NewsUcipem n. 542 –19 aprile 2015

NewsUcipem n. 542 –19 aprile 2015

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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“notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line   direttore responsabile Maria Chiara Duranti.

direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le “news” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

            Le news sono così strutturate:

  • notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.
  • link a siti internet per documentazione.
  • Le notizie, anche con il contenuto non condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica.
  • La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

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Per i numeri precedenti

dal n. 1 (10 gennaio 2004) al n. 526 richiedere a                                        newsucipem@gmail.com

dal n. 527 al n. 538 andare su

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ABORTO VOLONTARIO               Pillola dei 5giorni, gli Stati sono liberi nel disciplinare la vendita.

ACCOGLIENZA                              Allontanamenti dei minorenni.

ADDEBITO                                       Nasconde alla moglie di essere infertile e alcolizzato.

L’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale.

ADOZIONE INTERNAZIONALE  Nel primo trimestre 2015 il calo non si arresta: meno 15%

Torino. La crisi si supera lottando per eticità e trasparenza.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  Matrimonio e mantenimento del genitore: compatibilità?

                                                           Cause di separazione e divorzio: la finanza accede ai conti.

ASSEGNO DIVORZILE                  Mantenimento e nuova convivenza: linea drastica de Cassazione.

Che cos’è la famiglia di fatto. Elementi essenziali

Famiglia di fatto e perdita dell’assegno divorzile.

CHIESA CATTOLICA                    Al Sinodo serve “makrothymìa”.

CHIESA CATTOLICA ITALIANA            Sinodo di ottobre, cosa chiedono le famiglie.

Convivenze, divorziati, omosessuali: la cifra dell’accoglienza.

CONCEPITO                                    Presentato ddl per iscrizione all’anagrafe dei feti nati morti.

CONSULTORI familiari UCIPEM  Latiano. Corso affettività e sessualità, pre e adolescenti.

Rimini. Direttore del consultorio familiare al Rotary Club.

CORTE COSTITUZIONALE          Provetta e diagnosi, la Consulta rinvia il verdetto.

DALLA NAVATA                            3° Domenica di Pasqua – anno B –19 aprile 2015

EUROPA                                           L’interesse superiore del minore prima di tutto.

                                                           Coabitazioni e unioni registrate: necessarie norme comuni.

FORUM Associazioni Familiari       Famiglie e Figli. Ecco come usare il “tesoretto” del Def

FRANCESCO VESCOVO di Roma Gender è passo indietro, uomo e donna hanno pari dignità.

GOVERNO                                       Ministro delle Giustizia- relazione su attuazione L. 194\1978.

PARLAMENTO Camera C.Giustizia          Divorzio breve

                                                           Adozioni dei minori

POLITICHE SOCIALI                    Bonus bebè 2015. Il Decreto attuativo.

SEPARAZIONE E DIVORZI                      Regolamentazione delle spese straordinarie.

SESSUOLOGIA                                Sesso e gender? Davvero alternativi?

                                                           Numero monotematico sulla sessualità.

SINODO DEI VESCOVI                  Le risposte della Rivista Matrimonio (Brescia)

Le risposte di Noi siamo Chiesa. Una consultazione carente.

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ABORTO VOLONTARIO

Pillola dei 5 giorni, gli Stati sono liberi nel disciplinare la vendita.

La Commissione europea conferma che gli Stati membri possono imporre vincoli alla vendita di EllaOne, la pillola dei cinque giorni. Secondo la Commissione «per quanto riguarda la prescrizione, la Direttiva 2001/83 prevede all’articolo 4 che l’applicazione della legislazione nazionale che proibisca o limiti la vendita, la fornitura o l’uso di prodotti medicinali contraccettivi o abortivi non deve essere modificata».

Questo significa che gli Stati Ue possono limitare o proibire totalmente la vendita non solo dei prodotti, come EllaOne, che agiscono come abortivi, ma anche dei contraccettivi. La Commissione il 7 gennaio 2015 aveva autorizzato la vendita libera senza prescrizione medica di EllaOne facendo seguito all’opinione del comitato scientifico dell’Ema (European medicines agency). EllaOne può avere effetti abortivi perché, se vi è stata la fecondazione dell’ovulo, può distruggere l’embrione o impedirne l’annidamento nell’utero materno.

Senza fecondazione la pillola ha effetto contraccettivo. La decisione aveva sollevato più d’una perplessità perché non aveva tenuto conto dell’eventuale abortività e quindi della violazione delle leggi nazionali in materia, né dei pericoli per la salute delle donne. L’Agenzia italiana del farmaco aveva poi concluso per conservare la ricetta medica almeno per le minorenni.

Elisabetta Pittino       avvenire         16 aprile 2014

www.scienzaevita.org/rassegne/3e1a89367f42d914dfd42167a022274a.PDF

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ACCOGLIENZA

Allontanamenti dei minorenni

Progettazione delle accoglienze e sulla prevenzione delle cause degli allontanamenti dei minorenni.

