO CONDIVISO

Diritto di visita e pernottamento dei figli: quali regole?

Tribunale di Perugia, prima Sezione civile, ordinanza 6 luglio 2015.

Il tempo da trascorrere coi minori va gestito tenendo conto del loro bisogno di stabilità: da evitare lo spostamento infrasettimanale dalla residenza di un genitore all’altro, specie nel periodo scolastico; in mancanza di una disciplina specifica, qualche consiglio pratico.

Affido condiviso: una condizione ideale per i figli dopo la separazione dei genitori, purché vissuta in modo pieno e rispettoso di quanto previsto dalla legge. Una legge che stabilisce con chiarezza che, anche dopo la rottura dell’unità familiare, i minori:

  • debbano restare affidati a entrambi i genitori, salvo i casi (più rari) di affido esclusivo,
  • abbiano il diritto di mantenere rapporti equilibrati e continuativi sia con la madre che col padre, così come con i parenti di ciascuno di loro,
  • che il giudice, proprio a questo scopo, debba determinare (se manca l’accordo delle parti), i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore [art. 337 ter cod. civ.].

Il diritto di visita: cos’è e da cosa nasce. Ed è in quest’ultima condizione che si racchiude quello che viene comunemente definito “diritto di visita”. Un diritto che rappresenta la conseguenza inevitabile di una prassi che non è altro che una pura invenzione giuridica: la “collocazione” dei figli presso uno dei genitori. Nessuna norma, infatti, la prevede e di qui la inevitabile riflessione: se i figli sono affidati ad entrambi i genitori (come l’affido condiviso richiede), essi dovrebbero stare con ciascuno di loro per tempi paritari e non dovrebbe esistere un genitore al quale fare visita! Senza addentrarci sul tema della collocazione prevalente dei figli che – proprio in quanto non prevista per legge – riteniamo condivisibile solo quando sia frutto di una precisa e ponderata scelta dei genitori o sia l’effetto della distanza territoriale di uno di loro, vogliamo invece soffermarci in questo articolo sullo specifico problema delle frequentazioni tra i figli e il genitore non collocatario, ossia il genitore che ha il cosiddetto diritto di visita dei minori, ma che non risiede con loro in modo abituale.

Un problema, si, in quanto la legge non fornisce indicazioni a riguardo. E poiché non possiamo di certo ignorare quella che è, in ogni caso, una regola dalle rare eccezioni, dobbiamo anche cercare di capire se esistono dei criteri guida che il genitore non collocatario (più spesso il padre) debba (o possa) seguire nell’ organizzare al meglio le frequentazioni con i propri figli. A riguardo, ci corre in aiuto una sentenza del tribunale di Perugia che detta un principio generale di prudenza e buon senso nella gestione di questo specifico problema pratico.

            Da evitare il frazionamento delle visite durante la settimana. In particolare, il giudice umbro ha chiarito che, la necessità di garantire – in caso di affido condiviso – la presenza del minore presso il genitore non collocatario, non deve attuarsi costringendo il figlio a spostamenti continui, specie quelli infrasettimanali. In altre parole, i figli non vanno trattati come un pacco (e su questo saremo tutti d’accordo); non bisogna, perciò, approfittarsi della loro, indubbia, capacità di adattamento, nella pretesa che venga rispettato un principio di legge, quale quello a una frequentazione continuativa sia della madre che del padre. Anche se, infatti, è corretto assicurare alla prole adeguate occasioni di incontro col genitore che non vive con questa stabilmente (come pure con i nonni e parenti tutti), tuttavia è evidente che frazionare in modo eccessivo i tempi di permanenza (e, in particolare, di pernottamento) presso l’uno o l’altro genitore sarebbe di sicuro danno al fanciullo, tanto più se tale frazionamento avviene nel corso dell’anno scolastico. Il bambino sarebbe costretto, infatti, a passare di continuo da una casa all’altra e a dover sovente riorganizzare i propri quotidiani adempimenti (si pensi ai libri da portare a scuola, allo zaino per l’attività sportiva, agli abiti da indossare). Insomma, il minore si troverebbe di certo a vivere una quotidianità complicata e gravosa.

            Le alternative. La soluzione più appropriata – quantomeno nel periodo di frequenza scolastica – risulta, invece, quella di prevedere che il pernottamento col genitore non collocatario: avvenga in modo abituale nei fine settimana, e che si prolunghi, in ogni caso, nei diversi periodi di vacanza dalle scuole.

Ciò può consentire al bambino di vivere senza ansia il fatto di spostarsi da un abitazione all’altra (dovendo ogni volta portare con sé tutto quanto gli occorre per far fronte ai quotidiani impegni) e così godere appieno del tempo che trascorre con l’altro genitore. E d’altronde non si può ignorare una sicura esigenza dei figli (che appartiene, poi, anche agli adulti) quale quella di avere una certa stabilità nelle abitudini quotidiane; esigenza che, di certo, difficilmente può essere individuata nella prassi di far loro cambiare casa a giorni alterni o quasi.

            Non va esclusa, tuttavia, la possibilità di diversi accordi, come quello che prevede l’affidamento alternato dei figli. Esso comporta la presenza del minore con ciascuno dei genitori per periodo analoghi e di maggior durata (settimanale, bisettimanale, mensile, ecc.) senza che il figlio debba avere una collocazione prevalente. Tale forma di affidamento potrà essere attuata in due modi:

  1. lasciando che il figlio resti ad abitare nella casa familiare: in tal caso saranno i genitori a darsi il cambio nello stare col minore
  2. oppure prevedendo che il bambino vada a abitare, trascorso un determinato periodo di tempo con un genitore, presso la residenza dell’altro.

Si tratta di una soluzione senz’altro praticabile quando le abitazioni dei genitori si trovano nella stessa città, poiché consente a ciascuno di loro di seguire i figli nei loro quotidiani impegni.

            Consigli pratici. Non dimenticate che la vostra separazione non è mai un problema solo vostro. Essa ha sempre, in modo più o meno incisivo, degli effetti destabilizzanti sui figli. Perciò, fate attenzione ad eventuali loro segnali di disagio, aprendovi anche al consiglio di esperti per saperli riconoscere e affrontare: solo per fare un esempio, un aiuto importante possono fornirlo, in questi casi, i gruppi di parola, strutturati proprio per aiutare i più piccoli ad esprimere i sentimenti legati alla separazione dei genitori e ad aiutare voi a gestirli nel modo più costruttivo possibile.

            Con specifico riferimento, poi, al problema del “diritto di visita”, può forse essere d’aiuto qualche suggerimento pratico:

  • non discutete mai in presenza dei figli, tanto più sulle questioni che li riguardano come, ad esempio, i “turni” relativi al loro pernottamento: può aiutare molto, in questi casi, la dichiarata disponibilità da parte del genitore non collocatario (che è quanto mai opportuno non venga ostacolata dall’altro) di accompagnare i minori negli spostamenti quotidiani legati ad attività scolastiche e parascolastiche: una passeggiata, in auto o a piedi, in cui ci si racconta l’esperienza del giorno prima di tornare dalla mamma (o dal papà), può essere molto più arricchente (per voi e per i bambini) di quanto possiate pensare;
  • anche se vi sentite arrabbiati perché vorreste stare di più coi vostri figli, rappresentate loro questo bisogno affinché conoscano i vostri reali sentimenti e non avvertano una sensazione di abbandono da parte vostra, ma non screditate mai (né permettete ai vostri familiari di farlo) l’altro genitore alla loro presenza; da evitare nel modo più assoluto anche le conversazioni indirette: i più piccoli, si sa, sono dotati di “antenne” e anche quando presi dal gioco, state certi che avranno ascoltato i vostri discorsi, specie quando li riguardano in prima persona;
  • non sminuite i bisogni dei vostri figli quando manifestano il desiderio di stare con l’altro genitore anche al di fuori dei “turni” di spettanza: se possibile, perciò, mostratevi assolutamente elastici rispetto alla regolamentazione del diritto di visita eventualmente pattuita o stabilita dal tribunale. D’altro canto è bene tenere a mente che il giudice potrà stabilire solo una cornice minima degli incontri, ma starà sempre a buon senso degli adulti determinarne le esatte modalità e saper interpretare i segni di disagio dei più piccoli;
  • anche quando non siete i genitori collocatari, fate in modo che i vostri figli (ancora piccoli o adolescenti che siano) non si sentano mai degli ospiti nella casa in cui li accogliete, sia pure che si tratti della casa dei nonni. Organizzate perciò uno spazio, se pur piccolo, ma tutto loro, nel quale possano disporre delle cose di cui necessitano quotidianamente; niente divani letto da aprire, mobili da spostare, abiti e suppellettili da mettere in valigia. Insomma, fate in modo che i minori non debbano pensare, quando sono insieme a voi, a ciò che hanno lasciato altrove. Questo lo aiuterà a sentire anche la vostra come una seconda casa.

