newsUCIPEM n. 580 –17 gennaio 2016

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ADDEBITO                                      Infedeltà e separazione: quando il tradimento non comporta colpe

ADOZIONI                                        Il disastro delle adozioni in Italia.

                                                           Adozioni, otto proposte per migliorarle.

Adozione maggiorenni. Ricorso alla Corte dei Diritti dell’Uomo.

ADOZIONI INTERNAZIONALI    Nelle statistiche tornano dei segni “più”

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  Addio all’assegno la ex moglie che non “mostra” il conto in banca.

CELIBATO                                       Preti sposati. L’asse Germania-Brasile

CHIESA CATTOLICA                    Sì a una legge sulle unioni civili ma non si parli delle adozioni.

Ddl Cirinnà. Serve al Paese reale o alle battaglie ideologiche?

Adozioni gay? Si valuti ogni caso. Deve prevalere bene bambino.

CONSULTORI Familiari UCIPEM Cremona: Pizzighettone Educarsi ed educare alla resilienza.

Roma. Centro la famiglia. Maschile e femminile in trasformazione

DALLA NAVATA                            Domenica dopo l’Epifania – anno C – 10 gennaio 2016.

DIVORZIO                                       L’ex non può opporsi: l’indissolubilità riguarda solo la Chiesa.

FRANCESCO Vescovo di ROMA    Francesco “non-tradizionalista” e “post-liberale”.

                                               Alle unioni gay Bergoglio non dice di no.

POLITICHE PER LE FAMIGLIE  Legge di stabilità 2016.

UNIONI CIVILI                                Unioni civili. Oltre 100 giuristi dicono no al Ddl Cirinnà.

Mirabelli: «Ombre costituzionali sulla stepchild adoption».

Unioni civili, paure senza fondamento.

Unioni civili e “stepchild adoption”: l’impossibile mediazione.

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ADDEBITO

            Infedeltà e separazione: quando il tradimento non comporta colpe.

Tribunale ordinario di Nuoro – Sezione collegiale civile-Sentenza n. 552, 29 settembre 2015.

Tradimento dopo il matrimonio: se la crisi della coppia era già in atto l’infedeltà non comporta addebito. Non sempre il tradimento del coniuge comporta una sentenza di addebito (pronuncia, cioè, che dichiara la responsabilità del fallimento del matrimonio in capo al traditore, con conseguente perdita del diritto al mantenimento): se il coniuge fedifrago vuol andare immune da colpe deve riuscire a dimostrare al giudice che il mancato rispetto, da parte sua, dell’obbligo di fedeltà coniugale è conseguenza – e non piuttosto causa – di una convivenza divenuta già da tempo intollerabile per altri fattori. In buona sostanza, è necessario provare in processo che il tradimento si è verificato una volta ormai spenta ogni fiamma tra i coniugi e, quindi, quando già si è determinata l’interruzione di quella comunione materiale e spirituale che è il tratto essenziale del matrimonio. Lo ha ricordato il Tribunale di Nuoro.

Già la Cassazione [Sentenze n. 25618/2007; n. 8512/2006], in passato, ha più volte precisato che l’equazione tradimento-addebito non vale sempre, ma solo quelle volte in cui l’infedeltà sia stata l’effettiva causa della crisi coniugale; se invece la crisi non ha alcun nesso causale con la relazione extraconiugale allora l’adultero non può neanche essere condannato e, quindi, la sua condotta non è causa di addebito.

Una moglie aveva presentato, al giudice, richiesta di separazione con addebito per aver scoperto una relazione adulterina del coniuge che “andava avanti da diversi anni”. Il marito si era difeso sostenendo di “non aver mai avuto alcun sostegno psicologico o affettivo” dalla moglie durante un momento di sua grossa difficoltà economica; pertanto, stante la crisi coniugale, si era rivolto ad un psicoterapeuta, ma la consorte non si era mai presentata agli incontri, negando fra l’altro qualsiasi relazione. Ciò aveva determinato il suo progressivo allontanamento dalla consorte.

A chi spetta l’onere della prova? In generale, per ottenere l’addebito a carico dell’ex, spetta al coniuge che richiede tale condanna l’onere di provare, in giudizio, due aspetti importanti:

  1. la contrarietà del comportamento dell’altro coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio: ciò che, appunto, è stato causa di addebito;
  2. che proprio tale comportamento sia stato l’effettiva ragione della crisi, rendendo intollerabile la prosecuzione della convivenza [Cass. Sent. n. 1484/2006].

Nel caso, però, in cui la ragione dell’addebito sia costituita dall’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale, è sufficiente dimostrare solo il primo punto (ossia il comportamento fedifrago) e non anche il secondo: ciò, infatti, fa automaticamente presumere che sia stata l’infedeltà la causa della convivenza intollerabile. Pertanto la parte che ha dimostrato l’altrui adulterio ha interamente assolto l’onere della prova per la parte su di lei gravante. Tale regola, tuttavia, viene meno quando l’altro coniuge dimostra la mancanza di rapporto causale tra infedeltà e crisi coniugale: egli però deve dare prove certe e serie. Il giudice deve quindi adottare un tipo di accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale [Cass. Sent. n. 2059/2012].

Nel caso di specie, il tribunale ha ritenuto provate le infedeltà del coniuge, a seguito di prove raccolte da un teste che l’aveva pedinato, ma non la preesistenza della crisi come sostenuto dal marito. A tal fine, precisa la sentenza, “non può ritenersi idonea la circostanza che l’uomo si sia rivolto, prima della nascita del secondo figlio, ad un psicoterapeuta per difficoltà di comunicazione nella coppia”. Si tratta infatti di circostanze che non appaiono sufficienti “a evidenziare l’esistenza di una situazione di crisi irrimediabile, tale da lasciar supporre che la convivenza coniugale fosse meramente formale”. Condizione, conclude il testo, fra l’altro esclusa dalla nascita successiva del figlio.

Raffaella Mari                       Lpt      17 gennaio 2016                    sentenza

www.laleggepertutti.it/108973_infedelta-e-separazione-quando-il-tradimento-non-comporta-colpe

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ADOZIONI

                                    Il disastro delle adozioni in Italia.   

“Nonostante in Italia ci siano 5 milioni e 300mila coppie sposate senza figli, le coppie che chiedono di fare un’adozione internazionale quest’anno sono state solo 3mila. Si è impauriti e scoraggiati. L’adozione non viene promossa e c’è una cultura negativa intorno alla coppia che vuole adottare” e “Oggi c’è grande interesse per la stepchild adoption perché riguarda gli adulti, mentre per le migliaia di bambini abbandonati l’interesse è scarsissimo. I bambini, purtroppo per loro, non votano”. Questi alcuni dei concetti chiave espressi dal presidente di Amici dei Bambini Marco Griffini, in questa intervista, che riportiamo integralmente.

«Perché deve essere un giudice a stabilire se una coppia ama a sufficienza il bambino che vuole adottare? E perché si deve subire un processo per arrivare all’adozione?». Mentre i partiti si accapigliano sulla stepchild adoption (l’adozione del figlio del proprio compagno nelle coppie omosessuali), Marco Griffini, presidente dell’Ai.Bi, associazione Amici dei bambini, denuncia le ingiustizie e lo stato di abbandono dell’intero sistema delle adozioni nel nostro Paese. «Solo in Italia i tribunali dei minorenni hanno totale potere decisionale sull’idoneità delle coppie, e ognuno fa a modo suo. E da due anni la Commissione per le adozioni internazionali (Cai) non organizza un incontro con le delegazioni straniere né pubblica i dati sul numero di bambini adottati dall’estero», dice. Tanto che il Permanent Bureau de L’Aja, che sorveglia sulla applicazione della Convenzione sulla protezione dei minori, ha richiamato l’Italia per il mancato rispetto delle sue linee guida.

Oggi negli orfanotrofi italiani ci sono 35mila bambini. Li chiamano «minori fuori famiglia». A questi si aggiungono i 400 neonati abbandonati ogni anno alla nascita. Le adozioni nazionali, in compenso, sono pochissime. In un anno si aggirano tra le 1.000 e le 1.300. «Non sappiamo però quanti sono i bambini dichiarati adottabili dai tribunali per i minorenni perché una banca dati non esiste», dice Griffini. «Se ci fosse, i bambini adottati sarebbero certamente di più». Una legge del 2000 prevedeva l’istituzione della banca dati. E l’Ai.bi ha anche vinto una causa al Tar. Ma nulla è stato fatto. «Questo fa capire il grado di attenzione della politica verso le adozioni», denuncia il presidente dell’Ai.Bi. «Oggi c’è grande interesse per la stepchild adoption perché riguarda gli adulti, mentre per le migliaia di bambini abbandonati l’interesse è scarsissimo. I bambini, purtroppo per loro, non votano».

In Italia a decidere se una coppia può adottare o meno un bambino è il tribunale per i minorenni. Succede solo nel nostro Paese. Altrove sono i servizi sociali a guidare gli aspiranti genitori verso l’adozione. «Da noi per adottare devi subire un processo», dice Griffini. Una coppia viene vista, valutata e rivalutata. E se diecimila coppie all’anno chiedono di adottare un minore italiano, alla fine solo una su dieci ci riesce.

La cosa peggiora con le adozioni internazionali. «In questo momento c’è una totale assenza del governo italiano su questo tema», spiega Griffini. «Sono quattro anni che la Commissione per le adozioni internazionali praticamente non funziona». Prima la regola era che a capo della Commissione ci fosse un ministro. Dal governo Monti in poi il vertice è stato affidato a un tecnico. E la cosa, secondo Griffini, ha allontanato il tema adozioni dall’agenda delle politica. «Quando al vertice c’era Carlo Giovanardi, al di là dell’opinione che si può avere per Giovanardi», spiega il presidente di Ai.bi, «la Commissione funzionava e c’erano quattromila adozioni all’anno. Si facevano incontri con le delegazioni straniere, si apriva a nuovi Paesi e si andava all’estero. Poi alla presidenza arrivò Andrea Riccardi. In due anni ci fu un solo incontro con una delegazione straniera».

Ma «l’apice si è raggiunto con il governo Renzi che, invece di nominare un ministro, ha messo alla presidenza della Cai il magistrato Silvia Della Monica. In due anni non ha mai riunito la commissione, né ha fatto un incontro con le delegazioni straniere». Lo denunciano tutti gli enti autorizzati che si occupano di adozioni. Le richieste per aprire canali adottivi con nuovi Paesi stranieri vengono puntualmente rigettate. Molti lamentano addirittura di non riuscire a mettersi in comunicazione con la Commissione. E per mesi 150 famiglie sono state in attesa di una lettera per sbloccare altrettante adozioni dalla Bielorussia. «Sono quattro anni che non si apre a Paesi nuovi», dice Griffini. «Nelle adozioni i rapporti di diplomazia sono fondamentali. Se la commissione non favorisce questi incontri, i Paesi stranieri preferiscono dare figli ai francesi o agli spagnoli, non a noi». Senza dimenticare le trafile burocratiche da seguire per adottare un bambino. Tutto è a totale discrezionalità dei tribunali per i minorenni. «In Veneto, ad esempio, i tribunali non danno l’idoneità per le adozioni di bambini al di sopra dei sei anni», racconta Griffini. «Altri tribunali dicono invece che non puoi adottare più di un figlio. È una violazione impressionante dei diritti umani. La coppia non ha alcuna garanzia di ottenere l’idoneità».

In più ci sono i costi. «Se devi adottare un bambino in Russia, devi fare almeno quattro viaggi. Per adottarne uno in Brasile, devi stare lì due mesi. A questi si aggiungono i costi burocratici: in alcuni casi per regolarizzare la documentazione bisogna pagare fino a 2mila euro, e ci sono le tasse da pagare ai Paesi stranieri, oltre che le spese di gestione degli enti autorizzati».

Nel 2012 le adozioni internazionali erano 4mila. Nel 2015 il numero si è dimezzato. «Nonostante in Italia ci siano 5 milioni e 300mila coppie sposate senza figli», dice Griffini, «le coppie che chiedono di fare un’adozione internazionale quest’anno sono state solo 3mila. Si è impauriti e scoraggiati». L’adozione non viene promossa e «c’è una cultura negativa intorno alla coppia che vuole adottare. La coppia viene supervalutata, superselezionata, quando invece andrebbe accompagnata. La maggior parte delle coppie finisce per rinunciare in partenza, anziché affrontare questa via crucis».

Non è finita qui. Il nostro Paese, in tema di adozioni, ha un grosso problema di trasparenza. Non solo per la mancanza della banca dati dei minori italiani adottabili. Nel nostro Paese non si conosce il numero delle adozioni internazionali, da quali Paesi provengono e l’età dei bambini adottati. Ogni anno ai primi di gennaio la Commissione per le adozioni internazionali pubblicava i numeri delle adozioni dell’anno precedente, appoggiandosi al settore statistico dell’Istituto degli Innocenti di Firenze. Fino al 2013. «Sono due anni che la Commissione non pubblica i dati», dice Griffini. «Renzi ha fatto della trasparenza una battaglia della sua politica, e invece l’organo di controllo delle adozioni internazionali ci ha appena fatto una tirata d’orecchie per l’assenza di trasparenza. Nessuno oggi in Italia sa quanti sono i minori italiani dichiarati adottabili né quante siano le adozioni internazionali. Come se fossero merce che non interessa a nessuno».

                                                   Lidia Baratta “L’Inkiesta” 11 gennaio 2016.

http://www.linkiesta.it/it/article/2016/01/11/il-disastro-delle-adozioni-in-italia/28840/

                                                                               

                                                   Adozioni, otto proposte per migliorarle.

                Il Coordinamento CARE ha presentato il “Dossier adozioni. Stato dell’arte sulle adozioni nazionali e internazionali dal punto di vista delle famiglie adottive italiane. Proposte procedurali e operative”. Una sintesi delle proposte fatte dalle famiglie.

Il Coordinamento CARE ha presentato il “Dossier adozioni. Stato dell’arte sulle adozioni nazionali e internazionali dal punto di vista delle famiglie adottive italiane. Proposte procedurali e operative” (in allegato). Si tratta di un documento «che mette a sintesi le azioni fatte nei 6 anni di attività del CARE, a valle dell’importante esperienza dei Family Lab». Annunciato durante il Family Lab dello scorso 17 ottobre 2015 a Roma, sollecitato anche dai politici presenti, ecco ora le 25 pagine del documento di proposta, articolato in otto aree. In sintesi, ecco l’analisi e le proposte, attore per attore.

