newsUCIPEM n. 555 – 19 luglio 2015

                   newsUCIPEM n. 555 – 19 luglio 2015

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ADDEBITO                                                         Abbandono tetto coniugale: addebito separazione assicurato.

ADOZIONI INTERNAZIONALI                     A Gabicce 2015 i Protocolli Regione-Enti.

Dalla crisi delle adozioni si può uscire.

AFFIDO CONDIVISO                                      Dall’affidamento condiviso all’Affidamento Paritario: una proposta

ANONIMATO NEL PARTO                           Se la mamma non riconosce il neonato.

Indagine sul mancato riconoscimento alla nascita.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO                 Mantenimento ridotto se il marito ha un secondo figlio.

ASSISTENZA                                                      Tra suocera e nuora vi è obbligo di assistenza?

CASA FAMILIARE                                            La casa al marito se la moglie si trasferisce; al figlio nessun diritto.

CONSULTORI FAMILIARI                             Sassari-Il consultorio Del Centro di preparazione alla famiglia.

CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM            Rieti- Il consultorio familiare ‘Sabino’ riapre le porte

DALLA NAVATA                                               XVI Domenica del tempo ordinario – anno B -19 luglio 2015.

La misericordia di Gesù. Commento al Vangelo di Enzo Bianchi.

DEMOGRAFIA                                                  Demografia in Europa: ecco i dati.

DIVORZIO BREVE                                            Divorzio breve e negoziazione assistita: il calcolo della parcella.

PATERNITÀ                                                       Diventare genitori: le emozioni nei neopadri.

SEPARAZIONE                                                  PM non può autorizzare l’accordo a tre sulle condizioni.

SINODO DEI VESCOVI                                   Ciò che è duro non necessariamente è giusto

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ADDEBITO

Abbandono tetto coniugale: addebito della separazione assicurato.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 14841, 5 luglio 2015.

Chi abbandona il tetto coniugale prima della separazione e non dimostra che la crisi del matrimonio era già intervenuta subisce l’addebito nella causa di separazione. Facile subire la condanna all’addebito, nella causa contro l’ex coniuge, per chi abbandona il tetto coniugale prima ancora che sia intervenuta la separazione. È vero, ci si può sempre giustificare asserendo che la crisi coniugale era già in atto e che l’abbandono è solo una conseguenza, sul piano esterno, di una conclamata intollerabilità della convivenza; ma la prova di ciò risulta estremamente complicata, salvo intervengano evidenti episodi come, per esempio, la violenza ai danni dell’altro coniuge. Così, per chi si allontana da casa, abbandonando il tetto coniugale, già qualche mese prima della separazione, arriva inevitabile l’addebito della rottura: il comportamento, infatti, è contrario ai doveri del matrimonio.

Redazione       Lpt                 16 luglio 2015            ordinanza

www.laleggepertutti.it/93616_abbandono-tetto-coniugale-addebito-della-separazione-assicurato

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

            A Gabicce 2015 i Protocolli Regione-Enti.

L’accoglienza familiare continua il suo declino, in Italia come negli altri Paesi storicamente accoglienti. Solo a casa nostra, negli ultimi 5 anni, le adozioni internazionali si sono dimezzate. Se questo trend non sarà interrotto il sistema accoglienza scomparirà tristemente. Che fare? Come fermare questa emorragia? E soprattutto quali sono le ragioni che hanno condotto le adozioni internazionali a questa crisi senza precedenti? Questi sono i principali quesiti a cui proveranno a rispondere Istituzioni, Famiglie adottive, Enti Autorizzati e politici, rappresentanti dei Paesi esteri d’origine e dei Paesi accoglienti che siederanno, per la prima volta, attorno allo stesso tavolo nel corso del Convegno internazionale Adozione Internazionale in cerca di futuro che si svolgerà al Grand Hotel Michelacci, Gabicce Mare (PU) il 26-27 Agosto 2015.

Intanto, in attesa del convegno, conosciamo più da vicino i protagonisti dell’incontro. Li abbiamo intervistati e posto loro alcune domande anticipando così temi e problematiche che saranno sviluppate il 26 e 27 agosto 2015.

Oggi abbiamo incontrato Fiorella Balestrucci, della Direzione centrale salute, integrazione socio sanitaria, politiche sociali e famiglia della Regione Friuli Venezia Giulia.

Ci può presentare brevemente il servizio che offre l’ente per il quale lavora nel quadro dell’adozione internazionale?

La Regione Friuli Venezia Giulia ha costituito un tavolo di lavoro al fine di rivedere il protocollo delle adozioni internazionali entro la fine dell’anno. Il tavolo di lavoro è composto dai firmatari del precedente protocollo (attualmente ancora in vigore) al quale è stato aggiunto tra gli Enti autorizzati Ai.Bi, Amici dei Bambini.

Quale peculiarità ha il protocollo operativo della Regione Friuli Venezia Giulia e quali obiettivi si pone?

Lo scopo del protocollo è: estendere il protocollo alle adozioni nazionali, monitorare le diverse fasi di attuazione riguardanti le prassi messe in uso dai diversi partner istituzionali sul pre e sul post adozione. Inoltre saranno individuate delle azioni che consentano di presidiare in modo puntuale i diversi percorsi sia dell’adozione nazionale che internazionale, per prevenire i fallimenti adottivi e relative restituzioni dei minori. E infine sarà potenziato il ruolo della scuola al fine di favorire l’inserimento scolastico dei minori adottati.

Che ruolo possono avere i Servizi sociali nel favorire la promozione di una cultura dell’accompagnamento degli aspiranti genitori adottivi, piuttosto che una cultura della selezione, che finisce per scoraggiare le coppie?

Nella nostra regione, la fase di formazione, accompagnamento e relativo studio di coppia è in capo ai consultori familiari delle Aziende per l’Assistenza Sanitaria e non ai servizi sociali. Per l’adozione nazionale l’abbinamento adottivo viene svolto dal Tribunale per i minorenni che acquisisce gli elementi dello studio di coppia dei consultori familiari, svolge istruttoria comparativa sulla base di 7 criteri di buona genitorialità individuati dal TM e riportati dai servizi nelle citate relazioni.

Questi e non solo, sono i temi che saranno trattati e sviscerati nel corso del Convegno di Gabicce: una pluralità di tematiche e voci a confronto alla ricerca di una soluzione.

            Ai. Bi.             14 luglio 2015

www.aibi.it/ita/a-gabicce-2015-i-protocolli-regione-enti-balestrucci-friuli-venezia-giulia-la-soluzione-per-invertire-il-crollo-delle-adozioni-e-prevenire-i-fallimenti

 

Dalla crisi delle adozioni si può uscire.

Jean-Michel Rapinat (AFA) “Dalla crisi delle adozioni si può uscire. A Gabicce vi diremo quale strada la Francia intende seguire” “Formare e accompagnare le coppie nel pre, durante e post adozione. Ecco la ‘cura’ per arginare il crollo delle adozioni internazionali”. Parola di Jean-Michel Rapinat, Direttore aggiunto AFA – Agence française de l’adoption, uno dei principali attori e relatori del convegno internazionale “Adozione internazionale in cerca di futuro. La scelta politica dell’accoglienza” organizzato da Ai.Bi. e che si svolgerà a Gabicce Mare il 26-27 agosto.

La crisi dell’adozione internazionale non è più un mistero per nessuno. I dati, del resto, sono impietosi in Italia quanto negli altri Paesi. Se, infatti, nel giro di soli 4 anni il numero di minori stranieri accolti da famiglie italiane si è più che dimezzato, passando dai 4.130 del picco datato 2010 ai meno di 2 mila stimati dalle proiezioni relative al 2014 (e il primo semestre del 2015 segna un’ulteriore pesante perdita in termini di bambini adottati), la situazione non è certo più rosea negli altri Paesi accoglienti. Proprio come la Francia. Un crollo che è figlio indubbiamente di una crescente sfiducia da parte delle famiglie nei confronti di questa forma di accoglienza. Le coppie che, infatti, presentano domanda per l’adozione internazionale sono sempre meno. In Francia, dal 2010 al 2014 i minori accolti sono scesi da 3.977 a 1.343.

Abbiamo intervistato Rapinat, che sarà presente al convegno internazionale di Gabicce, e gli abbiamo chiesto cosa ne pensa di questo crollo e cosa la Francia, l’Afa in particolare, stia facendo per porre rimedio a questa ‘emorragia’ prima che sia troppo tardi. Lo scopo del convegno è, infatti, confrontarsi con gli altri Paesi europei per trovare insieme una soluzione per fare risorgere le adozioni internazionali. A chiedercelo sono i 168 milioni di bambini abbandonati nel mondo.

Monsieur Rapinat, Lei è il Direttore aggiunto dell’AFA – Agence française de l’adoption.  Cosa è l’AFA, quali suoi compiti e ruoli?

L’AFA è un organismo pubblico nato nel 2006, al suo interno vi sono rappresentanti dello Stato francese, dei dipartimenti, e degli enti accreditati. L’AFA svolge anch’essa le funzioni proprie di un ente autorizzato: orientamento, accompagnamento, formazione delle famiglie e intermediario nelle procedure di adozione con i Paesi esteri. L’autorità centrale in Francia è il Ministero degli Affari Esteri che controlla l’operato dell’AFA e degli altri enti autorizzati.

Quali sono, secondo Lei, le cause di questa grave crisi delle adozioni internazionali?

Molteplici. Si tratta di una crisi ‘multifattoriale’. Mi spiego meglio. Negli ultimi anni si è registrato un numero crescente di Paesi che hanno ratificato la convenzione de L’Aja che li ha spinti ad adottare delle strategie di miglioramento del sistema di protezione dei bambini, a un maggior ricorso alla sussidiarietà e quindi all’adozione nazionale. A questo si aggiungano le criticità delle situazioni sociopolitiche dei Paesi esteri, d’origine dei bambini e ciliegina sulla torta, la lunghezza dell’iter adottivi e i costi ‘proibitivi’ per le coppie. Infine, bisogna tenere in considerazione un altro importante ‘fattore’: il cambiamento del profilo dei bambini, più grandi e ‘problematici’ in relazione alle disponibilità delle famiglie. Si nota una discrepanza tra le disponibilità delle coppie e le caratteristiche dei bambini che vengono proposti in adozione.

Come fronteggiare la crisi?

Con la formazione e l’accompagnamento delle famiglie, soprattutto nel post adozione. L’AFA sta lavorando proprio in questa direzione. Le coppie devono essere guidate fin dal primo momento: da quando iniziano a fare i primi incontri di formazione al momento dell’abbinamento e soprattutto nel post adozione, quando accolgono il loro bambino. Devono essere accompagnate, rassicurate, tenute per mano e costantemente informate. Quella che dobbiamo mettere in atto è una vera e propria rivoluzione culturale: le coppie devono sapere che non c’è nulla da ‘temere’ dai bambini più grandicelli o con qualche problema. I futuri genitori devono sapere che hanno in noi un punto di riferimento. Insomma che non sono soli. In questo modo si rompe quel senso di sfiducia che sta allontanando sempre più le coppie dai bambini.

A Gabicce, il 26 e 27 agosto, siederanno per la prima volta attorno allo stesso tavolo rappresentanti di Famiglie adottive, Enti Autorizzati e politici, rappresentanti dei Paesi esteri d’origine e dei Paesi accoglienti. Lei, in quanto rappresentante dell’AFA illustrerà la situazione della Francia e le strategie messe in campo, qual è, secondo Lei, il valore aggiunto di questo convegno?

E’ un appuntamento a cui non rinuncerei. Quando sono stato invitato, ho accettato immediatamente e di questo vi ringrazio. E’ un’occasione unica per ‘uscire dai proprio confini’, parlarsi, confrontarsi liberamente, discutere anche se il caso. Gli uomini possono fare la differenza e molte volte è necessario incontrarsi di persona per guardarsi negli occhi e capire cosa fare e come procedere nel bene dei bambini. Saranno due giorni di lavoro intenso, in cui saranno banditi i convenevoli e i formalismi: non si andrà via se non si saranno trovate delle soluzioni concrete. Ecco il ‘quid’ del convegno: il confronto produttivo.