Convegno nazionale di studi – Pompei 15 maggio 2015

Il convegno è uno degli eventi della V Settimana Nazionale del Diritto alla Famiglia. Si articola in alcuni workshop paralleli:

  • workshop sulla progettazione delle accoglienze. valutare i fattori di rischio e di protezione e decidere se allontanare (o non allontanare) i minorenni dal loro nucleo familiare. ipotesi di “anagrafe funzionale” delle comunità per minori. verso le linee guida nazionali delle comunità d’accoglienza (il documento della consulta delle organizzazioni dell’autorità garante per l’infanzia)
  • workshop sulla prevenzione delle cause degli allontanamenti. prevenire l’incuria e il maltrattamento dei minori promuovendo reti locali di solidarietà familiare (la sperimentazione dei “nuovi cortili” [www.nuovicortili.it]). una famiglia per una famiglia, “family group conference” ed altre novità nel campo del sostegno alle famiglie fragili. rafforzare la tutela minorile ritessendo la rete, dal basso: micro-network locali di presa in carico condivisa
  • è’ prevista l’attivazione di un terzo workshop di confronto su alcune misure urgenti da chiedere alle regioni per la tutela del diritto alla famiglia al centro-sud italia. misure di accompagnamento all’autonomia per neomaggiorenni in uscita da percorsi di tutela. sviluppo dell’affidamento familiare dei bambini piccolissimi. misure di sostegno alle famiglie affidatarie e alle associazioni familiari. tavoli regionali per la tutela del diritto alla famiglia

Accesso gratuito. Iscrizione obbligatoria, entro il 30 aprile 2015

per info, contatti e iscrizioni:

– dr.ssa Elena Carotenuto     elenacarotenuto@progettofamiglia.org,      320.896.18.80

– dr.ssa Carmela Memoli      carmelamemoli@progettofamiglia.org,      393.978.95.41

www.settimanafamiglia.it

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Nel primo trimestre 2015 il calo non si arresta: meno 15% i minori stranieri.

In mancanza di dati ufficiali relativi alle adozioni internazionali nel nostro Paese, dobbiamo ricorrere ancora una volta a proiezioni. La Commissione per le Adozioni Internazionali, che in passato rendeva noti i dati sia semestrali nel mese di luglio che annuali nel mese di gennaio dell’anno successivo, finora latita.

Quindi come oramai siamo costretti a fare da qualche tempo, dobbiamo ricorrere alle proiezioni, incrociando i dati degli Enti Autorizzati (purtroppo non tutti rispettano l’obbligo di pubblicarli, come previsto dalle Linee guida della stessa Commissione) con quelli forniti dei Paesi d’origine.

Ricordiamo che nel primo trimestre 2013 le adozioni concluse relative ai minori accolti in Italia furono 636, mentre i primi tre mesi del 2014 hanno visto 477 minori adottati. Ora i calcoli evidenziano che da gennaio a marzo 2015, ammettendo un margine d’errore del 5% per eccesso o per difetto, i bambini adottati da famiglie italiane non superano le 400 unità.

Quindi la discesa verso il basso continua inarrestabile, con un calo che supera il 15%. Dobbiamo accontentarci di considerare positivamente il fatto che la perdita è meno marcata rispetto allo scorso anno. D’altra parte il primo trimestre 2014 era stato molto negativo, con un picco nel mese di marzo. I primi tre mesi del 2014, rispetto a quelli del 2013, avevano registrato una variazione negativa del 25%. Mentre marzo era stato il mese del tracollo: nel terzo mese del 2014 gli ingressi in Italia di minori adottati sono diminuiti del 47% rispetto allo stesso mese del 2013.

Rispetto ai dati dei singoli enti, nel primo trimestre 2015 i tre enti più grandi- Cifa, Naaa e Ai.Bi.- hanno registrato una buona tenuta, se non addirittura un miglioramento. Il Cifa al 30 marzo ha visto arrivare in Italia 55 bimbi; il Naaa 30, quota che l’anno scorso l’ente raggiunse solo nel mese di maggio; infine con Ai.Bi. da gennaio a marzo sono arrivati in Italia 45 bambini, mentre nello scorso ne erano entrati 30.

Dopo l’età aurea delle adozioni che nel 2010 raggiunse il suo apice (4.130 bambini adottati nel nostro Paese), il numero delle adozioni internazionali è costantemente crollato: 4022 nel 2011; 3106 nel 2012; 2.825 nel 2013. Due anni fa la flessione complessiva è stata di quasi il 32 per cento. Mentre nel 2014 il trend negativo è continuato, con un’ulteriore diminuzione del 30 per cento. Duemila- stando alle nostre proiezioni- sono stati i minori adottati.

Come leggere le proiezioni relative al primo scorcio del 2015? In assenza di una precisa volontà politica di porre mano ad una concreta riforma del settore che sappia dare un nuovo impulso all’intero sistema delle adozioni internazionali, il paradosso è che l’ulteriore perdita del 15% appare quasi una buona notizia.        

Aibi     16 aprile 2015                                    www.aibi.it/ita/category/archivio-news

Torino. La crisi si supera lottando per eticità e trasparenza e non contro l’unico ente pubblico.

Qual è l’impatto di internet sul mondo delle adozioni? E soprattutto: come continuare a garantire l’anonimato delle madri biologiche di fronte alle potenzialità dei social network? A queste domande si prova a rispondere nel corso del convegno “Connessioni. Leg@mi adottivi ai tempi di internet”, che si sta svolgendo a Torino, presso il Centro Congressi del Lingotto, dal 15 al 17 aprile. Un forum organizzato dall’Agenzia regionale piemontese per le adozioni internazionali (Arai) e pensato non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per le famiglie che hanno l’occasione di confrontarsi sugli strumenti di tutela nell’epoca del web.                              vedi                                            newsUCIPEM n. 539 – 29 marzo 20154, pag. 2

Inaugurando i lavori del convegno, mercoledì 15, il presidente del Consiglio regionale piemontese, Mauro Laus, ha rivendicato gli “importanti provvedimenti legislativi” adottati dalla Regione Piemonte “volti a promuovere una forte cultura dell’accoglienza”, quali ad esempio l’istituzione della stessa Arai, “primo servizio pubblico in Italia con il compito di svolgere funzioni di ente autorizzato per le adozioni internazionali”.

