newsUCIPEM n. 576 –13 dicembre 2015

                                newsUCIPEM n. 576 –13 dicembre 2015

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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ADOTTABILITÀ                               Interesse primario per lo sviluppo del minore.

ADOZIONE INTERNAZIONALE 

ADOZIONI INTERNAZIONALI   

AFFIDO                                           

AFFIDO CONDIVISO                     Se il coniuge dialoga con l’ex tramite i figli subisce la multa.

Il padre che si disinteressa del figlio lo risarcisce

 

ASSEGNO DI MANTENIMENTO 

CHIESA CATTOLICA                    L’antidoto della misericordia.

 

CHIESE EVANGELICHE              

CONSULTORI Familiari UCIPEM

DALLA NAVATA                            3° domenica d’avvento – anno C –13 dicembre 2015.

FORUM ASS.ni FAMILIARI           Ripartire dalle famiglie.

FRANCESCO vescovo DI ROMA  

MATERNITÀ SURROGATA                      Abbiamo rotto il silenzio su un abominio ai danni delle donne.

MATRIMONIO                                 14 cose sul matrimonio che puoi scoprire solo dopo un divorzio.

NON PROFIT ONLUS                     Rimborso spese ai volontari solo se documentato.

NULLITÀ MATRIMONIALE         Rescritto di Papa Francesco sul processo matrimoniale

OMOFILIA                                       Trascrizione di un’adozione piena da parte della mamma sociale.

Adozioni gay: aggirati i principi dell’ordinamento italiano

PARLAMENTO Camera Assemblea           Question time. Utilizzo del fondo per i consultori familiari.

    Senato 1° Comm.   Disposizioni in materia di cittadinanza

SCIENZA&VITA                             Nell’adozione della coppia omosessuale esautorato il Parlamento.

SEPARAZIONI                                

SESSUOLOGIA                               

SINODO DEI VESCOVI                  5Il prossimo sinodo è già in cantiere. Sui preti sposati.

 

UNIONI CIVILI                              

VIOLENZA                                       Moglie maltrattata e mortificata: reato anche dopo tanto tempo.

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ADDEBITO

 

Raffaella Mari                                   LPT     2 dicembre 2015-

http://www.laleggepertutti.it/105770_separazione-per-uno-schiaffo-scatta-laddebito

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                                                   ADOTTABILITÀ

Interesse primario per lo sviluppo del minore.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n.23979, 24 novembre 2015.

      In una situazione di stato di abbandono l’interesse primario è quello di preservare a tutti i costi la crescita e lo sviluppo del minore. E questo anche se i ragazzi di cui prendersi cura non sono fratelli di sangue ma che, vivendo insieme hanno instaurato nel tempo, un rapporto pari a quello di comuni germani.

sentenza                           http://renatodisa.com/2015/12/10/corte-di-cassazione-sezione-i-sentenza-24-novembre-2015-n-23979-in-una-situazione-di-stato-di-abbandono-linteresse-primario-e-quello-di-preservare-a-tutti-i-costi-la-crescita-e-lo-sviluppo-del

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                                                   ADOZIONE INTERNAZIONALE

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Ai. Bi.  3 dicembre 2015                    www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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AFFIDO

Continuità affettiva dei minori

www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fam.php?id_cont=13763.php

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AFFIDO CONDIVISO

Se il coniuge dialoga con l’ex tramite i figli subisce la multa.

Tribunale di Vicenza, sentenza 4 novembre 2015.

            Separazione e divorzio: i coniugi che non comunicano tra loro mantengono l’affido condiviso ma rischiano l’ammonimento del giudice ed, eventualmente, il pagamento di una sanzione amministrativa.

            “Dì a tuo padre…”, “Dì a tua madre…”: i coniugi ormai separati che non dialogano tra loro, ma lo fanno solo usando i figli al pari di piccioni viaggiatori, rischiano grosso: l’ammonimento, da parte del giudice, il quale, in caso di reiterazione della condotta, può arrivare a infliggere loro una sanzione amministrativa pecuniaria da 75 a 5mila euro [Art. 709 ter cod. proc. civ.]. È quanto chiarito dal Tribunale di Vicenza.

La legge assegna al giudice un potere sanzionatorio nei confronti del genitore inadempiente ai provvedimenti relativi all’affidamento dei figli. Si tratta della sanzione meno severa, in una scala di gravità, da utilizzare, ad esempio, quando il comportamento da punire sia da ricondurre al solo inadempimento, non sia reiterato e non abbia comunque procurato danni a carico dell’altro genitore o del minore.

            In un’ottica di progressione delle sanzioni, il giudice potrebbe altresì:

  • disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
  • condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.

Il giudice, comunque, ha un’ampia discrezionalità sia sulla necessità o meno di disporre sanzioni sia sulla scelta del trattamento sanzionatorio tra i diversi strumenti indicati dalla legge, considerando comunque la condanna la risarcimento come una soluzione estrema.

            Ebbene, secondo la sentenza in commento, l’incapacità dei coniugi di comunicare fra loro non comporta la perdita dell’affidamento, in quanto non implica di per sé l’inadeguatezza a svolgere il ruolo di genitori; al giudice pertanto basta l’ammonizione per richiamare l’ex alle sue responsabilità, prefigurando la modifica del regime di affido dei figli se il genitore non instaurerà un dialogo continuativo con l’ex.

            Insomma, non rispondere alle telefonate e ai messaggi dell’ex moglie o dell’ex marito, affidando tutte le comunicazioni ai bambini – che sono piccoli e a volte dimenticano di riferire informazioni importanti per la gestione del diritto di visita, oltre che a rimanerne segnati psicologicamente – è un comportamento che, sebbene non sia sintomo di incapacità a relazionarsi coi figli (e quindi non fa perdere l’affido), può sempre essere sanzionato dal giudice con l’ammonimento verbale (nelle ipotesi più lievi) o – in caso di reiterazione – con una sanzione amministrativa pecuniaria.

La revoca dell’affidamento scatta invece solo in presenza di una condotta del genitore “gravemente pregiudizievole per il figlio”. La sia pur accesa conflittualità nei rapporti interpersonali tra i coniugi, che si risolve in una impossibilità di assumere decisioni comuni nell’interesse dei figli, non è sufficiente per far revocare l’affido condiviso in favore dell’uno e a scapito dell’altro: conta il preminente interesse dei figli. Ecco che allora, nei confronti del genitore inadempiente, scatta l’ammonimento a rispettare le regole: altrimenti il giudice farà indagare le capacità genitoriali dell’uomo dai servizi sociali.

La sentenza

Non può essere concesso l’affido esclusivo dei figli minori a uno dei due genitori nonostante la persistente violazione da parte dell’altro delle condizioni stabilite dal giudice in sede di separazione consensuale, dovendosi ritenere che l’affidamento condiviso può essere revocato soltanto per contrarietà all’interesse del minore e che detta contrarietà deve essere interpretata restrittivamente e ravvisata soltanto nella condotta gravemente pregiudizievole per il figlio, risultando invece sufficiente l’ammonimento ex articolo 709 ter Cpc al genitore inadempiente a instaurare un dialogo con l’altro e a rendersi disponibile per l’assunzione di decisioni comuni nell’interesse del minore non valendo di per sé l’incapacità dei coniugi di comunicare fra loro a modificare il regime dell’affido.

Redazione Lpt            9 dicembre 2015                                massima

www.laleggepertutti.it/106168_se-il-coniuge-dialoga-con-lex-tramite-i-figli-subisce-la-multa

Il padre che si disinteressa del figlio lo risarcisce.

Tribunale di Milano, prima Sezione civile, sentenza n. 6199,18 maggio 2015.

Separazione, divorzio, obbligo di mantenimento, affido condiviso e visite dei minori: scatta il risarcimento del danno morale da parte del genitore indifferente al figlio.

            Il totale disinteresse del padre nei confronti del figlio, sino a privare quest’ultimo della figura paterna, integra una violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, che dà luogo ad un illecito civile; a ciò corrisponde il diritto del figlio a chiedere il risarcimento dei danni non patrimoniali per aver subito la privazione affettiva.

            Ciò vale anche nei confronti dei figli “naturali”, ossia nati fuori dal matrimonio: irrilevante è l’eventuale intesa tra i genitori, secondo cui la madre crescerà e gestirà autonomamente il bambino senza far pesare nulla all’uomo. Accordi di questo tipo sono nulli perché non tengono conto dell’interesse preminente del figlio, il quale ben potrà, in un momento successivo, agire in giudizio contro il padre assente.