Maria Elena Casarano    Lpt                  22 gennaio 2016

www.laleggepertutti.it/109408_diritto-di-visita-e-pernottamento-dei-figli-quali-regole

www.altalex.com/documents/news/2015/11/19/affido-condiviso

Devono intervenire i servizi sociali se i figli rifiutano di vivere con il padre che ha una nuova famiglia.

Tribunale di Roma, prima sezione civile, sentenza n. 18719/2015,

L’attivazione del servizio sociale è necessaria per ristabilire relazioni familiari equilibrate anche se non vi è stata alcuna manipolazione da parte della madre sui figli. Se due coniugi si separano consensualmente ma il loro rapporto resta fortemente conflittuale, talvolta, in presenza di figli, il ricorso agli assistenti sociali può risultare fondamentale. A tal proposito, ad esempio, recentemente il Tribunale di Roma ha stabilito che l’attivazione del servizio sociale territorialmente competente è necessaria quando vi siano figli che si rifiutino di vivere con il padre che si sia ricostruito una famiglia. In tale ipotesi, infatti, i servizi sociali sono chiamati a individuare gli strumenti idonei innanzitutto a contenere la conflittualità, ma anche a ristabilire delle relazioni familiari equilibrate, soprattutto tra padre e figli. Senza dimenticare di coinvolgere anche la famiglia “allargata”.

            Per i giudici capitolini, tale necessità deve essere accettata dalla madre, la quale deve essere pienamente consapevole di quanto sia importante che i suoi figli abbiano anche con la figura paterna un rapporto adeguato, rapporto che va costruito anche con il nuovo fratello. I due ex coniugi, inoltre, dinanzi a interessi che non sono più solo i loro devono trovare spazio per seguire un progetto di genitorialità condiviso.

            Insomma: anche se non vi è stata alcuna manipolazione da parte della madre sui figli, nella gestione della relazione con la figura paterna, l’intervento dei servizi sociali in tale situazione è stata reputata dal Tribunale comunque fondamentale. La tutela dei minori viene prima di tutto.

Valeria Zeppilli                      Studio  Cataldi                       20 gennaio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20705-separazione-e-divorzio-il-ruolo-degli-assistenti-sociali.asp

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AFFIDO MONOGENITORIALE

Sindrome di alienazione genitoriale: no affidamento alla madre tiranna.

Corte d’Appello di Catanzaro, prima Sezione civile, decreto. n. 3405, 18 dicembre 2015.

            PAS, la contesa sui figli da parte dei genitori in contesti di separazione e divorzio conflittuale: anche la comunità scientifica ritiene che non sia una malattia o un disturbo psicologico, per i giudici è causa di perdita dell’affidamento. Perde l’affidamento la madre che impedisce ai figli di vedere il padre o, peggio, cerca di metterli contro quest’ultimo, sino ad inventare vicende false al solo scopo di screditare, agli occhi dei minori, la figura del papà.

            Viene chiamata, da alcuni “Sindrome di alienazione parentale o genitoriale” (più semplicemente nota con l’acronimo PAS, Parental Alienation Syndrome) ed è in corso ancora un ampio dibattito da parte della comunità scientifica sulla sua natura. Al momento, tuttavia, la tesi predominante ritiene che la PAS non sia un disturbo psicologico classificabile tra le sindromi o le malattie clinicamente accertabili. Di fatto c’è, però, che la spontaneità del minore risulta fortemente compromessa nei rapporti con una delle due figure genitoriali tutte le volte in cui l’altra – di norma la più vicina al minore stesso e, perciò, statisticamente, la madre – si frappone.

            Per i giudici esiste il dato di fatto: il coniuge che assume un comportamento prevaricatore e prepotente, volto costantemente a comprimere il rapporto e la frequentazione tra i figli e l’altro coniuge, perde l’affidamento condiviso. Ed è di questo segno l’importante sentenza della Corte di Appello di Catanzaro che ha confermato, peraltro, quanto già dichiarato in primo grado dal Tribunale di Cosenza (in particolare era stato accertato un comportamento materno teso ad escludere dalla vita dei figli comuni il loro padre).

            L’atteggiamento improprio e dannoso della madre, ricostruito da più fonti, è l’esercizio di una responsabilità genitoriale in palese contrasto con l’interesse dei figli e per questo meritevole dell’esclusione con l’affidamento a un solo genitore (cosiddetto affidamento esclusivo). In generale, ogni figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto a crescere in una famiglia e di mantenere rapporti “significativi” con entrambi i parenti dei due lati della famiglia.

            Questo significa che, in caso di separazione o divorzio dei genitori, il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale (cosiddetto diritto alla bigenitorialità). In generale il giudice decide per l’affidamento esclusivo in presenza di due principali cause:

  1. quando l’affidamento condiviso risulterebbe oggettivamente pregiudizievole per il minore;
  2. quando risulta che un genitore è manifestamente incapace o non idoneo ad assumere il compito di curare ed educare il minore. Questo presupposto ricorre in caso di grave inidoneità educativa, di condotta di vita anomala e pericolosa o ancora in caso di rifiuto categorico del minore di avere rapporti con un genitore.

Se, però, tale rifiuto è determinato dal comportamento dell’altro genitore – per via delle pressioni psicologiche da questi esercitate e delle interferenze continue – allora l’affidamento esclusivo è a favore del coniuge “escluso”. Si pensi al caso di rifiuto verbale espresso dai figli a incontrare il padre quando l’ostilità manifestata dai bambini è solo il risultato della condotta della madre, improntata ad una plateale insofferenza nei confronti del padre e tesa a logorare la sua figura. Lo scopo è «superare il forzato adattamento alla volontà materna che sta incidendo sulla loro spontaneità e sulla loro serenità» e così permettere «un graduale e meno traumatico possibile recupero dei rapporti tra padre e figli». In generale, comunque, l’esistenza di una conflittualità tra i genitori non impone di per sé la scelta dell’affidamento esclusivo, in quanto i giudici devono sempre valutare la scelta dell’affidamento condiviso. Ma nei fatti la situazione non è così rosea. Su circa 89 mila separazioni, il 35% degli ex coniugi non rispetta gli accordi sulla gestione dei figli minori già nei primi sei mesi dal provvedimento. In tali casi, la legge [Art. 614 bis cod. proc. civ.] prevede, in caso di inadempienze da parte di un ex coniuge, la possibilità per il giudice di imporre una sanzione che scatterà ogni qualvolta la violazione dovesse reiterarsi. Non si tratta di violazioni legate al mancato pagamento dell’assegno, bensì relative alla gestione dei figli minori. Ad esempio, se l’ex marito riporta sempre a casa i figli con due ore di ritardo, il giudice può stabile una multa. Se l’ex moglie non consente di prelevare i figli nei giorni di spettanza del padre senza alcuna ragione fondata subisce anche lei la multa. L’ex marito preferisce andare in vacanza con la sua nuova compagna omettendo di portarsi dietro anche i figli? Anche in questo caso scatta la multa.

Redazione       Lpt      21 gennaio 2016

www.laleggepertutti.it/109317_sindrome-di-alienazione-genitoriale-no-affidamento-alla-madre-tiranna

www.alienazioneparentale.it/decreto-corte-appello-catanzaro-n-340515/2015/12

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Niente mantenimento a moglie e figli: quando scatta il reato.

Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza n. 535, 8 gennaio 2016

                Violazione degli obblighi di assistenza familiare: il reato per l’omesso versamento dell’assegno di chi fa mancare a figli o al coniuge i mezzi di sussistenza. Il reato previsto nei confronti di chi non versa il mantenimento a moglie e figli [Art. 50 co. 2 cod. pen.], non scatta sempre, per il solo fatto di aver mancato la scadenza mensile (non si tratta, infatti, di una misura dal carattere semplicemente sanzionatorio); è anche necessario:

  • che gli aventi diritto all’assegno alimentare (figli e moglie) versino in stato di bisogno,
  • che l’obbligato al versamento dell’assegno ne sia a conoscenza
  • che l’obbligato al versamento dell’assegno sia in grado di fornire i mezzi di sussistenza dovuti. Ciò non ricorre per esempio quando questi abbia perso il lavoro contro la propria volontà e riesca a dimostrare di aver fatto di tutto per trovare una nuova occupazione (la semplice disoccupazione, infatti, non evita il delitto).

