NewsUcipem n. 548 –31 maggio 2015

NewsUcipem n. 548 –31 maggio 2015

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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“notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line   direttore responsabile Maria Chiara Duranti.

direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le “news” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

            Le news sono così strutturate:

  • notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.
  • link a siti internet per documentazione.
  • Le notizie, anche con il contenuto non condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica.
  • La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

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            Il contenuto di questo new è liberamente riproducibile citando la fonte.

Per i numeri precedenti

dal n. 1 (10 gennaio 2004) al n. 526 richiedere a                                        newsucipem@gmail.com

dal n. 527 al n. 547 andare su

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ABORTO VOLONTARIO               Diamo uno stipendio di 800€ al mese per tre anni alle mamme.

AFFIDO CONDIVISO                     La dieta alimentare dei figli oggetto di lite in un divorzio.

ANONIMATO                                  Parto anonimo e diritto a conoscere le proprie origini.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  Assolto il padre che non lo ha versato se si è occupato dei figli.

Violazione degli obblighi di assistenza familiare.

ASSEGNO DIVORZILE                  Anche se la convivenza è finita, l’assegno non torna come prima.

                                               Spese di condominio oltre al mantenimento

CHIESA CATTOLICA                    “Le coppie gay non vanno ignorate”. Monsignor Mogavero.

Giubileo, un nuovo inizio: il caso dei divorziati e dei preti sposati

CHIESE CRISTIANE                                  I cattolici e la benedizione delle coppie omosessuali.

CONSULTORI familiari UCIPEM  Milano 1 Istituto la Casa. Minori: difficoltà e integrazione.

Parma. Nell’Assemblea Divorzio breve? Domande & risposte“.

Venezia Mestre. Punto d’ascolto nelle scuole medie.

COPPIA                                            Se l’altro non basta, Sos coppia.

DALLA NAVATA                            Santissima Trinità – anno B –31 maggio 2015.

FORUM Associazioni Familiari       In Europa spira un vento individualista. Belletti

FRANCESCO VESCOVO di Roma Matrimonio è alleanza d’amore uomo-donna, no “usa e getta”.

                                                           Difendere sempre la vita del concepito come dell’immigrato.

GOVERNO                                       Ministero della Salute. Piano nazionale per la fertilità.

Nel Piano i consultori familiari.

NEGOZAZIONE ASSISTITA          Pm non può autorizzare l’accordo a tre sulle condizioni.

PROCREAZIONE ARTIFICIALE Infertilità di coppia: come adottare un embrione.

SINODO SULLA FAMIGLIA          È tempo che la Chiesa accetta questa sfida».

Su Civiltà Cattolica: sì a deroghe per i divorziati risposati.

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ABORTO

Anziché gli 80 euro, diamo uno stipendio di 800 euro al mese per tre anni alle neo-mamme.

Quasi 70mila. Tanti sono i bambini desti-nati all’aborto che potrebbero avere molte più probabilità di nascere e vivere nel caso in cui l’assistenza dell’associazione Papa Giovanni XXIII venisse estesa a livello nazionale a tutte le donne intenzionate a interrompere la loro gravidanza. Se, infatti, nel 2014 le situazioni di maternità difficile prese in carico dal-la comunità fondata da don Oreste Benzi sono state 586 (oltre la metà straniere), con un aumento del 32% delle donne indecise oppure già convinte a procedere all’interruzione volontaria (196 in tutto), il 65% di queste dopo una proposta di aiuto e condivisione avanzata dagli operatori ha scelto di tenersi il figlio. «Riparametrando questo valore ai 107.192 aborti volontari legalmente eseguiti in Italia – spiegano dalla Papa Giovanni XXIII rifacendosi ai dati 2013 del Ministero della Sa-lute – emerge che, se questa modalità di aiuto venisse standardizzata a livello nazionale, 69.674 bambini vedrebbero la luce». In sostanza, si taglierebbero gli aborti volontari di ben il 65%. Si tratta ovviamente di un cal-colo matematico che, secondo i seguaci di don Benzi, pur non tenendo conto di come ogni singola decisione su un tema così delicato faccia storia a sé, offre comunque una chiara indicazione su quali siano le politiche da perseguire nel sostegno alla maternità.

Stando ai dati diffusi, circa il 37% (cifra in crescita rispetto al 2013) delle gestanti indecise è stata fatta oggetto di pressioni o istigata ad abortire. In 2 casi su 3 le pressioni hanno avuto origine dall’ambiente familiare (48% dal partner e 20% dalla famiglia e 25% dal personale sanitario). «Questo conferma che l’aborto diventa un vero e proprio obbligo sociale – continuano dall’associazione -. In tanti casi la società dice alla donna che lei quel figlio non lo deve accogliere. Chiunque oggi può permettersi di fare violenze psicologiche e con insistenza imporre, minacciare, ricattare, in certi casi anche fare violenza fisica alla donna perché vada ad abortire sapendo che non subirà conseguenze per questo».

Una tale situazione ha convinto i vertici della comunità Papa Giovanni XIII a inserire una documentata denuncia sull’istigazione all’aborto nel rapporto sulla situazione di diritti umani in Italia, presentato l’anno scorso alle Nazioni Unite in quanto Organizzazione non governativa (Ong) accreditata presso il Consiglio dei diritti umani dell’Onu, nell’ambito dell’Upr (Universal periodic review) dedicata all’Italia.

Per lanciare un segnale di distensione dopo le polemiche degli ultimi mesi sulle preghiere pubbliche sotto le finestre degli ospedali dove si praticano gli aborti, l’associazione ha deciso di cambiare luogo di ritrovo a Bologna, teatro nell’ultimo anno di accese proteste. I volontari non reciteranno più il rosario all’uscita dell’ospedale Sant’Orsola proprio sotto le finestre della Clinica ginecologica, bensì vicino a un altro ingresso più appartato dello stesso nosocomio. «I dati ci incoraggiano nel proseguimento della nostra preghiera pubblica per la vita nascente – spiega Giovanni Paolo Ramonda, responsabile della comunità – che continuerà con una metodologia tipicamente non violenta. Non solo tutti i bambini che sono uccisi ogni anno hanno diritto di nascere, ma la società ha bisogno di loro per fare ripartire la natalità e la ripresa economica».

Alle istituzioni pubbliche il successore di don Benzi chiede invece di sostenere «il primo diritto fondamentale, quello alla vita». Come? «Invece del bonus di 80 euro – chiosa Ramonda – serve uno stipendio di 800 euro alle madri per i primi tre anni di vita del bambino».

Giovanni Bucchi        italia oggi       27 maggio 2015   www.scienzaevita.org/wp-content/uploads/2015/05/ItaliaOggi_27_05_15_Aborto_70mila_bimbi_da_salvare.pdf

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AFFIDO CONDIVISO

La sconfitta della famiglia: la dieta alimentare dei figli diventa oggetto di lite in un divorzio.

                        Tribunale di Bergamo

“Il provvedimento con cui il Tribunale di Bergamo, nell’ambito di una procedura di divorzio, ha deciso la dieta alimentare di un minorenne dodicenne, non ha precedenti”, così l’avv. Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione degli Avvocati Matrimonialisti Italiani. [lei macrobiotica dal 2006 e lui «carnivoro»]. E spiega: “Fino ad ora i giudici sono intervenuti per disciplinare l’affidamento dei figli, il loro mantenimento, le spese straordinarie ma ancora non si era deciso quante volte a settimana i figli dovessero mangiare bistecche, polenta o verdure. E’ il segno dei tempi. Da oggi in poi anche la dieta sarà oggetto di ricorsi tra coniugi in perenne lite giudiziaria. E’ triste che due genitori debbano demandare ad un estraneo la decisione sull’alimentazione del figlio”.

            “Tale situazione – continua il matrimonialista – ripropone la necessità di introdurre nelle procedure di separazione e divorzio la figura dello psicologo/mediatore {consulente familiare!ndr} che possa sostenere i coniugi in costante disaccordo ed evitare così l’eterna guerra dei Roses anche per futili motivi”.

            E continua: “La legge attribuisce al giudice un ampio potere discrezionale per la decisione di tutte le questioni che riguardano i minori, senza limitazioni. Non è peregrina l’ipotesi che in futuro sempre più scelte verranno affidate al giudice, ivi incluso il tipo di abbigliamento dei figli”.

AMI                28 maggio 2015

www.ami-avvocati.it/la-sconfitta-della-famiglia-la-dieta-alimentare-dei-figli-diventa-oggetto-di-lite-in-un-divorzio/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+ami-avvocati+%28AMI-avvocati.it+RSS%29

www.ecodibergamo.it/stories/Cronaca/per-la-dieta-del-figlio-vanno-in-tribunale-caso-unico-boom-di-clic-sul-web_1123271_11/

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ANONIMATO

Parto anonimo e diritto a conoscere le proprie origini.

Tribunale per i Minorenni di Trieste, decreto 8 maggio 2015.

            Il Tribunale per i Minorenni di Trieste ha accolto la richiesta di una signora nata da una donna che aveva scelto di non essere nominata al momento del parto e data in adozione, di accedere alle informazioni circa l’identità della propria madre biologica. Con un articolato provvedimento, chiude il caso Godelli, che aveva portato la questione della ricerca delle proprie origini innanzi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

            Riportiamo di seguito una sintesi della pronuncia e il riferimento ai precedenti e casi simili. Una signora, nata nel 1943 da una donna che aveva scelto di non essere nominata al momento del parto, aveva adito il Tribunale dei minorenni chiedendo di conoscere l’identità della propria madre biologica. L’istanza veniva inizialmente presentata nel 2007. A fronte del rigetto della richiesta sia da parte del Tribunale per i minorenni sia da parte della Corte d’Appello, veniva presentato un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Godelli c. Italia). Sulla base della sentenza della Corte Edu e della pronuncia della Corte costituzionale n. 278/2013, la donna presentava una nuova istanza al Tribunale per i minorenni di Trieste.

            Il Tribunale incaricava la polizia giudiziaria di svolgere, nel massimo riserbo, le indagini volte a rintracciare la madre biologica della ricorrente, al fine di accertare la volontà della medesima a mantenere o meno il proprio anonimato. Nel marzo 2015 i Carabinieri accertavano l’avvenuto decesso della donna.

            La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata sulla compatibilità con la Convezione (in particolare, con l’art. 8 CEDU) del quadro normativo italiano che, nel caso di parto anonimo escludeva il diritto dell’adottato a conoscere l’identità della madre biologica: il giudice di Strasburgo ha rilevato una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare da parte della legislazione italiana, che non prevedeva un adeguato bilanciamento tra il diritto alla riservatezza della madre e il diritto del figlio a conoscere le proprie origini. Il caso sul quale il Tribunale dei Minorenni di Trieste è chiamato a pronunciarsi è stato quello che ha dato origine alla sentenza della Corte EDU, Godelli c. Italia nel 2013.

            Con la sentenza n. 278/2013, la Corte costituzionale mutava il proprio orientamento circa la legittimità costituzionale della disposizione di cui all’art. 28, co. 7, della legge n 184/1983.

            Il Tribunale dei minorenni è dunque chiamato a risolvere, in concreto il bilanciamento tra diritti individuato dalla Corte di Strasburgo e dalle Corte costituzionale:

            «Ne discende in primo luogo che sia il diritto alla riservatezza, all’oblio della madre biologica, alla salvaguardia della stessa vita della madre e del figlio neonato, sia il diritto all’identità personale del figlio, alla ricerca delle proprie radici, ad ottenere le informazioni necessarie alla scoperta della verità concernente un aspetto importante della propria identità personale, quale l’identità dei genitori hanno pari rango costituzionale e dignità, quali diritti inviolabili dell’uomo, tutelati da uno dei principi supremi dell’ordinamento, l’art.2 Cost., nei confronti della pubblica autorità ma anche di altri privati; sono diritti della personalità, essenziali, dal momento che tutelano le ragioni fondamentali della vita e dello sviluppo fisico e morale della persona, originario innati, acquistandosi in seguito alla nascita oda mutamento di status e indipendentemente da un qualsiasi atto di trasferimento, non patrimoniali, non essendo apprezzabili economicamente, personalissimi, avendo ad oggetto un modo di essere della persona, sono collegati ad essa in maniera inscindibile, assoluti, come tali opponibili erga omnes, nei confronti cioè di qualsiasi appartenente alla collettività a prescindere dall’esistenza di un rapporto giuridico, subendo limiti unicamente allorché vengano a configgere con altri diritti assoluti della personalità, appartenenti a soggetti diversi, nel qual caso occorre far ricorso al principio del contemperamento ed il paradigma della comparazione degli interessi in conflitto, utilizzato nell’ambito della clausola generale del danno ingiusto di cui all’art.2043 cod. civ.».

            Per svolgere in concreto il bilanciamento, il Tribunale deve dunque accertare la volontà della madre biologica a mantenere o meno il proprio anonimato e, alla luce dell’esito di tale accertamento, risolvere l’istanza della ricorrente. La modalità concreta per svolgere questo accertamento è stata individuata nella convocazione della madre biologica, per comunicazioni orali, presso la sede locale dei servizi sociali, alla presenza del solo giudice onorario del Tribunale dei minorenni. Durante il colloquio, il giudice onorario informa la donna del fatto che il figlio partorito desidera conoscere la propria identità e chiede alla medesima se intenda mantenere ancora l’anonimato. Se la donna non dà il proprio consenso, il giudice onorario si deve limitare a riferirlo per iscritto al Tribunale, senza redigere verbale. In alternativa, è possibile concedere alla donna un congruo termine di riflessione e fissare un nuovo appuntamento. Se invece la donna decide di prestare il proprio consenso alla rivelazione dell’identità verrà fatto redigere apposito verbale, sottoscritto anche dall’interessata.

            Nel caso concreto, tuttavia, la madre biologica risulta deceduta. Tale eventualità non è presa in considerazione né nella sentenza Godelli della Corte EDU, né nella pronuncia n. 278/2013 della Corte costituzionale.

