NewsUcipem n. 552 –28 giugno 2015

NewsUcipem n. 552 –28 giugno 2015

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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Supplemento on line   direttore responsabile Maria Chiara Duranti.

direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le “news” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

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Per i numeri precedenti

dal n. 1 (10 gennaio 2004) al n. 526 richiedere a                                        newsucipem@gmail.com

dal n. 527 al n. 551 andare su

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ADOZIONE E AFFIDO                   da Sinodo Dei Vescovi. Instrumentum Laboris

ADOZIONE INTERNAZIONALE  L’adozione internazionale ha ancora un futuro?

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  Il minore può cambiare cognome, se ciò non lede la sua identità.

Figlio da una relazione di fatto: va mantenuto?

Ass. consulenti coniugali e familiari “il consulente familiare” n. 2\2015.

CHIESA CATTOLICA                    Per il Family Day la Cei ha rispettato il protagonismo laicale.

Family day. Rispetto, ma non mi convince.

Commissione Adozioni InternazionaliProtocollo intesa Arma Carabinieri e CAI

CONSULTORI FAMILIARI                       Consultorio protagonista nella costruzione del nuovo umanesimo

            “Consultori Familiari oggi”n. 1\2015

CONSULTORI familiari UCIPEM  Pescara. Percorso di conoscenza di se stessi

DALLA NAVATA                            13° domenica del tempo ordinario – anno B –28 giugno 2015.

DEMOGRAFIA                                Un esercito di figli unici: è l’Italia fotografata dall’Istat nel 2014.

EDUCAZIONE                                 6 condizioni che facilitano il dialogo con i nostri figli adolescenti.

FAMIGLIA                                       La crisi della famiglia è colpa del capitalismo?

FORUM Associazioni Familiari     Quelle persone vedove che nel medioevo trattavano con + civiltà.

FRANCESCO VESCOVO di Roma            Le ferite tra madre e padre incidono nella carne viva dei figli.

GENDER                                           Che genere di Dio. L’ideologia che non c’è.

La teoria del gender non c’e. Promuoviamo la parità.

MATERNITÀ                                               Governo: pubblicato il Decreto con le nuove tutele alla maternità

MATRIMONIO                                tra persone dello stesso sesso e mutamento di genere successivo.

PARLAMENTO Senato 2° Giustizia           Disciplina delle unioni civili.

SESSUOLOGIA                                Perché parlare di sessualità ed educazione di genere è un tabù?

SINODO SULLA FAMIGLIA          Instrumentum Laboris 2015.

Comunicare la speranza.

Il fiume e la sinfonia: una lettura dell’Instrumentum laboris.

Molte conferme, qualche apertura, tanta incertezza

UCIPEM                                            Convegno nazionale di Rimini. Notiziario n. 233

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                                                           ADOZIONE E AFFIDO

                                                      Sinodo Dei Vescovi. Instrumentum Laboris. estratto

138. Per dare una famiglia a tanti bambini abbandonati, molti hanno richiesto di mettere maggiormente in risalto l’importanza dell’adozione e dell’affido. Al riguardo si è evidenziata la necessità di affermare che l’educazione di un figlio deve basarsi sulla differenza sessuale, così come la procreazione. Quindi, anch’essa ha il suo fondamento nell’amore coniugale tra un uomo e una donna, che costituisce la base indispensabile per la formazione integrale del bambino.

A fronte di quelle situazioni in cui il figlio è voluto talvolta «per sé stessi» e in qualsiasi modo – come fosse un prolungamento dei propri desideri –, l’adozione e l’affido rettamente intesi mostrano un aspetto importante della genitorialità e della figliolanza, in quanto aiutano a riconoscere che i figli, sia naturali sia adottivi o affidati, sono «altro da sé» e occorre accoglierli, amarli, prendersene cura e non solo «metterli al mondo».

Partendo da questi presupposti, la realtà dell’adozione e dell’affido va valorizzata e approfondita, anche all’interno della teologia del matrimonio e della famiglia.

Sinodo Dei Vescovi    XIV Assemblea Generale Ordinaria            Instrumentum Laboris 23 giugno 2015

www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20150623_instrumentum-xiv-assembly_it.html#Adozione_e_affido

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

L’adozione internazionale ha ancora un futuro?

Il mondo dell’adozione si ritrova a Gabicce Mare (Pu) il 26 e 27 agosto per tentare una ripresa. La crisi dell’adozione internazionale non è più un mistero per nessuno. I dati, del resto, sono impietosi. Nel giro di soli 4 anni il numero di minori stranieri accolti da famiglie italiane si è più che dimezzato, passando dai 4.130 del picco datato 2010 ai meno di 2 mila stimati dalle proiezioni relative al 2014. E il primo semestre del 2015 non solo conferma questa tendenza al calo, ma addirittura, stando sempre alle prime proiezioni, segna un’ulteriore pesante perdita in termini di bambini adottati.

Un crollo che è figlio indubbiamente di una crescente sfiducia da parte delle famiglie nei confronti di questa forma di accoglienza. Le coppie che presentano domanda per l’adozione internazionale sono sempre meno. Dopo il record del 2004, con 8.274 richieste, si è scesi alle 6.092 del 2010 fino alle sole 4.015 del 2014. Le aspiranti famiglie adottive diminuiscono, quindi, a un ritmo drammatico di 500 all’anno.

L’Italia non è certo l’unico Paese ad assistere a una tale crisi dell’adozione internazionale. Quest’ultima è un fenomeno che colpisce anche tutti gli altri Paesi tradizionalmente tra i più accoglienti. Stati Uniti, Francia e Spagna, infatti, non stanno meglio di noi. In America si è passati dai 20.679 minori adottati nel 2006 ai 7.094 nel 2013. Oltralpe, negli stessi anni, sono scesi da 3.977 a 1.343. In Spagna ci hanno messo anche meno a perdere i 2 terzi dei minori accolti: erano 4.472 nel 2006, sono stati solo 1.669 nel 2012.

Di fronte a una tale situazione, chiedersi se l’adozione internazionale sia ormai destinata alla fine è quantomeno lecito. Da più parti il fenomeno è stato analizzato e se ne sono messe in evidenza le cause. Nessuno fino a oggi, però, ha ancora pensato a cosa fare di concreto per risollevare le sorti dell’accoglienza adottiva. In realtà non c’è mai stata, o non si è mai creata, l’occasione, in questi ultimi anni – proprio quelli della crisi – per vedere tutti gli attori del sistema-adozioni sedersi attorno a un tavolo per studiare le possibili vie di uscita dalla crisi. Ha prevalso, piuttosto, la tendenza a lamentarsi ognuno nel chiuso del proprio “orticello”.

Da qui l’idea di Amici dei Bambini di organizzare un convegno dedicato al tema “Adozione internazionale in cerca di futuro. La scelta politica dell’accoglienza”, in programma a Gabicce Mare, in provincia di Pesaro e Urbino, il 26 e 27 agosto. Lo scopo del convegno sarà proprio quello di imprimere un netto cambio di rotta, permettendo ai vari interlocutori del settore di confrontarsi, finalmente, tra loro in modo costruttivo.

Si cercherà di delineare innanzitutto un quadro generale della situazione, ascoltando il punto di vista dei 3 Paesi che, insieme all’Italia, sono i più rappresentativi per l’adozione internazionale – Stati Uniti, Francia e Spagna – e che descriveranno come stanno cercando di uscire dalla crisi. Quindi si passerà la parola ai rappresentanti dei principali Paesi di origine dei minori adottati che spiegheranno se, per loro, l’adozione internazionale abbia ancora un senso e sia ritenuta necessaria.

Si guarderà poi in “casa nostra”, cercando di capire se l’attuale sistema imperniato sulla sussidiarietà possa ancora considerarsi valido. I primi a intervenire sul tema saranno i rappresentanti delle Regioni.

Riguardo agli enti autorizzati, ci si chiederà se abbia ancora un senso un sistema basato su di essi, dal momento che già nel 2011 il Comitato Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza l’aveva pesantemente messo in discussione. In quell’occasione, infatti, le Nazioni Unite chiesero di “garantire un monitoraggio efficace e sistematico, di valutare l’opportunità di limitare l’elevato numero degli enti autorizzati, eventualmente innalzando i requisiti di qualità richiesti, e di garantire che le procedure di adozione internazionale non siano fonte di profitto indebito per nessuna delle parti”. Su questi temi sarà interessante sentire anche il punto di vista della Commissione permanente de L’Aja.

Quindi il momento più importante del convegno, con i veri protagonisti dell’adozione internazionale: le famiglie, rappresentate dalle loro associazioni, e gli enti autorizzati. È soprattutto da loro che ci si aspetta un’indicazione per ridare fiducia alle coppie e quindi un futuro all’adozione internazionale.

            Ai. Bi. 26 giugno 2015                      www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Il minore può cambiare cognome, se ciò non lede la sua identità.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 12640, 18 giugno 2015.

La Corte di Cassazione ha parzialmente accolto il ricorso di una madre, avverso la pronuncia con cui la Corte d’Appello autorizzava il padre a riconoscere la propria figlia ed attribuiva a quest’ultima (esclusivamente) il cognome paterno.

Avverso tale statuizione, lamentava la donna, come i giudici di merito avessero disposto l’attribuzione del cognome paterno in maniera del tutto “officiosa”, senza alcuna valutazione critica circa la corrispondenza o meno della scelta all’effettivo interesse della minore.

Sul punto, la Cassazione – nel respingere la censura – ha aderito alla lettura della Corte territoriale, premettendo come, salvo i casi in cui ne possa derivare un pregiudizio al minore a causa della reputazione del padre, l’assunzione del solo patronimico (escluso il cognome materno), può non essere disposta solo quando l’esclusione del cognome della madre – ormai naturalmente associato al minore nel contesto sociale in cui vive – possa risolversi in un’ingiusta privazione della sua personalità.

            Ma nel caso di specie – ha rilevato la Corte – non versando ancora la minore nella fase adolescenziale o preadolescenziale, deve ritenersi che questa non abbia ancora acquisito con il matronimico, nella trama dei suoi rapporti personali e sociali, una definitiva e formata identità.

Riconosciuto invece dalla Cassazione – che ha accolto il relativo motivo di censura- il diritto della madre al rimborso delle spese di mantenimento della figlia sostenute dal momento della nascita sino al riconoscimento del padre: E ciò, nonostante quest’ultimo avesse già in precedenza stipulato una polizza assicurativa a tal fine.

            Ha, infatti, precisato la Suprema Corte che, nell’ipotesi in cui, al momento della nascita – come nel caso di specie – il figlio sia stato riconosciuto da uno solo dei genitori, il quale abbia assunto l’onere esclusivo del mantenimento anche per l’altro genitore, questo ha il diritto di regresso nei confronti dell’altro per la corrispondente quota (ex artt. 148 e 261 c.c., nonché, ex art. 316 bis introdotto con recente D.Lgs 154/2013.)

Em-Edotto tele diritto                       19 giugno 2015

www.telediritto.it/index.php/diritto-civile1/giurisprudenza/7296-il-minore-puo-cambiare-cognome-se-cio-non-lede-la-sua-identita

Figlio da una relazione di fatto: va mantenuto?

            Alla madre spetta il risarcimento per le spese sostenute per mantenere il figlio nato da relazione extraconiugale dopo che il padre si è fatto vivo e ha riconosciuto il minore: il dovere del mantenimento rimane fino all’indipendenza economica della prole.

Anche se nato da una relazione di fatto, ossia senza matrimonio, il figlio va sempre mantenuto da parte di entrambi i genitori: così, se il padre si fa vivo dopo diverso tempo, e riconosce il minore, l’ex compagna gli può chiedere gli arretrati non corrisposti dalla nascita; è questa la sintesi della stessa sentenza della Cassazione.

Secondo la Corte la madre ha sempre diritto al rimborso pro quota delle spese da lei sostenute anteriormente al riconoscimento da parte del padre. Come è noto, infatti, l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio sorge automaticamente con la nascita per il solo fatto di averli generati e rimane fino al momento del conseguimento della loro indipendenza economica: indipendenza che, certo, non significa un lavoro a tempo indeterminato e sicuro, ma comunque una collocazione lavorativa tale da consentirgli – anche senza certezze per il futuro – la possibilità di mantenersi da soli in modo dignitoso.

Come si quantifica tale importo? Difficile, anche per il giudice, determinare a quanto ammonti il rimborso delle spese spettante al genitore che ha provveduto fin dalla nascita all’integrale mantenimento del figlio. Di certo, si tratta di un risarcimento vero e proprio per gli esborsi sostenuti da solo per il mantenimento. Proprio perché per tali spese risulterebbe complessa una quantificazione nel loro preciso ammontare, per determinare le somme dovute a titolo di rimborso il giudice può ricorrere al cosiddetto “criterio equitativo”: in pratica, il magistrato determina l’importo in base a quanto gli appaia più giusto, benché svincolato da qualsiasi documento o criterio certo e prefissato.

             Redazione la legge per tutti 21 giugno 2015

www.laleggepertutti.it/90896_figlio-da-una-relazione-di-fatto-va-mantenuto

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ASSOCIAZIONE ITALIANA CONSULENTI CONIUGALI E FAMILIARI

“il consulente familiare” n. 2\2015.

E’ stato edito il n. 2\2015 della rivista organo dell’AICCeF.

  • Maurizio Qualiano. Editoriale
  • Rita Roberto. Lettera della Presidente.
  • La giornata di studio a Roma 19 aprile 2015. La metodologia del consulente familiare.
  • Emiliana Alessandrucci. Presidente del Colap.
  • I laboratori. Cinque schede di lavoro

                                   Interviste.       Francesco Belletti.

  • Incontro dei referenti regionali. Roma 1\8 aprile 2015
  • COLAP. Ripartelitalia: le professioni facilitano la crescita.
  • Sul divorzio breve: Francesco Belletti, Francesco Lanatà, Rita Roberto,
  • Altri modi di lasciarsi: la negoziazione assistita e l’accordo davanti al Sindaco.
  • Maurizio Qualiano. Il contratto di consulenza e consenso informato.
  • Ermanno D’Onofrio. Questione di nome? (consulenti e counselor)
  • Alessandra Bialetti. La consulenza; un percorso di empowerment?
  • Angelo Gambi. Il colesterolo e il consulente.           

                                   Letto e visto per voi.

  • Michele Placido. La scelta
  • Claudio Risè. Il padre, l’assente inaccettabile.

                                                           Notizie AICCeF

  • Esami d’ammissione a Socio effettivo;
  • Berlino Conferenza internazione                                                    wwwilconsulente5.blogspot.it
  • Elezioni per il rinnovo degli Organi collegiali.

                                                                                                                                 www.aiccef.it

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CHIESA CATTOLICA

Forte: “Per il Family Day la Cei ha voluto rispettare il protagonismo laicale”.

A margine della presentazione dell’Instrumentum laboris del Sinodo di ottobre, l’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte, segretario speciale dell’assise, ha commentato la manifestazione dello scorso 20 giugno 20015. All’arcivescovo di Chieti-Vasto abbiamo chiesto un commento sulla manifestazione organizzata e promossa dal neonato comitato “Difendiamo i nostri figli”. L’evento sta facendo parlare di sé, perché – nonostante l’organizzazione in soli 20 giorni – ha radunato in piazza San Giovanni in Laterano, circa un milione di persone, cattolici e non, che hanno protestato pacificamente contro il Ddl Cirinnà sulle unioni civili e ribadito un secco “no” all’ideologia del gender che si insinua, subdolamente, nelle scuole e nell’educazione delle nuove generazioni.