A dirlo è una recente sentenza della Cassazione. Per evitare dunque la condanna, l’obbligato può dimostrare che, nonostante la (totale o parziale) mancata corresponsione, da parte sua, dell’assegno di mantenimento, i figli minori tuttavia non hanno mai versato in stato di bisogno, in quanto qualcun altro (la madre, i nonni, il nuovo partner dell’altro genitore, ecc.) ha comunque provveduto al pagamento delle loro spese mediche, sportive, scolastiche, a ricaricare loro il cellulare, nonché a pagare le rate del mutuo ipotecario relativo all’alloggio coniugale, ecc.

            Più nello specifico, la Corte specifica che in caso di corresponsione parziale dell’assegno imposto in sede civile, il giudice penale deve verificare se tale condotta abbia o meno inciso in modo apprezzabile sulla disponibilità dei mezzi economici che l’obbligato è tenuto a corrispondere, tenuto conto anche di altre circostanze, quali un sopravvenuto mutamento delle condizioni economiche; deve escludersi, pertanto, ogni automatismo tra inadempimento civilistico e violazione della legge penale.

Redazione Lpt 12 gennaio 2016                     sentenza

www.laleggepertutti.it/108563_niente-mantenimento-a-moglie-e-figli-quando-scatta-il-reato

Niente più segreti sui redditi dell’ex: ampio accesso all’anagrafe tributaria.

TAR Catania, terza Sezione, sentenza n. 29\2016

Per il Tar di Catania il diritto di accesso ai documenti amministrativi spetta all’ex su tutte le informazioni finanziarie relative all’altro coniuge. Non ci saranno più segreti sui dati fiscali dell’ex coniuge, perché l’altro potrà avere ampio accesso all’anagrafe tributaria. Così, il marito potrà conoscere ogni singolo quadro del modello unico dell’ex moglie (o viceversa), visionando tutte le informazioni relative a conti correnti, entrate o altri rapporti finanziari presenti nei database del fisco.

            Ad affermarlo è la recente sentenza del Tar di Catania, accogliendo la richiesta di un uomo avverso il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle entrate sulla domanda di accesso agli atti relativi alla documentazione fiscale dell’ex moglie. La vicenda prende le mosse dal giudizio di separazione instaurato presso il giudice civile, nel corso del quale la moglie chiedeva un assegno di mantenimento per sé e per la figlia. Il marito, allora – al fine di tutelare i propri interessi e dimostrare le concrete disponibilità reddituali e le risorse economiche dell’ex consorte, contrastando il suo diritto al mantenimento e potendo stabilire l’esatta misura dell’assegno alla figlia – chiedeva alle entrate di esercitare il diritto d’accesso alla situazione fiscale della moglie, ivi comprese le operazioni di natura finanziaria e i rapporti di qualsiasi genere riconducibili alla stessa, relativamente agli anni di imposta 2011-2013.

            Non ricevendo risposta dall’amministrazione, l’uomo adiva il giudice amministrativo. Il TAR rilevava innanzitutto che le entrate avevano inoltrato, di fatto, la documentazione all’indirizzo pec del difensore dell’uomo, ma l’accesso era stato consentito solo parzialmente, ovvero ai dati inerenti l’ammontare complessivo dei redditi (ossia i quadri RN dei modelli unico 2012, 2013 e 2014) e non già a tutti i quadri richiesti. Bacchettando l’amministrazione, il Tar catanese ricorda che “il diritto di accesso ai documenti amministrativi spetta a chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”. E, nello specifico, tutti i documenti chiesti in visione possono essere accessibili. Per cui il marito potrà avere contezza, a partire dal 2011, di tutte le informazioni finanziarie riguardanti la moglie e risultanti dall’anagrafe tributaria.

Marina Crisafi  newsletter Studio Cataldi.it 18 gennaio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20716-niente-piu-segreti-sui-redditi-dell-ex-ampio-accesso-all-anagrafe-tributaria.asp

Niente carcere per il padre che versa ai figli solo le spese per vestiti, sport e cellulare

Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza n. 535, 8 gennaio 2016.

Per la Cassazione, il reato ex art. 570 c.p. non si configura per chi contribuisce al mantenimento con elargizioni parziali. Non commette il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare il genitore obbligato che contribuisce parzialmente al mantenimento dei figli, con elargizioni periodiche che coprono le spese per l’abbigliamento, la scuola, lo sport e il cellulare. Lo ha affermato la Cassazione, accogliendo il ricorso di un padre condannato, dalla Corte d’Appello di Trieste, a due mesi di carcere (pena poi riqualificata in una sanzione pecuniaria di circa 2.300 euro) per non aver contribuito a mantenimento dei figli minori secondo le disposizioni del giudice della separazione. Per gli Ermellini, il reato previsto dall’art. 570, 2° comma, c.p., infatti, “ha come presupposto necessario l’esistenza di un’obbligazione alimentare ai sensi del codice civile, ma non assume carattere meramente sanzionatorio del provvedimento del giudice civile nel senso che l’inosservanza anche parziale di questo importi automaticamente l’insorgere del reato, di tal che, per configurare l’ipotesi delittuosa in esame, occorre che gli aventi diritto all’assegno alimentare versino in stato di bisogno, che l’obbligato ne sia a conoscenza e che lo stesso sia in grado di fornire i mezzi di sussistenza”.

            Difatti, precisano dal Palazzaccio, richiamando la giurisprudenza recente in materia (cfr. Cass. n. 159898/2014), ai fini della configurabilità del reato in esame, “nell’ipotesi di corresponsione parziale dell’assegno stabilito in sede civile per il mantenimento, il giudice penale deve accertare se tale condotta abbia inciso apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato è tenuto a fornire ai beneficiari, tenendo inoltre conto di tutte le altre circostanze del caso concreto, ivi compresa la oggettiva rilevanza del mutamento di capacità economica intervenuta, in relazione alla persona del debitore, mentre deve escludersi ogni automatica equiparazione dell’inadempimento dell’obbligo stabilito dal giudice civile alla violazione della legge penale”.

            Di tali principi il giudice di merito non ha tenuto conto adeguatamente, omettendo di esplicitare le ragioni sulla scorta delle quali ha ritenuto provato che l’imputato avesse fatto mancare i mezzi di sussistenza ai figli, anche a fronte del soddisfacimento sia pur contenuto del “minimo vitale” e delle altre esigenze della vita quotidiana, come l’abbigliamento, i libri per l’istruzione, i mezzi di trasporto e quelli di comunicazione, oltre alla messa a disposizione dell’alloggio coniugale, facendo fronte al pagamento delle rate del mutuo.

            Parola dunque al giudice del rinvio, che dovrà valutare se condannare o meno il papà alla luce dei bisogni reali dei figli, delle capacità economiche e della copertura parziale delle spese per le esigenze di vita.

            Marina Crisafi                       Studio Cataldi            9 gennaio 2016                                  sentenza

www.studiocataldi.it/articoli/20637-niente-carcere-per-il-padre-che-versa-ai-figli-solo-le-spese-per-vestiti-sport-e-cellulare.asp

Mantenimento: niente aumento dell’assegno se i figli scelgono un’università più lontana.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 439, 14 gennaio 2016.

Per la Cassazione, decisiva la constatazione che entrambi non gravano esclusivamente sui genitori divorziati. Se i figli cambiano università, trasferendosi lontani da casa, le spese aumentano, ma non l’assegno di mantenimento. A stabilirlo è la Cassazione, con l’ordinanza allegata, rigettando il ricorso di una madre che pretendeva un assegno più sostanzioso da parte dell’ex marito, in ragione del trasferimento di università da parte dei figli maggiorenni (dalla Puglia alle Marche). Per gli Ermellini, infatti, pur essendo evidente l’incremento degli oneri per il loro mantenimento, ad essere decisiva è la constatazione che entrambi i ragazzi, maggiorenni, hanno dimostrato di poter incrementare le loro disponibilità finanziarie e di non gravare stabilmente ed esclusivamente sui contributi economici dei genitori divorziati.

Una infatti ha svolto attività lavorativa, seppur a tempo determinato, l’altro ha percepito una borsa di studio, per cui, l’incremento delle spese risulta compensato dalla sia pur saltuaria capacità reddituale degli stessi, idonea ad abbattere i costi di permanenza nella nuova sede universitaria. Per cui, non essendo sopravvenuta alcuna circostanza idonea a giustificare la modifica dell’assegno, il contributo rimane immutato nella misura stabilita in sede di divorzio.

Marina Crisafi                       newsletter Studio Cataldi.it   18 gennaio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20712-mantenimento-niente-aumento-dell-assegno-se-i-figli-scelgono-un-universita-piu-lontana.asp

Il padre ha diritto di accedere alla documentazione fiscale.