In particolare, la prima delle 3 giornate torinesi è stata dedicata alla ricerca di quello che l’assessore regionale alle Politiche Sociali, Augusto Ferrari, ha definito “un equilibrio tra la garanzia dell’anonimato della donna e la ricerca delle proprie radici da parte dei figli adottati”. “Questo alla luce delle nuove tecnologie – ha precisato Ferrari – che non sempre consentono la mediazione genitoriale e che possono essere fonte di spaccatura tra il mondo degli adulti e quello dei ragazzi”. Una questione, quella della difesa dell’anonimato delle madri che hanno scelto di partorire in segreto (sono più di 90mila in Italia dal 1950 a oggi), sulla quale Amici dei Bambini è da tempo intervenuta a sostegno di una petizione lanciata dall’Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie).

Al di là della petizione, del tutto condivisa da Ai.Bi., l’Anfaa si è però recentemente schierata al fianco del Coordinamento Sanità e Assistenza fra i movimenti di base che “continua a ritenere inaccettabili i finanziamenti destinati” all’Arai, come si legge in un volantino in cui tale questione è presentata contestualmente a quella della tutela dell’anonimato delle madri segrete. Un accostamento che Ai.Bi. ritiene inopportuno, prendendo le distanze da quanto affermato dal Csa sull’Arai. Di fronte alle gravi condizioni in cui versa attualmente l’adozione internazionale – sottolinea Valentina Griffini, responsabile dell’Area Estero di Ai.Bi., che interverrà al convegno torinese nella giornata di venerdì 17 aprile – il vero problema non è l’esistenza di un ente pubblico come l’Arai. La “malattia” dell’adozione internazionale è da ravvisare piuttosto in un pesante vuoto democratico, in una grave mancanza di trasparenza a livello istituzionale (basti pensare che non sono ancora stati pubblicati i dati sulle adozioni realizzate in Italia nel 2014) e nella piaga dei soldi contanti in nero portati all’estero dagli aspiranti genitori. Ai.Bi. da tempo porta avanti una vera battaglia per l’eticità e la trasparenza dell’adozione. Una battaglia in cui ci si aspetterebbe di trovare come alleati tutti gli addetti ai lavori e i soggetti interessati. Alcuni dei quali, invece, purtroppo, preferiscono lasciare solo chi si batte per salvare quel che resta dell’adozione internazionale. Questi saranno i temi che Valentina Griffini approfondirà nel suo intervento al convegno torinese, oltre a sottolineare la posizione di Ai.Bi. a favore di una legge che salvaguardi l’anonimato delle madri che, al momento del parto, hanno scelto di non far conoscere la propria identità. Solo una legge capace di tutelare le partorienti, infatti, potrebbe contribuire a non fare aumentare il numero degli aborti, degli infanticidi e degli abbandoni.

Aibi     16 aprile 2015                                    www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

                        Matrimonio e mantenimento del genitore: compatibilità?

Se il figlio si sposa, ha sempre diritto all’assegno di mantenimento da parte del genitore?

            La Corte d’Appello di Napoli [C. App. Napoli, sent. n. 47 del 07.01.2015], con una sentenza del tutto innovativa ritiene che il diritto all’assegno di mantenimento cessi automaticamente con la celebrazione delle nozze del figlio in favore del quale è stato disposto.

            L’obbligo di mantenimento dei figli sorge per legge in capo a ciascun genitore dal momento della procreazione. Esso costituisce una delle modalità pratiche attraverso cui si realizza il più generico obbligo di cura che ciascun genitore ha nei confronti della prole. A seguito della separazione o del divorzio dei genitori, l’obbligo di mantenimento deve essere rispettato da ciascuno di essi, in proporzione alle proprie possibilità economiche.

            Se i figli sono maggiorenni e non si oppongono, il mantenimento potrà essere corrisposto “in via diretta”, pagando direttamente le spese necessarie all’istruzione ed al loro mantenimento, oppure corrispondendo un assegno periodico di un certo determinato importo, concordato tra i genitori o stabilito dal giudice della separazione. Il diritto del figlio al mantenimento da parte dei genitori dura fino al raggiungimento dell’“autosufficienza economica”: ad esempio se il figlio, terminati gli studi, inizia a lavorare e a guadagnare uno stipendio che gli consente di sostenere da solo le spese e i costi della vita quotidiana (affitto, acquisto delle spese, acquisto di beni di prima necessità), nessun contributo da parte dei genitori sarà più dovuto.

            Se l’“autosufficenza economica” era finora l’unico criterio utilizzato dai giudici per indicare la fine del diritto del figlio maggiorenne (sposato o meno che fosse) ad essere mantenuto da parte dei genitori, la Corte d’Appello napoletana ha ritenuto che anche il matrimonio del figlio faccia automaticamente venir meno il diritto all’assegno di mantenimento, senza che sia necessario alcun accertamento da parte del giudice, che – necessitando di lungo tempo – danneggerebbe solamente il genitore tenuto al pagamento.

            Questo perché, sposandosi, il figlio entrerebbe a far parte di una «nuova famiglia», con diritti e doveri propri. Si tratta comunque di una pronuncia che facilmente potrebbe essere “rovesciata” dalla Corte di Cassazione, la quale ad oggi è costante [tra le varie sentenze si segnala: Cass., sent. n. 1830 del 26.01.2011] nel ritenere che l’unico criterio da considerare per valutare se il figlio abbia ancora diritto al mantenimento da parte dei genitori sia esclusivamente quello dell’autosufficienza economica. In altre parole, si ritiene che l’automatica cessazione del contributo possa avvenire solo se la costituzione del nuovo nucleo familiare escluda la necessità di mezzi di sostegno adeguati per vivere e cioè solo se la somma dei redditi dei novelli sposi sia tale da garantirgli di sostenere da soli le ordinarie spese della vita quotidiana.