  1. Il Parlamento. Per rendere la scelta della genitorialità adottiva realizzabile a prescindere dal proprio reddito è determinante la stabilizzazione di una forma di sostegno alle famiglie e in parallelo studiare strumenti di defiscalizzazione delle spese sostenute per le procedure adottive. In un’ottica di prevenzione del disagio familiare è necessario pensare un sostegno alle famiglie in forma di voucher o sgravio fiscale per le adozioni “difficili”, ossia per quelle adozioni in cui i bambini hanno patologie o handicap gravi. È urgente individuare dispositivi di rimborso a fronte di situazioni emergenziali nei Paesi di origine, che prescindono completamente la volontà delle coppie.
  2. La Commissione Adozioni Internazionali. Il ruolo centrale della Commissione nel monitoraggio e controllo delle adozioni internazionali, la necessità della continuità nei rapporti con i paesi esteri, rendono fondamentale che sia garantita una continuità longitudinale alla Commissione dai governi in carica, attraverso l’individuazione di un Ministero specifico e stabile presso cui incardinarla: oggi il fatto che sia sotto l’egida della Presidenza del Consiglio dei Ministri crea una discontinuità al vertice politico ad ogni cambio di Governo. Si chiede un contenimento del numero dei Commissari e la creazione di una Consulta delle Adozioni a cui possano partecipare i principali attori del sistema adozioni. Si chiede di risolvere, per quanto riguarda la rappresentanza dell’associazionismo familiare, il problema dell’individuazione di parametri che garantiscano una scelta trasparente e rappresentativa a livello nazionale dei tre commissari familiari previsti. Sul versante delle relazioni con le famiglie, si propone la strutturazione di un sito della Commissione Adozioni Internazionali in open data (ad esempio gli ingressi dei minori su base trimestrale suddivise per paesi ed enti) e viene indicato come “cruciale” il ripristino della Linea CAI, che ha avuto un ottimo feedback dalle famiglie che ne hanno potuto usufruire negli anni passati sino a che è stata mantenuta attiva.
  3. Gli Enti Autorizzati. La pluralità degli Enti esistente in Italia ha portato a diversità di tipologie di contratti di conferimento incarico, che crea confusione fra le famiglie sia al momento della scelta dell’Ente Autorizzato sia quando occorre fare un passaggio da un Ente a un altro: tale diversità andrebbe superata identificando un’unica tipologia di contratto per ciascuna natura giuridica degli Enti Autorizzati. Il CARE propone che qualora una procedura adottiva superi del 25% i tempi e/o i costi medi del Paese, l’Ente Autorizzato relazioni alla Commissione le motivazioni di questa incongruenza. Si propone la creazione di un “sistema Italia”, per cui gli Enti Autorizzati che operano in uno stesso paese e in una stessa regione possano collaborare secondo un sistema omogeneo, in particolare affinché le coppie che si trovino bloccate con un Ente possano concludere l’iter con altri, senza oneri aggiuntivi. Sul post adozione, è importante ridefinire gli standard dei servizi effettuati e, nel contempo, ridefinirne i costi.
  4. I Tribunali per i Minorenni. Semplificazione delle prassi, snellimento e la trasparenza delle procedure. In particolare si chiede la costituzione operativa della Banca dati nazionale (come da ordinanza TAR del Lazio n. 08231/2012). Le Associazioni familiari chiedono un intervento che metta a regime la buona gestione dei dati sensibili dei minori nelle fasi di affidamento a “Rischio Giuridico” precedenti alla definizione dell’adozione nazionale con l’assegnazione di un Codice Fiscale temporaneo come attuato in Regione Piemonte: tale prassi eviterebbe una serie di difficoltà con l’Agenzia delle Entrate e le ASL che tutt’ora permangono a danno delle famiglie.
  5. Il Ministero del Lavoro. È importante pensare la possibilità di permessi lavorativi straordinari per chi si renda disponibile all’adozione di bambini che richiedono lunghe fasi di avvicinamento pre-adottivo (ad esempio bambini sopra i 10 anni nell’adozione nazionale) o lunghi periodi all’estero (internazionali). Le Associazioni familiari da tempo richiedono una revisione della normativa sui congedi malattia dato che l’attuale normativa penalizza chi accoglie in adozione o in affido bambini di 6 anni e oltre: è necessaria una tempestiva revisione dell’art. 50 del DL 151 del 2001, nel senso di spostare il limite temporale entro il quale poter fruire dei periodi non retribuiti in caso di malattia del bambino, sino ai dodici anni dall’ingresso in Italia dello stesso (e comunque entro la maggiore età), in modo analogo a quanto ha recentemente previsto il Job’s Act per istituti giuridici simili.
  6. Il Ministero Istruzione, Università, Ricerca.  La presenza, nelle aule scolastiche, di bambini adottati, è una realtà rilevante, basti pensare che dal 2000 al 2013 i minori autorizzati all’ingresso in Italia in adozione sono stati oltre 42.048. Con “La Buona Scuola” l’attuazione delle Linee di indirizzo per il diritto allo studio degli alunni adottati, promosse dal CARE, è entrata a far parte della nuova legge, portando per la prima volta la parola adozione all’interno di una riforma scolastica. Per una reale attuazione delle Linee di Indirizzo è tuttavia, ora, urgente mettere a sistema la fase che riguarda la formazione dei dirigenti e degli insegnanti, sia nella formazione iniziale sia creando una rete di insegnanti referenti sul tema (esiste già, proficuamente, nelle provincie di Cremona, Messina, Monza e Savona). Il CARE informa di stare per avviare col MIUR un lavoro sul tema affido e scuola.
  7. Ministero della Salute. In Italia entra, per adozione internazionale, un’elevata percentuale (sottostimata) di bambini con bisogni speciali e particolari. In Italia esistono 19 Centri di riferimento GLNBM per l’accoglienza sanitaria del bambino adottato all’estero (GNLBM sta per Gruppo di Lavoro Nazionale per il Bambino Migrante della Società Italiana di Pediatria), di cui 4 al Sud. Il CARE propone la progettazione di Linee Guida sul tema salute e adozione che facciano tesoro dell’esperienza dei Centri GNLBM; la formazione sul tema per tutti i pediatri di base (da attuare grazie alle Linee Guida di cui sopra), la revisione del Protocollo Sanitario 2002 (rinnovato nel 2007), in accordo con la Commissione Adozioni Internazionali, alla luce del mutato scenario delle adozioni internazionali e la creazione in tutte le province Italiane di Centri per l’accoglienza sanitaria del bambino adottato all’estero come da esperienza GNLBM.
  8. Le regioni e le equipe adozioni- È auspicabile avviare una fase di coordinamento del lavoro di attuazione da parte delle Regioni di quanto richiesto nella Legge 476, attraverso il rilancio dei Tavoli di lavoro in materia di adozioni internazionali; la valutazione dell’efficacia dei Protocolli regionali attuati; la realizzazione di una sezione “adozione e affido” sui siti di ogni Regione. I Servizi territoriali che si occupano di famiglie adottive vanno sostenuti e rafforzati e vanno messi in grado (grazie alla formazione e alla riorganizzazione delle risorse) di dare alle famiglie la pluralità di attenzioni necessarie, ben oltre il primo anno di post adozione.

                                                   Sara De Carli         vita.it  23 dicembre 2015

www.vita.it/it/article/2015/12/23/adozioni-otto-proposte-per-migliorarle/137802

 

Adozione maggiorenni. Ricorso alla Corte dei Diritti dell’Uomo.

E’ stata iniziata procedura avanti alla Corte dei Diritti dell’uomo a Strasburgo per violazione da parte dello Stato Italiano di alcuni diritti fondamentali (diritto alla famiglia, al nome, divieto di discriminazione ecc.) in merito all’attuale disciplina vigente in Italia relativa alle adozioni maggiorenni ed alle modalità di recepimento delle decisioni e degli atti di stato civile stranieri in merito all’istituto.

In Italia la norma per le adozioni dei maggiorenni non prevede a differenza delle altre Nazioni europee (quasi tutte) una specifica disciplina in favore di quegli adottati che avevano già costituito un profondo rapporto parentale con la famiglia o con la persona che li adotta alla maggiore età, quando erano ancora bambini. E la riforma di diritto di famiglia ha sempre più sacrificato questa norma e oscurato ogni sua valenza.

Prima di proseguire su questo nuovo impegno, è necessario fare il punto sulla questione dei recepimenti in Bielorussia delle sentenze italiane di adozione maggiorenni

Come è già stato più volte ricordato, abbiamo ottenuto sei recepimenti con il risultato che sono stati emessi sei diversi certificati di nascita con le generalità dei ragazzi adottati cambiate in seguito all’intercorsa adozione Tutto questo è stato possibile in forza del trattato bilaterale Italia Urss del 1979 che prevede il recepimento (automatico) delle sentenze italiane di adozione in sede di volontaria giurisdizione, recepimenti che devono essere riconsiderati ed omologati alla normativa dello Stato ( Bielorussia) a cui si chiede il recepimento, l’esecuzione, la valutazione della sentenza italiana. Tutto questo è stato compiuto a partire dal 2010/2011 (anno del primo recepimento) al luglio del 2013. Subito dopo l’operazione si è bloccata senza una chiara ed esplicita motivazione da parte delle autorità Bielorusse.

A tutt’oggi non sappiamo cosa sia successo, ma è evidente che c’è stata una partecipazione delle autorità italiane. Una partecipazione che può manifestarsi anche in una omissione di intervento o di richiesta o di pressione o di applicazione del Trattato medesimo. Nel 2015 è parsa possibile una ripresa dei recepimenti, ma nonostante la posizione del Tribunale regionale di Moghilev, che richiedeva una esecuzione automatica della sentenza italiana, il Ministero di Giustizia a Minsk, al pari dei comitati esecutivi locali e degli ZAGS interpellati, hanno rifiutato l’esecuzione.

La posizione degli adottati maggiorenni ritorna quindi precaria ed indiscutibilmente soggetta ai capricci del caso o a quello delle autorità locali.

Ripetiamo: non siamo in grado di dire con certezza per quali motivi lo Stato Bielorusso abbia precluso questa strada. Le motivazioni offerte a risposta dell’ultima nostra istanza datata luglio 2015 non appaiono in grado di giustificare il repentino cambio di orientamento. Esse sono concentrate sulla questione che appariva ormai seppellita dal buon senso e dal futuro che avanza

Le adozioni di maggiorenni sono in violazione dell’ordine pubblico bielorusso. Ritorna lo spettro delle adozioni maggiorenni come paravento a rapporti affettivi omosessuali, qualificati come illeciti o come immorali negli ambienti bielorussi. Questo black out dell’autorità bielorussa nei confronti dei recepimenti delle adozioni maggiorenni in Italia non serve ad impedire che le stesse avvengano e quindi che non vengano “consumati i reati”. Al fine di impedire la degenerazione di un istituto giuridico serve invece la assoluta trasparenza della sua esistenza e dei suoi effetti. Il mancato recepimento delle sentenze comporta, appunto l’effetto contrario, qualora queste adozioni possano essere utilizzate per scopi diversi dal motivo per le quali sono state dichiarata dal Tribunale Italiano, questo è il modo migliore per rendere possibile ogni abuso.

Non crediamo che l’autorità Bielorussa non se ne renda conto. Allora cosa ha spinto l’autorità Bielorussa a bloccare questi recepimenti? Innanzitutto non crediamo possibile che ciò sia avvenuto senza il coinvolgimento dell’autorità italiana, perché il trattato è stato firmato da entrambi le nazioni. Ed allora utilizziamo un briciolo di sana logica latina e cominciamo a chiederci “ cui prodest?” a chi giova non recepire queste sentenze?

Gli effetti di questi recepimenti erano essenzialmente due:

1)      Gli adottati venivano integrati all’interno della società italiana senza che potessero essere evidenti differenze all’interno del nucleo familiare o in generale del contesto sociale. La mancanza di integrazione comporta invece che l’adottato maggiorenne rimane un soggetto che ha spontaneamente firmato un contratto senza rilevanza socio familiare con un altro individuo al quale presterà assistenza e conforto in cambio di una probabile, ma non certa, eredità futura. Se colui con cui ha contratto il rapporto di “assistenza” (potremmo definirlo così, vista la lettera della legge italiana attuale in tema di adozione maggiorenne) muore prima che l’adottato abbiamo potuto richiedere o ottenere la cittadinanza italiana, il suo posto in Italia sarà a rischio e potrà essere rimpatriato a discrezione delle autorità italiane (è già successo) In forza di questo effetto possiamo quindi individuare una urgenza di ordine pubblico: nessuna delle due nazioni, ossia né l’Italia né la Bielorussia, vogliono questo flusso di migrazione. Il rapporto che viene instaurato è a tempo e non ha rilevanza se non tra coloro che lo hanno richiesto, con un’altra limitazione data dal fatto che uno delle due parti non è cittadino italiano

2)      Gli adottati maggiorenni integrati nella realtà italiana erano considerati uguali e con i medesimi diritti degli adottati minorenni. La mancanza del recepimento quindi comporta che questi adottati non saranno mai più assimilabili agli adottati da minorenni, gli accordi e le scelte compiute in sede politica non verranno violate o manomesse, nessuno potrà davvero sperare di ottenere un genitore o un figlio se non tramite il percorso obbligato delle adozioni di un minore secondo la trafila imposta dalle norme e degli accordi internazionali. Quindi se il politico di turno o l’assistente sociale o l’associazione o altri soggetti estranei metteranno il loro veto, nessuno potrà mai sperare di vedere realizzato il suo sogno affettivo, di poter consolidare un rapporto con un bambino, né un bambino potrà mai vedere avverata la famiglia che ama dentro il suo cuore se qualche burocrate ha deciso il contrario. Senza contare i costi di questo tipo di adozione, costi leciti o di sottobanco che siano. Se un coppia non possiede le risorse economiche sufficienti è estromessa dalla possibilità di raggiungere il suo sogno. L’opzione è quindi l’adozione maggiorenne, ma se questa non è in grado di sostituire l’adozione minori, rimane una specie di sogno da luna park, da paese dei balocchi. In forza di questo effetto possiamo quindi rilevare una urgenza di mantenimento degli equilibri, dello status quo delle adozioni, a tutto vantaggio degli interessi che in questo settore vengono espressi da chi se ne occupa e ne monopolizza il procedimento.

Isabella Cusanno       aduc    7 gennaio 2016

www.aduc.it/articolo/adozione+maggiorenni+ricorso+alla+corte+dei+diritti_23809.php

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Nelle statistiche tornano dei segni “più”

Come sono andate le adozioni internazionali nel 2015? Per capirlo siamo andati a cercare i dati statistici relativi al 2015 degli enti che nel report ufficiale della Cai del 2013 contavano il maggior numero di ingressi. Mentre il 2014 era tutto con il segno meno, nel 2015 qualche segnale positivo c’è. Anche se si stima complessivamente un calo ulteriore del 20-30%   . Gli enti stanno iniziando a pubblicare le statistiche relative all’anno appena concluso e per farci un’idea del trend numerico siamo andati a cercare i dati relativi agli enti autorizzati che secondo il rapporto statistico della Commissione adozioni internazionali avevano concluso più adozioni nel 2013. I dati del 2014 e del 2015 sono pubblicati sui siti web dei singoli enti, visto che la Cai non ha mai pubblicato il Report statistico relativo al 2014. Ricordiamo che nel corso dell’anno 2013 le famiglie italiane avevano realizzato l’adozione internazionale di 2.825 bambini, provenienti da 56 diversi Paesi. Gli enti qui monitorati, per quanto esigui in numeri assoluti (sono ben 62 gli enti autorizzati), rappresentano un campione di tutto rilievo: nel 2013 attraverso questi enti sono entrati in Italia 1.317 minori sui 2.825 adottati, cioè il 46,6%.