            Secondo il Tribunale dei Minorenni di Trieste: «in caso di morte della madre biologica viene meno il potenziale conflitto tra i due diritti assoluti della personalità, appartenenti a soggetti diversi, quello all’anonimato della madre e quello del figlio a conoscere le proprie origini ai fini della tutela dei suoi diritti fondamentali, cadendo così la necessità di ricorrere al principio del contemperamento ed alla comparazione degli interessi in conflitto, per lasciare che possa avere piena espansione l’unico diritto fondamentale persistente. Con la sua morte, infatti, si estingue anche il diritto all’oblio, alla riservatezza, in ultima analisi alla salute psicofisica di cui è titolare la genitrice biologica, diritto personalissimo, nient’affatto patrimoniale, indisponibile, intrasmissibile, privo perciò, a causa della strettissima inerenza a rispetto al soggetto che ne è titolare, di ogni possibilità di essere trasmesso ad altri soggetti; di qualsiasi capacità rappresentativa esterna; il diritto all’anonimato della genitrice biologica coinvolge unicamente la sfera personale della medesima, attinente in particolare allo svelamento della propria maternità, ma non anche lo status del figlio, ormai perfezionato con l’adozione legittimante o, nell’ipotesi sub iudice, acquisito con l’affiliazione, senza, dunque, che possa venire in alcun modo implicata la sfera patrimoniale della madre deceduta, come peraltro rimarcato anche dalla Corte europea nella sentenza Odievre vs Francia e dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 278/2013».

            In altre parole, non sussistendo più due interessi contrapposti, viene meno per il giudice la necessità di operare un bilanciamento. Viene altresì esclusa l’applicabilità al caso di specie dell’art. 93 del D.lgs. 196/2003, in relazione all’accesso ai dati clinici e sanitari: il decorso di cento anni per la rivelazione dell’identità della donna partoriente è una norma troppo rigida e, se applicata al caso di specie, vanificherebbe la portata del diritto del figlio a conoscere le proprie origini.

            Il Tribunale accoglie, quindi, la richiesta della signora Godelli di accedere alle informazioni circa l’identità della propria madre biologica.

Casi correlati e precedenti

            Il 12 novembre 2014, in un reclamo avverso un decreto del Tribunale dei minorenni di Catania, relativo alla richiesta di informazioni ex art. 28 legge 184/1983, la Corte d’Appello di Catania ha confermato l’esistenza del diritto dell’adottato ad accedere ai dati della madre naturale, come venutosi a configurare a seguito della sentenza della C. cost., n. 278/2013 e della sentenza della Corte EDU nel caso Godelli c. Italia.

            La Corte d’Appello di Torino, sezione speciale per i minorenni (5 novembre 2014), ha rigettato il reclamo di donna che chiedeva di avere accesso alle informazioni circa l’identità della madre biologica, che non aveva voluto essere nominata al momento del parto e nel frattempo deceduta: il decesso non costituisce revoca implicita dell’anonimato.

            Corte costituzionale, sentenza n. 278/2013: Nel giudizio di legittimità costituzionale di una disposizione della legge sulle adozioni, la Corte ha sancito l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 28, co. 7, della l. n. 184/1983, nella parte in cui esclude la possibilità di autorizzare la persona adottata all’accesso alle informazioni sulle origini senza avere previamente verificato la persistenza della volontà di non volere essere nominata da parte della madre biologica.

            Il 25 settembre 2012, nel caso Godelli c. Italia, la Corte EDU ha dichiarato che le disposizioni legislative italiane (art. 28, co. 7 della legge sulle adozioni), che tutelano l’anonimato della madre biologica in caso di parto in una struttura pubblica e abbandono del figlio, lasciato in adozione, violano l’art 8 CEDU.

Biodiritto                    17 maggio 2015

Biodiritto è un progetto della Facoltà di Giurisprudenza del’Università di Trento.

www.biodiritto.org/index.php/item/667-trieste-parto-anonimo

decreto

http://blogs.professionegiustizia.it/diritto_comunitario/documenti/Tribunale%20per%20i%20minorenni%20di%20Trieste%20decreto%208%20maggio%202015.pdf

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Va assolto il padre separato che non lo ha versato se si è comunque occupato dei figli.

Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza n. 21482, 22 maggio 2015. 

Nel caso di specie era emerso da una scrittura privata che le due figlie della coppia erano rimaste a vivere con il padre.

            Un padre separato che non ha versato il mantenimento per i figli minori può salvarsi dalla condanna penale per il reato di cui all’articolo 570 c.p. (Violazione degli obblighi di assistenza familiare) se si è preso cura lui stesso dei figli.            E’ quanto emerge da una sentenza della Corte di Cassazione che, accogliendo la tesi della difesa dell’imputato, ha fatto rilevare come da una scrittura privata sottoscritta tra i coniugi dopo la separazione, fosse emerso che le due figlie (di cui una minorenne) erano andate a vivere con il padre.

            La Corte d’appello di Roma nel riformare una sentenza di primo grado aveva ritenuto colpevole l’imputato del reato ascrittogli in relazione all’omesso mantenimento di una figlia minorenne fino alla data del compimento della maggiore età ed aveva tenuto conto solo delle dichiarazioni della persona offesa.

            Rivolgendosi alla Suprema Corte, il padre separato contestava il fatto nel caso di specie non era stata raggiunta la prova della mancanza di mezzi di sussistenza, elemento necessario per potersi configurare l’ipotesi del reato. Nell’accordo sottoscritto dalle parti, infatti, risultava che le figlie erano rimaste a vivere con il padre con la conseguenza che non erano mai venute a trovarsi in stato di bisogno avendo provveduto per loro il padre convivente.

            Nella parte motiva della sentenza la Cassazione fa notare che gli elementi di fatto che emergevano dalla scrittura privata dovevano costituire oggetto di una verifica da parte dei giudici di merito che avrebbero dovuto procedere alla rinnovazione parziale del dibattimento con l’audizione delle figlie dell’imputato. Del resto, spiega la Corte, quando si deve valutare la deposizione della persona offesa e quest’ultima è costituita parte civile (e come tale portatrice di interessi economici), il controllo dell’attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello a cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi.

            Studio Cataldi                        22 maggio 2015

www.studiocataldi.it/articoli/18422-cassazione-va-assolto-il-padre-separato-che-non-ha-versato-il-mantenimento-se-si-e-comunuue-occupato-dei-figli.asp

Sentenza                     http://www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_18422_1.pdf

 

Violazione degli obblighi di assistenza familiare.

Corte di Cassazione, quinta Sezione penale, sentenza n. 20103, 14 maggio 2015.          

E’ responsabile del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare quando dalle risultanze processuali emerge che, nonostante lo stato di disoccupazione formale, l’imputato percepisce un reddito da lavoro senza tuttavia provvedere regolarmente alla corresponsione del contributo al mantenimento di moglie e figli disposto dal tribunale con sentenza di separazione personale dei coniugi.

renatodisa.com/2015/05/29/corte-di-cassazione-sezione-v-sentenza-14-maggio-2015-n-20103-e-responsabile-del-reato-di-violazione-degli-obblighi-di-assistenza-familiare-quando-dalle-risultanze-processuali-emerge-che-nonos/

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ASSEGNO DIVORZILE

Anche se la convivenza è finita, l’assegno per l’ex non “torna” come prima.

            Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 10192, 19 maggio 2015.

Non c’è nessun automatismo tra la fine della convivenza dell’ex coniuge e l’aumento dell’assegno divorzile. Se l’ex vive con un altro e la storia finisce l’assegno non ritorna in automatico all’importo originario. Tanto più se il marito, nel frattempo, si è fatto una nuova famiglia e i suoi redditi sono diminuiti. È questo il sunto della pronuncia della Corte di Cassazione che ha respinto la richiesta di aumento dell’assegno divorzile effettuata dall’ex moglie in ragione del fatto che la sopravvenuta convivenza more uxorio era terminata.

            Uscita vittoriosa in primo grado, con l’accoglimento dell’istanza di “ripristino” dell’importo originario dell’assegno (di 3mila euro), dimezzato nel tempo in ragione dell’avviata convivenza con un altro uomo, la donna perdeva invece in Corte d’Appello, la quale dava ragione all’ex marito che, in via riconvenzionale, chiedeva l’esonero dall’obbligo dato il peggioramento delle proprie condizioni economiche (contro quelle migliorate della moglie che aveva percepito un’eredità) e la costituzione di una nuova famiglia. La donna si rivolgeva, dunque, alla Cassazione. Ma anche il Palazzaccio le dà picche.

            Concordando con il giudice territoriale, infatti, gli Ermellini respingono il ricorso sull’assunto che altri elementi pesavano sulla situazione dei due coniugi. La conferma dell’importo dell’assegno, contrariamente a quanto sostenuto dalla donna, non era ancorata soltanto alle “vicende sentimentali” e dunque alla fine della convivenza con il compagno ormai archiviato.

            Il thema decidendum era ben più ampio, imponendosi la rinnovata delibazione, a seguito della comparazione della situazione economica delle parti, ha concluso la S.C., “in ragione dell’incontroversa proposizione da parte del marito della domanda riconvenzionale di esonero dalla contribuzione in questione e del successivo reclamo dallo stesso proposto, ancorati ai mutamenti delle rispettive condizioni personali e patrimoniali”.Morale della favola: ricorso respinto e assegno rimasto “dimezzato”.

Marina Crisafi           studio Cataldi                        20 maggio 2015

www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_18397.asp

 

Spese di condominio oltre al mantenimento.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 11024, 28 maggio 2015.

            Se il coniuge è stato condannato dal giudice ad accollarsi, oltre all’assegno di mantenimento, anche le spese ordinarie e straordinarie dell’immobile nel quale l’ex andrà a vivere da sola, deve farsi carico anche degli oneri condominiali. Compresa l’acqua. È quanto chiarito dalla Cassazione.

Non è sostenibile – dice a chiare lettere la Corte – che tra le spese ordinarie e straordinarie relative ad un immobile non vadano ricomprese anche quelle condominiali: ciò che conta, infatti, è l’inerenza della spesa all’immobile e non, invece, il fatto che il costo verta sulle parti comuni dell’edificio o sulla proprietà individuale. Lo dimostra il semplice fatto che è proprio partecipando alle spese delle parti comuni che si può godere in modo pieno della proprietà individuale. Si tratta, dunque, di spese tra loro connesse e pertinenti, se il giudice ha imposto al coniuge di pagare tutte le spese necessarie al mantenimento dell’abitazione ha inteso ricomprendervi anche le rate mensili da versare all’amministratore di condominio. E ciò vale sia per le spese condominiali ordinarie che per quelle straordinarie.

La legge per tutti                   28 maggio 2015

www.laleggepertutti.it/89121_assegno-di-divorzio-spese-di-condominio-oltre-al-mantenimento

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CHIESA CATTOLICA

“Le coppie gay non vanno ignorate”, Monsignor Mogavero: gli omosessuali non sono malati.

«Ai governanti spetta il compito di normare l’esistente». Perciò «in Italia non si può far finta che le unioni gay non esistano e che non ci siano diritti da riconoscere a queste coppie». L’esito del referendum irlandese, osserva il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, canonista e commissario Cei per l’immigrazione, «non va ignorato nel nostro paese».

Un’analisi lucida, senza fughe in avanti o sottovalutazione della portata del cambiamento. «In Irlanda il primo ministro Enda Kenny ha fatto i conti con la realtà: anche in Italia il governo deve prendere atto che esistono centinaia di migliaia di convivenze tra persone dello stesso sesso». Realtà che «hanno diritto a una regolamentazione». Anche la Chiesa deve fare la sua parte. «Noi come vescovi siamo chiamati ad accompagnare e assistere le persone nelle situazioni concrete in cui si svolge la loro vita piuttosto che a condannare ed escludere».

Insomma, una voce autorevole dell’episcopato italiano ritiene che la vicenda irlandese suoni come un campanello anche per Matteo Renzi. Da Pantelleria, dove è in prima linea nel soccorso dei «boat people», l’ex sottosegretario Cei unisce alla missione di pastore la formazione da giurista: «Non si può nascondere la testa sotto la sabbia e lasciare una realtà sociale diffusa senza riconoscimento giuridico». E «i gay non sono malati da curare e sia nell’azione del legislatore, sia nella pastorale della Chiesa al centro deve esserci sempre la persona». E ciò a maggior ragione perché «non tutti hanno una professione di fede e i non credenti hanno parimenti diritto a veder tutelato un loro diritto di dignità». Senso pratico maturato nella decennale esperienza al fianco di Camillo Ruini al vertice della Chiesa italiana. Né barricate né sacri strali. Politica e cura d’anime. Ovunque.

La valanga dei sì alle nozze gay si riverbera da Dublino a Roma. «Quello che è accaduto in un paese più cattolico dell’Italia come è l’Irlanda non può essere derubricato ad anomalia». Tanto più che nello spirito della misericordia di Francesco e della Chiesa che non chiude la porta, a un intervento legislativo da parte del governo non si contrapporrebbero «crociate né scontri Stato-Chiesa». L’attenzione nelle gerarchie è confermata anche dalla «sensibilità mostrata dal Sinodo dei vescovi sulla famiglia». Da parte sua, evidenzia, il Papa ha il merito di «aver portato il discorso sul piano della persona».