            Valentina Azzini        la legge per tutti         15 aprile 2015

www.laleggepertutti.it/85386_matrimonio-e-mantenimento-del-genitore-compatibilita

                        Cause di separazione e divorzio: la finanza accede ai conti del coniuge.

Dopo l’ultima riforma del processo civile, le indagini tributarie si fanno accedendo all’anagrafe tributaria e a quella dei rapporti finanziari. Sempre più facile scovare le bugie dette in giudizio. Il coniuge che tenta di occultare i propri redditi al fine di pagare un assegno di mantenimento più basso all’ex ora deve fare i conti con la nuova possibilità, per la finanza, offerta dall’ultima riforma della giustizia [DL 132/2014, convertito in legge 10 novembre 2014 n. 162], di accedere all’anagrafe tributaria e dei conti correnti: i database del fisco, infatti, consentono di sapere, con millimetrica certezza, quanto l’obbligato ha “nel portafogli”.

            Così, grazie alla legge che ha appena riformato il processo civile, il giudice della separazione o del divorzio può ordinare alle fiamme gialle, nell’ambito delle indagini tributarie, di frugare nei conti correnti del coniuge.

            Attenzione però: se anche è vero che, già prima della riforma intervenuta l’anno scorso, il giudice poteva delegare la polizia tributaria alle verifiche sui redditi e patrimoni dei coniugi/genitori [art. 5 comma IX, legge 1 dicembre 1970 n. 898], oggi gli uomini del fisco hanno un’arma in più: possono cioè servirsi del database dell’anagrafe tributaria e delle altre banche dati pubbliche, in uso alla P.A., per passare ai raggi X i rapporti bancari, postali e finanziari riguardanti le parti in causa. Insomma: si tratta di accertamenti ben più penetranti. Una delle prime applicazioni di tale nuova possibilità si ritrova in un’ordinanza del Tribunale di Milano emessa lo scorso 3 aprile 2015.

            Gli accertamenti di polizia tributaria sono giustificati anche dal codice civile [art. 337-ter, comma VI, cod. civ], che ammette indagini nell’interesse dei figli. Pertanto, il giudice della famiglia può disporre indagini di Polizia Tributaria al fine di raccogliere le informazioni necessarie per i provvedimenti in favore della moglie e dei figli.

            La riforma della giustizia del 2014 ha introdotto le seguenti modifiche:

  1. ha previsto che nei procedimenti in materia di famiglia il giudice possa accedere alle banche dati tramite i gestori dell’anagrafe tributaria [art. 155 quinquies delle disposizioni di attuazione cod. proc. civ.];
  2. ha esteso le disposizioni speciali in materia di ricerca dei beni con modalità telematiche ai procedimenti in materia di famiglia [Art. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ; ].
  3. ha previsto [Art. 7 comma IX del D.P.R. 605 del 1973] che le informazioni comunicate all’Agenzia Tributaria sono altresì utilizzabili dall’autorità giudiziaria nei procedimenti in materia di famiglia.

Intestazioni fittizie. Insomma, ora i finanzieri possono trarre informazioni utili sulle possibilità dei coniugi/genitori da anagrafe tributaria, archivio rapporti finanziari, pubblico registro automobilistico ed enti previdenziali. E infatti il giudice ordina alla Finanza di scoprire se la parte in causa ha macchine di valore, carte di credito collegate a conti intestati a terzi o immobili che figurano come di proprietà altrui.

            Nell’accertamento dei redditi rientrano non solo le dichiarazioni e le partecipazioni societarie ma anche i depositi bancari negli ultimi tre anni. Saranno i militari a informare il giudice.

Redazione                  la legge per tutti                    15 aprile 2015

www.laleggepertutti.it/85371_cause-di-separazione-e-divorzio-la-finanza-accede-ai-conti-del-coniuge

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ASSEGNO DIVORZILE

Mantenimento e nuova convivenza: linea drastica della Cassazione.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 6855, 3 aprile 2015.

www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/6855_04_15.pdf

L’unione di fatto intrapresa dall’ex dopo la separazione fa venir meno il diritto al mantenimento che non rinasce neppure qualora essa si rompa. Sono molti coloro che, dopo la separazione o il divorzio, intraprendono una nuova convivenza e, spesso, creano una nuova famiglia. Ebbene, per quelli di loro che, sino ad oggi, hanno confidato sul diritto a ricevere un assegno di mantenimento dall’ex sono in arrivo brutte notizie. La Cassazione, infatti, con una pronuncia di pochi giorni fa ha sancito un nuovo e importante principio: quello secondo cui, quando uno dei coniugi abbia intrapreso una relazione di fatto, non solo questa fa venir meno il diritto all’assegno divorzile, ma esso non risorge nel caso in cui tale relazione venga a cessare.

            Per meglio comprendere le conclusioni dei Supremi giudici è bene fare un passo indietro. Se, per legge [Art. 5 co. 10, L.898/1970], infatti, solo il nuovo matrimonio è in grado di far cessare in automatico il diritto al mantenimento da parte del coniuge economicamente più debole, tuttavia la Corte già da qualche tempo aveva affermato [Cass. sent.17195/2011] che la convivenza dell’ex costituisce una circostanza in grado di far venir meno il diritto all’assegno. Tale orientamento, tuttavia, partiva dal fatto di attribuire un carattere temporaneo all’unione di fatto, sicché, comunque, il diritto in questione poteva rinascere una volta che l’ex beneficiario avesse provato la rottura della relazione.