Una determinazione e un entusiasmo che accomuna tutti i relatori e i partecipanti del convegno di Gabicce: una pluralità di tematiche e voci a confronto alla ricerca di una soluzione. Iscriviti al convegno: clicca qui e dì la tua sul delicato tema delle adozioni internazionali.

Ai. Bi.             16 luglio 2015

www.aibi.it/ita/jean-michel-rapinat-afa-dalla-crisi-delle-adozioni-si-puo-uscire-a-gabicce-vi-diremo-quale-strada-la-francia-intende-seguire

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AFFIDO CONDIVISO

Dall’affidamento condiviso all’Affidamento Paritario: una proposta per la revisione della normativa.

Esigenza di un cambiamento culturale. Carlo Arturo Jemolo, oltre sessant’anni fa, scrisse che la famiglia è “un’isola che è solo lambita dalle onde del mare del diritto”. Un insegnamento ancora così attuale e che dovrebbe mettere in guardia il Legislatore dal confezionare norme per la disgregazione dei nuclei familiari, forgiate senza valutarne le ricadute sul tessuto sociale. Attualmente, purtroppo, il corpus iuris deputato a regolare i conflitti familiari non può dirsi adatto a raggiungere gli scopi fondamentali presi di mira nel settore famiglia e minori. I Tribunali sono tuttora intasati da cause familiari; i minori sono tutt’oggi al centro dei conflitti e popolano le aule di Giustizia. Il momento di disgregazione della famiglia è vissuto in modo traumatico a livello personale e patrimoniale. Le attuali norme di Legge non scoraggiano il contenzioso ma, ahimè, rischiano di favorirlo. Si sente anche il bisogno di un mutamento culturale: il matrimonio è sacramento, per chi crede; è atto di amore, comunque per tutti; è, certamente, accordo per una vita comune. Eliminate le forti differenze di genere che animavano l’ordinamento e riaffermato il ruolo della donna nella società, è giunto il momento anche di re-investire sulla persona come tale e non in quanto membro di una famiglia, abbandonando l’ottica del “tenore di vita” da conservare una volta che il vincolo coniugale cessi di avere linfa vitale. Così responsabilizzare gli individui che scelgono una unione: “state attenti, perché se il matrimonio finirà, tornerete ad essere ciò che eravate. Per cui: investite su voi stessi; inseritevi nel mercato del lavoro, createvi una professione”. Basterebbe poco per iniettare una nuova linfa nel tessuto sociale e proiettarlo verso una nuova dimensione dei rapporti, in cui il tasso di litigiosità, di fatto, è fortemente abbattuto. Quali modifiche potrebbero essere opportune? Eccone alcune.

            Eliminazione dell’istituto dell’addebito. Come noto, il superamento della separazione per colpa in favore della separazione per intollerabilità della convivenza ha indotto la giurisprudenza ad assegnare carattere eccezionale alla dichiarazione di addebito, sì che può pronunziarsi soltanto di fronte a inadempimenti colposi dei doveri coniugali di particolare gravità e sempre che abbiano determinato la dissoluzione della comunità familiare. Questo istituto, tuttavia, oggi non ha alcun senso. In primis, come noto, non è ostativo all’eventuale diritto a un assegno divorzile; in secundis, posto che ormai la pronuncia divorzile può essere richiesta con tempi rapidissimi (6 mesi o 1 anno, per effetto della L. 55 del 2015), ha anche perso una funzione concreta. Soprattutto, è stato foggiato allorché la giurisprudenza non ammetteva, in favore del coniuge, la tutela rimediale generale (artt. 2043, 2059 c.c.: v. Cass. civ., sentenza n. 9801 del 2005). E’ giunto il momento di ricondurre le violazioni coniugali dannose al loro esclusivo terreno: quello della responsabilità civile; in questo modo si evita che processi di separazione durino anni (e anni) solo per consentire ai coniugi di dare sfogo a tensioni ed emozioni con il mordente dell’addebito. Pertanto: nel caso in cui uno dei coniugi dovesse avere posto in essere una grave violazione dello statuto matrimoniale, causa della fine del vincolo e motivo certo di pregiudizio per il partner, quest’ultimo potrà presentare domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. Ad es., nel caso di comportamenti che abbiano provocato la lesione di diritti fondamentali e segnatamente l’integrità psico-fisica (Cass. civ. 610 del 2012). Sono, pertanto, assolutamente condivisibili quelle proposte di legge che (invero, sin dal 1990) mirano alla abrogazione dell’istituto dell’addebito (v. ad es., da ultimo, art. 31 del disegno di legge n. 1951 presentato nella Legislatura 14a; art. 30 del disegno di legge n. 1225 presentato nella Legislatura 15a), mediante rimozione integrale dell’art. 151 comma II del codice civile. Anche buona parte della Dottrina è favorevole alla espunzione definitiva di questo istituto, ormai desueto (tra i tanti: Balestra, Dogliotti).

Riscrittura delle norme in materia di assegno di mantenimento del coniuge. Andrebbe completamente riscritta la disciplina del mantenimento del coniuge cd. debole. Giova premettere che un nuovo regime che ponesse l’autonomia individuale al centro delle regole, intesa come valore primario, favorirebbe una generazione di soggetti indipendenti per i quali il matrimonio è (come dovrebbe essere) strumento di sviluppo della persona. Dovrebbe, in realtà, esistere un matrimonio tra “pari” in cui nessuno dei coniugi è debole; marito e moglie, semmai, sono solo diversi. In quest’ottica, alla fine del matrimonio, ciascuno dei coniugi dovrebbe tornare alla propria vita e l’eventuale istituto del mantenimento dovrebbe avere carattere del tutto eccezionale. Pertanto, dovrebbe stimarsi ammissibile un contributo dell’uno a favore dell’altra e viceversa, solo in presenza di provate circostanze peculiari. Si pensi ad alcuni casi molto particolari. Il primo: il caso in cui i coniugi abbiano espressamente scelto l’indirizzo della vita familiare, nel senso che l’una sarebbe rimasta a casa ad accudire i figli e l’altro avrebbe lavorato (o viceversa). Il secondo: il caso in cui, in costanza di unione, uno dei coniugi lavorasse per l’altro e, finita l’unione, sia cessato anche il rapporto di lavoro. Insomma: a ben vedere, trasformare l’assegno di mantenimento in istituto eccezionale “sganciato” dal tenore di vita e ricollegato a esigenze di tipo solidaristico, così assimilandolo all’assegno divorzile, quanto a scopo e funzione. L’eventuale coniuge in condizioni di grave disagio, peraltro, non resterebbe mai senza tutela: il codice prevede espressamente la disciplina degli alimenti. Una modifica del genere, per non ledere gli affidamenti incolpevoli ormai consolidati, potrebbe avere effetto solo per i matrimoni celebrati dopo l’entrata in vigore della riforma.

Affidamento paritario. Andrebbe pure riscritta la disciplina dell’affidamento dei figli. L’attuale regime provoca, sovente, dei conflitti animati da grandi tensioni che sfociano in azioni esecutive, penali, ordinarie, risarcitorie, restitutorie, etc. E la famiglia si distrugge. Sono ormai molte le condanne inflitte dalla Corte EDU all’Italia, proprio per le misure interne adottate per la tutela del minore oggetto del conflitto (v., in tempi recenti: Corte Edu, sentenza 20.1.2015, Manuello e Nevi c/ Italia). Occorrerebbe scoraggiare, il più possibile, l’esistenza di rapporti patrimoniali periodici tra i genitori così evitando che sulla relazione personale vadano ad incidere, negativamente, le questioni economiche. In linea di principio, pertanto l’eventuale assegno di mantenimento in moneta dovrebbe essere eccezionale, disposto nel caso in cui l’uno dei genitori non si sia attenuto alle disposizioni del giudice in merito alla partecipazione alle spese. Con ciò affermandosi, in linea di regola generale, il mantenimento diretto. Con una sintesi concettuale, potrebbe discorrersi di “affidamento paritario”: ognuno dei genitori condivide la responsabilità genitoriale con identici diritti e identici oneri. Ciascuno dei genitori dovrebbe provvedere, dunque, al mantenimento dei figli per il tempo in cui sono insieme. Tenuto conto delle condizioni patrimoniali dei genitori, il giudice stabilirebbe la misura percentuale di partecipazione alle spese ordinarie e straordinarie e potrebbe porre a carico dell’uno il pagamento di costi periodici o fissi. Ad es.: disporre che il coniuge di maggior reddito, paghi interamente il mutuo o si accolli il canone di locazione; ancora: disporre che uno dei genitori paghi interamente le spese condominiali o le rette delle scuole; etc. Quanto al primo aspetto, il giudice potrebbe disporre che uno dei genitori sostenga i costi di abbigliamento, istruzione e salute al 70%. Queste dinamiche, da un lato favorirebbero il dialogo tra i genitori e dall’altro eviterebbero di legare i bambini all’assegno di mantenimento.

Processo. Andrebbero apportate delle modifiche processuali. Il rito della famiglia è, oggi, complesso, lungo, macchinoso e pieno di appendici scritte. Soprattutto: non è affatto snello. Sul punto, come noto, pende un progetto normativo di delega legislativa che mira a introdurre proprio delle correzioni. E’ auspicabile che questo progetto acceleri i procedimenti minorili e amplifichi il ruolo della mediazione familiare, eventualmente riconducendo benefici fiscali ai genitori che scelgono di intraprenderla prima del processo. De jure condendo, potrebbe stimarsi preferibile la trattazione monocratica di separazione e divorzio, riconducendo tutte le procedure al rito camerale, così creando omogeneità nei riti. Questa modifica, ovviamente, dovrebbe indurre a ripensare la competenza anche per tutte le altre azioni promosse in primo grado dinanzi al tribunale (v. artt. 337-bis e ss c.c.).

Conclusioni. Non è affatto detto che queste modifiche siano “giuste” o “migliori”: ma è certo che delle modifiche sono necessarie. Le famiglie sono il cuore di una società. E lo sono anche quando si disgregano; quando, ahimè, un bellissimo progetto di vita comune si è spento. In quel momento, dominato dalla tensione, dalla rabbia, dalla delusione, dalla tristezza, il processo dovrebbe essere un “passaggio veloce” e non anche un cantiere di provvedimenti che possono amplificare (piuttosto che ridurre) il conflitto.

Allegate proposte di modifica del codice civile.

dr Giuseppe Buffone, magistrato                 13 luglio 2015

www.altalex.com/documents/news/2015/07/07/da-affidamento-condiviso-a-affidamento-paritario

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ANONIMATO NEL PARTO

Se la mamma non riconosce il neonato.

La prima indagine italiana: censiti 56 casi di “abbandono” in 70 centri nascita. Per il 62,5% dei casi si tratta di madri straniere. Tra i motivi più frequenti del mancato riconoscimento il disagio psichico e sociale, la paura di perdere il lavoro o più in generale i problemi economici. Ma anche il timore di essere espulse o di dover crescere un figlio da sole in un Paese straniero. E infine coercizione, giovane età, solitudine e violenza. I consigli dei neonatologi per affrontare il problema.

Tra luglio 2013 e giugno 2014 sono stati 56 i neonati non riconosciuti dalle madri su un totale di 80.060 bambini nati, pari allo 0,07% sul totale dei bambini nati vivi. Nel 62,5% dei casi si tratta di neonati non riconosciuti da madri straniere e nel 37,5% da mamme italiane. Le mamme che scelgono di non riconoscere i loro bambini hanno un’età compresa tra i 18 e i 30 anni nel 48,2% dei casi. Sono solo alcuni dei dati sulla situazione dei bambini non riconosciuti alla nascita, presentati oggi a Roma presso l’Auditorium del Ministero della Salute.

