NewsUcipem n. 551 –21 giugno 2015

NewsUcipem n. 551 –21 giugno 2015

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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“notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line   direttore responsabile Maria Chiara Duranti.

direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le “news” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

            Le news sono così strutturate:

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Per i numeri precedenti

dal n. 1 (10 gennaio 2004) al n. 526 richiedere a                                        newsucipem@gmail.com

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ADOZIONE                                      Ascolto del minore

ADOZIONE INTERNAZIONALE  UFAI: lettera a Renzi sui costi delle adozioni internazionali.

Congedo parentale: padre adottivo diritto permanenza a estero.

ADOZIONI NAZIONALI                Banca dati minori adottabili operativa solo in 11 Tribunali su 29.

AFFIDO CONGIUNTO                   Padre tenuto fuori dalla vita della figlia? Nessun reato X  madre.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  Chi si risposa o va a convivere perde il mantenimento.

Quando il disoccupato non versa il mantenimento all’ex moglie.

Assegno di mantenimento per i figli.

Mantenimento al figlio: nessun rendiconto della moglie al marito

ASSEGNO DIVORZILE                  Divorzio: niente mantenimento se la donna può lavorare.

CHIESA CATTOLICA                    Le crisi degli amici preti e quelle degli amici laici

CONSULTORI familiari UCIPEM  Senigallia.       Corso per consulenti familiari

COPPIA                                            Quali sono oggi i “virus” che si insinuano in una coppia?

DALLA NAVATA                            12° domenica del tempo ordinario – anno B –21 giugno 2015.

DIVORZIO                                       Come funziona il divorzio breve in Italia.

FAMIGLIA                                       Le tre contraddizioni che assediano la famiglia.

FRANCESCO VESCOVO di Roma            “Laudato si'”: il pianeta ha bisogno di un'”ecologia integrale”

L’undicesimo comandamento.

PARLAMENTO Camera Assemblea          Accesso dell’adottato alle proprie origini

Camera 2° comm. Giustizia Adozione dei minori.

Senato 2° comm. Giustizia   Disciplina delle unioni civili.

REVERSIBILITÀ                             Posso rimanere separato senza divorziare?

SINODO SULLA FAMIGLIA          Una proposta per tenere insieme dottrina e misericordia.

La risposta al Sinodo delle famiglie interconfessionali

UNIONI CIVILI                               Coppie di fatto non sposate: diritti e doveri dei conviventi.

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                                                                      ADOZIONE

                                               Ascolto del minore

               Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 11890. 9 giugno 2015.

               In tema di dichiarazione dello stato di adottabilità, l’ascolto del minore di almeno dodici anni, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce una modalità tra le più rilevanti di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse

            sentenza

http://renatodisa.com/2015/06/16/corte-di-cassazione-sezione-i-sentenza-9-giugno-2015-n-11890-in-tema-di-dichiarazione-dello-stato-di-adottabilita-lascolto-del-minore-di-almeno-dodici-anni-e-anche-di-eta-minore-ove-ca

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Unione Famiglie Adottive Italiane: lettera a Renzi sui costi delle adozioni internazionali.

I costi dell’adozione internazionale sono sempre più un mistero oltre che uno dei talloni d’Achille di un sistema che sta rapidamente andando allo sfascio. Sul tema è intervenuta a metà giugno 2015 anche l’Ufai (Unione Famiglie Adottive Italiane) che, in una lettera inviata al presidente del Consiglio Matteo Renzi, ha chiesto l’aggiornamento delle tabelle dei costi applicati dagli enti autorizzati. L’Ufai, infatti, ha notato che vi sono spesso notevoli differenze tra le cifre indicate sui siti dei vari enti e quelle riportare invece sul portale della Commissione Adozione Internazionale in relazione agli stessi enti. In alcuni casi, ci si trova davanti a cifre che raggiungono il doppio di quanto è indicato sul sito della Commissione.

            Quest’ultimo, ricorda l’Ufai, “è il punto di riferimento di tutte quelle coppie che hanno deciso, o stanno decidendo, di intraprendere il percorso dell’adozione internazionale”. È fondamentale, pertanto, che i costi della procedura adottiva previsti dall’ente a cui gli aspiranti genitori danno mandato siano riportati in modo corretto. Invece, rileva l’Ufai, vi è spesso una “grande differenza tra quanto viene chiesto dagli enti attraverso la ‘carta dei servizi’ e quanto è riportato sul sito della Cai”.

            Ancora una volta, quindi, ci si troverebbe davanti a una situazione di scarsa trasparenza e correttezza nei confronti degli aspiranti genitori, a dimostrazione di quanto il sistema italiano dell’adozione internazionale sia ormai del tutto fuori controllo.

            Per sanare tale carenza, l’Ufai chiede che queste tabelle vengano aggiornate “attraverso una comunicazione obbligatoria che l’ente dovrà fare ogni volta che gli importi subiranno variazioni e che le tabelle della Cai vengano definite ‘tabelle di riferimento dei costi della procedura di adozione internazionale di minori’”. Un procedimento chiaro e in continuo aggiornamento, quindi, che permetterebbe alle coppie di sapere quale sforzo economico dovranno sopportare fin dal momento in cui affideranno il mandato a un ente. “Oggi le coppie si trovano davanti a cifre assolutamente fuori dalla realtà e a costi non ben definiti”, commenta l’Ufai nella sua lettera.

            Amici dei Bambini – che ogni volta in cui ha aggiornato i propri costi ha puntualmente effettuato la relativa comunicazione alla Cai – plaude all’iniziativa dell’Ufai. La richiesta di aggiornamento delle tabelle sui costi rappresenta un passo importante in direzione di una maggiore trasparenza e correttezza del sistema nei confronti delle coppie. Quelle coppie che, davanti a così grandi differenze nelle cifre relative alle spese che dovrebbero affrontare, non potrebbero non sentirsi ingannate e indotte a rinunciare all’adozione. In uno scenario come quello attuale, di crescente disaffezione verso l’adozione internazionale, questo costituisce un motivo di ulteriore sfiducia per chi vuole adottare. Rimediare a una tale mancanza di trasparenza sarebbe quindi un atto dovuto nei confronti delle famiglie accoglienti.

            Nella stessa lettera al premier, l’Ufai chiede che vengano aggiornate anche le liste dei Paesi con cui ciascun ente ha degli accordi, perché anche in questo caso si rilevano spesso “molte differenze tra quanto l’ente propone e quanto è scritto sul sito della Cai”. In particolare, l’Ufai chiede che ci siano sempre informazioni corrette sulle eventuali criticità presenti nei vari Paesi. A tal proposito, si richiede anche che le coppie costrette a cambiare Paese, a causa dei problemi presenti in quello a cui erano state inizialmente indirizzate, “non vengano sottoposte a nuove richieste economiche da parte degli enti”. Il “rischio di impresa”, quindi, non deve essere “scaricato” sulla famiglia adottiva.

            Ai. Bi. 19 giugno 2015                      www.aibi.it/ita/category/archivio-news

 

Congedo parentale: estensione al padre adottivo del diritto di permanenza all’estero.

Quando la data del parto si avvicina, i futuri genitori cominciano a informarsi sui diritti di cui possono godere dopo la nascita del bebè. Proprio in merito al congedo parentale, il recente decreto sulla conciliazione dei tempi lavoro-famiglia contenuto nel Jobs Act, ha introdotto importanti novità, che però saranno valide solo per il 2015, in via sperimentale.

            A cambiare saranno, innanzitutto, i tempi di fruibilità. Il limite massimo entro cui è possibile godere del congedo parentale è stato esteso dagli 8 ai 12 anni di vita del bambino. Anche la soglia entro cui richiedere il prolungamento del congedo in caso di figli con handicap passa dagli 8 ai 12 anni. La durata complessiva, invece, rimane inviata: è sempre pari a tre anni.

            Modificata anche la retribuzione. Durante i periodi di congedo facoltativo dal lavoro, la mamma e il papà percepiscono sempre il 30% della loro retribuzione (a carico degli enti previdenziali), ma non più fino ai tre anni del bambino bensì fino ai sei anni.

            Il decreto, inoltre, introduce la possibilità anche per i genitori adottivi ed affidatari di fruire della sospensione del congedo in caso di ricovero del bambino e l’estensione al padre del diritto di permanenza all’estero senza retribuzione per le adozioni internazionali, anche qualora la madre non sia lavoratrice.

            Grazie alle novità introdotte, ciascun genitore può sempre scegliere di prendere il congedo parentale a ore piuttosto che su base giornaliera. Non solo. È anche possibile chiedere, in alternativa al congedo parentale, il part-time per un periodo analogo. Al termine, l’orario di lavoro ritorna alla normalità. Mamma e papà non sono più obbligati a dare un preavviso di almeno quindici giorni rispetto alla data in cui vogliono iniziare l’astensione: possono chiederlo fino a cinque giorni prima. Il limite si abbassa a due giorni nel caso di astensione su base oraria.

            Infine, se il parto avviene in anticipo rispetto alla data presunta, i giorni del congedo di maternità non goduti prima della nascita del bebè si aggiungono al periodo di congedo post parto, anche quando la somma dei due periodi superi il limite complessivo dei cinque mesi.

            Fonte: www.ipsoa.it   Ai. Bi. 16 giugno 2015                      www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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ADOZIONI NAZIONALI

Banca dati minori adottabili operativa solo in 11 Tribunali su 29.

La Banca Dati Nazionale dei minori adottabili e delle coppie disponibili all’adozione è operativa solo in 11 Tribunali per i Minorenni sui 29 esistenti. Da ciò deriva la difficoltà nel garantire a ogni bambino adottabile la scelta di una famiglia, con ritardi negli abbinamenti e scarse opportunità per i bambini ‘speciali’, ovvero di più difficile adozione. Ma soprattutto in questo modo non si è in grado di quantificare l’effettiva situazione e quantità dei minorenni che pur essendo adottabili non vengono adottati.

            Questa è la denuncia contenuta nell’VIII Rapporto sullo stato di attuazione della CRC (Convention on the Rights of the Child) in Italia: «A vent’anni esatti dal primo Rapporto inviato dall’Italia al Comitato ONU per la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza – si legge nel documento -, il sistema organico di politiche per l’infanzia su cui il nostro Paese si era impegnato con la ratifica della Convenzione non è stato realizzato». La CRC è impegnata nella tutela e promozione dei diritti dell’infanzia e prevede un sistema di monitoraggio che si basa sulla presentazione di rapporti periodici al Comitato ONU da parte degli Stati che l’hanno ratificata, e di coalizioni di ONG (organizzazioni non governative). Oggi il Gruppo CRC è composto da 87 associazioni tra cui Ai.Bi. Amici dei Bambini.

            Un’operatività parziale, dunque, della BDA (Banca Dati Nazionale dei Minori Adottabili e delle Coppie Disponibili all’Adozione) varie volte evidenziata anche da Ai.Bi. Amici dei Bambini.

            I minorenni (adottabili ma che non vengono adottati) erano 1900 nel 2010, scesi a 300 nel febbraio 2014. Particolarmente grave è la mancanza nel nostro Paese di un dato certo sul numero di bambini e bambine con disabilità congenite ed evolutive, che fotografi la situazione prima dell’ingresso nella scuola dell’obbligo: grave in quanto direttamente collegato alle politiche e agli interventi precoci, dalla diagnosi alla riabilitazione tempestiva. Infine l’assenza di un’anagrafe dell’edilizia scolastica nazionale e di alcune anagrafi regionali.

            Un’operatività della BDA pertanto inadatta a facilitare l’abbinamento tra coppie adottanti e bambini adottabili sia a monitorare la situazione delle adozioni nazionali in Italia, a partire dalla realtà di quei bambini che, pur essendo adottabili, non vengono accolti in adozione.

            La BDA è stata introdotta con legge del 2001 ed è, quindi da oltre 14 anni che si è in attesa della sua operatività. Dall’inoperatività della BDA derivano gravi inefficienze della procedura di adozione nazionale con aggravi burocratici per le coppie che si candidano all’adozione e ritardi negli abbinamenti. Ciò risulta particolarmente pregiudizievole per i bambini di difficile adozione che sono quelli più esposti a non trovare una famiglia adottiva, malgrado la grande disponibilità di famiglie che ogni anno si candidano per l’adozione nazionale.