TAR Friuli Venezia Giulia, sez. I, sentenza n. 599, 19 novembre 2014.

Il padre ha diritto di accedere alla documentazione fiscaledella figlia maggiorenne per dimostrare che ha redditi autonomi e non le spetta il mantenimento. Il diritto di difesa prevale sulla privacy, tanto più che i documenti attestanti le posizioni fiscali di terzi non rientrano nei casi di esclusione del diritto di accesso ex art. 24 L. n. 241/90, non essendo dati sensibili (art. 4 d.lgs. n. 196/03), tanto più se è pendente una lite come nella fattispecie. L’uomo, infatti, con essi voleva dimostrare l’autonomia economica della figlia, vincitrice di una borsa di studio pari ad euro 15.000 annui, legittimando il rifiuto di mantenerla.

Studio Legale Sugamele 21 gennaio 2016                www.divorzista.org/sentenza.php?id=11268

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ASSEGNO DIVORZILE

Assegno divorzile: spetta anche al coniuge che occupi di fatto un immobile

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 223, 11 gennaio 2015.

L’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile all’ex coniuge non viene meno nel caso in cui quest’ultimo occupi, di fatto, un immobile. Tale circostanza, infatti, è del tutto precaria e risolubile da parte dell’avente diritto con gli ordinari strumenti previsti dal nostro ordinamento per il recupero del possesso o della detenzione. Il giudice dell’assegno divorzile, invece, è tenuto a calcolare la misura di quest’ultimo tenendo conto degli effettivi bisogni del coniuge più debole e della possibilità che questi siano soddisfatti misurando le disponibilità economiche di entrambe le parti interessate e i loro standard di vita a regime. Egli, viceversa, non deve tenere conto anche delle situazioni provvisorie, come tali destinate, prima o poi, a venire meno.

            A chiarirlo è l’ordinanza allegata. I giudici hanno anche precisato che, rispetto all’occupazione dell’immobile, non può trovare applicazione il principio in base al quale, ai fini della determinazione dell’assegno divorzile, è necessario tenere conto dell’intera consistenza patrimoniale dei coniugi, ricomprendendovi l’uso di una casa di abitazione in ragione del risparmio di spesa rispetto a un’eventuale locazione. Infatti, nel caso di specie, l’appartamento risulta di fatto occupato e la valutazione di utilità fuoriesce dall’ambito dei valori legalmente posseduti da ciascuno dei coniugi. Anche l’eventuale difficoltà di liberazione dell’immobile resta un dato di fatto estraneo alla ponderazione delle rispettive posizioni patrimoniali e reddituali.                                                             ORDINANZA

Valeria Zeppilli          newsletter Studio Cataldi.it   18 gennaio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20667-assegno-divorzile-spetta-anche-al-coniuge-che-occupi-di-fatto-un-immobile.asp

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BIOETICA

Un testo personale del prof. Vittorio Possenti, filosofo a Venezia

  1. La sentenza Cedu (Corte europea del diritti umani) contro Italia del 21 luglio 2015, mentre chiede che la legge italiana regolamenti presto le unioni civili secondo i criteri costituzionali italiani (sul diritto di famiglia la competenza ultima a livello di UE non è dell’Unione, ma dei singoli Paesi), non parla né obbliga all’adozione stepchild. Lo stesso aveva fatto la sentenza della nostra Corte costituzionale del 2010, escludendo per le future unioni civili la forma matrimoniale e tacendo sull’adozione. “Si deve escludere che l’aspirazione al riconoscimento dei diritti e doveri della coppia omosessuale possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali”. Anche per questo il riferimento agli artt. 2 e 29 rimane essenziale.
  2. Non esiste un diritto al figlio e un diritto sul figlio. L’invenzione del diritto al figlio, da cui non è immune l’infelice sentenza della nostra Corte sulla fecondazione eterologa (sentenza 162/2014, forse una delle più contestabili tra quelle emesse dalla nostra Corte), è una mera trasformazione di un desiderio o di una pretesa in diritto. Ciò vale a fortiori per la copia omosex.
  3. A mio avviso bisogna tenere strettamente uniti buoni sentimenti e chiarezza d’analisi, evitando che, mentre si cura l’effetto, non si metta mano alla causa. Con la Cirinnà viene proposto a tutti i cittadini un “nuovo” esperimento sociale sui bambini. Le domande che seguono sono inevitabili: è ammissibile un simile esperimento senza valutare in anticipo quali possano essere le conseguenze dell’ipotizzata deliberata rimozione delle figure del padre o della madre? Inoltre il Ddl risulta ambiguo perché getta fumo su come realmente viene al mondo il bimbo stepchild, e facendo intendere che esista un diritto al figlio, come una sorta di diritto personale incoercibile. Il superiore interesse del bambino è duplice: avere un padre e una madre che rappresentano meglio l’umanità; non essere concepito nella maniera della surrogacy. In entrambi questi casi – ma ve ne sono altri – si verifica un adultocentrismo che ignora il radicale desiderio e diritto del nuovo nato di conoscere le proprie origini, denegato dalla pratica della fecondazione eterologa e dalla surrogazione di maternità. Ciò mi induce a confermare l’opinione secondo cui in queste e altre vicende gli adulti prevaricano sui bambini.
  4. Adozione. Per quanto vedo il figlio per l’adozione stepchild ha due origini:

a)      La maternità surrogata su cui appunto si tace in Italia. Scrive Cesare Mirabelli [già Presidente della Corte Costituzionale]: “Siamo seri e cerchiamo di evitare ipocrisie. L’obiettivo reale è soddisfare l’interesse di due partner di “completare” in qualche modo la loro unione solidale e affettiva con un bambino che sia considerato loro figlio”. Segue che, per ottenere il risultato, è necessario ricorrere alla maternità surrogata, ovvero all’utero in affitto, e all’acquisto di seme maschile. Ci sono politici, opinionisti, direttori di giornali, giuristi che si esprimono a favore della step senza minimamente dire quale sia l’origine del figlio, come se sbucasse da sotto il tavolo. Tutto ciò è a mio parere un esempio di quello che non si dovrebbe fare, e un raffinato inganno dell’opinione pubblica; tornerò su ciò oltre;

b)      Un figlio nato da una coppia etero, la quale a un certo momento si sfascia. Ponendo che il padre porti con sé un figlio in un nuovo rapporto omosex, il figlio abituato alle due figure paterna e materna, si trova inserito in un universo completamente altro. E anche questo non mi pare raccomandabile o comunque richiederebbe attenta analisi per tener conto della madre originaria.

5. Utero in affitto. Sull’utero in affitto, vi è consenso nel nostro gruppo sullo sfruttamento insito nella pratica: la madre come mero strumento di produzione. Ma dove c’è uno sfruttato vi è anche uno sfruttatore che in tal caso sono perlopiù occidentali benestanti di varie categorie:

  1. donne sofisticate che non desiderano intraprendere una maternità per motivi di carriera o per non andare incontro all’appesantimento che la gravidanza comporta, e che si fanno surrogare;
  2. coppia omosex che prenota un figlio, e che di proprio ci mette solo un gamete, l’ovulo un’altra donna e l’utero una terza. Ma in realtà gli sfruttati sono almeno due: la donna il cui corpo viene comperato e a cui si strappa il figlio uterino, e il bimbo a cui si nega la madre e la conoscenza delle sue vere origini.

Mi sembra difficile oscurare l’evidenza di questi rilievi. Eppure man mano che si avvicina la discussione sulla Cirinnà, fumo e silenzio vengono gettati sull’utero in affitto, a partire da poco prima di Natale, in concomitanza del rinfocolarsi del dibattito sul Ddl.

Nel PD l’onorevole Bersani e altri hanno accennato a un divieto rinforzato dell’utero in affitto. Questa espressione, se non è impiegata in modo strumentale e diversivo, può avere un solo significato: scrivere a chiare lettere nella legge che non saranno registrati in Italia i bambini provenienti da uteri in affitto all’estero, e derivanti da committenti italiani.

Il 2 febbraio 2016 a Parigi presso l’Assemblea nazionale si svolgerà un dibattito sull’utero in affitto con l’intento di sensibilizzare i parlamentari e l’opinione pubblica francese e mondiale sui misfatti della pratica: le promotrici (donne e femministe dell’area della sinistra) intendono che sia bandita come reato universale, ossia punibile ovunque sia commesso. Conto molto su questa iniziativa, rammaricandomi che in Italia non sia finora successo altrettanto, tranne un appello di novembre-dicembre promosso da SNOQ (se non ora quando? associazione femminista) che ha ricevuto un buon numero di firme, tra cui la mia, ma che ha anche incontrato l’opposizione di altre femministe. Uno degli obiettivi dell’incontro di Parigi è di contrastare apertamente l’inserimento della procreazione umana e della donna-madre entro il circuito del mercato capitalistico, come invece sta accadendo negli Usa e in Canada, dove con la logica del mercato si giustifica tutto.