            Rimangono «dei limiti che la dottrina cattolica rileva sul tema del matrimonio e delle unioni», ma oggi «si può parlare di questi argomenti senza paure e senza considerare queste situazioni dei fenomeni da additare». Mogavero lo ha detto chiaro e tondo nel pieno del pieno del dibattito sinodale. «Bisogna superare i pregiudizi ecclesiastici che riducevano l’omosessualità a perversione e pericolo pubblico, il legislatore civile non può far finta che non esistano le unioni gay e le coppie di fatto». Quindi «non hanno alcun fondamento» le proteste dell’episcopato per le proposte di riconoscimento delle coppie gay: «Uno Stato laico non può fare scelte di tipo confessionale e la Chiesa non può interferire nella sfera delle leggi civili». Dublino «non è così lontana». Occorre «prenderne atto con realismo e dare una risposta». «Meglio il dialogo della finzione»

            Giacomo Galeazzi     La Stampa      25 maggio 2015

www.forumfamiglie.org/allegati/rassegna_34853.pdf

 

            Giubileo. tempo opportuno per un nuovo inizio: il caso dei divorziati e dei preti sposati

Papa Francesco ha raccontato come è nata la sua decisione di indire il Giubileo: «Ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia. È un cammino che inizia con una conversione spirituale; e dobbiamo fare questo cammino. Per questo ho deciso di indire un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Sarà un Anno Santo della Misericordia. Lo vogliamo vivere alla luce della parola del Signore: “Siate misericordiosi come il Padre” (cfr Luca 6,36). specialmente per i confessori! Tanta misericordia!».

Il pensiero del Papa è chiaro: la Chiesa e i suoi ministri sono chiamati a testimoniare la misericordia del Padre attraverso gesti di misericordia, a cominciare in particolare dalla Confessione. L’indizione del Giubileo nasce dalla volontà di celebrare una grande stagione di misericordia, di perdonanza.

Perdono sacramentale dei peccati e Giubileo hanno un’intima connessione e affinità, non solo sul piano storico ma ancor di più sul piano del significato: sono ambedue eventi vitali che realizzano e aprono un nuovo inizio. Le persone sono, infatti, sottratte al peso del loro passato, al fallimento “esistenziale” che ha segnato la loro storia per costruire un futuro conforme alla volontà del Signore. Anche questo Giubileo può essere allora una straordinaria occasione per offrire a molti la possibilità di riprendere il cammino pieno della comunione ecclesiale. Ci sono persone che hanno attraversato esperienze fallimentari, hanno sconvolto la loro e l’altrui vita, segnando il cammino di molte esistenze e generando un difficile rapporto con la Chiesa.

Penso ai divorziati risposati nel caso di prime unioni valide, penso ai preti che hanno lasciato il ministero per sposarsi e dei quali la Chiesa non ha mai negato l’autenticità della vocazione. Anche se si tratta di condizioni diverse, sono tuttavia ambedue segnate da profonde sofferenze inferte e subite, da un umano fallimento; in ambedue ci sono state promesse violate, impegni non osservati.

Tuttavia, nell’una e nell’altra condizione c’è spesso il bisogno profondo del perdono e della riconciliazione, così come il desiderio di riprendere una vita di piena comunione con la Chiesa, realizzandosi in essa secondo la propria originaria vocazione, coniugale da una parte, presbiterale dall’altra, pur nella nuova e irreversibile situazione.

L’Anno Santo della misericordia può essere il tempo opportuno di un nuovo inizio per questi fratelli. Perché dunque non disporre per essi percorsi e cammini di riconciliazione con Dio, con la Chiesa, con le persone da loro ferite — volontariamente o involontariamente —, consentendo di dare dignità ecclesiale alle nuove unioni e offrendo a quei presbiteri — che lo chiedano con semplicità e con il consenso dei loro cari — gli spazi ministeriali che sono già accessibili al clero sposato cattolico?

Basilio Petrà              “Jesus”                       maggio 2015

Professore ordinario di teologia morale presso la Facoltà teologica dell’Italia centrale

e Professore associato di morale ortodossa presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201505/150530petr%E0.pdf

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CHIESE CRISTIANE

            I cattolici e la benedizione delle coppie omosessuali.

Riguarda anche i cattolici la decisione della Chiesa protestante unita di Francia di rendere possibile la benedizione delle coppie omosessuali? A priori no, rispondono questi ultimi: per i protestanti, il matrimonio non è un sacramento, mentre per i cattolici lo è. Quindi non ci potrebbe essere l’equivalente di una benedizione all’interno della Chiesa cattolica, che non è toccata da questa decisione.

Non è una cosa così certa, tuttavia. Perché la sacramentalità o meno del matrimonio non esaurisce tutto: anche al di fuori del sacramento, la Chiesa protestante ha attribuito un valore sia religioso che sociale al legame coniugale. Questa decisione che riguarda il matrimonio omosessuale va quindi al di là del solo problema del sacramento. Constatando il fossato che continua ad aumentare tra i cattolici e i protestanti sulle questioni etiche, papa Francesco aveva del resto esplicitamente chiesto che il dialogo ecumenico si allargasse anche a questi argomenti. Non per puntare alla soppressione delle differenze, ma perché un dialogo sereno e a partire da queste differenze può dare nutrimento sia all’una che all’altra Chiesa.

In primo luogo, la decisione protestante pone ai cattolici il problema di come considerare la relazione omosessuale stessa. Infatti, se i protestanti riconoscono la possibilità di benedire una coppia di persone omosessuali, significa che ritengono che possa esserci nella relazione tra quelle due persone qualche cosa che ha a che fare con la grazia: dell’ordine della carità, del dono di sé nella coppia, ad esempio. Ora, la Chiesa cattolica, anche se non condanna più le persone omosessuali, resta contraria all’ “atto di omosessualità”, qualificato come “intrinsecamente disordinato” all’articolo 2357 del catechismo della Chiesa cattolica.

Separando così la persona dai suoi atti, rifiuta quindi di rivolgere uno sguardo positivo all’unione stessa. Nel settembre 2012, dopo le grandi manifestazioni contro il matrimonio per tutti, la commissione famiglia e società dei vescovi francesi si era appunto interrogata per sapere se ci si poteva ancora accontentare di ridurre la relazione omosessuale “ad un semplice impegno erotico”, senza vedervi il desiderio di due persone di “un impegno alla fedeltà, un affetto, un attaccamento sincero, attenzione all’altro, solidarietà”. Domanda finora lasciata senza risposta.

Inversamente, e sempre in un dialogo sincero, i cattolici devono poter chiedere ai protestanti che cosa significa lo status così dato alla coppia omosessuale. Anche in questo caso, sacramento o non sacramento, se i protestanti hanno deciso di riservare questa benedizione alle coppie omosessuali sposate civilmente, vuol dire che si inseriscono nella logica di riconoscimento di uno status sociale. Vuol dire allora che per loro quella coppia, allo stesso titolo di una coppia eterosessuale, apre ad una fecondità diversa, a una fecondità sociale? E con quali conseguenze?

Si intuiscono i problemi posti da queste coppie per la filiazione. Anche su questo il dialogo con i cattolici deve potersi fare. Biblicamente, anche se la fecondità non è l’unico scopo del matrimonio, essa fa parte della sua vocazione. La Chiesa protestante non può pronunciarsi oggi sulla benedizione delle coppie omosessuali senza chiarire la sua posizione sui figli. Si tratta di mantenere l’autenticità della riflessione comune condotta da cattolici e protestanti sulle questioni etiche come la procreazione medicalmente assistita o la gestazione per conto d’altri.

Isabelle de Gaulmyn “religion-gaulmyn.blogs.la-croix.com”, 21 maggio 2015

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201505/150528degaulmyn.pdf

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Milano 1 Istituto la Casa.      Minori:difficoltà e integrazione.

Emigrazione e mondializzazione fanno parte della vita quotidiana così come l’integrazione, che deve essere accompagnata al mantenimento e riconoscimento dell’identità delle origini nelle diverse culture.

            “Minori:difficoltà e integrazione” 12 giugno 2015, ore 20,30, salone del circolo Mondini, via Freiköfel, 1 – 20138 Milano.

Intervergono: Consiglio di Zona 4, Consorzio Farsi Prossimo, Consultorio Familiare Istituto La Casa, Cooperativa sociale “La Strada”, Associazione Nocetum, Associazione Cirqu’en Libertè.

  • Chairman: Dott.ssa Patrizia Frongia Psicologa Psicoterapeuta
  • Dott.ssa Silvia Carameli Coordinatrice Area Scuola e Lavoro Cooperativa La Strada: “Sostegno allo Studio e integrazione sul territorio: i doposcuola in zona 4”.
  • Dott.ssa Angela Sartorio Psicologa Coordinatrice del volontariato presso Associazione NOCETUM: “Luoghi di desiderio”. Con la testimonianza di Fikri Tallih, Presidente di Cirqu’en Libertè
  • Dott.ssa Elena Gagliardi Pedagogista Coordinatrice del Centro di Emergenza Sociale: “La pesante identità di un popolo leggero”.
  • Dott.ssa Maria Gabriela Sbiglio Psicologa Psicoterapeuta collaboratrice del Consultorio Familiare Istituto La Casa: “I tempi dell’integrazione nel processo migratorio”

https://it-it.facebook.com/pages/Istituto-La-Casa/332372776822514

Parma. Nell’Assemblea Divorzio breve? Domande & risposte“.

Nell’Assemblea dei soci dell’Associazione “Famigliapiù” (15 giugno 2015) che gestisce il consultorio familiare l’avv. Stefano Freschiinterviene per ”Divorzio breve? Domande & risposte“.

Venezia Mestre                      Punto d’ascolto nelle scuole medie

Si è concluso l’anno scolastico del punto d’ascolto delle scuole medie di Marghera a cura del consultorio familiare U.C.I.P.E.M. di Mestre (Venezia)

Spesso c’è confusione sull’utilità dello psicologo e ci si affida ad esso solo per operazioni di “manutenzione” o “emergenza”, tuttavia anche un’utilità legata alla “ricerca e sviluppo del sé” è consigliata.

“Andare dallo psicologo significa prendersi cura di sé e vivere bene e con gusto.”

28 maggio 2015                     www.facebook.com/simonepanizzutipsicologo

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COPPIA

Se l’altro non basta, Sos coppia.

L’unica via di uscita dalla crisi sembra essere quella del divorzio (meglio se breve) o della rottura del legame. C’è chi invece offre un aiuto, anche di tipo clinico, per provare a ripartire. L’esperienza degli psicologi Vittorio Cigoli e Davide Margola.

Crisi di coppia«Oggi le persone possono essere monogamiche più volte, esserlo cioè “in serie”, invece che essere monogamiche per sempre. Questo è il grande mutamento culturale degli ultimi trent’anni, insieme all’affermarsi del mito dominante di felicità». Sono questi i due fattori principali alla base della crisi della coppia secondo gli psicologi dell’ateneo Vittorio Cigoli e Davide Margola.

Cigoli, professore emerito di Psicologia clinica, e Margola, professore di Psicopatologia e responsabile del Servizio di Psicologia clinica per la coppia e la famiglia, sono tra i promotori della Summer School “Terapia di coppia. L’approccio integrativo: infedeltà, depressione, crisi genitoriale”, che dal 24 al 26 settembre affronterà la questione anche dal punto di vista dell’intervento clinico.

            «D’altra parte – spiegano i due psicologi – non ci sono scuole di specializzazione o percorsi post lauream dedicati all’incontro con la coppia e un numero sempre più elevato di coppie fa richiesta di aiuto e avanza una domanda di cura a servizi e professionisti. Con questa iniziativa vogliamo inoltre sensibilizzare quei colleghi per lo più abituati a incontrare le persone individualmente; persone che di sovente metteranno comunque a tema i loro legami di coppia».

            Un lavoro che prosegue anche dopo l’estate con il Servizio di Psicologia clinica per la coppia e la famiglia, gli eventi di formazione e supervisione organizzati nel corso dell’anno e il master in Clinica della relazione di coppia, attivo da tempo e arrivato alla sua quinta edizione. «Nei prossimi mesi verrà anche organizzata una Winter School, che presenterà il nostro modello relazionale-simbolico e le tecniche che utilizziamo», ci ricordano Cigoli e Margola, a cui abbiamo chiesto di spiegare i motivi della crisi della coppia.

            «Oggi c’è un grandissimo investimento nel mito profano della felicità e del diritto delle persone di inseguirla e cercarla costantemente nell’incontro con l’altro. Ovviamente, è così alta la tensione ideale (un fatto questo anche positivo e fondativo del legame, ma che non può essere esclusivo), che la possibilità per la coppia di reggere e “sfidare” il tempo è diventata sempre più difficile. Sparisce, insomma, o diventa marginale il sentimento dell’eternità del legame. I rapporti di coppia significativi sono in realtà “per sempre”, perché accompagnano le persone anche al di là della morte».

            Ma desiderare di essere felici non è un fatto positivo? «Non stiamo sostenendo che la domanda di felicità debba essere tolta dall’umano, perché sarebbe come operare un’amputazione quasi chirurgica dell’umano medesimo. Il problema è se la ricerca di felicità si realizza a discapito dell’altro (il coniuge), se viene esasperata in quanto unica opzione esistenziale e se, soprattutto, viene sganciata dal tema della verità (anche di quella parte di verità che può essere dolorosa). In questo caso, infatti, il rischio è che l’altro non sia molto diverso da una sorta di stupefacente in grado di garantire sollievo e una momentanea esaltazione, ma che non risolve il problema della persona in quanto “essere in relazione”, anzi lo aggrava».

            Il problema quindi è l’idealizzazione dell’altro come risposta alla propria esigenza di felicità? «Sì, e questo accade reciprocamente. Nel processo di idealizzazione la coppia pensa di farsi da sé, quasi non contassero i legami precedenti che risalgono ai rapporti di ciascuno con e nelle proprie famiglie d’origine. Lo stesso accade con i figli, che sono messi a loro volta in secondo piano, specie nelle situazioni di conflitto coniugale, o sui quali al contrario si trasferiscono le stesse dinamiche di idealizzazione di cui dicevamo. In effetti, non c’è mai stato un tempo come il nostro che ha visto così tante attenzioni e cure nei confronti dei figli, talora vissuti alla stregua di una proprietà personale. La psicologia ha fatto la sua parte; ha incentivato a dismisura il diritto del bambino e dell’adolescente e ha costruito un mondo di immagini e di ideali di crescita molto elevati. Così, capita che l’altro sia solo funzione di un bisogno o di un momento particolare di vita (anche nel caso della scelta di fare un figlio) e quando questo bisogno si sarà esaurito o quel momento sarà passato, l’altro perderà quasi inevitabilmente in attrattiva e in importanza».