            I risultati sono frutto di un’indagine durata un anno condotta su un campione nazionale di 100 Centri nascita ed effettuata dalla Società Italiana di Neonatologia (SIN) in collaborazione con “ninna ho”, progetto a tutela dell’infanzia abbandonata promosso da Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus e dal Network KPMG in Italia. L’indagine è stata effettuata sulla base di un questionario composto da 22 domande suddivise in tre specifiche sezioni e somministrato via mail ai Centri nascita associati SIN. In tutto sono stati coinvolti 70 centri nascita di cui 38 del Nord Italia, 19 del Centro e 13 del Sud e Isole. La maggior parte dei bambini non riconosciuti sono nati in Italia Centrale e Settentrionale con rispettivamente 26 e 25 casi. Segue il Sud Italia con soli 5 parti anonimi.

            Le mamme che abbandonano. Identikit. Il fenomeno del non riconoscimento materno riguarda in maggioranza donne di origine straniera così divise tra i casi rilevati: 20 provengono dall’Est Europa, 5 dall’Africa; 4 dal continente asiatico, 3 dall’America, 2 dal Centro Europa. La maggioranza delle mamme che scelgono di non riconoscere i loro bambini, pur avendo fissa dimora, hanno partorito in una città diversa dalla propria residenza (ben l’84%). Il 48,2% non è sposata e solo il 12,5% ha un lavoro. Per quanto riguarda il livello di istruzione, il 32,2% delle madri ha una scolarità medio-bassa (licenza elementare o di scuola media inferiore), il 19,6% ha un diploma di scuola media superiore, mentre l’1,8% è laureata.

            Informazioni sul padre. Nella maggior parte dei casi non sono state rilevate informazioni sul padre (60,7%), ma può essere significativo che il 3,6% sia in carcere o abbia lasciato la donna durante la gravidanza e che un’analoga percentuale riguardi uomini disoccupati.

            Cosa succede in ospedale. Al momento del parto, la maggioranza delle donne censite dall’indagine è arrivata sola in ospedale (34%); solo l’8,9% è stata accompagnata dal partner e il 14,4% da un parente. Durante la gravidanza, il 32,1% delle donne non si è affidata a nessun servizio di sostegno; per quelle che lo hanno fatto l’ospedale risulta essere il principale servizio a cui le madri si sono rivolte (38,5%), seguito immediatamente dagli assistenti sociali e dai consultori familiari (rispettivamente il 34,6% e il 30,8%). Chiudono l’elenco le Associazioni di volontariato e i Centri di aiuto alla vita con il 15,4%, mentre il 7,6% si è rivolto alle Cooperative e ai Centri Sociali.

            I motivi dell’abbandono. Al primo posto troviamo il disagio psichico e sociale (37,5%), seguito dalla paura di perdere il lavoro o più in generale dai problemi economici (19,6%). La paura di essere espulse o di dover crescere un figlio da sole in un Paese straniero è un motivo scatenante per il 12,5% delle donne immigrate; segue la coercizione per il 7,1%; la giovane età (5,4%); la solitudine (5,4%) e la violenza (1,8%).

            Cosa fare. I consigli dei neonatologi. L’ultima parte del questionario mira ad individuare gli strumenti e i metodi ritenuti dai neonatologi più efficaci per prevenire gli abbandoni in condizioni di rischio.

Al primo posto troviamo la necessità di assicurare sostegno e assistenza alle donne in difficoltà rafforzando le politiche per la famiglia e per l’infanzia; favorendo una maggiore integrazione e collaborazione tra attività ospedaliera e territoriale; assicurando una migliore presa in carico della madre e del bambino da parte di Consultori e Servizi sociali.

Al secondo posto troviamo la necessità di informare e sensibilizzare le madri in difficoltà sulla possibilità consentita dalla legge di partorire in anonimato e non riconoscere il neonato; sull’esistenza di enti concreti e strutture affidabili da cui poter ricevere assistenza, aiuto psicologico e sostegno da un punto di vista materiale.

Infine altro punto importante è secondo i neonatologi l’ascolto inteso come empatia, assenza totale di giudizio, comprensione, disponibilità al sostegno e all’aiuto, così da creare un clima di fiducia che consenta alle donne di aprirsi e affrontare il disagio legato alla difficoltà della condizione che stanno vivendo.

Quotidiano sanità      09 luglio 2015

www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=29713

 

Indagine sul mancato riconoscimento alla nascita.

Ninna ho, presentato il primo rapporto sulla situazione dei bambini non riconosciuti alla nascita. I risultati sono frutto di un’indagine durata un anno condotta su un campione nazionale di 100 Centri nascita ed effettuata dalla Società Italiana di Neonatologia (SIN) in collaborazione con ninna ho, progetto a tutela dell’infanzia abbandonata promosso da Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus e dal Network KPMG in Italia.

 “L’indagine rappresenta una fase importante del nostro progetto, nato nel 2008 per contrastare l’abbandono neonatale in Italia” ha spiegato Mariavittoria Rava, Presidente della Fondazione Francesca Rava. “Da anni siamo impegnati con ninna ho ad aiutare le donne in difficoltà e i loro bambini attraverso l’informazione sulla possibilità consentita dalla legge di partorire in anonimato e mediante l’installazione di culle termiche salvavita presso un network di ospedali dislocati in tutta Italia. Con questa indagine volevamo raccogliere dati quantitativi e qualitativi sulle situazioni dei bambini non riconosciuti alla nascita al fine di individuare, insieme alla SIN e alle istituzioni, nuovi strumenti e metodi più efficaci per prevenire gli abbandoni in condizioni di rischio.”

            L’indagine è stata effettuata sulla base di un questionario composto da 22 domande suddivise in tre specifiche sezioni e somministrato via mail ai Centri nascita associati SIN. ”70 gli ospedali che hanno partecipato alla ricerca di cui 38 del Nord Italia, 19 del Centro e 13 del Sud e Isole. La maggior parte dei bambini non riconosciuti sono nati in Italia Centrale e Settentrionale con rispettivamente 26 e 25 casi. Segue il Sud Italia con soli 5 parti anonimi” ha spiegato Giovanni Rebay, partner KPMG.

            “Abbiamo partecipato con entusiasmo e forte coinvolgimento al progetto ninna ho – afferma il Prof. Costantino Romagnoli, Presidente SIN Società Italiana di Neonatologia – perché siamo coscienti del problema che esiste in Italia e che è sicuramente più ampio di ciò che emerge dai fatti di cronaca. Agevolare e incrementare l’informazione per arrivare direttamente a queste donne in difficoltà attraverso ambulatori, centri di assistenza sociale, consultori e parrocchie è secondo noi la strada da percorrere per il futuro.”

            Il progetto “ninna ho”. E’ il primo progetto nazionale a tutela dell’infanzia abbandonata che ha ricevuto l’autorevole patrocinio del Ministero della Salute e il patrocinio della Società Italiana di Neonatologia. Si rivolge a tutte quelle madri che per difficoltà psicologica, sociale od economica non sono in grado di potersi prendere cura del neonato.

            Obiettivi.

  • informare le donne in difficoltà una concreta possibilità di esercitare presso strutture ospedaliere il diritto al parto in anonimato, garantito dalla legge italiana (DPR 396/2000)
  • tutelare i neonati a rischio di abbandono e di infanticidio.

In cosa consiste

  • donazione e installazione di culle termiche presso un network di ospedali dislocati in tutta Italia
  • attività d’informazione rivolta alle donne incinte in grave difficoltà per far conoscere meglio l’attuale normativa sulla segretezza del parto e sulla tutela della donna e del bambino.

Per maggiori informazioni sul progetto: www.ninnaho.org

La Fondazione Francesca Rava aiuta l’infanzia in condizioni di disagio in Italia e nel mondo tramite adozioni a distanza, progetti, attività di sensibilizzazione sui diritti dei bambini, volontariato. E’ apolitica e aconfessionale e rappresenta in Italia N.P.H. – Nuestros Pequeños Hermanos (I nostri piccoli fratelli).                      Fondazione Francesca Rava –e-mail:      info@nph-italia.org

www.nph-italia.org/notizie/410/ninna-ho-presentato-il-primo-rapporto-sulla-situa

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Mantenimento ridotto se il marito ha un secondo figlio.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 14521, 10 luglio 2015.

Separazione e quantificazione dell’assegno di mantenimento: parametri che il giudice deve valutare e libertà di dare maggior peso a un elemento piuttosto che agli altri. Può chiedere la riduzione dell’assegno di mantenimento da versare alla ex moglie il marito che, nel frattempo, abbia avuto un figlio “di secondo letto”. È quanto chiarito dalla Cassazione. Nel determinare l’assegno di mantenimento da versare all’ex, il giudice deve tenere in considerazione una serie di parametri:

  • innanzitutto la finalità dell’assegno che è quella di garantire, al beneficiario, lo stesso tenore di vita di cui quest’ultimo (o “quest’ultima”, visto che si tratta quasi sempre della donna) aveva goduto durante il matrimonio;
  • ovviamente, tale finalità deve essere perseguita nei limiti delle effettive e concrete possibilità economiche del soggetto onerato: se il marito non può permettersi somme esagerate (magari per maggiori spese che dovrà sostenere, come nel caso del canone di affitto), l’assegno può essere ridotto;
  • l’eventuale nuova convivenza stabile del beneficiario dell’assegno, che può comportare – per orientamento ormai stabile della Cassazione – la revoca dell’assegno stesso.

Il giudice è libero di dare maggiore o minore peso a una di queste tre circostanze, secondo il suo convincimento. Ebbene, è ormai prassi di molti tribunali ridurre l’assegno di mantenimento tutte le volte in cui il soggetto obbligato al versamento abbia avuto un nuovo figlio da una successiva relazione.

Redazione       Lpt  13 luglio 2015                           sentenza

www.laleggepertutti.it/93461_mantenimento-ridotto-se-il-marito-ha-un-secondo-figlio

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ASSISTENZA

Tra suocera e nuora vi è obbligo di assistenza?

Rapporto tra suocera e nuora: benché rappresentato come conflittuale, la legge stabilisce un obbligo di assistenza dell’una a carico dell’altra in caso di necessità. Il legame acquisito di suocera e nuora, a causa di implicazioni psicologiche e sentimentali che sfociano, nei casi più gravi, in atteggiamenti possessivi, è sicuramente tra i più delicati perché prevede l’incontro (o scontro) tra due figure fondamentali all’interno di una famiglia. Proprio a causa di questa, almeno potenziale, conflittualità, sono molte le domande che attengono all’eventuale obbligo, da parte delle nuore, di prestare assistenza alle proprie suocere in caso di incapacità a svolgere le normali attività quotidiane.

La legge prevede una struttura protettiva che si attiva all’interno delle famiglie in caso di necessità, indicata in senso ampio con il termine di “alimenti”. Per obbligo agli alimenti si intende l’obbligo di prendersi cura della persona che versa in uno stato di incapacità, momentanea o definitiva, mediante attività che spaziano dalla somministrazione del cibo, all’ospitalità, all’assistenza morale e materiale sino ai doveri civili. Tale obbligo è espressione di un vincolo di solidarietà fondato sul principio della vicinanza e dell’intimità dei rapporti familiari. Gli alimenti legali sono prestazioni di assistenza materiale dovute per legge alla persona che versa in stato di bisogno economico e morale che trovano la loro fonte, anche costituzionale [Art. 2], nel dovere di aiuto reciproco.

            Il codice civile [Art. 433 cod. civ.] stabilisce un ordine di persone obbligate a prestare gli alimenti:

  • il coniuge;
  • i figli;
  • i genitori;
  • i generi e le nuore;
  • i suoceri;
  • i fratelli, germani o unilaterali.

Questo schema evidenzia l’ordine di intervento: per cui, in mancanza di un soggetto, ad esempio in caso di morte, l’obbligato alla prestazione è individuabile nel successivo previsto da tale indicazione normativa. La nuora è obbligata all’assistenza nei confronti della suocera non direttamente ma solo in sostituzione e in subentro dei figli o di altri discendenti. Ad esempio, per fare un caso pratico, un’anziana donna che necessita di cure, in caso di morte del figlio e in assenza di altri figli o discendenti, può richiedere di essere assistita dalla nuora.