6. Nel campo dei diritti civili siamo un Paese civilmente arretrato e senza speranza? Non è raro in questo e in altri casi sentire il solito ritornello secondo cui noi siamo arretrati e gli altri Paesi più civili di noi, nel tentativo spesso riuscito di ingenerare negli italiani un complesso di inferiorità civile. Possiamo considerare gli Stati Uniti d’America un Paese civilmente molto più avanzato di noi, se pensiamo che i suoi cittadini possiedono 260 milioni di armi da fuoco, e che le grandi lobbies affaristiche impediscono ogni regolamentazione in una società che è notevolmente intrisa di violenza? La Slovenia che ha recentemente indetto un referendum sulle unioni omosex, vinto a larga maggioranza dai no, è un Paese incivile? Semmai si può rilevare lo straordinario deficit informativo del sistema mediatico nazionale, che ha quasi completamente ignorato l’evento sloveno, taciuto o relegato in notiziole minime. Ben altra era stata la reazione pochi mesi prima per il referendum costituzionale sull’introduzione del matrimonio gay in Irlanda: giornali e TV inondati per giorni e giorni. Che piaccia o non piaccia questa è la drammatica situazione di un sistema informativo molto sensibile a certe lobbies, che rappresentano gruppi piccoli ma notevolmente influenti. Aggiungo una considerazione importante riguardante il modo, singolare e forse preoccupante, con cui il Presidente del consiglio gestisce l’informazione (??) verso l’opinione pubblica: con la posizione sinora ribadita del ‘prendere o lasciare’ in merito al Ddl Cirinnà, Renzi si è ‘scordato’ di dire che la Cedu ci ha sollecitati sulle unioni civili ma non ha imposto in alcun modo la stepchild, e lo stesso vale per il simil-matrimonio, escluso dalla Corte costituzionale italiana. In un modo o nell’altro si dà a bere ai cittadini che tutto quello che la Cirinnà contiene sia esito di esplicite richieste delle suddette corti, il che è falso. Si può pensare che il difetto informativo sia deliberato, forse anche per motivi che nulla hanno a che fare con la sostanza del problema, ma per questioni concernenti i rapporti con la sinistra PD e altri gruppi. La manipolazione dell’opinione pubblica è poi praticata dalla grande lobby mediatica. Due eminenti esperte come Maria Rita Parsi e Silvia Vegetti Finzi dal momento in cui si sono espresse per la necessità della figura maschile e femminile non hanno più accesso ai grandi quotidiani che sono schierati per il simil matrimonio e la stepchild. In ogni caso il fatto è che l’art. 5 sulla stepchild è stato inserito di forza dalla relatrice nel Ddl sulle unioni civili che aveva altro obiettivo. Alcuni PD cominciano ad ammettere apertamente che è stato un errore. Se ne può uscire solo stralciandolo.

7. Unioni civili o libere convivenze. Non dimentichiamo che il Ddl tratta pure delle unioni civili etero e di fatto, che poi saranno (e già sono) di gran lunga le più numerose. Tali unioni rivendicano non il simil matrimonio, i fiori bianchi, la registrazione, la step, ma piena libertà di convivere evitando il matrimonio civile e quello religioso, e facendo perno sulla insindacabile libertà dei singoli. Questi intendono la convivenza di fatto come espressione di una libertà che in ogni momento può ripensarsi e cambiare direzione. Se chiedessero in ipotesi di adottare, dovremmo concederlo?

Lettera ad amici già fucini a Torino negli anni ’60, autorizzata alla pubblicazione.

www.vittoriopossenti.it

 

{Stepchild= letteralmente «adozione del figliastro». In Italia. Procedura 1: il maschio omosessuale dona il suo sperma “qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili” (Corte Costituzionale sentenza 162\10 giugno 2014)

www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=162

Dispositivo:1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui stabilisce per la coppia di cui all’art. 5, comma 1, della medesima legge, il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili;

Legge n. 40, 19.02.2004                                       http://www.camera.it/parlam/leggi/04040l.htm

Ma l’omosessualità è una patologia?) a una donna (scelta e da chi? occasionale? anonima? che gratuitamente con la Procreazione Medicalmente Assistita si ingravida, ha rapporti continui biochimici e psicologici con il concepito. Partorisce in anonimato e il neonato viene riconosciuto solo dal padre biologico. Il figlio può chiedere a suo tempo, compiuti 18 anni di conoscere la madre biologica (Pdl C 784A: “Disposizioni in materia di accesso del figlio adottato alle informazioni sulle proprie origini e sulla propria identità” approvato dalla Camera dei Deputati il 18 giugno 2015; trasmesso al Senato il 19 giugno 2015; annunciato nella seduta n. 470 del 23 giugno 2015, assegnato alla 2ª Commissione permanente (Giustizia) in sede referente il 3 luglio 2015 col n. S978. Non ancora iniziato l’esame.

                                               www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/926305/index.html

Se la madre accetta, la situazione interpersonale e giuridica sarà complessa.

Procedura 2. La donna omosessuale, “qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili” viene fecondata con la PMA da un anonimo, che non riconosce alla nascita il neonato. Prosegue come ragazza madre. Con difficoltà può conoscere, per motivi medici, il profilo biologico del padre. Ndr}

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CASA CONIUGALE

Mantenimento: la casa coniugale va calcolata come vantaggio.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 223, 11 gennaio 2016.

Separazione e divorzio: nel calcolo del mantenimento all’ex si tiene conto della casa coniugale assegnata al coniuge. Quando il giudice fissa l’assegno di mantenimento in favore del coniuge separato o divorziato con reddito minore (o inesistente), deve tenere conto di tutte le sue disponibilità patrimoniali e di ogni utilità di questi, che possa avere un valore economico: il che significa che se il coniuge beneficiario del mantenimento ha anche ottenuto l’assegnazione della casa familiare (di norma, ciò succede perché presso di lui vengono anche collocati i figli), di ciò si dovrà tenere conto al momento di quantificare la somma dell’assegno medesimo, somma che, quindi, verrà diminuita.

            In buona sostanza, poiché sul piatto della bilancia c’è, da un lato, un soggetto che ottiene l’uso dell’abitazione familiare e, dall’altro, uno che invece da essa dovrà sloggiare e, presumibilmente, trovare un nuovo appartamento (in affitto o da acquistare) è chiaro che quest’ultimo andrà incontro a spese superiori che il primo, al contrario, non sosterrà. Questa considerazione non può sfuggire al giudice, nel momento in cui deve calcolare la somma del mantenimento, andando a ridurre l’importo che grava sul coniuge già “sfrattato”.

            Questo principio è stato più volte ribadito dalla Cassazione [ordinanza n. 25420/2015; sentenza n. 26197/2010] e, più di recente, confermato con una ordinanza.

Il principio, dunque, è piuttosto chiaro: “in sede di divorzio [o di separazione], ai fini della determinazione dell’assegno divorzile, occorre tenere conto dell’intera consistenza patrimoniale di ciascuno dei coniugi e, conseguentemente, ricomprendere qualsiasi utilità suscettibile di valutazione economica, compreso l’uso di una casa di abitazione, valutabile in misura pari al risparmio di spesa che occorrerebbe sostenere per godere dell’immobile a titolo di locazione”.

            Nel caso di specie, però, la Cassazione ha negato che la casa potesse costituire una utilità di cui tenere conto nella determinazione dell’assegno perché la stessa era stata occupata “di fatto”, e cioè non in virtù di una sentenza di assegnazione da parte del giudice. Insomma, la donna si era “appropriata” dell’immobile e di lì non voleva uscire, nonostante le richieste bonarie dell’uomo. In tal caso, la valutazione di una tale utilità fuoriesce dall’ambito valutativo proprio dei valori legalmente posseduti da ciascuno dei coniugi: infatti, la difficoltà a liberare l’immobile da parte del suo proprietario è un dato che non influisce nella valutazione delle rispettive posizioni patrimoniali e reddituali e, quindi, nella quantificazione dell’assegno di mantenimento.