            Un’inattività nonostante nel 2012 il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio abbia accolto il ricorso presentato da Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini contro il Ministero della Giustizia proprio per la realizzazione della Banca Dati dei minori adottabili. La Banca Dati dovrebbe essere aggiornata con cadenza trimestrale. Ma in realtà da allora tutto tace.

Ai. Bi. 18 giugno 2015                      www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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AFFIDO CONGIUNTO

Padre tenuto fuori dalla vita della figlia? Nessun reato per la madre.  

Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza n. 25257, 16 giugno 2015.

Non può inquadrarsi nel reato di sottrazione di minore la condotta del genitore che non coinvolge l’altro nelle scelte relative alla vita del figlio. Lo ha stabilito la Cassazione assolvendo una madre dalla condanna per il reato ex art. 574 c.p. perché il fatto non sussiste.

            Oltre a tale contestazione, alla donna erano state mosse diverse accuse per la mancata esecuzione dolosa di provvedimenti del giudice, tutte cadute per mancanza di querela o perché il fatto non sussiste.

Restavano in piedi soltanto i reati di cui all’art. 388, comma 2 e 574 c.p., legati dal vincolo della continuazione.

Per il primo, la condotta ascritta all’imputata, relativa al mancato ripristino del collocamento della bimba presso il padre che era stato colpito da ictus, veniva giudicata dalla stessa corte territoriale, irrilevante sul piano penale, in quanto compiuta nell’interesse prevalente della minore (tanto che in seguito la bambina viene affidata prevalentemente alla madre).

            Quanto al secondo reato, la responsabilità dell’imputata veniva invocata non già per aver ritenuto la figlia contro la volontà dell’altro genitore in violazione del pertinente provvedimento giudiziale, bensì per aver tenuto lo stesso all’oscuro dei fatti che riguardavano la vita della minore.

            Non venivano prese in considerazione le doglianze della donna che asseriva che la mancanza iniziale degli incontri tra la bimba e il padre (avvenuti in un tempo differito e con interruzioni) non erano addebitabili ad un suo comportamento ma unicamente al ritardo dei servizi sociali.

            Decisivo appare sulla questione l’intervento della Cassazione, secondo la quale, dall’analisi della vicenda, non solo si è in presenza di una non consentita immutatio facti, ma sia preclusa la stessa configurabilità delle condotte tipiche della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 574 c.p.

            “Tenere il padre all’oscuro della vita della figlia e non coinvolgerlo nelle scelte a questa relative – ha affermato, infatti, la S.C. – risulta irrimediabilmente esorbitante rispetto a quella fattispecie”, tenuto conto che le pronunce di assoluzione e improcedibilità per i reati di cui all’art. 388 c.p. non sono state impugnate e sono diventate definitive.

            Per cui, in conclusione: annullata senza rinvio la sentenza relativamente all’imputazione di cui all’art. 574 c.p. perché il fatto non sussiste e parola ad altro giudice soltanto per la rideterminazione della pena in relazione alla parte residua del reato ex art. 388, comma 2, c.p.

Scarica la sentenza n. 25257/2015

Marina Crisafi –         newsletter       studiocataldi.it           19 giugno 2015                      sentenza

www.studiocataldi.it/articoli/18646-padre-tenuto-fuori-dalla-vita-della-figlia-nessun-reato-per-la-madre.asp

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Chi si risposa o va a convivere perde il mantenimento.

            Dopo il divorzio, assegno di mantenimento definitivamente negato a chi forma una nuova famiglia, sia essa fondata sul matrimonio o sulla convivenza (coppia di fatto).

Se dopo il divorzio il coniuge a cui il giudice ha, in precedenza, riconosciuto il diritto al mantenimento si risposa, perde l’assegno mensile: è questo uno dei principi più rivoluzionari sanciti quest’anno dalla Cassazione [sent. n. 6855/3 aprile 2015] in materia di coppie separate e successivamente divorziate.

www.professionegiustizia.it/notizie/notizia.php?id=698

Infatti, nel momento in cui il coniuge, fino a allora mantenuto dall’ex, sale nuovamente sull’altare e forma una nuova famiglia, perde in modo definitivo l’assegno di divorzile. Non solo. Ciò vale anche se la famiglia che questi va a costituire non è fondata sul matrimonio, ma su una semplice convivenza. In definitiva, è sufficiente andare a convivere con un’altra persona per perdere ogni diritto all’assegno divorzile mensile (ossia, in sostanza, al mantenimento).

            Chi si rifà una vita dopo il divorzio – sostiene la Suprema Corte – perde l’assegno di mantenimento dell’ex coniuge ormai divorziato quando la sua nuova scelta di vita dà luogo a una vera e propria famiglia di fatto, magari con tanto di figli.

            La novità rispetto ai precedenti orientamenti [Cass. sent. n. 17195/2011], si evidenzia inoltre nel fatto che, secondo la Corte, la nuova relazione non comporta una semplice “quiescenza” (ossia una sospensione) del diritto all’assegno divorzile, ma la perdita definitiva.

www.studiodisa.it/blog/2011/09/06/corte-di-cassazione-i-sezione-sentenza-11-agosto-2011-n-17195-in-caso-di-cessazione-degli-effetti-civili-del-matrimonio-linstaurazione-di-una-nuova-famiglia-di-fatto-per-lex-co/

            Insomma, dar vita a una nuova famiglia, sia essa fondata sul matrimonio o sul rapporto “di fatto” di una convivenza, costituisce una scelta esistenziale, libera e consapevole, che scioglie ogni dovere di solidarietà postmatrimoniale da parte dell’altro coniuge. Questo significa che chi si rifà una famiglia di fatto perde l’assegno anche se poi la convivenza finisce. Questo perché la scelta dell’ex coniuge di creare una nuova famiglia, per quanto fuori dal matrimonio, è frutto di una scelta libera e consapevole: chi la assume deve mettere in conto che un domani la convivenza, per quanto stabile, possa cessare.

            Assume dunque sempre più importanza la coppia di fatto nella giurisprudenza della Cassazione: i conviventi elaborano un progetto di vita in comune e i connotati di stabilità rendono la loro relazione assimilabile al matrimonio; le conseguenze non sono affatto trascurabili: l’esistenza di una nuova famiglia – anche se di fatto – non può che far venir meno il parametro dell’adeguatezza dei mezzi di sussistenza per il coniuge “debole” rispetto al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; si spezza allora ogni legame con il modello di vita del matrimonio cessato. Serve però sempre la sentenza di un giudice per accertare che non esiste più il diritto al trattamento economico a carico dell’ex coniuge onerato.

redazione   la legge per tutti 15 giugno 2015

www.laleggepertutti.it/90353_chi-si-risposa-o-va-a-convivere-perde-il-mantenimento

 

Quando il disoccupato non versa il mantenimento all’ex moglie.

Corte d’appello di Napoli – terza Sezione penale – Sentenza n. 337, 19 gennaio 2015

Violazione degli obblighi di assistenza familiare: per il mancato mantenimento alla moglie o ai figli si salva solo chi dimostra che sta cercando lavoro.

            Non basta dichiarare di essere disoccupati per evitare il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, ossia in caso di mancato versamento del mantenimento all’ex moglie o ai figli. Per andare esenti da responsabilità penale bisogna almeno dimostrare di essere alla ricerca di un lavoro “idoneo”, ossia tale che possa garantire il sostentamento a sé e alla famiglia.

            È quanto affermato dalla Corte di Appello di Napoli in una recente sentenza.

Dunque, scatta la condanna penale nei confronti del soggetto che si limiti semplicemente a dedurre di avere una situazione lavorativa precaria, senza fornire dimostrazione sulla concreta impossibilità di versare l’assegno. Sempre meglio, quindi, munirsi delle prove di ciò che si sostiene e, soprattutto, della propria buona volontà a rimediare alla situazione di disoccupazione.

            In definitiva, spetta all’interessato l’onere di dimostrare l’oggettiva impossibilità di versare il mantenimento; la sua responsabilità non può essere esclusa in base alla generica indicazione dello stato di disoccupazione [Cass. sent. n. 5751/2010].

Del resto, secondo la Cassazione, è necessario che l’impossibilità alla somministrazione dei mezzi di sussistenza all’ex e ai figli sia incolpevole giacché l’obbligato è tenuto pur sempre ad adoperarsi per adempiere la sua prestazione procurandosi un’idonea occupazione [Cass. sez. 6, 15.3.1990] e, pertanto, il mero stato di disoccupazione, che non coincide necessariamente con l’incapacità economica, non fa evitare la responsabilità penale quando sia dipeso da comportamento negligente del soggetto [Cass. sent. n. 1715/1999].

            Attenzione: per evitare problemi a monte, in caso di disoccupazione è sempre meglio ricorrere in tribunale e chiedere la revisione delle condizioni di separazione/divorzio. Questo perché l’autoriduzione dell’assegno o l’autosospensione non sono possibili nel nostro ordinamento; al contrario deve esserci sempre l’autorizzazione del giudice.

            È di qualche giorno fa la sentenza della Cassazione [Cass. sent. n. 24730/2015] secondo cui la denuncia dei redditi con la quale il padre dichiara pochissime migliaia di euro l’anno non lo salva dalla condanna per aver di sua iniziativa tagliato l’assegno in favore della figlia, né serve che abbia sostituto il denaro con oggetti a suo avviso utili (computer portatili, vestiti e uno strumento musicale). È solo il giudice che può ridurgli l’onere.

sentenza

            Raffaella Mari                       la legge per tutti                    14 giugno 2015

www.laleggepertutti.it/90220_quando-il-disoccupato-non-versa-il-mantenimento-allex-moglie

 

Assegno di mantenimento per i figli.

Contributo al mantenimento della prole: guida sui criteri per determinare la misura dell’importo dovuto dall’ex coniuge dopo la separazione o il divorzio.

            Quando una coppia di genitori si separa, che sia sposata o meno, uno dei problemi più spinosi – insieme a quello relativo alle modalità di affidamento dei figli – è spesso rappresentato dalla quantificazione dell’assegno dovuto per il loro mantenimento da parte del genitore che lascerà la casa familiare.

C’è un modo per stabilire come esso vada calcolato? Cosa prevede la legge

            Per dare risposta a questa domanda occorre partire dalla lettura della norma [Art. 337 ter cod. civ.] che, in tema di provvedimenti economici relativi ai figli in caso di separazione tra i genitori, prevede che ciascuno dei genitori (salvo diversi accordi tra di loro) è tenuto a provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito. Il giudice stabilisce, quando necessario, la corresponsione di un assegno periodico che va determinato considerando:

– le esigenze attuali del figlio;

– il tenore di vita goduto dal figlio durante la convivenza con entrambi i genitori;

– i tempi di permanenza presso ciascun genitore;

– le risorse economiche di entrambi i genitori;

– la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.

            Il dovere di mantenimento gravante su entrambi i genitori e che – è bene ricordarlo – è indipendentemente dalla separazione, impone di far fronte a molteplici esigenze dei figli, che non sono soltanto l’obbligo alimentare, ma vanno estese anche all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, all’opportuna predisposizione, fin quando l’età dei figli lo richieda, di un’organizzazione domestica stabile, in grado di rispondere alle loro specifiche necessità di cura e di educazione [. Cass. sent.. 3974/2002].

            L’accertamento dei redditi effettivi. Nell’ambito di un procedimento in tribunale dove manchi l’accordo sull’entità dell’assegno (e quindi sia stata intrapresa una causa vera e propria tra i genitori) sin da subito il giudice è tenuto ad una prima valutazione, se pur sommaria, degli elementi offerti dalle parti, con lo scopo di stabilire, in primo luogo, il pregresso tenore di vita della coppia e le loro attuali condizioni patrimoniali e di reddito. Non può, infatti, certamente attendersi l’esito della causa per stabilire quanto un genitore debba versare all’altro affinché provveda ai bisogni dei figli. Quanto deciso, tuttavia, in questa prima fase non ha nulla di definitivo, ben potendo essere modificato in relazione alle prove emerse in seguito.

Si tratta di una valutazione che, spesso, pone la necessità che il giudice non si fermi solo alle dichiarazioni dei redditi presentate; ciò può accadere, nello specifico, quando esse contrastino con l’effettivo stile di vita delle parti per come dimostrato dalla parte interessata a ricevere l’assegno (si pensi al possesso in capo al coniuge di auto di lusso, viaggi costosi, ecc.). Sicché, quando le informazioni di tipo economico fornite dai genitori non sono sufficientemente documentate, il giudice può disporre un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto in contestazione, anche se intestati a persone diverse.