            È bene evidenziare che l’obbligo di prestare gli alimenti, costituisce un principio morale di solidarietà familiare, in cui l’individuo che versa in stato di bisogno chiede aiuto ai suoi stretti congiunti. Dal punto di vista giuridico, invece, tale obbligo deve essere sancito dal giudice che decide, all’interno della famiglia, il soggetto obbligato alla prestazione. L’obbligo morale scaturisce dalla coscienza dell’individuo e, in questo caso, dal dovere di occuparsi di un familiare incapace ad attendere alle normali attività quotidiane, l’obbligo giuridico scaturisce, contrariamente, dal provvedimento del giudice.

Rossella Blaiotta        Lpt                  16 luglio 2015

www.laleggepertutti.it/93572_tra-suocera-e-nuora-vi-e-obbligo-di-assistenza

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CASA FAMILIARE

La casa al marito se la moglie si trasferisce; al figlio nessun diritto.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, sentenza n. 14727, 14 luglio 2015.

Se la madre si trasferisce dall’ex casa familiare che le era stata assegnata dal giudice dopo la separazione, l’immobile torna al padre proprietario anche se il figlio è disoccupato e non sa dove andare a vivere. Se, dopo il divorzio, l’ex moglie lascia la casa familiare a lei assegnata per trasferirsi altrove, l’immobile ritorna nelle disponibilità del marito (che ne era proprietario), né potrà essere assegnato al figlio maggiorenne, nonostante questi sia disoccupato e privo di abitazione dove andare a vivere. Egli, al massimo, continuerà a vantare il diritto al mantenimento e, anzi, potrà chiedere un aumento dell’assegno mensile, posto che il padre, ritornato nella disponibilità del proprio immobile, vede aumentare le sue disponibilità economiche e ridurre le spese prima sostenute per l’affitto. È quanto si legge in una sentenza della Cassazione.

 Cosa prevede la legge. Il giudice assegna l’ex casa familiare – sia essa di proprietà dell’altro coniuge oppure in affitto – al genitore presso il quale viene collocata la prole, ed a questi rimane fino a che il figlio non diventi autonomo economicamente (che non vuol dire necessariamente maggiorenne). Il giudice tiene conto del fatto che il proprietario dell’immobile, adibito a tetto familiare, è costretto ad andarsene e a sostenere maggiori spese (un canone di affitto per un’altra abitazione dove vivere) e, pertanto, può ridurre l’importo dell’assegno di mantenimento all’ex.

            La legge prevede però la revoca dell’assegnazione non solo quando il figlio si allontani dall’immobile perché divenuto indipendente sul piano economico, ma anche quando il coniuge cessi di abitare stabilmente nella casa familiare, oppure conviva o contragga nuovo matrimonio.

            Tuttavia, quando l’immobile torna nella disponibilità del legittimo proprietario, perché la madre si è trasferita, il figlio non vanta alcun diritto a ottenere l’assegnazione della casa dove ha vissuto. Ma può chiedere, a tutto voler concedere, un aumento dell’assegno di mantenimento. In ogni caso, infatti, va ovviamente salvaguardato l’interesse del figlio minore o maggiorenne, non autosufficiente. Questo però non significa che tale interesse consista nell’assegnazione della casa lasciata dalla madre. Il figlio maggiorenne, privo di reddito, sarà legittimato a richiedere ai genitori il mantenimento, che dovrebbe permettergli di procurarsi un nuovo alloggio, posto che, tra l’altro, il padre, tornando nella disponibilità dell’immobile, vedrà accresciuta la sua disponibilità economica.

Redazione       Lpt  14 luglio 2015                           sentenza

www.laleggepertutti.it/93499_la-casa-al-marito-se-la-moglie-si-trasferisce-al-figlio-nessun-diritto

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CONSULTORI FAMILIARI

Sassari-Il consultorio Del Centro di preparazione alla famiglia.

Il Centro di Preparazione alla Famiglia è una realtà esistente dal 1967, fondata dal domenicano Padre Giovanni Serafino Taddei – Parroco di Sant’Agostino – e da lui amorevolmente condotta e spiritualmente diretta fino al 20 agosto 1991 data della sua morte. Il Centro è stato costituito in associazione non riconosciuta con atto 11 aprile 1976 dott. Salvatore Maniga notaio registrato in Sassari il 20 aprile 1976: all’atto costitutivo è allegato lo Statuto.

Il Centro, sia ad opera del suo fondatore, sia per la costante assistenza degli altri padri domenicani, si è sempre ispirato al carisma di S. Domenico di Guzman e alla dottrina filosofico-teologica di S. Tommaso d’Aquino. A motivo di questa scelta privilegiata, i religiosi Domenicani considerano come espressione della loro pastorale l’assistenza teologica e spirituale offerta al C.P.F. e a coloro che usufruiscono delle attività messe in atto nell’ambito dei servizi in favore della persona umana e della famiglia, ed hanno ospitato il Centro, fin dalla sua nascita, nei locali del convento in Sassari Piazza S. Agostino.

Resoconto attività 2014 – 2015. (Passim)Abbiamo proseguito a gennaio con la “Scuola di formazione per la famiglia” che ha visto una nutrita partecipazione, i seminari sono stati seguiti da una media di 35/40 persone, ma siamo arrivati anche a 60 persone. Questo anno è stata introdotta la collaborazione con il Liceo musicale Azuni, per cui alcuni seminari sono stati preceduti da mini concerti degli allievi, grazie anche alla disponibilità dei docenti. L’ultima lectio è stata tenuta da Domenico Simeone, Presidente della Federazione dei consultori di ispirazione cristiana, nell’aula magna del liceo, preceduta da un ensemble di chitarre. Don Romolo Taddei, psicoterapeuta e direttore del Consultorio di Ragusa, ha tenuto un training, per un fine settimana, sulla intimità sessuale. Gli itinerari di preparazione al matrimonio si sono svolti fino al mese di giugno, riprenderemo in ottobre, prevediamo di fare un incontro di preparazione con le tre équipe che si occupano degli itinerari.

Per quanto riguarda il Consultorio, si è avuto l’inserimento di nuove figure, Marina Porcheddu, psicologa, Barbara Fozza, che ha numerose competenze nell’ambito consultoriale, Cristina Manca e Tiziana Marras, mediatrici familiari che hanno introdotto i “Gruppi di Parola”, incontri destinati ai figli di genitori separati o appartenenti a famiglie in transizione. Gli incontri riprenderanno in ottobre. Le riunioni dell’équipe sono state precedute da un momento di formazione. Padre Stefano, francescano a San Pietro in Silki, ci ha tenuto il ritiro quaresimale, “Le donne nel mistero pasquale”, un incontro di grande spessore. I lunedì di “Lavorare in amicizia” hanno visto l’entrata di altre amiche, la produzione del gruppo è veramente tanta, infatti, oltre al mercatino di Natale e di Pasqua, abbiamo effettuato anche due presenze nel mercatino di venerdì all’Emiciclo Garibaldi. Come sempre, il gruppo collabora in maniera interessante all’autofinanziamento.

Abbiamo festeggiato, anche questo carnevale, insieme ai bambini. Il secondo sabato di ogni mese è stato dedicato da padre Christian alla “Gaudium et spes”. Tre coppie di soci hanno collaborato a turno con padre Christian nel tenere l’incontro. Per il mese di ottobre, insieme alla ripresa delle attività è prevista la partecipazione alla “Settimana del benessere”, un modalità di approccio alla psicologia. La biblioteca è stata sempre a disposizione per la consultazione, ci siamo arricchiti di testi più attuali.

Le “Domeniche in famiglia” si sono svolte con una discreta affluenza di coppie e con l’intervento anche di padre Christian e don Gaetano Galia. Abbiamo chiuso per l’estate le attività con Il convegno all’Auditorium dell’Arcivescovado, tenuto dal presidente dell’associazione “Giuristi per la vita”, Gianfranco Amato, sul rischio a livello educativo dell’introduzione della teoria del “gender”, incontro interessantissimo che ha visto una affluenza considerevole.

Come vedete c’è tanto movimento e tante attività. Adesso le attività rallentano, poiché ognuno è impegnato nelle vacanze estive. Per chi resta a Sassari, il CPF è sempre a disposizione per chi vuole incontrarsi e condividere momenti di amicizia.

Angela Baio                                                   http://www.cpfconsultoriosassari.it/index.html

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Rieti- Il consultorio familiare ‘Sabino’ riapre le porte

Prosegue – all’insegna di un suggestivo mix fra desiderio di ritorno a consolidate tradizioni del passato ed innovativi progetti rivolti al futuro – il nuovo corso del Consultorio Familiare sabino, la struttura diocesana da 40 anni presente sul territorio a sostegno della “persona”, dei giovani, della famiglia e delle sue problematiche, della coppie, e non solo.

            Dopo il cambio dei vertici che ha fatto seguito all’assemblea dei soci di aprile, la Onlus decide di riaprire ai reatini la propria sede. Lo fa, come già accaduto in questi due mesi, con la politica dei piccoli passi, garantendo intanto un servizio di segreteria ed accoglienza ogni giovedì mattina, dalle 9 alle 11 e questo a cominciare da questo giovedì 09 luglio.

            «Intanto era importante ripartire; – afferma il presidente del consultorio Silvia Vari – da tempo la nostra Onlus aveva fatto una scelta diversa. Ritengo tuttavia che un’apertura della sede sia essenziale ed importante per tutti coloro che hanno bisogno di aiuto e sostegno, chiunque essi siano».

            L’apertura segna dunque un significativo ritorno al passato e ad una attività – quella appunto di segreteria ed accoglienza – che per tanti anni ha visto numerosissimi volontari prodigarsi nel garantire una “prima risposta” a chiunque interpellasse telefonicamente la struttura diocesana o vi accedesse in cerca di aiuto. «È un piccolo mattone, il primo – proseguono – su cui speriamo di costruirne tanti altri, profondamente convinti che quanto collaudato e sperimentato in tanti anni di esperienza consultoriale passata sia da custodire preziosamente e riproporre, magari in modo aggiornato e con volontari formati e adeguati a porgere la “relazione d’aiuto”».

            Negli ultimi anni la scelta del consultorio era stata quella di garantire un numero telefonico sempre attivo. Da oggi si cambia: per ora (solo) ogni giovedì una giovane assistente sociale – rigorosamente volontaria (la gratuità di ogni consulenza è la regola infrangibile del Consultorio) – per due ore sarà presente nella sede di piazza San Rufo.

            E nell’attesa di ampliare ad altri giorni e ad altri orari tale apertura, lo sguardo è rivolto anche al futuro: dopo il rinnovamento e l’aggiornamento costante del sito (www.consultorio.org) e della pagina facebook, tanti progetti importanti al servizio della città e della “persona” sono in fase di gestazione nella fucina del nuovo consultorio. Si attende ovviamente l’arrivo del nuovo Vescovo eletto, perché possa benedire con il suo assenso la rinnovata progettualità consultoriale.

Francesco F. Pasquetti                      il giornale di Rieti     10 luglio 2015

www.ilgiornaledirieti.it/leggi_articolo_f2.asp?id_news=40100

www.consultoriosabino.org/

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DALLA NAVATA

                        XVI Domenica del tempo ordinario – anno B – 15 luglio 2015.

Geremia         23, 01 Dice il Signore: «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore.

Salmo                         23. 06 Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi giorni.

Efesini                        02, 13 Fratelli, ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.