A riguardo, l’illustre teologo ha evidenziato due aspetti “positivi”, in vista anche dell’assemblea ordinaria di ottobre.

  1. Il primo – ha detto – “è il fatto che si è trattato di laici e di famiglie. Credo che sia esattamente coerente con quanto affermato oggi, e cioè che il protagonismo deve essere dei laici e delle famiglie quando si affrontano temi che li riguardano direttamente. E questo non significa che i vescovi non siano d’accordo nell’enunciare il valore della famiglia, ma significa riscoprire quella “ecclesiologia totale”, ovvero il protagonismo di tutti i battezzati che è un aspetto bello e positivo della Chiesa”.
  2. Seconda cosa – ha aggiunto Forte – “questa manifestazione non è tanto contro, ma anzitutto mi è sembrata una manifestazione per. Per dire che la famiglia è un valore prezioso per tutti, anche per chi non crede, e che la famiglia ha un valore sociale, oltre che spirituale e umano. Come tale essa va pertanto sostenuta con leggi adeguate che ne favoriscano la stabilità, la solidità, tante volte minacciata dalle problematiche quotidiane, come la mancanza di lavoro e così via”.

Quindi, ha sottolineato l’arcivescovo, l’evento in piazza San Giovanni è stato “un grande sì alla famiglia come dono per tutti!”. Ai cattolici che, in un certo senso, si sono sentiti ‘abbandonati’ o comunque poco sostenuti nella loro ‘battaglia’ dalla Conferenza Episcopale italiana, mons. Forte ha risposto dicendo che “anzitutto dobbiamo sempre ricordare a tutti che nessuno è abbandonato da Dio”. Poi, ha precisato, “la Cei ha fatto una scelta di rispetto del rispetto del protagonismo laicale, che, personalmente, ritengo una scelta addirittura di maturità, di crescita…”.

            Al segretario speciale del Sinodo abbiamo poi ricordato le parole del segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, all’indomani del referendum sulle nozze gay in Irlanda. Commentando il risultato, che aveva decretato un plebiscito con il 62% dei voti a favore del matrimonio tra persone dello stesso sesso, Parolin aveva detto: “Credo che si possa parlare non soltanto di una sconfitta dei principi cristiani ma di una sconfitta dell’umanità”.         Dichiarazioni forti, che avevano suscitato non poche polemiche, e che oggi sembrano quasi stridere con i toni dell’Instrumentum laboris, dove le parole-chiavi risultano essere invece “accoglienza” e “accompagnamento” verso tutti, soprattutto verso situazioni familiari ferite o anomale, come coppie omosessuali, appunto, ma anche divorziati risposati, non risposati, famiglie monoparentali.

            Non sembra esserci una disparità nelle visioni della stessa Chiesa? No, ha affermato mons. Bruno Forte: “Approfondendo le cose, in realtà ti accorgi che non esiste alcuna disparità su queste cose. Sono semplicemente angolature diverse per dire una stessa cosa: che la famiglia naturale, fondata sull’unione tra uomo e donna aperta alla procreazione, è la buona novella che oggi noi ci sentiamo di riproporre al mondo”.

            “Altre situazioni – ha proseguito – portano con sé il riconoscimento di alcuni diritti, ma questo è un problema della società civile e dello Stato, che non significa l’equiparazione di queste situazioni alla famiglia”.

Salvatore Cernuzio    Zenit.org        23 giugno 2015

www.zenit.org/it/articles/mons-forte-per-il-family-day-la-cei-ha-voluto-rispettare-il-protagonismo-laicale

            Family day. Rispetto, ma non mi convince.

            Il 20 giugno 2015 a Roma si è svolta una manifestazione promossa da varie sigle diciamo pro-life e pro-family che giornalisticamente è stata letta come una sorta di Family day 2, evocando quella più partecipata che ebbe luogo nel 2007, al tempo del secondo governo Prodi. Sensibili tuttavia le differenze. Due in particolare, concernenti oggetto e promotori. Semplificando ma, fuor di ipocrisia, allora il bersaglio erano i “dico”, cioè la proposta di legge poi affossata sulle unioni civili, e promotrici erano anche le principali associazioni ecclesiali (alcune un po’ precettate) dietro la palese regia della Cei guidata dal cardinale Ruini, che si adoperò per assicurare la partecipazione massiccia di diocesi e parrocchie. Ora, tra i soggetti associativi e istituzionali promotori non figurano quelli di natura ecclesiale e la Cei e i vescovi hanno fatto un passo di lato. Nonostante il bersaglio, diciamo così, fosse più esteso e il quadro più problematico, come si evince dal titolo assegnato all’iniziativa: “difendiamo i nostri figli”. E cioè la proposta di legge sulle unioni gay in discussione al Senato, ma anche il divorzio breve, la teoria della pluralità dei modelli familiari e soprattutto la proposta di introdurre nelle scuole le questioni connesse agli orientamenti sessuali e al gender. Anche a valle del referendum irlandese che ha avuto vasta eco in Italia.

            Merita chiedersi perché la Chiesa istituzione abbia adottato un atteggiamento più defilato e prudente, pur a fronte di un’accelerazione vistosa del parlamento su questo fronte. È facile rispondere. Decisiva la svolta impressa da Papa Francesco, ancorché non adeguatamente assimilata dai vertici di una Chiesa italiana ancora alla ricerca di sintonizzarsi con essa. Senza però equivocare.

            A mio avviso, a dispetto di certi luoghi dettati da letture superficiali, Papa Francesco non recede in nulla sul piano dei principi etici, della visione umana e cristiana della sessualità e della famiglia. La svolta attiene ad altro. Segnatamente a quattro profili:

  1. non avalla l’evoluzione del costume, ma ne prende realisticamente atto (così ha commentato il primate d’Irlanda l’esito del referendum), anche se esso fa problema;
  2. non misconosce l’esigenza di tenerne conto e dunque delle mediazioni politico-legislative nell’opera tesa a insediare quei principi nella vita della polis;
  3. affida tale difficile compito al responsabile discernimento dei laici cristiani dentro un confronto-collaborazione con gli uomini di buona volontà;
  4. sul piano educativo e pastorale proprio della Chiesa sollecita a moltiplicare, in positivo, gli sforzi perché sia mostrato e proposto il Vangelo della famiglia, la sua attrattiva, il suo valore umano e sociale.

Detto questo, la mia opinione sulla manifestazione è la seguente.

  1. Condivido l’idea della centralità e della peculiarità della famiglia quale disegnata in Costituzione e l’esigenza di un concreto sostegno ad essa, preservando appunto un “favor familiae”. Dunque non accedendo a improprie equiparazioni con altre forme di unione.
  2. Anche in una società liberale e pluralista, il legislatore deve procedere con la massima prudenza quando è in gioco l’interesse del minore.
  3. Non demonizzo la teoria gender, ma non mi convince la tesi secondo la quale la differenza sessuale non avrebbe rilevanza alcuna nella costruzione della personalità e quindi penso che, dentro l’educazione scolastica, se ne possa sì ragionare ma con tutte le cautele connesse al processo evolutivo dei minori. Insomma tutto dipende dal modo, che tuttavia sta a significare tante cose per nulla scontate nelle nostre scuole: preparazione degli insegnanti, cura di informare ed educare rispettosamente e non indottrinare, dialogo con i genitori.
  4. Proprio lo statuto di una società liberale e democratica prescrive che tutti possano esprimersi e fare valere le proprie convinzioni ed opinioni. Dunque va riconosciuto il diritto di parola e di manifestazione di chi difende una visione tradizionale di famiglia come di chi se ne distanzia. Guai al pensiero unico.
  5. Tuttavia non mi riconosco nei modi e nei toni dei promotori del “difendiamo i nostri figli”. Mi spiego. La difesa della famiglia non esclude l’esigenza di riconoscere e disciplinare altre forme di unione. Ancora: su temi di questa natura, penso non aiutino le adunate, con i loro toni assertivi e apodittici. Mi è parsa sopra le righe la reazione polemica del sottosegretario Scalfarotto, ma, per converso, non hanno giovato alla manifestazione quegli esponenti del centrodestra che non hanno resistito alla tentazione di metterle su il cappello. Di più: in un paese come il nostro e, considerati i precedenti, anche se si ha l’avvertenza di marcare il carattere aconfessionale della mobilitazione (con qualche infelice eccezione, come nel caso di Kiko Arguello, carismatico fondatore dei Neocatecumenali, che ha accostato la croce al microfono e ha opposto il Papa alla Cei), essa assume inesorabilmente una coloritura che evoca quella impropria opposizione laici-cattolici. Con il noto effetto di instillare nei non cattolici una reattività alle presunte ingerenze confessionali e nei cattolici la malcelata pretesa di fare passare il proprio punto di vista come universalmente valido a monte della cura di argomentarlo razionalmente e persuasivamente. Insomma, se la prospettiva è quella di maturare insieme soluzioni legislative condivise, modo e toni sono decisivi. Infine, per venire al punto oggi più stringente, penso che sia saggio applicarsi a un’attività migliorativa ed emendativa della proposta relativa alle unioni civili che sta al Senato. Non adoperarsi per affossarla. Una legge è necessaria. E comunque l’attuale parlamento, complice la giovane età di molti suoi membri, sembra decisamente orientato a vararla. Chi, a torto o a ragione, se ne preoccupa e dissente, farebbe bene a riflettere appunto sull’accelerazione irlandese, paese storicamente cattolicissimo. Se e quando non si adottano soluzioni equilibrate a tempo debito – non è il caso di scomodare il Kairos [momento supremo].– poi si producono derive e accelerazioni sorprendenti. La stessa Cei dovrebbe chiedersi se avere contrastato allora i “dico” non sia stato poco lungimirante.

Franco Monaco   c3dem costituzione, concilio, cittadinanza-30 giugno 2015   www.c3dem.it/16939

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Protocollo intesa Arma Carabinieri e CAI

            Firmato il 20 giugno 2015 un importantissimo protocollo di intesa tra la Commissione per le Adozioni Internazionali e l’Arma dei Carabinieri per la tutela dei diritti dei minori e la trasparenza delle adozioni internazionali, come da allegato.

Comunicato stampa 20 giugno 2015            www.commissioneadozioni.it/IT.aspx?DefaultLanguage=IT

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CONSULTORI FAMILIARI

            Il consultorio familiare protagonista nella costruzione del nuovo umanesimo. estratto

(…) Fragilità e situazioni che molto spesso sono oggetto dell’attenzione del consultorio familiare nelle loro dimensioni umane e sociali, nonché spirituali e religiose ove esse siano avvertite, rappresentate o problematizzate dagli utenti. Stabilite le dovute differenze, sentiamo riecheggiare risonanze di stile consultoriale nell’attenzione e premura con cui la Chiesa deve accompagnare i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza (RS, 28). Così, nell’empatia dell’operatore di consultorio, possiamo vedere applicata un’eco, seppure lontanissima dello sguardo accogliente di Gesù. Come pure possiamo vedere un’immagine, anch’essa lontanissima, della prossimità del Signore nei confronti di chi soffre, spera ed ama, nell’azione di accompagnamento compiuta dall’operatore di consultorio. Il quale partecipa e non condanna mentre conduce l’utente alla scoperta della verità della propria persona e delle relazioni affettive. Scoperta che prepara la volontà a cambiare comportamenti e stili di vita.

            Quell’eco e quell’immagine non sono soltanto similitudini, ma propongono un modello alto, ed allo stesso tempo umanissimo, alla metodologia relazionale dello specialista consultoriale nel suo farsi carico della problematica umana di chi ripone in lui la sua fiducia. Il quale nel suo andare incontro alla sofferenza dell’utente, deve spesso accompagnarlo per condurlo ad uscire da una situazione di chiusura patita, agita o negata, verso una posizione dalla quale vedere e guardare dentro i nodi problematici, che possono contenere possibilità di superamento, di guarigione delle ferite e di nuova illuminazione della propria realtà.

            In questo processo di accompagnamento il protagonista del cambiamento è la persona, la coppia, la famiglia, che si rivolge al consultorio, essendo lo specialista colui che promuove o propone nuove possibilità di percorsi, nell’accoglienza, nella solidarietà e nella sinodalità interpersonale verso l’assunzione di responsabilità, che educa dal vecchio al nuovo.

            Gli operatori di consultorio sanno che non è la normatività ingiuntiva priva di significato per la vita e di compresa giustificazione che pro-muove la persona, ma l’adesione razionale ed affettiva a ciò che si giudica, si valuta importante per se stessi, l’adesione a ciò che agli occhi della persona appare come un valore, ovvero a ciò per cui valga la pena vivere e agire. La ricerca e la scoperta del valore non è uguale per tutti, anzi si differenzia da persona a persona, mentre si con-vive nelle scelte quotidiane. Se da una parte in questo c’è l’affermazione dell’originalità di ogni uomo e donna, che in forma personale “gradualmente” si avvicina alla verità valorizzata e amata per la vita, dall’altra c’è l’affermazione del sistema relazionale in cui siamo collegati in una molteplicità di dimensioni.

            L’antropologia personalistica e il sistema di valori che concorrono a comporla risultano qui di primaria importanza. Accanto a questo c’è la partecipazione alla condivisione dei valori nei contesti formativi, dove la famiglia da oggetto destinatario di attenzioni può diventare soggetto che agisce da protagonista e promotore di formazione, nella sua qualità di agenzia educativa primaria non soltanto per l’età evolutiva, ma anche nelle dinamiche degli adulti. Tanto che nel Sinodo “è stata ripetutamente richiamata la necessità di un radicale rinnovamento della prassi pastorale alla luce del Vangelo della famiglia, superando le ottiche individualistiche che ancora la caratterizzano”(RS,37), e si arriva ad ufficializzare quanto da più parti già richiesto o messo in opera: “Per questo si è più volte insistito sul rinnovamento della formazione dei presbiteri, dei diaconi, dei catechisti, e degli altri operatori pastorali mediante un maggiore coinvolgimento delle famiglie” (ivi), facendo delle famiglie quasi dei docenti associati nella formazione dei “quadri” ecclesiali.

            Ma se la Chiesa, attraverso il Sinodo, chiede un “radicale rinnovamento” del suo modo di operare nella pastorale ponendo la famiglia in cattedra, specularmente chiede che quanti operano in ambito culturale, sociale e politico, si attivino a rimuovere gli ostacoli che impediscono un’autentica vita familiare (RS, 38). Tra i soggetti sociali e culturali possiamo annoverare anche i consultori, che nel loro specifico, diffondono cultura della famiglia e contribuiscono a migliorare la società.

            Gli operatori dei consultori familiari, certamente, si sentono confortati nel costante proposito di rafforzare la portata della loro umanità nella relazione d’aiuto e nell’affinamento dell’“arte dell’accompagnamento” (RS, 46), quando leggono nelle parole della Relazione i loro stessi intenti nel curare le famiglie ferite, accolte con pazienza e delicatezza (RS, 43). Le tante forme di perdono, a volte difficile (RS, 44) alle quali poter condurre nel tempo, a volte molto lungo, le persone offese; il trattare l’effettiva realtà delle fragilità familiari con sguardo differenziato (RS, 45); la possibilità che siano gli stessi consultori i centri di ascolto specializzati alla riconciliazione e alla mediazione (RS, 47); la sollecitudine dispiegata soprattutto quando nelle situazioni di difficoltà c’è la presenza dei figli o non è esente la povertà (RS, 50); il rispetto e la delicatezza con cui accogliere gli uomini e le donne con tendenze omosessuali (RS, 55), sono tutti temi di cui si parla nella Relazione. Possiamo pure dire che sono anche pennellate utili a delineare il lavoro degli operatori che fa dell’attento ascolto delle persone un punto di forza di un servizio che, nel dialogo che si articola secondo le situazioni e le età, avanza proposte di educazione, formazione e crescita sia in ordine al progetto famiglia (cfr RS, 58-60) sia quando tale progetto diventa problema.