Il Cifa – che dovrebbe essere ancora una volta il primo ente italiano per numero di ingressi – ha portato a termine 225 adozioni, per un totale di 247 bambini: 102 bambini vengono dalla Cina, 61 dalla Federazione Russa, 27 dalla Bulgaria. «Anche i conferimenti di mandato, vale a dire il numero di famiglie che si sono rivolte a Cifa per adottare un bambino, sono in numero confortante: 283, nel 2015. E non sono semplici numeri: dietro ciascuno di loro c’è un bambino, con tutti i suoi diritti da rispettare», spiega Gianfranco Arnoletti, presidente Cifa. «Non dimentichiamo che, oltre alle adozioni concluse nel 2015, a oggi sono già stati abbinati 70 bambini, che nelle prossime settimane potranno incontrare i loro genitori per andare a creare 62 nuove famiglie. Resta però una certa preoccupazione per lo stesso futuro delle adozioni, che verosimilmente potrebbero diminuire ulteriormente nonostante i tanti bambini che ancora non vedono rispettato il loro diritto più importante, quello di avere una mamma e un papà. L’anno appena concluso ha visto una riduzione del numero delle adozioni su tutto il territorio italiano che, in attesa di dati ufficiali dalla Commissione Adozioni Internazionali si assesta verosimilmente tra il 20 e il 30 per cento».

            Anche Maria Teresa Maccanti parla di un «evidente calo delle adozioni che persiste da alcuni anni e lo rileviamo dalle dichiarazioni degli altri enti, ma per il NAAA non è così evidente. Anche il numero dei mandati, infatti, è aumentato rispetto al passato». Numeri con il segno più anche per il Ciai, che nel 2015 ha visto un aumento del 13,6% rispetto al 2014 nel numero di adozioni portate a termine da Ciai: sono 54 i bambini che hanno trovato una famiglia in Italia, 22 femmine e 32 maschi. «Siamo soddisfatti di questo risultato», dice Graziella Teti, responsabile adozioni internazionali di CIAI, «ma non possiamo non pensare a quei bambini, e sono ancora tanti, per i quali non siamo ancora riusciti a trovare una mamma e un papà. Speriamo di riuscire a farlo nel nuovo anno appena cominciato». Al momento attuale, infatti, le segnalazioni di bambini ci sono, ma mancano le famiglie disposte ad accoglierli: «Si tratta di bambini con bisogni speciali e quindi c’è bisogno di coppie disponibili a mettersi in gioco e a confrontarsi con noi per valutare insieme quali possibilità di accoglienza possono mettere in campo».

            Gianbattista Graziani, presidente di I fiori semplici, parla invece di un calo importante, con un numero di ingressi vicino alla metà rispetto all’anno scorso: «il 2013 e 2014 però erano stati anni molto sopra le nostre aspettative».

Sara De Carli                        vita.it              07 gennaio 2016                                tabella

www.vita.it/it/article/2016/01/07/adozioni-nelle-statistiche-tornano-dei-segni-piu/137841

Ai. Bi. 4 gennaio 2016                 www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Cassazione: può dire addio all’assegno la ex moglie che non “mostra” il conto in banca.

Corte di cassazione – sesta Sezione civile – ordinanza n. 225, 11 gennaio 2016.

Penalizzato il coniuge che si rifiuta di produrre in giudizio gli estratti conto bancari richiesti. La Corte di cassazione è tornata, per l’ennesima volta, a pronunciarsi in materia di separazione e divorzio. Questa volta chiarendo che la mancata produzione dei conti correnti bancari può rappresentare una prova a discapito del coniuge che non abbia eseguito la richiesta in tal senso del giudice. Più in particolare, la Corte ha precisato che quando la richiesta è rivolta ad entrambe le parti ed entrambe abbiano osservato lo stesso contegno (adempiendovi o non adempiendovi), tale comportamento risulta neutro. Lo stesso, però, non può dirsi quando una parte abbia lealmente eseguito la richiesta e l’altra no.

            Insomma: per quanto riguarda la prova circa la capacità reddito-patrimoniale dei coniugi, se il giudice ha chiesto ad entrambi di esibire la documentazione relativa ai loro rapporti bancari ma una sola vi abbia provveduto, il giudice che decida di farne uso per i suoi accertamenti giudiziali è tenuto a motivare circa il significato del comportamento omissivo della parte inottemperante. L’asimmetria comportamentale e informativa, infatti, costituisce un comportamento da cui desumere argomenti di prova a norma del secondo comma dell’articolo 116 del codice di rito.

            Così la Corte di cassazione, nel caso di specie, ha accolto il ricorso presentato da un uomo avverso la sentenza con la quale egli era stato condannato a mantenere la sua ex moglie nonostante questa si fosse rifiutata di produrre in giudizio i propri estratti conto bancari. La donna, peraltro, aveva anche un nuovo compagno. A tal proposito i giudici di legittimità hanno precisato che l’instaurazione di una nuova famiglia, anche se solo di fatto, rescinde ogni connessione con il tenore e il modello di vita che caratterizzavano la precedente convivenza matrimoniale. Con la conseguenza che essa fa venire definitivamente meno la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’ex coniuge.

Valeria Zeppilli          newsletter Studio Cataldi.it 15 gennaio 2016

                        www.studiocataldi.it/articoli/20666-cassazione-puo-dire-addio-all-assegno-l-ex-che-non-quotmostra-quot-il-conto-in-banca.asp

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CELIBATO

Preti sposati. L’asse Germania-Brasile

            Nei racconti di un teologo tedesco e di un vescovo brasiliano, il progetto di Francesco di consentire delle eccezioni locali alla norma del celibato del clero. A cominciare dall’Amazzonia

            Uno scambio di lettere, un colloquio e una innovazione già diventata legge confermano la volontà di papa Francesco di estendere nella Chiesa cattolica la presenza di un clero sposato, come già anticipato dal servizio di www.chiesa: Lo scambio di lettere è avvenuto per iniziativa di un teologo tedesco di primo piano, Wunibald Müller, 65 anni, che nel dicembre del 2013 scrisse una lettera aperta al papa, ampiamente pubblicizzata dal sito ufficiale della conferenza episcopale di Germania sotto il titolo “Papa Francesco, apra la porta”, per chiedergli di cancellare il vincolo del celibato per i sacerdoti. Müller non è uno qualsiasi.

https://de.wikipedia.org/wiki/Wunibald_Müller

È psicologo e scrittore prolifico. Ha fondato e dirige la “Recollectio-Haus”, presso l’abbazia benedettina di Münsterschwarzach, nella diocesi di Würzburg, per la cura di sacerdoti e religiosi in crisi esistenziale, finanziata da altre sette diocesi (Augusta, Friburgo, Limburg, Magonza, Monaco-Frisinga, Paderborn, Rottenburg-Stoccarda) e con assistente spirituale il benedettino più letto non solo in Germania ma nel mondo, Anselm Grün. L’orientamento di Müller è ben rappresentato dai titoli delle sue tesi per la laurea e il dottorato: “Il sacerdote come guida spirituale di persone omosessuali” e “Omosessualità, una sfida per la teologia e la cura delle anime”. Non avendo ricevuto risposta alla sua prima missiva, nell’aprile del 2014 Müller è tornato alla carica con una seconda lettera a Jorge Mario Bergoglio. E quasi venti mesi dopo il papa gli ha finalmente risposto. Il 25 novembre scorso la “Katholische Nachrichten-Agentur”, l’agenzia di stampa dei vescovi tedeschi, ha dato notizia del carteggio e dei segnali di “apertura” venuti dal papa. E il 4 gennaio la “Süddeutsche Zeitung” ha intervistato Müller chiedendogli notizie più dettagliate:

D. – Lei ha scritto a papa Francesco una lettera.

R. – Ho chiesto un allentamento del celibato. Ci dovrebbero essere preti sposati come preti celibi, omosessuali come eterosessuali.

            D. – E la risposta?

            R. – Francesco mi ha ringraziato per le mie riflessioni, il che mi rallegra molto. Dice che le mie proposte non possono essere realizzate per la Chiesa universale, ma penso che non escluda soluzioni a livello regionale. Al vescovo brasiliano Erwin Kräutler Francesco ha già chiesto di appurare se nella sua diocesi vi siano uomini sposati, di provata esperienza, che possano essere ordinati sacerdoti. Il papa cerca degli spazi dove poter cambiare qualcosa che potrà poi sviluppare una propria dinamica.

https://translate.google.it/translate?hl=it&sl=de&u=https://de.wikipedia.org/wiki/Erwin_Kr%25C3%25A4utler&prev=search

Erwin Kräutler, austriaco di nascita, vescovo dimissionario per ragioni di età dell’immensa prelatura amazzonica di Xingu, ma tuttora attivissimo come segretario della commissione episcopale per l’Amazzonia, è appunto il vescovo del Brasile che pochi giorni prima di Natale ha avuto con papa Francesco un ennesimo colloquio, riguardante proprio l’eventuale ricorso a un clero sposato in territori drammaticamente sguarniti di clero celibe.

            Del colloquio tra lui e il papa ha dato notizia la Radio Vaticana con un’intervista a Kräutler del 22 dicembre 2015:

            D. – Cosa le ha detto il papa a riguardo delle comunità prive di un prete che celebri l’eucaristia?

R. – Mi ha detto che dobbiamo fare proposte concrete. Anche proposte temerarie, ardite. Mi ha detto che dobbiamo avere il coraggio di parlare. Lui non prenderà un’iniziativa da solo, ma ascoltando le persone. Vuole che si crei un consenso e che si cominci in qualche regione con dei tentativi finalizzati a che la gente possa celebrare l’eucaristia. Se si legge l’esortazione di Giovanni Paolo IIDies Domini” questa dice molto chiaramente che non c’è una comunità cristiana se non si raduna attorno all’altare. Per volere di Dio allora dobbiamo aprire delle vie perché questo accada. Su come saranno queste vie, in Brasile già lavora una commissione.

            D. – E allora che cosa dobbiamo aspettarci su questo punto dal pontificato di Francesco?

            R. – Una svolta. Anzi, siamo già a una svolta. Credo che siamo già arrivati a un punto di non ritorno. Anche il prossimo papa o quello che verrà dopo di lui non potrà tornare indietro rispetto a ciò che è e sta facendo oggi Francesco.

            In una precedente intervista del 12 luglio 2015 alla rivista italiana “Credere”, Kräutler aveva confermato che “il papa ha chiesto alla commissione per l’Amazzonia una proposta concreta fin dallo scorso aprile” e da allora “stiamo ipotizzando alcuni cammini affinché tutte le comunità abbiano la possibilità di partecipare all’eucaristia più di tre volte all’anno”. Tra questi “cammini” c’è appunto l’ordinazione di uomini sposati, per sopperire al fatto – ha detto ancora Kräutler – che “per 800 comunità abbiamo solo 30 sacerdoti, e la regione è davvero molto estesa”.

 

Va detto però che la mancanza di vocazioni al sacerdozio in Brasile può essere dovuta anche al pessimo esempio che una parte del clero di quel paese dà, se è vero il ritratto che ne ha fornito qualche tempo fa una rivista cattolica autorevole e insospettabile come “Il Regno”: “I fedeli sono costretti a radunarsi in chiesa a celebrare una specie di messa senza prete anche nelle città dove i sacerdoti non mancano. Alla domenica costoro potrebbero distribuirsi nelle diverse chiese, invece preferiscono concelebrare tra loro e lasciare da soli i fedeli alla mercé di fanatici scatenati, quando fanatici non lo siano i celebranti stessi, che a volte modificano i testi liturgici a loro piacimento perché neppure capaci di comprenderli, che trasformano il canto del Sanctus in un ritmo ballabile, che non fanno memoria del papa, del vescovo, dei defunti. Preti così fannulloni che di solito il lunedì, come i barbieri in Italia, riposano e non celebrano messa nemmeno nelle cattedrali. Oppure non visitano gli ammalati, non portano il viatico, non celebrano funerali. E non sempre possono addurre a loro giustificazione il loro scarso numero”.

            Altro fattore, ma non secondario, della marcia di avvicinamento all’ordinazione di “viri probati” nella Chiesa latina è l’autorizzazione data ai preti sposati delle Chiese orientali cattoliche di operare anche al di fuori dei loro territori d’origine. Cioè non più solo in Medio Oriente e nell’Europa dell’Est, ma dappertutto. L’autorizzazione è stata data da papa Francesco, tramite la congregazione vaticana per le Chiese orientali presieduta dal cardinale argentino Leonardo Sandri, il 14 giugno 2014. E ha cancellato un secolo. Soprattutto nelle Americhe e nell’Europa occidentale, infatti, le gerarchie cattoliche latine ritenevano che la presenza nei loro territori di preti sposati di rito orientale, lì arrivati al seguito delle migrazioni, recasse “gravissimum scandalum” ai fedeli. Papa Francesco ha invece consentito tali presenze, a particolari condizioni. E ha citato a proprio favore la costituzione apostolica “Anglicanorum coetibus” del 2009, con la quale Benedetto XVI ammise la presenza di preti sposati ex anglicani nelle regioni dove ancora valeva il divieto per i preti sposati di rito orientale.

            Un’ultima notazione. L’ordinazione al sacerdozio di uomini sposati, “in casi particolari e per necessità pastorali”, è già stata presa in esame da un Sinodo, quello del 1971 dedicato a “Il sacerdozio ministeriale e la giustizia nel mondo”. L’ipotesi fu messa ai voti in competizione con un’altra, che teneva fermo il celibato per tutto il clero latino, senza eccezioni. E vinse questa seconda, per 107 voti contro 87.

            Da allora sono passati 45 anni ed evidentemente papa Francesco ritiene che i tempi siano maturi per riesaminare la questione e aprire un varco al clero sposato, a partire da alcune aree dell’America latina particolarmente afflitte dalla penuria di preti.

            Senza drammi. Perché questa – dice – “è una questione di disciplina, non di fede

            Sandro Magister        12 gennaio 2016

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351206

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/11/14/francesco-da-il-passaporto-ai-preti-sposati-orientali-valido-in-tutto-il-mondo

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CHIESA CATTOLICA

                        “Sì a una legge sulle unioni civili ma non si parli delle adozioni”

Il vescovo Nunzio Galantino, segretario della Cei, riconosce il dovere dello Stato di legiferare sulle “unioni di tipo diverso” che vengono crescendo nella società ma trova il disegno di legge Cirinnà avvolto in un “velo di ipocrisia” per togliere il quale ritiene necessario lo scorporo della questione delle adozioni e l’eliminazione dei rimandi al “diritto matrimoniale”. Quanto a un eventuale Family Day dice che la Cei non lo promuoverà ma neanche lo impedirà e se un vescovo vorrà parteciparvi dovrà farlo a titolo personale e senza pretendere che vi partecipino gli altri.

Eccellenza, come mai nel dibattito sulle unioni civili c’è una scarsa presenza dei vescovi?

“Non è scarsa. In tanti abbiamo parlato. Non mancano interventi sia del cardinale presidente della Cei sia miei. Anche su questo giornale. Nella Chiesa prevale questa idea: se dovessimo scriverla noi una legge, certamente non conterrebbe le soluzioni proposte dal Ddl Cirinnà. La Chiesa italiana -vescovi, preti e laici – non ha alzato bandiera bianca. Solo chi è in malafede può affermare che manca la voce dei vescovi. Salvo poi accusare la Chiesa di ingerenza”.

In questo dibattito molti intervengono parlando in nome dei valori cristiani. Che dice di questi protagonismi?