            È questo l’orientamento consapevole e maturo dell’attuale giurisprudenza, che non consente ai genitori di dimenticare i propri figli, anche se frutto di un “errore” o se tra i due si è rotto ormai qualsiasi tipo di legame. A ricordare questi principi, da ultimo, è stato il tribunale di Milano. Il giudice meneghino ha condannato un padre al risarcimento del danno morale patito dal figlio per la sua “assenza”, oltre al rimborso pro quota delle spese sostenute dalla madre per la crescita del figlio.

            La vicenda. Un uomo aveva lasciato l’ex compagna convivente quando ancora incinta e, alla nascita del bambino, non solo non lo aveva riconosciuto, ma si era completamente eclissato, senza interessarsi della sua crescita e del suo mantenimento anche in termini economici, non corrispondendo alcun contributo alla madre. Divenuto ventitreenne il ragazzo intraprendeva vittoriosamente una causa contro il padre, chiedendogli il risarcimento del danno morale causatogli dall’essere cresciuto senza una figura paterna. Il danno veniva equitativamente determinato in 25mila euro.

            Alle richieste del giovane si aggiungeva anche quelle della madre la quale, a sua volta, otteneva la restituzione di quota parte delle spese sostenute per la crescita del ragazzo e per il relativo mantenimento.

            Il risarcimento del danno non patrimoniale. Secondo la sentenza in commento, il pressoché totale disinteresse tenuto dal padre nei confronti del figlio ha “costretto quest’ultimo a vedersi privato della figura paterna”. Difatti, il mai avvenuto riconoscimento e il distacco quasi totale mostrato nei suoi confronti hanno segnato la sua crescita “privandolo del fondamentale riferimento affettivo e psicologico che normalmente rappresenta la figura paterna per ciascun figlio”. E ciò costituisce pacificamente un fatto illecito produttivo di danni non patrimoniali risarcibili integrando la “violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione” e determinando la “lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione” che trovano riconoscimento nella Costituzione [Artt. 2 e 30] e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento.

            Il rimborso per le spese sostenute per il mantenimento. Per quanto riguarda il rimborso del 50% delle spese di mantenimento e di educazione sostenute dalla madre, la Cassazione ha chiarito che “l’obbligazione di mantenimento del figlio riconosciuto da entrambi i genitori … sorge con decorrenza dalla nascita del figlio, con la conseguenza che il genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l’onere esclusivo del mantenimento del minore anche per la porzione di pertinenza dell’altro genitore, ha diritto di regresso per la corrispondente quota”. Nel caso di specie alla donna è stato riconosciuto il diritto al rimborso di circa 130mila euro sulla base dei redditi percepiti da entrambi i genitori, delle esigenze del figlio in relazione alle varie età e del presumibile tenore di vita che lo stesso avrebbe avuto se avesse potuto godere della presenza del padre.

Raffaella Mari                       Lpt      9 dicembre 2015

sentenza     www.laleggepertutti.it/106165_il-padre-che-si-disinteressa-del-figlio-lo-risarcisce

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ANONIMATO

testo integrale               www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fmi.php?id_cont=13782.php

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

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CHIESA CATTOLICA

L’antidoto della misericordia.

            Dal punto di vista religioso, la misericordia è un attributo di Dio che compare sia nel cristianesimo, sia nell’Islam, dove la preghiera è introdotta dall’invocazione: “In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso”. Seppur con intrinseche differenze, l’allocuzione rinvia, in entrambi i casi, a una divinità che tempera la sua inesorabile giustizia e la sua eventuale ira verso i peccatori con questa forma di premuroso amore incline al perdono. La misericordia di Dio corrisponde, in termini politici, alla clemenza dei sovrani.

            In campo cristiano, ma con evidenti ricadute sulla politica, c’è voluto molto tempo perché si superassero le posizioni di alcuni focosi esponenti della chiesa africana del III e dell’inizio del IV secolo, quali Tertulliano e Lattanzio, che esaltavano un Dio irato e vendicativo. Tertulliano, convinto del fatto che Egli terrà l’esatta contabilità delle ingiustizie in una specie di archivio dell’ira, anticipa la sua gioia per quando, nel giorno del Giudizio, vedrà i peccatori soffrire i più strazianti tormenti. Lattanzio, a sua volta, immagina un Dio personale che ha a cuore la salvezza dell’anima immortale di ciascuno e, proprio per questo, ne corregge severamente la condotta alla maniera del padre di famiglia romano.

Malgrado le numerose eccezioni che si richiamano al Discorso sulla montagna, a San Francesco o a Gioacchino da Fiore, il rex tremendae maiestatis continuerà a dominare la storia europea almeno sino alla conclusione delle guerre di religione (1648), durante le quali, per garantire la compattezza del potere e l’unità dei fedeli, dilaniati da contrastanti lealtà politiche e religiose, non ci si fece alcuno scrupolo nel ricorrere alla violenza contro i nemici dello Stato e contro gli eretici.

Da questo atteggiamento scaturì, da parte di un domenicano, l’assassinio del re di Francia Enrico III di Valois (preceduto da quaranta messe in cui sull’altare, era stata posta una statua di cera confitta di spilli che lo rappresentava) e, più tardi di Enrico IV. Del resto, secondo il teologo spagnolo Mariana, ogni mezzo è buono per sterminare coloro che si allontanano dall’ortodossia religiosa e politica (tranne, concede magnanimamente, il veleno a effetto lento). Chi visita a Terni il Palazzo Spada sarà dapprima stupito di vedere, come gloriose vittorie della fede, l’affresco che rappresenta La battaglia di Lepanto (1571) assieme a quello che raffigura La notte di San Bartolomeo (1572), quando in Francia, nel giro di poche ore, vennero trucidati tremila ugonotti da parte della Lega cattolica.

Non dimentichiamo mai, pensando ad altre culture, il cammino plurisecolare, compiuto dalla nostra civiltà per arrivare all’attuale situazione, in cui sono gradualmente cambiati non solo il cristianesimo, nel quale la misericordia si coniuga sempre più con il perdono e l’amore, ma anche gli Stati e la politica. In essi, specie nel caso delle democrazie, sono stati adottati, da un lato, i valori della tolleranza e del “diritto mite” e, dall’altro, gli istituti dell’amnistia e dell’indulto accanto, in vari paesi, a quello dell’abolizione della pena di morte.

Il richiamo alla misericordia non influirà tuttavia – se non di riflesso e in maniera strumentale – sulla condotta della politica, che obbedisce a una logica di potere. Può, tuttavia, incidere, grazie all’“uso civile della religione”, sulla coscienza delle persone e di alcune comunità, inducendole ad abbandonare l’odio e il risentimento e a smussare, se non certo a superare, conflitti, manifesti e latenti. Specie sul piano morale e religioso, la misericordia costituisce attualmente un possibile antidoto alle dolorose incomprensioni che lacerano i popoli e gli individui, una risposta all’esigenza di un nuovo inizio, di un “da capo” che non dimentichi il passato, ma tolga ai torti perpetrati e subiti, il loro peso schiacciante. Non è detto che possa convertire i terroristi, ma può, comunque, rafforzare gli anticorpi dei cittadini e dei fedeli (magari musulmani) nei loro confronti.

Remo Bodei, Università di Pisa          il sole24ore     08 Dicembre 2015

www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-12-08/l-antidoto-misericordia-083940.shtml?uuid=ACPDLApB

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CHIESE EVANGELICHE

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

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DALLA NAVATA

                        3° domenica d’avvento – anno C –13 dicembre 2015.

Sofonìa           03, 17 «Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia».

Isaia                12, 02 «Canta ed esulta, perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele».

Filippési          04, 02 «Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti».

Luca                           03, 10 «Le folle interrogavano Giovanni, dicendo “Che cosa dobbiamo fare?”».

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DENATALITÀ

            30 novembre 2015     www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Ripartire dalle famiglie.

Intervista al neopresidente del Forum delle Famiglie: Gigi De Palo

Avevamo avuto modo di ascoltare e raccontare le azioni di Gigi De Palo, da assessore alla delle famiglie e dei loro diritti con la campagna “Io sto coi passeggini“. Al centro del suo impegno la concretezza della Dottrina Sociale della Chiesa che si era messo ad insegnare dentro e fuori il Grande Raccordo Anulare. Già presidente delle Acli di Roma, da poche settimane è diventato il nuovo presidente nazionale del Forum delle Famiglie. E’ sposato ed ha quattro figli.

Presidente, i dati dicono che – purtroppo – potreste avere ragione nelle vostre preoccupazioni. L’Italia sempre più fanalino di coda in Europa per numero di figli per donna, e sempre meno matrimoni sia civili che religiosi.