Marco                        06, 34 Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

 

La misericordia di Gesù. Commento al Vangelo di Enzo Bianchi

I discepoli ritornati dalla missione meritano di essere chiamati “inviati”, “missionari”, per questo Marco li definisce “apostoli” (apóstoloi): discepoli di Gesù diventati suoi inviati. Tornano dunque da Gesù, colui che li aveva inviati e abilitati alla missione, tornano alla fonte, tornano a colui che li aveva chiamati “perché stessero con lui”, oltre che “per mandarli a predicare” (Mc 3,14). Essi “raccontano a Gesù tutto quello che avevano fatto e insegnato”: azioni e parole che erano state comandate da Gesù, ma che soprattutto gli apostoli avevano imparato a ripetere stando con lui, coinvolti nella sua vita, vivendo con lui come con un fratello. Sappiamo di che cosa era fatto questo loro servizio: l’annuncio del Regno di Dio veniente, della necessaria conversione e una prassi di umanità autentica che si manifestava nell’incontrare le persone, nell’accoglierle, nel dare loro fiducia risvegliando la loro fede, nello sperare insieme a loro, nel liberarle, per quanto possibile, da oppressioni diverse dovute alla presenza del male operante nel mondo. Marco non dice che gli inviati hanno fatto cose straordinarie, miracoli, perché ciò che era sufficiente l’hanno eseguito in obbedienza al mandato di Gesù.

            Gli apostoli sono stanchi, e Gesù, che è stato raggiunto dalla notizia della decapitazione di Giovanni, il suo rabbi, nella sua tristezza decide di prendere le distanze dalla predicazione che lo impegnava e lo affaticava. Dice dunque ai Dodici: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto (kat’ idian eis éremon tópon), e riposatevi un po’”. Anche per Gesù, come per ciascuno di noi, occorre a volte avere il coraggio e la forza di prendere le distanze da ciò che si fa, occorre uscire dall’agitazione delle moltitudini, dal rumore delle folle, da quel turbinio di occupazioni che rischiano di travolgerci. Lavorare, impegnarsi seriamente con tutta la propria persona è necessario ed è umano, ma lo è altrettanto la dimensione della solitudine, del silenzio, della quiete. Se noi sentissimo nel nostro cuore questa chiamata: “Fuggi, fa’ silenzio, cerca quiete” (Detti dei padri del deserto, Serie alfabetica, Arsenio 2), saremmo certamente più disponibili a trovare un “luogo deserto” in cui pensare, meditare, ascoltando il silenzio, il nostro cuore, le voci diverse con cui Dio tenta di parlarci. Senza ottemperare a questa esigenza, si cade nella superficialità, ci si disperde, si finisce per vivere senza sapere dove si va.

            Ma la folla che da giorni segue Gesù lo raggiunge, anzi giunge prima di lui su quella riva deserta del lago. Gesù allora, sbarcando, la vede e la osserva con attenzione: non è preso dalla soddisfazione del successo, del fatto che tanta gente lo cerca e lo trova, ma è mosso a viscerale compassione (verbo splanchnízo). Le sue viscere si commuovono come quelle di Dio nei confronti del suo popolo oppresso (cf. Os 11,8); egli si commuove e soffre con un fremito causato solo dall’amore verso quella gente. Sì, è gente incredula, che cerca Gesù con ambiguità e interessi non trasparenti, ma per Gesù merita compassione. Sono “pecore senza pastore”, non hanno nessuno che dia loro da mangiare cibo, nessuno che si prenda cura di loro, nessuno che rivolga loro la parola per sostenerli nel duro mestiere di vivere e nessuno che li sostenga nei loro dubbi e contraddizioni. Gesù si intenerisce e rivive la compassione di Mosè quando vede il suo popolo senza pastore (cf. Nm 27,17), la compassione dei profeti che soffrono al vedere il popolo di Dio disperso e i cattivi pastori che lo sfruttano (cf. 1Re 22,17; Ez 34,5).

            Non resta dunque a Gesù che farsi “buon pastore” (Gv 10,11.14) di quella folla: obbedisce puntualmente e fa ciò che Dio vuole venga fatto a suo nome da lui, il Figlio inviato nel mondo. Per prima cosa Gesù legge la fame di quella gente, fame di cui forse non sono pienamente coscienti, fame della Parola: vogliono che Gesù insegni, cioè “parli loro la Parola”, come Marco dice altrove (cf. Mc 2,2; 4,33). Ciò che è decisivo è che Gesù sia là e parli, perché lui è la Parola di Dio (cf. Gv 1,1.14). Gesù lo fa lungamente, come stando sotto un giogo: il giogo della misericordia che lo spinge a questa compassione, a questa fatica, a questa parola indirizzata a quanti suscitano in lui sentimenti di misericordia. Aveva avuto misericordia degli apostoli ritornati stanchi e li aveva chiamati al riposo, e ora ha misericordia delle folle e interrompe il proprio riposo. Solo la misericordia lo guidava e ne determinava il comportamento e le azioni durante la sua itineranza.

            Questo è un grande insegnamento per noi: su ogni nostra decisione, su ogni nostra scelta necessaria e buona, ciò che deve avere il primato è la misericordia. Se ogni nostra scelta e ogni nostra azione non obbediscono innanzitutto alla misericordia, non sono conformi ai “sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5): sentimenti umani ma in profondità sentimenti di Dio, colui che è Santo e mostra la sua santità in mezzo al suo popolo con la compassione, scegliendo che nel suo cuore la misericordia regni sulla giustizia (cf. Os 11,7-9). Noi pastori di comunità dovremmo molto interrogarci su questa disponibilità a dare la precedenza alle domande della comunità rispetto alle nostre scelte e alle nostre pur buone iniziative. Dovremmo chiederci se in noi la misericordia, cioè l’amore viscerale di compassione, è sempre immanente alla giustizia che vogliamo vivere e annunciare. Non lo si dimentichi: nel cristianesimo non si danno giustizia e misericordia, ma solo misericordia nella giustizia o giustizia nella misericordia.

            Prima di dare il pane Gesù dà la Parola, per saziare gli uomini e le donne che lo seguono. Ma presto darà anche il pane.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/9506-la-misericordia-di-gesu

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DEMOGRAFIA

                        Demografia in Europa: ecco i dati.

Un’indagine demografica di Eurostat testimonia la modesta crescita della popolazione europea. Il più alto tasso di natalità si è registrato in Irlanda- Cresce la popolazione in Unione europea. Da un’indagine demografica diffusa da Eurostat, risulta che lo scorso anno ci sono state 5,1 milioni di nascite a fronte di 4,9 milioni di decessi. Al modesto accrescimento (dato positivo dello 0,2 milioni, il doppio rispetto al 2013) si aggiunge inoltre l’apporto demografico dovuto alle immigrazioni: la popolazione totale del Vecchio Continente è passata da 506,9 milioni di abitanti al 1° gennaio 2014 a 508,2 milioni al 1° gennaio di quest’anno.

            I Paesi più popoloso dell’unione risultano essere Germania, Francia, Regno Unito e Italia, i quali insieme ospitano più della metà dei cittadini dell’Unione. C’è però da rilevare che in Italia non si riscontra alcuna crescita. Al contrario, hanno visto crescere la propria popolazione Lussemburgo, Svezia, Malta, Austria, Danimarca, Regno Unito, Germania e Belgio. Mentre i Paesi in cui gli abitanti sono calati in numero sono Polonia, Spagna, Estonia e, più ancora, Cipro, Grecia, Lettonia, Lituania, Bulgaria e Croazia.

            Al primo posto per tasso di natalità si colloca l’Irlanda: 14,4 nuovi nati ogni mille abitanti. A seguire Francia, Regno Unito e Svezia. L’Italia è tra i fanalini di coda in questo senso: il dato peggiore si registra in Portogallo (7,9 nascite ogni mille residenti), quindi in Italia (8,3), Grecia (8,5) e Germania (8,6).

Zenit   13 luglio 2015             https://it.zenit.org/articles/demografia-in-europa-ecco-i-dati-2/

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DIVORZIO BREVE

Divorzio breve e negoziazione assistita: il calcolo della parcella dell’avvocato-

E’ entrato in vigore il 26 maggio 2015 il c.d. Divorzio breve di cui alla Legge 6 maggio 2015 n. 55 che riduce in modo significativo i tempi per il passaggio dalla separazione al divorzio (da tre anni a sei o dodici mesi, a seconda che la separazione sia consensuale o giudiziale). Le diverse “modalità” di cessazione del matrimonio (divorzio breve, negoziazione assistita, accordi innanzi all’ufficiale di stato civile ad esempio) hanno di certo riflessi sul compenso dovuto all’avvocato, e, quindi, sui costi che i coniugi devono affrontare. In questi ultimi anni il diritto di famiglia ha subito profonde modifiche, in particolare la disciplina della “cessazione del matrimonio”.

            Si è passati, infatti, dalla legge n. 898 del 1970, alla riduzione dei tempi (da 5 a 3 anni) per il divorzio dopo la separazione, alla negoziazione assistita ed agli accordi innanzi all’ufficiale di stato civile, di cui agli artt. 6 e 12 della L. n. 162 del 2014 (con cui si evita il passaggio in Tribunale), al recente divorzio breve di cui alla legge 6.5.2015 n.55 (in vigore dal 26.5.2015).

            Le diverse “modalità” di cessazione del matrimonio hanno di certo riflessi sul compenso dovuto all’avvocato, e, quindi, sui costi che i coniugi devono affrontare. Infatti, i costi per una procedura di separazione e divorzio sono certamente diversi a seconda della procedura prescelta: separazione giudiziale; separazione giudiziale trasformata in consensuale; separazione consensuale; negoziazione assistita; separazione dinanzi all’ufficiale dello stato civile; difesa di un solo legale per entrambi i coniugi.

            Occorre premettere che il compenso dell’avvocato è strettamente collegato alla “intensità” dell’attività espletata, “intensità” che, nel caso di specie, si può individuare nella presenza di figli, patrimonio immobiliare dei coniugi, attività espletata dai coniugi insieme, litigiosità fra coniugi ampliata dalla presenza di figli minorenni.

            Stante la variabilità dei costi, collegati a fattori non sempre prevedibili, è opportuno per i coniugi richiedere espressamente al legale un preventivo scritto del costo della prestazione, anche perché l’avvocato è tenuto (art.13, comma 5, l. n. 247/2012) a rendere noto al cliente il livello di complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico, ed a richiesta del cliente deve comunicare in forma scritta la prevedibile misura del costo della prestazione. I parametri, peraltro, si applicano quando all’atto del conferimento dell’incarico o successivamente, il compenso non sia stato consensualmente determinato; in pratica il regolamento sui parametri si applica in assenza dell’accordo delle parti sui compensi.

            Né sussistono difficoltà per l’avvocato nella formulazione del preventivo del costo, stante l’attuale struttura parametrica di cui al dm n. 55 del 2014: i parametri sono formulati in modo da favorire la trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali e la semplicità nella determinazione del compenso. La struttura parametrica elaborata con il dm n. 55/2014 è caratterizzata, infatti, dalla massima facilità applicativa e da estrema flessibilità, consentendo con immediatezza di determinare il compenso spettante; il cliente e l’avvocato (ma anche il giudice), qualora nella pattuizione fanno riferimento ai parametri per il compenso, non devono fare altro che:

  • Individuare l’autorità giudiziaria adita (nel caso di specie il Tribunale);
  • Il valore della controversia (e quindi la fascia di valore), che, nel caso di specie, è indeterminabile;
  • Le fasi del giudizio (studio controversia, fase introduttiva, attività istruttoria, fase decisionale) in cui vi è stata attività professionale;
  • Procedere alla somma dei valori parametrici per le varie fasi in cui vi è stata attività professionale.

L’attuale struttura parametrica, infatti, svincola la determinazione del compenso da criteri quantitativi collegati al numero di atti difensivi redatti (non ci sono più i diritti di procuratore), o dal numero di udienze cui il difensore ha partecipato, stabilendo un compenso unitario per ogni fase processuale, anche se con una forbice ampia: importo minimo, importo medio, importo massimo.

             Occorre evidenziare che per l’attivazione del procedimento è dovuto anche il contributo unificato, che è, per fortuna, di importo modesto. Si va, infatti, dalle 43,00 euro per la separazione consensuale e per le domanda congiunta dei coniugi per lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ad euro 98,00 per i procedimenti contenziosi e per la separazione personale dei coniugi in via giudiziale.