“Se sono frutto di una seria responsabilità civica ed ecclesiale non possono che far piacere. Ho sentito interventi di parlamentari capaci di misurarsi con la complessità del tema e attenti, non per mero calcolo, a evitare il muro contro muro su realtà che vedono coinvolte persone con storie dolorose alle spalle o persone comunque bisognose di avere riconosciuti alcuni diritti fondamentali. Qui non sono in gioco solo dei principi. Su di essi penso ci sia sufficiente chiarezza nella diversità delle posizioni, ma non mi stancherò di invocare un passo indietro da parte di chi conosce solo modi ideologici di accostarsi alla realtà”.

Il presidente del Consiglio ha ventilato la possibilità che sulle questioni controverse vi sia libertà di coscienza per il singolo parlamentare…

“Non amo pronunziarmi su possibilità ventilate. Il testo in circolazione mostra in maniera evidente di essere, come ha detto il professor Mirabelli, un “garbuglio giuridico prima che politico”. Sembra costruito per tenere insieme posizioni altrimenti non componibili; in esso si prospettano soluzioni rappresentative dei vari gruppi politici o meglio dei gruppi di pressione in campo. Sarebbe più serio seguire altre strade per non finire con un testo che è la somma di più egoismi piuttosto che essere una composizione democratica in vista del bene comune! Perché non capire che la stepchild adoption non è necessariamente legata al tema delle Unioni civili e che essa va trattata in altra sede? Il problema è che alcuni fanno fatica a rinunziare al velo di ipocrisia che avvolge il testo del Ddl liberandolo, per esempio, dai continui rimandi al diritto matrimoniale”.

In campo cattolico c’è chi sostiene che si dovrebbe fare un’opposizione globale alla legge e chi invece propone emendamenti per favorirne l’approvazione, nella consapevolezza che sia in Parlamento sia nel Paese c’è una maggioranza favorevole al progetto e un’opposizione di principio rischierebbe di fallire e porterebbe, magari tra un anno, all’approvazione di un testo ancora più radicale.

“È vero, tra i cattolici ci sono posizioni diverse, ma nessuno di noi auspica una legge che, per garantire i diritti dei singoli e per rispondere a situazioni reali, rischia di stravolgere la realtà. E la realtà è quella di una società italiana che può e vuole contare sul bene inestimabile della famiglia composta da un padre, una madre e dei figli. Certo, la stessa società registra al suo interno anche la presenza crescente di unioni di segno diverso. Lo Stato ha il dovere di dare risposte a tutti, nel rispetto del bene comune prima e più che del bene dei singoli individui. Un po’ tutti stiamo imparando che quando, a fronte di una realtà complessa come questa, prevale la radicalizzazione delle posizioni, nonostante la buona volontà si finisce col fare i conti solo con soluzioni frammentate e scomposte, non di rado frutto del prevalere di una lobby sull’altra”.

Quali sono i punti per lei inaccettabili del disegno di legge così com’è formulato?

“Intanto è faticoso capire qual è oggi il testo definitivo. Quello che comunque mi impressiona negativamente è – in alcune situazioni ipotizzate – l’assenza di attenzione nei confronti di quelli che poi subiscono le conseguenze di certe scelte: i bambini! Prendiamo, ad esempio, l’assurdità dell’utero in affitto, come possibilità non troppo remota seppur camuffata. Mi chiedo perché non viene data pubblicità alle tante controversie – non solo giuridiche – che si accompagnano a questa pratica? Ho l’impressione che la nostra società e le soluzioni che attraversano la proposta di legge siano “adultocentriche”: il “diritto” al figlio, la pretesa in alcuni casi di volerne determinare le fattezze fisiche e le qualità interiori mi sembrano pratiche eugenetiche, non molto lontane da quelle universalmente condannate nel secolo scorso e che portavano un nome tristemente noto”.

Se il disegno di legge verrà approvato così com’è, che giudizio ne darà la Chiesa? Dovremmo aspettarci manifestazioni di protesta, la promozione di un referendum abrogativo?

“Mi auguro che ci siano parlamentari e pezzi di società che per convinzione personale sappiano prendere iniziative efficaci per impedire soluzioni pasticciate o fughe in avanti fatte passare per conquiste civili. Assodato che la Chiesa non sono solo i vescovi, non lasceremo soli quanti nelle sedi opportune e nel rispetto delle proprie competenze vorranno dare un loro contributo costruttivo. Quanto poi alle modalità concrete attraverso le quali rendersi presenti, vale quello che ha detto Papa Francesco: cristiani consapevoli non hanno bisogno di vescovi-piloti”.

Se ci sarà un Family Day e un vescovo vorrà parteciparvi?

“Potrà farlo ma non potrà pretendere che vi partecipino tutti gli altri vescovi”.

Intervista di Luigi Accattoli “Corriere della Sera”           13 gennaio 2016

www.corriere.it/cronache/16_gennaio_13/cei-unioni-civili-giusto-dare-risposte-ma-adozioni-siano-fuori-84af0a6e-b9c1-11e5-b643-f344dc24c117.shtml

 

Ddl Cirinnà. Monsignor Fragnelli: “Serve al Paese reale o alle battaglie ideologiche?”.

            Prosegue il dibattito politico sul testo sulle unioni civili che il 26 gennaio approderà in Aula al Senato, mentre affiorano, per alcuni giuristi, “ombre costituzionali” sulla stepchild adoption. Monsignor Pietro Maria Fragnelli, vescovo di Trapani e presidente della Commissione Cei per la famiglia, i giovani e la vita, si chiede se il provvedimento sia realmente utile per il Paese ed esprime preoccupazione sul nodo dell’adozione, mettendo in guardia dalla prospettiva dell’utero in affitto: “Un mercato che strumentalizza la donna genitrice e rischia di avere effetti destabilizzanti sulla vita del bambino”. Sul ricorso alla libertà di coscienza: “Potrebbe essere un invito a volare alto”

Qual è la sua opinione sul disegno di legge Cirinnà? Che cosa, in particolare, ritiene preoccupante e perché?

Non sono un tecnico del diritto, tanto meno un politico. Come vescovo non posso che fermarmi a guardare alle sorgenti di ispirazione del disegno di legge in questione. Mi metto in dialogo con la prospettiva dei redattori, consapevole – come dice papa Francesco – che “vivere fino in fondo ciò che è umano e introdursi nel cuore delle sfide come fermento di testimonianza, in qualsiasi cultura, in qualsiasi città, migliora il cristiano e feconda la città” (Evangelii Gaudium 75). Detto questo, trovo interessante il cammino fatto in Commissione: usare l’espressione “formazione sociale specifica” per definire le unioni civili è segno di buona volontà e intelligenza, perché si dà valore ed evidenza alla differenza che c’è con la formazione sociale chiamata famiglia, riconosciuta dalla Costituzione; in questo modo si cuce un vestito appropriato sulle realtà nuove a cui si vuole dare attenzione con un volto giuridico più definito rispetto alla situazione attuale. Le preoccupazioni? Le riassumo in poche domande: la cultura della precarietà riceve uno stop o viene rafforzata da questo strumento giuridico? Basta elencare una serie di cause cosiddette “impeditive” per dare legittimazione a una dichiarazione di intenti?

Quanto pesa la sudditanza dalla cultura dominante in Occidente, divenuta relativista, incapace di fare passi indietro rispetto a questioni antropologiche fin troppo evidenti per il buon senso? Il Ddl serve veramente al Paese reale o serve soprattutto a battaglie ideologiche?

            Ritiene che i diritti delle coppie omosessuali siano già tutelati dal nostro ordinamento o che sia “comprensibile” la richiesta di un dispositivo ad hoc?

Ancora una volta la questione è culturale e sociale. Si tratta di incidere sulla formazione della mentalità, cosa che ha bisogno di tempi lunghi e non si può accelerare a colpi di “imposizione” giuridica e mediatica. La scoperta e valorizzazione di ogni persona all’interno delle nostre realtà sociali ha bisogno di cittadini sempre più maturi, capaci di rispetto e di cura; pronti non solo a tollerare le differenze, ma anche ad accoglierle senza pregiudizio sulle persone, con strumenti giuridici adeguati per una sana integrazione, che non ceda alla tentazione di rinchiudersi in “gated communities”.

            Il nodo cruciale rimane la stepchild adoption che porterebbe un bambino ad avere due genitori dello stesso sesso e potrebbe aprire all’utero in affitto.

Effettivamente l’art. 5 del Ddl modifica la Legge 4 maggio 1983, n. 184 sulla “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, là dove si prevede che il minore possa essere adottato “dal coniuge nel caso in cui sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge”. Il Ddl Cirinnà in particolare prevede apparentemente una semplice estensione, perché al termine “coniuge” aggiunge: “Dalla parte dell’unione civile tra persone dell’altro sesso”. È evidente che questo testo apre alla possibilità che il partner dello stesso sesso sia genitore adottivo mediante “utero in affitto”. Questa prospettiva ripugna l’umano che è in noi e alimenta la barbarie che solo i ricchi di soldi (non di umanità) possono pensare e permettersi. È un mercato che strumentalizza la donna genitrice e rischia di avere effetti destabilizzanti sulla vita del bambino.

            Che cosa pensa delle mediazioni politiche in corso? Alcuni propongono una “stepchild ristretta” o un “affido rafforzato”, mentre altri si dichiarano del tutto contrari a mediazioni.

È compito del dibattito parlamentare individuare l’istituto giuridico che meglio sappia tutelare l’interesse del minore. A nessuno è lecito calpestare la sua legittima attesa di identità, di affetto materno e paterno, di protezione e di libertà.

In ogni caso, l’eventuale stralcio o indebolimento dell’adozione legittimante del figlio naturale del partner costituirebbe un livello di mediazione accettabile, pur nel mantenimento nel Ddl dell’equiparazione di fatto delle unioni civili al matrimonio? Non ritiene infatti che nel testo proposto vi siano delle contraddizioni che potrebbero legittimare interpretazioni ambigue del testo stesso?

Bisogna evitare situazioni grigie, ambigue. L’approfondimento del dibattito dovrebbe dare corpo dalla “specificità” della “formazione sociale” delle unioni civili rispetto alla famiglia. È necessario definire chiaramente, per non far dire al testo cose che non sono state maturate in un confronto democratico, leale e responsabile.

            Renzi e Berlusconi assicurano che lasceranno libertà di coscienza. Qual è la sua opinione su questo punto?

Penso che il ricorso alla libertà di coscienza potrebbe essere un invito a volare alto, rivolto a legislatori e politici non di una sola parte politica. Papa Francesco definisce “politico nell’animo” colui “che ha deciso nel profondo di essere con gli altri e per gli altri”, pena il suo “lento suicidio e la fine del suo essere popolo” (cfr. EG 272-273). L’appello alla coscienza può essere un mezzo che permette al Paese reale di far sentire la sua parola al Paese legale. A partire dalla ritrovata coscienza, si raggiunge la coesione civile e sociale: “Nella fedeltà alla coscienza – afferma il Concilio – i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità” (Gaudium et Spes 16).

Giovanna Pasqualin Traversa                      SIR      12 gennaio 2016

http://agensir.it/italia/2016/01/12/monsignor-fragnelli-serve-al-paese-reale-o-alle-battaglie-ideologiche-utero-in-affitto-prospettiva-ripugnante-che-alimenta-la-barbarie

 

Bettazzi: “Adozioni gay? Si valuti ogni caso Ma deve prevalere il bene del bambino”.

Dal vescovo di Prato al vescovo emerito di Ivrea, il novantaduenne monsignor Luigi Bettazzi, ne è passata, eccome, di acqua sotto i ponti. Da quando monsignor Pietro Fiordelli bollò come «pubblici peccatori e concubini» i coniugi che scelsero di sposarsi civilmente (correva il 1956) all’autore di indimenticate lettere ai politici (in primis a Enrico Berlinguer, meritando il rimbrotto di Giovanni Paolo II) che nel 2007 si dichiarò favorevole ai Dico. Il discusso disegno di legge sulle unioni civili sollecita a risalire gli antichi tornanti che conducono ad Albiano, nel castello dove risiede l’ultimo testimone episcopale piemontese e italiano del Concilio.

Monsignor Bettazzi, in che cosa consistono i suoi Dico?  

«I Dico. Ovvero la proposta di Romano Prodi, un cattolico adulto. [2007 ministri Barbara Pollastrini (Pari Opportunità) e Rosy Bindi (Famiglia)]. Lo Stato non può non riconoscere l’atteggiamento positivo di due individui, il bene che testimoniano, siano eterosessuali o dello stesso sesso. L’amore è una realtà così alta e così profonda che va innalzata».

Come accolse il mondo ecclesiale il suo «pro Dico»?

«Non osannandolo. Anzi. Si riverberarono allora le critiche che avevo acceso nel 2005, quando, distinguendomi da Ruini, asserii che non bisognava boicottare i referendum sulla bioetica. Occorreva votare, non abdicare al ruolo di cittadini».

Il parlamentare cattolico come deve comportarsi quando si voterà la legge sulle unioni civili?

«Io mi considero vescovo e laico. Il mio compito è duplice: aprire al mondo sovrannaturale e, insieme, operare affinché i fedeli siano cittadini corretti, in grado di laicamente, autonomamente, tradurre i principi religiosi».

Alcuni movimenti cattolici (dai neocatecumenali ai focolarini) starebbero rinsaldando le fila per osteggiare le unioni civili. Di family day in family day. Un muro contro muro. Una costante, dal divorzio all’aborto. Non c’è una diversa via?

«Rispetto i movimenti. Nei movimenti ci si forma, dopo di che ci si cala nella vita civile non in forma di schieramenti, di legioni, di antagonisti. Occorre – qui la sfida – dimostrare laicamente che i propri valori sono un sicuro ponte verso il futuro, verso l’uomo, magari il migliore».

Il disegno sulle unioni civili contempla la stepchild adoption: un membro della coppia può essere riconosciuto come genitore del figlio, biologico o adottivo, del compagno o della compagna. Non si «battezza» così la famiglia omosessuale?

«Il bene del bambino su tutto. Si dovrà valutare caso per caso, sfarinando ogni egoismo. Distinguendo sempre dal matrimonio che porta – come dice il nome – al “compito della madre”».

Un tempo nella Chiesa italiana svettava l’espressione «valori non negoziabili».

«L’unico valore non negoziabile è la solidarietà. Se siamo nati è perché due individui si sono aperti l’uno all’altro, se siamo cresciuti è perché non ci sono state lesinate cure, attenzioni, sensibilità. Come affermava monsignor Tonino Bello: “Dio non è l’assoluto dell’individuo, ma l’assoluto della comunione”».

Il cardinal Martini – un monito che la questione «unioni civili» riconduce alla memoria -invitava la Chiesa, anche sui temi che «riguardano la vita e l’amore», ad ammettere «i propri errori e la limitatezza delle sue vedute». Quali errori?

«Una volta si diceva ai fidanzati: la sessualità sia unicamente in funzione della procreazione. Mentre è espressione dell’amore. Gli ortodossi non raccomandano forse di non entrare nelle camere da letto? Espressione dell’amore: in tal senso interpreto le parole di papa Francesco: “Chi sono io per giudicare un omosessuale”?».