            Non vi era dunque nessuna certezza per il coniuge onerato del mantenimento, il quale – in qualsiasi momento – poteva trovarsi nuovamente obbligato a versare l’assegno. Situazione questa che, non lo si può negare, ha costituito fino ad oggi oggetto di non pochi “abusi” solo ove si pensi a tutte cessazioni delle convivenze intervenute “guarda caso” poco prima di un divorzio, proprio quando, cioè, i coniugi si trovano a discutere sulla spettanza o meno di un assegno divorzile.

            Con questa pronuncia, quindi, la Suprema Corte spiana la strada ad un orientamento che riconosce un nuovo e – crediamo – più giusto peso alla famiglia di fatto, indicandola non solo nella situazione di convivenza dei coniugi, ma innanzitutto – usando le sue parole – in “una famiglia portatrice di valori di stretta solidarietà, di arricchimento e sviluppo della personalità di ogni componente, e di educazione e istruzione dei figli”. E ciò, anche in ragione della necessità di tutela del coniuge obbligato, il quale – sottolinea la Cassazione – è giusto che possa confidare, in presenza di una relazione e convivenza di fatto dell’ex, nel definitivo esonero dall’obbligo di versare l’assegno.

            Requisiti della famiglia di fatto È giusto precisare, tuttavia, che per i Supremi giudici queste importanti ripercussioni economiche possono avere effetto solo quando la convivenza intrapresa dall’ex sia di tipo stabile e duraturo, al pari di quanto avviene nella famiglia fondata sul matrimonio. Solo in questo modo, infatti, essa assume i connotati della famiglia di fatto vera e propria; quella cioè che permette di considerare rescisso ogni legame con il tenore di vita di cui alla convivenza tra marito e moglie e, di conseguenza, venuto meno il presupposto per il riconoscimento di un assegno di divorzio.

            È giusto – aggiunge la Corte – che, chi decide di intraprendere una relazione stabile, si assuma anche i rischi della cessazione della convivenza che rappresenta anche una decisione di coerenza; l’unione di fatto è, infatti, “espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, da parte del coniuge, eventualmente potenziata dalla nascita di figli”. La pronuncia in esame, che si allinea tra l’altro alla posizione di altri Paesi europei (che addirittura parificano ad ogni effetto di legge il matrimonio e la convivenza) sicuramente segna un passaggio importante al riconoscimento da parte del legislatore di un maggiore valore sociale alle famiglie di fatto.

            La vicenda, Nel caso di specie la Suprema Corte ha accolto la domanda con cui un uomo chiedeva di non dover più versare un assegno mensile di 1.000 euro alla moglie; la donna, infatti, nel periodo della separazione, aveva intrapreso una stabile relazione da cui erano nati dei figli, ma che poi si era conclusa.

            In pratica, se, fino a questo momento, l’orientamento della giurisprudenza è stato quello di prevedere una sorta di sospensione del beneficio economico dell’assegno divorzile fino alla permanenza dell’unione di fatto del coniuge economicamente più debole, con questa pronuncia, la Suprema Corte afferma che il diritto a beneficiare dell’assegno debba ritenersi cessato (e che non possa più rinascere) anche nel caso in cui la relazione di fatto si concluda.

Maria Elena Casarano          la legge per tutti 15 aprile 2015

www.laleggepertutti.it/85361_mantenimento-e-nuova-convivenza-linea-drastica-della-cassazione

vedi pure newsUcipem n. 541-19 aprile 2015, pag. 5

Che cos’è la famiglia di fatto. Elementi essenziali

Il concetto di famiglia ha subito negli anni importanti cambiamenti. Se all’epoca dell’assemblea costituente per famiglia, dal punto di vista giuridico, si intendeva essenzialmente un’unione stabile di due persone di sesso opposto finalizzata alla filiazione, negli ultimi anni (in particolare, nell’ultimo ventennio) tale concetto ha subito importanti trasformazioni dettate dal dinamismo etico e culturale che caratterizza la società attuale.

            Non ogni convivenza more uxorio, cioè condizione di due soggetti che condividono esperienze comuni senza che sia stato contratto matrimonio, può generare sul piano giuridico una famiglia di fatto. Occorre, infatti, l’elemento, di fatto appunto, del convivere come famiglia: non basta il singolo evento episodico, ma occorre che vi sia una vera e propria comunione d’intenti tra conviventi (caratterizzata da stabilità, solidità del vincolo e non occasionalità), un convivere come se si fosse marito e moglie.

            In tal senso una delle prime pronunce della Corte di Cassazione (in particolare, sentenza n. 6381 dell’8 giugno 1993) che ha ammesso l’esistenza di un centro di imputazione di interessi diverso ed autonomo rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio: tale convivenza, ancorché non disciplinata dalla legge, non contrasta né con norme imperative, non esistendo norme di tale natura che la vietino, né con l’ordine pubblico, che comprende i principi fondamentali informatori dell’ordinamento giuridico, né con il buon costume, inteso come complesso dei principi etici costituenti la morale sociale di un determinato momento.

            Licia Albertazzi

            guida allegata                                    www.studiocataldi.it/guide_legali/famiglia-di-fatto

Famiglia di fatto e assegno divorzile. Quando la nuova convivenza ne fa perdere il diritto.