A riguardo, le recenti novità legislative [DL n. 132/2014, conv. con L. n. 162/2014] hanno attribuito al giudice – nell’ambito di tutti i procedimenti di famiglia – la piena facoltà di ricavare informazioni sul patrimonio, il reddito e il tenore di vita dei coniugi e provvedere alla ricerca di beni con modalità telematiche, anche accedendo alle banche dati dell’Agenzia delle Entrate o inviando alla stessa richieste in tal senso. Il magistrato, infatti, deve effettuare una ripartizione del reddito familiare al fine di ripristinare le condizioni economiche precedenti alla separazione, sulla base di un principio di “proporzionalità” con l’obiettivo di assicurare ai figli un tenore di vita il più possibile vicino a quello goduto quando la famiglia era unita.

            Criteri generali di riferimento. Non esistono dunque dei criteri di calcolo dell’assegno espressamente indicati dalla legge, ma i giudici di solito applicano dei criteri di massima, tenendo conto di quanto previsto dalla legge e dagli orientamenti giurisprudenziali prevalenti; allo scopo, essi tengono conto sia redditi percepiti da ciascuno dei due coniugi (incluse eventuali rendite finanziare), sia del valore locativo mensile di eventuali proprietà immobiliari, ivi compresa l’incidenza dell’assegnazione della casa coniugale e il numero dei figli a carico e conviventi.

            Naturalmente tali criteri sono orientativi in quanto ogni magistrato ha un ampio margine di discrezionalità nel determinare la misura del mantenimento, il cui risultato va personalizzato e adattato alle specificità del caso concreto (come il fatto che, l’assegno sia destinato, oltre che al mantenimento dei figli, anche a quello del coniuge).

            È possibile, ad esempio, che il giudice stabilisca un assegno di misura differenziata per ciascun figlio in ragione dell’età e delle specifiche esigenze (di solito secondo un criterio di proporzione inversa all’età).

            I modelli di calcolo. Partendo, comunque, dai criteri indicati dalla legge citata e dalla giurisprudenza maggioritaria, alcuni Tribunali hanno elaborato dei loro parametri di calcolo: ad esempio il Tribunale di Firenze, insieme alla Facoltà di Economia, ha elaborato un Modello per calcolare l’assegno di mantenimento (MoCAM), il Tribunale di Palermo, allo stesso scopo, ha elaborato un software pubblico (www.giustiziasicilia.it) e il Tribunale di Monza, ha predisposto nel 2008 delle Tabelle (acquisite quale strumento di riferimento in numerosi fori) che riassumono le ipotesi più ricorrenti e le possibili risposte alle richieste di mantenimento formulate da parte di uno dei coniugi (sia per sé che per i figli).

            Tali tabelle, in particolare, conducono ad un criterio di liquidazione “di massima” di un assegno pari ad un quarto del presunto reddito dell’obbligato (in ipotesi di assegnazione della casa coniugale al coniuge richiedente) ovvero pari ad un terzo (nella più rara ipotesi di non assegnazione) che, però, potrà essere rispettato, solo dopo un opportunamente soppesato la complessiva situazione patrimoniale evidenziata in giudizio (si pensi al caso in cui gravi ancora un mutuo sulla casa coniugale).

            Ad esempio, se al genitore collocatario della prole e assegnatario della casa coniugale non venga riconosciuto alcun assegno di mantenimento, la liquidazione del contributo al mantenimento dei figli potrà prevedere, in una situazione di reddito medio (operaio/impiegato: € 1.200,00 / 1.600,00 mensili per 13 o 14 mensilità) e sempre che non vi siano particolari condizioni da valutare (si pensi a proprietà immobiliari, depositi o conti correnti di una certa entità), una quantificazione dell’assegno di questo tipo:

– in presenza di un solo figlio: circa il 25 per cento del reddito;

– in presenza di due figli: 40 per cento del reddito;

– in presenza di tre figli: assegno pari al 50 per cento del reddito.

            Si tratta, in ogni caso, di esemplificazioni che, nelle dovute proporzioni, possono applicarsi anche a situazioni di redditi ben più alti. Infatti, per la quantificazione dell’assegno di mantenimento dovuto ai figli, la capacità economica di ciascun genitore va determinata con riferimento al patrimonio complessivo di entrambi, costituito, oltre che dai redditi di lavoro, da ogni altra forma di reddito o utilità (come ad esempio il valore dei beni mobili o immobili posseduti, le quote di partecipazione societaria, altri proventi di qualsiasi natura) [. Cass. sent. n. 6872/1999].

            Le spese straordinarie. Non va poi dimenticato che, oltre all’assegno periodico, normalmente, viene posto a carico del coniuge non collocatario (o non affidatario) dei figli anche l’obbligo di contribuire nella misura del 50% al pagamento delle spese straordinarie che non possono essere previste forfettariamente nell’importo generale dell’assegno di mantenimento. Tali spese, infatti, sono comunemente intese come gli esborsi legati a necessità degli figli occasionali o imprevedibili, non quantificabili in via preventiva, o perché legate a fatti sopravvenuti e non preventivabili, o perché estranee alle consuetudini di vita della prole, anche considerando livello sociale del nucleo familiare.

            Ciò non esclude che il Tribunale possa anche decidere di ripartire tali spese in diversa percentuale (ad es. 30 e 70%), quando risulti una sproporzione evidente tra i redditi dei genitori.

            I diversi accordi dei genitori.

Se questi sono gli orientamenti generali, non va dimenticato che la legge citata prevede comunque la possibilità che il giudice tenga conto di “diversi accordi liberamente raggiunti dalle parti”, ed in questo senso si aprono per i genitori molte strade.

            Una di queste è rappresentata, solo per fare un esempio, dal fatto che l’obbligo di mantenimento dei figli può essere adempiuto anche attraverso un accordo che preveda, in sostituzione o in concorso con un assegno periodico, l’attribuzione ai figli della proprietà di beni mobili o immobili [Cass. sent. n. 3747/2006] Soluzione questa, più facilmente ipotizzabile nel caso in cui l’altro genitore abbia un’adeguata autosufficienza economica.

            In ogni caso, la situazione maggiormente auspicabile è che i genitori riescano a trovare una soluzione condivisa che permetta loro di evitare il giudizio. Un grosso aiuto in questo caso potrà essere quello di intraprendere il procedimento di separazione affidandosi pratica collaborativa.

            La separazione, se la coppia è coniugata, potrà di seguito essere raggiunta, sulla base degli accordi così sottoscritti, col metodo consensuale ordinario [Art. 158 Cod. Civ. e art. 711 cod. proc. civ.] o tramite il nuovo strumento della negoziazione assistita da avvocati (evitando, in tal caso, di rivolgersi al giudice) [art. 6 D.L. n. 132/2014 conv. con L. 162/2014]; se invece si tratta di coppia di fatto, la regolamentazione relativa al mantenimento della prole dovrà necessariamente passare per il Tribunale, se pure con le modalità (più brevi) del procedimento consensuale [Artt. 316 comma IV e 337-bis cod. civ]

La legge detta dei criteri generali ai quali -in caso di contrasto tra le parti – deve attenersi il giudice per calcolare l’assegno per i figli (le attuali esigenze della prole, il tenore di vita goduto durante la convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori, la valenza economica dei compiti assunti da ciascun genitore).

            A tali criteri si aggiungono i parametri tabellari (non vincolanti) adottati da molti tribunali che, in sintesi, prevedono un contributo al mantenimento variabile in base al numero di figli tra il 25 e il 50 per cento del reddito del genitore obbligato. Naturalmente si tratta di criteri di massima, poiché il magistrato ha ampia discrezionalità in detta valutazione, dovendo tenere conto della documentazione esibita, delle istanze di ciascun genitore e delle risultanze emerse dall’attività istruttoria.

Elena Casarano                     la legge per tutti                    14 giugno 2015

www.laleggepertutti.it/90249_assegno-di-mantenimento-per-i-figli-come-si-calcola

 

Mantenimento al figlio: nessun rendiconto della moglie al marito.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 12645, 18 giugno 2015.

Per le spese ordinarie di mantenimento dei figli non è dovuto un dettaglio, mentre il rendiconto può essere chiesto per le spese straordinarie.

            Se l’ex coniuge versa all’altro un assegno mensile per il mantenimento del figlio onde provvedere alle relative spese ordinarie, può poi pretendere di sapere come, nel dettaglio, tali importi vengono spesi? La risposta è no: non spetta alcun rendiconto, anche in caso di presunto scialacquamento delle somme. A dirlo è una recente sentenza della Cassazione.

            La Corte non fa altro che ribadire un orientamento già espresso in passato secondo cui l’assegno di mantenimento, quale concorso agli oneri per le esigenze ordinarie dei figli, viene determinato dal giudice in misura forfettaria in base alle sostanze dei genitori; pertanto l’onerato non ha diritto ad un rendiconto delle spese effettivamente sostenute per il suddetto mantenimento.

            In altre parole, avendo già il tribunale prestabilito un quantitativo del mantenimento in ragione di quelle che sono le esigenze di vita dei figli e di ciò che occorre per il loro benessere psico-fisico, e che l’ammontare di tale contribuzione viene determinata in modo forfettizzato, tenendo conto anche delle capacità economiche dei genitori, il coniuge obbligato al versamento di tali somme non può pretendere di essere informato sul loro effettivo impiego.

            Diverso il discorso nel caso di contributo alle spese straordinarie che, di norma, il giudice divide tra gli ex in misura del 50% a testa: in questo caso, affinché il coniuge che le ha anticipate possa pretenderne il rimborso dovrà dimostrare all’altro il sostenimento della spesa con documentazione adeguata. In caso, invece, in cui se ne chieda il pagamento in anticipo, bisognerà dettagliare le motivazioni di tale esborso e l’eventuale preventivo, salvo poi comprovare l’effettivo sostenimento della spesa. Dunque, se anche non si tratta di un rendiconto, quanto meno bisognerà dare tutte le informazioni di trasparenza per consentire il controllo sulle uscite e sulla necessità delle stesse.

Redazione la legge per tutti              20 giugno 2015

www.laleggepertutti.it/90867_mantenimento-al-figlio-nessun-rendiconto-della-moglie-al-marito

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ASSEGNO DIVORZILE

Divorzio: niente mantenimento se la donna può lavorare.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 11870. 9 giugno 2015.

Divorzio o separazione e obbligo di pagare l’assegno di mantenimento: la moglie non può fare la casalinga “mantenuta” a vita se è ancora in età in cui potrebbe andare a lavorare, specie se l’ex marito è rimasto disoccupato.

            Obbligo di mantenimento: continua a far discutere i tribunali la misura dell’assegno che l’uomo deve versare all’ex moglie allo scioglimento del matrimonio, specie se entrambi guadagnano poco o, addirittura, non hanno di che vivere. L’ipotesi analizzata dalla Cassazione è purtroppo tipica di questi tempi: lei e lui sono disoccupati, solo che l’uomo ha perso il lavoro a seguito di licenziamento, mentre lei, che è stata casalinga durante il matrimonio, non ne vuol sapere di andare a lavorare e vorrebbe continuare a essere mantenuta. Chi la spunta?

            La casalinga non ottiene l’assegno di mantenimento (o, in caso di divorzio, il cosiddetto assegno divorzile). E questo solo quando ha ancora la capacità lavorativa e magari svolge pure qualche attività saltuaria. Insomma, ciascuno dei due deve badare a sé stesso e non c’è modo di obbligare l’uomo a mantenere la donna se quest’ultima è ancora giovane e ha le risorse fisiche e mentali per guadagnare qualcosa.

            Finisce l’era della donna sempre a carico? In verità, in questi casi, a prevalere è sempre l’analisi del confronto tra i due tenori di vita condotti dai coniugi prima e dopo lo scioglimento del matrimonio. Perché, se a seguito della separazione o del divorzio, le condizioni si equivalgono e non c’è modo di stabilire se l’uno “stia meglio” dell’altro, allora si annullano anche gli obblighi di versamento dell’assegno di mantenimento. Insomma la partita finisce in “pareggio”.

            Se prima della separazione la donna si occupava del ménage familiare, badando alla casa e alle faccende domestiche, mentre il marito lavorava, non può dopo lamentarsi di non poter procurarsi i mezzi per tenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio se ha ancora una capacità produttiva legata all’età o alla preparazione/specializzazione. E non può di certo gravare sulle spalle dell’uomo che è senza lavoro.