            Il dialogo aperto dalla Chiesa con questo Sinodo sulla famiglia diventa, allora, anche un fraterno, fiducioso, leale e collaborativo guanto di sfida rilanciato innanzitutto al suo interno, ma, di conseguenza, anche al suo esterno, poiché la Chiesa è nel mondo e per il mondo.

            Come dire, dalla questione famiglia nessuno può sentirsi esonerato; essa riguarda tutti, la Chiesa, le Nazioni, gli Stati, la società civile, le religioni, l’umanità intera, poiché ne va di mezzo il fondamento stesso della loro esistenza. La Chiesa intende, in modo convinto, dare una mano non soltanto a chiarire questioni, ma soprattutto nel far vivere all’uomo e alla donna di oggi la verità sulla famiglia che rinnova la faccia della terra nelle generazioni e nelle trasformazioni che esse producono.

Anche gli operatori dei consultori sono coinvolti operativamente in questo franco, nuovo e costruttivo dialogo/sfida, come professionisti e come cittadini che partecipano con sollecitudine alla vita della città dell’uomo. Non pochi anche come cristiani.

            Ci avviamo ormai verso la celebrazione del Sinodo Ordinario sulla famiglia in Roma (4-25 ott. 2015), preceduto dall’VIII Incontro mondiale delle famiglie a Filadelfia (22-27 nov 2015) e seguito dal V Convegno ecclesiale nazionale di Firenze “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”(9-13 nov. 2015). Un concentrato di eventi importanti e significativi di grande apertura al dialogo ed al confronto che cade nel 40° anniversario dell’istituzione con legge di stato dei consultori familiari in Italia (Lg. 405/1975), a testimonianza della perenne e sollecitante novità dell’originalità della famiglia.

            Il consultorio familiare con la profezia che contiene, nel suo collocarsi tra evangelizzazione e promozione umana, si attesta come luogo ormai storico per la continua e costante costruzione di un umanesimo perennemente nuovo. Che, al pari di ogni umanesimo che ricerca la bontà, la bellezza e la verità dell’uomo, anela nel suo profondo ad una trascendenza che dia risposte proattive alle molte inquietudini della mente e del cuore di ogni uomo e di ogni donna, chiamati con il proprio nome.

dr Pantaleo Nestola, vicepresidente CFC      24 giugno 2015

www.cfc-italia.it/cfc/index.php/2-non-categorizzato/378-dialoghi-sinodali-il-consultorio-familiare-protagonista-nella-costruzione-del-nuovo-umanesimo

“Consultori Familiari oggi”2015

E’ pubblicato il numero 1 di giugno 2015 del 23° anno della rivista della Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione cristiana.

                                   Contributi alla vita consultoriale

Ilaria Montanari. Parlare con adolescenti e giovani della separazione dei genitori.

Luigi Croce – Federica Di Cosimo. Lavorare con le famiglie di persone con disabilità nella comunità e nei servizi.

Questioni di vita sociale

Francesco Bossio. L’anziano in famiglia come educatore. Riflessioni pedagogiche

Gestire relazioni

Claudia Spina. Per una pedagogia dell’ascolto. Da un logos inascoltante a un logos capace di ascolto e di parola.

Rosita Ghidelli, Tra funzione e ruolo: alla ricerca del padre.

Il valore dell’esperienza

Seminario del Centro studi pedagogici sulla vita matrimoniale e familiare. Essere coppia oggi, tra progetto e realtà.

Pietro Boffi. La relazione di coppia oggi. Una sfida per la famiglia?

Xavier Lacroix L’aventure spirituelle du couple. Un service relationel pour le soutien éducatif à la famille.

Romolo Taddei. La consulenza alla coppia.      

Claudio Giuliodori. La Chièsa in cammino sinodale con la famiglia. Aspetti teologici e pastorali.

                                    Recensioni

Elisabetta Musi, Educare all’incontro tra generazioni.

Luigi Pati (a cura dì), Pedagogia della famiglia.

Domenico Simeone. Il consultorio familiare

M. D’Ambrosio, M. Occhipinti, G. Quinzi, F. Sciampliciotti (a cura di), Alla ricerca della Famiglia.

Pìerluigi Malavasi, Dare la vita

Fabrizio D’Aniello, Il lavoro che educa.

www.cfc-italia.it/cfc

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Pescara. Percorso di conoscenza di se stessi

Alla scoperta di nuove possibilità e relazioni soddisfacenti.

Referente del progetto: consulente Familiare Ivana De Leonardis

            Il percorso mira, attraverso l’utilizzo di dinamiche esperienziali, a favorire la capacità di auto-ascolto, l’esplorazione di sé e del proprio mondo interiore, per acquisire maggiore consapevolezza di ciò che siamo.

            Obiettivi del percorso

  • Facilitare il riconoscimento e la valorizzazione delle proprie risorse e l’accettazione/integrazione dei propri limiti.
  • Favorire le relazioni all’interno del gruppo, attraverso stili comunicativi improntati all’autenticità e al rispetto di sé e degli altri.
  • Facilitare l’ascolto dei propri bisogni e la comprensione dei propri stili comportamentali.

Contenuti dei moduli. Il quadro di riferimento teorico-applicativo è basato sul modello della psicologia umanistica e fornisce ai partecipanti griglie di lettura e modalità di intervento integrate, al fine di offrire agli utenti sostegno e aiuto altamente personalizzati, partendo dalle esigenze e dalle caratteristiche di unicità e soggettività di ogni persona.

            Il training si articola in 10 moduli di 3 ore ognuno, per complessive 30 ore.

            Si specifica, inoltre, che:

  • non è possibile partecipare in coppia (partner, amici, conoscenti, ecc);
  • pur trattandosi di moduli a contenuto differenziato è consigliata la partecipazione per tutta la durata del percorso;
  • non verranno accolte nuove richieste di accesso a percorso iniziato.

Destinatari. Chiunque abbia voglia di mettersi in gioco e cogliere un’opportunità di crescita personale. La metodologia di apprendimento è teorico-esperienziale. Attraverso esercitazioni tecnico-pratiche si vuol favorire lo sviluppo e l’integrazione di abilità comunicative e di ascolto utili a migliorare la relazione con l’altro sia in ambito professionale che personale.

            Il 30% delle ore è dedicato alla parte teorica, il 70% alla pratica guidata.

            Periodo di inizio attività: Settembre/Ottobre 2015

Per informazioni e iscrizioni                                                  www.ucipempescara.org/percorsi/v ▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

DALLA NAVATA

Sapienza         01.14 «Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte, né il regno dei morti è sulla terra.»

Salmo             30.06 «Alla sera ospite è il pianto e al mattino la gioia.»

2 Corinzi        08.13 «Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia eguaglianza.»

Marco             05.43 «E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.»

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DEMOGRAFIA

Un esercito di figli unici: è l’Italia fotografata dall’Istat nel 2014.

La famiglia italiana si rimpicciolisce sempre più. La relazione annuale del Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, presentata al Parlamento, parte dai dati dell’Istat riferiti al 2014. Dai quali si evince che “sono ormai un’esigua minoranza coloro che vivono in famiglie in cui ci sono anche i nonni (5,3%). Prevale ancora la famiglia con il padre, la madre e altri fratelli (62,4%), ma crescono le famiglie composte da padre, madre e figlio (17,9%), e quelle formate da un solo genitore, in particolare con la madre (6,5%).

            Insomma, domina il modello del figlio unico e quasi raddoppiano le famiglie monogenitoriali che passano da 535 mila nel 1999-2000 a 954 mila nel 2013-2014. I nuclei monogenitore con figli minorenni sono composto nell’86,4% dei casi da madri sole”, si legge nella relazione.

            Le coppie con figli minorenni sono in totale 5 milioni 676­ mila, la percentuale di quelle con un solo figlio è il 51,6%, quelle con due il 39,9% e quelle con tre o più l’8,5%. Le coppie non coniugate con minori sono 520mila e presentano una quota di figli unici maggiore rispetto alle coppie coniugate (rispettivamente 66,5% e 50,0%).

            Dato positivo è che nel 2012 si arresta la crescita del numero di separazioni e divorzi che sono stati rispettivamente 88.288 e 51.319. In metà delle separazioni (48,7%) e in un terzo dei divorzi (33,1%) è coinvolto un figlio minorenne. In termini assoluti il numero di figli minorenni che sono stati affidati nel 2012 è stato pari a 65.064 nelle separazioni (nell’89.9% dei casi in affido condiviso) e a 22.653 nei divorzi. Nelle separazioni, il 54,5% dei figli affidati ha meno di 11 anni.

            In caso di divorzio i figli sono generalmente più grandi: la quota di quelli al di sotto degli 11 anni scende al 32,1% del totale. Cambiano anche il numero di fratelli e la condizione dei genitori: “le principali cause di tali trasformazioni sono oltre al calo della fecondità e una maggiore instabilità coniugale, il progressivo deterioramento delle condizioni economiche del Paese”.

            Nel 2014 la percentuale di minori senza fratelli raggiunge il 30,7% nell’Italia Centrale, nel Nord-Est il 27,1%, seguono poi il Nord-Ovest e le Isole con il 24,1% infine il Sud con il 19,5%. Le regioni col maggior numero di figli unici sono la Toscana (32,7%), il Friuli-Venezia Giulia e il Lazio (30,9%) e l’Emilia-Romagna (30,7%) mentre la Campania, la Sicilia e il Veneto presentano le quote più elevate di bambini e ragazzi con 2 o più fratelli (28,9%, 25,9% e 25,5%).

            Avvenire                    24 giugno 2015

            www.aibi.it/ita/un-esercito-di-figli-unici-e-litalia-fotografata-dallistat-nel-2014

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EDUCAZIONE

                                   Sei condizioni che facilitano il dialogo con i nostri figli adolescenti.

Creare un ambiente propizio e cercare il momento adeguato, serenità e fiducia. La verità è che non è facile parlare con i nostri figli adolescenti, ma questo non deve farci dare per vinti. Sono nell’età in cui hanno più bisogno di parlare, anche se è anche il momento vitale in cui costa loro maggiormente farlo con i genitori. Per questo, saremo sicuramente noi a doverci sforzare di più. Vale la pena di provarci perché c’è molto in gioco: niente di più e niente di meno dell’educazione dei nostri figli.

            Forse dopo aver evitato gli errori più usuali nella comunicazione con i nostri figli adolescenti dovremmo tener conto del fatto che questo dialogo ha dei requisiti propri.

  1. Creare l’ambiente propizio e cercare il momento adeguato. Non quando i genitori vogliono, ma quando i figli ne hanno bisogno. Non è facile stabilire un momento della giornata per parlare, perché forse il figlio deve raccontare qualcosa nel momento meno opportuno. In quel caso bisogna lasciare tutto da parte e assisterlo, perché anche se in quel preciso istante possono esserci cose molto urgenti, sicuramente non c’è nulla di più importante. Se si lascia passare l’occasione, sarà perduta per sempre. Per questo è fondamentale che sappiano di poter sempre contare sui genitori, che siamo lì e ci siamo davvero.
  2. Serenità e fiducia. Se la prima volta in cui un figlio ci fa una confidenza un po’ “forte” ci mettiamo le mani nei capelli, facciamo uno scandalo o lo puniamo severamente, probabilmente sarà l’ultima volta in cui si confiderà con noi. Come quel ragazzo che, dopo che avevo parlato con lui, ha deciso di dire ai suoi genitori che nel fine settimana aveva fumato marijuana. Quando la madre ha sentito che aveva fumato, ha iniziato a gridare talmente da finire per non sapere cosa avesse fumato il figlio. La fiducia è una virtù reciproca, chi la dà la riceve a sua volta. Non è una virtù che si acquisisce, ma che si dà: la condizione di ogni dialogo. Se non abbiamo fiducia nei nostri figli, se non diamo loro fiducia, anche se ci risulta difficile e a volte ci sembra anche rischioso, rimarremo senza sapere cosa succede loro.
  3. Accettare le loro forme. Non possiamo aspettarci che tutto fili liscio come l’olio. Siamo noi adulti a dover mettere la serenità. I figli probabilmente alzeranno la voce o discuteranno in modo acceso. Pretendere una conversazione affabile con un figlio o una figlia adolescente significa non capire il suo registro. Non ci deve influenzare il fatto che gridino più del dovuto. Tendiamo a dare più importanza alla forma che al contenuto, e in questo modo sprechiamo le energie discutendo di formalità e perdiamo una nuova occasione di educare. È chiaro che dobbiamo educare anche nella forma, ma non ci riusciremo se la perdiamo noi.
  4. Dare ragioni consistenti per loro. Mediante il dialogo si ragiona. Non si tratta di intavolare battaglie dialettiche, in cui perde chi grida di meno e non vince nessuno, ma di ragionare e di far ragionare. Questo, però, non si ottiene mettendo sul tavolo buone ragioni dal nostro punto di vista, ma presentando ragioni che abbiano peso per i figli. Può essere che per un adolescente “studiare per diventare qualcuno nella vita” non abbia tanto peso quando “studiare per poter fare il lavoro che piace”.
  5. Stabilire patti. La “contrattazione” può essere una forma di conversazione che dà molto gioco. Bisogna saper cedere sulle cose superficiali, per “vincere” in ciò che è essenziale. Forse vale la pena di cambiare un taglio di capelli o un tatuaggio per una domenica in famiglia. La questione è che quando si stringe un patto si produce un impegno, e l’impegno unisce.
  6. Motivazione dialogata. Bisogna infine approfittare del dialogo per dare criteri ai figli. Non si tratta di fare di ogni conversazione un sermone o un rimprovero, che in genere non serve a nulla. I tipici sermoni assomigliano a quella tormenta che non appena si vede arrivare ci dà il tempo di rifugiarci o di prendere l’ombrello: ti puoi bagnare la prima volta, ma non quelle successive. Continuando con il paragone, le conversazioni con i figli adolescenti non dovrebbero essere tormentose, ma come una pioggerella fine che non riesce ad allarmarci abbastanza da farci cercare un rifugio o tirare fuori l’ombrello ma che finisce per bagnarci. Questo permette a noi genitori di seminare valori e criteri nei nostri figli. Si tratta, in definitiva, di essere sempre disposti al dialogo, non di fare sermoni in occasione delle pagelle, per come si vestono o per la musica che ascoltano.

In ogni momento dobbiamo cercare di trasmettere ottimismo. Forse è quello di cui hanno più bisogno nella tappa fondamentale che stanno vivendo. Se siamo dei genitori brontoloni che sanno solo lamentarsi per tutto, incapaci di vedere l’aspetto positivo delle cose, sicuramente alzeremo senza volerlo un muro che intercetta ogni comunicazione.

            Alcune espressioni che usiamo troppo spesso come “Sono stufo di te”, “Non sei capace di farlo”, “Impara da tuo fratello” e altre del genere non favoriscono certo il dialogo. È meglio adottare un atteggiamento ottimista e dire cose come: “Sono certo che sei capace di farlo”; “Sono molto orgoglioso di te”, “Noto che migliori ogni giorno”, “Ci riuscirai”… Parleremo sicuramente di più con i nostri figli perché troveranno in noi “dei genitori che sanno ascoltare”.

            traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti.  Aleteia    26 giugno 2015

www.aleteia.org/it/educazione/articolo/6-condizioni-per-facilitare-dialogo-figli-5846547472318464

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FAMIGLIA

                        La crisi della famiglia è colpa del capitalismo?