De Palo: Sono dati angoscianti e da questo emerge un dato molto triste: gli italiani vorrebbero fare famiglia e figli. Io conosco tantissimi giovani che vorrebbero sposarsi ma non conviene. Se io mi separassi avrei diritto a 400 euro di assegni familiari. Non c’è il riconoscimento del vantaggio sociale della presenza della famiglia. Nonostante questo ne avremmo grande bisogno, in Italia e all’estero. I costi sociali della separazione o delle famiglie liquide sono altissimi. Il terzo figlio in Italia è la prima causa di povertà. Secondo l’Istituto Toniolo il 92% dei giovani vede nella famiglia e nei figli il primo sogno che vorrebbero realizzare. C’è fame di famiglia.

Il Governo italiano, le amministrazioni locali, che tipo atteggiamento hanno? Tu hai avuto anche dei ruoli decisionali al Comune di Roma quali difficoltà hai incontrato?

Palo: E’ veramente una gran confusione. In Italia il principio di sussidiarietà insito nelle persone viene ucciso dalla burocrazia. Tutte le energie volte al bene del Paese, vengono disperse, però se uno le cose le vuole fare davvero allora le cose si fanno. Io riuscii a fare il quoziente familiare a Roma in un anno. Se uno ha una idea le risorse si trovano. Si semina perché altri raccolgano, ma la politica non ragiona così spesso, la famiglia sì, la famiglia è una scuola di amministrazione e di politica in questo senso perché tu non fai sacrifici per un effetto immediato, ma ragioni e ti applichi sui tuoi figli, l’investimento è a 20 anni in un certo senso. In politica il meglio è nemico del bene, qui si tratta di equità sociale e un fisco più equo per le famiglie non è una concessione, non è elemosina, è giustizia, una giustizia che deriva dagli oneri e dai doveri che una famiglia già assolve, e che vanno riconosciuti. Ma i sacrifici fatti con la crisi per chi li facciamo se non si fanno figli? Quando ti dicono “le famiglie vogliono più servizi” ottimo, ma in realtà preferiamo più risorse per poter scegliere ciascuno le proprie priorità.

L’Italia si vanta di essere un paese cattolico, ma in paesi storicamente assai meno cattolici o in generale più laicisti, per la famiglia si fa molto di più, in Francia o nei paesi scandinavi i soldi e le risorse messe in campo per i minori e per le giovani coppie sono moltissimi.

De Palo: La famiglia è come il turismo in Italia, si ragiona “tanto vengono lo stesso” quindi non c’è una vera pianificazione. Si dà per scontato che gli stranieri a Roma arriveranno comunque, poi si scopre che non è vero e si perdono posti di lavoro. Ma così è anche per la famiglia dove la politica dà per scontato l’aiuto delle famiglie, il welfare complementare. Ma con questa strategia tra qualche anno non avremo nessuno che paga le pensioni, avremo i costi sociali di vecchiaia e malattia che aumenteranno per la collettività. Lo Stato dà per scontato che le famiglie facciano già il massimo per i figli ma non si curano di cosa succede se poi le famiglie falliscono perché non c’è lavoro, per eventuali crisi interne al tessuto familiare, per una malattia, per una dipendenza. Noè costruiva l’Arca quando c’era il sole, noi andiamo avanti per emergenze. Lo prendevano per pazzo, ma poi.

Come sarà la tua presidenza, che cosa può fare il Forum delle famiglie e cosa farà?

De Palo: In questi anni il Forum ha contato troppo poco rispetto al peso che ha: 4 milioni di famiglie suddivise in 400 associazioni locali e nazionali, 20 forum regionali, per un totale di 12 milioni di persone fisiche. L’obbiettivo è quello di dare voce ai 59 milioni e 100 mila di italiani che vivono in famiglia. Noi siamo il paese reale. Quello delle persone che non arrivano a fine mese, delle donne che non possono far sapere di essere incinte sennò vengono licenziate, dei nonni che sono costretti ad aiutare ancora i figli e i nipoti perché non c’è lavoro. Noi sul tema della famiglia cercheremo di dare contributi concreti e mai polemici con tutti, dai comuni al Governo ovviamente. La delega alla famiglia non può essere un problema in un paese a nascita zero e i ministri dovrebbero fare a gara per averla, perché è la più importante. Vogliamo che il Governo riconosca questa centralità del tema della famiglia: non hanno senso i proclami se non ci saranno più bambini. Il futuro, la ripartenza dell’Italia ha senso solo se esiste un futuro e uno spazio per i figli. Andare all’estero se è una scelta è bene, ma se è una necessità allora c’è un problema serio e tante famiglie sono lacerate dal dover vedere i figli lasciare il paese per necessità, per il bisogno.

Il mondo del posto fisso è finito, come si fa a costruire un sistema che sostenga la famiglia ora che i soldi sono pochi e il boom economico dei nostri nonni è più mito che storia?

De Palo: Siamo ad un punto s di svolta del nostro paese, mi spaventa che non ci sia il senso di urgenza. Su questo non ci dovrebbe essere divisione, su questo si dovrebbe costruire un consenso ampio su quelle che non sono opinioni, ma dati di fatto: il declino di un Paese. Siamo in una condizione simile a quella appunto vissuta dai nostri nonni nel dopo guerra. O tutte le forze politiche e sociali trovano una sintesi unitaria al rialzo, come fu con la Costituzione, oppure non se ne esce.

Lucandrea Massaro  Aleteia            11 dicembre 2015

http://it.aleteia.org/2015/12/11/ripartire-dalle-famiglie/

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

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MATERNITÀ SURROGATA

Abbiamo rotto il silenzio su un abominio ai danni delle donne.

L’ex ministro della Salute Livia Turco risponde a chi accusa i firmatari dell’appello contro l’utero in affitto di aver strumentalizzato per altri fini la battaglia contro la maternità surrogata. “È una forma di sfruttamento sulla quale per altro mi ero già espressa quando mi ero occupata della tratta delle donne e degli esseri umani e avevo scoperto allibita che proprio l’utilizzo della maternità surrogata era una delle pratiche più vili che venivano utilizzate”

“Abominevole. È una pratica abominevole che riduce il corpo della donna alla più bieca forma di mercificazione”. Sulla maternità surrogata, Livia Turco, più volte ministro, della Solidarietà Sociale e della Salute, nei governi Prodi e D’Alema e oggi presidente della Fondazione “Nilde Iotti” interviene con passione e non lascia spazio a nessun compromesso: va combattuta. Perché quando si parla di temi così importanti “non ci sono vie di mezzo: o è bianco o è nero”. Soprattutto, bisogna parlarne perché per troppo tempo è rimasta sotto silenzio. Per questo ha aderito all’appello lanciato da SNOQ Libere, come spiega in questa intervista ribattendo indirettamente anche a Maura Cossutta, presidente di SNOQ Sanità che sempre sul nostro giornale aveva parlato di strumentalizzazioni: “Il Parlamento è perfettamente in grado di non farsi strumentalizzare e di produrre una buona legge”, ci ha detto l’ex ministro.

Onorevole Turco, da SNOQ libere è partito un appello forte alla messa al bando della cosiddetta maternità surrogata. Un appello al quale le ha aderito. Perché?

Chiariamo subito una cosa, ho aderito alla petizione perché ha avuto il grande merito di portare all’attenzione di tutti questo tema. Perché finalmente si è rotto un silenzio “vergognoso” su una pratica che non esito a definire abominevole. Una forma di sfruttamento, perché di questo si tratta, sulla quale per altro mi ero già espressa quando mi ero occupata della tratta delle donne e degli esseri umani e avevo scoperto allibita che proprio l’utilizzo della maternità surrogata era una delle pratiche più vili che venivano utilizzate. È abominevole l’idea che una donna per campare debba fare figli per altri. E mi chiedo come mai noi donne, femministe sofisticate dell’Italia opulenta, non ci facciamo carico di combattere questo abominio. Un silenzio colpevole quindi. Certamente. La verità è che di questo non si discute perché alla fine sono le “povere criste” a dover subire questa pratica indegna. Io non ci sto. E non si venga a dire che in mezzo a loro ci sono anche mamme, sorelle, parenti che vogliono aiutare quante non possono avere figli.

Però può accadere.