            Secondo la Suprema Corte, in pratica, se la casa è occupata di fatto (cioè senza nessun valido titolo, come un contratto o una sentenza), il titolare dell’immobile può già ricorrere al tribunale, con le consuete (ma lunghe) azioni giudiziarie volte a recuperarne il possesso o la detenzione. Quindi, in tal caso, si può dire che “la casa non fa reddito” e, quindi, non rileva per il calcolo dell’assegno di mantenimento. Opposta è la soluzione se la casa è invece assegnata a seguito di una sentenza di separazione o divorzio: in tal caso bisognerà tenere conto della disponibilità dell’immobile nel valutare i rispettivi redditi degli ex coniugi.

La sentenza

Redazione LPT                      12 gennaio 2016                    sentenza

www.laleggepertutti.it/108505_mantenimento-la-casa-coniugale-va-calcolata-come-vantaggio

Paga metà dell’affitto della moglie l’ex marito che vive nella casa coniugale.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 430, 16 gennaio 2016.

Ciò, in particolare, può avvenire nel caso in cui l’immobile sia in comproprietà e tra i coniugi vi sia omogeneità reddituale. Con l’ordinanza (allegata), la Corte di cassazione ha sancito che, talvolta, uno dei due ex coniugi che occupa la casa familiare deve pagare all’altro la metà dell’affitto. Più nel dettaglio, si tratta di un onere del quale il coniuge deve farsi carico nel caso in cui la casa coniugale sia in comproprietà con l’ex e tra i due vi sia sostanziale omogeneità reddituale.

            Ciò anche se il coniuge in affitto non ha prodotto il contratto di locazione in giudizio. Con riferimento a tale ultima circostanza, infatti, i giudici hanno chiarito che l’obbligo di produzione del contratto può essere opposto nelle cause tra le parti del contratto stesso, ma non quando il rapporto sia funzionale a qualcosa di estraneo ad esso, come nel caso di specie. A nulla, quindi, sono valsi i tentativi del marito di vedersi esonerato dal pagamento di metà del canone di affitto della ex moglie.

            Per i motivi sopra indicati, in primo luogo è stata considerata irrilevante la contestazione circa l’assenza di adeguata dimostrazione, da parte della donna, di pagare un canone di locazione per il fatto di non aver prodotto il relativo contratto ma solo le semplici ricevute. Inoltre, sono state ritenute prive di pregio le argomentazioni a sostegno della violazione e della falsa applicazione delle norme del codice civile in materia di frutti e comunione e di un presunto vizio di motivazione del giudice dell’appello. Correttamente, infatti, il giudice del merito ha ritenuto che la donna avrebbe avuto diritto alla ricezione dei frutti pro quota derivanti dal mancato godimento dell’immobile e che, proprio attesa la difficoltà di fruizione di tali frutti, il marito era tenuto a corrisponderle metà del canone di locazione sostenuto.

Valeria Zeppilli newsletter Studio Cataldi.it 18 gennaio 2016    ordinanza

www.studiocataldi.it/articoli/20718-paga-meta-dell-affitto-della-moglie-l-ex-marito-che-vive-nella-casa-coniugale.asp

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CHIESA CATTOLICA

Giancarlo Bregantini: un testo sbagliato, però le proteste spettano ai laici.

“Ma noi vescovi non dobbiamo intervenire”, Giancarlo Bregantini arcivescovo di Campobasso, ex pastore a Locri dove divenne simbolo della resistenza alla’ndrangheta ritiene il Family Day del 30 gennaio «necessario». «Ma avverte non siamo noi vescovi che dobbiamo pilotare dall’alto queste iniziative. È compito dei laici agire contro una legge che, in ogni caso, anche io giudico un pasticcio».

Eccellenza, è stato Francesco a Firenze a dire che non c’ è bisogno di vescovi pilota, dei soliti input clericali volti a indirizzare l’azione dei laici. La Chiesa italiana segue il Papa in questo?

«Assolutamente sì. Infatti, l’iniziativa del 30 gennaio non è stata organizzata dai vescovi. Ciò detto, ha fatto bene il cardinale Bagnasco a giudicare la manifestazione doverosa. Perché un conto sono le scelte personali, un altro è andare contro quel piano oggettivo naturale secondo cui la famiglia è fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna. Il vulnus è proprio questo: l’equiparazione del piano soggettivo a quello oggettivo».

Lei ci sarà?

«Io lascerò libero chiunque lo desidera della mia diocesi di parteciparvi, nella consapevolezza tuttavia che non abbiamo nessun nemico da abbattere, piuttosto chi va in piazza deve portare la gioia dell’essere cristiano. La manifestazione, infatti, è a favore della famiglia».

Quindi il cardinale Bagnasco dicendo anch’ egli che la manifestazione è necessaria non ha fatto un passo in avanti rispetto alla posizione mantenuta fino a oggi da Francesco?

«Credo di no. Francesco è stato chiaro. Ha detto a Firenze che non servono i vescovi pilota che indirizzano clericalmente l’agire dei laici. Nello stesso tempo ha chiesto che non si sia timidi nel difendere il popolo dalle colonizzazioni ideologiche. Nessuno ce l’ha con le persone omosessuali. Il punto è un altro: c’ è una legge sbagliata, ricordarlo credo sia giusto».

Prima dei princìpi, però, c’ è la misericordia.

«Questo è vero. E, infatti, sempre a Firenze Francesco ha parlato di don Camillo di Guareschi. Don Camillo se c’era bisogno di suonare le campane a distesa le suonava. Poi, però, era amico di Peppone e gli voleva bene e lo andava a recuperare quando sbagliava. Peppone non era un suo nemico. Così dobbiamo essere noi cristiani».

Di fronte al Ddl Cirinnà sente il bisogno di suonare le campane?

«In un certo senso sì, perché in ballo non ci sono semplicemente i diritti delle persone omosessuali o delle coppie di fatto. C’ è una legge ambigua che nessun ritocco può far sì che non sia più tale».

Bagnasco ha anche ricordato che le priorità del Paese sono altre.

«E ha ragione. Si figuri che mentre parliamo di queste cose, mentre l’opinione pubblica discute di unioni civili, il mio territorio soffre per le scosse sismiche, e per molti altri problemi. Penso ai giovani che non hanno lavoro, al fenomeno dell’immigrazione. Dalla politica mi aspetterei sforzi per venire incontro a questi problemi».

Paolo Rodari              La Repubblica                       21 gennaio 2016

www.repubblica.it/politica/2016/01/21/news/giancarlo_bregantini_ma_noi_vescovi_non_dobbiamo_intervenire_-131713010

I confini della misericordia.

            Ma davvero la famiglia della dottrina ecclesiastica corrisponde al disegno di Dio? Contrariamente a molte altre volte, il Papa non ha sorpreso nessuno con il discorso di ieri al Tribunale della Rota Romana, un testo del tutto secondo copione, il medesimo che non solo Benedetto XVI e Giovanni Paolo II ma anche tutti gli altri 263 Papi avrebbero potuto tenere. Francesco ha detto che «non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione», perché la famiglia tradizionale (cioè quella «fondata sul matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo») appartiene «al sogno di Dio e della sua Chiesa per la salvezza dell’umanità». Vi è quindi un modello canonico di famiglia, rispetto al quale tutte le altre forme di unione affettiva e permanente sono livelli più o meno intensi di quanto il Papa ha definito «uno stato oggettivo di errore». E` per questo che solo la famiglia della dottrina ecclesiastica merita il nome di famiglia, mentre a tutte le altre spetta il termine meno intenso di «unione».

            Ma è proprio vero che la famiglia della dottrina ecclesiastica corrisponde al disegno di Dio? Oppure è anch’essa una determinata espressione sociale, nata in un certo momento della storia e quindi in un altro momento destinata a tramontare, come sta avvenendo proprio ai nostri giorni all’interno delle società occidentali? Penso che il referendum della cattolicissima Irlanda con cui è stata mutata la costituzione per permettere a persone dello stesso sesso di contrarre matrimonio sia una lezione imprescindibile per il cattolicesimo, della quale però a Roma ancora si fatica a prendere atto. In realtà che la famiglia evolva e cambi lo mostra già il linguaggio. Il termine “famiglia” deriva dal latino familia e sembra quindi dotato di una stabilità più che millenaria, ma se si consulta il dizionario si vede che il termine latino, ben lungi dall’essere ristretto al modello di famiglia della dottrina cattolica, esprime una gamma di significati ben più ampia: «Complesso degli schiavi, servitù; truppa, masnada; compagnia di comici; l’intera casa che comprende membri liberi e schiavi; stirpe, schiatta, gente». Lo stesso vale per il greco del Nuovo Testamento, la lingua della rivelazione divina per il cristianesimo, che conosce un significato del tutto simile al latino in quanto usa al riguardo il termine oikia, che significa in primo luogo “casa” (da qui deriva anche il termine “parrocchia”, formato da oikia + la preposizione parà` che significa “presso”). Anche nell’ebraico biblico casa e famiglia sono sinonimi, dire “casa di Davide” è lo stesso di “famiglia di Davide”: si rimanda cioè al casato, comprendendo mogli, figli, schiavi, concubine, beni mobili e immobili.