            Quanto pesano i cambiamenti sociali e culturali sulla coppia? «Oggi sulla coppia coniugale-genitoriale si riversa l’enorme massa di pressioni ed esigenze di sviluppo dei suoi diversi componenti. Ci sono poi condizioni sociali, economiche e di realizzazione della persona a spiegare questi mutamenti, così come lo spostamento sempre più in avanti delle scelte generative. Dobbiamo però tenere presente che i cambiamenti sociali non corrispondono ai cambiamenti psichici, che sono più lenti, o che comunque hanno altre evoluzioni. Il cambiamento è stato così rapido che le norme culturali, anche in termini di ideali inconsci, non hanno avuto il tempo di adattarsi alla realtà. Di qui l’esistenza di molte contraddizioni».

            Quali sono queste contraddizioni? E quali le conseguenze? «Le vediamo guardando per esempio al tema della genitorialità. A un certo punto della vita di coppia ci si ferma per avere dei figli. Così, tutto quello che era stato marginalizzato nel legame, riaffiora mettendo la persona di fronte a un fatto: di essere lui stesso un “generato”. Non stupisce infatti che buona parte delle crisi di coppia avvenga proprio a cavallo della nascita del figlio. L’arrivo del “terzo” sulla scena, ricomponendo la questione generazionale, presentifica il rapporto con le origini e col futuro, prima ricacciati sullo sfondo, a favore del presente, del rispecchiamento reciproco e dell’unione fusionale. È evidente come la nascita del figlio possa attaccare la relazione diadica, specie se essa è vissuta come autoreferenziale. Non è neanche infrequente che proprio nei pressi dell’evento nascita si presenti sulla scena un “altro terzo” – pensiamo alle relazioni extraconiugali. Terzo che è chiamato a riparare il dolore per la perdita del sentimento di unicità di coppia che proprio il figlio viene paradossalmente a minacciare».

            Da dove si può ripartire? «Anzitutto occorre reintrodurre il senso del limite, che significa riconoscere il limite proprio e quello altrui. L’altro non è l’immagine di se stessi. L’altro è sempre un aspetto disconosciuto, ma anche decisivo per noi stessi e per la nostra crescita personale. In secondo luogo occorre apprezzare la scelta che è stata fatta e darle valore, rinnovandola. Per vivere insieme a lungo bisogna riconoscere i limiti dell’altro, ma riconoscere al contempo che l’altro ha valore in sé e per me e che il legame “merita”. Fino a che il legame resta al livello di un’unione che esclude la differenza (e con essa l’aspetto di limite), che vela la differenza (piuttosto che trattarla, insieme all’inevitabile perdita che nello scegliersi della coppia è comunque in atto), tutto quello che perturba l’immaginario di una “complementarietà perfetta” finirà per rompere il legame».

Davide Fantinati e Katia Vinzio                   cattolica news             28 maggio 2015

            www.cattolicanews.it/corsi-e-master-se-l-altro-non-basta-sos-coppia

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DALLA NAVATA

                                   Santissima Trinità – anno B –31 maggio 2015.

Deuteronomio 04.39 «Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro.»

Salmo             33.18 «Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme, su chi spera nel suo amore.»

Romani           08.16 «Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio.»

Matteo            28.20«Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.»

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FORUM DELLE ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Belletti e il referendum irlandese: «In Europa spira un vento individualista»

Francesco Belletti presidente del Forum delle Associazioni familiari commenta l’esito del referendum in Irlanda: «non mi pare essere una conquista progressista, ma piuttosto la vittoria di una cultura che rende la nostra società sempre più individualista….» e indica tre questioni che potrebbero esserci utili per affrontare il dibattito.

L’esito del Referendum irlandese è oggettivamente una notizia importante. La proposta di introdurre nella Costituzione il matrimonio tra persone dello stesso sesso è stata approvata da oltre il 60% dei votanti. Inoltre ha partecipato al voto il 60% degli elettori: un dato non altissimo, per la media dei votanti irlandesi, ma certamente non marginale. Così, dopo aver introdotto le unioni civili nel 2010, ora il riconoscimento delle unioni civili si traduce, dopo pochi anni, nel riconoscimento del matrimonio, con una modifica costituzionale. E l’interpretazione prevalente è che persino la cattolicissima Irlanda ormai riconosce che il same-sex marriage, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, è da riconoscere dal punto di vista giuridico. Non mancano, in effetti, anche esponenti del mondo cattolico – irlandese e non – che considerano l’esito del referendum un successo.

            I commenti si sono moltiplicati, anche nel nostro Paese, anche in considerazione del dibattito parlamentare oggi in corso, sulla regolazione delle unioni civili. Quindi, per alimentare questo dibattito, conviene forse inserire alcune brevi argomentazioni, che magari si pongono al di fuori della prevalente linea di entusiastica celebrazione del referendum irlandese come una vittoria a favore delle sorti progressive dell’umanità. Ci permettiamo qui di dissentire, offrendo qualche spunto di riflessione.

            In primo luogo è ingannevole non vedere questo gesto come l’esito di un distanziamento ormai consolidato da una radice identitaria ascrivibile al cattolicesimo. Come per l’Italia, anche per l’Irlanda, è illusorio dire che “è un Paese cattolico”. Tutte le indagini sulla religiosità e sulla fede evidenziano che i “praticanti” sono una minoranza, mentre prevale un pensiero dominante che tenta costantemente di ridurre la fede ad esperienza privata, senza legami con i valori sociali, con le scelte d vita pubblica, con i progetti di bene comune. Non si tratta di difendere o di proporre “leggi cattoliche”: si tratta di interrogarsi, piuttosto, sul modello di persona, di società e di libertà oggi prevalenti. Nel bene e nel male, la presenza cattolica nella società ha promosso un orizzonte di valori e regole sociali rigorosamente “laiche” ispirate alla solidarietà, alla dignità di ogni essere umano, all’inviolabilità di ogni persona, senza se se senza ma, anche se non produce, anche se non sembra avere “pieno potere su di sé”, e su questi valori sono state costruite legislazioni e progetti sociali che, nel dialogo con altre culture politiche e con altre antropologie, hanno contribuito a costruire il modello della società europea.

            Oggi invece in Europa spira un vento individualista, che promuove una cultura dei diritti dell’individuo che prevarica su qualunque altro orientamento: ne sono prova la legittimazione dell’eutanasia (potersi dare la morte per generiche “sofferenze psicologiche”, la possibilità della selezione eugenetica (una Danimarca “Down free” tra pochi anni, dove cioè le persone con Sindrome di Down non potranno più nascere, tramite pratiche abortive eugenetiche), ma anche la trasformazione del matrimonio e della famiglia in diritti dell’individuo. Così è oggi forte l’affermazione del diritto dell’adulto al figlio, anziché quella prevalente del diritto del bambino ai propri genitori, o più precisamente, “ad un padre e ad una madre” (questo è più controverso). In questo senso anche la resistenza in Europa verso l’accoglienza ai migranti può essere considerata frutto di questa cultura individualistica, priva di responsabilità solidaristiche.

            Ma quale cultura, quindi, ha vinto, in Irlanda? Quella dei diritti per tutti? Quella del rispetto per le persone? In parte sì, in parte no. Certamente è importante che le persone con orientamento omosessuale siano rispettate, non vengano perseguitate, siano cittadini a pieno titolo. Ed è giusto denunciare lo scandalo di alcuni Paesi, dove ancora l’orientamento sessuale è addirittura perseguito per legge (e le persone omosessuali sono incarcerate). Ma questo non riguarda l’identità del matrimonio e della famiglia, istituzione sociale da sempre orientata a valorizzare la differenza sessuale tra maschile e femminile e l’accoglienza e la cura delle nuove generazioni. Quindi, in questa prospettiva, occorre tutelare i diritti delle persone nelle loro relazioni affettive, ma questo non significa costruire un “matrimonio per tutti”. Per questo l’esito del referendum irlandese non mi pare essere una conquista progressista, ma piuttosto la vittoria di una cultura che rende la nostra società sempre più individualista. Anche nella vita privata e nello spazio familiare.

            In fondo è una nuova vittoria del paradigma mercantile, che vuole trasformare anche le relazioni familiari in relazioni di consumo, contrattualistiche, dove le persone fanno contratti, non alleanze. Questo sta avvenendo anche in Italia, dove si comincia a parlare di contratti prematrimoniali, dopo aver introdotto il divorzio breve o brevissimo. Anche questa scelta salutata come grande conquista di civiltà da quasi tutti i media, con pochi cauti osservatori (non solo cattolici) che hanno segnalato che un divorzio “modello Las Vegas”, immediato, è solo un ulteriore segnale di abbandono delle famiglie, che rischia di penalizzare la “parte debole” nella coppia in separazione. La libertà delle persone diventa quindi, anche nella regolazione giuridica, una libertà mercantile, anziché un progetto di vita che si fa legame solidaristico. In effetti, nel nostro Paese, in particolare, la famiglia continua a generare solidarietà, ma le nuove regole sembrano costantemente interessate a smantellarla.

            Sorprende, in questo senso, che questo valore di esasperato individualismo sia diventato una bandiera della sinistra estrema, di chi dovrebbe avere una prospettiva solidaristica societaria nel proprio Dna. Purtroppo pochi nel nostro Paese, tra chi si proclama di sinistra, hanno avuto lo stesso coraggio che hanno invece manifestato i laicissimi francesi, quando hanno denunciato la pratica dell’utero in affitto come un’ennesima violenza sul corpo delle donne povere, asservite ad un desiderio di genitorialità che diventa assolutizzato. E anche tanto femminismo non sa nemmeno più scegliere, tra una donna ridotta ad incubatrice e una coppia che “pretende un figlio ad ogni costo”. Temi drammatici, dove sono in gioco sofferenze grandi da parte di tutti gli attori. Ma come non vedere lo sfruttamento del corpo e dell’anima di alcuni ricchi su altri poveri?

            Eppure è molto istruttiva la natura “commerciale” della vertenza LGBT, soprattutto negli Stati Uniti. Come dice il sito www.queerblog.it, hanno scritto alla Corte Suprema statunitense 397 aziende, “realtà del calibro di Coca-Cola, Levi’s, Nike, Proctor & Gamble, United Airlines e molti altri ancora: tutti si sono detti sicuri che il matrimonio gay sia necessario non solo per una questione di principio ma anche per motivi economici”. Si tratta di una “segnalazione” alla Corte Suprema, che dice che, oltre alla questione dei diritti, c’è in gioco un forte interesse economico. Non si riesce a far business bene, negli Stati dove il matrimonio gay non è riconosciuto, quindi la Corte Suprema deve sbloccare la situazione. Del resto pochi giorni fa lo stesso Corriere della Sera ha dedicato un doppio paginone al valore economico del “turismo LGBT”. Una logica mercantile evidente, con l’entrata in campo di interessi economici potentissimi, che in tempi di globalizzazione, per quanto progressisti, difficilmente possono essere considerati “amici dei senza potere”. Quando si parla di questo tema, quindi, “business is business” diventa a una formula altrettanto efficace della più famosa “love is love”, del Presidente Obama. Entrambe vuote tautologie, ma ottimi slogan per “vendere un prodotto”. In questo caso, il prodotto è l’annullamento della famiglia come “luogo di resistenza dell’umano”, e la trasformazione anche delle relazioni familiari in bene di consumo. Non credo proprio che questo sia un valore “di progresso”!

            E che sia una questione di marketing lo conferma anche la spregiudicatezza con cui si utilizzano i numeri, i dati, a dimostrare quanto diffusa sia un determinato fenomeno. Quando si tratta di rivendicare diritti, i numeri sono esagerati: girano stime (che diventano verità, a forza di dirli) di percentuale di persone omosessuali tra il 5 e il 10% sul totale della popolazione, oppure – altro numero mitico – la stima di 100.000 figli che hanno genitori omosessuali. Quando però si è trattato di pensare a quanto costerebbe la reversibilità se si estendesse alle coppie gay, sono venute fuori stime limitatissime, con poche centinaia di casi, che quindi “costerebbero pochissimo”. I numeri usati come armi, per convincere o tranquillizzare, a corrente alternata, ma certo non per aiutare la libertà di valutazione delle persone.

            Per tornare al punto di partenza, il referendum irlandese, almeno esso ha consentito a noi italiani di capire almeno tre questioni, che potrebbero esserci utili nel dibattito politico e sociale dei prossimi mesi:

            La prima è che in primo luogo occorre grande chiarezza nel costruire regole sulle unioni civili, perché poi il passo è breve: diventano subito matrimonio. Rischia di essere “pubblicità ingannevole” chi dice che le unioni civili consentono di distinguere. Un conto è difendere i diritti delle persone nelle “libere unioni”, un conto è costruire un “simil-matrimonio”, che rapidamente diventerà totalmente parificato. Le nuove regole da definire dovranno considerare questo orizzonte.