            Per la determinazione del compenso spettante all’avvocato, occorre preliminarmente accertare il valore della causa di separazione/divorzio (e quindi, la fascia di valore parametrico), e ciò a prescindere dalla procedura adottata.

            La posizione economica dell’avvocato “matrimonialista” è aggravata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. 22 gennaio 2009, n. 610; Cass. 20 aprile 1977, n. 1620), e di merito (Trib. Napoli 30 luglio 2009) le quali hanno affermato che, ai fini della liquidazione degli onorari di avvocato, la causa di separazione e/o di divorzio va considerata di valore indeterminato.

            Nelle cause di separazione e/o divorzio si assiste spesso, però, ad attribuzione a carico di uno dei coniugi di “vitalizi” consistenti, oltre che a somme spesso ingenti, concordate in sede di divorzio nei casi di liquidazione una tantum. È difficile “capire” il perché non incida in alcun modo sulla determinazione del valore della controversia l’ammontare delle richieste economiche connesse. Non si può ignorare, infatti, che con la separazione e/o divorzio vengono spesso raggiunti accordi che riguardano la proprietà immobiliare, la divisione di beni in comunione legale, trasferimento di quote societarie, attribuzione in proprietà di beni mobili.

            A tali dati occorre aggiungere la consistente attività stragiudiziale che precede una separazione consensuale e/o divorzio congiunto, e tutta l’attività a latere del giudizio che si concretizza spesso con scritture private predisposte dal legale, attività che essendo relativa a questioni oggetto del successivo sviluppo giudiziale o comunque strumentale al giudizio, viene assorbita nel compenso maturato per la fase giudiziale.

            Il D. M. n. 55/2014 si è accorto delle incongruenze della disciplina della liquidazione del compenso all’avvocato nella materia di separazione e divorzio, e ha posto riparo con un modesto riconoscimento economico agli avvocati “matrimonialisti”. Infatti, l’art. 4, comma 3, del D. M. n.55 del 2014, statuisce che “Quando l’avvocato assiste ambedue i coniugi nel procedimento per separazione consensuale e nel divorzio a istanza congiunta, il compenso è liquidato di regola con una maggiorazione del 20 per cento su quello altrimenti liquidabile per l’assistenza di un solo soggetto”.

            Occorre evidenziare che nell’ipotesi in cui, instaurata la separazione giudiziale, all’udienza presidenziale si trovi una soluzione consensuale, con la redazione di un verbale di udienza conciliativo, si applica comunque l’onorario per un procedimento ordinario, con il riconoscimento della maggiorazione prevista dal D.M. n. 55/2014 per i casi in cui la lite viene conciliata (art. 4, comma 6, D.M. n. 55/2014): “compenso di regola aumentato fino a un quarto rispetto a quello altrimenti liquidabile per la fase decisionale, fermo quanto maturato per l’attività precedentemente svolta”.

            Non si possono, infatti, ignorare la delicatezza degli argomenti che vengono trattati nella cause di diritto di famiglia (separazione e divorzio), l’importanza delle questioni che vengono sollevate in tali cause, circostanze che hanno imposto una riflessione sui “criteri” di liquidazione del compenso dell’avvocato matrimonialista, in quanto i criteri di liquidazione previsti dal previgente D.M. n. 140/2012 e della giurisprudenza in materia in ordine al valore della controversia, non corrispondevano al tempo, al lavoro e professionalità che gli avvocati di famiglia dedicano a tali attività.

            Fatte tali doverose premesse, in ordine alla parcella dell’avvocato in caso negoziazione assistita e divorzio breve, si evidenzia quanto segue.

            Negoziazione assistita. In base all’art. 6 del d.l. 12.9.2014 n.132, conv. in legge n.162/2014, la convenzione di negoziazione assistita (con l’assistenza di almeno un avvocato per parte) può essere conclusa tra coniugi al fine di raggiungere una soluzione consensuale:

  • di separazione personale;
  • di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio;
  • di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

L’accordo raggiunto a seguito della citata convenzione produce gli effetti, e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

            In mancanza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente autosufficienti, l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita, è trasmesso al Procuratore della Repubblica, il quale, quando non ravvisa irregolarità, comunica agli avvocati il nulla osta per la trasmissione dell’accordo raggiunto all’ufficiale dello stato civile del comune interessato.

Nel caso di cui alla precedente lettera a), e cioè di nulla osta di regolarità da parte del Procuratore della Repubblica, non si ha il “passaggio” in Tribunale, con la conseguenza che, stante l’assenza di una fase giudiziale (presupposto essenziale per una prestazione giudiziale è che il mandato sia esplicato in un giudizio, davanti al giudice), per il compenso dell’avvocato occorre fare riferimento alla tabella 26 del D. M. n.55/2014 relativa alle prestazioni di assistenza stragiudiziale. Tale tabella prevede per le controversie di valore indeterminato (come sono le cause di separazione/divorzio) un compenso:

  • Minimo di € 1.654,00;
  • Medio di € 3.308,00;
  • Massimo di € 5.954,00.

A meno che le parti (cliente-avvocato) non abbiano preventivamente pattuito un compenso di importo diverso, atteso che la pattuizione tra le parti prevale sugli importi parametrici del D. M. n.55 del 2014.

            In presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente autosufficienti, l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita, deve essere trasmesso al Procuratore della Repubblica, il quale, quando ritiene che l’accordo raggiunto risponde all’interesse dei figli, lo autorizza (con conseguente successiva trasmissione da parte dell’avvocato, dell’accordo raggiunto all’ufficiale dello stato civile del comune interessato). In tale caso, il compenso si determina con i criteri di cui alla precedente lettera a) stante l’assenza del “passaggio” in tribunale, e quindi con la tabella parametrica stragiudiziale (n. 26) del D. M. n. 55/2014.

            Quando invece il Procuratore della Repubblica, ritiene che l’accordo non risponde all’interesse dei figli, trasmette l’accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita al Presidente del Tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti. In tale caso, però non viene evitato il “passaggio in tribunale”. Per il compenso, quindi, non può che farsi riferimento alle prestazioni giudiziali, e quindi, alla tabella 2 del dm n. 55 del 2014, tabella che prevede per le cause di valore indeterminato un compenso:

  • Minimo di €   4.459,00
  • Medio di € 10.343,00
  • Massimo di € 19.327,00

E come già detto, sempreché le parti non abbiano concordato un diverso importo quale compenso professionale, senza fare riferimento alle tabelle parametriche del D. M. n.55/2014.

            Divorzio breve. L’art. 1 della l. 6.5.2015 n. 55 “riduce” i tempi per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, a dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi (anziché tre anni) innanzi al Presidente del Tribunale nelle procedure di separazione personale, ed a sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale.

            La riduzione dei tempi non incide però sulla procedura da seguire per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, e conseguentemente sul compenso spettante all’avvocato, che è quello di cui alla tabella 2 (valore indeterminato) del D. M. n. 55/2014 e riportato alla precedente lettera A) sub. b).

            I costi di una separazione giudiziale/divorzio, anche dopo il divorzio breve, sono, però, di importi non certo modesti, anche se gli stessi lievitano se la giudiziale è complessa; e ciò spinge sempre più spesso le coppie italiane a scegliere paesi europei per divorziare, ove i costi (ed i tempi) sono più ridotti.

            Accordi di separazione/divorzio innanzi all’ufficiale di stato civile. In base all’art. 12 del D. L. 12.9.2014 n.132, convertito in L. n. 162/2014, i coniugi, con l’assistenza facoltativa di un avvocato, innanzi all’ufficiale dello stato civile, possono concludere un accordo congiunto di separazione consensuale, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio (l’accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale).

             Tale procedura non si applica in presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente indipendente. In tale procedura, nel caso di assistenza dell’avvocato, per il compenso professionale, stante la mancanza del “passaggio in tribunale”, occorre fare riferimento alla tabella n. 26 del dm n. 55/2014 relativa alle prestazioni stragiudiziali.

            Si può, quindi, concludere che, nel caso di assistenza e difesa del cliente nella procedura di negoziazione assistita o divorzio breve, oppure nella redazione degli accordi di separazione/divorzio innanzi all’ufficiale di stato civile, per il compenso dell’avvocato si deve fare riferimento alla tabella giudiziale (tabella 2) oppure alla tabella stragiudiziale (tabella 26) del dm n. 55 del 2014, a seconda se vi è stata o meno “il passaggio in tribunale” della controversia.

Leonardo Carbone    tratta da Il Quotidiano Giuridico Wolters Kluwer

Newsletter Altalex                 19 luglio 2015

www.altalex.com/documents/news/2015/06/11/divorzio-breve-calcolo-parcella-avvocato?utm_source=nl_altalex&utm_medium=referral&utm_content=altalex&utm_campaign=newsletter&TK=NL&iduser=144450

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PATERNITÀ

Diventare genitori: le emozioni nei neopadri.

La genitorialità oggi è un’impresa condivisa sia da madri che da padri: si pensi pure alla maggior partecipazione del padre, dalla gestazione alla nascita. Solo recentemente la società ha cominciato a sostenere che la genitorialità è un’impresa condivisa sia dalle madri che dai padri. Uno dei segnali più rilevanti del cambiamento che ha investito la coppia e il rapporto padre-figlio è la maggior partecipazione del padre dalla gestazione alla nascita del figlio.

            Fino ad oggi la quasi totalità delle ricerche e dei libri sul tema della genitorialità si sono concentrati sulla figura della madre e sul suo ruolo nel rapporto con il bambino appena nato. La paternità è rimasta sullo sfondo, come un dato per scontato: se quello materno è stato per secoli definito un istinto, quello paterno si è configurato come un ruolo prevalentemente economico-disciplinare, cui ben si ottempera se si provvede adeguatamente alle necessità familiari delegando le attività domestiche e di cura alla madre (Dell’Agnese & Ruspini, 2007).

            I padri hanno quindi la tendenza a interpretare le nuove responsabilità a livello esteriore, a concentrarsi per fornire alla famiglia tutto il necessario, a considerare i loro doveri dal punto di vista economico (Cabrera et altri, 2000). Questa preoccupazione materiale è dovuta anche al fatto che per molto tempo non si è parlato dell’emotività del padre, argomento per secoli evitato perché in opposizione a una tacita regola secondo la quale l’uomo deve essere forte e maschio (Pellai, 2007). La cultura prevalente nella maggior parte delle società ha infatti da sempre alimentato lo stereotipo secondo il quale la mascolinità mal si concilierebbe con l’espressione dei sentimenti essendo quasi sempre le donne delegate a ciò e indicando come disdicevole per l’uomo fare riferimento al proprio mondo privato, personale (Connell, 1996; Bellassai, 2004). Per molto tempo quindi la preoccupazione primaria per il padre dopo il parto è stata quella di provvedere alla famiglia economicamente: concentrarsi sul lavoro forniva al padre anche un ruolo chiaro, un obiettivo sicuro che serviva a ridurre la confusione e l’incertezza che caratterizzano il primo periodo dopo la nascita di un figlio (Cabrera et altri, 2000; Greenberg, 2006).

            L’ invisibilità del padre dovuta alla lontananza dai figli per motivi di lavoro va di pari passo con la piena assunzione del ruolo educativo della donna mettendo in crisi la funzione del padre in questo ambito (Zanfroni, 2005). Solo recentemente la società ha cominciato a sostenere che la genitorialità è un’impresa condivisa sia dalle madri che dai padri (Cabrera et altri, 2000). Uno dei segnali più rilevanti del cambiamento che ha investito la coppia e il rapporto padre-figlio è la maggior partecipazione del padre dalla gestazione alla nascita del figlio, testimoniata ulteriormente dalla sua presenza in sala parto. Oggi infatti è consuetudine che i futuri papà partecipino ad alcuni incontri dei corsi preparto, siano presenti al momento della nascita dei figli, cambino i pannolini, leggano le favole, stiano svegli la notte per cullare i neonati e indossino i marsupi. Sembra che l’espressione dell’affettività e il coinvolgimento in talune attività di cura nei confronti dei figli non vengano più percepiti come inadatti, quando non minacciosi, al ruolo paterno-maschile (Volta et altri 2006).