Secondo il filosofo Diego Fusaro, il sistema economico oggi dominante si serve di una finanza selvaggia e di una cultura che, col pretesto dei “nuovi diritti”, abbatte ogni comunità solidale che si oppone alla logica mercantile

            È opinione diffusa che la famiglia si trovi oggi a vivere, per mutuare papa Francesco, “una seria crisi culturale”. Le cause del dissesto della cellula fondante d’ogni società sono oggetto di studio e di ricerca da parte di pensatori d’ogni risma. Secondo il giovane filosofo Diego Fusaro, volto noto dei talk show televisivi che ama descriversi come “intellettuale dissidente e non allineato”, il depotenziamento della famiglia va letto nella recente logica di sviluppo del capitale, che consiste in un progressivo superamento “d’ogni limite reale e simbolico in grado di opporsi all’estensione della forma merce a ogni ambito della realtà e del pensiero”.

            Di qui l’idea secondo cui la difesa delle istanze dei movimenti omosessuali, che propongono modelli affettivi multiformi in alternativa al rapporto stabile con l’altro sesso e alla formazione di un nucleo familiare, ha il proprio baricentro nell’avversione capitalistica nei confronti della famiglia tradizionale.

            Nel suo libro Il futuro è nostro (ed. Bompiani, 2014) parla di “distruzione capitalistica della famiglia”. Quale vantaggio ne trae il capitale dalla scomparsa di questa istituzione?

            Il capitale cerca di distruggere ogni ostacolo che freni l’allargamento illimitato della merce. Tra questi ostacoli, senz’altro, c’è anche la famiglia, in quanto fondamento di ogni società e comunità solidale di individui che si rapportano secondo criteri opposti alla logica mercantile del do ut des. Ecco allora che il capitale mira a eliminare la famiglia, così come ogni altra comunità ancora esistente, sostituendola con atomi che si relazionano tra loro secondo le leggi del consumo. E per farlo, utilizza la retorica dei “diritti”. In realtà si tratta meramente di un pretesto per imporre la logica del capitale.

            Cos’è cambiato rispetto a quando Friedrich Engels e Karl Marx, di cui Lei si definisce allievo, descrivevano la famiglia come luogo dove si perpetua l’oppressione e la subalternità, un veicolo di valori borghesi strumentale agli interessi delle classi dominanti?

            È ovvio che nella famiglia possano esistere logiche di conflitto, di oppressione, di subalternità. Ma delegittimare la famiglia con queste argomentazioni, equivale a gettare via il bambino con l’acqua sporca. Queste logiche di conflitto sono presenti in ogni comunità, non le crea la famiglia in quanto tale. Io sottoscrivo di Marx l’opposizione al capitalismo e la ricerca di una società di individui liberi e solidali, tuttavia non condivido alcuni punti fondamentali della sua analisi: per esempio la tesi della fine della filosofia e la tesi della fine della famiglia.

            Del resto nell’Ottocento il capitalismo era diverso rispetto a quello odierno.

            Certo. Ai tempi in cui scriveva Marx eravamo in una fase di capitalismo di stampo borghese, basato su valori quali la famiglia e lo Stato. Dal 1968, invece, siamo entrati in una nuova fase, che io chiamo post-borghese o addirittura anti-borghese. Il capitalismo, infatti, non coincide più con i valori borghesi come la famiglia e lo Stato, anzi vuole metterli in congedo. Le forze di sinistra non hanno colto questo mutamento, per cui pensano ancora che capitalismo e borghesia siano due facce della stessa medaglia. Di qui questa avversione della sinistra ai valori borghesi che altro non è, paradossalmente, che una battaglia a favore del capitale.

            La recente comparsa dei cosiddetti “nuovi diritti”, agitati dai movimenti Lgbt e sostenuti dalle forze politiche progressiste, va inscritta in questo processo di delegittimazione da parte del capitale nei confronti della famiglia?

            Siamo al cospetto di un uso di questi movimenti non per riconoscere legittimi diritti, bensì per distruggere la famiglia. Se davvero queste battaglie che lei ha citato fossero contro il capitale, ci sarebbe da chiedersi il motivo per cui tutti i colossi della finanza finanziano questi movimenti. Io sono d’accordo con il pieno riconoscimento dei diritti di ogni individuo, ma se si comprende la logica di sviluppo oggi in atto, non è difficile capire che con il pretesto dei diritti si vuole piuttosto distruggere la comunità familiare.

            E la categoria dell’omofobia come si colloca?

            È una categoria da Grande Fratello di George Orwell. Se per omofobia intendiamo la discriminazione o, peggio ancora, la violenza ai danni degli omosessuali, siamo tutti d’accordo nel condannarla. Il problema è che oggi l’omofobia è diventata una categoria per silenziare chiunque osi pensare che c’è la famiglia e che esistano uomini e donne secondo natura. E allora sì che siamo nell’ambito di uno psicoreato da Grande Fratello. Oggi si ha quasi paura a dire qualcosa di banale, ossia che si nasce uomini e donne, che il sesso non si può scegliere e che la razza umana si riproduce attraverso la differenza sessuale. Dunque ribadisco: credo proprio che siamo in un clima orwelliano.

            Lei si descrive come un intellettuale “al di là di destra e sinistra”. Il neocapitalismo oggi dominante è di destra o di sinistra?

            Sono convinto che destra e sinistra, pur avendo un valore storico fondamentale, oggi siano categorie superate. Se però vogliamo mantenere questa dicotomia, dobbiamo riconoscere che il capitalismo, in quanto totale, è insieme di destra, di sinistra e anche di centro. È di destra nell’economia (e lo vediamo nelle privatizzazioni selvagge, nella competitività, nella distruzione del bene comune…), è di centro nella politica (basti pensare che siamo ormai abituati a una dialettica tra partiti di centro-destra e di centro-sinistra, che dicono però le stesse cose) ed è di sinistra nella cultura, di stampo anti-borghese e ultracapitalistico. Pertanto, il capitalismo è oggi come un’aquila a doppia apertura alare: la destra che chiamo “del denaro” mira a creare il paradigma del consumatore isolato e la sinistra “del costume” contrappone il diritto individualistico alla famiglia come comunità.

            Papa Francesco è un avversario del neocapitalismo oggi dominante?

            Pur provenendo da una formazione culturale diversa, guardo oggi con grande interesse al mondo della Chiesa. Reputo papa Francesco l’unica voce non omologata rispetto alla dominazione capitalistica, il solo rimasto a pronunciare, contro il sistema dominante, parole come “dignità del lavoro”, “diritti sociali” e “sfruttamento”. L’Enciclica Laudato Si’ si pone in linea di continuità con il pensiero del bonum commune di Tommaso d’Aquino. E questo lo rende rivoluzionario rispetto all’ideologia del capitale. Dunque ben vengano, si moltiplichino i messaggi di opposizione come quello di papa Francesco.

Federico Cenci                       Zenit.org        26 giugno 2015

www.zenit.org/it/articles/la-crisi-della-famiglia-e-colpa-del-capitalismo

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FORUM DELLE ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Quelle persone vedove che nel medioevo trattavano con più civiltà.

Oggi si celebra la V Giornata internazionale delle persone vedove istituita dall’Onu nel 2011. Nel mondo ci sono 245 milioni di vedove, e tra esse 115 milioni sopravvivono in condizioni di estrema povertà. In Italia sono circa 5 milioni; le famiglie con capofamiglia vedovo/a sono circa 3,8 milioni, i nuclei familiari con figli sono circa 190mila, la cui metà comprende figli minori.

Un tempo le vedove e gli orfani venivano considerati le persone più deboli e di conseguenza anche le più protette dal comune sentire. Ora invece sono ancora le più deboli ma nel più completo disinteresse della società. Un’ingiustizia, indegna di una società civile. Ad esempio, la pensione di reversibilità o indiretta, se c’è, è ridotta al 60%, ma se il coniuge superstite lavora e possiede un reddito anche di soli a 25mila euro lordi, se la vedrà ulteriormente decurtata del 50%.

Per questo il Forum ha avanzato alcune proposte concrete, che costano poco ma che renderebbero la vita di queste persone meno sofferente. Si potrebbe, ad esempio, scorporare la pensione di reversibilità dal reddito complessivo, così da evitare che il cumulo faccia scattare lo scaglione Irpef e di conseguenza le tasse.

Altra iniziativa potrebbe evitare che la quota di pensione di reversibilità a favore dei figli entri nel calcolo dei redditi così da poter essere considerati a carico del coniuge superstite. In alternativa si potrebbe elevare il limite (€ 2840,51) fissato diversi decenni addietro per considerare un figlio a carico o non a carico. Una soglia mai più adeguata alle rilevazioni ISTAT.

Una terza proposta riguarda il cumulo dei contributi versati e non goduti dal coniuge venuto a mancare. Attualmente se un lavoratore non raggiunge il minimo previsto per il conseguimento della pensione i contributi versati non sono utilizzabili dal coniuge superstite, vanno dunque perduti. Sarebbe equo invece che quei contributi possano essere aggiunti ai contributi del superstite consentendogli di raggiungere una pensione leggermente superiore.

Piccole cose, fattibili da subito, con un impatto sul bilancio pubblico limitato, facilmente governabile, e soprattutto con una spesa pubblica che finalmente andrebbe utilizzata per situazioni di bisogno oggettive, chiarissime: la fatica di un genitore rimasto solo con figli a carico dopo la morte del proprio coniuge. Piccole soluzioni che riporterebbero la nostra società almeno al Medioevo, che sembrerebbe poterci dare lezioni di civiltà, quando almeno sapeva riconoscere quali situazioni erano davvero fragili. Orfani e vedove, ieri come oggi, anzi, oggi più dimenticati.

            Comunicato stampa  23 giugno 2015\         www.forumfamiglie.org/comunicati.php

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FRANCESCO VESCOVO di Roma

“Le ferite tra madre e padre incidono nella carne viva dei figli”

Durante l’Udienza Generale, Papa Francesco esorta a stare accanto alle famiglie in “situazioni irregolari”. Anche oggi, come mercoledì scorso, papa Francesco ha dedicato la catechesi dell’Udienza Generale alle famiglie in stato di sofferenza. Le offese, i contrasti, le indifferenze, i fraintendimenti tra congiunti sono stati al centro di un’analisi che ha messo al centro, il punto di vista del soggetto più debole: i figli. Nella quotidianità familiare, ha osservato il Pontefice, vi sono “parole e azioni (e omissioni!) che, invece di esprimere amore, lo sottraggono o, peggio ancora, lo mortificano”.

Tali ferite, che in prima battuta sono rimediabili, quando vengono trascurate “si trasformano in prepotenza, ostilità, disprezzo”, portano alla divisione tra i coniugi e li “inducono a cercare altrove comprensione, sostegno e consolazione”, cercando “sostegni” che, di certo, non contribuiscono “al bene della famiglia”.

Il risentimento e la disgregazione tra moglie e marito finiscono poi per ‘franare’ “addosso ai figli”. A tal proposito, il Santo Padre ha affermato: “Nonostante la nostra sensibilità apparentemente evoluta, e tutte le nostre raffinate analisi psicologiche, mi domando se non ci siamo anestetizzati anche rispetto alle ferite dell’anima dei bambini”.

Laddove si cerca erroneamente di “compensare con regali e merendine”, si perde il senso delle “ferite dell’anima”, che vanno ben oltre i “disturbi comportamentali, di salute psichica, di benessere del bambino, di ansia dei genitori e dei figli”.

Ci sono scelte da parte dei genitori – in particolare le scelte sbagliate – che vanno a gravare in modo particolarmente accentuato sui bambini, imprimendo loro un “senso di disperazione” e delle “ferite che lasciano il segno per tutta la vita”.

La famiglia, ha spiegato il Papa, è come un’unica anima e se essa è “ferita in qualche punto, l’infezione contagia tutti”. Laddove l’uomo e la donna, che si sono impegnati a essere “una sola carne”, si ritrovano ossessionati dalle proprie “esigenze di libertà e di gratificazione”, avviene una “distorsione” che “intacca profondamente il cuore e la vita dei figli”. Non solo marito e moglie formano “un’unica carne” ma, a loro volta, i figli sono “carne della loro carne”.

Quando Gesù ammonisce a “non scandalizzare i piccoli” (cfr. Mt 18,6), si comprende meglio la “grave responsabilità di custodire il legame coniugale che dà inizio alla famiglia umana” e quanto le ferite tra madre e padre, incidano inevitabilmente “nella carne viva dei figli”.

Ciononostante, ha puntualizzato Francesco, “ci sono casi in cui la separazione è inevitabile”, oltre che “moralmente necessaria”, in particolare quando “si tratta di sottrarre il coniuge più debole, o i figli piccoli, alle ferite più gravi causate dalla prepotenza e dalla violenza, dall’avvilimento e dallo sfruttamento, dall’estraneità e dall’indifferenza”.

In questo dramma diffuso, non mancano “coloro che, sostenuti dalla fede e dall’amore per i figli, testimoniano la loro fedeltà ad un legame nel quale hanno creduto, per quanto appaia impossibile farlo rivivere”.

I           n genere, tuttavia, le crisi coniugali si risolvono in “situazioni cosiddette irregolari”, sebbene, ha precisato il Pontefice, “a me non piace questa parola”.

Le famiglie in stato di sofferenza, pongono una serie di interrogativi: “Come aiutarle? Come accompagnarle? Come accompagnare perché i bambini non diventino ostaggi del papà o della mamma? Chiediamo al Signore una fede grande, per guardare la realtà con lo sguardo di Dio; e una grande carità, per accostare le persone con il suo cuore misericordioso”, ha quindi concluso il Santo Padre.

            Luca Marcolivio        zenit.org         24 giugno 2015

www.zenit.org/it/articles/quando-papa-e-mamma-si-fanno-del-male-l-anima-dei-bambini-soffre-molto

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GENDER

            Che genere di Dio. L’ideologia che non c’è.

            Una teologa risponde a chi in questi giorni protesta contro una fantomatica “ideologia del gender” spiegando perché non fa bene alla Chiesa e invitando a smettere di costruire prigioni per paura dei propri limiti, nel nome di Dio

            “Sì è un maschio”… dice una donna incinta con un sorriso sulle labbra e un orgoglio intimo a chi le chiede di che sesso sarà il nascituro. Inizia così la questione del genere: esso è il valore, il senso, il significato, il destino o i sogni che associamo alla determinazione sessuale di una persona.

            Gli studi di genere non intendono affermare che maschi e femmine non esistono o non sono differenti, ma che il sesso non è il genere. Cioè il sesso è un dato con cui si viene al mondo ma il genere è il valore, il colore, il ruolo, il significato, il carattere, i limiti e le aspettative che io attribuisco al sesso. Siccome non c’è un diretto collegamento tra ciò che un neonato racchiude nel pannolino e il futuro stipendio che avrà se uomo o donna, si capisce che il problema avviene in ciò che accade tra quando nasce e quando diventa adulto. Quanto accade nel frattempo si chiama “costruzione sociale”.