            La seconda questione è il tema della genitorialità e dell’educazione: la differenza sessuale, “un papà e una mamma” restano indispensabili per un equilibrato sviluppo educativo. C’è invece chi sostiene che “la differenza sessuale non fa differenza”, e che due papà, o due mamme, o una padre e una madre, siano la stessa cosa. Basta la cura. Su questo occorre chiarezza. Davvero è realistico pensare che per un bambino non faccia differenza, il diritto di potersi riferire alla differenza sessuale dei propri genitori? Non facciamo regole ingannevoli, su questa cruciale questione. Così come non possiamo contrabbandare la doverosa lotta a ogni forma di emarginazione e di violenza contro le persone omosessuali con l’indottrinamento ideologico sulla destrutturazione dell’identità sessuale, troppo spesso somministrato, a partire dalla più tenera età, con percorsi nelle scuole che pretendono di legittimare la totale indifferenza sessuale, senza nemmeno coinvolgere i genitori nella condivisione dei valori, su un tema così delicato. La titolarità educativa dei genitori è una grande valore di democrazia e di libertà, e nessuno può permettersi di prevaricarla – tantomeno un nuovo potere politico, che pretenda di educare i bambini fin da pubblico ad orizzonti etici pubblici. Proprio la cultura politica ispirata dalla Dottrina sociale della Chiesa, su questo punto non potrà mai accettare uno Stato etico, che espropri i genitori del diritto-dovere dell’educazione.

            Terza, e ultima, ma non meno importante: non sempre quello che viene sbandierato come progresso è davvero al servizio della dignità della persona o di una società più giusta, più equa, più solidale, soprattutto quando si affrontano temi così vicini al cuore della persona, come la famiglia, l’educazione, l’identità sessuale. Occorre però una grande libertà di pensiero e di parola, per riuscire a sviluppare un libero dibattito senza pregiudizi su questioni così delicate. E’ possibile questo, oggi, su questo tema, nel nostro Paese?

Famiglia Cristiana                25 maggio 2015

www.famigliacristiana.it/articolo/belletti-e-il-referendum-irlandese-in-europa-spira-un-vento-individualista.aspx

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                                                FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Papa: matrimonio è alleanza d’amore uomo-donna, no a cultura “usa e getta”

Il matrimonio è “un’alleanza d’amore tra l’uomo e la donna” che “non si improvvisa”. E’ uno dei passaggi della catechesi di Papa Francesco all’Udienza generale in Piazza San Pietro, gremita di fedeli venuti da tutto il mondo. Il Pontefice si è incentrato sul valore del fidanzamento che, ha detto, è “quasi un miracolo della libertà e del cuore”. Francesco ha dunque messo in guardia dalla cultura dell’usa e getta che mina le basi del matrimonio come patto per tutta la vita.

Papa Francesco prosegue il suo ciclo di catechesi sulla famiglia, ma questa volta sceglie di concentrarsi sulla premessa del matrimonio: il fidanzamento. Il Pontefice rivolgendosi in particolare ai tanti giovani presenti in Piazza San Pietro sottolinea che il fidanzamento ha a che vedere con la fiducia e la libertà.

            Matrimonio è alleanza uomo-donna che non s’improvvisa. Il fidanzamento, rileva infatti, è un tempo, meglio “un cammino” nel quale un uomo e una donna sono “chiamati a fare un bel lavoro sull’amore, un lavoro partecipe e condiviso”. E’ un lavoro di “apprendimento” che, ribadisce, non va sottovalutato:

            “L’alleanza d’amore tra l’uomo e la donna, alleanza per la vita, non si improvvisa, non si fa da un giorno all’altro. Non c’è il matrimonio express: bisogna lavorare sull’amore, bisogna camminare. L’alleanza dell’amore dell’uomo e della donna si impara e si affina. Mi permetto di dire che è un’alleanza artigianale. Fare di due vite una vita sola, è anche quasi un miracolo, un miracolo della libertà e del cuore, affidato alla fede”.

            No alla cultura consumista dell’usa e getta. “Dovremo forse impegnarci di più su questo punto – aggiunge – perché le nostre ‘coordinate sentimentali’ sono andate un po’ in confusione”:  “Chi pretende di volere tutto e subito, poi cede anche su tutto – e subito – alla prima difficoltà (o alla prima occasione). Non c’è speranza per la fiducia e la (dice felicità) fedeltà del dono di sé, se prevale l’abitudine a consumare l’amore come una specie di ‘integratore’ del benessere psico-fisico. L’amore non è questo!” Parole che ribadisce anche salutando i pellegrini di lingua spagnola quando chiede di contrastare “la cultura consumista dell’usa e getta, del tutto e subito, imperante tante volte nella nostra società”. Una cultura, è il suo rammarico, che “tende a convertire l’amore in un oggetto di consumo che non può costituire il fondamento di un patto vitale”.

            Leggere i “Promessi Sposi”, capolavoro sul fidanzamento. Francesco, parlando a braccio, ricorda dunque che anche Dio quando parla dell’alleanza con il suo Popolo lo fa a volte ricorrendo all’immagine del fidanzamento, come avviene nel Libro di Osea. Quindi, il Papa invita gli italiani, specie i giovani, a leggere i “Promessi Sposi” che definisce un “capolavoro sul fidanzamento”: “È necessario che i ragazzi lo conoscano, che lo leggano; un capolavoro dove si racconta la storia dei fidanzati che hanno subito tanto dolore, hanno fatto una strada di tante difficoltà fino ad arrivare alla fine, al Matrimonio. Ma non lasciate da parte questo capolavoro sul fidanzamento che la letteratura italiana ha proprio offerto a voi. Andate avanti, leggetelo e vedrete la bellezza e anche la sofferenza, ma la fedeltà dei fidanzati”.

            Importante distinguere l’essere fidanzati dall’essere sposi. La Chiesa, prosegue, custodisce la “distinzione tra l’essere fidanzati e l’essere sposi” e sottolinea che “i simboli forti del corpo detengono le chiavi dell’anima” e “non si possono dunque trattare i legami della carne con leggerezza, senza aprire qualche durevole ferita nello spirito”: “Certo, la cultura e la società odierna sono diventate piuttosto indifferenti alla delicatezza e alla serietà di questo passaggio. E d’altra parte, non si può dire che siano generose con i giovani che sono seriamente intenzionati a metter su casa e mettere al mondo figli! Anzi, spesso pongono mille ostacoli, mentali e pratici”.

            Corsi prematrimoniali, occasione per conoscersi in profondità, Il Papa volge dunque il pensiero ai corsi prematrimoniali che, ammette, vengono spesso vissuti da tante coppie come un peso, “controvoglia”. Eppure, prosegue, molti dopo questa esperienza sono contenti e grati perché in quell’occasione hanno trovato l’opportunità di “riflettere sulla propria esperienza in termini non banali”: “Sì, molte coppie stanno insieme tanto tempo, magari anche nell’intimità, a volte convivendo, ma non si conoscono veramente. Sembra strano, ma l’esperienza dimostra che è così. Per questo va rivalutato il fidanzamento come tempo di conoscenza reciproca e di condivisione di un progetto. Il cammino di preparazione al matrimonio va impostato in questa prospettiva, avvalendosi anche della testimonianza semplice ma intensa di coniugi cristiani”.

            Il fidanzamento apre all’orizzonte della famiglia. Al tempo stesso, Francesco esorta i fidanzati a riscoprire insieme la Bibbia, la preghiera, i Sacramenti. Infine, l’invito di cuore ai futuri sposi a vivere bene il tempo che precede il matrimonio: “Il tempo del fidanzamento può diventare davvero un tempo di iniziazione, a cosa? Alla sorpresa! Alla sorpresa dei doni spirituali con i quali il Signore, tramite la Chiesa, arricchisce l’orizzonte della nuova famiglia che si dispone a vivere nella sua benedizione”.

Alessandro Gisotti Bollettino radiogiornale radio vaticana  27 maggio 2015

http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

testo ufficiale           http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150527_udienza-generale.html

 

Papa: difendere sempre la vita, del concepito come dell’immigrato.

            Il grado di progresso di una civiltà si misura dalla capacità di custodire la vita, quella del concepito, come quella dell’anziano, quella dell’immigrato come quella dell’affamato o del lavoratore: è quanto ha detto Papa Francesco ai partecipanti all’incontro promosso da “Scienza e Vita”, in occasione del decennale dell’associazione.

            Scienza sia sempre un sapere a servizio della vita. In una società “segnata dalla logica negativa dello scarto” – afferma il Papa – “l’amore di Cristo ci spinge a farci servitori dei piccoli e degli anziani, di ogni uomo e ogni donna, per i quali va riconosciuto e tutelato il diritto primordiale alla vita”:

            “E’ la vita nella sua insondabile profondità che origina e accompagna tutto il cammino scientifico; è il miracolo della vita che sempre mette in crisi qualche forma di presunzione scientifica, restituendo il primato alla meraviglia e alla bellezza. Così Cristo, che è la luce dell’uomo e del mondo, illumina la strada perché la scienza sia sempre un sapere a servizio della vita. Quando viene meno questa luce, quando il sapere dimentica il contatto con la vita, diventa sterile”.

            E’ attentato alla vita l’aborto come lasciar morire gli immigrati. “La scienza sia veramente al servizio dell’uomo e non l’uomo al servizio della scienza” è dunque l’invito di Papa Francesco e ribadisce: “una società giusta riconosce come primario il diritto alla vita dal concepimento fino al suo termine naturale”. “Il grado di progresso di una civiltà – ha aggiunto – si misura proprio dalla capacità di custodire la vita, soprattutto nelle sue fasi più fragili, più che dalla diffusione di strumenti tecnologici”. Quindi, elenca “gli attentati alla sacralità della vita umana”:

            “È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente”.

            Dialogo con i non credenti. Papa Francesco esorta “a rilanciare una rinnovata cultura della vita, che sappia instaurare reti di fiducia e reciprocità e sappia offrire orizzonti di pace, di misericordia e di comunione”:

“Non abbiate paura di intraprendere un dialogo fecondo con tutto il mondo della scienza, anche con coloro che, pur non professandosi credenti, restano aperti al mistero della vita umana”.

Sergio Centofanti: Bollettino radiogiornale radio vaticana 30 maggio 2015

            http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

testo ufficiale              http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/may/documents/papa-francesco_20150530_associazione-scienza-vita.html

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GOVERNO

Ministero della Salute. Piano nazionale per la fertilità.

In Italia 1 coppia su 5 ha difficoltà a procreare in maniera naturale. Mentre 20 anni fa la percentuale era circa la metà. Le cause di questa difficoltà risiedono per il 40% nella componente femminile, per l’altro 40% in quella maschile e per un 20% hanno una origine mista. Negli ultimi 50 anni il numero di spermatozoi nel maschio si è ridotto della metà, e dagli anni ’80 in poi l’età media al concepimento è aumentata di quasi 10 anni per entrambi i sessi. E ‘ la fotografia scattata dagli esperti per la presentazione a Roma del Piano nazionale per la fertilità ‘Difendi la tua fertilità prepara una culla nel tuo futuro’, elaborato dal Tavolo consultivo in materia di tutela e conoscenza della fertilità e prevenzione delle cause di infertilità, presieduto da Eleonora Porcu.

            L’obiettivo del Piano, presentato dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin, è collocare la fertilità al centro delle politiche del Paese. Per farlo il ministero della Salute punta sull’informazione ai cittadini, sulla formazione di insegnanti, medici di famiglia e operatori sanitari, sul rilancio dei consultori, sulla creazione di centri per l’oncofertilità (in grado di tutelare la potenzialità riproduttiva nei pazienti oncologici). Infine, è prevista l’istituzione della Giornata nazionale di informazione e formazione sulla fertilità (o ‘Fertility Day’) e della Scuola di specializzazione in medicina della fertilità.

            Il progetto di educazione e didattica prevede corsi di formazione sulla fisiologia e la patologia riproduttiva, con strumenti informativi e mediatici indirizzati alla popolazione e ai medici di famiglia. Per questi ultimi il compito più difficile: sfatare i falsi miti e le convinzioni spesso errate sulle nozioni basilari della funzione riproduttiva, ma anche sulle tecniche di riproduzione medicalmente assistita (Pma). Saranno coinvolti anche i media, dovranno dare spazio ai temi della fertilità con conferenze e trasmissioni radio e tv. Infine un ruolo importante che per le Asl e le università: dovranno essere attive ed organizzare incontri che puntino ad un’informazione scientifica qualificata.

            Secondo gli specialisti che hanno redatto il Piano fertilità occorre prevedere anche corsi ad hoc nell’ambito del sistema nazionale di educazione continua in medicina (Ecm) sulle tematiche connesse alla fertilità anche per i pediatri di libera scelta e per gli oncologi (le terapie anti neoplastiche possono danneggiare la capacità riproduttiva).

            Il Piano nazionale per la fertilità propone anche, in collaborazione con le Regioni e le Asl, una valorizzazione e il potenziamento dei consultori, “come primo anello e filtro nella catena assistenziale delle patologie riproduttive. Il consultorio dovrà essere la prima tappa del percorso sanitario – sottolinea il Piano – dedicato al paziente infertile, in stretto dialogo col successivo livello terapeutico ospedaliero. La sequenza assistenziale efficace dovrebbe iniziare dal medico di medicina generale e dovrebbe proseguire con l’invio dei pazienti al consultorio dove gli specialisti eseguiranno una accurata anamnesi e prescriveranno le indagini più opportune per raggiungere una diagnosi e delineare un’ipotesi terapeutica appropriata che potrà eventualmente essere messa in atto nella struttura ospedaliera”.

            Uno spazio importante all’interno Piano è riservato all’oncofertilità, ovvero la tutela della potenzialità riproduttiva nei pazienti oncologici. Gli esperti suggeriscono di collocare Centro di oncofertilità all’interno di un numero limitato geograficamente equilibrato di strutture di Medicina della Fertilità. Il Centro deve possedere tutte le professionalità ed offrire al suo interno tutte le alternative terapeutiche per preservare la fertilità e per ripristinare la fertilità dopo la remissione della patologia di base. “non un centro di fecondazione assistita o un centro oncologico o una banca del seme – sottolineano gli esperti – bensì un nuovo soggetto con tutti questi contenuti e la capacità di dialogo terapeutico interno”.