            Sono poche, infatti, le ricerche psicologiche che prendono in considerazione anche il padre durante il periodo perinatale e quando viene fatto è solo in maniera marginale o indiretta; ciò probabilmente è dovuto sia alle maggiori difficoltà che si riscontrano nel coinvolgere i padri (Turan, Nalbant, Bulut & Sahip, 2001) sia al fatto che gli uomini raramente si sono soffermati a riflettere sugli aspetti emozionali della paternità, avendo la tendenza ad esprimersi più in termini di fatti concreti che in termini di vissuti (Pellai, 2007).

            E’ stato appurato che le difficoltà nel rapporto di coppia, la mancanza di supporto sociale e in particolare del proprio compagno, l’assenza di una persona con cui confidarsi sono considerati fattori rilevanti per problematiche nella salute mentale nella donna e per l’insorgenza della depressione postpartum (Romito et al, 1999; Nielsen Forman et altri, 2000; Watt et al. 2002; Stewart et altri, 2003); la depressione post-partum è un disturbo dell’umore che colpisce il 10-20% delle donne nel periodo immediatamente successivo al parto caratterizzato da crisi di pianto, cambiamenti di umore, irritabilità generale, perdita dell’appetito, insonnia o all’opposto difficoltà a rimanere svegli, assenza di interesse nelle attività quotidiane e/o verso il neonato (Gaynes, Gavin, Meltzer-Brody et altri, 2005). Si può quindi ipotizzare che coinvolgere maggiormente il padre negli interventi possa produrre risultati migliori nella prevenzione di malesseri che possono insorgere nella donna e nella coppia dopo la nascita di un bambino. Altre ricerche, inoltre, dimostrano che l’interazione dei padri con i loro figli neonati può esercitare una positiva influenza nello sviluppo del bambino (Cabrera et altri, 2000; Coleman et altri, 2004).

            Per molti uomini diventare padre è una conquista a lungo sognata, un obiettivo della vita che si realizza. Per altri, invece, è un evento a lungo rimandato, spesso evitato, non sempre cercato e voluto, anche quando si concretizza nella realtà, nonostante i diversi vissuti tutti gli uomini vivono inevitabilmente esperienze emotive profonde in prossimità dell’evento nascita del proprio figlio, ma ciò che colpisce è che pochi uomini riescono davvero a raccontare e parlare di tutto questo con qualcuno. L’esperienza emotiva dei nuovi padri rimane ancora un mistero inesplorato, un evento interiore di cui si sa pochissimo (Pellai, 2007).

            Per capire meglio i sentimenti e le emozioni dei neo-papà, nel 2006 presso il punto nascita di Montecchio Emilia (AUSL Reggio Emilia), sono stati coinvolti in Metodo 118 padri alla loro prima esperienza, consecutivamente afferiti all’Ospedale di Montecchio Emilia, sono stati valutati utilizzando un questionario costruito ad hoc con scala di Likert, somministrato prima e dopo il parto. L’obiettivo fu quello di indagare come i padri vivono l’attesa del figlio e quali sentimenti ed emozioni sviluppano dopo la nascita, di valutare inoltre se la modalità del parto (spontaneo o da taglio cesareo) influisce sul loro vissuto e se la partecipazione a un corso di accompagnamento alla nascita rappresenta un elemento di facilitazione nella relazione padre-figlio. Dalle risposte ai questionari somministrati prima del parto sono emersi la consapevolezza del proprio ruolo di padre, la conoscenza delle competenze del neonato, la voglia di prendersi cura del figlio senza delegare altri, il desiderio di protagonismo al fianco della madre.

            Il questionario somministrato dopo il parto rileva emozioni forti, desiderio di contatto fisico col neonato, sentimenti di protezione, felicità e tenerezza alla vista della prima poppata. Non sono emerse differenze significative tra i padri che hanno partecipato ai corsi di accompagnamento alla nascita e quelli che non vi hanno partecipato; anche la modalità del parto (spontaneo o operativo) non sembra incidere sul vissuto dei padri. La maggior parte di questi neo papà sono risultati ben consapevoli dell’importanza del loro supporto nei confronti sia della mamma che del bambino; in molti hanno esplicitato il desiderio di un contatto fisico con il figlio, verso il quale hanno espresso sentimenti di protezione e di tenerezza; i sentimenti manifestati alla vista del bambino sono risultati profondi e assai poco virili, e molti papà hanno dichiarato la volontà di prendersi cura del figlio senza delegare ad altri questo compito. E’ probabile che questi padri sopravvalutino le loro competenze e intenzioni, e che alla prova dei fatti si mostrino invece poco attivi e insicuri; dobbiamo però riconoscere che le loro percezioni sono risultate ricche e profonde.

            Presso L’ASL di Varese la ricerca di Pellai e collaboratori del 2009 riporta che presenti e coinvolti, i nuovi padri sono ancora in difficoltà nel riconoscere, validare e condividere con altri uomini e con la propria compagna i propri stati interni associati alla propria imminente esperienza genitoriale. È fondamentale, dicono i ricercatori, aiutare gli uomini a conquistare una nuova consapevolezza emotiva, riconoscendo e dando parole alle molte emozioni che si affollano nel loro mondo intrapsichico quando si avvicinano allo status di padri.

            La letteratura internazionale si è concentrata sui padri ed il loro vissuto. In uno studio del 1991, Angela D. Henderson e A. Jenise Brouse hanno condotto una ricerca che ha dimostrato come la transizione alla genitorialità sia un evento stressante, riconoscendo attraverso la letteratura che il ruolo del padre nella società nordamericana stava cambiando. Lo scopo di questo studio qualitativo era chiarire la comprensione dell’esperienza dei nuovi padri durante le prime 3 settimane dopo il parto: sono stati intervistati nelle loro case 22 padri; i risultati suggerirono che i nuovi padri passano attraverso un prevedibile processo in tre fasi durante la transizione verso la paternità.

            Altri studi di Richard J. Fletcher, Stephen Matthey and Christopher G Marley (2006) hanno evidenziato come i padri possono essere involontariamente emarginati nella fase perinatale dai Servizi e della compagne. Hanno constatato che si assiste ad un crescente riconoscimento del fatto che depressione ed ansia paterne nel periodo perinatale possono avere gravi conseguenze per la nuova famiglia e sottolineato come i Servizi sanitari potrebbero meglio supportare i nuovi padri fornendo loro informazioni sulla genitorialità dalla prospettiva paterna o permettendo loro di seguire incontri specifici come parte integrante di programmi di assistenza prenatale di routine.

            Messaggio pubblicitario Database Terapeuti SC 2016 Chi si occupa di genitorialità sa bene che intercettare i genitori durante la gravidanza è il periodo migliore per coglierne la collaborazione propositiva all’ascolto di tematiche teoriche e pratiche che vadano a sensibilizzarne il vissuto psicologico. Genitori e partner di coppia più consapevoli delle dinamiche della neonata famiglia e del primissimo sviluppo del bambino avranno maggiori opportunità per generare circoli virtuosi di emotività equilibrata nei loro piccoli e inevitabilmente nel proprio contesto famigliare nucleare e allargato.

            Attualmente non sembra essere il tempo della prevenzione sia essa psicologica, educativa o sociale bensì degli interventi, delle emergenze e forse della frustrazione di percepire raramente il successo delle azioni rivolte alla risoluzione del problema. Lavorare con i genitori nel percorso dell’accompagnamento alla nascita potrebbe determinare davvero uno spazio privilegiato per la maturazione di percorsi di sviluppo e competenza, anche nei genitori che tanto ne abbisognano e che tanto sentono di doversi nascondere, che tanto faticano a chiedere aiuto.

            Lavorare con i papà sarebbe poi un’esperienza duplice in termini di risvolti positivi: andrebbe infatti ad influenzare sensibilmente la salute psicologica e medica della mamma alle prese con cambiamenti impegnativi legati al corpo e alla mente non sempre accolti di buongrado (Pomicino L., 2006). Il rapporto di coppia sarebbe inoltre maggiormente sostenuto da un papà partner non per forza più presente –come lo stereotipo vorrebbe farci credere- ma bensì più consapevole emotivamente. Vi sono esperienza italiane presso il Consultorio di Somma Lombardo dove è previsto un modello di intervento preventivo rivolto agli uomini e definito Il cerchio dei papà. Tale progetto è stato pensato per sostenere la funzione paterna nel periodo della gravidanza e del primo semestre di vita del neonato ed è finalizzato a favorire il coinvolgimento emotivo-affettivo del padre nell’accudimento del proprio figlio, migliorando la triangolazione madre-padre-bambino e facilitando lo sviluppo di un attaccamento sicuro nel neonato (Pellai,20058).

Sostiene Alberto Pellai, conduttore degli incontri coi neopadri: Il cerchio dei papà è un primo esperimento di questo tipo e, considerato la risposta e la partecipazione che ha ottenuto da parte dei papà coinvolti, potrebbe divenire un esempio di buona pratica alla quale ispirarsi per replicare la medesima esperienza in altre realtà e contesti affinché si crei una cultura dell’evento nascita in cui mamma e papà insieme possano partecipare ai corsi di preparazione alla nascita.

            Ecco un altro buon auspicio: la prevenzione psicologica con parent training (corsi per genitori). Si potrebbe intercettare la coppia in attesa già durante le visite ostetrico-ginecologiche, dove sarebbe possibile proporre la partecipazione a momenti dedicati all’approfondimento sì del travaglio/parto come già viene fatto dal personale ostetrico, ma anche di tutte quelle dinamiche psicologiche connesse al periodo dell’attesa, per poi continuare ad incontrarsi anche dopo la nascita. E’ infatti con il lieto evento che terminano i cosiddetti corsi pre parto, oggi -con un ampliamento di visuale anche terminologica e di significato -accompagnamento alla nascita, il punto di vista della prevenzione però sarebbe proprio quello di non salutarsi con la nascita ma di continuare con i genitori un percorso di conoscenza del ruolo genitoriale e dello sviluppo del bambino. Successivamente, con l’inserimento nei primi servizi educativi quali nidi e scuole d’infanzia, la prevenzione educativa potrebbe passare fisiologicamente al personale educativo competente. Questo sarebbe a mio avviso un modo per lavorare sia sulla coppia genitoriale che sul coinvolgimento dei padri ai quali si potrebbero dedicare momenti (come anche alla madri) non necessariamente di coppia, avvicinandosi all’esperienza del cerchio dei papà.

            La riflessione sulle competenze di ruolo genitoriale e sulla conoscenza dello sviluppo psicologico del bambino sopraccitate è da proporsi anche ai pediatri che si trovano a convogliare nella propria onnisciente professione, la medicina certo, ma molta consulenza psicologica; per alcuni pediatri è il sapore della propria missione, per altri può essere fonte di burnout professionale.

Laura Bernardi         Studi Cognitivi Modena         13 luglio 2015                        bibliografia

www.stateofmind.it/2015/07/neopadri-emozioni

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SEPARAZIONE

PM non può autorizzare l’accordo a tre sulle condizioni

            Tribunale di Torino, settima Sezione, decreto 20 aprile 2015

Diniego di autorizzazione dell’accordo di negoziazione assistita, il Presidente del tribunale riesamina l’accordo e lo autorizza con modifiche. Il P.M. non può concedere l’autorizzazione nel caso in cui l’accordo di modifica delle condizioni di separazione o divorzio sia stato sottoscritto anche dal figlio maggiorenne, poiché la legge n. 162/2014 non prevede la possibilità di accordi trilaterali. Il Presidente del Tribunale in sede di comparizione dei coniugi, può invitare le parti a modificare l’accordo escludendo la partecipazione del figlio, ed in caso di modifica conforme, può autorizzare direttamente l’accordo.

            Arriva un’altra pronuncia, la seconda da Torino, sul passaggio dell’accordo di negoziazione assistita al Presidente del Tribunale competente a seguito della negata autorizzazione del P.M. Il diniego della Procura ha sollevato alcune problematiche, sia di tipo procedurale, sia di merito, poiché non è chiaro quale sia “lo spazio di azione” del Presidente del Tribunale al quale è trasmesso l’accordo non autorizzato da parte del P.M.