            Il gender, lungi dall’essere un’ideologia chiara, sostenuta da autori precisi con contenuti tematici specifici, è solo un criterio di analisi che smaschera come non ci sia una legge naturale che determini carattere, ruolo e destino di uomini e donne, ma è ciò che crediamo che una persona debba essere, diventare o comportarsi, a seconda del suo sesso. Il genere quindi appartiene alle aspettative sociali e ai valori culturali. Ecco perché si dice che è una “costruzione sociale”. Si tratta piuttosto delle aspettative sociali o delle convinzioni che abbiamo introiettato così in profondità da sembrarci “naturali” (nel senso di un destino meccanico che viene dalla morfologia). Spiace vedere la confusione che regna in coloro che combattono questo gender (un mostro caricaturale creato ad hoc per combatterlo e che contiene le cose più varie) ritenendo che esso sia una precisa ideologia e poi non sanno distinguere tra i termini maschio, maschilità, maschile, uomo (femmina, femminilità, femminile, donna), per non parlare della confusione che emerge quando si inizia a chiedere loro quali contenuti esso avrebbe.

            La cosa grave è che tramite questa sorta di lotta scatenata a questa fantomatica “ideologia del Gender” si rischia di perdere alcune conquiste che sembravano assodate circa i ruoli, la dignità e i diritti delle donne, la maggiore di tutte le minoranze.

            Iniziai a occuparmi del tema ‘se la donna fosse creata a immagine di Dio’ in occasione della stesura della mia tesi di dottorato in teologia, contro la mia volontà. Mi sembrava, infatti, una questione inutile, superata, perché la Bibbia era lì da sempre a dire che la donna è creata ad immagine di Dio (Gen 1,27). Studiando però la storia della teologia su questo tema, mi trovai a misurarmi con interpretazioni (che possiamo chiamare ‘costruzioni’) di quel dato biblico inammissibili e penalizzanti per le donne, interpretazioni di cui si potevano seguire modifiche e sviluppi nel corso della storia, ma anche processi involutivi. Una bimillenaria costruzione di genere, una riflessione teologica sulla donna, sulla spiritualità femminile e sul ruolo delle donne nella Chiesa, che era stata fatta esclusivamente da parte di uomini e impregnata di mentalità patriarcale, tanto più potente sulla costruzione sociale ed ecclesiale quanto più introiettata dalle donne e da esse condivisa. Non si trattava solo di ingenue teorie antiche, perché su tali assunti continuano a fondarsi ancora molte prescrizioni, leggi e istituzioni ecclesiali. Per chi studia teologia come donna la parzialità di una tale prospettiva risulta inaccettabile. Ho anche scoperto però che erano ormai tante le teologhe che si erano misurate già prima di me con una tale storia: un immane sforzo compiuto da tante donne in particolare negli ultimi cinquant’anni nel campo della riflessione storico-religiosa che ha intrecciato la riflessione femminista e gli studi di genere.

            Questi studi hanno riguardato le concezioni teologiche sulla donna e il femminile; le metafore maschili e femminili (presenti nella Bibbia) per parlare di Dio; le teologhe hanno riesumato dal silenzio in cui le aveva lasciate la tradizione maschile, donne importanti nella storia della salvezza. È stato evidenziato il rivoluzionario messaggio e il comportamento di Gesù con le donne, ma si è anche smascherato il ruolo delle antiche ideologie patriarcali sulla costruzione dei ruoli femminili nel cristianesimo ideologie che hanno frequentemente soffocato il messaggio evangelico, infine si è ridimensionata l’azione e la missione delle donne cristiane – un imponente lavoro sulla mariologia – fino a toccare le questioni legate alla maschilità di Gesù, su come essa aiuterebbe la costruzione di un modello di maschilità non machista e sia invece stata usata ideologicamente per costruire e giustificare il clericalismo ecclesiale.

            Se c’è un luogo, insomma, in cui la separazione tra sesso e genere è stata all’opera fin da tempi non sospetti, questo luogo è proprio la teologia, il discorso su Dio. Dio non ha sesso e quindi di LUI (maschile?) si parla solo usando categorie di ‘genere’. Ecco allora che, dal momento che Dio è per il credente il Bene e tutto il positivo dell’esistenza al massimo grado, sarà detto, immaginato, descritto e dipinto (nelle cattedrali come nel proprio spirito) tramite tutte le nostre convinzioni, valori, significati associati alla positività: allora sarà “lui”. E quando gli vorremo associare caratteristiche positive come la dolcezza, l’accoglienza, la tenerezza allora parleremo delle sue caratteristiche femminili. Ma Dio non ha sesso. Lo sanno i bambini che da come disegnano Dio ci aiuterebbero a uscire dai nostri schemi irrigiditi (si veda R. Torti, Mamma perché Dio è maschio?).

            Il genere, entrando come categoria analitica nel campo teologico, smaschera vecchie e nuove ideologie che hanno ricadute sulle concezioni della natura dell’essere umano, del posto e del ruolo della sessualità nella persona, della dignità delle persone nella chiesa e nella società, fino ad aprirci gli occhi sulla misura in cui l’ideologia patriarcale abbia plasmato e rischi di continuare a farlo, la costruzione dottrinale e sacramentale del cristianesimo. Gli studi di genere risultano fortemente utili per le nuove aperture che il Papa richiede nei confronti delle “giuste rivendicazioni” (Evangelii Gaudium 103-104) delle donne nella chiesa (ecclesiologia). Insomma, c’è molta “costruzione di genere” nella storia della teologia, nella dogmatica, nell’antropologia cristiana e nella sacramentaria: gli studi di genere ci aiutano a vederla e a smascherarla. Il genere fa bene alla teologia.

            Il Coordinamento Teologhe Italiane si è costituito proprio per sostenere, valorizzare e dare visibilità agli studi teologici in prospettiva di genere ed è oggi una realtà imprescindibile nel panorama di ricerca italiana e teologica, non soltanto cattolica. Esso raduna teologhe di diverse confessioni e religioni.

            Certo che il modo in cui sono fatta, il mio corpo, se sono alta o bassa, se sono bella o brutta, se ho il carattere di mia nonna o di mio padre, influenzerà la mia storia le mie scelte, la mia interazione con altri e in società. Ma non c’è nessun destino, perché appunto l’essere umano, per quanto condizionato dalla sua biologia, dalla sua storia, dal suo peccato o dalle sue buone abitudini, è aperto al futuro di Dio. In questo senso l’uguaglianza di genere non è il fatto che le persone siano tutte uguali o che non si voglia riconoscere che un pene sia diverso da una vagina. L’uguaglianza di genere significa uguaglianza di dignità tra maschio e femmina, di opportunità e di ruoli (responsabilità) da assumere.

            La specie umana si trova davanti a nuove sfide sociali, culturali e scientifiche per le quali non ha ancora maturato forze etiche, spirituali e schemi mentali adeguati. La creazione del mostro “ideologia del gender” sembra piuttosto nascondere un problema più ampio: è il nome delle nostre paure, dei nostri limiti mentali, di quegli schemi introiettati che invece di aiutarci a trovare una conformazione e un’identità plastica e relazionale diventano una prigione in cui catturare noi stessi, gli altri e imprigionare le nostre migliori possibilità.

            Come ci insegna la storia biblica e la psicologia, non si scappa dalle proprie zone di ombra proiettandole fuori di noi e combattendole come mostri, ma solo tramite il riconoscimento che qualcosa di quel nemico è anche in me. Il mostro “gender” così come è stato costruito da chi lo combatte, in fondo è l’altro lato di quella libertà incoercibile e indeterminabile che il cristianesimo riconosce ad ogni persona indipendentemente dal suo sesso.

            Gli schemi di genere hanno radici storicamente antiche e sono profondamente iscritti in ciascuno di noi per questo: ma sono sorti a favore della felicità della persona e della società e devono continuare a funzionare a favore della libertà, dignità e valorizzazione delle persone. Quando essi diventeranno un randello per limitare, denigrare o condannare qualcuno, allora non hanno più senso e vanno velocemente abbandonati.

            Sarebbe un peccato per noi teologhe e per la teologia tutta essere costrette ad abbandonare questa feconda categoria teologica che studiamo da molti decenni solo a causa di una campagna politica iniziata da poco e che probabilmente finirà presto, non appena si troverà una soluzione alle nuove sfide sociali: ma se non si esce dalla contrapposizione la Chiesa avrà perso il suo ennesimo treno di dialogo con la società moderna che invece ha contribuito essa stessa a costruire e alle istanze della quale non è estranea.

Sono i valori cristiani che portano a batterci per un riconoscimento della sessualità nella struttura umana della persona intera, per un’educazione all’affettività, per una lotta alla discriminazione.

            Ecco perché mi auguro che dalla contrapposizione tra cattolicesimo e “ideologia del Gender” si passi al dialogo e alla riflessione profonda sulle nuove questioni, molto differenti tra loro, che si affacciano alla cultura e alla società, come anche alla legislazione: una delle strade maestre che oggi si offe alla Chiesa è la teologia fatta dalle donne. Ma anche qui: bisognerà che la Chiesa si dimostri disposta a cambiare molti schemi di genere.

Benedetta Selene Zorzi, monaca benedettina, docente in istituti teologici                22 giugno 2015

www.ingenere.it/articoli/che-genere-di-dio-lideologia-che-non-ce

La teoria del gender non c’e. Promuoviamo la parità”.

            Valeria Fedeli, vicepresidente del Senato, autrice del Ddl, risponde a chi è sceso in piazza in “Difesa della famiglia”: Family day. Vediamo cosa dice davvero il testo sotto accusa.  Cosa dicono davvero i documenti che hanno portato in piazza a Roma un milione di persone?

            L’educazione proposta dall’emendamento che riprende le linee guida dell’Unione europea e dell’Oms, e che fa propri anche i principi della Convenzione di Istanbul, tratta di un’educazione alla crescita dei cittadini e delle cittadine nella loro reciproca differenza. E valore. Il valore umano di ogni individuo per quello che vuole essere, accompagnato oggi perché da adulto sia più capace di incontrare, rispettare se stesso e le vite degli altri. Questo in fondo è l’emendamento che invita le scuole a educare i ragazzi al loro futuro. Cosa è veramente questo testo ce lo spiega la persona che lo ha proposto, Valeria Fedeli. Perché ciascuno si faccia un’opinione propria e informata linkiamo e alleghiamo i documenti relativi al tema all’Educazione di genere.

Si è svolta ieri la manifestazione in nome della “Difesa della Famiglia” contro il disegno di legge sull’introduzione dell’educazione di genere, di cui sono prima firmataria, contro l’emendamento alla riforma della scuola che introduce l’insegnamento della parità di genere e contro il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili. Va detto con chiarezza che la manifestazione è nata su una strumentalizzata e sistematica disinformazione. Sono state fatte affermazioni totalmente false, basta leggere i documenti.

            Con l’emendamento che prevede l’insegnamento della parità di genere in tutte le scuole di ogni ordine e grado, già approvato dalla Camera, e ora all’esame del Senato la legge di riforma della scuola si è arricchita di un principio che è un investimento fondamentale sul futuro delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi, ispirato a quanto previsto in materia già dalle nostre leggi, dalla nostra Costituzione e dal più avanzato diritto europeo.

            Ma la differenza e la diversità fanno paura. Fino al punto di arrivare a una strumentale manipolazione delle linee guida sull’educazione sessuale nelle scuole dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in nome della “Difesa della Famiglia”.

            Tra le sigle, poche, che hanno aderito alla manifestazione di oggi, anche alcune che si contraddistinguono affermando che, per evitare i suicidi di adolescenti vittime di persecuzioni omofobe, l’unica strada è la “conversione” all’eterosessualità.

            In nome dunque della “difesa dei nostri figli” e della “famiglia naturale” o “tradizionale”, si vuole contestare il diritto di ragazze e ragazzi di crescere nella consapevolezza di sé e sentendosi accolti e riconosciuti per ciò che sono. Questo significa, infatti, educare alla differenza, alle differenze: saper conoscere e valorizzare la ricchezza che ciascuna e ciascuno di noi è, il dono unico e insostituibile che ognuna e ognuno di noi può diventare per se stesso e per il mondo, anche destrutturando le architetture sociali che impongono la codificazione artefatta dei ruoli in nome di una presunta naturalità. E questo può e deve avvenire in famiglia e nella scuola.

            È stata orchestrata una campagna che non si fa scrupoli nel cavalcare l’onda delle tante informazioni circolanti nel web totalmente infondate, come quella che attribuisce agli “Standard per l’Educazione Sessuale in Europa”, elaborati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e sviluppati dal Centro Federale per l’Educazione alla Salute tedesco (BZgA), la promozione di giochi erotici da insegnare negli asili.

            Aldilà dell’intento manipolatorio, esiste comunque un problema culturale che non può essere minimizzato, ma sono certa che lo stesso mondo cattolico offra spazi di dialogo con i laici, che va assolutamente perseguito, e che il suo apporto sia fondamentale per costruire un nuovo patto educativo, in cui la differenza di genere sia riconosciuta come risorsa e la lotta a pregiudizi e stereotipi condivisa.

            Facciamo insieme, in primo luogo, un’operazione di chiarezza, a partire dalla lettura del testo dell’emendamento, che prevede che l’elaborazione dell’offerta formativa assicuri “l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità di genere, la prevenzione alla violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle relative tematiche”.

            Non è possibile, leggendo queste parole, decifrare “teorie gender” obbligatorie! C’è invece la definizione di una chiara scelta politica da portare a termine per promuovere un’educazione al rispetto delle diversità, ai sentimenti, agli affetti. Se questo provvedimento è contro qualcosa, questo qualcosa sono gli stereotipi, i pregiudizi, le discriminazioni, il bullismo omofobico, e nient’altro.

            Proprio l’educazione alla parità di genere può essere uno degli strumenti più efficaci per valorizzare le differenze, e contrastare l’omologazione dilagante, e chi vede in questo l’introduzione di una diabolica teoria gender, compie un doppio grave errore di disinformazione.

            In primo luogo, come detto e ripetuto da tante e tanti scienziati e intellettuali di diverse discipline e di diversi orientamenti culturali, compresi eminenti teologi, non esiste una “Teoria Gender”: esistono invece gli studi di genere che si prefiggono di cancellare le discriminazioni riprodotte, a tutti i livelli della società, in base alle differenze.

            In secondo luogo, si mistifica un’azione di grande valore pedagogico, rappresentandola come il prodotto ideologico di questa o quella componente politica, speculando sulla paura del cambiamento, il che avvelena tutti i dibattiti.

            Alla base del provvedimento vi sono obiettivi trasparenti e assolutamente condivisibili da tutti. È questo l’unico modo serio, concreto, di fare prevenzione. O vogliamo continuare soltanto ad indignarci davanti ai femminicidi, ai dati sulla violenza di genere, ai fatti di cronaca che vedono i nostri ragazzi e le nostre ragazze vittime e protagonisti di bullismo, omofobia, misoginia?

            È ormai da tutti riconosciuto che il problema della violenza di genere ha una radice culturale profondissima, che viene da lontano: la politica ha il dovere di recidere queste radici. Lo deve fare con coraggio, con umiltà, con la coerenza di promuovere, veramente, l’articolo 3 della nostra Costituzione, visto che la discriminazione, la violenza di genere, gli stereotipi, di fatto, limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impedendo il pieno sviluppo della persona umana. Il raggiungimento della parità, il superamento delle discriminazioni sessuali, nonché delle varie forme di violenza di cui le donne e le ragazze sono vittime, sono in primo luogo da costruirsi attraverso un cambiamento culturale.