            E allora sul piatto della bilancia le due posizioni si equivalgono: due disoccupati, ma lui involontariamente e lei per scelta, nonostante sia ancora in età di produrre reddito. Questo fatto non passa inosservato alla Cassazione che rigetta ogni richiesta di mantenimento avanzata dalla donna.

Redazione       la legge per tutti         10 giugno 2015

www.laleggepertutti.it/89841_divorzio-niente-mantenimento-se-la-donna-puo-lavorare

allegato

www.west-info.eu/it/divorzio-questa-volta-a-rimetterci-e-la-ex/corte-di-cassazione-sentenza-n-11870-2015-2

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CHIESA CATTOLICA

Le crisi degli amici preti e quelle degli amici laici

Nella conclusione di un articolo di Enzo Bianchi su La Stampa, pubblicato il 12 ottobre 2014, si può leggere questa importante considerazione: «Si rifletta (…) su un dato: perché preti, monaci, religiosi, che emettono una pubblica promessa a Dio al cuore della Chiesa, pur avendo abbandonato la vocazione ricevuta e contraddetto i voti pronunciati – voti che san Tommaso d’Aquino diceva che la Chiesa non può mai sciogliere – possono partecipare pienamente alla vita anche sacramentale della Chiesa, mentre chi si trova in altre situazioni di infedeltà ne è escluso? Questa appare come ingiustizia di una disciplina fatta da chierici che vivono più o meno bene il loro celibato e non conoscono la fatica e le difficoltà del matrimonio».

In questo breve passaggio è concentrata una questione che ha attraversato la coscienza ecclesiale in questo periodo intersinodale: ossia la differenza nella disciplina di “riconciliazione” tra il venir meno di un “voto” e la crisi di un “vincolo”. Tale differenziazione, nella storia, può essere compresa in modo molto articolato.

Da un lato, deriva dalla differenza tra un “voto religioso” – che non è un sacramento – e il matrimonio, che sacramento deve essere riconosciuto. Ma, si può subito obiettare, che l’ordinazione è, a sua volta, un sacramento, eppure, mediante la “dispensa”, resta sempre possibile che colui che è stato prete – e che prete in qualche modo continua ad essere – non solo possa sposarsi, ma appartenga pienamente al corpo ecclesiale, vivendo una comunione che si fa anche mensa eucaristica.

Differenze. Qui, probabilmente, dobbiamo ragionare su due livelli della questione che possono essere considerati come “cause” dell’attuale differenza di “disciplina”:

  1. da un lato, si può chiamare in causa, a giusto titolo, una lettura “clericale” della realtà. La disciplina è costruita “ad immagine e somiglianza” dei chierici che l’hanno concepita: è il frutto di una Chiesa segnata da “autoreferenzialità”, e che sa essere estremamente comprensiva per i “suoi” e del tutto indifferente verso “gli altri”;
  2. dall’altro, si deve considerare un fondamento più strutturale di questa differenza, ossia il fatto che, mentre nei voti religiosi o nell’ordinazione sacramentale è in gioco, semplicemente, un rapporto tra il “singolo battezzato” (che diventa monaco, monaca o prete) e la comunità, nel matrimonio la relazione è non solo “tra due soggetti”, ma deve mirare a tutelare anche i “terzi possibili” (ossia i figli).

La richiesta che deve nascere dal corpo ecclesiale, quindi, non può essere formulata semplicemente nella forma del “superamento del clericalismo” – che pure è un’esigenza obiettiva della Chiesa contemporanea –, ma da un confronto serio, non paternalistico e non ingenuo – con le “tutele” necessarie ad una riconciliazione non solo dei “chierici in crisi”, ma anche dei “laici in crisi”. A tali crisi non si può rispondere con le argomentazioni o le giustificazioni di 800 anni fa.

Può accadere, oggi, che siano proprio gli “amici preti”, che hanno visto la piena riconciliazione del loro “errore”, a diventare i più rigidi e freddi difensori dell’“ordine costituito”, per il quale la Chiesa dovrebbe restare soltanto una “pedagogia sociale”, negando misericordia, e non un “ospedale da campo”, che si prende cura delle ferite e le risana.

D’altra parte, agli amici laici, dovremmo ricordare che non basta denunciare il “clericalismo dell’istituzione” – che certo esiste e condiziona tanto –, ma occorre indicare, con lucidità e con equilibrio, per quali vie è possibile “riconciliare con la pienezza ecclesiale” quei vissuti di crisi nei quali non sono coinvolti semplicemente dei “singoli”, ma piccole o grandi comunità, ruoli sociali, fonti di reddito, rapporti educativi, luoghi di residenza, tempi di affidamento, percorsi di rieducazione, storie di morte e di rinascita.

Vicinanza. Come si sostiene da parte di numerosi osservatori, la Chiesa ha bisogno di “integrare la storia delle coppie e delle famiglie” nel gestire le loro “crisi”. Questo, probabilmente, aiuterà a superare due limiti dell’attuale disciplina: ossia tanto la “retrodatazione” delle questioni, che spesso diventa pesante per tutti e ingiusta per la res da tutelare, quanto la distanza abissale di questa procedura di “rimedio” rispetto alle reali esigenze di “vita nuova” che i soggetti cercano, spesso a margine, quando non contro la disciplina ecclesiale.

Per non diventare progressivamente marginale, la Chiesa deve prestare ascolto alla realtà, anzitutto ai suoi margini e alle sue periferie. Le crisi degli amici preti e monaci hanno risposte ufficiali e definitive in pochi mesi; quelle degli amici laici arrivano dopo lunghi anni e non sempre secondo misericordia: in questa differenza temporale si nasconde un’ingiustizia e un’indifferenza della quale – come ha scritto mons. Vesco, vescovo di Orano – «noi pastori dovremo chiedere perdono».

Restituendo la parola ad Enzo Bianchi possiamo chiederci: «Cosa si attende allora dal sinodo un cattolico maturo nella fede? Che si confessi ancora e ancora l’indissolubilità del matrimonio, ma lo si faccia manifestando la misericordia di Dio, andando incontro a chi, in questa esigente avventura, è incorso nella contraddizione all’alleanza e invitandolo a camminare nella pienezza della vita ecclesiale. Il Dio cristiano ha un volto in cui la misericordia è immanente alla giustizia: è un Dio compassionevole, che in Gesù ha camminato e cammina con chi è ferito, con chi è malato… è un Dio che vuole che tutti si convertano e vivano».

Per manifestare questa “misericordia” e per uscire da stili clericali e autoreferenziali, dovremo portare a maggiore prossimità le forme con cui andiamo incontro agli “amici preti in crisi”, rispetto a quelle con cui saniamo le crisi degli “amici laici”. Per farlo in modo lungimirante, dovremo ammettere che la storia che essi hanno vissuto non si può ridurre, semplicemente, ad un abbaglio iniziale né ad un errore originario. Solo così sapremo rispettare, in pari tempo, la profonda dignità della loro esperienza e la verità inesauribile della Buona Novella.

            Andrea Grillo            “Settimana” n. 24/2015         18 giugno 2015

www.ilregno-blog.blogspot.it/2015/06/le-crisi-degli-amici-preti-e-quelle.html#more

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COPPIA

Quali sono oggi i “virus” che si insinuano in una coppia sollevando rottura tra i due partner?

            Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini in “Coppia fragile? Tra virus e antivirus” (edizioni San Paolo) ne hanno individuati sei. «Ma siamo sicuri che se ne possono trovare migliaia in tutte le loro metamorfosi e proliferazioni – scrivono gli autori -. Abbiamo trovato una concatenazione tra questi sei, concatenazione che dà loro un potere enorme».

1.  pensare troppo a se stessi. “I position – ovvero: Porre l’io al centro”. E’ la madre di tutti i virus. Consiste nell’assoluta auto evidenza dell’io individuale, come principio e criterio di realtà, in particolare della realtà affettiva. Semplificando: «Quello che va bene a me, va bene a tutti»; le mie ragioni, le mie esigenze, i miei bisogni, le mie difficoltà, le mie paure eccetera, segnano la ragione stessa della coppia, o meglio: della felicità della coppia.

2. aspettative troppo alte. “Tu sei fatto per me – ovvero: L’amore fusionale”. Deriva con “naturalezza” dal primo: «Tu sei fatto per me, tu rispondi alle mie attese, tu funzioni come me». La crisi insorge quando tu mi deludi e non sei come mi avevi fatto credere. L’io – il mio self – diviene la tua misura e la ragione del nostro stare insieme.

3. il principio dello scambio. “Per ora – ovvero: La schiavitù del frammento”. Non può che restringere queste attese al “per ora”; avanza sì il principio dello scambio (tu sei mia, io sono tuo) ma necessariamente esso si limita al momento, al frammento: come io, che sono sano di mente e mi conosco bene, posso garantirti di amarti per sempre? Anzi, tu, così come sei, mi andrai bene per domani, domani e domani ancora?

4. i dubbi su ciò che si proverà nel tempo. “Il sentito – ovvero: Il primato del mondo emotivo”. Esce come il pulcino dall’uovo: non sono garantito di amarti per sempre, né è certo che tu mi andrai per sempre bene perché non posso non sentire le mie emozioni, le mie passioni, come mi sento. E questo diventa non solo il mio barometro, ma il barometro della nostra coppia.

5. la voglia di non sentirsi vincolati, “Bisogno di vie di fuga – ovvero: Come potrei garantirti il “per sempre”?”. Si affaccia di conseguenza. Quando ho contratto un legame, ho bisogno che mi siano possibili vie di fuga: non sarò un cane legato alla catena del legame; svincoli, scorciatoie, perfino rotture mi devono essere permessi, altrimenti non sono libero. Il mio io non si è dato a nessun altro che a se stesso («Se non mi difendo io, non mi difende nessuno», diceva un marito esasperato) e dunque non può rinunciare alle sue “riserve”.

6. il legame eccessivo con i genitori.  “Sposo te e non la tua famiglia – ovvero: Lo scalpo di tua madre”. Non è poi così nuovo, ma nel nostro contesto culturale ci riconduce potentemente al primo virus, è il suo vero smascheramento: «Per essere mio/mia devi recidere tutti i legami (cordone ombelicale compreso!), devi essere “nuovo/nuova” per me: io sono il tuo orizzonte, la tua ragione, tu mi devi “lo scalpo di tua madre” (e di tutto ciò – anche di tutti quei valori – che osi mettere prima di me!) perché la tua ragione sono io. Altrimenti, tagliamo il nostro legame e amici come prima, come si suol dire».

            Il trionfo del “tu“. L’io, ragionano gli autori di “Coppia fragile”, «è la grande muraglia che impedisce l’amore perché lo riduce a dimensioni emozionali e passeggere. Va da sé che l’antivirus è anzitutto l’abbattimento della grande muraglia, ovvero l’esplorazione appassionata delle sue crepe, perché entri il “tu”.

            Gelsomino Del Guercio  aleteia 16 giugno 2015

www.aleteia.org/it/stile-di-vita/articolo/coppia-fragile-zattoni-grillini-sei-problemi-rovinare-coppia-amore-5852420705878016?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it-16/06/2015

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Senigallia.       Corso per consulenti familiari

La Scuola Italiana Consulenti Familiari organizza a Senigallia, in Piazza Diaz 6, presso il Consultorio Familiare “Villa Marzocchi”, un corso per Consulente familiare, professione riconosciuta e regolamentata dalla Legge 14 gennaio 2013 n. 4.

Partirà ad ottobre, ma le iscrizioni sono già aperte

Il corso avrà inizio a ottobre 2015. Sono aperte le iscrizioni e sono in corso i colloqui di selezione.

Per le iscrizioni e informazioni rivolgersi al Consultorio Familiare nei seguenti orari: dal lunedì al venerdì, dalle ore 16 alle 19 al Tel. 071.64860 – 340/7456518                   consucipemsenigallia@yahoo.it.

www.senigallianotizie.it/1327376038/corso-per-consulenti-familiari-a-senigallia

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DALLA NAVATA

                                   12° domenica del tempo ordinario – anno B –21 giugno 2015.

Giobbe              38.11 «Fin qui giungerai e non oltre e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde.»

Salmo             107.28 «Nell’angustia gridarono al Signore, ed egli li fece uscire dalle loro angosce.»