Ma di che parliamo, per favore non è questo il tema! Io non ci credo e sono comunque piccole eccezioni. Su questo argomenti non ci sono vie di mezzo: o è bianco o è nero. Per tutta la mia vita mi sono battuta in difesa di valori che oggi, con grande preoccupazione, constato si stanno perdendo. Non stiamo parlando dell’amore, della gratuità della donazione, ma stiamo discutendo da una parte di una pesante forma di sfruttamento e dall’altra dello svuotamento del senso della maternità. E mi colpisce che su questo argomento le donne non non siano tutte unite. Un’intera generazione di donne ha speso energie per spogliarsi di un’idea della maternità come qualcosa di dovuto. Abbiamo condotto tante battaglie per far comprendere che la maternità è una relazione, che il corpo della donna è un “grembo psichico”. Un grembo che dà la vita, e che con la maternità surrogata viene ridotto a mercimonio, proposto ad altri per denaro. Che c’è un pensiero della cura della maternità che dovrebbe diventare dominate. Non possiamo tornare indietro

Qual è allora la vera battaglia?

Imporre come egemonico il pensiero della cura per contrastare il neo liberismo, il mercantilismo dilagante. Le donne stanno perdendo il pensiero materno della cura, perché stiamo diventando subalterne a un’idea della libertà nella quale si può fare tutto quello che si vuole. Non è così, la libertà deve passare attraverso una lettura della società chi sia ispirata a dei veri valori. Non dimentichiamo che l’idea della coscienza del limite nasce da una battaglia politica delle donne, ossia non tutto quello che si può fare si deve fare, perché non tutto quello che si può fare è a vantaggio dell’umanità. Le nostre lotte sono state la maternità naturale, il parto naturale, non le tecniche.

Da più parti è stato sostenuto che quello di SNOQ libere, in realtà è un appello strumentale visto che in Italia la pratica è illegale. E che dietro la battaglia contro la maternità surrogata partita dalla Francia si celi la contrarietà ai nuovi diritti delle coppie omosessuali, in particolare in questo momento l’Italia si prepara al dibattito sulle unioni civili.

Non scherziamo. Il Parlamento è perfettamente in grado di non farsi strumentalizzare e di produrre una buona legge. Chi sostiene questo, forse ha paura a portare avanti una battaglia politica contro l’opposizione dimenticando che ne abbiamo portate avanti tante in questi anni e di certo non ci fermeremo ora. Su questo tema specifico non mi basta che la maternità surrogata sia proibita nel nostro Paese, perché chi vuole utilizzarla va all’estero. Voglio che questo tema sia all’attenzione di tutti. Ribadisco, una cosa è difendere il principio etico della difesa delle fragilità, dello sfruttamento delle donne, un’altra è il tema delle unioni civili e dei diritti delle coppie omosessuali a poter adottare un figlio, e sui quali concordo. Temi che saranno affrontati dal legislatore nel modo migliore tenendo in conto che i diritti dei minori vengono prima di tutto.

Ester Maragò            quotidiano sanità       10 dicembre 2015

www.quotidianosanita.it/stampa_articolo.php?articolo_id=34304

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MATRIMONIO

14 cose sul matrimonio che puoi scoprire solo dopo un divorzio.

            Di solito, dopo un divorzio, le persone diventano più sagge sull’amore e sulle relazioni. Almeno, questo vale per alcuni lettori di HuffPost Divorce. Di seguito, i nostri blogger e i follower della nostra pagina Facebook riflettono sulle lezioni più difficili imparate dopo il divorzio.

1. “Non avevo capito che, in un matrimonio, non si può predicare bene e razzolare male. Le promesse sono solo parole ed energia sprecata, ma sono le azioni a fare un matrimonio. Dire “Ti amo” significa zero se la persona che te lo dice non ti fa sentire amata” – Laura Lifshitz.

2. “Amare e sposare qualcuno non significa che devi sempre soddisfare ogni requisito per ottenere il suo amore e il suo rispetto. Io merito amore e rispetto semplicemente per l’uomo che sono e, inoltre, un trattamento da cani non è mai accettabile” – Matt Sweetwood.

3. “In un matrimonio non conta che vi conosciate da anni. Le persone cambiano. Cambiano le priorità e le necessità. Adesso non siete le stesse persone che sarete fra due anni. Se non riesci ad innamorarti di nuovo, ogni volta, e rispettare il fatto che il partner abbia un’identità che è soltanto sua, scoprirai che nel tuo caso “matrimonio” è solo il nome di un’istituzione “moglie” è un titolo e l’amore non basta.

4. “In un buon matrimonio, devi avere la libertà di essere te stesso, di avere diversi punti di vista e, soprattutto, di sapere che il compromesso non consiste nella vittoria di uno e nella sconfitta dell’altro” – Ellis Bell.

5. “A volte l’amore non basta” – Susan R.Grace

6. “Ho capito che una relazione di co-dipendenza è la cosa peggiore che ti possa capitare. Impara ed essere te stesso, fai le tue cose e non dipendere da nessuno” – Jess Gottschalk.

7. “Fino al divorzio, non sapevo quanti miei amici fossero in realtà ‘amici del mio matrimonio’. In altre parole, erano amici sia miei che di mia moglie. Alcuni hanno pensato di dover scegliere tra di noi, ma io ho fatto uno sforzo consapevole per aprire un dialogo con molti di loro ed ora il legame è più forte che mai”—Chad Stone.

8. “Il fatto che un uomo sia “bravo” con te non implica che sia quello “giusto”. Il mio ex marito era un brav’uomo, ma non era lui l’uomo giusto. Calmava la mia impetuosità. Ma io non volevo sempre la calma. Amo la passionalità”.

9. “ Il divorzio non è stato come un’illuminazione, ma ho imparato ad essere onesta con me stessa e con gli altri sulle cose che già sapevo dentro di me” – Cindy Withjack

10. “Lotta con tutte le tue forze. Non mollate finché entrambi non sarete stanchi di provare” – Tiffany Shuldt Elwood

11. “Il divorzio è difficile. Il matrimonio lo è ancora di più” – Pamela L. Smith

12. Innamorarsi è una cosa che ci succede e basta. A volte accade all’improvviso e siamo accecati dall’eccitazione e dall’intensità delle nostre emozioni. Ma un amore che duri, che sia sincero e vero richiede un duro lavoro. Restare innamorati è una scelta per cui sono necessari sforzi, attenzione e impegno da parte di entrambi, così da non dare mai per scontato l’amore dell’altro. Essere sposati significa scegliere l’amore ogni giorno. Scegliere di dare amore e di riceverlo.

13. Il matrimonio è fatto di piccole cose, non solo dei momenti più importanti. Tutti quei momenti in cui contribuisci con l’attenzione, il senso dell’umorismo, la gentilezza, il sostegno, il calore. Ma anche delle volte in cui lo consumi con le critiche, il risentimento e l’impazienza – Susan Sommercamp.

14. Mettere fine ad un matrimonio richiede coraggio. Non è sempre una via d’uscita semplice. Molte persone resistono, affrontano le tempeste anche quando sanno che non stanno ricevendo l’amore di cui hanno bisogno. Ma si congratulano con loro stesse, pur sapendo che non è giusto quello che stanno facendo. Divorziare richiede coraggio – Merry Ann.

12 dicembre 2015

            www.huffingtonpost.it/2015/12/12/14-cose-matrimonio_n_8792562.html?utm_hp_ref=italy

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NON PROFIT                        ONLUS

            Associazioni di volontariato: rimborso spese ai volontari solo se documentato.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 23890, 23 novembre 2015

Le somme erogate dall’Associazione di volontariato ai propri associati possono essere riqualificate come compensi in assenza della dimostrazione che si è trattato di rimborsi spesa. Quante volte la vostra associazione si sarà trovata nelle condizioni di voler erogare una somma a titolo di “rimborso spese” per il tempo che i volontari investono per permettere all’ente di funzionare quotidianamente? Ebbene. E’ illegittimo prevedere che i rimborsi ai volontari da parte dell’associazione di appartenenza vengano stabiliti con criteri forfettari.

La vicenda dalla quale origina la sentenza in oggetto vede contrapposte l’Agenzia delle Entrate ed un’Associazione volontaria di pubblica assistenza che si era vista recapitare un avviso di accertamento con il quale venivano recuperate a tassazione le somme erogate ai propri associati riqualificandole da rimborsi spese a compensi. La CTR Lombardia, in riforma della sentenza di prime cure, annullava l’avviso di accertamento e confermava la natura di rimborsi spese delle somme erogate, motivando sull’esiguità delle stesse e sulle modalità forfettarie di pagamento.