            Non vedo quale altro luogo possa essere migliore della scuola per intraprendere, insieme a chi in questa comunità vive e agisce – studenti, famiglie, insegnanti – un intervento educativo in grado di restituire, alla nostra rappresentazione dei generi, la profondità e la complessità che meritano.

            Valeria Fedeli, vice presidente del Senato

            Per chi vuole pensare informato, ecco i documenti:

1. Ddl S.1680. Introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/845618/index.html?stampa=si&spart=si&toc=no

2. C.2994 Emendamento presentato alla Camera per introdurre nelle scuole l’insegnamento alla parità di genere

3. Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA Standard per l’Educazione Sessuale in Europa Quadro di riferimento per responsabili delle politiche, autorità scolastiche e sanitarie, specialisti.

            Corriere della sera    21 giugno 2015

http://27esimaora.corriere.it/articolo/vediamo-cosa-dice-davvero-il-testo-sotto-accusa/#more-61502

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MATERNITÀ

                        Governo: pubblicato il Decreto con le nuove tutele alla maternità

Il Consiglio dei Ministri ha pubblicato, sul Supplemento Ordinario n. 34 della Gazzetta Ufficiale n. 144 del 24 giugno 2015, il Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 80 con le misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell’articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183. Il Decreto entra in vigore dal 25 giugno 2015.

www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2015-06-24&atto.codiceRedazionale=15G00094&elenco30giorni=true

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MATRIMONIO

Matrimonio tra persone dello stesso sesso e mutamento di genere successivo.

Corte App. Milano, sez. persone minori famiglia, decreto 27 marzo 2015

            E’ trascrivibile il matrimonio contratto da persone dello stesso sesso quando, successivamente, sia intervenuto cambiamento del sesso di uno dei coniugi secondo la legge straniera applicabile, a prescindere da specifici accertamenti (sull’effettiva identità sessuale della persona che ha mutato genere). Il cambio anagrafico dell’identità di genere, realizzato dal cittadino straniero all’estero, secondo la legge quivi applicabile, determina, quantomeno dalla data di efficacia del cambio di sesso, che il matrimonio dallo stesso contratto con il cittadino italiano deve essere considerato a tutti gli effetti, anche nell’ordinamento italiano, come matrimonio contratto tra persone di genere diverso, non contrario all’ordine pubblico e produttivo degli effetti giuridici propri del matrimonio.

dr Giuseppe Buffone, Magistrato     il caso.it          18 giugno 2015  http://news.ilcaso.it/news_612

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PARLAMENTO

Senato 2° comm. Giustizia.  Disciplina delle unioni civili

S 14     Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili

23 giugno 2015  Prosegue l’esame congiunto sospeso nella seduta del 16 giugno.

La relatrice Cirinnà(PD) presunta quindi tre nuovi emendamenti riferiti all’articolo 1 del testo unificato: 1.10000, 1.20000 e 1.30000.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=926600

Il seguito dell’esame congiunto è, infine, rinviato.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=00926600&part=doc_dc&parse=no&stampa=si&toc=no

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SESSUOLOGIA

Perché parlare di sessualità ed educazione di genere è diventato un tabù?

Si è parlato molto di educazione di genere negli ultimi mesi, anche nella mia pagina Facebook. Si è diffuso nel mondo della scuola e dei genitori un allarme fortissimo verso ogni forma di educazione che includa il concetto di “genere” al proprio interno. Proprio nelle ultime settimane a me è arrivata una richiesta di partecipazione a un progetto di prevenzione per un uso consapevole delle tecnologie da parte dei giovanissimi, ma con la clausola – sancita da una direttiva del Consiglio Provinciale del territorio che deve attuare il progetto – che gli argomenti sessualità, sesso, identità di genere e gender non venissero mai usati in modo esplicito. Insomma, per legge, chi fa prevenzione dovrebbe avvicinarsi ai temi caldissimi che vivono i ragazzi con una serie di tabù, sanciti da circolari e clausole dell’Ente Pubblico.

Io mi sono detto: se faccio bene il mio lavoro su questi temi, probabilmente i ragazzi mi riconosceranno come adulto autorevole e competente e a quel punto mi faranno domande che hanno a che fare certamente con gli “argomenti” sanciti come innominabili dalla Direttiva Provinciale. A quel punto io avrei dovuto dire ai ragazzi: “Scusate ma non posso rispondere alle vostre domande, perché per contratto ho dichiarato che non vi avrei dato risposte su alcuni temi considerati scomodi“.

Presumo che gli studenti si sarebbero sentiti delusi e traditi dagli adulti che avrebbero dovuto informarli e formarli. Naturalmente ho declinato l’invito a collaborare al progetto, facendo notare il rischio associato all’effetto paradosso che si sarebbe potuto verificare.

Mi chiedo e vi chiedo: ma è davvero questa l’educazione che dobbiamo promuovere per i nostri figli? Dopo la pubblicazione dei miei ultimi due libri – Tutto troppo presto (De Agostini Ed.) e Dire, fare, baciare. Cose che ai maschi nessuno dice (Feltrinelli Ed.) – ho incontrato migliaia di genitori nelle conferenze di presentazione. Ci siamo trovati tutti sulla stessa barca: incapaci di parlare di temi che stanno toccando le vite dei nostri figli in modo potentissimo, attraverso contenuti, parole e immagini che per loro possono essere molto pericolose. In queste settimane ho letto un bellissimo libro dedicato all’educazione di genere, intitolato: Mamma, perché Dio è maschio scritto da Rita Torti e pubblicato da Effatà Editrice. Nasce in un contesto cattolico, e afferma in modo forte e chiaro la necessità che ai nostri figli venga impartita un’educazione di genere che li aiuti a non incorrere in due rischi che potrebbero far loro molto male:

“Il primo rischio è che bambine e bambini, ragazze e ragazzi, non abbiano gli strumenti per porsi in modo vigile rispetto a modelli di mascolinità e femminilità che oggi vengono loro proposti; e, prima ancora, per rendersi conto che si tratta appunto di modelli, di costruzioni sociali, in quanto tali negoziabili e modificabili. Di conseguenza sarà abbastanza difficile che pensino di esercitare lo sguardo critico, il senso etico, la libertà e le energie per contribuire a un mondo in cui maschi e femmine non siano intrappolati in stereotipi e dinamiche che limitano la pienezza umana e ostacolano la realizzazione di una convivenza arricchente per entrambi. E – secondo rischio – se e quando vorranno farlo, non avendo ricevuto in eredità storie, esempi, pratiche e domande a cui appoggiarsi è come se ogni volta dovessero ricominciare daccapo: di fronte a sé, di fronte ai pari, di fronte alle resistenze della società. Uno spreco di energie per legittimarsi, quando invece le energie dovrebbero essere usate per vivere” (da Mamma, perché Dio è Maschio di R.Torti, Effatà Editrice, 2013 pag. 48-49). Per prevenire questi due rischi, la logica da perseguire nell’educazione di genere dovrebbe perciò diventare quella ben definita da Barbara Mapelli nell’introduzione allo stesso volume che scrive: “siamo tutti e tutte uguali nella differenza, nella differenza di genere, nella differenza che ognuno rappresenta nel suo essere nel mondo come individuo unico e irripetibile, ma che trova nella sua appartenenza sessuale i vincoli e le risorse, che si radicano in culture condivise nei secoli della nostra storia, per riconoscere il senso attuale di tali storie e riconoscersi come protagonisti di narrazioni collettive che abbiamo contribuito a mutare, migliorare, per noi, per chi verrà dopo di noi. Per comprendere e praticare vera uguaglianza, quella cioè che non riconosce alcun primato a un modello unico e falsamente neutrale – uomo, bianco, detentore di diritti e poteri – ma riconosce piuttosto lo stesso valore ai molti modi di essere umani. Discutere, comprendere e accettare le differenze di genere è quindi una grande apertura che insegna a comprendere, accettare e valorizzare tutte le altre differenze.”

E allora perché tutto questo ci sta spaventando così tanto? Perché parlare di “stereotipi di genere” e “cultura di genere” sembra oggi quasi un reato, qualcosa che deve essere vietato addirittura da una Direttiva Provinciale. Dovremmo davvero abbandonare i pregiudizi, le false ideologie, dovremmo smetterla di difenderci dietro a steccati che servono soltanto a mantenere uno “status quo” rigido e difensivo, dove non cresce l’uomo, non cresce la cultura, non cresce il progetto di vita che i nostri figli potranno coltivare grazie alla nostra lungimiranza e a quella dose di umana speranza che va al di là dei principi e delle norme, perché dovrebbe abitare nell’intelligenza e nel cuore di ciascuno di noi.

Già, perché educare ad una convivenza rispettosa, civile, attenta e sensibile ci sembra oggi pericoloso al punto tale da non poter affrontare gli argomenti “sessualità, sesso, identità di genere e gender” in un progetto per giovanissimi?

Lascio a voi la domanda, a voi la discussione, a voi l’approfondimento. Se credete nell’importanza della democrazia e nella necessità di generare dialogo per abbattere tabù puramente ideologici, condividete questo post con altri genitori ed educatori.                                          17 giugno 2015

            Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, è ricercatore presso il dipartimento di scienze bio­mediche dell’Università degli Studi di Milano, dove si occupa di prevenzione in età evolutiva.

www.tuttotroppopresto.it/2015/06/17/perche-parlare-di-sessualita-ed-educazione-di-genere-e-diventato-un-tabu/#

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SINODO SULLA FAMIGLIA

Instrumentum Laboris 2015.

Il 23 giugno 2015 è stato presentato in Sala stampa vaticana l’Instrumentum laboris (147 §) della XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema: “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo” (4-25 ottobre 2015). Sono intervenuti il card. Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi; il card. Péter Erdo, arcivescovo di Esztergom-Budapest (Ungheria), relatore generale della XIV Assemblea generale ordinaria; mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto (Italia), segretario speciale della XIV Assemblea Generale Ordinaria.

www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20150623_instrumentum-xiv-assembly_it.html

Comunicare la speranza.

Le sfide, la vocazione e la missione della famiglia: sono queste le linee-guida dell’Instrumentum laboris del 14.mo Sinodo generale ordinario sulla famiglia che si svolgerà ad ottobre in Vaticano.

Il documento di lavoro, pubblicato oggi, riporta interamente la Relatio Synodi – testo conclusivo del precedente Sinodo sulla famiglia, svoltosi nel 2014 – integrato con la sintesi delle risposte al questionario proposto, nel corso dell’anno, dalla Segreteria sinodale a tutte le Chiese del mondo.

            La Relatio Synodi, Non si riparte da zero, e questo è chiaro: l’Instrumentum laboris, infatti, riporta integralmente tutti i paragrafi della Relatio Synodi del 2014, inclusi i numeri 52, 53 e 55, i più discussi, relativi all’accostamento dei divorziati risposati all’Eucaristia, alla proposta della comunione spirituale ed alle unioni omosessuali. In sostanza, la Relatio Synodi ribadiva l’importanza della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, mettendone in risalto gli aspetti positivi, ma anche la necessità di guardare con pazienza e delicatezza alle famiglie ferite. Il testo sottolineava poi che le unioni omosessuali non sono paragonabili al matrimonio tra uomo e donna, e che non sono accettabili pressioni sui vescovi su questo punto. Ulteriori spunti riguardavano l’auspicio di processi gratuiti per la nullità matrimoniale, l’attenzione per le adozioni, l’allarme per la pornografia, per l’uso distorto del web e per le donne ed i bambini vittime di sfruttamento sessuale.

            Le risposte di Conferenze episcopali, famiglie, università, aggregazioni laicali. Ora, queste riflessioni vengono ampliate nell’Instrumentum laboris, grazie ai contributi raccolti non solo nelle Conferenze episcopali del mondo, ma anche delle famiglie stesse di fedeli, delle aggregazioni laicali, delle università e delle istituzioni accademiche. Il nuovo documento viene, quindi, suddiviso in tre parti: l’ascolto delle sfide sulla famiglia, il discernimento della vocazione familiare e la missione della famiglia oggi.

            No alla rimozione della differenza sessuale. Riguardo al primo punto, si ricorda che il numero dei matrimoni, sia religiosi che civili, è in calo, mentre crescono separazioni, divorzi, denatalità; si sottolinea la paura dei giovani ad assumersi impegni definitivi, tra cui il formare una famiglia; si mettono in luce le “contraddizioni culturali” della nostra epoca in cui si dice che “l’identità personale e l’intimità affettiva devono affermarsi in una dimensione radicalmente svincolata dalla diversità biologica tra maschio e femmina” o in cui si vuole riconoscere “la titolarità matrimoniale” a coppie istituite indipendentemente dalla differenza sessuale. Di qui, il richiamo ad un “migliore approfondimento umano e culturale, non solo biologico, della differenza sessuale” perché la sua rimozione “è il problema, non la soluzione”.

            Istituzioni latitanti non sostengono la famiglia. I figli, “orfani sociali”. L’Instrumentum chiama in causa anche le “contraddizioni sociali” che portano alla dissoluzione della famiglia: guerra, migrazioni, tossicodipendenza, alcolismo, disoccupazione, povertà, usura (da contrastare con apposite strutture di sostegno economico alle famiglie indigenti) cultura dell’usa e getta, congiuntura economica “sfavorevole ed ambigua” che “distrae risorse che dovrebbero essere destinate al progetto familiare”. In tutto questo, le istituzioni latitano e sono inadeguate, incapaci di sostenere la famiglia. Essa, invece, in quanto “pilastro fondamentale e irrinunciabile del vivere sociale”, “risorsa insostituibile per lo sviluppo armonico di ogni società umana”, necessita di “politiche adeguate”, che tengano conto della sua “azione compensativa” nei confronti del welfare. Senza dimenticare gli “invisibili” della società, esclusi dal sistema economico attuale che colpisce, in particolare, i figli, “segnati a vita da privazioni e sofferenze”, veri “orfani sociali”.

            Dignità per anziani e disabili. Pastorale specifica per famiglie migranti. Per questo, l’Instrumentum mette in risalto l’importanza della famiglia come strumento di inclusione, soprattutto di categorie fragili come i vedovi, gli anziani a cui va data “dignità e speranza”, i disabili che vanno accompagnati per contrastare “le forme impietose di stigma e pregiudizi”. A tal proposito, il documento sinodale affronta anche la cosiddetta sfida del “dopo di noi”, ovvero di disabili che rimangono soli alla morte dei genitori. Per loro si richiede di “garantire, difendere e valorizzare la qualità possibile di ogni vita”. Una pastorale specifica viene poi auspicata per le famiglie migranti, “dilaniate” e “tragicamente ferite”, perché soprattutto in quei Paesi di destinazione dove non c’è una “autentica accoglienza e accettazione, nel rispetto dei diritti di tutti”, si possono alimentare “fenomeni di fondamentalismo e di rigetto violento della cultura ospitante”. E il dramma cresce quando la migrazione è illegale, sostenuta da “circuiti internazionali della tratta di esseri umani”.

            Valorizzare ruolo della donna nella Chiesa. I “lontani” non sono “esclusi”. L’Instrumentum, quindi, si sofferma sul ruolo delle donne: ne ricorda le pagine amare – sfruttamento, violenza, aborti e sterilizzazioni forzati, utero in affitto, mercato dei gameti, il desiderio di figli ad ogni costo – ma ne auspica anche una “maggiore valorizzazione nella Chiesa”, nei suoi “processi decisionali”, nella “partecipazione al governo di alcune istituzioni”. Altro punto cruciale riguarda la “novità assoluta” della “rivoluzione biotecnologica” che permette di “manipolare l’atto generativo” svincolandolo dalla relazione sessuale tra uomo e donna e rendendo, così, la vita umana e la genitorialità “realtà soggette al desiderio di coppie non necessariamente eterosessuali e regolarmente coniugate”. La prima parte si conclude, quindi, con una sottolineatura importante: i “lontani” dalla Chiesa non sono “esclusi”, ma persone comunque amate da Dio a cui la Chiesa deve “guardare con comprensione”.