2 Corinzi          05.17 «.. le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.»

Marco               04.40 «Perché avete paura? Non avete ancora fede?»

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DIVORZIO

Come funziona il divorzio breve in Italia.

            Arriva dal Tribunale di Milano una sorta di vademecum sul divorzio breve. Sono state, infatti, aggiornate a quanto disposto dalla nuova legge, le linee guida per le convenzioni di negoziazione assistita in materia di separazione e cessazione degli effetti civili del matrimonio. Le indicazioni, che si rivolgono soprattutto agli addetti ai lavori, riportano le condizioni necessarie per poter accedere all’istituto, la documentazione richiesta (suddivisa tra separazione e divorzio), la scheda di sintesi dell’accordo raggiunto e un’infografica che espone i nuovi termini per la domanda di divorzio, a seconda dei vari casi.

Roberta Lunghini –                west     16 giugno 2015                                  allegato

            www.west-info.eu/it/come-funziona-il-divorzio-breve-in-italia/tribunale-di-milano-convenzione-di-negoziazione-assistita-legge-10-novembre-2014-n-162-linee-guida-aggiornamento-con-riferimento-anche-alla-l-n-55-2015-2

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FAMIGLIA

Le tre contraddizioni che assediano la famiglia.

Conviene fare il punto su matrimonio, famiglia e filiazione, poiché tre profonde contraddizioni ne scuotono la struttura: la contraddizione tra mariage pour tous e il démariage (“dematrimonializzazione”) galoppante che sottrae ogni valore specifico all’istituto del matrimonio; quella tra coppia e famiglia; e quella tra filiazione e defiliazione.

Esse procedono velocemente e sarà arduo tornare indietro poiché spesso le trasformazioni vengono recepite in leggi che, sancendo la legalità dei nuovi comportamenti, li consolidano. I mutamenti si susseguono con un ritmo così incalzante che si fatica a comprendere quanto sta accadendo e che si presenta con i caratteri di una rivoluzione nel senso letterale del termine: qualcosa che sovverte le basi del matrimonio, della famiglia, della procreazione.

Tra i fattori del mutamento grande rilievo assumono la cultura radical-libertaria e la tecnica. Nel primo campo si è fatta strada l’idea che matrimonio e famiglia siano libere e mutevoli costruzioni sociali affidate alla sovranità insindacabile del soggetto. Il mariage pour tous sbandierato in Francia come un supremo diritto copre una serie di fenomeni diversi e porta in sé il veleno del nominalismo e della contraddizione. Il primo, che presume di cambiare la realtà cambiandone i nomi, è la cultura che sta dietro l’assunto che matrimonio e famiglia siano mere costruzioni sociali. La contraddizione emerge nell’idea che ogni unione debba fregiarsi del nome di matrimonio col suo simbolismo, la sua dignità e stabilità, proprio quando avanza la “dematrimonializzazione”, come osserva la sociologa francese Irène Théry, che peraltro intende favorirla aiutando il movimento per privatizzare sempre più il matrimonio.

Démariage significa che l’istituto del matrimonio eterosessuale sta divenendo evanescente perché scalzato dalla concorrenza delle più diverse forme di convivenza e di partenariato. Attribuendo a ogni unione la simbolica matrimoniale si innesca un processo inflazionistico che, di fatto, sottrae ogni valore all’idea di matrimonio: ciò che è a disposizione di tutti perde valore e dignità, è una moneta usurata.

Un altro aspetto della trasformazione in corso consiste nella netta dissociazione tra matrimonio e famiglia. Per lunghe epoche il cuore del matrimonio non era solo la coppia ma la coppia con figli, la famiglia naturale. Attualmente un modo di intendere le mariage pour tous è solo la coppia: si teorizza la dissociazione volontaria tra matrimonio e filiazione e si concepisce il primo come esaurito nel rapporto di coppia. È il fenomeno della “defiliazione”.

La genitorialità è perciò considerata slegata dal rapporto di coppia e inserita esclusivamente nell’area della volontarietà dei soggetti adulti. Nella defiliazione la soggettività della coppia diventa dominante rispetto a quella della prole: il figlio è un’aggiunta del tutto opzionale, il matrimonio è soltanto nell’unione dei due, la spinta a procreare diminuisce poiché il figlio non è inteso come un compimento, mentre la privatizzazione dell’unione aumenta. I celebrati Pacs francesi sono una forma di concubinato cui si può mettere termine con una semplice lettera. Il terzo nucleo è un fis pour tous (un figlio per tutti) attraverso la Fivet eterologa. La fecondazione artificiale eterologa (resa legale in Italia da un’infelice sentenza della nostra Corte costituzionale) accelera la vittoria della società desiderante nell’ambito della vita e della procreazione. Si tratta di una novità nella storia umana, resa possibile dalla tecnica. È interessante notare come Bacone nel suo preveggente elenco delle meraviglie che sarebbero scaturite dalla tecnica (Magnalia naturae) non prevedesse la fecondazione artificiale. L’ingresso della tecnica nell’area della generazione incrementa l’interpretazione costruttivista del matrimonio, della famiglia, della filiazione. Per Irène Théry la generazione con un terzo “donatore” è «un’invenzione sociale formidabile». Non si avverte che essa aumenta l’aleatorietà della famiglia e dispone del figlio come di un oggetto. Insieme alla decostruzione insita nel mariage pour tous, va considerata la potenza dissolutiva dell’eterologa che compromette completamente il senso della filiazione: essa consente a coppie omosex di avere un figlio, favorisce l’irresponsabilità completa del fornitore, tacendo sulla violazione del principio di responsabilità insito nella procedura, secondo cui ciascuno deve rispondere delle conseguenze prevedibili delle proprie azioni. L’eterologa contribuisce alla defiliazione non nel senso di rigettare la nascita del figlio, ma in quanto scardina il rapporto diretto e univoco tra genitorialità e figliolanza.

Taluni giuristi parlano del «diritto di avere diritti», ma l’espressione è deludente poiché è indifferenziata e tende a elevare a diritto qualsiasi pretesa che un soggetto avanzi. Oggi l’autentica frontiera del diritto sta nell’esigente discernimento di che cosa è realmente diritto e non mera pretesa: non c’è alcun diritto a trattare una pretesa come un diritto.

Vittorio Possenti                    Avvenire         14 giugno 2015

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FRANCESCO VESCOVO di Roma

“Laudato si'”: il pianeta ha bisogno di un'”ecologia integrale”

            L’ecologia integrale diventi un nuovo paradigma di giustizia, perché la natura non è una “mera cornice” della vita umana: questo il cuore della seconda Enciclica di Papa Francesco, “Laudato si’ sulla cura della casa comune”, pubblicata oggi. Il documento prende il titolo dall’invocazione di San Francesco d’Assisi nel “Cantico delle creature”. Suddivisa in sei capitoli, l’Enciclica raccoglie, in un’ottica di collegialità, anche diverse riflessioni delle Conferenze episcopali del mondo e si conclude con due preghiere, un’interreligiosa ed una cristiana, per la salvaguardia del Creato.

            “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra”: Francesco di Roma si pone sulla scia di Francesco d’Assisi per spiegare l’importanza di un’ecologia integrale che diventi un nuovo paradigma di giustizia, in cui la preoccupazione per la natura, l’equità verso i poveri, l’impegno nella società, ma anche la gioia e la pace interiore risultano inseparabili. Nei sei capitoli dell’Enciclica, il Papa evidenzia che la nostra terra, maltrattata e saccheggiata, richiede una “conversione ecologica”, un “cambiamento di rotta” affinché l’uomo si assuma la responsabilità di un impegno per “la cura della casa comune”. Impegno che include anche lo sradicamento della miseria, l’attenzione per i poveri, l’accesso equo, per tutti, alle risorse del Pianeta.

  1. No alla cultura dello scarto. Tutelare diritto all’acqua. Il Papa mette in guardia dalle gravi conseguenze dell’inquinamento e da quella “cultura dello scarto” che sembra trasformare la terra, “nostra casa, in un immenso deposito di immondizia”. Dinamiche che si possono contrastare adottando modelli produttivi diversi, basati sul riutilizzo, il riciclo, l’uso limitato di risorse non rinnovabili. Anche i cambiamenti climatici sono “un problema globale”, spiega l’Enciclica, così come l’accesso all’acqua potabile, che va tutelato in quanto “diritto umano essenziale, fondamentale ed universale”, “radicato nell’inalienabile dignità” dell’uomo. Centrale, inoltre, la tutela della biodiversità perché ogni anno, a causa nostra, “scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che i nostri figli non potranno vedere”. E “non ne abbiamo il diritto”, sottolinea Francesco, evidenziando poi l’esistenza di un “debito ecologico”, soprattutto tra il Nord e il Sud del mondo, connesso a squilibri commerciali. “Il debito estero dei Paesi poveri – infatti – si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade la stessa cosa con il debito ecologico”.

Creare sistema normativo per proteggere ecosistemi. “Il deterioramento dell’ambiente e quello della società – afferma il Papa – colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta”, spesso considerati “un mero danno collaterale”. Per questo, un vero approccio ecologico deve essere anche sociale. La soluzione, allora, non è la riduzione della natalità, ma il contrasto ad un consumismo “estremo e selettivo” di una parte della popolazione mondiale. Di fronte, poi, ad un certo intorpidimento e ad una “spensierata irresponsabilità” nell’uomo contemporaneo, urge “creare un sistema normativo” per assicurare la protezione degli ecosistemi.

  1. Ambiente è dono di Dio, eredità comune da non distruggere. Si ribadisce la “tremenda responsabilità” dell’essere umano nei confronti del Creato e si ricorda che “l’ambiente è un dono collettivo, patrimonio di tutta l’umanità”, “eredità comune” da amministrare e non da distruggere. Seguendo il racconto biblico della Creazione, Papa Francesco evidenzia le tre relazioni fondamentali dell’uomo: con Dio, con il prossimo e con la terra. Ogni creatura ha una sua funzione, nessuna è superflua e tutto è “carezza di Dio”, scrive il Pontefice, ricordando che “ogni maltrattamento verso qualsiasi creatura è contrario alla dignità umana”. Tuttavia, la cura degli altri esseri viventi va sempre accompagnata dalla “compassione e preoccupazione” per l’uomo. Ed è per questo che serve la consapevolezza di una comunione universale. In quest’ottica, rientra il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni: la tradizione cristiana, infatti, “non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, ed ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata”.
  2. No a tecnocrazia. Essere amministratori responsabili del Creato. Tecnologia, antropocentrismo, lavoro ed ogm: l’Enciclica si snoda lungo questi quattro percorsi. Innanzitutto, pur riconoscendo i benefici del progresso tecnologico per lo sviluppo sostenibile, mette in guardia dalla tecnocrazia che dà “a coloro che detengono la conoscenza ed il potere economico di sfruttarla, un dominio impressionante sul mondo intero”. Allo stesso tempo, l’antropocentrismo moderno, che non riconosce la natura come norma, perde la possibilità di riconoscere il posto dell’essere umano nel mondo ed il suo ruolo di “amministratore responsabile” dell’universo.

Difesa della natura incompatibile con la giustificazione dell’aborto.

Ne deriva una logica “usa e getta” che giustifica ogni tipo di scarto, che porta a sfruttare i bambini, ad abbandonare gli anziani, a ridurre altri in schiavitù, a sopravvalutare la capacità del mercato di autoregolarsi, a praticare la tratta di esseri umani ed il commercio di “diamanti insanguinati”. È la stessa logica di molte mafie, dei trafficanti di organi, del narcotraffico e dello scarto dei nascituri perché non corrispondono ai progetti dei genitori. Di fronte a tutto questo, occorre una “coraggiosa rivoluzione culturale” che mantenga in primo piano il valore delle relazioni tra le persone e la tutela di ogni vita umana, perché la difesa della natura “non è compatibile con la giustificazione dell’aborto”.

            Proteggere il lavoro. Dibattito su ogm sia ampio e responsabile.