            Compensi o rimborsi spese? L’Agenzia delle Entrate propone ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, la quale chiarendo la portata dell’art. 2, L n. 266/1991, ribadisce che gli esborsi erogati dalle associazioni di volontariato ai propri associati devono considerarsi compensi – e come tali assoggettati a tassazione – laddove siano corrisposti a titolo forfettario, circostanza il cui onere probatorio, in senso negativo, grava sul contribuente (l’associazione, in caso di ritenuta alla fonte, o l’associato per quanto riguarda il prelievo IRPEF). La norma citata esclude la possibilità di qualificare le somme come rimborsi spesa anche nel caso in cui vengano superati i limiti preventivamente stabiliti dalle associazioni stesse, limiti che devono essere determinati dagli organi deliberativi dell’associazione in relazione al singolo associato e che non possono essere individuati sulla base dell’importo iscritto nel bilancio preventivo, come sostenuto dall’Agenzia ricorrente. Depone a favore di tale interpretazione sia il dato letterale (l’art. 2 cit. si riferisce «al volontario»), sia la considerazione della natura fisiologica degli scostamenti tra il bilancio preventivo e quello consuntivo, dovuti a spese inizialmente non previste e successivamente autorizzate o ratificate dall’assemblea durante l’esercizio.

In conclusione, la Corte di legittimità ritiene ammissibile la sola censura con la quale l’Agenzia lamenta il mancato esame della circostanza per cui i rimborsi asseritamente erogati dall’Associazione risultavano privi della documentazione delle rispettive spese. La sentenza impugnata si fonda infatti su elementi – l’esiguità delle somme e le relative modalità di pagamento – privi di ogni rilevanza ai sensi dell’art. 2, l. n. 266/1991 e merita dunque la cassazione con rinvio ad altra sezione della CTR Lombardia.

            La Corte si è basata sulla disposizione contenuta nell’art. 2, comma 2, della legge n. 266/1991, secondo la quale “al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse”. La prima parte di tale disposizione significa che non possono essere considerati rimborsi di spese – e vanno quindi qualificati come compensi, come tali soggetti a tassazione – gli esborsi erogati dalle associazioni di volontariato ai propri associati a titolo di rimborso forfettario, ossia senza specifico collegamento con spese, singolarmente individuate, effettivamente sostenute dai percettori.

La seconda parte di tale disposizione significa che non possono essere considerati rimborsi di spese – e vanno quindi qualificati come compensi, come tali soggetti a tassazione – gli esborsi erogati dall’associazione di volontariato ai propri associati qualora gli stessi eccedano “i limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse”.

            In sostanza, la disposizione in commento tende a garantire che i rimborsi spese non mascherino l’erogazione di compensi, ossia che il rapporto associativo non mascheri un rapporto di lavoro e a tal fine prescrive che i rimborsi a ciascun singolo volontario:

  • per un verso, siano connessi a “spese effettivamente sostenute” – il che risulta intrinsecamente incompatibile con la determinazione dell’entità del rimborso con criteri forfettari;
  • per altro verso, rientrino in “limiti preventivamente stabiliti”.

In conclusione, la Corte di legittimità ritiene ammissibile la sola censura con la quale l’Agenzia lamenta il mancato esame della circostanza per cui i rimborsi asseritamente erogati dall’Associazione risultavano privi della documentazione delle rispettive spese. La sentenza impugnata si fonda infatti su elementi – l’esiguità delle somme e le relative modalità di pagamento – privi di ogni rilevanza ai sensi dell’art. 2, l. n. 266/1991 e merita dunque la cassazione con rinvio ad altra sezione della CTR Lombardia.

Non profit on line       9 dicembre 2015

            http://www.consulenza-associazioni.com

www.iltributo.it/spese-da-documentare-per-i-rimborsi-spese-a-membri-di-associazioni-di-volontariato/

www.nonprofitonline.it/default.asp?id=466&id_n=6522

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OMOFILIA

Trascrizione di una adozione “piena” da parte della mamma sociale.

            Corte Appello Milano, sezione. Persone, Minori, Famiglia, 16 ottobre 2015.

Con provvedimento reso noto oggi, la Corte di Appello di Milano ha ordinato la trascrizione dell’adozione di una minore da parte della propria mamma sociale nell’ambito di una coppia di donne. La decisione rappresenta un nuovo momento di svolta, che arriva peraltro nel momento in cui è sempre più accesa la discussione sull’inserimento nella legge sulle Unioni civili della possibilità di adozione dei figli nell’ambito di coppie dello stesso sesso (cd. stepchild adoption). Attraverso la trascrizione del provvedimento straniero viene riconosciuta, per la prima volta nel nostro Paese, una adozione piena, o legittimante, della minore da parte della sua mamma sociale e non soltanto una adozione cd. “in casi particolari”, con conseguente instaurazione di un rapporto genitoriale del tutto identico a qualsiasi altro rapporto genitoriale (anche nei confronti, ad es., dei parenti della madre sociale, che oggi vengono così riconosciuti pienamente nonni e zii della ragazzina). Pur rilevando l’impossibilità di disporre la trascrizione del matrimonio celebrato in Spagna fra le due mamme (per le ragioni già esposte dalla stessa Corte d’Appello di Milano in un recentissimo provvedimento) e, per conseguenza, del divorzio nel contempo intervenuto fra le due donne, la Corte ritiene invece meritevole di accoglimento la domanda di trascrizione nei registri dello Stato Civile, in base al disposto di cui all’art. 28 del DPR 396/2000, dell’ordinanza del giudice spagnolo che ha dichiarato l’adozione piena, con effetti legittimanti, della minore attribuendole anche il doppio cognome.

Nel provvedimento si dà atto che la minore è una ragazzina di dodici anni che sin dalla nascita «è stata adeguatamente amata, curata, mantenuta, educata ed istruita da entrambe le donne che hanno realizzato l’originario progetto di genitorialità condivisa, nell’ambito di una famiglia fondata sulla comunione materiale e spirituale di due persone di sesso femminile». Il Collegio milanese rammenta quindi che «gli artt. 65 e 66 della legge in materia di diritto internazionale privato, prevedono che i provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone, nonché all’esistenza di rapporti di famiglia, come quelli di volontaria giurisdizione hanno effetto nell’ordinamento italiano e sono quindi riconosciuti senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento, quando producono effetti nell’ordinamento dello stato in cui sono stati pronunciati, non sono contrari all’ordine pubblico e sono stati rispettati i diritti della difesa» rilevando che l’ordinanza di adozione della minore emessa dall’autorità giudiziaria spagnola, con l’accertato pieno consenso della madre della bambina, non è certamente contrario all’ordine pubblico internazionale, essendo anzi del tutto conforme all’interesse superiore della minore.

Pur rammentando che la legge italiana in materia di adozione prevede all’art. 6 che essa è consentita ai coniugi uniti in matrimonio, i giudici milanesi rammentano come la stessa legge sulle adozioni «all’art. 25 prevede che l’adozione possa essere disposta, nell’esclusivo interesse del minore, nei confronti anche del solo coniuge che, per libera scelta, come consentito nel nostro ordinamento, nel corso di un affidamento preadottivo alla coppia, abbia deciso di porre fine alla convivenza coniugale con il coniuge e di separarsi» e come, dunque, «anche alla stregua di tale previsione normativa deve quindi concludersi che non possa ritenersi contraria all’ordine pubblico interno un’adozione da parte di una persona singola».

Il Collegio meneghino cita, quindi, la giurisprudenza di merito che ha affermato che l’art. 44, lettera d) consente l’adozione, sia pure con effetti non legittimanti, non solo in ipotesi di impossibilità di affidamento preadottivo «di fatto», ma anche in caso di «un’impossibilità di diritto», (Tribunale per i minorenni di Milano, sentenza n. 626/2007; Tribunale per i minorenni di Roma sentenze n. 299/2014 e n. 291/2015; Corte d’Appello di Firenze, sentenza n. 1274/2012) dando atto di condividere in pieno tale indirizzo e affermando che «appare evidente dunque che anche nell’ordinamento italiano non sussiste un divieto assoluto di adozione di un minore, in stato di abbandono o non, da parte di persona non coniugata (vedi, conforme, TM di Bologna, decreto 21 marzo/17 aprile 2013)».

Rilevato che l’adozione nell’ambito di una coppia dello stesso sesso non è in astratto contraria all’interesse del minore, per quanto riconosciuto dalla stessa Corte di Cassazione con sentenza n. 601/2013 (nella quale la Suprema Corte ha affermato come costituisca mero pregiudizio ritenere che “sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale”) e che «ogni situazione deve essere valutata singolarmente, tenuto conto del preminente interesse del minore rispetto alle figure genitoriali e al suo diritto di convivere e/o mantenere regolari rapporti significativi con tutte le figure adulte di riferimento, indipendentemente dalle loro tendenze sessuali, ritenute in concreto adeguate ad assicurargli l’affetto e la cura indispensabili per la sua armoniosa crescita», la Corte afferma dunque la piena conformità nel caso di specie dell’adozione legittimante all’interesse della minore interessata.