Lei nonagenario. Non è tempo di bilanci?

«Già. Sto scrivendo la mia autobiografia».

Il momento più bello della sua esistenza?

«L’ho capito in seguito, avanzando nelle stagioni: il Concilio».

Il più complesso?

«Quando attraverso il suddiaconato mi orientavo decisamente verso il sacerdozio. Il celibato come scoglio».

Lo supererà la Chiesa?

«O prima o poi. C’è in Calabria, per esempio, una comunità cattolica di rito orientale in cui i preti non possono sposarsi, ma si può ordinare sacerdote chi è sposato. Un’opportunità in più, no? Perché negarla?».

Non praevalebunt». Come interpreta la certezza di Cristo?

«È la mia certezza. Il Male non prevarrà se saremo coerenti e avremo pazienza. La pazienza della fede e la pazienza della Storia».

Intervista di Bruno Quaranta           “La Stampa”, 13 gennaio 2016

www.lastampa.it/2016/01/13/italia/politica/bettazzi-adozioni-gay-si-valuti-ogni-caso-ma-deve-prevalere-il-bene-del-bambino-Tj6ILGST8KgipnoE00whZI/premium.html

www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=numaut134

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Pizzighettone Cremona. Che fatica! Educarsi ed educare alla resilienza

21-28 gennaio 2016: Settimana dell’educazione.

v  25 gennaio. Padre: assente inaccettabile? La fatica di educare al desiderio.

prof. Domenico Simeone, Facoltà di scienze della formazione – UCSC

v  28 gennaio. Educ-ario. Dieci parole per affrontare la fatica educativa.

dr ssa Giusi Biaggi, educatrice professionale – consultorio UCIPEM e cooperativa Nazareth di Cremona

www.comune.pizzighettone.cr.it/index.php?option=com_jcalpro&Itemid=54&extmode=flat

 

Roma 1. Centro La Famiglia di Roma         Seminario Maschile e femminile in trasformazione

La dott.ssa Daniele Campana conduce un seminario su “Maschile e femminile in trasformazione.

 

Stiamo attraversando un periodo particolarmente delicato; le società ed il pianeta intero sempre più sembrano dar segni di ribellione di fronte a fenomeni di aggressività, competitività, sfruttamento. Si avverte l’esigenza di trasformare il nostro “Modello di vita”. Abbiamo bisogno di effettuare il passaggio da un Modello basato essenzialmente sulla competizione in uno che veda nella collaborazione la propria fonte ispiratrice.

Per iniziare a trasformare la competizione in collaborazione, sarà necessario e prioritario compiere questo passaggio dentro di noi, permettendo alle qualità archetipiche del femminile: intuizione, morbidezza, creatività, accoglienza… di collaborare con quelle archetipiche del maschile: protezione, contenimento, spirito d’iniziativa, assertività…

A ben vedere molto di quello che di negativo succede nei rapporti tra le persone, può essere un riflesso di quello che accade nel rapporto tra il maschile e il femminile interiori. Cominciamo dunque a ricercare una comunicazione sobria e schietta in cui maschile e femminile possano dialogare e avere cura uno dell’altra, farsi parte attiva, vincere l’indifferenza che impedisce la solidarietà, assumersi responsabilità, uscire dalla falsa neutralità che ostacola la condivisione.

Scopo di questo seminario è quello di continuare un percorso verso il cambiamento attraverso: il riconoscimento, l’accettazione, l’elaborazione, la trasformazione di alcuni aspetti del nostro maschile e femminile interiori. Trasformare con amorevolezza vecchi schemi interni, che ancora ostacolano il cammino, può aiutare ad andare oltre, a percorrere una diversa strada che veda le persone capaci di collaborare e di comunicare in maniera nuova, più autentica e costruttiva.

30 gennaio, 27 febbraio, 9 aprile-2016 via della Pigna

http://www.centrolafamiglia.org/

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DALLA NAVATA

                                               2° Domenica del tempo ordinario – anno C – 17 gennaio 2016.

Isaia                            62, 01 «Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda coma lampada.»

Salmo              96, 02 «Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.»

1 Corinzi        12, 04 «Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma un solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno so è Dio, che opera tutto in tutti.»

Giovanni         02, 11 «Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.»

 

        Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose

Per chi comprende il brano evangelico delle nozze di Cana nella sua intenzione più profonda, risulta sempre imbarazzante sentirlo proclamare nelle celebrazioni dei matrimoni. Perché? Perché, se lo si legge attentamente, ci si accorge che mai appaiono in esso uno sposa e una sposa che agiscono o sigillano il loro matrimonio nell’alleanza. La sposa non è mai nominata, mentre allo sposo viene rivolta solo una volta la parola dal capo tavola, ma egli non ribatte: è una figura senza voce, senza carne, senza corpo, come se si sottraesse alla scena, lasciando lo spazio a un altro Sposo.

Il protagonista di questa pagina è infatti Gesù, mentre gli altri personaggi sono presentati solo in riferimento a lui: “la madre di Gesù”, “sua madre” (senza che si dica il nome Maria) e “i suoi discepoli”, testimoni silenziosi, ma che alla fine appariranno come la comunità, la sposa di quell’alleanza con lo Sposo Gesù, sigillata nel vino nuovo del Regno.

Cerchiamo dunque di comprendere questa “epifania”, questa manifestazione che nella festa dell’Epifania veniva cantata, insieme alle due altre, mediante l’antifona Tribus miraculis: il riconoscimento dei magi (manifestazione alle genti), il battesimo (manifestazione a Israele) e, appunto, le nozze di Cana (manifestazione alla chiesa). Si celebra dunque un matrimonio al quale è presente la madre di Gesù ed è invitato Gesù stesso insieme ai suoi discepoli. Siamo nel “terzo giorno”, espressione temporale che evoca il giorno della gloria del Gesù, giorno in cui egli si è mostrato Kýrios più che mai (cf. Mc 8,31 e par.; At 10,40, ecc.). La madre di Gesù è presenza, sta qui all’“inizio dei segni”, come sarà presenza, starà, alla fine dei segni, presso la croce (cf. Gv 19,25). Proprio in quanto madre di Gesù, presente a quell’ora, vedendo che in queste nozze non c’è vino, si rivolge a lui con audacia per dirgli: “Non hanno vino”. E se non vi è vino, come si potranno celebrare le nozze con la gioia necessaria alla festa? Penso sovente che se la chiesa in mezzo all’umanità svolgesse anche solo questa funzione di far notare al Signore che “non c’è vino”, non c’è gioia, questo sarebbe già da parte sua assolvere un ministero essenziale… (…)

Perché è così potente e intrigante la metafora delle nozze? Perché più di altre esprime la verità dell’incarnazione: corpi che diventano un solo corpo, comunione e comunicazione nel canto dell’amore, nella sobria ebbrezza del vino. Il nostro linguaggio umano è limitato, soprattutto quando vuole alludere a realtà invisibili, e allora fa ricorso alle realtà più umane, umanissime: il mangiare, il bere vino, l’incontro dei corpi nella celebrazione dell’amore reciproco e della reciproca appartenenza. Siamo sempre invitati al banchetto di Cana, non per cercare uno sposo e una sposa che non ci sono, ma per essere noi coinvolti in questo incontro tra Cristo, Signore e Sposo, e la sua comunità. Si tratta di andare a Cana, di cercare di vedere con occhi di fede, di ascoltare le parole della fede, di eseguire le parole dette da Gesù, di gustare il vino del Regno e di toccare, sì di toccare il corpo di Gesù. 8…9

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/10155-andare-a-cana

 

 

Paolo Veronese, Nozze di Cana, 1563, olio su tela, 6,7 x 9,9 metri, Museo del Louvre, Parigi.

L’opera di Veronese fu realizzata su commissione per decorare la parete di fondo del refettorio del Monastero benedettino di San Giorgio Maggiore a Venezia progettato dall’architetto Palladio. Le misure dell’opera sono monumentali da dare l’impressione che il refettorio avesse una parete aperta sullo spazio dove avveniva la scena biblica. La grandezza del dipinto non ha fermato la passione di Napoleone che lo fece togliere dal telaio e lo trasportò in Francia dove tutt’ora si trova.

Veronese immagina la scena ambientata durante un lussuoso matrimonio a lui contemporaneo immerso nelle architetture classiche. Si mescola il sacro della rappresentazione a elementi lussuosi e ludici dell’epoca. Spuntano infatti saltimbanchi, nani, vesti sontuose e tanti animali (evidenziati nell’immagine della composizione con il colore verde).          (…) L’opera si impone non solo per la sua dimensione, ma anche per la scelta dei colori riportati alla luce da un restauro che è durato dal 1989 al 1992. Questo quadro ci chiede però non solo di “guardarlo” soffermandoci sulle vesti e sui dettagli fittissimi, ma di “leggerlo” cogliendone il significato. Molto spesso ci fermiamo al lato estetico di una opera, per cui ci basta averne colto il soggetto per decretare finito il nostro rapporto con essa (che cosa rappresenta?) perdendone il valore profondo di pensiero personale che può innescare in noi (che cosa dice a me?). (…)

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/10155-andare-a-cana

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DIVORZIO

L’ex non può opporsi al divorzio: l’indissolubilità del matrimonio riguarda solo la Chiesa

Corte di Cassazione – sesta Sezione civile – ordinanza n. 212, 11 gennaio 2016.

Per la Cassazione, la legge sul divorzio non può essere tacciata di incostituzionalità. – L’indissolubilità del matrimonio riguarda esclusivamente la Chiesa, per cui, non può precludersi sul piano civile, il diritto riconosciuto a moglie e marito dall’ordinamento italiano di divorziare. È quanto in sostanza ha affermato la Cassazione, rigettando il ricorso di una ex moglie che non voleva rassegnarsi al divorzio dal marito.

            Un “ripensamento” non ben accolto già in sede di merito, dove i giudici considerano “manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale” della donna, atteso che la decisione del giudice italiano non concerne il vincolo matrimoniale bensì i meri effetti civili che le parti hanno concordemente chiesto fossero dallo Stato italiano riconosciuti al matrimonio religioso. La donna non si rassegna e si rivolge alla Cassazione, sostenendo in sostanza l’abuso dello Stato italiano che tramite la norma in questione, imporrebbe la cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso facendone venir meno l’essenziale carattere dell’indissolubilità.

            Ma gli Ermellini respingono con fermezza le obiezioni dell’ex moglie. L’indissolubilità è un requisito del matrimonio religioso, previsto soltanto “nell’ordine morale cattolico e nell’ambito dell’ordinamento canonico” affermano infatti, ma non recepito nell’ordinamento italiano. Per cui quel vincolo “non può avere alcuna incidenza sugli effetti civili del matrimonio concordatario, né può precludere il diritto strettamente personale ed irrinunciabile, riconosciuto ai coniugi dall’ordinamento italiano di far cessare gli stessi effetti civili”. Né, inoltre, vengono offerti dalla donna elementi idonei a mutare tale orientamento (cfr. Corte Cost. n. 169/1971; Cass. n. 11860/1993; n. 7990/1996).

            A trovare conferma a piazza Cavour sono anche le statuizioni dei giudici di merito sugli obblighi economici dell’ex marito, che vedono la riduzione dell’assegno da versare alla moglie e la cessazione dell’obbligo di mantenimento della figlia. Per cui, nulla di fatto per la donna: ricorso rigettato e divorzio confermato, con condanna anche a pagare le spese di lite.

Marina Crisafi  newsletter Studio Cataldi.it 15 gennaio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20670-l-ex-non-puo-opporsi-al-divorzio-l-indissolubilita-del-matrimonio-riguarda-solo-la-chiesa.asp

sentenza                               www.divorzista.org/sentenza.php?id=11225

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Francesco “non-tradizionalista” e “post-liberale”.

A proposito di una intervista di M. Faggioli e una replica di A. Marchetto.

La “collocazione” di Francesco nel quadro ecclesiale (e geo-politico) non è facilmente riducibile a stereotipi. Lo dimostra la bella intervista con cui Massimo Faggioli ha risposto alle buone domande de “Il Sismografo” e pubblicata sullo stesso blog nella giornata di ieri, 14 gennaio.

www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=numaut659

Ne emerge una lettura convincente e acuta di alcune peculiarità di papa Francesco, il cui senso potrebbe essere così riassunto: Francesco non ha bisogno di “discutere sulle interpretazioni del Vaticano II” perché sa che il Concilio è “acquisizione irreversibile”, che deve essere anzitutto recepita e attuata. E questo viene proposto, da Francesco, attraverso una serie di atti coraggiosi, come la affermazione del primato della misericordia, la riforma della Curia romana, la fiducia in una “politica” che possa migliorare la esperienza di giustizia. In tutto ciò Francesco è assai avvantaggiato da alcune condizioni del tutto particolari:

v  È il primo papa “figlio del Concilio” e non “padre conciliare”. Ciò lo “deresponsabilizza dal Concilio”, potendo egli godere dei suoi frutti senza complessi, di inferiorità o di superiorità. Questo accade per motivi biografici, anzitutto, oltre che per ragioni di formazione;

v  È il primo papa non europeo, che arriva dalla fine del mondo e che porta, a Roma, una cultura civile ed ecclesiale diversa;

v  È un papa che, contrariamente a molti dei suoi predecessori immediati, non ha mai né studiato né lavorato stabilmente a Roma.

Questi tre elementi “oggettivi” contribuiscono a suggerirgli una determinazione e una forza profetica assai ingente nel suo proponimento di “aggiornare” la Chiesa romana, anzitutto nel suo linguaggio e nelle sue strutture centrali. In questo senso la “opposizione a Francesco” percepisce questa peculiarità e alza il tono, arrivando a parlare di “scisma” (più o meno sotterraneo).

In realtà la questione non è lo scisma, ma la “scissione” tra Parola di Dio, esperienza degli uomini e realtà ecclesiale (cfr. Gaudium et Spes 46). Di scisma parla chi si è a tal punto innamorato di questa scissione da considerarla necessaria per la fedeltà al Vangelo. Si pensa di poter restare fedeli al Vangelo soltanto se ci si immunizza sia dalla Parola di Dio, sia dalla esperienza degli uomini!

E’ evidente che di fronte a questa resistenza Francesco richiami, continuamente, i due “poli” della vita ecclesiale – ossia la Parola di Dio e la esperienza degli uomini – per rendere dinamico e aggiornato ciò che appare statico e autoreferenziale. Una dottrina che non “imbalsama” la Parola di Dio e una disciplina che sappia interpretare l’esperienza degli uomini, senza proiettare su di essa semplici pregiudizi, appare il vero obiettivo del papato, in bella continuità con il progetto del Vaticano II.

Su questo, io credo, possiamo tutti concordare. E nella sua intervista Faggioli afferma con molta forza questa “priorità” di Francesco, che “non vuol interpretare, ma attuare il Vaticano II”. A bene intendere, ciò significa che Francesco ha ovviamente una chiara interpretazione del Concilio, ma non è interessato a una “discussione previa”, quasi a una sospensione della sua efficacia, per scoprire quali siano le “vere” intenzioni conciliari. Egli sa che queste diatribe non raramente sono forme di opposizione e di resistenza al Concilio stesso.