                                                                                                           estratto

6. Differenze tra “nuove nozze” e “famiglia di fatto”, La Cassazione si premura di precisare che non si tratta di una parificazione tout court tra famiglia di fatto e nuove nozze del coniuge divorziato (matrimonio), in quanto queste ultime avrebbero l’effetto automatico di far venire meno il diritto del coniuge all’assegno divorzile. Perché si abbia il medesimo effetto – in presenza di una famiglia di fatto – è sempre necessario un accertamento giudiziale di merito, caso per caso. Ciò proprio al fine di rintracciare quegli elementi caratterizzanti la famiglia di fatto – i quali non sono sempre presenti in qualsivoglia convivenza more uxorio. In tal senso, si potrebbe parlare non di un’estinzione del diritto all’assegno, bensì una sorta di “quiescenza” del diritto stesso: esso rimarrebbe come sospeso in costanza di convivenza, per riespandersi una volta che questa si interrompa (cosa che de iure condito può avvenire ad nutum). Non essendo, infatti, previsto alcun trattamento di garanzia per l’ex familiare, di fatto (se non in presenza di espressi accordi patrimoniali tra conviventi), questo potrebbe ritrovarsi nelle condizioni originarie – possedute all’indomani del divorzio – sulle quali si era fondato il diritto all’assegno, che potrebbe così essere riproposto.

            Seppur suggestiva, quest’ultima ipotesi viene ripudiata dai giudici di legittimità, in quanto è apparso molto più coerente «affermare che una famiglia di fatto, espressione di una scelta esistenziale libera e consapevole da parte del coniuge … dovrebbe essere … caratterizzata dall’assunzione piena di un rischio» nel quale è necessario includere anche la eventuale futura cessazione della convivenza stessa – con tutte le conseguenze di carattere economico che ne discendono. Su questa scia, si andrebbe a tutelare anche l’affidamento dell’altro coniuge, che a ragione potrebbe aver confidato in un esonero definitivo dall’obbligo di assegno. Affidamento che sarebbe privato di ogni tutela, se si ammettesse che – anche a distanza di anni – l’altro coniuge potesse pretendere nuovamente la corresponsione dell’assegno in virtù di un remoto passato coniugale, ormai esaurito.

            Basilio Antoci             newsletter studio Cataldi 17 aprile 2015

www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_18098.asp

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CHIESA CATTOLICA

Al Sinodo serve “makrothymìa”

Si sta preparando la seconda tappa sinodale sul tema della famiglia, un tema che ha acceso gli animi, un tema bruciante sul quale – lo abbiamo osservato con tristezza –porzioni di chiesa si accusano reciprocamente senza che vi sia la volontà di ascoltare l’altro, le sue ricerche, le sue esperienze e le “ragioni cristiane” che lo motivano a una lettura della famiglia diversa da un’altra.

È fisiologico che ci siano stati e ci siano ancora conflitti, nel sinodo come nella vita della chiesa, perché l’unanimità non è data ma va perseguita con fatica e carità, e soprattutto non sarà mai piena né perfetta. Ci dimentichiamo che espressioni sovente utilizzate sono inadeguate e presuntuose: “la comunione piena”, “l’unità perfetta”, “la vita irreprensibile” e simili, possono alludere solo a realtà che saranno tali solo nel regno di Dio, al di là della morte, quando il Signore porterà lui a termine la sua opera in noi (cf. Fil 1,6) e ci farà santi, figli nel Figlio suo, nello spazio della vita divina.

Ma altra cosa sono i conflitti, le opposizioni, che il Nuovo Testamento non ha paura di far emergere negli scritti apostolici, altra cosa sono le delegittimazioni, le esclusioni, le condanne dell’altro solo perché non condivide la nostra posizione. Nella chiesa, anzi nelle chiese, sono molti, e sono presenze efficaci, quelli che invocano la tradizione come se in essa ci fosse stato sempre lo stesso sentire, che dimenticano le opposizioni tra san Basilio e il vescovo di Roma, tra san Girolamo e sant’Agostino. Per costoro l’adesione a una tradizione, da essi immaginata, richiede il rifiuto di tutto ciò che può venire dal tempo presente, tempo in cui lo Spirito parla ancora alle chiese (cf. Ap 2,7.11.17.29; 3,6.13.22). Non si rendono conto di aderire – e di pretendere che gli altri aderiscano servilmente – a espressioni di fede fossilizzate, a riti che sono il frutto di un mutamento rispetto a un’epoca precedente, di atteggiamenti pastorali che erano anche debitori dell’ideologia dominante.

Papa Francesco, con atteggiamento pastorale autentico, ha compreso che c’è bisogno di conversione; proprio come papa Giovanni all’inizio del suo pontificato e come solennemente dichiarò all’apertura del concilio, l’11 ottobre 1962. Occorre una conversione per essere strumenti docili del Vangelo, per andare a incontrare gli uomini e le donne là dove sono, nella miseria e nella fatica, nel peccato e nell’emarginazione, nella salute e nella vita buona. Il Vangelo è bella notizia per tutti, non è riservato ad alcuni, e ogni uomo ha il diritto di ascoltarlo e, soprattutto, di vederlo vissuto da chi al Vangelo ha aderito. Occorre dunque uno sguardo capace di makrothymía [longanimità, letteralmente significa “lunghezza di

spirito”], di vedere e sentire in grande, per leggere l’uomo, le sue storie personali, di amore e di fatica, con l’occhio di Dio, in particolare con la sua misericordia e compassione.