            Sacramento del matrimonio è indissolubile. La seconda parte dell’Instrumentum evidenzia, in primo luogo, la “pienezza sacramentale” del matrimonio, riaffermandone l’indissolubilità, in quanto “dono” e non “giogo imposto agli uomini”. Per questo, in un’epoca in cui è difficile “mantenere gli impegni per sempre”, si chiede di “dare un annuncio di speranza, che non schiacci” perché “ogni famiglia sappia che la Chiesa non l’abbandona mai”. Si sottolinea, inoltre, che il carattere “unitivo” del matrimonio è complementare a quello “procreativo”, nell’ottica di una “procreazione responsabile”.

            Famiglia sia soggetto di evangelizzazione. La Chiesa accompagni sofferenze coniugali. Centrale, poi, l’urgenza di promuovere la famiglia come “soggetto” di evangelizzazione, affinché testimoni il Vangelo “senza nascondere ciò in cui crede”, in solidarietà con i poveri e i diversi, custodendo il creato e promuovendo il bene comune. Di qui, il richiamo a rinnovare i percorsi catechistici per la famiglia, affinché la comunità cristiana non sia una mera “agenzia di servizi”, bensì un luogo di “crescita”, nel cammino della fede. Chiesa e famiglia sono ciascuna un bene per l’altra, sottolinea l’Instrumentum, richiamando la responsabilità della comunità cristiana di aiutare le coppie in difficoltà, mostrandosi “accogliente” nei loro confronti. Anche perché, nel disegno di Dio, “la famiglia non è un dovere, ma un dono” ed oggi, la scelta del sacramento non va data per scontata, bensì vista come “un passo da maturare, una meta da raggiungere”. Per questo, la Chiesa deve “accompagnare” i momenti di sofferenza coniugale, per evitare “rovinose contrapposizioni tra i coniugi” con conseguenti ricadute sui figli.

            La misericordia è legata alle verità fondamentali di fede. L’ottica, conclude la seconda parte, deve essere quella misericordia che “nulla toglie alla verità”, ma è “essa stessa verità rivelata, strettamente legata alle fondamentali verità della fede”, in quanto “rivelazione dell’identità di Dio” e “dimostrazione dell’identità cristiana”.

            Comunicare la speranza, senza moralismi. Obiezione di coscienza per gli educatori. La terza parte si apre evidenziando la necessità di “preparare, formare e responsabilizzare” le famiglie in ambito missionario, incoraggiando ad esempio la missio ad gentes, anche grazie ad un “linguaggio che susciti speranza”, capace di raggiungere tutti, soprattutto i giovani, e lontano da moralismi, giudizi, pregiudizi e controlli. Perché, in fondo, “non si tratta di presentare una normativa, ma di proporre valori”, “verità di fede”. Magari, scrive l’Instrumentum, ci si può avvalere di equipe specializzate in comunicazione, che sappiano tener conto delle problematiche familiari odierne. E ciò è tanto più valido quanto più si guarda alla “pluralità religiosa e culturale” in cui si vive oggi e per la quale il Sinodo auspica la “sinfonia delle differenze”. Di fronte, poi, all’imposizione di modelli contrari alla visione cristiana della famiglia, come accade nel campo della sessualità, bisognerà offrire percorsi formativi adeguati, affermando “con decisione il diritto all’obiezione di coscienza” per gli educatori.

            Cristiani si impegnino in politica e società per tutelare la famiglia. In sostanza, le famiglie devono interagire con le istituzioni, anche se tale collaborazione non sempre è agevole, portando all’attenzione della politica le loro istanze reali e “denunciando quelle pratiche che ne compromettono la stabilità”. “I cristiani – si legge – devono impegnarsi in modo diretto nel contesto socio-politico”. Su tutto emerge l’esigenza di rinnovare la pastorale familiare creando una migliore sinergia con gli altri ambiti pastorali (giovani, catechesi, associazioni), così da “abbracciare tutte le fasi della vita con una formazione completa”.

            Accompagnare coppie conviventi perché raggiungano la pienezza sacramentale. L’Instrumentum torna poi a ribadire “il dovere e la missione della Chiesa” di annunciare il sacramento del matrimonio come unione fedele e indissolubile tra un uomo ed una donna, ma anche la sua capacità di “accompagnare quanti vivono il matrimonio civile o la convivenza” così che possano, gradualmente, giungere fino alla pienezza dell’unione sacramentale che va presentata non come “un ideale difficile da annunciare”, bensì come “un dono che arricchisce e fortifica la vita coniugale e familiare”. Quindi, il documento si sofferma sul perdono, “esperienza fondamentale” in famiglia, e ricorda che in caso di tradimento coniugale “è necessaria un’opera di riparazione” perché “un patto infranto può essere ristabilito”. Occorrono, dunque, “scelte pastorali coraggiose” nei confronti delle famiglie ferite, facendo sperimentare loro “l’infinita misericordia di Dio”.

            Fallimento matrimoniale: occorre discernimento prudente e misericordioso. Su questo punto, tuttavia, l’Instrumentum riporta due atteggiamenti differenziati: incoraggiare chi vive unioni non matrimoniali ad intraprendere “la strada del ritorno”, oppure invitare tali persone a guardare avanti ed a rimettersi in cammino. Tale accompagnamento andrà comunque fatto con “discernimento prudente e misericordioso”. Il fallimento matrimoniale è sempre “una sconfitta per tutti”, si legge nel testo, perciò “tutti hanno necessità di dare e ricevere misericordia”, soprattutto per il bene dei figli, ai quali vanno risparmiate ulteriori sofferenze. “Alcuni – prosegue ancora il documento – richiedono che anche la Chiesa dimostri un analogo atteggiamento nei confronti di coloro che hanno infranto l’unione”. In quest’ottica, si insiste sull’adeguata preparazione dei sacerdoti a “questo ministero di consolazione e cura” delle famiglie ferite. Allo stesso tempo, la Chiesa deve esprimere “apprezzamento e sostegno” a coloro che non intraprendono una nuova unione, rimanendo fedeli al vincolo.

            Nullità matrimoniale: procedure gratuite e superamento della doppia sentenza conforme. L’Instrumentum torna, quindi, su un punto-chiave della Relatio Synodi, ovvero quello dei casi di nullità matrimoniale: riguardo alla gratuità delle procedure di riconoscimento della nullità stessa, si registra ampio consenso. Sulla doppia sentenza conforme, c’è “larga convergenza” sul suo superamento, fatta salva la possibilità di ricorso del difensore del vincolo o di una delle parti, mentre non riscuote consenso unanime l’idea di un procedimento amministrativo sotto la responsabilità di un vescovo diocesano. Al contempo, un accordo maggiore si riscontra sulla possibilità di un processo canonico sommario nei casi di nullità patente. Richiesto, inoltre, l’incremento ed il decentramento dei tribunali ecclesiastici, dotati di personale qualificato e competente.

            Ripensare le forme di esclusione liturgico-pastorali dei divorziati risposati. L’essenziale, comunque, è offrire linee pastorali comuni, indicazioni chiare da parte della Chiesa affinché chi si trova in situazioni particolari non si senta discriminato. Riguardo, in particolare, ai divorziati risposati si sottolinea che “vanno ripensate le forme di esclusione attualmente praticate nel campo liturgico-pastorale, educativo e caritativo” perché questi fedeli “non sono fuori dalla Chiesa”: si rifletta, dunque, sulla “opportunità di far cadere queste esclusioni”. I cammini di integrazione pastorale siano, però, preceduti da “opportuno discernimento” e realizzati “secondo una legge di gradualità rispettosa della maturazione delle coscienze”. Sull’accostamento all’Eucaristia per i divorziati risposati, l’Instrumentum evidenzia “il comune accordo” sull’ipotesi di una “via penitenziale” sotto l’autorità di un vescovo, basata sul pentimento, sulla verifica dell’eventuale nullità del matrimonio e sulla decisione di vivere in continenza. Altri fanno riferimento ad un “processo di chiarificazione e di nuovo orientamento”, in cui l’interessato sia accompagnato da un presbitero. In relazione alla comunione spirituale si ricorda che “essa presuppone la conversione e lo stato di grazia ed è connessa con la comunione sacramentale”.

            Codice di buona condotta per matrimoni misti. Progetti pastorali specifici per omosessuali. Sui matrimoni misti, che presentano “criticità di non facile soluzione”, il documento sinodale chiede l’elaborazione di un codice di buona condotta, così che i coniugi non ostacolino il cammino di fede reciproco. In particolare, alcuni chiedono che tali tipi di nozze rientrino nei casi di “grave necessità” per i quali è possibile, per i battezzati fuori dalla piena comunione con la Chiesa cattolica, accostarsi all’Eucaristia. Riguardo, inoltre, alla prassi ortodossa di benedire le seconde unioni, l’Instrumentum ricorda che tale pratica non mette in discussione l’unicità del matrimonio e rappresenta una celebrazione penitenziale per ricondurre i penitenti alla comunione con la Chiesa. Infine, fermo restando la contrarietà della Chiesa alle nozze gay, si ribadisce che “ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità ed accolta, con sensibilità e delicatezza, nella Chiesa e nella società”. Di qui, l’auspicio di progetti pastorali specifici per le persone omosessuali e le loro famiglie.

            Tutelare la vita dal concepimento alla morte naturale. Nell’ultimo capitolo l’Instrumentum chiama i cristiani impegnati in politica a promuovere leggi che tutelino la vita dal concepimento fino alla morte naturale. Il punto di partenza resta sempre l’Humanae Vitae di Paolo VI, affinché i coniugi non facciano scelte egoistiche e non avvertano la norma morale come “un peso insopportabile”. Invitando, poi, a valorizzare l’importanza dell’adozione e dell’affido, il documento afferma che “l’educazione di un figlio deve basarsi sulla differenza sessuale, così come la procreazione”, perché anch’essa ha il fondamento “nell’amore coniugale tra uomo e donna, base indispensabile per la formazione integrale del bambino”. Di fronte all’aborto, inoltre, “la Chiesa afferma il carattere sacro ed inviolabile della vita umana”, restando vicina a chi ha vissuto tale dramma, e rammenta “l’obbligo morale dell’obiezione di coscienza” per chi opera nelle strutture sanitarie. Allo stesso tempo, si afferma “il diritto alla morte naturale”, evitando accanimento terapeutico ed eutanasia.

            Famiglia, prima scuola educativa. Genitori vigilino sui programmi scolastici.

Riguardo all’educazione, di cui la famiglia è “la prima scuola”, l’Instrumentum richiama i genitori al loro ruolo di “primi educatori e testimoni della fede” per i loro figli, esortandoli anche ad essere “vigili e responsabili” nei confronti dei programmi scolastici ed educativi. Un riferimento specifico viene infine fatto ai nonni, “apostoli insostituibili delle famiglie”, che spesso “in maniera discreta e gratuita, garantiscono un prezioso sostegno economico alle giovani coppie e si prendono cura dei nipoti, anche trasmettendo loro la fede”. Il documento si conclude con un richiamo al Giubileo straordinario della Misericordia che avrà inizio l’8 dicembre 2015, alla luce del quale si colloca il prossimo Sinodo. L’Assemblea episcopale è in programma dal 4 al 25 ottobre, sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”.

Isabella Piro   Bollettino radiogiornale radio vaticana                  23 giugno 2015

http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

Il fiume e la sinfonia: una lettura dell’Instrumentum laboris.

La scelta è stata importante: mantenere la struttura dei Lineamenta, per predisporre uno “strumento di lavoro” più ricco e con aggiunte frutto del confronto ecclesiale. E non si possono non notare, fin dall’inizio, abbondanti parti “non in corsivo”, che recano novità non piccole.

Ma di “strumento di lavoro si tratta”, con tutti i suoi pregi e i suoi limiti.

            Le due immagini migliori, L’affabulazione piena di immagini di papa Francesco è stata giustamente privilegiata per dare il “tono” al documento. In particolare vorrei mettere in rilievo due immagini:

    1. La famiglia come “sinfonia delle differenze” è un’immagine felice, calzante e tutt’altro che “facile”. Se non vuol cadere nella retorica di molte espressioni ecclesiali, dovrà essere un banco di prova di una lettura non clericale della famiglia. In altri termini, la “sinfonia delle differenze” sarà pienamente valorizzata se saprà coniugarsi con la “eguaglianza” e la “libertà” dei figli di Dio. Se saprà dire la comunione come “differenze riconciliate” e se non demonizzerà, nella differenza, la legittima domanda di uguaglianza.
    2. Il “grande fiume della misericordia”, che identifica la Chiesa, fotografa in modo immediato il compito primario di un annuncio di perdono che a fatica si può articolare con un assetto dottrinale e disciplinare superato. Il documento, che parla del “grande fiume” resta troppo spesso attaccato in modo troppo stretto a Familiaris Consortio 83-84, che presentano una disciplina delle “condizioni irregolari” ormai del tutto inadeguata ai tempi e alla cultura.

I punti deboli e quelli forti. In alcuni casi bisogna notare che gli “ampliamenti” proposti ai numeri dei Lineamenta appaiono poco chiarificatori o addirittura contraddittori. Un esempio balza immediatamente all’occhio: il n. 119 appare segnato da un paradossale effetto di straniamento dalla realtà.

Si inizia con il ricordare che la comunità ecclesiale deve camminare verso una maggiore integrazione delle “famiglie ferite”, ma poi si resta assolutamente immobili secondo le previsioni di Familiaris consortio n. 84, elevando il criterio dello “scandalo” a guida della soluzione. Questa è una caduta grave e ingiustificabile. Lo strumento di lavoro rischia di essere, da questo punto di vista, del tutto fuorviante.

            Ben diverso, invece, è l’approccio per le prospettive di soluzione della posizione dei divorziati risposati. Vi si indica lo spazio per una rilettura onesta della realtà. Pur mantenendo un formale riferimento a Familiaris consortio n. 84 – che deve essere considerata dottrina acquisita, ma insufficiente e addirittura causa prossima dell’attuale imbarazzo ecclesiale – il testo del n. 123 si muove con maggiore libertà, predispone vie di approccio diverso e nuovo, anche se i “consigli di lettura” che chiudono il numero potrebbero indurre qualcuno a pensare che la questione, più che aperta, risulti già chiusa.

            Lo strumento e il lavoro. Ci sono le premesse, simboliche e riflessive, per un lavoro serio ed efficace. Lo strumento avrà bisogno di integrazioni e di ripuliture. Così com’è non riesce a mostrare tutto il coraggio di cui il Sinodo avrà bisogno. Su alcuni punti è addirittura ripiegato all’indietro rispetto ai Lineamenta.

Ma la “sinfonia delle differenze” è più forte delle ideologie o delle paure. E il grande fiume della misericordia travolge i piccoli tentativi di rassicurarsi guardando solo all’indietro. Nel grande fiume, quando si dice “fermo restando”, si è già di qualche chilometro a valle. Volenti o nolenti.