                Quindi le lingue della rivelazione di Dio non conoscono il termine famiglia nel senso usato dalla dottrina cattolica tradizionale e ribadito ieri dal Papa. Non è un po’ strano? La stranezza aumenta se si apre la Bibbia. E` vero che in essa si legge che «l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno un’unica carne» (Genesi 2, 24), ma se si analizzano le esistenze concrete degli uomini scelti da Dio quali veicoli della sua rivelazione si vede uno scenario molto diverso con altre forme di famiglia: Abramo ebbe 3 mogli (Sara, Agar e Keturà), Giacobbe 2, Esaù 3, Davide 8, Salomone 700 e 300 concubine [anche per motivi politici (1 Re 11, 3)]. A parte Salomone, che in effetti eccedette, non c’è una sola parola di biasimo della Bibbia a loro riguardo. Che dire? La parola di Dio è contro il disegno di Dio? Oppure si tratta di testi che vanno interpretati storicamente? Ma se vanno interpretati storicamente i testi biblici, come non affermare che va interpretato storicamente anche il modello di famiglia della dottrina ecclesiastica?

            Ciò dovrebbe indurre, a mio avviso, a evitare affermazioni quali «stato oggettivo di errore». La vita quotidiana nella sua concretezza insegna che vi sono unioni ben poco tradizionali di esseri umani nelle quali l’armonia, il rispetto, l’amore sono visibili da tutti, e viceversa unioni con tanto di sacramento cattolico nelle quali la vita è un inferno. Siamo quindi davvero sicuri che la dottrina cattolica tradizionale sulla famiglia sia coerente con l’affermazione tanto cara a papa Francesco secondo cui «il nome di Dio è misericordia»? Io ovviamente mi posso sbagliare, ma mi sento di poter affermare che Dio non pensa la famiglia, meno che mai quella del Codice di diritto canonico. Pensa piuttosto la relazione armoniosa alla quale chiama tutti gli esseri umani, perché il senso dello stare al mondo è esattamente la relazione armoniosa, che si esplicita in diversi modi e che trova il suo compimento nell’amore. Ogni singolo è chiamato all’amore: questo è il senso della vita umana secondo il nucleo della rivelazione cristiana. Sicché nessuno deve poter essere escluso dalla possibilità di un amore pieno, totale, anche pubblicamente riconosciuto. Ed è precisamente per questo che ci si sposa: perché il proprio amore, da fatto semplicemente privato, acquisti una dimensione pubblica, politica, in quanto riconosciuto dalla polis. Questo amore è definibile come integrale, in quanto integra la dimensione soggettiva con la dimensione pubblica e oggettiva dell’esistenza umana.

            La nascita di alcuni esseri umani con un’inestirpabile inclinazione sessuale verso persone del proprio sesso è un fatto, non piccolo [3-5%] peraltro: essi devono strutturalmente rimanere esclusi dalla possibilità dell’amore integrale? In realtà l’aspirazione all’amore integrale deve essere riconosciuto come diritto inalienabile di ogni essere umano acquisito alla nascita. L’amore integrale è un diritto nativo, primigenio, radicale, riguarda cioè la radice stessa dell’essere umano, e nessuno ne può essere privato. Spesso nel passato non pochi lo sono stati, e ancora oggi in molte parti del mondo non di rado continuano a esserlo. Oggi però il tempo è compiuto per sostenere nel modo più esplicito che tutti hanno il diritto di realizzarsi nell’amore integrale, eteroaffettivi e omoaffettivi senza distinzione. La maturità di una società si misura sulla possibilità data a ciascun cittadino di realizzare il diritto nativo all’amore integrale, ma io credo che anche la maturità della comunità cristiana si misuri sulla capacità di accoglienza di tutti i figli di Dio così come sono venuti al mondo, nessuno escluso.

            Che cosa vuol dire che «il nome di Dio è misericordia» per chi nasce omosessuale? E` abbastanza facile dire che Dio è misericordia quando ci si trova al cospetto di casi elaborati da secoli di esperienza. Più difficile quando ci si trova al cospetto della richiesta di riconoscimento della piena dignità da parte di chi per secoli ha dovuto reprimere la propria identità. Qui la misericordia la si può esercitare solo modificando la propria visione del mondo, ovvero infrangendo il tabù della dottrina. Ma è qui che si misura la verità evangelica, qui si vede se vale di più il sabato o l’uomo. Qui papa Francesco si gioca buona parte del valore profetico del suo pontificato.

Vito Mancuso, teologo                       la Repubblica, 23 gennaio 2016                  

www.vitomancuso.it/2016/01/23/i-confini-della-misericordia

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CONFEDERAZIONE CENTRI per la REGOLAZIONE NATURALE della FERTILITÀ

Laudato si’…per l’amore coniugale

Per un’ecologia integrale della sessualità. Peschiera del Garda 26-28 febbraio 2016

Centro Congressi Parc Hotel Italia Via Brolo,2/a 37014 Castelnuovo del Garda VR

In questo momento storico, si vuole riproporre l’attualità dei metodi naturali, non tanto nel loro già dimostrato rigore scientifico, ma soprattutto nella loro capacità di accompagnare i coniugi verso la bellezza dell’affettività, ossia di costruire coniugalità.

  • 26 febbraio 2016 ore 20.30 Presentazione. Giancarla Stevanella Presidente della Confederazione

Moderatore: dr Cesare Gianatti biologo Lodi

La sessualità fatta a pezzi – La frantumazione del fenomeno erotico. dr Renzo Puccetti internista bioeticista 27 febbraio 2016 ore 9,00 Moderatore: don Gino Zampieri consulente etico della Confederazione

Famiglia: ricercata speciale. Come leggere le trasformazioni della famiglia oggi? prof. Giovanna Rossi UCSC

L’amore: come Dio comanda. E l’uomo desidera! prof. José Noriega Pontificio Istituto Giovanni Paolo II

  • ore 14.00 Moderatore: dr.ssa Medua Boioni Dedé vice Presidente della Confederazione

Alla ricerca dell’amore. Psicologia, Medicina e Filosofia a confronto.

Alla ricerca del piacere – dr.ssa Mariolina Migliarese          neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta

Alla ricerca del figlio – dr.ssa Maria Boerci ginecologa

Alla ricerca del senso – prof. Giuseppe Spimpolo filosofo

  • 28 febbraio 2016 ore 9,00 Moderatore: mons. Giancarlo Grandis

A servizio della famiglia.

Per l’intimità coniugale – sigg.ri Piera ed Antonio Adorno Palermo

Per la fecondità coniugale –sigg.ri Paola e Claudio Freschi Milano

Per l’educazione all’amore – sigg.ri Camilla ed Enrico Mattei Fidenza

Laudato si’. Per l’amore coniugale. Per un’ecologia integrale della sessualità

Don Paolo Gentili Direttore Ufficio per la Pastorale della Famiglia CEI

Mons. Giancarlo Grandis docente di teologia morale del Matrimonio.

www.confederazionemetodinaturali.it/laudato-si-per-l-amore-coniugale/sfb2f7b85

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Belluno. Oltre i 50. Incontri: cambiamenti psicologici e fisiologici

La serie di incontri nel 2016 si propongono:

– di dare informazioni relativamente ai cambiamenti che avvengono ad ogni livello, sia nella donna che nell’uomo, per comprendere e gestire questa fase della vita e saper cogliere opportunità di crescita a livello personale e di coppia.

– di affrontare l’impatto emotivo e le problematiche relative alla prevenzione e alla cura dei tumori del seno e della prostata.

17.02.Evoluzioni e trasformazioni dopo i cinquant’anni dr. Roberto Filidoro psicanalista

24.02 Climaterio nella donna e nell’uomo dr Laura Favretti ginecologa, dr Daniele Xausa urologo

02.03. Tumore al seno: dimensione del problema dr Fausto Tuccia oncologo

Risorse del territorio dr Spiridione Della Lucia, Carla Pra Baldi, dr Gianelda Ferro Catello direttore Consultorio familiare UCIPEM

09.03 Quello che gli uomini non dicono dr M. Cristina Camuffo urologa, dr Franco Da Ronch psicoterapeuta

16.03 La coppia di fronte ai cambiamenti fisici, psicologici e sessuali (consulenti familiari Laura Romano,

Gregorio Pezzato Consultorio familiare UCIPEM

23.03 Finalità e importanza di un gruppo di sostegno psico-sociale e di una forma associativa per affrontare la malattia prostatica Ennio Colferai vicepresidente Consultorio UCIPEM, – Chiara Sgorlon psicologa

La partecipazione è gratuita. Consigliabile la continuità nella presenza.