La dottrina non cambia, e sul vincolo del matrimonio le parole di Gesù sono chiare e definitive (cf. Mc 10,1-9; Mt 19,1-9). Stiamo però attenti a non fare proprio delle parole di Gesù comandi validi solo per alcuni, quelli sulle spalle dei quali carichiamo facilmente pesi che non vogliamo portare (cf. Mt 23,4; Lc 11,46). La fedeltà di Dio, lo Sposo, alla sua sposa, al suo popolo, è profezia che vale per tutti, è metafora che apre orizzonti di senso, ma non se ne facciano applicazioni perentorie e legaliste! L’amore di Dio per il suo popolo è indissolubile ma quante volte – testimonia la Bibbia – si è registrata da parte di quest’ultimo la rottura, l’infedeltà, l’abbandono- E ciò che è avvenuto in relazione a Dio avviene anche nella storia d’amore tra un uomo e una donna, storia nella quale nonostante il peccato vince sempre la misericordia di Dio.

Questa profezia della nuzialità tra Dio e il suo popolo non riguarda solo la famiglia, ma ogni vicenda cristiana. Perché allora non si usa misericordia verso il matrimonio andato in frantumi, mentre non fa alcun problema se un religioso, monaco o frate, abbandona la sua comunità e contraddice i suoi voti? La rottura del legame matrimoniale è impossibile, mentre l’abbandono della vita religiosa sembra non turbare, e se il religioso è laico, la dimissione è concessa subito, senza alcun problema. Ma le due vocazioni, quella matrimoniale e quella religiosa, comunitaria, non sono simili in riferimento all’amore fedele di Cristo per la chiesa (cf. Ef 5,25)?

Sì, purtroppo si usano due pesi e due misure, mentre dovrebbe sempre regnare la misericordia per tutti. È triste però che di questo nessuno parli.

Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose in “Jesus” , aprile 2015

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201504/150409bianchi.pdf

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CHIESA CATTOLICA ITALIANA

Sinodo di ottobre, cosa chiedono le famiglie.

Al di là di ogni previsione il numero dei questionari compilati da diocesi, parrocchie ma anche da tanti nuclei familiari Accanto alle inevitabili preoccupazioni, il desiderio di far emergere impegno solidale e segni di autentica misericordia.

Un fatto storico. Le voci delle famiglie che arrivano direttamente ai vertici della Chiesa. Voci genuine, spontanee, preoccupate, tenere, arrabbiate, ma soprattutto cariche di speranza. Come succede nella vita di tutti i giorni. Voci, soprattutto, che si manifestano in quantità così imponenti da disorientare chi pensava che il secondo questionario, diffuso in vista del Sinodo ordinario di ottobre, non potesse rivelare nulla in più rispetto all’esperienza precedente. Invece, almeno per quanto riguarda l’Italia, è capitato l’inimmaginabile. Decine di migliaia di risposte. Così tante che non è ancora stato possibile stilare un conteggio definitivo. Anche se ieri, 15 aprile, è scaduto il termine stabilito per indirizzare le risposte alla Segreteria generale del Sinodo. Di fronte a questo afflusso massiccio la Cei è stata costretta a mettere in piedi una task force di scrutatori con funzionari dell’Ufficio famiglia, di quello catechistico, della pastorale giovanile e di altri Servizi Cei.

Le risposte sono arrivate in modo articolato da 134 diocesi, un’altra cinquantina ha annunciato che il materiale verrà spedito in questi giorni – sperando in un po’ di tolleranza da parte degli uffici vaticani – ma soprattutto sono state inviate tantissime risposte singole. Come se si fosse fatta più viva la consapevolezza di un momento da vivere in tutta la sua straordinarietà. E così, mentre le risposte al questionario in vista del Sinodo straordinario 2014 erano risultate più ‘professionali’ – in maggior parte forse preparate o ispirate da addetti ai lavori – questa volta sembra prevalere la spontaneità, l’immediatezza, la semplicità. Con tutti i sentimenti, positivi e negativi, correlati.

Risposte soprattutto che, in riferimento alla famiglia e alle sue molteplici connessioni, tracciano il quadro di una Chiesa molto diversa rispetto agli stereotipi mediatici. L’emergenza più avvertita non riguarda né la pastorale per i divorziati risposati, né quella per le persone omosessuali. “Dalla maggior parte delle risposte – osserva don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia – emerge la preoccupazione per il crollo dei matrimoni e per i tassi di natalità, per la difficoltà di spiegare ai nostri giovani la bellezza del ‘per sempre’, per la confusione che sembra caratterizzare la vita di relazione, segnata da disorientamento e incertezza”.

Incombe sul futuro delle famiglie italiane quell’emergenza educativa più volte segnalata che, quando tocca i temi degli affetti, della sessualità, della procreazione, arriva ad incidere direttamente sui fondamenti antropologici e apre interrogativi drammatici sul futuro di tutti. “Non si può dire che non si viva più l’affetto sponsale e che non nascano più figli ma – riprende don Gentili – in troppe occasioni il matrimonio viene considerato un passaggio inutile, forse troppo impegnativo, forse semplicemente troppo costoso in tempi di crisi”.

In alcune diocesi il problema è così drammatico che i percorsi di preparazione al matrimonio sono stati drasticamente ridotti e, in alcuni casi, azzerati. Situazione drammatica le cui conseguenze, osservando i contenuti delle risposte, vengono percepite in modo diverso, non sempre puntuale. In alcuni casi, certo, la sensazione è quella di vivere una situazione di passaggio di profonda incertezza. Si legge per esempio su un questionario: “La crisi dell’istituto matrimoniale è così profonda che sembra di camminare su macerie fumanti”.