Affermano in conclusione i giudici milanesi che «non vi è alcuna ragione per ritenere in linea generale contrario all’ordine pubblico un provvedimento straniero che abbia statuito un rapporto di adozione piena tra una persona non coniugata e il figlio riconosciuto del partner, anche dello stesso sesso, una volta valutato in concreto che il riconoscimento dell’adozione, e quindi il riconoscimento di tutti i diritti e doveri scaturenti da tale rapporto, corrispondono all’interesse superiore del minore al mantenimento della vita familiare costruita con ambedue le figure genitoriali e al mantenimento delle positive relazioni affettive ed educative che con loro si sono consolidate, in forza della protratta convivenza con ambedue e del provvedimento di adozione».

L’adozione “piena”, difatti, «appare idonea ad attribuire alla minore un insieme di diritti molto più ampio e vantaggioso di quello garantito dall’adozione disciplinata dagli artt. 44 e segg. della L. 184/1983, anche nei confronti della famiglia d’origine dell’adottante, con la quale X sembra aver sempre mantenuto rapporti affettivi e di vicinanza significativi, come emerge dall’accordo regolatore del 21.12.2012, sottoscritto dalle due madri», «nessuna violazione dell’ordine pubblico internazionale comporta il riconoscimento di tali diritti, posto che X, con l’adozione della CC effettuata in base alla legge spagnola, mantiene intatti i propri diritti nei confronti della madre biologica e della sua famiglia d’origine e può godere, con sicuro vantaggio, del sostegno materiale non solo della madre adottiva, ma anche dei parenti della stessa».

Last but not least, la Corte dà altresì atto che, pur non essendo trascrivibile, è tuttavia «riconosciuto in Italia ex artt. 21 e segg. Reg. CE 2201/2003» l’accordo regolatore sottoscritto dalle due madri e omologato dal giudice spagnolo, riguardante l’affido, il collocamento, i rapporti della minore con le due donne e il contributo di ciascuna di queste ultime al mantenimento della figlia.

Com’è evidente, dunque, si è compiuto così un nuovo importante passo in materia di omogenitorialità, posto che è stato riaffermato che l’adozione del figlio del partner è del tutto conforme all’ordine pubblico internazionale, il rispetto dell’interesse superiore del minore essendone parte determinante, ha avuto ulteriore avallo il recente indirizzo inaugurato dal tribunale per i minorenni di Roma e, soprattutto, attraverso la trascrizione del provvedimento straniero ha avuto ingresso, per la prima volta nel nostro Paese, una adozione piena o legittimante della minore da parte di una madre sociale e non soltanto una adozione in casi particolari, che come detto instaura un rapporto genitoriale del tutto identico a qualsiasi altro rapporto genitoriale.

            Articolo 29     10 dicembre 2015

www.articolo29.it/2015/la-corte-dappello-di-milano-dispone-la-trascrizione-di-una-adozione-piena-da-parte-della-mamma-sociale/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+articolo29+%28articolo29.it%29

testo              http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/per.php?id_cont=13842.php

Adozioni gay: aggirati i principi dell’ordinamento italiano

Per i giudici non è “contrario all’ordine pubblico” un provvedimento, autorizzato in un altro Paese, che riconosce “un rapporto di adozione piena tra una persona e il figlio del partner anche dello stesso sesso”. In primo luogo va valutato “l’interesse superiore del minore al mantenimento della vita familiare”.

(…) La sentenza è in realtà in contrasto con l’ordinamento italiano e si richiama a pronunciamenti di altri Paesi. E’ una decisione che può portare verso direzioni contrarie ai principi e ai valori fondanti della Costituzione italiana. E’ quanto sottolinea il giurista Alberto Gambino:

R. – E’ in contrasto con quello che viene ritenuto il cosiddetto ordine pubblico interno, cioè principi fondanti della nostra adozione. Tuttavia i giudici ritengono che poiché di fatto in altri ordinamenti, come quello spagnolo, è ammesso invece avere dei genitori adottivi dello stesso sesso, a questo punto essendo uno Stato di fatto, anche l’ordinamento italiano deve far entrare questa novità. Questo però mette in discussione anche la libertà degli ordinamenti di legiferare, secondo propri principi ispiratori. In qualche modo noi stiamo importando valori, principi, norme che non ci appartengono.

D. – A quali altre derive giuridiche può portare questa sentenza?

R. – Può portare al fatto che da un caso eccezionale ci si avvicini, sempre di più, invece alla normalità. Potrebbe essere che altri giudici diranno che non c’è più nessuna differenza tra l’adozione da parte di una coppia di sesso diverso e di una coppia dello stesso sesso.

D. – Ed è anche un incoraggiamento, per le coppie omosessuali, a richiedere l’adozione all’estero perché poi si può ottenere l’automatico riconoscimento in Italia.

R. – E’ questo il punto più delicato, proprio perché si aggirano i principi dell’ordinamento italiano, andando all’estero dove invece principi e regole sono altri. Invece i giudici dovrebbero rispettare questa barriera all’ingresso di un ordinamento sovrano, che non ha fatto propri quei valori. Questo va davvero contro una libertà degli ordinamenti. Tra l’altro questo tema è salvaguardato anche a livello europeo dove non si è mai ritenuto che gli ordinamenti debbano conformarsi nella materia familiare a quelli che sono principi comuni. Ogni ordinamento può decidere in base al proprio ethos, ai propri valori fondanti, in base alla propria Carta costituzionale.

Amedeo Lomonaco Notiziario Radio vaticana – 11 dicembre

http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

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Pubblicato rescritto di Papa Francesco sul processo matrimoniale

Nel pomeriggio del 7 dicembre 2015 Papa Francesco ha firmato un documento, Rescritto ex audientia, sul compimento e l’osservanza della nuova legge del processo matrimoniale. Il documento è stato pubblicato oggi dalla Sala Stampa vaticana. Abolite le norme precedenti, incluso il motu proprio di Pio XI che istituiva tribunali regionali in Italia, e abolite le parcelle degli avvocati rotali.

            È deciso e non si torna più indietro: da oggi in poi entra in pieno vigore la riforma dei processi per la nullità matrimoniale promulgata da Papa Francesco lo scorso 15 agosto 2015 attraverso i Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et Misericors Iesus. Ovvero la nuova normativa che semplifica e snellisce le procedure e dà la facoltà a ogni vescovo di istituire un tribunale diocesano. Tutte le norme precedenti sono quindi abrogate senza eccezioni, incluse quelle approvate in forma specifica dai Papi in passato.

Lo stabilisce lo stesso Pontefice in un rescritto ex audientia, pubblicato oggi ma datato 7 dicembre 2015, in cui afferma: “Le nuove leggi di riforma del processo matrimoniale abrogano o derogano ogni legge o norma contraria finora vigente, generale, particolare o speciale, eventualmente anche approvata in forma specifica”. Come ad esempio il Motu Proprio Qua cura, dato dal Pio XI “in tempi ben diversi dai presenti” che offriva un appiglio per mantenere i tribunali inter diocesani in Italia e non restituire ai vescovi diocesani il potere decisionali nelle cause nelle quali sono evidenti le ragioni di nullità.

Nei sei punti del rescritto, il Papa stabilisce che nelle cause di nullità di matrimonio davanti alla Rota Romana “il dubbio sia fissato secondo l’antica formula: An constet de matrimonii nullitate, in casu, dunque con la formula del dubbio generico, senza cioè la formulazione specifica dell’eventuale motivo di nullità da verificare”. Inoltre “non si dà appello contro le decisioni rotali in materia di nullità di sentenze o di decreti”; in altre parole: se la Rota dovesse mai giudicare nulla una sentenza emessa da un tribunale diocesano, tale decisione è definitiva e non appellabile presso la Segnatura Apostolica. 

“Dinanzi alla Rota Romana – prosegue poi il terzo paragrafo – non è ammesso il ricorso per la nova causae propositio, dopo che una delle parti ha contratto un nuovo matrimonio canonico, a meno che consti manifestamente dell’ingiustizia della decisione”. Al decano della Rota viene poi concesso il potere di “dispensare per grave causa dalle Norme Rotali in materia processuale”.

Mentre, si legge nel paragrafo V, “come sollecitato dai patriarchi delle Chiese orientali, è rimessa ai tribunali territoriali la competenza sulle cause iurium connesse con le cause matrimoniali sottoposte al giudizio della Rota Romana in grado d’appello”. 