Gli incontri si svolgeranno presso la sala Muccin del Centro Giovanni XXIII in piazza Piloni di Belluno.

www.consultorio.belluno.it

Latiano (BE) Servizio sperimentale di welfare scolastico Erchie.

Il Consultorio Familiare Beato Bartolo Longo, attivo dal 1983 nel territorio brindisino, d’intesa con l’Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Erchie e con l’Istituto Comprensivo ha avviato il servizio sperimentale di welfare scolastico. Il Servizio è rivolto prioritariamente ai ragazzi, ai loro problemi, alle loro difficoltà, ma è anche un possibile spazio di incontro e confronto per i genitori ed i docenti, e offre una molteplicità articolata e composita di interventi specialistici, erogati da uno Staff multiprofessionale.

Gli interventi previsti sono i seguenti:

v  Spazio di Ascolto psico-socio-pedagogico, rivolto a studenti, genitori e docenti;

v  Interventi a favore del Gruppo Classe, volti a far emergere e rilevare, con tecniche appropriate, bisogni e dinamiche del contesto, o informare e formare il gruppo classe su tematiche specifiche;

v  Orientamento: interventi professionali di orientamento nella scelta del percorso di studi superiore o post diploma, o nella ricerca di un possibile inserimento lavorativo;

v  Formazione Continua per i Docenti: cicli di incontri formativi, con workshop specifici, volti ad offrire linee guida di intervento adeguate e specifiche;

v  Scuola Genitori: piano di incontri formativi con sessioni per i genitori;

v  Mediazione Scolastica: interventi di gestione del conflitto, in ambito scolastico, tra i ragazzi, e le diverse componenti della Comunità Scolastica;

v  Consulenza Specialistica “BES”: supporto ai docenti nella individuazione dei “Bisogni Educativi Speciali” e nella predisposizione degli opportuni interventi socio educativi.

v  Giornate di Promozione della Legalità, di prevenzione della Devianza, del Sopruso, dell’Abuso e di ogni forma di Violenza.

Il servizio è operativo da Gennaio 2016, ogni mercoledì, dalle ore 09.00 alle ore 12.00.

Referenti del servizio sono la dr Maria Concetta Leozappa, psicologa, la Dr Pamela Fiorante, psicologa, la dr Elena Galiano, assistente sociale, la dr Angela Barletta, educatrice, e la dr Grazia Lanzillotti, avvocato e mediatore familiare.

“Il servizio – ha dichiarato il Vice Sindaco di Erchie, Assessore ai Servizi Sociali, dr Chiara Saracino – rientra nell’attenzione prioritaria che l’Amministrazione intende dare ai minori, alla Comunità Scolastica, al contrasto del disagio e alla promozione dell’agio e del benessere nelle famiglie e nel territorio.”

Grande apprezzamento per il nuovo Servizio di Welfare è stato espresso anche dalla Dirigente Scolastica dell’Istituto Comprensivo coinvolto, prof.ssa Maria Gabriella Caggese.

avv. Alessandro Nocco, Direttore Generale Fondazione Opera Beato Bartolo Longo

Comunicato stampa   17 gennaio 2017

www.beatobartololongo.it/bartololongo/consultorio-familiare-beato-bartolo-longo-latiano-brindisi.php

Padova. Vita di coppia: bellezza, desiderio, responsabilità

Un ciclo di 8 incontri per un massimo di 15 coppie – febbraio – marzo 2016

Le tematiche proposte:

v  Il senso della scelta di vivere in coppia. Libertà, maturità e condizionamenti.

v  La famiglia d’origine. Sviluppo della relazione affettiva, capacità di amare e suoi condizionamenti.

v  Accogliere l’altro nella propria vita. Un progetto che ci rende complici e intimi; l’altro nella coppia; libertà e fedeltà.

v  Gli scambi all’interno della coppia. La comunicazione nella coppia: aspetti emozionali, razionali, inconsci. L’ascolto, il dialogo, l’aggressività, la gestione del conflitto. Corpo, sessualità e amore nella relazione a due: tempi e ritmi nella comunicazione di coppia, il mutamento dei ruoli, in particolare dei ruoli della donna, la gestione del tempo libero, del denaro, delle relazioni.

v  Gli scambi all’esterno della coppia. L’apertura alla genitorialità: pensarsi madre e pensarsi padre, progetto condiviso e ruoli, la fecondità responsabile; la procreazione medicalmente assistita; adozione e affido, le relazioni nel lavoro, con gli amici, nei gruppi sociali, ecc.

v  Il porsi sociale della coppia e il sistema dei servizi a favore delle coppie e delle famiglie

v  Gli aspetti giuridico-sociali con riferimento anche ai matrimoni misti, alle coppie di fatto, ecc.

www.consultorioucipem.padova.it/index.php/iniziative-formative/vita-di-coppia.html

” …all’improvviso soli “

Un ciclo di 3 incontri per separati tra febbraio e marzo il giovedì dalle ore 21,00, per un massimo di 10 partecipanti. Saranno presenti due psicoterapeuti

v  Spazio per esprimere il dramma. Racconto, ascolto e confronto delle emozioni

www.consultorioucipem.padova.it/index.php/per-percorso-separati.html

Parma. Gruppo d’incontro per persone in lutto.

La lenta e faticosa elaborazione del lutto per la perdita di una persona cara è un processo squisitamente personale che può manifestarsi in modo del tutto diverso a partire dal “modo di essere” di chi lo vive. Ciò nonostante il confrontarsi con chi fa esperienza dello stesso vissuto di perdita può aiutare a sviluppare una maggiore autoconsapevolezza e ridurre il sentimento di solitudine.

            Scopo del gruppo. Offrire a chiunque un luogo protetto e non giudicante in cui approfondire, legittimare ed elaborare i propri vissuti di fronte a Perdite più o meno recenti.

Conduttore dr Cecilia Sivelli, psicologa psicoterapeuta, si occupa di accompagnamento alla morte e supporto al lutto a Parma e presso l’Azienda Ospedaliera di Cremona.

            Il gruppo si incontrerà presso la sede di Famiglia Più, e si articolerà in cinque incontri a cadenza settimanale in pausa pranzo o nel tardo pomeriggio, nella giornata del mercoledì o del venerdì a partire dall’ ultima settimana di febbraio. (Giorno e orario verranno fissati sulla base delle esigenze dei partecipanti).

Le iscrizioni dovranno pervenire entro il 20 febbraio 2016.                         www.famigliapiu.it

Pescara. Percorso di conoscenza di se stessi.

Il percorso mira, attraverso l’utilizzo di dinamiche esperienziali, a favorire la capacità di auto-ascolto, l’esplorazione di sé e del proprio mondo interiore, per acquisire maggiore consapevolezza di ciò che siamo.

v  Facilitare il riconoscimento e la valorizzazione delle proprie risorse e l’accettazione/integrazione dei propri limiti.

v  Favorire le relazioni all’interno del gruppo, attraverso stili comunicativi improntati all’autenticità e al rispetto di sé e degli altri.

v  Facilitare l’ascolto dei propri bisogni e la comprensione dei propri stili comportamentali.

Il quadro di riferimento teorico-applicativo è basato sul modello della psicologia umanistica e fornisce ai partecipanti griglie di lettura e modalità di intervento integrate, al fine di offrire agli utenti sostegno e aiuto altamente personalizzati, partendo dalle esigenze e dalle caratteristiche di unicità e soggettività di ogni persona.

            Il training si articola in 10 moduli di 3 ore ognuno, per complessive 30 ore.

La metodologia di apprendimento è teorico-esperienziale. Attraverso esercitazioni tecnico-pratiche si vuol favorire lo sviluppo e l’integrazione di abilità comunicative e di ascolto utili a migliorare la relazione con l’altro sia in ambito professionale che personale. Il 30% delle ore è dedicato alla parte teorica, il 70% alla pratica guidata.

4° gruppo.       Conduttori: Lidia Di Bartolomeo – Federica Fava

Referente Progetto: Ivana De Leonardis (Consulente Familiare)

Dal 1 febbraio al 24 maggio 2016 al lunedì\martedì

corsi@ucipempescara.org                                        www.ucipempescara.org/percorsi

Portogruaro. Consultorio familiare fondaco onlus. Percorsi

I prossimi percorsi formativi:

 

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