Sorprende, pertanto, che di fronte a questa posizione limpida e positiva, sia intervenuto Mons. Agostino Marchetto, per smentire Faggioli e avanzare la ipotesi che invece il papa sia molto interessato alla discussione sul Concilio, portando, come “prova” due lettere “personali”, nelle quali il papa fa i complimenti all’Arcivescovo per il suo lavoro di ricerca storica sul Concilio. A me pare assai curioso che, di fronte alle articolate argomentazioni di Faggioli, si presentino “lettere personali” come “prove” di una “ermeneutica diversa” da attribuirsi addirittura al papa!

Nessuno discute che A. Marchetto abbia scritto recensioni importanti sui lavori storici altrui. E che abbia una sua rispettabile “ermeneutica” del Concilio, che potremmo definire sub specie curiae. Ma allegare lettere di curia per indicare quale sarebbe la “vera” ermeneutica del Concilio sostenuta da papa Francesco mi sembra un “luogo comune” di quello stile e di quella “aura” che – come dice Faggioli – è venuto il momento di superare. Il prof. Faggioli si colloca ben oltre la diatriba conciliare, ma Mons. Marchetto vuole confutarlo riportando tutta la questione “a se stesso”: si potrebbe immaginare un esempio più lampante di “autoreferenzialità”? Come è possibile ridurre tutta la questione del Concilio a brevi “lettere personali” di circostanza? Che cosa sarebbe della storia se pretendessimo di documentarla con questo metodo?

Nella diatriba tra tradizionalisti e progressisti, Francesco di volta in volta viene catturato da una parte, per condannare l’altra. A Francesco sta a cuore una tradizione che può essere colta solo con un “dolce stil novo”, che è ad un tempo non-tradizionalista e post-liberale, oltre le rigidità tradizionalistiche e oltre le semplificazioni liberali. Uno stile che, nel recuperare il vero volto della Chiesa, la riporta ad un profondo legame sia con la Parola di Dio, sia con la esperienza degli uomini, senza mai permettersi di ridurre l’una all’altra. In questo senso egli non cade né nella trappola di una esperienza ridotta a dottrina, né in quella di una dottrina ridotta ad esperienza. Ed è proprio in questo equilibrio che risiede oggi il suo più alto magistero. Che non è fatto per scontentare tutti, ma per riconciliare ognuno, in modo dinamico e lungimirante. Oltre il Vaticano II, dato per irreversibile, e avanzando a testa alta sulla via della sua risoluta attuazione.

Andrea Grillo      in “Come se non” – 15 gennaio 2016

www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non

http://www.cittadellaeditrice.com/munera/francesco-non-tradizionalista-e-post-liberale-a-proposito-di-una-intervista-di-m-faggioli-e-una-replica-di-a-marchetto/

 

Alle unioni gay Bergoglio non dice di no.

            In Italia stanno per diventare legge, ma il papa scoraggia i cattolici dall’alzare le barricate. Fece così anche in Argentina. Diversa invece è la sua politica sulle migrazioni, la povertà, il radicalismo islamico.

A Jorge Mario Bergoglio la piazza piace festosa e orante, mai politicamente aggressiva. A Buenos Aires, nel 2010, rimandò a casa i cattolici che s’erano attestati davanti al parlamento per una veglia di preghiera contro l’incombente approvazione del matrimonio omosessuale. Li convinse a “evitare la contrapposizione”. Certo, in quella legge Bergoglio vedeva nientemeno in azione “il padre della menzogna che ha la pretesa di confondere ed ingannare i figli di Dio”, ma in pubblico non disse una parola. Soltanto lasciò trapelare una lettera che aveva scritto a delle monache carmelitane di clausura, in cui incolpava il diavolo e chiedeva preghiere. Anche oggi che una legge sulle unioni omosessuali sta arrivando in Italia, papa Francesco non deflette da questa sua linea. Ha tuonato contro “le nuove colonizzazioni ideologiche che cercano di distruggere la famiglia” e contro “quello sbaglio della mente umana che è la teoria del gender“. Ma l’ha fatto mentre era in viaggio a Manila e a Napoli, entrambe le volte fuori contesto, mai nel vivo della contrapposizione politica.

            Lo scorso giugno 2015, all’annuncio di un “Family Day” a Roma contro la legalizzazione delle unioni omosessuali, il segretario della conferenza episcopale italiana Nunzio Galantino, il portaordini del papa tra i vescovi, fece di tutto per farlo morire sul nascere. E quando la manifestazione ci fu ugualmente e con grandissimo concorso di popolo, papa Francesco si guardò dal farle avere la sua pubblica benedizione. I fedeli agiscano pure in campo politico, ha detto poi il papa agli stati generali della Chiesa italiana riuniti a Firenze in novembre, ma si scordino di avere dei “vescovi-piloti”.

            Il “Family Day” del 2007, quello che fermò l’approvazione di una legge sulle unioni di fatto, fu in effetti promosso dalla CEI. Ma oggi anche tra chi vi partecipò c’è chi si adegua alla nuova linea di Bergoglio, e lo definisce non più un successo ma un “fallimento” da non ripetere più: parola del cardinale Gualtiero Bassetti e del nuovo presidente del Forum cattolico delle famiglie, Gianluigi De Palo.

            Mite e ben visto dall’opinione laica riguardo alle nuove leggi sulle unioni omosessuali, papa Francesco adotta invece una linea più dissonante su altre questioni geopolitiche di grande impatto: dalle immigrazioni alla povertà al radicalismo musulmano. Sui flussi migratori, per il papa tutto si risolve in una sola parola: “accoglienza”, e nella conseguente riprovazione di tutti coloro che non vi si conformano. Francesco evita accuratamente di chiamare per nome i riprovati, compresi gli Stati e le pubbliche istituzioni. A Lampedusa, nella piccola isola dove ha compiuto il suo primo viaggio da papa, gridò un indistinto: “Vergogna!”. Ma se si guarda a che cosa dicono e fanno i governanti in Europa e nel mondo, la distanza tra loro e il papa appare abissale. “Serve accoglienza, ma serve anche rigore”, ha detto il capo dello Stato italiano Sergio Mattarella, cattolico e di sinistra, nel suo messaggio di fine anno alla nazione. “Occorrono regole comuni per distinguere chi fugge da guerre o persecuzioni e ha, quindi, diritto all’asilo, e altri migranti che vanno invece rimpatriati”. Sono parole che Francesco non sottoscriverebbe. Quanto alla povertà, la soluzione sistematicamente invocata dal papa è di dare terra, casa, lavoro a tutti gli uomini. Ma ha ragione il politologo Angelo Panebianco ad obiettare che “c’è in Francesco l’idea che le risorse siano già tutte a disposizione e che la loro scarsità, anziché un vincolo obiettivo, sia piuttosto l’effetto di una congiura delle classi dominanti ai danni dei poveri del pianeta”.

            Lo scorso 12 luglio2015, interrogato a bruciapelo da un giornalista tedesco sul volo di ritorno dal Paraguay, Francesco ha sì ammesso lo “sbaglio” di trascurare nelle sue analisi la classe media, ma ha aggiunto che questa “diventa sempre più piccola”, schiacciata com’è dall’aumento della disuguaglianza fra i ricchi e i poveri. Al papa evidentemente sfugge che i numeri dicono l’opposto, a cominciare dai giganti India e Cina. E quanto al radicalismo islamico, stupisce che Francesco lo dica figlio dell’aggressione occidentale e della povertà, cioè di condizioni materiali, “strutturali” in senso marxiano, invece che di una scelta religiosa nativa, di una lettura del Corano in esso ben radicata. Anche qui la narrazione politica papale appare distaccata dalla realtà. E di conseguenza inefficace.

Sandro Magister        15 gennaio 2016         http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351209

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POLITICHE PER LE FAMIGLIE

                                                           Legge di stabilità 2016

Legge 28 dicembre 2015, n. 208. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (GU Serie Generale n.302 del 30-12-2015 – Suppl. Ordinario n. 70

Art. 1 (unico)

Comma 411. Al fine di sostenere le politiche in materia di adozioni internazionali e di assicurare il funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, per il successivo trasferimento al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, un fondo denominato «Fondo per le adozioni internazionali» con una dotazione di 15 milioni di euro annui a decorrere dal 2016. In attesa della riorganizzazione delle strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri, di cui all’articolo 8 della legge 7 agosto 2015, n. 124, la gestione delle risorse del Fondo e della Commissione di cui al presente comma è assegnata al Centro di responsabilità del Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Comma 412. La dotazione del Fondo per le politiche della famiglia di cui all’articolo 19, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, come rifinanziato dall’articolo 1, comma 132, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, è ridotta nella misura di 15 milioni di euro annui a decorrere dal 2016.

Comma 413. All’articolo 1, comma 1250, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, le parole: «; per sostenere le adozioni internazionali e garantire il pieno funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali» sono soppresse.

Comma 414. E’ istituito, in via sperimentale, nello stato di previsione del Ministero della giustizia, con una dotazione di 250.000 euro per l’anno 2016 e di 500.000 euro per l’anno 2017, il Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno.

Comma 415. A valere sulle risorse del Fondo  di  cui  al  comma  414,  il coniuge in stato di bisogno che non è  in  grado  di  provvedere  al mantenimento  proprio  e  dei  figli  minori,  oltre  che  dei  figli maggiorenni portatori di  handicap  grave,  conviventi,  qualora  non abbia ricevuto l’assegno determinato ai sensi dell’articolo  156  del codice civile per inadempienza del coniuge che vi  era  tenuto,  può rivolgere istanza da depositare nella cancelleria del  tribunale  del luogo  ove  ha  residenza,  per  l’anticipazione  di  una  somma  non superiore  all’importo  dell’assegno  medesimo.  Il presidente   del tribunale o un giudice da lui delegato, ritenuti sussistenti i presupposti di cui al periodo precedente, assumendo, ove occorra, informazioni, nei trenta giorni successivi al deposito dell’istanza, valuta l’ammissibilità dell’istanza medesima e la trasmette al Ministero della giustizia ai fini della corresponsione della somma di cui al periodo precedente. Il Ministero della giustizia si rivale sul coniuge inadempiente per il recupero delle risorse erogate. Quando il presidente del tribunale o il giudice da lui delegato non ritiene sussistenti i presupposti per la trasmissione dell’istanza al Ministero della giustizia, provvede al rigetto della stessa con decreto non impugnabile. Il procedimento introdotto con la presentazione dell’istanza di cui al primo periodo non è soggetto al pagamento del contributo unificato.                                                        www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/12/30/15G00222/sg

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UNIONI CIVILI

            Unioni civili. Oltre 100 giuristi dicono no al Ddl Cirinnà.

Il Ddl Cirinnà sulle unioni civili divide la politica. E’ tensione all’interno del Pd sullo stralcio della contestata stepchild adoption, ovvero l’adozione del figlio del partner. Il provvedimento arriverà in aula al Senato il prossimo 28 gennaio e ha ricevuto ieri una bocciatura da Forza Italia. Intanto sono oltre 100 i giuristi che hanno aderito all’appello del Centro studi Livatino contro il Ddl. Tra i punti contestati: l’equiparazione al matrimonio, la non ammissibilità dell’adozione o dell’affido dei minori e il rifiuto della pratica dell’utero in affitto che il testo rischia di legittimare. Intervista a uno dei firmatari, Filippo Vari, docente di diritto costituzionale all’Università Europea.

R. – La Costituzione configura un regime privilegiato per la famiglia. Questo Disegno di Legge vuole svilire questa preferenza, attribuendo lo stesso regime della famiglia a forme di convivenza che hanno una diversa funzione nella società.

D. – Voi evidenziate il danno derivante per i minori dalla “Stepchild adoption”, l’adozione del figlio del compagno.

R. – C’è un danno perché la legislazione in vigore, ma anche la Corte Costituzionale, hanno sempre riconosciuto: non esiste un diritto degli adulti all’adozione, ma esiste il diritto di un bambino ad essere inserito invece in una famiglia. Questo Disegno di Legge, nel prevedere la “Stepchild adoption”, non garantisce che i minori abbiano un padre e una madre – come, invece, vuole la Costituzione – ma finisce per dare ad un bambino due padri o due madri.

D. – Voi, tra l’altro, dite no anche all’alternativa alla “Stepchild adoption”, ovvero la soluzione dell’“affido rafforzato”.

R. – L’affido è un istituto che sorge con presupposti radicalmente diversi. E’ una soluzione di compromesso, che però nasconde una grave ipocrisia. Su certi temi il compromesso non è possibile! In realtà anche con l’affido non cambierebbe il fatto che il minore, anziché trovarsi inserito in una famiglia in cui c’è un padre e una madre, si troverebbe ad essere inserito dall’ordinamento in una diversa forma, in cui ha due punti di riferimento che non sono il padre e la madre, ma sono o due padri o due madri.

D. – Non credete che il tentativo sia, invece, quello di favorire in qualche modo il minore nel garantirgli una figura di riferimento genitoriale?

R. – La figura di riferimento genitoriale il minore ce l’ha ed è il genitore biologico con il quale convive. Dopodiché l’ordinamento già prevede strumenti adeguati: se il genitore muore, il partner del genitore, se c’è un legame affettivo stabile con il minore, può adottarlo.

D. – Il partner anche dello stesso sesso?

R. – Sì, si, si! Dopo che è morto il genitore…

D. – Voi dite: i diritti individuali che vengono chiesti, in realtà, sono già riconosciuti e non serve una legge ad hoc.

R. – In realtà qui l’intento è di creare una forma di convivenza che venga equiparata alla famiglia. Nessuno mette in dubbio la legittimazione del convivente ad andare a trovare in ospedale, andare a trovare in carcere.

D. – Tutto questo è garantito oggi dalla legge?

R. – Oggi questo è tutto garantito. Poi insisto: un problema specifico di riconoscimento dei diritti dei conviventi non c’è oggi. Mi sento, con la stessa onestà, di dire che un singolo problema potrebbe sorgere, rispetto a casi della vita che noi non siamo nemmeno in grado di immaginare, ma se sorgesse si interviene puntualmente e non con un disegno istituzionale. La critica che a me si potrebbe fare è quella di dire: “Sì, però il partner non gode della pensione di riversibilità”. Qui però bisogna capirsi: la Costituzione pone sullo stesso piano tutti i figli nati in un matrimonio o nati al di fuori; per quanto riguarda, invece, la posizione dei partner la Costituzione volutamente discrimina, perché la Costituzione riconosce la specificità della formazione sociale familiare. La pensione di reversibilità – ad esempio – ha un costo per la società; la società si sobbarca questo costo notevolissimo non perché i coniugi si vogliono più bene rispetto ad altre unioni: la pensione di reversibilità e tanti diritti sono garantiti in maniera esclusiva ai coniugi proprio per questa funzione infungibile che la famiglia ha nella società e che noi chiediamo che il legislatore finalmente cominci a riconoscere e a promuovere in maniera adeguata, visto che l’Italia è uno dei fanalini di coda per quanto riguarda le politiche pubbliche a sostegno delle famiglie. Il motivo più grande di crisi dello stato sociale in Italia è l’“inverno demografico”.

D. – Voi contestate l’iter, la modalità con cui questo Ddl arriva all’Aula del Senato…

R. – Per la prima volta l’Aula si trova ad esaminare un Disegno di Legge, senza che questo Disegno di Legge sia stato esaminato dalla competente Commissione parlamentare. Questa è una gravissima forzatura!