            Infine, il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) con il ministero della Salute potrebbero prevedere – suggerisce il Piano – l’istituzione di una Scuola di specializzazione in Medicina della Fertilità. Queste strutture universitarie “potrebbero fornire il giusto supporto anche per la realizzazione dei corsi di formazione e aggiornamento professionale – concludono gli esperti – per i medici di medici generale e pediatri di libera scelta in accordo co le relative Federazioni e i vari specialisti del settore (ginecologi, oncologi, endocrinologi e ostetriche).

            “Secondo gli esperti l’attuale denatalità (1,39 figli per donna nel 2013, colloca il nostro Paese tra gli Stati Ue con i più bassi livelli) mette a rischio il welfare aumentando un progressivo invecchiamento della popolazione. Così la salute riproduttiva va protetta fin dai primi anni: “Dall’adolescenza – sottolinea il Piano – la funzione riproduttiva va difesa evitando stili di vita ed abitudini voluttuarie scorrette (come ad esempio il fumo di sigaretta e l’alcool) e particolarmente dannose per gli spermatozoi e per gli ovociti. E’ essenziale inoltre evitare fin dai primi anni stili di vita sbagliati che promuovo l’obesità, la magrezza eccessiva e la sedentarietà. Le giovani devono sapere che la ‘finestra fertile’ femminile è limitata e vulnerabile e che la qualità degli ovociti si riduce al crescere dell’età particolarmente dopo i 35 anni quando concepire un bambino diventa progressivamente sempre più difficile”.

            “Nell’uomo – spiega Andrea Lenzi, nuovo presidente della Società italiana di endocrinologia, tra i relatori della presentazione del Piano – nei primi 10 anni di vita le patologie maschili che più danneggiano la fertilità sono il criptorchidismo (ritenzione testicolare), le orchiti e la torsione del funicolo spermatico. Mentre nel periodo puberale (12-14 anni) la fertilità è messa a repentaglio da problemi ormonali e dal varicocele, quest’ultimo può proseguire a danneggiare la fertilità per tutta la vita. Dai 14 ai 20 anni i pericoli per la fertilità dei maschi sono le infezioni genitali e gli stili di vita alterati”.

            Anche la donna non è immune. “Tra i 10 e i 15 anni le patologie femminili che più danneggiano la fertilità sono i disturbi del comportamento alimentare e le infezioni genitali, oltre alle alterazioni ormonali – ricorda Lenzi – Quando si cresce, tra i 20 e i 40 anni, le malattie che mettono a rischio la fertilità sono i disturbi ovulatori, l’ovaio policistico, le infezioni genitali, i fibromi”. Ad oggi non è prevista nessuna valutazione andrologica nei giovani, “sta quindi a ciascuno di noi – conclude lo specialisti – prendersi cura della propria salute o di quella dei propri figli sottoponendoli ad una visita o anche facendo un controllo andrologico quando raggiungono la maturità”.

            Adnkronos salute       27 maggio 2015

www.adnkronos.com/salute/sanita/2015/05/27/difficolta-procreare-per-coppia-via-piano-fertilita_FIwGGGxLrcwDJY7VQZLeRP.html

www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=2083

 

Nel Piano Nazionale per la Fertilità: i consultori familiari

“Difendi la tua fertilità, prepara una culla nel tuo futuro” (pagg. 137).                     estratto   passim

Per favorire la natalità, se da un lato è imprescindibile lo sviluppo di politiche intersettoriali e interistituzionali a sostegno della Genitorialità, dall’altro sono indispensabili politiche sanitarie ed educative per la tutela della fertilità che siano in grado di migliorare le conoscenze dei cittadini al fine di promuoverne la consapevolezza e favorire il cambiamento.

Lo scopo del presente Piano è collocare la Fertilità al centro delle politiche sanitarie ed educative del nostro Paese. A tal fine il Piano si prefigge di:

  1. 1)Informare i cittadini sul ruolo della Fertilità nella loro vita, sulla sua durata e su come proteggerla evitando comportamenti che possono metterla a rischio
  2. 2)Fornire assistenza sanitaria qualificata per difendere la Fertilità, promuovere  interventi di prevenzione e diagnosi precoce al fine di curare le malattie dell’apparato riproduttivo e intervenire, ove possibile, per ripristinare la fertilità naturale
  3. Sviluppare nelle persone la conoscenza delle caratteristiche funzionali della loro fertilità per poterla usare scegliendo di avere un figlio consapevolmente ed autonomamente.
  4. Operare un capovolgimento della mentalità corrente volto a rileggere la Fertilità come bisogno essenziale non solo della coppia ma dell’intera società, promuovendo un rinnovamento culturale in tema di procreazione.
  5. Celebrare questa rivoluzione culturale istituendo il “Fertility Day”, Giornata Nazionale di informazione e formazione sulla Fertilità, dove la parola d’ordine sarà scoprire il “Prestigio della Maternità. (…)

I consultori familiari (pag.4, 11, 12)

La famiglia (pag. 11) Il ruolo della famiglia è fondamentale ed insostituibile nell’educazione sessuale in tutte le diverse fasi della vita dei giovani, fasi diverse a cui corrisponderà un coinvolgimento e peso differente dei genitori stessi i quali, consapevoli delle domande, dei bisogni e del grado di maturità dei propri figli, devono poter contare sul supporto delle istituzioni –scuola, strutture sanitarie, consultori, per rispondere alle esigenze dei ragazzi. E’ importante che in famiglia si individuino professionisti di fiducia a cui indirizzare i giovani, perché possano avere un approccio positivo, consapevole e responsabile riguardo la

a gestione della propria salute anche riproduttiva.

            I consultori familiari (pag. 12). I consultori familiari, istituiti con Legge 29 luglio 1975, n. 405, [art. 1 integrato da art. 3 della L. 19 febbraio 2004, n. 40].sono strutture organizzative dei Distretti. In Italia ne abbiamo circa 2.000, uno ogni 25.000 abitanti, e si possono considerare come servizi socio-sanitari integrati di base, con competenze multidisciplinari, determinanti per la promozione e la prevenzione nell’ambito della salute della donna e dell’età evolutiva. Tra i loro compiti i consultori familiari hanno lo scopo di assicurare:

  • l’assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità ed alla paternità responsabile e per i problemi della coppia e della famiglia, anche in ordine alla problematica minorile;
  • l’informazione e l’assistenza  riguardo ai problemi della sterilità e della infertilità umana, nonché alle tecniche di procreazione medicalmente assistita;
  • l’informazione sulle procedure per l’adozione e l’affidamento familiare.

www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1975-07-29;405!vig=

Il ruolo del Consultorio, in particolare come previsto dal  Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI) del 2000, e così ribadito con l’Accordo Stato Regioni del 16.12.2010, risulta strategico nel perseguimento di una più diretta politica in favore delle persone che tenga  conto dei profondi mutamenti nella realtà socioculturale occorsi negli ultimi decenni.

Attualmente la caratteristica fondamentale dei Consultori familiari, oltre alla ramificazione territoriale che li rende dei veri e propri servizi di prossimità, consiste nell’approccio multidisciplinare che si esprime con la compresenza di diverse figure professionali: ginecologo/a, ostetrica/o, psicologo/a, assistente sociale, pediatra. E’ questo approccio che conferisce al Consultorio la sua peculiarità di visione globale della salute della donna e della coppia, e lo distingue da un semplice ambulatorio.

Il Consultorio familiare rappresenta la porta di accesso principale alla gravidanza. Appare chiaro il ruolo dei Consultori quali perno di un processo di umanizzazione del percorso nascita, e in generale della gestione della salute riproduttiva di uomini e donne, valorizzando la loro diffusione capillare e la loro possibilità di muoversi verso le persone, adottando un approccio quanto più possibile individualizzato e mirato alla globalità delle necessità e non al singolo organo o alla singola patologia.

Nonostante questa responsabilità che ai Consultori viene attribuita e che, nei fatti, non è sostituita da alcuna ipotesi alternativa e sebbene i Consultori siano la rete di servizi più estesa e ramificata sul territorio nazionale, dopo quella dei Comuni, in Italia, anche in ragione della estrema diversità di regolamentazione e di impostazione delle politiche sanitarie delle singole Regioni, quello dei Consultori è senza dubbio uno degli ambiti più critici dal punto di vista degli investimenti in strutture e risorse umane.

            Il Piano Nazionale per la Fertilità propone, in collaborazione con le Regioni e le Asl, una valorizzazione dei Consultori come primo anello e filtro nella catena assistenziale delle patologie riproduttive. Il Consultorio dovrà essere la prima tappa del percorso sanitario dedicato al paziente infertile, in stretto dialogo col successivo livello terapeutico ospedaliero. La sequenza assistenziale efficace dovrebbe iniziare dal Medico di Medicina Generale, oltre che dal pediatra di libera  scelta per l’adolescente, e dovrebbe proseguire con l’invio dei pazienti al Consultorio dove gli Specialisti eseguiranno una accurata anamnesi e prescriveranno le indagini più opportune per raggiungere una diagnosi e delineare un’ipotesi terapeutica appropriata che potrà eventualmente essere messa in atto nella struttura ospedaliera. (…)

Contributo del Tavolo consultivo in materia di tutela e conoscenza della fertilità e prevenzione delle cause di infertilità. (pag. 15)

            27 maggio 2015                     www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2367_allegato.pdf

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NEGOZAZIONE ASSISTITA

Pm non può autorizzare l’accordo a tre sulle condizioni.

Tribunale di Torino, settima Sezione, decreto 20 aprile 2015

            Il P.M. non può concedere l’autorizzazione nel caso in cui l’accordo di modifica delle condizioni di separazione o divorzio sia stato sottoscritto anche dal figlio maggiorenne, poiché la legge n. 162/2014 non prevede la possibilità di accordi trilaterali. Il Presidente del Tribunale in sede di comparizione dei coniugi, può invitare le parti a modificare l’accordo escludendo la partecipazione del figlio, ed in caso di modifica conforme, può autorizzare direttamente l’accordo.

Arriva un’altra pronuncia, la seconda da Torino, sul passaggio dell’accordo di negoziazione assistita al Presidente del Tribunale competente a seguito della negata autorizzazione del P.M. Il diniego della Procura ha sollevato alcune problematiche, sia di tipo procedurale, sia di merito, poiché non è chiaro quale sia “lo spazio di azione” del Presidente del Tribunale al quale è trasmesso l’accordo non autorizzato da parte del P.M.

E’ possibile in sede di udienza presidenziale compiere un riesame dell’accordo e discostarsi dal giudizio del P.M.? Il caso del Tribunale di Torino riguardava un accordo per la modifica delle condizioni di divorzio contenente la rinuncia all’assegno di mantenimento da parte della moglie e la riduzione del mantenimento della figlia maggiorenne ma economicamente non autosufficiente.

L’accordo, nel dubbio, era stato sottoscritto anche dalla figlia maggiorenne, in quanto la legge le attribuisce il diritto di agire in via autonoma per il riconoscimento del mantenimento anche al figlio. Tuttavia la Legge in materia di negoziazione assistita, si riferisce solo ed esclusivamente ai coniugi o agli ex coniugi, in caso di modifica delle condizioni di separazione e divorzio, nonostante la giurisprudenza abbia riconosciuto al figlio maggiorenne, portatore di un diritto autonomo, la possibilità di intervenire nel processo di separazione e divorzio con domande autonome o adesive rispetto alle richieste di uno dei genitori (Cass. Civ. 19 marzo 2012, n. 4296).

Secondo la Procura, non poteva essere autorizzato un “accordo trilaterale” perché formalmente non previsto dalla legge. All’udienza presidenziale le parti erano comparse con i rispettivi legali e avevano chiarito la posizione della figlia, la quale aveva manifestato piena adesione a quanto concordato tra i genitori in relazione al mantenimento. Il Presidente del tribunale torinese, pur concordando con il parere del P.M. di escludere la partecipazione diretta del figlio maggiorenne all’accordo, ha tuttavia ritenuto legittima l’allegazione all’accordo del consenso preventivo della figlia, allo scopo di dare maggior stabilità agli accordi stessi e prevenire una possibile impugnazione o l’instaurazione di un giudizio contenzioso da parte del figlio.

Il provvedimento si conforma alla precedente interpretazione dello stesso Ufficio e del provvedimento del Tribunale di Termini Imerese del 24 marzo 2015, secondo cui il Presidente, invita le parti ad adeguarsi ai rilievi del Pubblico Ministero, e nel caso di disponibilità in tal senso, autorizza egli stesso l’accordo. Inoltre, nel caso di specie, il dissenso del P.M. non riguardava le condizioni relative ai rapporti economici tra familiari, ma la forma dell’accordo di negoziazione assistita. Pertanto, avendo dichiarato la figlia di essere disposta ad abbandonare la procedura e di concordare con il nuovo assetto delineato dai genitori, l’accordo tra gli ex coniugi è stato autorizzato.

Questa interpretazione – si legge nel provvedimento – è in linea con i principi generali che si applicano ai rapporti tra parte pubblica e organo giudicante, e pertanto si ritiene che il Presidente del tribunale, davanti al quale si apre un vero e proprio “incidente giurisdizionale”, abbia il potere di effettuare un riesame delle conclusioni cui il P.M. è pervenuto con il proprio diniego. Il Giudice può ritenere non fondato o non condivisibile il diniego in seguito ad una più attenta valutazione che emerge dalla comparizione delle parti nel corso dell’udienza.

Anche il Presidente del tribunale di Termini Imerese ha ritenuto ammissibile che i coniugi, in sede di comparizione davanti al presidente del Tribunale, integrino o modifichino le condizioni dell’accordo, di propria iniziativa o su indicazioni del giudice, per ovviare alle carenze rilevate dal P.M.

Il parere del P.M. sarebbe pertanto obbligatorio ma non vincolante, poiché il Presidente del tribunale, rivalutate le condizioni, le ragioni addotte a sostegno dell’accordo e la documentazione allegata, può ravvisare, invece, l’adeguatezza dell’accordo e autorizzarlo.