Quindi, il Papa ribadisce la necessità di difendere il lavoro: tutti devono potervi accedere, perché esso “è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano”. “Rinunciare ad investire sulle persone in nome di un profitto immediato è un pessimo affare per la società”, afferma il Pontefice, evidenziando la necessità, a volte, di “porre limiti a coloro che detengono grandi risorse e potere finanziario”, affinché tutti possano beneficiare davvero della libertà economica. Quanto agli ogm, definiti “una questione di carattere complesso”, il Papa ne mette in luce, da una parte, il contributo alla soluzione di problemi economici, ma dall’altra le difficoltà legate alla “concentrazione di terre produttive nelle mani di pochi”. Per questo, afferma, serve “un dibattito scientifico e sociale responsabile ed ampio, in grado di chiamare le cose con il loro nome”.

  1. Ecologia integrale è inseparabile da bene comune. L’ecologia integrale divenga, dunque, un nuovo paradigma di giustizia, perché l’uomo è connesso alla natura ed essa non è “una mera cornice” della nostra vita. “Non ci sono due crisi separate, un’ambientale ed un’altra sociale – scrive il Papa – bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale”. Di qui, il richiamo alla “amicizia civica” ed alla solidarietà, sia intra- che inter-generazionale, la cui lesione “provoca danni ambientali”. L’ecologia integrale “è inseparabile dalla nozione di bene comune” e ciò implica il compiere scelte solidali sulla base di “un’opzione preferenziale per i più poveri”.

Tutelare ricchezze culturali dell’umanità. Accettare proprio corpo, dono di Dio. Non solo: la vera ecologia riguarda anche la cura delle “ricchezze culturali dell’umanità”, come ad esempio delle “comunità aborigene”, e dell’ambiente urbano, per migliorare la qualità della vita umana negli spazi pubblici, nelle abitazioni, nei trasporti che in molte città, scrive il Papa, comportano “un trattamento indegno delle persone”. Centrale è anche l’accettazione del proprio corpo come dono di Dio per accogliere il mondo intero come casa comune donata dal Padre e vincere, così, la logica del dominio. In quest’ottica, il Papa esorta ad “apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità, poiché “non è sano un atteggiamento che pretenda di cancellare la differenza sessuale”, con la quale non sa più confrontarsi.

  1. Vertici mondiali sull’ambiente hanno deluso le aspettative. Cosa possiamo e dobbiamo fare, dunque? chiede Francesco. E la risposta è “dialogare ed agire”. Certo, spiega, “la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica”, ma l’esortazione è comunque “ad un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità o le ideologie non ledano il bene comune”. Il dialogo è ineludibile tra economia e politica, sottolinea il Pontefice, affinché “si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana”.  Il Pontefice chiama quindi in causa la politica internazionale e non risparmia un giudizio severo sui vertici mondiali relativi all’ambiente che, negli ultimi anni, “non hanno risposto alle aspettative” per una “mancanza di decisione politica”.

Serve governance globale. Dominio assoluto della finanza non ha futuro. Al contrario, serve una governance globale che si occupi dei beni comuni globali, perché spesso “sotto il rivestimento della cura per l’ambiente”, si aggiungono nuove ingiustizie per i Paesi più bisognosi di sviluppo e finisce per “piovere sempre sul bagnato”. Non solo: Francesco pone l’accento sulle criticità di un sistema che mira al “salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione”, e di un “dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi”.

            No alla corruzione. Ridefinire il progresso per migliorare vita delle persone. Al livello nazionale, invece, la politica e l’economia devono uscire dalla logica di corto respiro, focalizzata sul profitto e sul successo elettorale a breve termine, dando spazio a processi decisionali onesti e trasparenti, lontani dalla corruzione che, in cambio di favori, “nasconde il vero impatto ambientale” dei progetti. Ciò che occorre, in sostanza, è “una nuova economia più attenta ai principi etici”, una “nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa”, un ritmo di produzione e di consumo più lento, così da “ridefinire il progresso”, legandolo al “miglioramento della qualità reale della vita delle persone”. Anche i diversi movimenti ecologisti e le religioni, in dialogo con la scienza, devono orientarsi alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità. E non è un caso se Francesco cita il Patriarca ortodosso Bartolomeo, il filosofo protestante Paul Ricœur, il mistico islamico Ali A-Khawas. Numerose anche le citazioni del teologo Romano Guardini.

  1. La sobrietà è liberante. Vale la pena di essere buoni e onesti. Educazione e formazione restano dunque, le sfide centrali da affrontare. Di qui, il richiamo a “puntare su un altro stile di vita” perché “non tutto è perduto” e “l’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune”. Bastano piccoli gesti quotidiani, spiega il Papa: fare la raccolta differenziata dei rifiuti, ridurre il consumo di acqua, spegnere le luci inutili, coprirsi un po’ invece di accendere il riscaldamento e soprattutto “spezzare la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo”. “La sobrietà – scrive il Pontefice – vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante” e “la felicità richiede di saper limitare quelle necessità che ci stordiscono”, lasciandoci invece aperti alle “molteplici possibilità che offre la vita”.  In questo modo, diventa possibile sentire che “abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti”.

L’Eucaristia unisce cielo e terra. Al di là del sole, c’è la bellezza di Dio. Il Papa invita, infine, a guadare ai Sacramenti, esempi di come la natura sia stata assunta da Dio. In particolare, spiega, l’Eucaristia “unisce cielo e terra” e “ci orienta ad essere custodi di tutto il Creato”. Le lotte e le preoccupazioni per questo pianeta “non ci tolgano la gioia e la speranza” perché nel cuore del mondo c’è sempre l’amore del Signore.  E allora “Laudato si’!”, scrive Francesco in una delle due preghiere che concludono l’Enciclica e che fa eco all’invocazione del Poverello di Assisi: “Camminiamo cantando!” perché “al di là del sole, alla fine, ci incontreremo faccia a faccia con la bellezza di Dio”.

            Isabella Piro Bollettino radiogiornale radio vaticana 18 giugno 2015

 http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

Testo ufficiale             246 §, 172 citazioni

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html

L’undicesimo comandamento.

Laudato si’ è la prima enciclica interamente ascrivibile alla paternità di papa Francesco, un’enciclica dedicata all’ecologia o, meglio, come recita il sottotitolo, alla “cura della casa comune”. Su questo tema il papa intende “entrare in dialogo con tutti”, non solo con i membri della sua chiesa cattolica.

Francesco si rivolge a tutti, come fece Giovanni XXIII, papa santo e profeta, con la Pacem in terris quando la emanò dedicandola «a tutti gli uomini di buona volontà». Così delinea un parallelo tra la tragica minaccia della guerra all’inizio degli anni Sessanta, «mentre il mondo vacillava sull’orlo di una crisi nucleare», e il «deterioramento globale dell’ambiente» che stiamo provocando, “degradazione” già denunciata come “drammatica” e foriera di una possibile “catastrofe ecologica” da Paolo VI nella sua Lettera apostolica Octogesima adveniens del 1971. Ci troviamo cioè di fronte a una minaccia per l’umanità paragonabile alla catastrofe nucleare: per questo il suo monito risuona accorato e urgente.

Anche la modalità con cui papa Francesco ha costruito l’enciclica e lo stile assunto fanno parte dell’insegnamento stesso. Francesco non è un papa autoreferenziale che citi solo il magistero suo o dei papi precedenti: certo, come in tutti i documenti pontifici c’è innanzitutto la Sacra Scrittura che risulta ispirante, ci sono i padri della Chiesa e il magistero precedente, dal concilio ai papi dell’ultimo secolo, a volte però con scelte e discriminazioni eloquenti. Ma nella Laudato si’ troviamo citati anche documenti degli episcopati di tutto il mondo: dalle Americhe all’Oceania, dall’Africa del Sud all’Asia fino all’Europa. Il papa attinge anche al magistero episcopale, come capo del collegio cui spetta il discernimento e la conferma nella fede.

Accanto a questo respiro collegiale ci sono anche dati assolutamente nuovi e sorprendenti. È la prima volta che in un’enciclica papale vengono citati testi di cristiani appartenenti ad altre Chiese: due paragrafi presentano il pensiero e l’azione infaticabile del Patriarca ecumenico Bartholomeos, chiamato nel mondo il “patriarca verde” per la sua costante attenzione all’ecologia. Bartholomeos è un grande amico e fratello di Francesco, che condivide con lui una forte convergenza di sensibilità e «la speranza della piena comunione ecclesiale». Ma, tra gli autori citati nell’enciclica, si deve ricordare la presenza di un filosofo, peraltro protestante, Paul Ricoeur e i numerosi rimandi a pensatori cattolici come Romano Guardini e il “sospettato” Teilhard de Chardin. Una sorpresa ancor più grande in questo senso è trovare il rimando a «un maestro spirituale, Ali-Khawwas», mistico musulmano sufi del XV secolo.

Così l’enciclica ha un autentico respiro cattolico, ecumenico e capace di riconoscere la ricerca e la sapienza delle genti della Terra. Papa Francesco non solo rilegge le pagine della Genesi che narrano la creazione di tutto il cosmo ad opera di Dio, ma lo fa da cristiano, attraverso il Nuovo Testamento, e comprende la creazione come opera trinitaria, ossia come opera di Dio compiuta attraverso il Figlio, la Parola, nella forza del suo compagno inseparabile, il soffio, lo Spirito. L’universo non solo è opera di Dio, ma è abitato dalla presenza di Dio, è destinato alla salvezza, alla divinizzazione.

Solo in questa “sovraconoscenza” della realtà della creazione in Cristo, attraverso Cristo e in vista di Cristo è possibile comprendere la vocazione umana e la vocazione di tutto il cosmo che attende redenzione e trasfigurazione. Questa ripresa cristiana di una teologia della creazione è abbastanza rara, per lo più sconosciuta ai credenti, eppure decisiva per poter, come dice Agostino, “adorare la terra” come sgabello della signoria di Dio. Certo, l’ebraismo e il cristianesimo hanno liberato l’uomo dall’idolatria, dall’alienazione agli elementi celesti e terrestri, hanno demitizzato la natura, ma non hanno mai cessato di guardare ad essa non come a un semplice scenario per l’uomo, ma come a una comunità di creature che Dio aveva giudicato realtà “buona e bella”, creature che l’uomo deve custodire, ordinare, proteggere perché la vita fiorisca e la convivenza sia foriera di pace e di felicità.

Ma su questo fondamento teologico papa Francesco fa emergere due esigenze: consapevolezza e responsabilità. Consapevolezza della situazione-limite in cui i nostri comportamenti hanno condotto “nostra madre terra”; consapevolezza dell’irreversibilità di certi processi ormai innescati, della necessità di fare fronte comune per fermare il degrado e invertire la rotta. Consapevolezza, anche, della spirale perversa avviata dalla «tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi ». E responsabilità: verso il bene comune, innanzitutto. Verso la creazione che è stata affidata all’essere umano «perché la coltivasse e la custodisse». Non quindi perché la dominasse da padrone assoluto, ma la gestisse da “amministratore responsabile”. Il messaggio di Francesco è urgente e chiaro: per salvarci dobbiamo salvare la terra. Da anni ripeto a me stesso un comandamento che accosto a quelli biblici: ama la terra come te stesso.

Enzo Bianchi              “la Repubblica”         19 giugno 2015

www.monasterodibose.it/priore/articoli/articoli-su-quotidiani/9320-l-undicesimo-comandamento

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PARLAMENTO

Camera Assemblea    Accesso dell’adottato alle proprie origini         

C 784  Luisa Bossa ed altri: “Modifica all’articolo 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di accesso del figlio adottato non riconosciuto alla nascita alle informazioni sulle proprie origini e sulla propria identità”.