Destinato a far discutere l’ultima paragrafo del rescritto. Secondo le disposizioni di Papa Francesco, la Rota deve giudicare “le cause secondo la gratuità evangelica, cioè con patrocinio ex officio, salvo l’obbligo morale per i fedeli abbienti di versare un’oblazione di giustizia a favore delle cause dei poveri”. Sono pertanto abolite le parcelle degli avvocati rotali. D’altronde Francesco lo aveva già detto nell’udienza del 5 novembre 2014 ai partecipanti ad un corso della Rota Romana: “L’annullamento dei matrimoni non sia un giro di affari, ma la giustizia sia gratuita”. Ora scrive il Pontefice: “Le leggi che ora entrano in vigore vogliono manifestare la prossimità della Chiesa alle famiglie ferite, desiderando che la moltitudine di coloro che vivono il dramma del fallimento coniugale sia raggiunta dall’opera risanatrice di Cristo, attraverso le strutture ecclesiastiche, nell’auspicio che essi si scoprano nuovi missionari della misericordia di Dio verso altri fratelli, a beneficio dell’istituto familiare”. 

Una decisione, frutto dei lavori del Sinodo dei Vescovi concluso lo scorso ottobre, che – sottolinea il Santo Padre – “ha espresso una forte esortazione alla Chiesa affinché si chini verso i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ai quali occorre ridonare fiducia e speranza”. “Il rescritto odierno di Papa Francesco, come già allora per la promulgazione del codice di Giovanni Paolo II, obbedisce alla lex suprema, che è la salus animarum, di cui il Successore di Pietro è il primo maestro e servo”, rileva infatti mons. Pio Vito Pinto, in un articolo pubblicato su L’Osservatore Romano.

Ai padri sinodali – prosegue il decano della Rota Romana – sono apparse chiare “la realtà e la missione della Chiesa come definite dallo stesso divino fondatore, Gesù. La Chiesa in via non è la Chiesa dei perfetti, ma la comunità dei fedeli che si riconoscono ogni giorno peccatori e per questo bisognosi di conversione, punto di forza dell’ecclesiologia di Papa Francesco”. Il recente Sinodo, conclude Pinto, “ha così insegnato che il gran numero di fedeli feriti o in stato di difficile rapporto nell’adesione – nella prassi della fede – alle verità del Vangelo, non sono un peso, ma una opportunità, che spinga molti di questi ‘feriti’ a divenire, una volta riconciliati e risanati, dei veri missionari della bellezza del sacramento coniugale e della famiglia cristiana”.  

Salvatore Cernuzio |    zenit.org          11 dicembre 2015

www.zenit.org/it/articles/il-papa-gratis-cause-sacra-rota-da-fedeli-abbienti-offerte-ai-poveri

testo                           www.news.va/it/news/rescritto-ex-audientia-sulla-riforma-del-processo

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PARLAMENTO

Senato 1° Commissione affari costituzionali.           Disposizioni in materia di cittadinanza

2092 Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, e altre disposizioni in materia di cittadinanza, approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall’unificazione di un disegno di legge d’iniziativa popolare e dei disegni di legge d’iniziativa dei diversi deputati.

testo   www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/940816/index.html

9 dicembre 2015. Prosegue l’esame congiunto, sospeso nella seduta del 1° dicembre.

La senatrice Bernini (FI-PdL XVII) auspica che sia consentito di partecipare al dibattito anche ai senatori che non sono componenti della Commissione.

La Presidente assicura che alla discussione generale sarà riservato un ampio spazio. A tale proposito, invita i rappresentanti dei Gruppi in Commissione a indicare i senatori che intendano intervenire.

Il seguito dell’esame congiunto è quindi rinviato

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=952702

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SCIENZA&VITA

Nell’adozione della coppia omosessuale esautorato ancora una volta il Parlamento.

“Preoccupa leggere sentenze come quella della Corte d’Appello di Milano che ha legalizzato un caso particolare di adozione non presente nel nostro ordinamento. Parlare di ‘adozione piena e legittimante’ vuol dire introdurre forzatamente nella legislazione norme inesistenti, travalicando il ruolo del Parlamento e svuotandolo di ogni funzione”, commenta Paola Ricci Sindoni, presidente nazionale dell’Associazione Scienza & Vita

“.

“Insieme ad altre sentenze creative, ancora una volta si vuole rendere lecito ciò che non è previsto in alcuna normativa, anzi, in alcuni casi – pensiamo all’utero in affitto – è esplicitamente vietato. Siamo di fronte all’ennesima, evidente forzatura giocata sul piano mediatico in un momento particolarmente delicato della discussione della legge sulle unioni civili, dove resta centrale il nodo della stepchild adoption.

“A fronte di decisioni giurisprudenziali ideologiche che permettono, riconoscono e giustificano ciò che non è previsto in alcuna legge, cosa devono dire le migliaia di coppie eterosessuali che seguono le lunghe e tortuose vie legali dell’adozione? Se è possibile e così facile superare d’un balzo la legge sulle adozioni allora vale il ‘liberi tutti’? E se un single adotta in un Paese dove è permesso, da oggi può chiedere il riconoscimento della validità dell’adozione anche in Italia? C’è da chiedersi dove sia finita la certezza del diritto, che lo rende valido erga omnes, sostituita da una giurisprudenza ondivaga che si muove per interessi corporativi, realizzando una pericolosa discriminazione al contrario, in cui non c’è spazio per chi agisce secondo le regole

Comunicato n. 201, 11 dicembre 2015

www.scienzaevita.org/scienza-vita-nelladozione-della-coppia-omosessuale-esautorato-ancora-una-volta-il-parlamento

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SESSUOLOGIA

tp://www.c3dem.it/tag/giannino-piana

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SINODO DEI VESCOVI

Il prossimo sinodo è già in cantiere. Sui preti sposati.

            A metà febbraio papa Francesco andrà nel Chiapas, dove centinaia di diaconi con moglie premono per essere ordinati sacerdoti. E anche in Amazzonia la svolta sembra vicina. Era tutto scritto nell’agenda del cardinale Martini. Mentre si aspetta il pronunciamento di papa Francesco sulla comunione ai divorziati risposati, su cui due sinodi hanno discusso e si sono divisi, già si intravvede quale sarà il tema della prossima sessione sinodale: i preti sposati.

            La scelta del tema spetta al papa, come è avvenuto con i sinodi passati e come avverrà col prossimo, indipendentemente da ciò che pur proporranno i quindici cardinali e vescovi del consiglio che fa da ponte tra un’assise e l’altra. E che i preti sposati saranno il prossimo argomento di discussione sinodale lo si ricava da vari indizi.

            Il primo indizio è l’evidente volontà di papa Francesco di attuare l’agenda dettata nel 1999 dal cardinale Carlo Maria Martini, in un memorabile intervento nel sinodo di quell’anno. L’allora arcivescovo di Milano, gesuita e leader indiscusso dell’ala “liberal” della gerarchia, disse di aver “fatto un sogno”: quello di una Chiesa capace di mettersi in stato sinodale permanente, con un “confronto collegiale e autorevole fra tutti i vescovi su alcuni temi nodali”.

            Ed eccoli i “temi nodali” da lui elencati: “La carenza di ministri ordinati, il ruolo della donna nella società e nella Chiesa, la disciplina del matrimonio, la visione cattolica della sessualità, la prassi penitenziale, i rapporti con le Chiese sorelle dell’ortodossia e più in generale il bisogno di ravvivare la speranza ecumenica, il rapporto tra democrazia e valori e tra leggi civili e legge morale”.

            Dell’agenda martiniama, i due sinodi indetti finora da papa Francesco hanno appunto discusso “la disciplina del matrimonio” e in parte “la visione cattolica della sessualità”. Niente vieta, quindi, che il “tema nodale” del prossimo sinodo possa essere quello che Martini ha messo in testa a tutti: “la carenza di ministri ordinati”.

La mancanza di sacerdoti – che nella Chiesa cattolica latina sono di norma celibi – è particolarmente sentita in alcune regioni del mondo. Soprattutto nell’America latina. Un anno fa il vescovo Erwin Kräutler, austriaco di nascita e titolare in Brasile della prelatura di Xingu, con soli 25 sacerdoti in un territorio grande più dell’Italia e quindi con la possibilità di celebrare la messa e i sacramenti solo due o tre volte all’anno nelle località più sperdute, si è fatto portatore presso papa Francesco della richiesta di tanti vescovi suoi confratelli di sopperire alla mancanza di sacerdoti celibi conferendo la sacra ordinazione anche a “viri probati“, cioè a uomini di comprovata virtù, sposati. La richiesta non era nuova. E i vescovi brasiliani – ma non solo essi – l’hanno rilanciata a più riprese. Il cardinale Cláudio Hummes, 81 anni, arcivescovo emerito di San Paolo e amico e grande elettore di Jorge Mario Bergoglio, l’ha proposta anche quando è stato prefetto della congregazione vaticana per il clero, dal 2006 al 2010.