Solo nel caso in cui i coniugi non si conformino a quanto rilevato dal giudice, sarà emesso un provvedimento di mancata autorizzazione che costringerà le parti ad adire le normali vie giudiziarie senza previsione di un passaggio automatico alla procedura ad hoc, ma con il deposito di un apposito ricorso al giudice competente per materia.

Giuseppina Vassallo              Altalex                        27 maggio 2015.

www.altalex.com/documents/news/2015/04/24/negoziazione-assistita-in-materia-di-famiglia?utm_source=nl_altalex&C

decreto

http://news.ilcaso.it/libreriaFile/Trib%20Torino%2015%20Negoziazione%20Assistita%20figlio%20maggiorenne.pdf

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PROCREAZIONE ARTIFICIALE

Infertilità di coppia: come adottare un embrione.

L’embrioadozione e l’embriodonazione ridanno la speranza di avere un figlio a tante coppie sterili.

Incontro Sonia e Massimo nel loro appartamento a pochi passi dal Vaticano. Mi accolgono insieme ai loro due gemellini, nati 4 anni fa. In sottofondo una canzone per bambini e intorno a me giochi sparsi ovunque che fanno assomigliare il salotto ad una tavolozza di colori di un pittore. E mentre i bimbi disegnano, Sonia e Massimo si raccontano. La loro è una bellissima storia d’amore, nata sui banchi dell’Università, lacerata da un diagnosi di infertilità che ha riguardato entrambi. Poche o nulle le speranze per questa coppia che decide, dopo un po’ di tempo, di intraprendere il percorso di adozione. Ma i costi proibitivi che non potevano sostenere e le lunghissime liste di attesa li scoraggiano al punto tale che decidono di interrompere questa strada. Un giorno, quando il sogno di poter accogliere e amare un bambino sembrava ormai lontano, Sonia scopre su internet che in alcune cliniche spagnole è consentito adottare embrioni soprannumerari, lasciati da altre coppie o presenti, comunque, nelle banche delle stesse cliniche. Seguono due viaggi a Barcellona e, al primo tentativo, Sonia rimane incinta di Samuele e Gabriele. Samuele e Gabriele sono due “snowflake babies” ossia due “bambini fiocchi di neve” che sarebbero rimasti “congelati” per sempre se la loro mamma e il loro papà non avessero compiuto un gesto di amore così grande. Prima di congedarmi da loro, Samuele mi prende per mano, mi porta sul terrazzo e mi indica la luna che sembra accarezzare la Cupola di S. Pietro, e con gli occhi colmi di luce, mi sussurra: “Un giorno salirò fin lassù!”.

            L’adozione di embrione è un programma ben conosciuto negli Usa ed è sostenuto da molte associazioni cattoliche e dall’ex Presidente George Bush. La prima snowflake baby a nascere è stata Hannah Strege nel 1998, mentre, nel 2010, è nato un bambino sano che era stato crioconservato per ben 20 anni. In Europa, nel 2004, è stato l’Istituto Marques di Barcellona ad avviare il “Programma di Adozione di Embrioni”. In Italia, non esiste una legislazione che dichiara adottabili gli embrioni, per cui molte coppie si recano all’estero.

            Per capire come funzionano questi programmi fuori dal nostro Paese ho contattato la Crossbees, società “neutrale”, che si occupa di gestione della qualità e di coordinazione di trattamenti per diverse cliniche europee. “Il nostro ruolo è importante perché garantiamo obiettività e non siamo legati ad una clinica e quindi, non dobbiamo difendere nessuno, anzi possiamo essere critici.” mi spiega la dr.ssa Anastasia Paraskou, Managing Director della società che risponde, in modo preciso, ad ogni mia domanda.

            Quando si parla di adozione di un embrione a cosa ci si riferisce?

            Dipende dal Paese e dalla clinica, ma nella maggior parte di casi, si tratta di embrioni crioconservati che sono senza destinazione.

            Da dove derivano questi embrioni?

            Alla base di tutto ci sono delle direttive europee che regolamentano il settore come la EUTCD (European Union Tissue and Cells Directive), che regola gli standard in Europa, la direttiva 2004/23/EC e la direttiva 2006/86/C che stabiliscono gli standard per la donazione, il procurement, gli esami, il processo, la preservazione, la conservazione e la distribuzione del materiale genetico. Ogni Paese ha dovuto integrare le direttive europee nella propria legislazione e agire, in base a ciò. Esistono, pertanto, Paesi in cui è possibile adottare sia embrioni congelati provenienti da altre coppie pazienti (che hanno fatto cicli di riproduzione assistita, che hanno avuto dei figli e che decidono di donare gli embrioni soprannumerari) e sia embrioni congelati provenienti da donatori. In altri Paesi, invece, è possibile adottare solo embrioni congelati di donatori. Si parla di embriodonazione quando si tratta di embrioni da donatori, mentre di embrioadozione per gli embrioni provenienti da altre coppie.

            In alcuni Stati, per donare i propri embrioni, le coppie pazienti non devono superare una certa età. È pensabile, quindi, che il maggior numero embrioni da adottare provengano da embrioni di donatori. Da dove derivano a loro volta questi embrioni?

            Il discorso dell’età è corretto, ma la legislazione in tanti Paesi presenta anche un “vuoto” che permette alle cliniche di usare anche embrioni “non utilizzati” da coppie pazienti. Anche in questo caso, tutto dipende dalla legislazione del Paese.

            Gli embrioni di donatori derivano da donatori. Per esempio se una coppia fa un ciclo di embriodonazione (che è un’eterologa totale perché si riceve sia l’ovocita che lo sperma da donatori), riceverà 2 embrioni. Se la donna rimane incinta, probabilmente non vorrà usare il resto degli embrioni prodotti.

            Non sarebbe il caso di favorire l’adozione degli embrioni di donatori perché in fondo non c’è nessuno che può scegliere per loro?

            Se parliamo di etica, nessuna clinica ha interesse a “produrre” embrioni senza motivo perché non sono caramelle. In più, tanti paesi non hanno una legislazione chiara sulla distruzione del materiale genetico e questo significa che la banca di una clinica diventa “piena” e la clinica non può fare nulla. L’embriodonazione è il trattamento con le massime percentuali di successo, ma non è facile per tante coppie arrivarci. Una grande parte delle coppie vogliono prima usare il loro materiale genetico e dopo tanti fallimenti accettano questa opzione. Esistono naturalmente anche altre categorie che sono interessate a tale programma, come per esempio le donne single. Quindi, la parte “etica” non è sempre quella voluta dalle coppie. Anche se sembra più etico o giusto “usare” embrioni dalla banca di una clinica, se una coppia non è pronta ad accettare l’idea e la legge del paese permette di avere altre scelte, una clinica non può fare tanto. Inoltre, il metodo della vitrificazione ha risolto tanti problemi dal punto di vista tecnico ed etico: invece di produrre tanti embrioni, una clinica moderna oggi può vitrificare solo gli ovociti della donatrice che farà fecondare con il seme di un donatore solo quando arriva una paziente. In questo modo si risparmia sulla “produzione” di tanti embrioni senza destinazione.

            Con il pretesto dell’adozione dell’embrione non si potrebbe favorire la nascita di un vero e proprio business? Le cliniche potrebbero creare questi embrioni “ad hoc” con il pretesto di donarli in adozione?

            Il fatto che la PMA sia un business non è una novità, ma aiuta tanta gente e contribuisce all’ aumento demografico della popolazione. Le cliniche possono produrre embrioni per “venderli” e guadagnare soldi però è doveroso sottolineare che una clinica seria non farà solo business, ma soprattutto ciò che permette la propria legislazione e ciò che è nell’ interesse del paziente.

            Che percorso deve intraprendere una donna per adottare un embrione?

            Generalmente ci si rivolge alla clinica o a una società come la nostra. Presenta gli esami richiesti per legge e dalla clinica, segue il piano terapeutico e fa il transfer. I piani terapeutici dipendono sia dal trattamento dalla clinica, dalla donna e dalla sua storia medica. Ci sono paesi (come, per esempio la Gran Bretagna), dove le coppie “regalano o scambiano” tra di loro gli embrioni, quindi, in tal caso, esistono altre procedure.

            I centri valutano le famiglie riceventi?

Non esiste questa opzione. La legge richiede alla maggior parte delle cliniche esami specifici e un limite di età. In alcuni Paesi è consentito l’accesso alle donne single, in altri, alle coppie omosessuali.

            I “bambini fiocchi di neve” hanno più possibilità di nascere non sani?

            Non conosco nessuna evidenza scientifica su questo, al contrario, essendo embrioni di donatori giovani, è ovvio che le chance per malattie sono ridotte.

            Negli Usa il processo di adozione dell’embrione viene vissuto come il processo di adozione di un bambino nato, sarà possibile una cosa del genere anche in Europa?

            Secondo me, no! Anche negli USA, sono pochi gli Stati dove è possibile fare ciò. Per il resto, è un gran business. Penso e spero che l’Europa abbia capito l’importanza dell’anonimato, che protegge sia i donatori, sia i riceventi e soprattutto i bimbi. L’adozione di un embrione non è comparabile a una adozione di un bambino nato e “abbandonato”. Esiste una teoria in base alla quale questi bimbi hanno una personalità molto più forte visto che capiscono presto che nessuno li ha abbandonati, al contrario, sono stati fortemente “desiderati”.

            Che fine fanno gli embrioni che non vengono adottati, che restano nella clinica dopo un certo tempo?

            Dipende dal Paese e dalla legislazione. In tanti casi, possono essere distrutti o usati per motivi scientifici.

            A questo punto mi viene in mente il piccolo Samuele mentre mi indica, con gli occhi pieni di stelle, la luna e penso a tutti quegli embrioni, ancora crioconservati, che attendono il dono più bello che una mamma e un papà possono fare: la vita!  E poi, chissà, magari, un giorno, potranno indicare anche loro la luna e sussurrare “Voglio arrivare fin lassù!”.

Giovanna Conforti     la legge per tutti         28 maggio 2015          

www.laleggepertutti.it/89111_infertilita-di-coppia-come-adottare-un-embrione

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SINODO SULLA FAMIGLIA

«Anche molti fedeli vogliono le unioni civili. È tempo che la Chiesa accetti questa sfida»

«Uno Stato democratico deve rispettare la volontà popolare, mi pare chiaro, se la maggioranza del popolo vuole queste unioni civili è un dovere dello Stato riconoscere tali diritti. Ma non possiamo dimenticare che anche una legislazione simile, pur distinguendo fra il matrimonio e le unioni omosessuali, arriva a riconoscere a tali unioni più o meno gli stessi diritti delle famiglie formate da uomo e donna. Questo ha un impatto enorme sulla coscienza morale della gente. Crea una certa normatività. E per la Chiesa diventa ancora più difficile spiegare la differenza».

Il cardinale Walter Kasper, grande teologo cui Francesco affidò la relazione introduttiva al Sinodo dell’anno scorso, e punto di riferimento dell’anima più riformista, tira un lungo sospiro: «Non sarà facile».

E perché, eminenza?

«Vede, io penso che il referendum irlandese sia emblematico della situazione nella quale ci troviamo, non soltanto in Europa ma in tutto l’Occidente. Guardare in faccia la realtà significa riconoscere che la concezione postmoderna, per la quale è tutto uguale, sta in contrasto con la dottrina della Chiesa. Non possiamo accettare l’equiparazione col matrimonio. Ma è una realtà anche il fatto che nella Chiesa irlandese molti fedeli abbiano votato a favore, e ho l’impressione che negli altri Paesi europei il clima sia simile».

E quindi, che farà la Chiesa?

«Si è taciuto troppo, su questi temi. Adesso è il momento di discuterne».

Al Sinodo di ottobre?

            «Certo. Se il prossimo Sinodo vuole parlare della famiglia secondo la concezione cristiana, deve dire qualcosa, rispondere a questa sfida. L’ultima volta la questione è rimasta marginale ma ora diventa centrale. Io non posso immaginare un cambiamento fondamentale nella posizione della Chiesa. È chiara la Genesi, è chiaro il Vangelo. Ma le formule tradizionali con le quali abbiamo cercato di spiegare, evidentemente, non raggiungono più la mente e il cuore della gente. Ora non si tratta di fare le barricate. Dobbiamo piuttosto trovare un nuovo linguaggio per dire i fondamenti dell’antropologia, l’uomo e la donna, l’amore…Un linguaggio che sia comprensibile, soprattutto ai giovani».

All’ultimo Sinodo il tema dell’«accoglienza» degli omosessuali è stato controverso, ci sono stati contrasti tra le aperture europee e le posizioni più chiuse di episcopati come quello africano.. .

«No, non è che i vescovi europei e quelli africani la pensino diversamente, la posizione della Chiesa è sempre la stessa. Quello che differisce è il contesto, è la sensibilità della società, diversa in Africa e in Europa. E in Europa le cose sono cambiate».

In che senso?

            «Non è più il tempo in cui la posizione della Chiesa su questi temi era più o meno supportata dalla comunità civile. Negli ultimi decenni la Chiesa si è sforzata di dire che la sessualità è una cosa buona, abbiamo voluto evitare un linguaggio negativo che in passato aveva prevalso. Ma ora dobbiamo parlare anche di che cosa sia la sessualità, della pari dignità e insieme della diversità di uomo e donna nell’ordine della creazione, della concezione dell’essere umano…».

A proposito di linguaggio, i documenti della Chiesa sull’omosessualità usano espressioni come «inclinazione oggettivamente disordinata…».

« Bisognerà fare attenzione a non usare espressioni che possano suonare offensive, senza peraltro dissimulare la verità. Dobbiamo superare la discriminazione che ha una lunga tradizione nella nostra cultura. Del resto è il catechismo a dire che non dobbiamo discriminare. Le persone omosessuali devono essere accolte, hanno un posto nella vita della Chiesa, appartengono alla Chiesa… ».

E le coppie omosessuali? La Chiesa non può riconoscere anche a loro quell’idea di «bene possibile» di cui si parlava a proposito di divorziati risposati e nuove unioni ?