15 giugno 2015. Discussione sul testo unificato.

www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0442&tipo=stenografico#sed0442.stenografico.tit00030.sub00020

18 giugno 2015 La Camera ha approvato il testo unificato. Il provvedimento è passato all’esame dell’altro ramo del Parlamento

Novità principali della riforma:

  • estensione anche al figlio non riconosciuto alla nascita da donna che abbia manifestato la volontà di rimanere anonima la possibilità, raggiunta la maggiore età, di chiedere al tribunale dei minorenni l’accesso alle informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici;
  • possibilità di accesso alle proprie informazioni biologiche nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata;
    1. accesso consentito nei confronti della madre che abbia successivamente revocato la volontà di anonimato;
    2. accesso consentito nei confronti della madre deceduta;
    3. procedimento di interpello della madre per verificare il permanere della sua volontà di anonimato;
  • I legittimati ad avviare l’istanza di interpello (può essere presentata una sola volta, al tribunale per i minorenni del luogo di residenza del figlio)sono:
    1. l’adottato maggiorenne;
    2. il figlio maggiorenne non riconosciuto alla nascita, in assenza di revoca dell’anonimato da parte della madre;
    3. i genitori adottivi, legittimati per gravi e comprovati motivi;
    4. i responsabili di una struttura sanitaria, in caso di necessità e urgenza e qualora vi sia grave pericolo per la salute del minore.
  • Se la madre confermi di volere mantenere l’anonimato, il tribunale per i minorenni autorizza l’accesso alle sole informazioni di carattere sanitario, riguardanti le anamnesi familiari, fisiologiche e patologiche, con particolare riferimento all’eventuale presenza di patologie ereditarie trasmissibili;
  • modifica dell’art. 2 del codice della privacy con riguardo al certificato di assistenza al parto: il vincolo dei 100 anni viene meno in caso di revoca dell’anonimato, di decesso della madre o di autorizzazione del tribunale all’accesso alle sole informazioni di carattere sanitario;
  • modifica del regolamento sullo stato civile in relazione alle informazioni da rendere alla madre che dichiara di volere restare anonima. La madre dovrà essere informata, anche in forma scritta:
  1. degli effetti giuridici, per lei e per il figlio, della dichiarazione di non volere essere nominata;
  2. della facoltà di revocare, senza limiti di tempo, tale dichiarazione;
  3. della possibilità di confermare, trascorsi 18 anni dalla nascita, la volontà di anonimato;
  4. della facoltà di interpello del figlio.

Quotidiano giuridico  20 giugno 2015

www.quotidianogiuridico.it/Lex/adozione_e_accesso_del_figlio_alle_informazioni_sulle_origini_id1169676_art.aspx

Camera 2° comm. Giustizia. Adozione dei minori

            C. 2957 Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare, approvata dal Senato.

16 giugno 2015          Donatella Ferranti, presidente, ricorda che nella seduta di mercoledì 10 giugno scorso si è svolta, concludendosi, l’indagine conoscitiva avente ad oggetto le proposte di legge abbinate in esame.

http://www.camera.it/leg17/1008?sezione=documenti&idlegislatura=17&tipoDoc=bollettino_comunicato&anno=2015&mese=06&giorno=16&idcommissione=02&back_to=4

 

18 giugno 2015 La Commissione adotta come testo base la proposta di legge C. 2957, approvata dal Senato.

Donatella Ferranti, presidente fissa alle ore 12 di venerdì 17 luglio il termine per la presentazione degli emendamenti sul testo base.

www.camera.it/leg17/1008?sezione=documenti&idlegislatura=17&tipoDoc=bollettino_comunicato&anno=2015&mese=06&giorno=18&idcommissione=02&back_to=4

 

Senato 2° comm. Giustizia.  Disciplina delle unioni civili

S 14     Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili

16 giugno 2015 (2 sedute)

Testo e discussione delle riformulazioni di alcuni emendamenti già presentati.

http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=00925715&part=doc_dc&parse=no&stampa=si&toc=no

Il presidente Palma, esaminati gli emendamenti presentati al testo unificato adottato dalla Commissione come testo base nella seduta del 26 marzo 2015, (…) ritenuto che non possono essere dichiarati proponibili o ammissibili gli emendamenti che siano estranei all’oggetto della discussione o formulati in termini sconvenienti, contraddittori o comunque impropri, o che siano privi di reale portata modificativa o che abbiano effetti privi di qualsiasi ragionevole collocazione nel contesto ordinamentale o che facciano riferimento ad istituti inesistenti o che tendano a modifiche non suscettibili di applicazione, così come formulate, o che richiamino in modo improprio atti non costituenti fonti del diritto ai fini della definizione del contenuto del testo legislativo in esame, dichiara improponibili o inammissibili gli emendamenti che sono pubblicati nell’Allegato 1 (circa 2.000.)

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=00925715&part=doc_dc&parse=no&stampa=si&toc=no

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REVERSIBILITÀ

            Posso rimanere separato senza divorziare?

Sto per chiedere la separazione da mio marito: non vorremmo però chiedere il divorzio, rimanendo comunque separati, in modo che l’uno possa percepire la pensione di reversibilità dell’altro; è corretto? Si può rimanere separati per molto tempo oppure la separazione “scade”?

Innanzitutto, è certo diritto della coppia rimanere separati “a tempo indeterminato” senza dover necessariamente divorziare. Infatti, il termine fissato dalla legge per chiedere il divorzio dopo la separazione è “minimo” e non “massimo; in buona sostanza, con l’intervento del divorzio breve, le parti possono sciogliere il matrimonio dopo 6 mesi (qualora la precedente separazione fosse stata consensuale) o dopo 1 anno (qualora la precedente separazione fosse stata invece giudiziale). Ma ciò non toglie che debbano necessariamente farlo. Dunque, la coppia potrebbe anche decidere di rimanere in questa condizione intermedia fino alla morte.

            I vantaggi, in materia previdenziale, sono chiari: infatti, la pensione di reversibilità spetta sempre al coniuge separato. Nel caso invece di divorzio, è subordinata a una serie di condizioni. È bene quindi separare le due ipotesi.

            coniugi separati. La separazione dei coniugi non impedisce la possibilità all’uno di chiedere la pensione di reversibilità (anche detta pensione indiretta) dell’altro. Tuttavia, nel caso in cui il giudice abbia dichiarato la “separazione con addebito” a carico del richiedente la pensione (ossia attribuendogli le colpe del fallimento alla condotta di uno dei due), la reversibilità gli spetta solo se questi abbia ottenuto, dal giudice, l’assegno alimentare.

            coniugi divorziati. In questo caso, invece bisogna fare una distinzione a seconda che il defunto si fosse risposato o meno.

            In caso di secondo matrimonio del defunto. La pensione, in questo caso, non spetta al precedente coniuge, ma al nuovo ancora in vita. Tuttavia l’ex può rivolgersi al Tribunale per chiedere una quota della pensione di reversibilità, che verrà determinata sulla base della durata del primo matrimonio. L’accoglimento della richiesta da parte del Tribunale non dà al divorziato il titolo di pensionato, ma lo rende semplicemente beneficiario di assegno alimentare.

            Se il defunto, invece, non si è risposato. La pensione di reversibilità spetta al “superstite” purché:

– sia titolare di assegno di divorzio;

– non si sia risposato;

– l’inizio dell’assicurazione del deceduto sia antecedente la data della sentenza di divorzio;

– il deceduto abbia maturato i requisiti per la pensione o fosse già titolare di pensione alla data della morte.

Redazione la legge per tutti              14 giugno 2015

www.laleggepertutti.it/90207_reversibilita-posso-rimanere-separato-senza-divorziare

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SINODO SULLA FAMIGLIA

            Una proposta per tenere insieme dottrina e misericordia.

            Introdurre una «legge di gradualità» che non sconfini «in una morale soggettivistica», ma che permetta «che la giustizia si accompagni a un’applicazione più equa e che la fermezza sui princìpi vada di pari passo con la misericordia per le persone nel loro cammino individuale».

            Potrebbe essere questa la “soluzione” ai nodi più aggrovigliati in discussione al Sinodo dei vescovi sulla famiglia – accesso ai sacramenti per i divorziati, convivenza, coppie omosessuali – che hanno spaccato in due episcopato e comunità cristiana: conservatori, timorosi che la dottrina tradizionale possa essere sovvertita, e progressisti, sostenitori di un deciso cambio di direzione che aggiorni il magistero. Una sintesi che consentirebbe di superare l’impasse fra «tutto o niente» e che salvi «dottrina» e «misericordia», anzi che interpreti la dottrina con le lenti della misericordia.

            L’ipotesi viene avanzata in una sede autorevole: il fascicolo n. 3959 (del 13 giugno 2015) di Civiltà Cattolica, quindicinale dei gesuiti le cui bozze, prima della pubblicazione, passano al vaglio della Segreteria di Stato. E da uno «scrittore» – così si chiamano i redattori del quindicinale – di punta, perché la proposta è avanzata dal domenicano p. Jean-Miguel Garrigues (attualmente docente di Teologia patristica e dogmatica all’Institut Supérieur Thomas d’Aquin, allo Studio domenicano di Tolosa e al Seminario di Ars) in un lungo colloquio («“Chiesa di puri” o “nassa composita”?») con il direttore di Civiltà Cattolica, p. Antonio Spadaro, uno degli uomini più vicini a papa Francesco. Si tratta insomma non di un contributo fra i tanti al dibattito presinodale, ma di un parere autorizzato ai massimi livelli (e, infatti, non a caso, il vaticanista Sandro Magister, capofila dell’opposizione “da destra” a Francesco, in pochissimi giorni ha pubblicato tre ampi post sul suo blog per smontare la tesi di p. Garrigues).

newsUCIPEM n. 548 – 31 maggio 2015 pag. 21

newsUCIPEM n. 550 – 21 giugno 2015 pag. 20

www.ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=category&id=84&Itemid=231

            Il «Gps divino». L’immagine plastica con cui p. Garrigues sintetizza la sua proposta è quella del «Gps divino» (il Gps è il sistema di posizionamento e navigazione satellitare, quello che usano i “navigatori” da automobile o gli smartphone di ultima generazione), che consente di arrivare alla meta finale (quindi la dottrina è salva) anche seguendo strade diverse da quelle dirette, o canoniche (ecco la misericordia, a seconda dei casi). «Che cosa fa il Gps quando deviamo dall’itinerario indicato per raggiungere l’indirizzo cercato?», si domanda p. Garrigues. «Non ci chiede di tornare al punto di partenza per riprendere il primo itinerario che ci ha indicato. Ci propone direttamente un itinerario alternativo a partire dalla situazione in cui ci troviamo. Ecco: analogamente, ogni volta che deviamo a causa del nostro peccato, Dio non ci chiede di tornare al nostro punto di partenza, perché la conversione biblica del cuore, la metanoia, non è un ritorno (epistrophe) platonico all’inizio. Dio ci riorienta verso Lui stesso tracciando un nuovo percorso verso di Lui. Notiamo che, come gli indirizzi non cambiano nel Gps, così i fini morali non cambiano nel governo divino. Quello che cambia, e quanto!, è il percorso di ogni persona nel suo libero cammino verso la moralizzazione teologale, e infine verso Dio».

            Applicando la similitudine del Gps ai temi controversi in discussione al Sinodo, soprattutto l’accesso ai sacramenti per i divorziati riposati, il ragionamento si fa chiaro. «Perdere la comprensione dei fondamenti della coppia e della famiglia significherebbe voler procedere senza bussola, governati soltanto da una compassione affettiva condannata a cadere in un sentimentalismo irrealista», spiega il domenicano. «Per esempio, è una verità insuperabile che tutti i cristiani vivono sotto la legge del Cristo e che a tutti vada applicata l’indissolubilità del matrimonio. Non c’è dunque “gradualità della legge”, una finalità morale che varierebbe a seconda delle situazioni del soggetto. Tuttavia non significa negare o relativizzare questa verità il fatto di chiedere a coloro che non riescono a seguire questo comandamento del Cristo di non aggiungere al peccato di infedeltà quello di ingiustizia». Quindi «ecco dove si colloca la “legge di gradualità”, che invita le persone che, di fatto, non sono capaci di rompere di colpo con un peccato e uscire progressivamente dal male cominciando a fare la parte di bene, ancora insufficiente ma reale, di cui sono capaci». Infatti, aggiunge p. Garrigues, gli esseri umani «possono camminare verso la salvezza del Cristo compiendo una parte non trascurabile di bene morale in un’unione imperfettamente matrimoniale. Se le persone non si santificano mediante queste unioni di fatto, possono comunque farlo in queste unioni per tutto ciò che in esse dispone alla carità attraverso l’aiuto reciproco e l’amicizia. Tutti coloro che hanno frequentato divorziati che si sono risposati civilmente e coppie omosessuali hanno potuto spesso constatare questa disposizione talvolta eroica, per esempio in caso di prove fisiche o morali. In che cosa il negare tutto questo renderà più forti le nostre certezze e la nostra testimonianza alla verità?».