Paolo Ondarza           Notiziario Radio vaticana – 14 gennaio 2016       http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

 

Mirabelli: «Ombre costituzionali sulla stepchild adoption».

Un garbuglio giuridico, prima ancora che politico, dal quale si può uscire con due mosse: stralciare il controverso capitolo sulla stepchild adoption per trattare la materia nella sede più appropriata, ovvero la riforma delle adozioni; riscrivere il testo depurandolo dai continui rimandi al diritto matrimoniale, per togliere il velo d’ipocrisia che lo avvolge e renderlo finalmente aderente al dettato della Corte Costituzionale in tema di unioni civili. Lo spirito di quel pronunciamento, infatti, è quello di attribuire un riconoscimento alle unioni tra persone dello stesso sesso, tenendole però ben distinte dalla famiglia fondata sul matrimonio e sancita dalla Costituzione. Così Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta, torna a riflettere sul Ddl (ex) Cirinnà che il 26 di questo mese approderà in aula al Senato. E ne mette in evidenza tutti i dubbi di costituzionalità.

            Presidente, ora il dibattito è concentrato esclusivamente sul nodo della stepchild adoption, l’adozione del figlio del partner da parte di uno dei componenti di una coppia omosessuale. Si rincorrono polemiche e proposte. Vede qualche tesi convincente?

Il problema è che non si tratta dell’unico nodo da sciogliere, ma del coronamento di un’impostazione che assimila, in un certo senso identifica, l’unione civile al matrimonio. La previsione dell’adozione del figlio del partner rinvia non a caso alla legge del 1983 sulle adozioni dei minori.

            L’argomentazione più utilizzata dai sostenitori di questa pratica è che la tutela del minore deve venire prima di tutto.

Dissento, lo spirito non è quello di tutelare il minore. Attraverso questo sistema, infatti, si consente sì l’adozione del figlio, anche adottivo, che una delle due persone già aveva, ma anche l’adozione del figlio che l’altro partner in qualche modo ‘si procura’.

            Per esempio con la pratica della maternità surrogata, ovvero l’utero in affitto.

Esatto. Perciò, guardando le cose nella loro vera sostanza, senza veli ideologici né di altra natura, chiedo: che cosa si vuole? L’interesse del minore o permettere a una coppia omosessuale di ‘procurarsi’ un figlio?

            Tra le ipotesi di queste ore c’è quella di consentire la stepchild adoption solo per i figli nati prima dell’entrata in vigore della legge.

È una soluzione che potrebbe determinare altri tipi di difficoltà, a cominciare dalla disparità di trattamento davanti alla legge, in violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Direi, piuttosto, che la soluzione migliore è quella di verificare e valutare quale potere di rappresentanza e di cura il partner non genitore ha effettivamente nei confronti del minore. Purtroppo mi sembra che nell’attuale contesto politico non ci sia alcuna voglia di approfondire e trovare strade adeguate, senza ricorrere a schemi già esistenti. Si sostiene addirittura che il partner non possa, attualmente, andare a prendere a scuola il figlio dell’altro componente della coppia. Siamo seri e cerchiamo di evitare ipocrisie: l’obiettivo reale è soddisfare l’interesse dei due partner di ‘completare’, in qualche modo, la loro unione solidale e affettiva con un bambino che sia considerato loro figlio.

            E se decidesse il giudice civile di volta in volta, in base alle situazioni particolari, come accade nelle separazioni tra coniugi?

Non mi sembra una buona idea. Occorrerebbe piuttosto stabilire linee ben precise, anche considerando che il giudice civile mostra assai spesso la vocazione di fare lui il legislatore. Anzi, qualche volta s’impegna in uno sprint per battere sul tempo il legislatore o per spingerlo a prendere decisioni in una determinata direzione. La soluzione migliore sarebbe stralciare questo punto dal disegno di legge e inserirlo, in maniera meditata, nel contesto proprio, ovvero la disciplina delle adozioni. Tra l’altro, ciò consentirebbe la verifica a 360 gradi di quelle che sono le situazioni e l’interesse del minore. Ora, invece, la presenza stessa nel testo sulle unioni civili rivela chiaramente che il tema è trattato nell’interesse degli adulti.

            C’è chi ipotizza di sostituire la stepchild con una forma rafforzata di affido. Sarebbe in linea con la Costituzione?

Certamente non lo sarebbe se, come nella versione attuale, si scrive ‘unione civile’ e si legge ‘matrimonio’. Se invece vi fosse una differenza concreta, regolare la questione diversamente non sarebbe lesivo del principio costituzionale di uguaglianza. La Corte Costituzionale, del resto, ha affermato che è doveroso disciplinare questo tipo di formazione sociale, ma che questa non rientra nello schema del matrimonio previsto dall’articolo 29 della Carta.

            Quindi l’affido rafforzato, in mancanza dello stralcio, sarebbe il male minore?

Un momento, anche qui bisogna essere estremamente chiari. L’affido del minorenne in genere è una situazione transitoria determinata dalla difficoltà della famiglia di svolgere il proprio ruolo. Ma nel caso dei figli di uno dei partner di un’unione civile, non stiamo parlando di minori in stato di abbandono o bisognosi di un ulteriore paternità o maternità. La situazione cambia quando il genitore muore e il bambino, che ha un rapporto consolidato con l’altro componente della coppia, deve trovare una tutela. Tuttavia in questo caso lo strumento è già previsto dalla legge: se vi è un rapporto stabile e duraturo precedente alla perdita del genitore, potrà esserci anche l’adozione. Però si tratta di un caso particolare, con i limiti che questa adozione prevede.

            Più in generale, il Ddl sulle unioni civili contiene numerosi rinvii alle norme sul matrimonio.

Pur depurato da alcune espressioni dirette del precedente testo della medesima Cirinnà, è davvero un’operazione continua di rimando al matrimonio.

            Ma abbiamo appena detto che la Consulta non ha sentenziato in questo senso.

Diciamo che il Ddl si allontana molto dal dettato della Corte Costituzionale. E dalla previsione della Costituzione.

            Come tornare al rispetto di questi due requisiti?

Sarebbe il caso di riscrivere la legge in materia più appropriata, senza demonizzare assolutamente le unioni solidaristiche affettive, senza giudicare in nulla l’atteggiamento delle persone, ma anzi attribuendo il rilievo che la Costituzione richiede. Sono formazioni sociali che vanno appropriatamente disciplinate, stabilendo norme in materia patrimoniale, di reciproca assistenza, di successione ereditaria. Ma per fare tutto questo non c’è bisogno di inventare un matrimonio con un’etichetta diversa.

Danilo Paolini                                   avvenire                     12 gennaio 2016

www.avvenire.it/Politica/Pagine/Unioni-civili-testo-ipocrita-e-lontano-dalla-Costituzione-.aspx

 

Unioni civili, paure senza fondamento.

Caro Direttore, si possono cercare tutte le argomentazioni tecniche o politiche per spiegare le perplessità sulle unioni civili e i matrimoni gay. Ma la realtà è che l’omosessualità in Italia è ancora legata a pregiudizi e stereotipi che la rendono, agli occhi di molti, strutturalmente in contrasto col concetto di famiglia e di vita familiare. E anche molti dei cosiddetti «liberal», che non hanno dubbi sul diritto degli omosessuali a vivere la propria sessualità, sollevano però più di un dubbio di fronte alla possibilità che questi possano formarsi una famiglia. Perché?

Perché, più o meno consciamente, gli omosessuali vengono ancora associati a vite emotivamente ed affettivamente instabili, edonistiche, frivole, volubili, come se fossero un costante gay pride. E quindi sono considerati poco inclini alla vita familiare, fatta di stabilità di affetti, di routine, e anche di serena noia. A maggior ragione inadatti alla vita familiare quando questa coinvolge dei bambini, che hanno particolare bisogno di stabilità affettiva e affidabilità.

Eppure non è così. E i Paesi che da anni hanno istituito unioni civili e matrimoni gay hanno avuto modo di capirlo, e di analizzare il fenomeno in profondità. Il Willliams Institute dell’Università della California a Los Angeles ha pubblicato un interessante studio basato sugli Stati del Vermont e del New Hampshire, dove il matrimonio gay è in vigore dal 2009 e dal 2010. La ricerca ha trovato che il tasso di divorzi nei primi quattro anni di matrimonio è più basso tra le coppie gay che tra le coppie etero (una media dell’1,1% annuo contro il 2% delle coppie etero). Un altro studio più ampio di una ricercatrice di Stanford, concentrato sulla longevità di coppia a prescindere dalla forma di legame (matrimonio, unione o convivenza), ha trovato che la stabilità tra coppie etero e omosessuali è sostanzialmente la stessa. Mentre in Inghilterra uno studio sulle unioni civili nel periodo 2005-2010 trovava tassi di separazione più bassi per le unioni omosessuali che per i matrimoni etero. Si potrebbe ironicamente notare che, in Paesi in cui i matrimoni sono in calo e i divorzi, i secondi e i terzi matrimoni sono ormai la normalità, l’ultimo baluardo di famiglia tradizionale sia incarnato dalla famiglia omosessuale, in cui gli sposi divorziano meno e non si risposano varie volte avendo figli da due o più partner.

In realtà è probabile che i tassi di divorzio tra omosessuali in questi Stati siano bassi perché le coppie che si sposano per prime sono quelle più motivate e più durature, e che col tempo i divorzi si allineino a quelli etero. Ma il punto non è rivendicare la superiorità di una tipologia di famiglia rispetto ad un’altra, ma la loro sostanziale equiparazione. Il punto è capire che chiunque decida di formare una famiglia, che sia etero o omosessuale, lo fa per rispondere a quel bisogno di dare e ricevere amore e di stabilità affettiva che caratterizza la gran parte degli esseri umani a prescindere dal loro orientamento sessuale.

È per questo che i Paesi in cui le unioni o i matrimoni sono stati legalizzati non hanno visto alcuno stravolgimento dell’ordine morale della loro società e hanno riconosciuto che le coppie e le famiglie omosessuali hanno le stesse caratteristiche di quelle etero e si sono integrate benissimo. Tant’è che neppure un governo molto conservatore su certi temi, come quello di Rajoy in Spagna, ha avuto la forza di abolire la legge sui matrimoni gay di Zapatero. Una volta che la società ha visto e ha capito, gli stereotipi crollano e l’inclusione aumenta. Ma forse è proprio questo che ad alcuni fa paura.

Irene Tagli, economista         La Stampa      10 gennaio 2016

http://www.irenetinagli.it/articoli/406-unioni-civili-paure-senza-fondamento

 

Unioni civili e “stepchild adoption”: l’impossibile mediazione.

1. Premessa. Con l’approssimarsi della data prevista per la discussione, in Senato, del disegno di legge in materia di unioni civili e disciplina delle convivenze, è tornato ad accendersi il dibattito, in particolare in relazione al suo art. 5, che prevede l’estensione alle parti di una unione civile dell’art. 44, lett. b) della legge n. 184/83. In base a quest’ultima disposizione, nel testo attualmente vigente, il coniuge può adottare il figlio, anche adottivo, dell’altro coniuge: si tratta, come noto, di una delle ipotesi di “adozione in casi particolari”, vale a dire di adozione che prescinde dalle condizioni di cui all’art. 7, comma 1, della medesima legge, e cioè dallo stato di adottabilità del minore.

2. Che cos’è la cd. stepchild adoption? Rispetto all’adozione cd. legittimante o piena, che continuerà ad essere consentita, ai sensi dell’art. 6 della stessa legge, unicamente alle coppie unite in matrimonio, l’adozione di cui all’art. 44, lett. b) (cd. adozione coparentale-successiva, adozione interna alla coppia o stepchild adoption) garantisce – non automaticamente, ma previa valutazione del Tribunale dei minori, è bene sottolinearlo – il riconoscimento giuridico del rapporto tra il minore ed il coniuge (o, secondo il disegno di legge in esame, il partner civile) del genitore biologico o adottivo, e questo soltanto. Non vengono dunque stabiliti, per effetto di tale forma di adozione, rapporti di parentela né in linea retta né in linea collaterale. In altre parole, l’adottato diviene sì figlio del genitore cd. sociale, ma non diviene nipote dei genitori di questo né fratello di altri figli eventualmente nati, accolti o cresciuti dalla coppia, con conseguenze rilevanti, ad esempio in materia successoria e in materia di garanzia della continuità affettiva con i parenti del genitore adottivo, in caso di morte di quest’ultimo.

            Proprio per queste ragioni, la cd. stepchild adoption – seppure prevista, per le parti di una unione civile, negli ordinamenti che già conoscono tale istituto (come Germania o Austria) – non ha mai rappresentato l’unico istituto capace di offrire riconoscimento giuridico ai legami parentali instaurati nell’ambito delle famiglie omogenitoriali. Accanto ad essa esistono, per un verso, la possibilità di procedere ad adozione congiunta del figlio di terzi che versi in stato di adottabilità, o ancora l’estensione delle norme in tema di riconoscimento del figlio alla nascita, previste però, nel nostro ordinamento, soltanto per i coniugi (l’adozione) e per i genitori biologici, coniugati e non (il riconoscimento). Gli ultimi due istituti richiamati, è bene precisarlo, rappresentano la più completa forma di riconoscimento giuridico del legame parentale, a tutela del figlio, con pienezza di effetti sul piano personale, patrimoniale e successorio.

            La scelta degli estensori del disegno di legge in discussione, pertanto, si pone già quale soluzione di mediazione tra l’istanza di pieno riconoscimento dei diritti (e dei doveri) all’interno delle famiglie omogenitoriali – con effettiva garanzia della pari dignità sociale tra i bambini che crescono al loro interno e i figli di coppie eterosessuali – e le posizioni di quanti a tale riconoscimento si oppongono.

3. Le ipotesi di mediazione. Ciononostante, il dibattito politico è caratterizzato, in questa fase, dalla ricerca di ulteriori ipotesi di mediazione, volte ad evitare, in buona sostanza, ogni assimilazione tra il riconoscimento della relazione tra il minore e il genitore omosessuale non biologico e gli istituti che disciplinano le relazioni parentali nelle famiglie eterogenitoriali. Come già avvenuto in altre fasi dell’iter di discussione del disegno di legge – penso, in modo particolare, all’approvazione dell’emendamento che definisce l’unione civile “specifica formazione sociale”, così come, a ben vedere, alla stessa scelta originaria a favore dell’introduzione dell’unione civile in luogo dell’estensione del matrimonio civile – anche in questo caso la ricerca di un compromesso politico rischia di pregiudicare in modo molto serio la tenuta tecnico-giuridica delle ipotesi alternative e, soprattutto, di misconoscere le concrete istanze di riconoscimento e tutela.