«Se c’è una unione stabile, degli elementi di bene esistono senz’altro, li dobbiamo riconoscere. Però non possiamo equiparare, questo no. La famiglia formata da uomo e donna e aperta alla procreazione è la cellula fondamentale della società, la sorgente di vita per il futuro. Non è un problema interecclesiale, riguarda tutti, si devono valutare con la ragione e il buon senso conseguenze enormi per la società: pensi alle adozioni, al bene dei bambini, a pratiche come la maternità surrogata, alle donne che tengono un bambino per nove mesi sotto il loro cuore e magari vengono sfruttate perché povere, per qualche soldo. Non bisogna discriminare ma nemmeno essere ingenui ».

Andrea Tornielli        “Corriere della sera”            27 maggio 2015

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201505/150527kaspervecchi.pdf

 

Il teologo su Civiltà Cattolica: sì a deroghe per i divorziati risposati.

«La visione di Francesco è quella di una Chiesa per tutti, perché Cristo è morto davvero per tutti gli uomini, senza eccezioni, non per alcuni», la «legge di gradualità» non significa «gradualità della legge» o relativismo. E senza mutamenti dottrinali è possibile prevedere delle deroghe caso per caso ammettendo i divorziati risposati ai sacramenti. Lo afferma il teologo domenicano Jean-Miguel Garrigues, docente di patristica e dogmatica all’Institut Supérieur Thomas d’Aquin , allo Studio domenicano di Tolosa e al Seminario di Ars, collaboratore del confratello Cristoph Schönborn, oggi cardinale arcivescovo di Vienna, nella redazione del Catechismo della Chiesa cattolica preparato sotto la direzione dell’allora cardinale Joseph Ratzinger.

Padre Garrigues ha dialogato sui temi del Sinodo con padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica e la trascrizione del colloquio viene pubblicata sul nuovo numero della rivista. Pur senza nominarlo direttamente, in un passaggio il teologo domenicano stronca le tesi del gesuita statunitense Joseph Fessio, il quale ha scritto che la contraccezione può essere più grave dell’aborto.

«La visione di Francesco – spiega Garrigues – è quella di una Chiesa per tutti, perché Cristo è morto davvero per tutti gli uomini, senza eccezioni, non per alcuni. La Chiesa non è quindi un club selettivo e chiuso: né quello di un ambiente sociale cattolico per tradizione, e nemmeno quello di persone capaci di virtuoso eroismo». L’obiettivo è «aiutare le anime nella situazione concreta in cui il Signore le chiama».

Il teologo domenicano non indulge ad alcuna forma di relativismo o lassismo: «Penso che perdere la comprensione dei fondamenti della coppia e della famiglia significherebbe voler procedere senza bussola, governati soltanto da una compassione affettiva condannata a cadere in un sentimentalismo irrealista. Per esempio, è una verità insuperabile che tutti i cristiani vivono sotto la legge del Cristo e che a tutti vada applicata l’indissolubilità del matrimonio. Non c’è dunque “gradualità della legge”, una finalità morale che varierebbe a seconda delle situazioni del soggetto». Ma, aggiunge, «non significa negare o relativizzare questa verità il fatto di chiedere a coloro che non riescono a seguire questo comandamento del Cristo di non aggiungere al peccato di infedeltà quello di ingiustizia, per esempio non pagando l’assegno di mantenimento in seguito a un divorzio civile.

Come diceva re Luigi XV a un cortigiano che si faceva beffe di lui perché continuava a mangiare di magro il venerdì mentre aveva un’amante: “Il fatto di compiere un peccato mortale non autorizza a farne due”. Ecco dove si colloca la “legge di gradualità”, che invita le persone che, di fatto, non sono capaci di rompere di colpo con un peccato e uscire progressivamente dal male cominciando a fare la parte di bene, ancora insufficiente ma reale, di cui sono capaci. C’è una casistica che verte su quello che definirei come “l’esercizio progressivo del bene”. Essa non contraddice in nulla il principio secondo il quale specificamente la legge naturale e la legge di Cristo si applicano in uguale misura a tutti i cristiani».

Garrigues chiede di evitare la pastorale del «tutto o niente», perché «sembra più sicura» ma «porta inevitabilmente a una “Chiesa di puri”. Valorizzando prima di tutto la perfezione formale come un fine in sé, si rischia disgraziatamente di coprire di fatto molti comportamenti ipocriti e farisaici». «Il discernimento penetrante del Papa sulla dinamica personale dei nostri atti umani – spiega ancora il teologo domenicano – non si può confondere banalmente con il relativismo. Sarebbe insensato confondere la “legge di gradualità” — che ha come scopo un esercizio progressivo e sempre finalizzato dell’atto libero verso la virtù — con il relativismo soggettivista di una “gradualità della legge”.

L’enciclica Veritatis splendor  di san Giovanni Paolo II ha chiuso la porta a questo vicolo cieco. Ma ha lasciato aperto il cantiere dell’esercizio prudenziale dell’atto libero di un uomo peccatore che, salvo una grazia eccezionale, non si moralizza in un solo colpo».

Garrigues propone la metafora del Gps, del navigatore. Quando sbagliamo strada o ci distraiamo, l’apparecchio ricalcola il percorso adattandolo alle nostre esigenze e tenendo conto dei nostri errori, al fine di raggiungere la meta che rimane la stessa. «Ecco: analogamente, ogni volta che deviamo a causa del nostro peccato, Dio non ci chiede di tornare al nostro punto di partenza, perché la conversione biblica del cuore, la metanoia, non è un ritorno platonico all’inizio. Dio ci ri-orienta verso Lui stesso tracciando un nuovo percorso verso di Lui. Notiamo che, come gli indirizzi non cambiano nel Gps, così i fini morali non cambiano nel governo divino. Quello che cambia — e quanto! — è il percorso di ogni persona nel suo libero cammino verso la moralizzazione teologale, e infine verso Dio. Pensiamo al numero di itinerari alternativi che il Gps divino ha dovuto indicare al buon ladrone prima della scorciatoia ultima e supremamente drammatica della croce».

Garrigues, a proposito del documento finale del Sinodo, osserva: «È significativo che uno dei punti che ha suscitato più inquietudine sia l’affermazione secondo cui ci può essere del bene umano in persone che si trovano in unioni di fatto, che o non sono assimilabili al matrimonio, come le unioni omosessuali, o realizzano solo imperfettamente i suoi requisiti, come le unioni civili o le unioni tra uno o due divorziati che si sono risposati. Si misura qui come un certo giansenismo rischi di scivolare nei sostenitori di una “Chiesa di puri”».

«San Tommaso – spiega – fondandosi sul caso del centurione Cornelio in At 10,31 osserva: “Le azioni degli infedeli non sono tutte peccato, ma alcune sono buone”. E precisa dicendo che, poiché il peccato mortale non guasta totalmente il bene della natura, l’infedele può fare anche una buona azione in ciò che non comporta l’infedeltà come un fine. Per san Tommaso, anche se senza la grazia non possiamo fare “tutto” il bene che è nella nostra natura, perché essa è ferita non essendo più ordinata al suo fine ultimo, tuttavia possiamo porre degli atti moralmente buoni in questo o quell’ambito della nostra vita, senza che questa diventi moralmente buona nella sua finalità personale».

«Gli uomini possono camminare verso la salvezza del Cristo – aggiunge Garrigues -compiendo una parte non trascurabile di bene morale in una unione imperfettamente matrimoniale. Se le persone non si santificano mediante queste unioni di fatto, possono comunque farlo in queste unioni per tutto ciò che in esse dispone alla carità attraverso l’aiuto reciproco e l’amicizia. Tutti coloro che hanno frequentato divorziati che si sono risposati civilmente e coppie omosessuali hanno potuto spesso constatare questa disposizione talvolta eroica, per esempio in caso di prove fisiche o morali.

In che cosa il negare tutto questo renderà più forti le nostre certezze e la nostra testimonianza alla verità?». Il teologo si chiede inoltre come «una pastorale più misericordiosa verso i “deboli” possa far sì che le coppie “forti” e talvolta eroiche possano sentirsi disprezzate», come molti, anche vescovi, hanno osservato durante e dopo il lavoro sinodale. «Se questo avviene – commenta Garrigues – vuol dire che la loro virtù è troppo basata sul compiacimento di sé e, di conseguenza, è un’”opera morta”, perché priva di carità. La carità si esprime invece nella misericordia, ed è capace di unirsi fraternamente a colui che avanza a tentoni sul percorso della sua vita, di riconoscere la parte di bontà che rimane in lui e di portare con lui un po’ del suo fardello».

Il teologo domenicano critica quindi la tesi di padre Fessio, pur senza nominarlo: «La rigidità dottrinale e il rigorismo morale possono portare anche i teologi a posizioni estremiste, che sfidano il sensus fidei dei fedeli e perfino il semplice buon senso. Una recente cronaca giornalistica cita, elogiandola, la lettera di un teologo americano che fa queste affermazioni insensate: “Qual è, in questo caso, il male più grave? È quello di prevenire la concezione — e l’esistenza — di un essere umano dotato di un’anima immortale, voluto da Dio e destinato alla felicità eterna? Oppure interrompere lo sviluppo di un bambino nel ventre di sua madre? Un tale aborto è certamente un male grave ed è qualificato dalla Gaudium et spes  come “crimine abominevole”. Ma esiste comunque un bambino che vivrà eternamente. Mentre, nel primo caso, un bambino che Dio volesse vedere venire al mondo non esisterà mai”. Con questo ragionamento si ritiene, dunque, più accettabile l’aborto che la contraccezione. Incredibile!»

Questa stessa corrente, secondo Garrigues ha voluto che dalla dichiarazione finale del Sinodo sulla famiglia dell’ottobre 2014 «si ritirasse il riferimento alla “legge di gradualità” che, come le dicevo prima, deve certamente essere spiegata come gradualità dell’esercizio del soggetto e distinta da una “gradualità della legge” nella sua specificazione. Ma questo era già presente in modo significativo nell’Esortazione apostolica post-sinodale di san Giovanni Paolo II Familiaris consortio (1981) ed è applicato nella pratica dalla maggior parte dei confessori e dei padri spirituali che vogliono accompagnare pastoralmente coloro che san Giovanni Paolo II chiamava “i feriti dalla vita”».

Infine, il teologo domenicano propone due esempi significativi avanzando l’ipotesi di una deroga alla disciplina sacramentale che impedisce ai divorziati risposati di accedere ai sacramenti. «Penso ad una coppia della quale un componente è stato precedentemente sposato, coppia che ha bambini e ha una vita cristiana effettiva e riconosciuta. Immaginiamo che la persona già sposata abbia sottoposto il precedente matrimonio a un tribunale ecclesiastico che ha deciso per l’impossibilità di pronunciare la nullità in mancanza di prove sufficienti, mentre loro stessi sono convinti del contrario senza avere i mezzi per provarlo. Sulla base delle testimonianze della loro buona fede, della loro vita cristiana e del loro attaccamento sincero alla Chiesa e al sacramento del matrimonio, in particolare da parte di un padre spirituale esperto, il vescovo diocesano potrebbe ammetterli con discrezione alla Penitenza e all’Eucaristia senza pronunciare una nullità di matrimonio. Egli estenderebbe così a questi casi una deroga puntuale a titolo della buona fede che la Chiesa già dà alle coppie di divorziati che si impegnano a vivere nella continenza». È da notare che in quest’ultima situazione si tratta già di un atto di clemenza circa l’applicazione della legge a un caso concreto, perché, osserva Garrigues, «se la continenza elimina il peccato di adulterio, non sopprime tuttavia la contraddizione tra rottura coniugale con formazione di nuova coppia — che vive comunque legami di carattere affettivo e di convivenza — e l’Eucaristia».

L’altro tipo di situazione proposta «è indubbiamente più delicato», osserva il teologo. «È quello in cui, dopo il divorzio e il matrimonio civile, i congiunti divorziati hanno vissuto una conversione a una vita cristiana effettiva, di cui può essere testimone tra gli altri il padre spirituale. Essi credono comunque che il loro matrimonio sacramentale sia stato veramente tale e, se potessero, cercherebbero di riparare la loro rottura perché vivono un pentimento sincero: ma hanno dei bambini, e d’altronde non hanno la forza di vivere nella continenza. Che cosa fare in questo caso? Si deve esigere da loro una continenza che sarebbe temeraria senza un carisma particolare dello Spirito? Si tratta di domande su cui si dovrà riflettere».

«Per la Chiesa – conclude Garrigues – si tratterebbe di una deroga puntuale a una disciplina tradizionale, fondata certo sull’altissima convenienza sacramentale tra Eucaristia e matrimonio, a motivo sia di un dubbio verosimile sulla validità del matrimonio sacramentale, sia di un impossibile ritorno, de facto ma non di desiderio, allo statu quo matrimoniale anteriore al divorzio. Nei due casi questa deroga interverrebbe a favore di una vita cristiana solidamente costituita».

Il teologo si dice invece contrario a leggi per tutti i divorziati risposati: «Molti sono invece i casi di coppie molto marginali rispetto alla vita cristiana e alla pratica religiosa che reclamano con grande scalpore mediatico un cambiamento della disciplina della Chiesa nei confronti dei divorziati che si sono risposati, prima di tutto perché essa dia un riconoscimento sociale della loro nuova unione, accettando in un modo o in un altro il principio di un nuovo matrimonio dopo il divorzio. Legiferare per loro rischiando di compromettere il significato del matrimonio fedele e indissolubile, che molte coppie cristiane vivono non senza sforzo, significherebbe incoraggiare un’altra forma di questa “mondanità spirituale” che il Santo Padre giustamente individua. La definirei una “mondanità religiosa”»

Andrea Tornielli        “La Stampa-Vatican Insider”           28 maggio 2015    

http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/sinodo-famiglia-41390

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