            E’ possibile in sede di udienza presidenziale compiere un riesame dell’accordo e discostarsi dal giudizio del P.M.?

            Il caso del Tribunale di Torino – deciso con il decreto del 20 aprile 2015 – riguardava un accordo per la modifica delle condizioni di divorzio contenente la rinuncia all’assegno di mantenimento da parte della moglie e la riduzione del mantenimento della figlia maggiorenne ma economicamente non autosufficiente. L’accordo, nel dubbio, era stato sottoscritto anche dalla figlia maggiorenne, in quanto la legge le attribuisce il diritto di agire in via autonoma per il riconoscimento del mantenimento anche al figlio.

            Tuttavia la Legge n. 162/2014 in materia di negoziazione assistita, si riferisce solo ed esclusivamente ai coniugi o agli ex coniugi, in caso di modifica delle condizioni di separazione e divorzio, nonostante la giurisprudenza abbia riconosciuto al figlio maggiorenne, portatore di un diritto autonomo, la possibilità di intervenire nel processo di separazione e divorzio con domande autonome o adesive rispetto alle richieste di uno dei genitori (Cass. Civ. 19 marzo 2012, n. 4296).

            Secondo la Procura, non poteva essere autorizzato un “accordo trilaterale” perché formalmente non previsto dalla legge.

            All’udienza presidenziale le parti erano comparse con i rispettivi legali e avevano chiarito la posizione della figlia, la quale aveva manifestato piena adesione a quanto concordato tra i genitori in relazione al mantenimento. Il Presidente del tribunale torinese, pur concordando con il parere del P.M. di escludere la partecipazione diretta del figlio maggiorenne all’accordo, ha tuttavia ritenuto legittima l’allegazione all’accordo del consenso preventivo della figlia, allo scopo di dare maggior stabilità agli accordi stessi e prevenire una possibile impugnazione o l’instaurazione di un giudizio contenzioso da parte del figlio.

            Il provvedimento si conforma alla precedente interpretazione dello stesso Ufficio e del provvedimento del Tribunale di Termini Imerese del 24 marzo 2015, secondo cui il Presidente, invita le parti ad adeguarsi ai rilievi del Pubblico Ministero, e nel caso di disponibilità in tal senso, autorizza egli stesso l’accordo.

            Inoltre, nel caso di specie, il dissenso del P.M. non riguardava le condizioni relative ai rapporti economici tra familiari, ma la forma dell’accordo di negoziazione assistita. Pertanto, avendo dichiarato la figlia di essere disposta ad abbandonare la procedura e di concordare con il nuovo assetto delineato dai genitori, l’accordo tra gli ex coniugi è stato autorizzato.

            Questa interpretazione – si legge nel provvedimento – è in linea con i principi generali che si applicano ai rapporti tra parte pubblica e organo giudicante, e pertanto si ritiene che il Presidente del tribunale, davanti al quale si apre un vero e proprio “incidente giurisdizionale”, abbia il potere di effettuare un riesame delle conclusioni cui il P.M. è pervenuto con il proprio diniego.

            Il Giudice può ritenere non fondato o non condivisibile il diniego in seguito ad una più attenta valutazione che emerge dalla comparizione delle parti nel corso dell’udienza.

            Anche il Presidente del tribunale di Termini Imerese ha ritenuto ammissibile che i coniugi, in sede di comparizione davanti al presidente del Tribunale, integrino o modifichino le condizioni dell’accordo, di propria iniziativa o su indicazioni del giudice, per ovviare alle carenze rilevate dal P.M.

            Il parere del P.M. sarebbe pertanto obbligatorio ma non vincolante, poiché il Presidente del tribunale, rivalutate le condizioni, le ragioni addotte a sostegno dell’accordo e la documentazione allegata, può ravvisare, invece, l’adeguatezza dell’accordo e autorizzarlo.

            Solo nel caso in cui i coniugi non si conformino a quanto rilevato dal giudice, sarà emesso un provvedimento di mancata autorizzazione che costringerà le parti ad adire le normali vie giudiziarie senza previsione di un passaggio automatico alla procedura ad hoc, ma con il deposito di un apposito ricorso al giudice competente per materia.

Giuseppina Vassallo  Newsletter Altalex     19 luglio 2015

www.altalex.com/documents/news/2015/04/24/negoziazione-assistita-in-materia-di-famiglia?utm_source=nl_altalex&utm_medium=referral&utm_content=altalex&utm_campaign=newsletter&TK=NL&iduser=144450

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SINODO DEI VESCOVI

Ciò che è duro non necessariamente è giusto

Con una bella citazione tratta da sant’Agostino, p. Jean-Miguel Garrigues ha risposto alle contestazioni che gli sono state mosse dopo la nota intervista rilasciata a Civiltà Cattolica.

www.lindicedelsinodo.it/2015/07/garrigues-risponde-la-dottrina-non.html

Negli stessi giorni, il card. W. Kasper, a sua volta, rispondeva, su Stimmen der Zeiten, alle critiche che aveva ricevuto per i suoi importanti interventi pre e post-sinodali.

www.lindicedelsinodo.it/2015/06/perche-mmettere-i-divorziati-risposati.html

Mi pare importante osservare una prima cosa. Entrambi questi importanti teologi sottolineano un dato decisivo: dal momento in cui papa Francesco ha voluto che si discutesse apertamente sulla condizione della teologia del matrimonio e sulle sue difficoltà, è impossibile obiettare a chi interviene di “oltrepassare” una “dottrina e disciplina acquisita”.

            Il primo punto che dobbiamo acquisire è che, a causa di nuove questioni e di nuove prospettive, non si dà, oggi, una dottrina e una disciplina “acquisita” che sia adeguata all’esperienza degli uomini e alla parola di Dio.

            35 anni dopo. Anzi, il buon senso, oltre che la tradizione, dovrebbe suggerire un’ulteriore considerazione. A suo tempo – ossia quasi 35 anni fa e in seguito ad un precedente Sinodo dei vescovi – l’esortazione apostolica Familiaris consortio (FC) intervenne mutando una serie di condizioni dottrinali e disciplinari, e non di secondo piano. L’affermazione della “non-separazione dei divorziati risposati dalla Chiesa” e la considerazione di una serie di “vie” per sancire la loro “comunione ecclesiale” rappresentò, obiettivamente, una novità per quei tempi. Ora non è affatto chiaro perché, 35 anni dopo, la Chiesa dovrebbe “tener ferma” quella posizione, anziché proseguire nel suo approfondimento e nella sua evoluzione.

Se la disciplina è cambiata allora, perché non dovrebbe cambiare anche oggi?

            Su questo punto una serie di interventi, oltre a quelli già citati, in particolare di G. Angelini e di A. Fumagalli                                           www.dehoniane.it/control/ilregno/articoloRegno?idArticolo=989596

Cf. Ultimo numero de Il Regno) aiutano a considerare questa come la posizione più lucida e più promettente. Ma ritengo che un terzo contributo debba essere considerato decisivo, almeno di fronte al lavoro che il sinodo ordinario dovrà iniziare ad ottobre: ed è la lucidissima lettura che un vescovo come J-P. Vesco ha proposto nel suo piccolo capolavoro Ogni amore vero è indissolubile.

www.lindicedelsinodo.it/2015/03/lindissolubilita-non-si-discute-ne-la.html

www.lindicedelsinodo.it/2015/05/ogni-vero-amore-e-indissolubile.html

Il libro, infatti, giustifica la propria rilettura delle questioni riguardanti i divorziati risposati proprio a partire dall’inadeguatezza della dottrina e della disciplina di FC. Diciamolo chiaramente: la questione non si potrà risolvere se non si supereranno le risposte di FC 83-84, che oggi appaiono inadeguate e addirittura contraddittorie con la dottrina ecclesiale.

            Vesco presenta sinteticamente le quattro vie con cui FC riteneva di poter affrontare la questione: ossia la “separazione della seconda coppia”, il “digiuno eucaristico”, l’“astensione dagli atti propri dei coniugi” e la “domanda di riconoscimento della nullità del primo matrimonio”. Com’è evidente, ognuna di queste “vie” ha le sue parziali giustificazioni e le sue ragioni. Ma tutte e quattro, se pretendono di esaurire le modalità pastorali con cui la Chiesa può rispondere alle “forme di vita” attuali, diventano una pietra di inciampo e una distrazione rispetto alla serietà delle questioni che i “divorziati risposati” propongono alla dottrina e alla disciplina ecclesiale. Se il Sinodo ordinario volesse semplicemente “confermare” questa disciplina ecclesiale, “tenendola per ferma” in modo rigido, perderebbe ogni giustificazione del proprio ruolo e diventerebbe un’incomprensibile conferma di una Chiesa solo autoreferenziale, sorda verso la realtà e cieca di fronte alle nuove opportunità di comunione che proprio queste forme di vita nuova offrono alla considerazione di tutti.

                        Nuova disciplina. Sarebbe paradossale che il papa, il quale vuole superare l’autoreferenzialità ecclesiale, accettasse un’impostazione clericale e anaffettiva della disciplina matrimoniale. È stato ancora mons. Vesco, con assoluta lucidità, a indicare una via non traumatica, ma ricchissima, per uscire da questa impasse: da un lato, una rilettura dell’“indissolubilità dell’amore naturale”, dall’altro, una ricomprensione del canone 915 del Codice di diritto canonico – superando le strettoie mentali ed esperienziali degli ultimi decenni – permetterebbero, fin da subito, quella prassi di penitenza che potrebbe pensare le “seconde nozze” non come adulterio continuato, ma come rottura di un’alleanza che può trovare una sua faticosa riconciliazione e anche rendere possibile un nuovo inizio, che Dio può benedire.

            Come ha detto sant’Agostino – e come sa chiunque appartenga alla tradizione in modo lucido e non rigido – «ciò che è duro non necessariamente è giusto». Considerare oggi le vite dei battezzati, che hanno visto morire il loro matrimonio e che hanno avuto la grazia di vivere un nuovo inizio di comunione, come «persistenza ostinata nel peccato grave» è uno scandalo per la ragione e un’offesa non solo alla tradizione di misericordia, ma anche all’autorevolezza giuridica di un ordinamento. Non è un caso che mons. Vesco abbia potuto scrivere cose tanto lungimiranti avendo esercitato – prima di diventare padre domenicano – il mestiere dell’avvocato. Comprende bene egli, in modo molto più diretto, i punti deboli di un “assetto disciplinare” che è diventato incapace di rapportarsi al reale e che è costretto a sempre maggiori “finzioni”, pur di non perdere potere. Cincischiare nel difendere tale impostazione ingiusta e inutilmente dura è solo tempo perso, che non può rendere un servizio né all’esperienza degli uomini, né alla parola di Dio.

            La disciplina di FC 83-84, con la sua impostazione inadeguata, non solo non contribuisce a risolvere il problema, ma è parte del problema stesso. Se i padri conciliari non sapranno riconoscere la problematicità – sistematica e giuridica – di questa impostazione, difficilmente potranno dare soluzione al problema. Poiché, come ricorda Aristotele, «è una forma di rozzezza non distinguere tra ciò che deve essere ricercato e ciò che non deve esserlo», non accorgersi che la disciplina stabilita da FC 83-84 non è una soluzione ma una parte non piccola del problema, sarebbe una forma di “rozzezza” con cui non sapremmo collocarci all’altezza della tradizione. Se l’Instrumentum laboris non è, almeno in questo caso, di grande aiuto – proprio per la ripetuta insistenza con cui si richiama a questa disciplina inadeguata – abbiamo però, già pronti, gli strumenti per evitare questa pericolosa apaideusìa (ignoranza).

            Andrea Grillo Settimana n. 28/2015, “Si/si-No/no-Do: questioni intersinodali / 12”

www.lindicedelsinodo.it/2015/07/cio-che-e-duro-non-necessariamente-e.html

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