Andrea Grillo            Munera.  26 giugno 2014

www.cittadellaeditrice.com/munera/la-sinfonia-e-il-fiume-luci-e-ombre-di-uno-strumento-di-lavoro

Presentato l’Instrumentum laboris per il Sinodo. Molte conferme, qualche apertura, tanta incertezza

            Se all’assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi sulla famiglia in programma per il prossimo ottobre ci sarà qualche apertura, probabilmente questa riguarderà solo la situazione dei divorziati risposati ed eventualmente la loro ammissione, da valutare caso per caso, ai sacramenti. Ma su tutte le altre “questioni sensibili” (convivenze, unioni civili, coppie omosessuali, contraccezione) le possibilità di un qualche aggiornamento del magistero sembrano piuttosto remote, dal momento che i segnali in questa direzione non si trovano nemmeno nell’Instrumentum laboris, presentato questa mattina in Vaticano dal card. Lorenzo Baldisseri (segretario generale del Sinodo), dal card. Péter Erdo (arcivescovo di Esztergom-Budapest, relatore generale dell’assemblea ordinaria del Sinodo) e da mons. Bruno Forte (arcivescovo di Chieti-Vasto, segretario speciale dell’assemblea ordinaria del Sinodo).

            Naturalmente tutto resta aperto. L’Instrumentum laboris è la “traccia di lavoro”, non la conclusione del Sinodo. Tuttavia alcune questioni sembrano, apparentemente, già ben definite, quindi pare realisticamente difficile che possa riaprirsi la discussione, sebbene il documento, in alcuni punti, risulti ambiguo, se non contraddittorio. Caratteristiche attese quest’ultime, perché l’Instrumentum laboris è il frutto e la sintesi delle risposte al questionario preparatorio da parte dei fedeli di tutto il mondo (sono arrivate 99 risposte da parte di Sinodi delle Chiese orientali cattoliche, Conferenze episcopali, Dicasteri della Curia romana e Congregazioni religiose, più 359 direttamente da parrocchie, associazioni ecclesiali, gruppi spontanei di fedeli e singoli credenti, precisa Baldisseri), i quali evidentemente non la pensano allo stesso modo. E anche perché, come del resto era già emerso durante l’Assemblea straordinaria di ottobre 2014, ad essere divisi sono gli stessi vescovi.

            La situazione: il magistero da una parte, i fedeli dall’altra. La prima parte dell’Instrumentum laboris – che è composto dalla Relazione finale del Sinodo di ottobre 2014 e da una serie di nuovi paragrafi elaborati e aggiunti dopo il nuovo questionario – è la fotografia della situazione esistente, in cui magistero sulla famiglia e comportamenti dei fedeli sono nettamente distanti. «Solo una minoranza vive, sostiene e propone l’insegnamento della Chiesa cattolica sul matrimonio e la famiglia, riconoscendo in esso la bontà del progetto creativo di Dio – si legge nel documento –. I matrimoni, religiosi e non, diminuiscono ed il numero delle separazioni e dei divorzi è in crescita». Si segnala «la paura dei giovani ad assumere impegni definitivi, come quello di costituire una famiglia. Più in generale, si riscontra il diffondersi di un individualismo estremo che mette al centro la soddisfazione di desideri che non portano alla piena realizzazione della persona. Lo sviluppo della società dei consumi ha separato sessualità e procreazione. Anche questa è una delle cause della crescente denatalità. In alcuni contesti essa è connessa alla povertà o all’impossibilità di accudire la prole; in altri alla difficoltà di volersi assumere delle responsabilità e alla percezione che i figli potrebbero limitare la libera espansione di sé».

            Le cause: contraddizioni culturali e sociali. Le cause di questa situazione, secondo il documento, sono di natura sia culturale («contraddizioni culturali») che sociale («contraddizioni sociali»).

            La famiglia «continua ad essere immaginata come il porto sicuro degli affetti più intimi e gratificanti, ma le tensioni indotte da un’esasperata cultura individualistica del possesso e del godimento generano al suo interno dinamiche di insofferenza e di aggressività a volte ingovernabili», si legge nell’Instrumentum laboris. Per esempio, «una certa visione del femminismo, che ritiene la maternità un pretesto per lo sfruttamento della donna e un ostacolo alla sua piena realizzazione»; «la crescente tendenza a concepire la generazione di un figlio come uno strumento per l’affermazione di sé, da ottenere con qualsiasi mezzo»; «le teorie secondo le quali l’identità personale e l’intimità affettiva devono affermarsi in una dimensione radicalmente svincolata dalla diversità biologica fra maschio e femmina», ovvero quella che la Chiesa cattolica chiama “teoria del gender”; i tentativi di voler riconoscere ad «una coppia istituita indipendentemente dalla differenza sessuale la stessa titolarità della relazione matrimoniale intrinsecamente legata ai ruoli paterno e materno, definiti a partire dalla biologia della generazione», quindi il riconoscimento dei matrimoni gay.

            Ma a minare la famiglia vi sono anche cause di natura socio-politica e socio-economica: guerre, «azzeramento delle risorse», «processi migratori», «politiche economiche sconsiderate», politiche sociali poco attente alla famiglia («accresciuti oneri del mantenimento dei figli», «aggravamento dei compiti sussidiari della cura sociale dei malati e degli anziani») e, ovviamente, la crisi economica generale, cioè «una congiuntura economica sfavorevole, di natura assai ambigua, e il crescente fenomeno dell’accumulo di ricchezza nelle mani di pochi e della distrazione di risorse che dovrebbero essere destinate al progetto familiare» che genera, fra l’altro, «salari insufficienti, disoccupazione, insicurezza economica, mancanza di un lavoro dignitoso e di sicurezza sul posto di lavoro, traffico di persone umane e schiavitù».

            Famiglia: fragile e forte. Pur in questa situazione di enorme «fragilità», la famiglia mantiene intatta la propria «forza»: resta «il pilastro fondamentale e irrinunciabile del vivere sociale» e il progetto di Dio per gli esseri umani, dal momento che «l’uomo e la donna come coppia sono immagine di Dio». Proprio per questo, prosegue l’Instrumentum laboris, va sostenuta, anche rispetto a quelle situazioni particolari, di cui la famiglia si fa carico: la presenza di persone anziane e malate (talvolta in fase terminale) e di persone disabili, la «vedovanza».

            Un’attenzione particolare viene dedicata dal documento al «ruolo delle donne», contraddicendo parzialmente l’iniziale attacco al «femminismo», identificato fra le cause della crisi. «Nei Paesi occidentali – si legge – l’emancipazione femminile richiede un ripensamento dei compiti dei coniugi nella loro reciprocità e nella comune responsabilità verso la vita familiare. Nei Paesi in via di sviluppo, allo sfruttamento e alla violenza esercitati sul corpo delle donne e alla fatica imposta loro anche durante la gravidanza, spesso si aggiungono aborti e sterilizzazioni forzate, nonché le conseguenze estremamente negative di pratiche collegate con la procreazione (ad esempio, affitto dell’utero o mercato dei gameti embrionali). Nei Paesi avanzati, il desiderio del figlio “ad ogni costo” non ha portato a relazioni familiari più felici e solide, ma in molti casi ha aggravato, di fatto, la diseguaglianza fra donne e uomini. La sterilità della donna rappresenta, secondo i pregiudizi presenti in diverse culture, una condizione socialmente discriminante». La Chiesa potrebbe svolgere una funzione positiva, perché «può contribuire al riconoscimento del ruolo determinante delle donne» con «una maggiore valorizzazione della loro responsabilità nella Chiesa: il loro intervento nei processi decisionali; la loro partecipazione, non solo formale, al governo di alcune istituzioni; il loro coinvolgimento nella formazione dei ministri ordinati». Tuttavia non si capisce, a questo punto, come mai il cammino della Chiesa in questa direzione sia piuttosto rallentato, se non fermo.

Matrimonio naturale, indissolubile e procreativo. L’annuncio e la pastorale della Chiesa per la famiglia devono pertanto muoversi lungo i binari tradizionali: matrimonio «naturale» fra un uomo e una donna, «indissolubile» e «procreativo». Aggiornando il linguaggio perché sia «in grado di raggiungere tutti» (e l’Instrumentum laboris insiste molto sulla formazione dei preti, dei religiosi e delle famiglie stesse, che vanno maggiormente coinvolte e responsabilizzate nei compiti pastorali, anche per contrastare quei «progetti formativi imposti dall’autorità pubblica che presentano contenuti in contrasto con la visione propriamente umana e cristiana», nei confronti dei quali va «affermato con decisione il diritto all’obiezione di coscienza da parte degli educatori»). E partendo «dalle situazioni concrete delle famiglie di oggi», perché sia un annuncio «che dia speranza e che non schiacci».

            Un’unica famiglia. L’impressione che si ricava dall’Instrumentum laboris è però che la «pluralità delle situazioni concrete» di cui «gli agenti pastorali dovranno tener conto» vadano ricondotte all’unità già codificata dal magistero.

            Convivenze e matrimoni civili, soprattutto se non motivati da «pregiudizi o resistenze nei confronti dell’unione sacramentale», vanno orientati verso il matrimonio religioso («innestare un cammino di crescita aperto alla possibilità del matrimonio sacramentale», «attraverso la dinamica pastorale delle relazioni personali è possibile dare concretezza ad una sana pedagogia che, animata dalla grazia e in modo rispettoso, favorisca l’apertura graduale delle menti e dei cuori alla pienezza del piano di Dio»).

            Le coppie omosessuali, come del resto già avvenuto nella Relazione finale dell’assemblea sinodale di ottobre 2014 (piuttosto arretrata rispetto alla Relatio post disceptationem di metà assemblea), semplicemente non esistono: «Si ribadisce – si legge – che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza, sia nella Chiesa che nella società. Sarebbe auspicabile che i progetti pastorali diocesani riservassero una specifica attenzione all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale e di queste stesse persone». Nessun cenno alle coppie omosessuali: esistono nella società, non per la Chiesa. Ovviamente l’adozione e l’educazione di un figlio «deve basarsi sulla differenza sessuale, così come la procreazione». Niente adozione per coppie gay, quindi, ma nemmeno per i single.

            E ovviamente viene ribadita la condanna per aborto (anzi si sostiene con forza l’obiezione di coscienza) ed eutanasia. «La Chiesa anzitutto afferma il carattere sacro e inviolabile della vita umana e si impegna concretamente a favore di essa. Grazie alle sue istituzioni, offre consulenza alle gestanti, sostiene le ragazze-madri, assiste i bambini abbandonati, è vicina a coloro che hanno sofferto l’aborto. A coloro che operano nelle strutture sanitarie si rammenta l’obbligo morale dell’obiezione di coscienza. Allo stesso modo, la Chiesa non solo sente l’urgenza di affermare il diritto alla morte naturale, evitando l’accanimento terapeutico e l’eutanasia, ma si prende anche cura degli anziani, protegge le persone con disabilità, assiste i malati terminali, conforta i morenti».

            Ambiguità e spiragli: contraccezione e divorziati risposati. Sebbene sia ribadita «la ricchezza di sapienza contenuta nella Humanae Vitae» (l’enciclica di Paolo VI che condannava la contraccezione artificiale), sul tema della contraccezione l’Instrumentum laboris sceglie una formulazione piuttosto ambigua che però non chiude definitivamente il discorso, indicando «due poli da coniugare costantemente. Da una parte, il ruolo della coscienza intesa come voce di Dio che risuona nel cuore umano educato ad ascoltarla; dall’altra, l’indicazione morale oggettiva, che impedisce di considerare la generatività una realtà su cui decidere arbitrariamente, prescindendo dal disegno divino sulla procreazione umana. Quando prevale il riferimento al polo soggettivo, si rischiano facilmente scelte egoistiche; nell’altro caso, la norma morale viene avvertita come un peso insopportabile, non rispondente alle esigenze e alle possibilità della persona. La coniugazione dei due aspetti, vissuta con l’accompagnamento di una guida spirituale competente, potrà aiutare i coniugi a fare scelte pienamente umanizzanti e conformi alla volontà del Signore».

            Così come sulla situazione dei divorziati risposati, il documento lascia aperte una serie di strade, alcune in contraddizione fra loro, tutte comunque con un tasso di ambiguità che forse verrà sciolto solo durante l’assemblea di ottobre prossimo. «Si richiede da molte parti che l’attenzione e l’accompagnamento nei confronti dei divorziati risposati civilmente si orientino verso una sempre maggiore loro integrazione nella vita della comunità cristiana, tenendo conto della diversità delle situazioni di partenza», si legge nell’Instrumentum laboris. «Vanno ripensate le forme di esclusione attualmente praticate nel campo liturgico-pastorale» – quindi, fra le altre cose, l’esclusione dai sacramenti –, e «si propone di riflettere sull’opportunità di far cadere queste esclusioni», tenendo sempre presente il principio di «gradualità». La via maestra resta quello dello «snellimento delle procedure» per «il riconoscimento dei casi di nullità matrimoniale». Ma vi sono anche altre strade. «C’è un comune accordo – si legge – sull’ipotesi di un itinerario di riconciliazione o via penitenziale, sotto l’autorità del vescovo, per i fedeli divorziati risposati civilmente, che si trovano in situazione di convivenza irreversibile […] Si suggerisce un percorso di presa di coscienza del fallimento e delle ferite da esso prodotte, con pentimento, verifica dell’eventuale nullità del matrimonio, impegno alla comunione spirituale e decisione di vivere in continenza. Altri, per via penitenziale intendono un processo di chiarificazione e di nuovo orientamento, dopo il fallimento vissuto, accompagnato da un presbitero a ciò deputato. Questo processo dovrebbe condurre l’interessato a un giudizio onesto sulla propria condizione, in cui anche lo stesso presbitero possa maturare una sua valutazione per poter far uso della potestà di legare e di sciogliere in modo adeguato alla situazione». La prassi delle Chiese ortodosse – benedire una seconda unione dopo un periodo di penitenza – viene richiamata, senza però esprimere alcun giudizio.

            «L’integrazione piena dei divorziati risposati è la meta», spiega mons. Bruno Forte durante la conferenza stampa. «In alcune situazioni si potrà arrivare alla comunione? Su questo il Sinodo dovrà rispondere».

Luca Kocci, vaticanista          ADISTA         23 GIUGNO 2015                 www.adista.it/articolo/55177

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

Convegno Nazionale di Rimini

            Nel n. 233 del “Notiziario UCIPEM” sono riportati  il verbale dell’Assemblea ordinaria dei consultori familiari Soci dell’Unione tenutasi a Rimini il 21 novembre 2014 e gli atti del Convegno Nazionale “Trama e ordito. L’operatore del consultorio familiare : una storia in divenire”.

Francesco Lanatà. Armonia ed etica.

p. Alfredo Feretti omi. Il tessitore. Un’identità in divenire, questioni aperte.

Chiara Camber. La carta dell’UCIPEM tra storia, tradizione e futuro

Beppe Sivelli. Le radici e le ali.

Vittoria Maioli Sanese. L’équipe, luogo generativo di formazione nella condivisione.

Emidio Tribolato. Consultorio e Società.

Luca Proli. Il filo d’Arianna. Restituzioni dei lavori di gruppi.

Amalia Rosa Spiazzi. Ordito e trama.

Contributi.

  • Francesco Lanatà. I consultori familiari come possono aiutare la famiglia a vivere la quotidianità?
  • Giuseppe Rubino. La dimensione affettiva nell’uomo contemporaneo.
  • Giuliano Alquati. La fama d’emozioni: quando il cibo compensa bisogni emotivi.

                             Recensioni

  • Emidio Tribolato. Autismo e gioco libero autogestito.

Notizie dai consultori.

Bologna, Roma 1, Trento, Latiano

Elenco dei consultori familiari UCIPEM

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