            Rigidità dottrinale contraria al sensus fidei. «La rigidità dottrinale e il rigorismo morale possono portare anche i teologi a posizioni estremiste, che sfidano il sensus fidei dei fedeli e perfino il semplice buon senso», spiega il domenicano, che presenta poi due casi concreti. «Penso ad una coppia della quale un componente è stato precedentemente sposato, coppia che ha bambini e ha una vita cristiana effettiva e riconosciuta. Immaginiamo che la persona già sposata abbia sottoposto il precedente matrimonio a un tribunale ecclesiastico che ha deciso per l’impossibilità di pronunciare la nullità in mancanza di prove sufficienti, mentre loro stessi sono convinti del contrario senza avere i mezzi per provarlo. Sulla base delle testimonianze della loro buona fede, della loro vita cristiana e del loro attaccamento sincero alla Chiesa e al sacramento del matrimonio, in particolare da parte di un padre spirituale esperto, il vescovo diocesano potrebbe ammetterli con discrezione alla Penitenza e all’Eucaristia senza pronunciare una nullità di matrimonio. Egli estenderebbe così a questi casi una deroga puntuale a titolo della buona fede che la Chiesa già dà alle coppie di divorziati che si impegnano a vivere nella continenza». E poi il caso in cui, «dopo il divorzio e il matrimonio civile, i congiunti divorziati hanno vissuto una conversione a una vita cristiana effettiva, di cui può essere testimone tra gli altri il padre spirituale. Essi credono comunque che il loro matrimonio sacramentale sia stato veramente tale e, se potessero, cercherebbero di riparare la loro rottura perché vivono un pentimento sincero: ma hanno dei bambini, e d’altronde non hanno la forza di vivere nella continenza. Che cosa fare in questo caso? Si deve esigere da loro una continenza che sarebbe temeraria senza un carisma particolare dello Spirito? Si tratta di domande su cui si dovrà riflettere».

            P. Garrigues, con la sua proposta, non indica ovviamente una “rivoluzione copernicana” ma una soluzione fedele «a una vecchia tradizione romana di misericordia ecclesiale verso i peccatori», secondo la quale la Chiesa non è una comunità di «puri» ma, citando sant’Agostino, una «“nassa (rete, ndr) composita” di giusti e peccatori». «La visione di Francesco è quella di una Chiesa per tutti, perché Cristo è morto davvero per tutti gli uomini, senza eccezioni, non per alcuni. La Chiesa non è quindi un club selettivo e chiuso: né quello di un ambiente sociale cattolico per tradizione, e nemmeno quello di persone capaci di virtuoso eroismo». È tracciato lo stretto sentiero per trovare, al Sinodo, «l’articolazione tra la verità dei fondamentali della fede e la misericordia pastorale per le persone». Un sentiero che pare però scivoloso e, soprattutto, non esente da contraddizioni che inevitabilmente verranno evidenziate.

Luca Kocci     ADISTA notizie n. 22                        15 giugno 2015

www.adistaonline.it/index.php?op=articolo&id=55079

 

La risposta al Sinodo delle famiglie interconfessionali

Lo scorso 17 aprile 2015, la Rete internazionale delle famiglie interconfessionali (Interchurch Families International Network – IFIN) ha inviato alla Segreteria generale del Sinodo dei vescovi una risposta ufficiale in vista dell’assemblea ordinaria di ottobre per attirare l’attenzione dei vescovi sul contributo specifico che molti «matrimoni misti» impegnati offrono alla ricerca dell’unità tra le Chiese cristiane divise. Partendo dalla domanda 39 dei Lineamenta («La normativa attuale permette di dare risposte valide alle sfide poste dai matrimoni misti e da quelli interconfessionali? Occorre tenere conto di altri elementi?»; Regno-doc. 15,2015,23), l’IFIN propone una riflessione – datata 6 aprile – sulla condizione specifica delle «famiglie miste interconfessionali» nella Chiesa e nei contesti culturali in cui vivono; sulle difficoltà e le gioie di una vita coniugale e familiare attraversata dai confini confessionali; su quali nuove sfide vedono per la loro vita coniugale e familiare e sulle concrete speranze riguardo a come il prossimo Sinodo e la Chiesa in generale dovrebbero affrontare le questioni relative alla loro situazione. Un ampio commento al testo si trova in Regno-attualità n.. 5,2015,305ss.

Introduzione. La Rete internazionale delle famiglie interconfessionali (IFIN) dà voce alle famiglie miste a livello globale, riunendo associazioni e gruppi di famiglie miste in diverse parti del mondo. Dopo il concilio Vaticano II e il suo atteggiamento più positivo verso i matrimoni misti, a partire dagli anni Sessanta gruppi e associazioni nazionali e regionali hanno cominciato a formarsi in molti paesi europei (Francia, Italia, Svizzera, Inghilterra, Scozia, Irlanda, Germania e Austria) e poi anche negli USA, in Canada, Australia e Nuova Zelanda.

A un incontro internazionale, che si è tenuto a Roma nel 2003, i rappresentanti sono giunti da undici diversi paesi e tre continenti. In quell’occasione è stato adottato il documento «Famiglie miste e unità cristiana», che è ancora il testo più completo, in forma sintetica, sull’autocomprensione delle famiglie miste, sul contributo che esse sentono di poter portare all’unità dei cristiani e sul tipo di comprensione pastorale di cui hanno bisogno per esprimere il proprio potenziale (disponibile in inglese, francese, tedesco e italiano sul sito web www.interchurchfamilies.org).

L’IFIN è in contatto anche con coppie e famiglie interconfessionali nei paesi in cui non esistono ancora gruppi e associazioni, tra cui l’Africa.

I. Famiglie miste e interconfessionali

  1. Un’attenzione speciale alle famiglie miste (cristiane) e interreligiose
  2. Somiglianze, differenze e terminologia

II. La vocazione e la missione delle famiglie interconfessionali nella Chiesa e nel mondo contemporaneo

  1. La vocazione delle famiglie interconfessionali
  2. La missione delle famiglie interconfessionali
  3. Comprensione pastorale per le famiglie interconfessionali
  4. Una preparazione al matrimonio adatta ai fidanzati interconfessionali e misti
  5. La «promessa» richiesta dalla Chiesa cattolica prima del matrimonio
  6. Il battesimo e l’educazione dei figli
  7. Il bisogno di una regolare condivisione eucaristica
  8. La cura pastorale delle famiglie interconfessionali nel rispetto della lealtà alle appartenenze

Rete internazionale delle famiglie interconfessionali          16 giugno 2015

Il testo integrale in

www.ilregno-blog.blogspot.it/2015/06/la-risposta-al-sinodo-delle-famiglie.html#more

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UNIONI CIVILI

Coppie di fatto non sposate: diritti e doveri dei conviventi.

            Chi convive ha molti degli stessi diritti e doveri delle coppie unite dal matrimonio: l’interpretazione dei giudici che ha allargato le tutele anche alle coppie di fatto.

            La famiglia non è fondata solo sul matrimonio, ma su una comunione di vita materiale e spirituale: ragion per cui anche i conviventi (cosiddette “coppie di fatto”) godono di gran parte dei diritti riconosciuti alle coppie sposate. Questo allargamento di tutela, per quanto non previsto in alcuna legge, è il risultato di un’interpretazione dei giudici che ha portato a un progressivo avvicinamento delle due figure: quelle delle coppie unite da matrimonio e quelle, invece, senza tale vincolo. Insomma, oggi i conviventi possono dire di aver raggiunto dei notevoli traguardi rispetto al passato. E questo a prescindere da accordi, contratti, testamenti e deleghe fino a ieri necessarie per garantire, al proprio partner, i diritti che spetterebbero al coniuge. In ogni caso, resta ferma la possibilità di stipulare un contratto di convivenza.

            In questo senso vanno peraltro visti alcuni recenti interventi del parlamento: quello del 2001 [L.154/2001] con cui è stato estesa ai conviventi l’applicazione delle misure contro la violenza nelle relazioni familiari; nonché l’approvazione, di poco tempo fa, da parte del Senato, del disegno di legge sulle unioni civili e convivenze di fatto (con cui vengono formalizzati gli stessi diritti già riconosciuti dai giudici come il subentro nella locazione, l’assistenza ospedaliera, il mantenimento temporaneo dell’ex in difficoltà).

            quali diritti non hanno le coppie di fatto.

  • Fedeltà. Il più incisivo dei doveri che non spettano alle coppie di fatto è il dovere di fedeltà: il convivente tradito non può chiedere addebiti e risarcimenti di alcun tipo (carte che, ovviamente, possono essere fatte valere solo nei giudizi di separazione).
  • Mantenimento. Altrettanto dicasi per il diritto all’assegno di mantenimento successivo alla separazione che riguarda solo le coppie unite dal vincolo matrimoniale. Tuttavia, con apposita scrittura privata, le parti possono concordare, a monte, per l’assunzione da parte di uno dei conviventi dell’obbligo di mantenimento dell’altro.
  • Eredità e comunione dei beni. Il convivente non è un erede legittimo e non gode di un diritto ereditario. Non gli resta che sperare del testamento. In ogni caso, con il testamento si può attribuire al partner solo la quota disponibile, cioè quella porzione del patrimonio che la legge non riserva ai familiari più stretti. Insomma, una tutela molto ridotta. Allo stesso modo, tra i conviventi non si instaura alcuna comunione dei beni. Per ovviare a entrambi i suddetti limiti (testamento e comunione dei beni), si può ricorrere ad un normale contratto di vendita o di donazione, con cui, ad esempio, si trasferisce al partner beni o diritti, o costituire in suo favore un diritto reale di godimento.
  • Reversibilità. Sempre in caso di morte del convivente, il partner superstite non può rivendicare pretese sulla pensione di reversibilità.
  • Tutela del patrimonio immobiliare. La coppia di fatto non può stipulare un fondo patrimoniale, destinato solo alle coppie sposate. Si potrebbe però costituire un vincolo di destinazione o optare – nel caso in cui si intendessero tutelare gli interessi di figli nati dall’unione – per l’istituzione di un trust.
  • Impresa familiare. La legge riconosce tutela, al pari del coniuge, al partner che abbia prestato la propria attività all’interno dell’impresa familiare.

quali diritti hanno le coppie di fatto.

  • Possesso dell’abitazione. Se l’abitazione è di proprietà di uno dei due, egli non può sbattere fuori di casa l’altro, dall’oggi al domani. Quest’ultimo, infatti, vanta un diritto di possesso che non gli può essere negato. Se la casa è, invece, in affitto, con la morte dell’uno, il convivente ha diritto di subentrare nel contratto fino alla sua naturale scadenza.
  • Maltrattamenti in famiglia. Il reato di maltrattamenti in famiglia prescinde dall’esistenza di un matrimonio formale e, quindi, l’illecito penale scatta anche nei riguardi del partner senza la fede.
  • Affidamento dei figli. Stesso discorso per quanto riguarda l’affidamento dei figli: non perché la coppia non è sposata, i figli non debbono essere “gestiti”, dopo la rottura, da entrambi gli ex conviventi. Il dovere di mantenimento, il diritto di visita e l’affidamento condiviso non conoscono differenza tra coppie che sono salite sull’altare e coppie che, invece, non lo hanno fatto.
  • Risarcimento del danno. Se uno dei due coniugi muore per fatto illecito altrui (per esempio un incidente stradale), il superstite ha diritto ad essere risarcito al pari di un coniuge. Non ogni convivenza, però, fonda un’azione risarcitoria. Il diritto al risarcimento scatta solo se la convivenza abbia una stabilità tale da far ragionevolmente ritenere che, ove non fosse intervenuta l’altrui azione, sarebbe continuata nel tempo.
  • Violazione degli obblighi familiari. Versare del denaro al partner, durante la convivenza, configura, nel rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza, l’adempimento di un’obbligazione naturale, essendo espressione della solidarietà tra due persone unite da un legame stabile e duraturo [Cass. sent. n. 1277/2014]. Pertanto è legittimo richiedere, nei confronti dell’ex convivente, il risarcimento dei danni per violazione degli obblighi familiari [Cass. sent. n. 15481/2013].

Extracomunitari e permesso di soggiorno. Ai fini del rilascio del titolo di soggiorno rileva anche la convivenza stabile dello straniero che dimostri di trarre da tale tipo di rapporto mezzi leciti di sostentamento [Tar Liguria, sent. n. 25/2015]. Per la stessa ragione non si può espellere lo straniero non solo in caso di matrimonio, ma anche di convivenza in Italia, con una donna incinta [Cass. sent. n. 3373/2014].

Redazione       la  legge per tutti        15 giugno 2015

www.laleggepertutti.it/90311_coppie-di-fatto-non-sposate-diritti-e-doveri-dei-conviventi

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