Oggi Hummes è presidente sia della commissione per l’Amazzonia della conferenza episcopale del Brasile, sia della Rete Pan-Amazzonica che riunisce 25 cardinali e vescovi dei paesi dell’area, oltre a rappresentanti indigeni di diverse etnie locali. E in questa veste ha dichiarato il mese scorso alla Radio Vaticana di “lavorare affinché ci sia una Chiesa indigena, una Chiesa immersa nella storia e nella cultura nella religione degli indigeni, una Chiesa che abbia come guida un clero indigeno. Loro hanno il diritto a questo. Sono l’ultima periferia che abbiamo, la più lontana”. Hummes questa volta non ha detto di più. Ma si sa che dire “clero indigeno” in questo contesto significa prospettare un clero anche sposato.

            È corsa voce, quest’anno, che papa Francesco avrebbe scritto al cardinale brasiliano Claudio Hummes una lettera a sostegno di una riflessione sul celibato ecclesiastico e sull’ordinazione di “viri probati”. Padre Federico Lombardi ha negato l’esistenza di questa lettera. Ma, ha aggiunto, “è vero invece che il papa ha invitato in più di una occasione i vescovi brasiliani a cercare e proporre con coraggio le soluzioni pastorali che ritengano adatte ad affrontare i grandi problemi pastorali del loro paese”.

            In un’altra area dell’America latina, il Chiapas, nel sud del Messico, la pressione verso il clero sposato si è concretizzata nei decenni scorsi nell’ordinare una quantità esorbitante di diaconi indigeni, parecchie centinaia, in una diocesi estesissima come quella di San Cristóbal de Las Casas, in cui i preti sono poche decine e quasi tutti anziani. L’ordinazione in massa di questi diaconi, tutti sposati, ebbe il suo culmine nei quarant’anni di episcopato, dal 1959 al 2000, di Samuel Ruiz Garcia, divenuto celebre per la sua prossimità al subcomandante Marcos, nel lungo conflitto in Chiapas tra l’Ejército Zapatista de Liberación e il governo federale messicano. Nel 2000, però, con le dimissioni di Ruiz Garcia, Roma ordinò di sospendere le ordinazioni di altri diaconi. Vietò l’uso di chiamarli “diaconi indigeni”, come se costituissero una tipologia nuova e diversa nei ministeri della Chiesa. Ingiunse alle mogli di non farsi chiamare “diaconesse” né tanto meno di far credere d’aver ricevuto anch’esse una ordinazione sacramentale, a motivo dell’uso di imporre le mani anche a loro durante il rito di ordinazione dei mariti. Reclamò dai diaconi già ordinati di dichiarare pubblicamente che la loro ordinazione finiva lì e non costituiva in alcun modo una tappa verso una successiva ordinazione sacerdotale, come preti sposati:

Ma dopo l’elezione di Bergoglio a papa, il divieto è stato revocato. Nel maggio del 2014 Roma ha di nuovo autorizzato il successore di Ruiz Garcia, il vescovo Felipe Arizmendi Esquivel, a riprendere le ordinazioni diaconali. E il vescovo ha prontamente annunciato di averne in programma un centinaio. Intanto, a Roma, papa Francesco procedeva a un profondo ricambio del direttivo e del personale della congregazione vaticana per il clero, quella dove si annidava la maggiore resistenza all’introduzione di un clero sposato. Ma c’è di più. È ormai sicuro che Francesco, nel suo prossimo viaggio intercontinentale, a metà febbraio in Messico, farà tappa proprio nel Chiapas, a San Cristóbal de Las Casas.

            Ricevendo lo scorso 10 febbraio a Santa Marta dodici preti dei quali cinque che hanno lasciato il ministero perché sposatisi, Francesco, interpellato, ha detto: “Il problema è presente nella mia agenda”.

            E c’è già chi intravvede un ulteriore passo: che cioè Francesco rimetta in discussione non solo il celibato del clero, ma anche il divieto della sacra ordinazione delle donne. È ciò che auspica, ad esempio, una famosa suora benedettina americana, Joan Chittister:

            Sandro Magister        9 dicembre 2015

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351189

Il vescovo Felipe Arizmendi Esquivel di San Cristóbal de Las Casas, nel Chiapas, dove papa Francesco si recherà a metà febbraio, è tra i molti che hanno letto il precedente servizio di www.chiesa, che riguardava proprio la sua diocesi: E rispetto a quanto ha trovato scritto ci ha inviato delle integrazioni e delle correzioni di notevole interesse.

Per comprenderne il significato occorre fare un passo indietro. Durante il quarantennio di episcopato, dal 1959 al 2000, del vescovo Samuel Ruiz García, la diocesi di San Cristóbal de Las Casas divenne un terreno d’esperimento a cui si guardava da tante parti del mondo, in vista della creazione di un clero indigeno sposato. La tappa di passaggio ideata per affrettare questo traguardo fu l’ordinazione in quella diocesi di un numero ingente di diaconi sposati indigeni, che si calcolava potessero un giorno essere ordinati anche sacerdoti.

            Da Roma però, regnante Giovanni Paolo II, l’esperimento fu guardato con sfavore. E dopo uno studio del caso affidato ai maggiori dicasteri curiali, il 20 luglio del 2000 la congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti proibì nella diocesi l’ordinazione di altri diaconi, l’ultima delle quali era avvenuta nel gennaio dello stesso anno, alla fine del lungo episcopato di Ruiz García. In marzo a Ruiz García subentrò come nuovo vescovo Felipe Arizmendi Esquivel. E nella lettera nella quale da Roma gli si trasmetteva il divieto di continuare sulla stessa strada del predecessore, si deplorava il fatto che “negli ultimi 40 anni si erano ordinati nella diocesi di San Cristóbal de Las Casas solo 8 sacerdoti, contro più di 400 diaconi”.

            Oggi, stando alle cifre dell’Annuario pontificio, in quella diocesi i diaconi continuano a essere più di 300, mentre i sacerdoti restano poche decine. E ciò farebbe pensare che le cose non siano sostanzialmente cambiate. Anzi, il fatto che nel maggio del 2014 la Santa Sede, regnante Francesco, abbia revocato il divieto di ordinare nuovi diaconi e l’annuncio di una prossima visita del papa in quella diocesi sono stati interpretati come un via libera alla ripresa di quell’esperimento, questa volta con la possibilità di arrivare davvero alla creazione di un clero indigeno sposato, non solo nel Chiapas ma anche in altre regioni del mondo, specie dell’America latina. Il vescovo Arizmendi Esquivel ci scrive invece che il presentare la prossima visita di papa Francesco come un appoggio a questa soluzione è qualcosa di molto “negativo” per la diocesi. E così ne spiega i motivi: “Non vogliamo un clero sposato. A questo si pensò tempo fa, ma non oggi. Il nostro seminario è cresciuto come una grazia inesplicabile. Sedici anni fa, nel 2000, c’erano 20 seminaristi, adesso ce ne sono 76, quasi tutti del Chiapas, dei quali 42 sono indigeni, senza pregiudizi ideologici riguardo al celibato. Abbiamo già 8 sacerdoti indigeni celibi secondo le norme. I diaconi sposati non mi hanno mai più fatto presente che aspirano a un sacerdozio uxorato. Nel 2000 c’erano 66 sacerdoti, la maggioranza provenienti da altre diocesi e congregazioni religiose; oggi ne abbiamo 101, con una rilevante crescita del clero locale”.

            La “carenza di ministri ordinati” era il primo dei “temi nodali” che nel 1999 il cardinale Carlo Maria Martini propose che fossero discussi da una Chiesa in stato sinodale permanente. La soluzione sottintesa era naturalmente quella di affiancare un clero sposato al declinante clero celibe. Il Chiapas era stato, nel quarantennio finale del Novecento, l’emblema di questa carestia di clero celibe alla quale sopperire con una florida messe di clero sposato e indigeno. Ma oggi non è più così, stando alla testimonianza del vescovo di San Cristóbal de Las Casas. Sarà una “grazia inesplicabile”, ma lì un clero celibe e indigeno è in piena fioritura, mentre a spegnersi è la campagna a favore di un clero sposato.

            Che lezione ne trarrà papa Francesco?

Sandro Magister        12 dicembre 2015

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351191

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SPIGOLATURE

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UNIONI CIVILI

www.avvenire.it/Lettere/Pagine/unioni-gay-dialogo-vero-con-tutti-ma-limite-di-civilta.aspx

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VIOLENZA

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