            Sembra pertanto opportuno spendere qualche considerazione sulle ipotesi di mediazione che vengono agitate – con maggiore o minore fondamento – all’interno come all’esterno del Parlamento, per verificarne la compatibilità con il quadro costituzionale e con alcune indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

            L’unica ipotesi che, finora, si trova realmente sul tavolo è rappresentata dall’emendamento n. 5.19 (presentato in Commissione dai Senn. Lepri, Fattorini, Del Barba ed altri): esso punta a sostituire il ricorso alla cd. stepchild adoption con un istituto di nuova introduzione, ricalcato sull’affidamento e rispetto a questo in qualche misura “rinforzato”, con riferimento alla durata e alla possibilità di una sua conversione in adozione coparentale al verificarsi di talune condizioni (in particolare, la maggiore età dell’affidato e la morte del genitore biologico). Il 14 gennaio 2016, è stata diffusa, una nuova versione dell’emendamento, che ripropone l’istituto dell’affido rinforzato, con l’unica differenza che non è prevista, per il caso di scioglimento dell’unione civile, l’automatica cessazione dell’affidamento. Come evidente, il cd. affido rinforzato caratterizza il rapporto tra il minore ed il genitore sociale in termini di minore certezza rispetto a quello instaurato con l’adozione coparentale. Mentre infatti il legame adottivo è di regola irreversibile, con piena assunzione di responsabilità genitoriale e connessi doveri da parte dell’adottante, i rapporti tra affidatario e minore sono esposti alla possibilità di revoca (nell’ipotesi di “sussistenza o sopravvenienza di condizioni che possano recare pregiudizio al minore”), così come alla rinuncia da parte dell’affidatario. Alla morte dell’affidatario, inoltre, il minore non ha alcun diritto sul piano successorio: questi, al più, potrebbe ereditare “indirettamente”, alla morte del genitore biologico, partner civile – e dunque erede – dell’affidatario deceduto. Va rilevato, tuttavia, che mentre il minore adottato eredita immediatamente dal genitore adottivo, il minore affidato erediterebbe “indirettamente” dall’affidatario solo alla morte del genitore biologico che, beninteso, in vita sarebbe libero di disporre dei beni ereditati dal partner affidatario. Il tutto a tacere del profilo delle diverse quote di eredità di cui, direttamente dall’adottante o indirettamente dal partner dell’affidatario, il minore verrebbe infine in possesso. Infine, alla morte del genitore biologico, la possibilità di adozione da parte dell’affidatario è possibile solo su richiesta di quest’ultimo. Si tratta, come si vede, di differenze assai rilevanti, e suscettibili di incidere in maniera significativa sulla condizione di vita del minore, in quanto l’affido – seppure “rinforzato” – è e resta istituto strutturalmente precario, a prescindere da quali siano i doveri che l’affidatario si assume, laddove invece il genitore adottivo resta vincolato a tali doveri.  Allo stesso tempo – considerato che alcuni Tribunali dei minori (e, da ultimo, App. Roma, 23 dicembre 2015) hanno già accordato l’adozione in casi particolari ex art. 44, lett. d) (da disporsi quando vi sia constatata impossibilità di affidamento preadottivo) nell’ambito di famiglie omogenitoriali – sembra potersi escludere che l’eventuale introduzione di una nuova ipotesi di affidamento rinforzato, riservata alle coppie unite civilmente, possa ostacolare ulteriori pronunce di questo genere: affidamento e adozione (sia pure “in casi particolari”), infatti, si pongono su piani distinti e non concorrenti tra di loro, rispondendo a ragioni giustificative del tutto diverse.

            Solo per fare alcuni ulteriori esempi, altre ipotesi di mediazione circolate in queste settimane punterebbero ad introdurre un trattamento differenziato tra minori, in relazione alla diversa cornice familiare in cui essi siano nati, accolti e cresciuti. Così, dall’ipotesi di concedere il ricorso all’adozione coparentale solo dopo cinque anni di affido preadottivo obbligatorio (La Repubblica, 10 gennaio 2016), si passa all’idea di subordinare il ricorso alla cd. stepchild adoption al previo accertamento, da parte del giudice, di una convivenza almeno biennale tra il minore e l’adottando (così, La Stampa, 14 gennaio 2016), o ancora, alla proposta di escludere dall’adozione coparentale i minori nati con tecniche di procreazione medicalmente assistita non consentite dall’ordinamento italiano (ed in particolare, dunque, attraverso la gestazione per altri).

            Nel primo caso, si mira ad estendere un istituto tipico del procedimento di adozione del figlio di terzi – l’affidamento preadottivo – e finalizzato a garantire l’inserimento in famiglia di un minore ad essa esterno in vista della stabilizzazione del legame sul piano giuridico, alla diversa ipotesi dell’adozione interna alla coppia, ma solo con riferimento alla coppia omosessuale. In assenza di altre giustificazioni plausibili, tale soluzione sembrerebbe fondarsi unicamente su un giudizio di disvalore a priori in merito all’idoneità della coppia omogenitoriale a garantire un ambiente familiare idoneo allo sviluppo del minore.

            Allo stesso modo, la seconda ipotesi “dimentica” che l’accertamento positivo dell’idoneità del contesto familiare alla crescita del minore è già una delle valutazioni che il giudice è chiamato a fare in sede di decisione sul riconoscimento dell’adozione coparentale ex art. 44 lett. b) della legge n. 184/83: in questo senso, cfr. ad esempio Cass. Civ., sez. I, 19/10/2011,  n. 21651. E non si vede come il requisito della convivenza biennale – tanto più se riferita unicamente alla domanda di adozione proveniente dal partner civile omosessuale – possa offrire ulteriori criteri di valutazione dell’idoneità del contesto familiare, mentre priva di tutele il bambino e la bambina proprio nei primi anni di vita (cioè quando particolarmente stringente è l’istanza di protezione del superiore interesse del minore). Anche in questo caso, pertanto, sembra difficile individuare specifiche ragioni giustificative del trattamento differenziato, al di là di un generico giudizio di disvalore sull’idoneità genitoriale della coppia omosessuale.

            Quanto alla terza ipotesi – quella di un trattamento differenziato del minore, conseguente al modo in cui questi sia venuto al mondo – basti richiamare l’attenzione su due elementi. In primo luogo, la legge n. 40/2004 (che disciplina l’accesso alle tecniche di p.m.a.) pur vietando espressamente la gestazione per altri, sanziona unicamente coloro che vi fanno ricorso e non prevede nessuna conseguenza sulla riconoscibilità del minore nato grazie a tale tecnica. Ciò discende, in secondo luogo, dal fatto che nel nostro ordinamento non esistono né possono esistere “figli irriconoscibili” (si pensi, mutatis mutandis, alla vicenda dei figli nati da rapporti incestuosi, risolta dalla Corte costituzionale con la storica sentenza n. 494/2002). In altre parole, l’interesse superiore del minore a veder riconosciute e disciplinate in forma certa e stabile le proprie relazioni familiari non può che prevalere – sempre e comunque – su interessi ordinamentali di segno opposto, quali il giudizio di disvalore sul ricorso a talune tecniche di procreazione medicalmente assistita.

4. È legittimo il trattamento differenziato? Viene in questione, alla luce della disamina sin qui sinteticamente condotta, una domanda fondamentale: a rigore di Costituzione può ritenersi consentito, ed eventualmente in quale misura, il trattamento differenziato tra figli di coppie omosessuali unite civilmente e figli di coppie eterosessuali, coniugate e non? Pare necessario, anzitutto, sgomberare il campo da un’obiezione diffusa: si ritiene, infatti, che il trattamento differenziato, a monte, delle coppie omosessuali (cui sarà riservata l’unione civile) e delle coppie eterosessuali (che possono accedere al matrimonio civile) possa implicare, a valle, il diverso trattamento delle relazioni genitoriali che sussistono nell’ambito della coppia.

            Come noto, il trattamento differenziato delle coppie formate da persone dello stesso sesso discenderebbe – alla luce dell’attuale sistema matrimoniale previsto dal codice e secondo una delle possibili letture, invero non esente da profili di rigidità, delle sentenze n. 138/2010 e 170/2014 della Corte costituzionale – dalla diversa copertura costituzionale delle prime rispetto alle unioni coniugali (art. 2, in luogo dell’art. 29). Anche a voler ritenere giustificato un simile approccio – ma non è questa la sede per tornare sulle interpretazioni della giurisprudenza costituzionale sul punto – esso non potrebbe estendersi alla differente disciplina dei rapporti genitoriali sorti in seno all’una o all’altra unione. Il trattamento differenziato dell’unione civile rispetto al matrimonio, infatti, attiene alla disciplina dei rapporti tra i partner (personali, patrimoniali, successori), mentre la disciplina dei rapporti parentali attiene ad altra fattispecie e, soprattutto, è dettata in vista del perseguimento di obiettivi del tutto diversi, primo fra tutti la tutela del minore e del suo superiore interesse.

            Deve essere sottolineato, infatti, che la parità di stato tra tutti i figli è ormai principio recepito dall’ordinamento (cfr. l’art. 315 del Codice civile, come modificato dalla legge n. 219/12) e che la definitiva eliminazione della distinzione tra figli legittimi e figli naturali (art. 1, comma 11, della medesima legge) ha l’effetto di rendere la cornice giuridica del rapporto di coppia tra i genitori del tutto irrilevante ai fini dell’assunzione della responsabilità genitoriale e della relativa disciplina: la stessa Corte costituzionale, peraltro, ha da tempo affermato con chiarezza che “la condizione giuridica dei genitori tra di loro, in relazione al vincolo coniugale, non può determinare una condizione deteriore per i figli, poiché quell’insieme di regole, che costituiscono l’essenza del rapporto di filiazione e che si sostanziano negli obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione della prole, derivante dalla qualità di genitore, trova fondamento nell’art. 30 della Costituzione che richiama i genitori all’obbligo di responsabilità” (sent. 166/1998).

            Pertanto, l’introduzione di un nuovo istituto di diritto familiare riservato alle coppie dello stesso sesso – l’unione civile – non può essere posta a fondamento di una diversa disciplina dei rapporti di filiazione. Nel caso in esame, peraltro, considerando che il differente trattamento di unione civile e matrimonio discende unicamente da valutazioni legate all’orientamento sessuale delle parti – ciò che pure molto dovrebbe ancora far riflettere sulla tenuta del principio costituzionale di non discriminazione in ragione delle condizioni personali (art. 3) – si rischierebbe di far ricadere sui figli “il peso e le conseguenze di una ascrizione di status che discende dall’orientamento sessuale dei genitori” e dalle preclusioni che l’ordinamento fa derivare da tale condizione (così G. Repetto, Figli irriconoscibili. Le adozioni omoparentali davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, in A. Schillaci (a cura di), Omosessualità Eguaglianza Diritti. Desiderio e riconoscimento, Carocci 2014, pp. 150 ss., 169).

            D’altro canto, almeno a partire dalla nota sentenza Cass. Civ., sez. I, 11 gennaio 2013, n. 601, è stato chiarito che l’omosessualità non è elemento sufficiente per escludere l’idoneità della persona all’adempimento dei doveri connessi all’assunzione della responsabilità genitoriale, a nulla potendo rilevare il “mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale”, poiché esso “dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino”. Va inoltre ricordato, in prospettiva analoga, che la Corte europea dei diritti dell’uomo, sia pure in un caso leggermente diverso da quello in esame – sentenza X c. Austria del 19 febbraio 2013, che aveva ad oggetto il confronto tra coppie eterosessuali non coniugate, cui era consentito il ricorso all’adozione coparentale, e coppie omosessuali non unite civilmente, cui questo era precluso – ha avuto modo di affermare l’importante principio secondo cui il trattamento differenziato delle relazioni parentali in ragione dell’orientamento sessuale dei genitori deve essere giustificato sulla base di “motivi particolarmente gravi e convincenti” (cfr. par. 99), con conseguente compressione del margine di apprezzamento normalmente riconosciuto agli stati membri nell’interpretazione della Convenzione.

            Più in generale, dunque, sembra che anche (e soprattutto) in questo caso, ad un approccio incentrato sul modello astratto di disciplina delle unioni, debba sostituirsi una prospettiva di analisi attenta alle concrete caratteristiche delle situazioni e delle esperienze di vita che richiedono riconoscimento e tutela, con particolare riferimento alla posizione del minore. In questo senso, ad esempio, si è già mossa quella giurisprudenza che, pure in assenza di un dato normativo esplicito, ha accordato l’adozione in casi particolari ex art. 44 lett. d) della legge n. 184/1983 (figura residuale, da disporsi “quando vi sia la constatata  impossibilità  di  affidamento preadottivo”) nell’ambito di coppie omogenitoriali, proprio sulla base di una analisi penetrante dei concreti caratteri del rapporto tra l’adottante e l’adottato, nonché del contesto familiare (cfr. da ultimo App. Roma, 23 dicembre 2015).

            Solo se ci si pone in tale prospettiva – ancorando il giudizio di eguaglianza alla concretezza delle situazioni di vita e di esperienza, piuttosto che alla comparazione astratta tra modelli – è possibile avvedersi che non esistono, sul piano delle concrete circostanze di fatto, differenze di condizione tra i figli di coppie omogenitoriali e figli di coppie eterogenitoriali, tali da giustificare un trattamento deteriore dei primi rispetto ai secondi: identiche sono le esigenze di cura, identici i diritti del figlio a crescere in sicurezza nel contesto familiare in cui è nato o è stato accolto, identici – soprattutto – i doveri dei genitori, che devono essere inquadrati in un istituto giuridico che ne garantisca la piena effettività.

            5. Per concludere. Questo, dunque, il quadro nel quale iscrivere la valutazione della ragionevolezza del trattamento differenziato dei figli di coppie formate da persone dello stesso sesso, e dunque la conseguente fragile tenuta tecnico-giuridica delle ipotesi di mediazione prima ricordate. Come noto, uno dei più discussi corollari del principio costituzionale di eguaglianza è quello secondo il quale situazioni simili vadano disciplinate in modo simile, e situazioni diverse in modo diverso, e secondo la loro specificità. Simile posizione, tuttavia, non implica – ed è quasi superfluo ribadirlo – che il trattamento differenziato di situazioni difformi sia ammesso in ogni caso: accanto alle discriminazioni espressamente vietate dall’art. 3 Cost., vige infatti il più generale principio secondo cui il trattamento differenziato è costituzionalmente ammesso solo nella misura in cui possegga una giustificazione ragionevole, attinente alle concrete condizioni di fatto su cui si fonda e, soprattutto, al perseguimento di un obiettivo costituzionalmente rilevante. Una giustificazione che, nel caso di specie, è davvero difficile individuare, se si esclude – com’è doveroso, alla luce della giurisprudenza richiamata (ed in specie di Cass. Civ., sez. I, sent. n. 601/13) – la rilevanza di precomprensioni di tipo ideologico, e conseguenti pregiudizi relativi all’idoneità delle famiglie omogenitoriali a fornire un adeguato ambiente di crescita ai bambini e alle bambine in esse nati, accolti e cresciuti. {Sussiste il problema relativo all’educazione del minore, diverso da quello di un genitore vedovo o divorziato e soprattutto di genitori non biologici sposati. Ndr}.

            D’altronde, come ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 494/2002, “la Costituzione non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti”, ivi compreso nella specie “il diritto del figlio, ove non ricorrano costringenti ragioni contrarie nel suo stesso interesse, al riconoscimento formale di un proprio status filiationis, un diritto che […] è elemento costitutivo dell’identità personale, protetta, oltre che dagli artt. 7 e 8 della citata Convenzione sui diritti del fanciullo, dall’art. 2 della Costituzione”.

Angelo Schillaci, dottore di ricerca Università Sapienza di Roma     Articolo 29, 17 gennaio 2016

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