In altre risposte sembra invece di cogliere la volontà di prendere le distanze dai nuovi modelli di vita dei giovani, dalle convivenze sempre più diffuse, da quella vita reale che si è allontanata dalle proposte del magistero. “Dobbiamo chiederci quanto siano attuali alcuni nostri schemi di pastorale familiare e giovanile, quanto impegno abbiamo profuso – continua il direttore dell’Ufficio Famiglia – nei percorsi di educazione all’affettività e alla sessualità. E quanta strada rimanga ancora da fare. Un fatto è comunque certo. Riflettere sui contenuti della grande mole di risposte arrivate in vista del Sinodo, ci ha obbligato a rivedere i nostri schemi, ad attenuare le posizioni più estreme, a trovare sintesi illuminate per inquadrare la verità in una luce di misericordia. Che – conclude don Gentili – anche in vista dell’Anno giubilare, è la vera sfida del prossimo Sinodo”.

Luciano Moia             avvenire         16 aprile 2015

www.avvenire.it/famiglia/Pagine/Meno-famiglia-meno-societ-.aspx

Convivenze, divorziati, omosessuali: al Sinodo la cifra dell’accoglienza.

            Un questionario destinato a rovesciare non pochi luoghi comuni sulle convinzioni e sulle richieste delle famiglie, a scombinare non poche certezze costruite in parte sul “sentito dire” e in parte sull'”abbiamo sempre fatto così”.

Invece le famiglie italiane sono cambiate, perché è profondamente cambiata la società. Ed è urgente prenderne atto. Così, gli esperti Cei che nelle ultime settimane hanno avuto l’opportunità di leggere migliaia e migliaia di risposte al questionario diffuso dalla Segreteria generale del Sinodo in vista dell’assemblea ordinaria del prossimo ottobre, si sono trovate di fronte non solo a riflessioni autentiche, palpitanti di vita, di difficoltà e di sofferenza, ma anche a spunti che sembrano auspicare un nuovo modello di comunità. In cui la famiglia, come auspicato dal dibattito sinodale, diventi davvero soggetto di pastorale. Si tratterà ora di cogliere il meglio da queste espressioni di massiccia democrazia partecipativa che non ha evidentemente i connotati di un lavoro statistico scientifico, ma che odora di Chiesa semplice ma autentica. Ecco i temi sottolineati con maggior insistenza nelle risposte, secondo la sintesi che ci anticipa don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale familiare.

            La fatica della coerenza. La famiglia perfetta, quella che non ha mai incertezze, né lacerazioni, né dubbi sembra definitivamente consegnata all’agiografia del tempo che fu. Anche i nuclei familiari impegnati nelle comunità cristiane non nascondono più le difficoltà di coniugare verità e misericordia, anche nei confronti di se stessi. Accogliere le fragilità vuol dire innanzi tutto ammettere ed accettare le proprie, a partire dalla coerenza coniugale messa alla prova da quella cultura del relativismo che impregna tutta la società.

Famiglie solidali. Anche questa è una sottolineatura che si ritrova in migliaia di risposte. La famiglia deve tornare al centro di una rete di rapporti che, sia nella pastorale, sia negli altri ambiti sociali, possa contribuire a migliorare la vita di tutti. Tante risposte, per limitarci al ruolo della pastorale, citano l’impegno di famiglie tutor in grado di accompagnare in modo competente e responsabile sia i cammini di catechesi dei ragazzi, sia i fidanzati, sia le giovani coppie. La paura del ‘per sempre’ nasce in realtà da una sensazione di solitudine che fa apparire il traguardo di un amore senza tempo – al di là del tempo – quasi irraggiungibile. Invece, il sentirsi parte di una rete solidale, contribuisce a distribuire il peso delle responsabilità e aiuta tutti a vivere meglio. Numerose risposte citano il forte dato simbolico rappresentato dalla celebrazione degli anniversari di matrimonio, come testimonianza di una fedeltà che resiste all’usura del tempo.

            Divorziati risposati. Tantissime le proposte avanzate per coniugare indicazioni dottrinali e accoglienza autentica: dall’esempio ortodosso rivisto e attualizzato alla necessità di rendere più semplici le procedure di riconoscimento della nullità. Nelle numerose comunità in cui sono stati attivati percorsi di accompagnamento ai separati e ai divorziati, il problema viene avvertito in modo meno dirompente, come se l’accoglienza fosse un dato ormai acquisito. Una specificità pastorale italiana determinata dall’attenzione ormai assodata sia a livello di riflessione teorica, sia di prassi pastorale ordinaria.

            Contraccezione. La regolazione delle nascite, forse anche alla luce della drammatica denatalità italiana, non appare dalle risposte pervenute un tema che divide. Non è arrivata neppure quella ‘bocciatura’ dell’Humanae vitae che qualche media aveva inopportunamente pronosticato. Anzi, in tante risposte viene sottolineata la portata profetica dell’enciclica, che troppo spesso è stata ridotta a una sintesi di divieti e di proibizioni. E si suggerisce di ripartire proprio da qui per rilanciare la bellezza dell’apertura alla vita che vuol dire volontà di amare in modo non moralistico e non sessuofobo. In troppe occasioni, si ribadisce, la gioia dell’amore che caratterizza l’approccio cristiano – e quindi anche l’Humanae vitae – è stato presentato in modo riduttivo.

            Persone omosessuali. Il problema di quale accoglienza pastorale riservare alle persone omosessuali non stato eluso, ma nella maggior parte dei casi solo per ammettere la diffusa impreparazione delle nostre comunità. Alla luce di un percorso tutto da costruire, più che regole da stabilire, viene sottolineato la necessità di un atteggiamento nuovo per accompagnare queste persone. Meglio uno sguardo differenziato caso per caso capace di accogliere in spirito di autentica fraternità e di sincera comprensione chi si sente escluso, piuttosto che – si sottolinea – un ‘prontuario’ con regole predefinite. Il tempo dello ‘sguardo giudicante’ sembra proprio appartenere ad un’altra epoca.

Luciano Moia             avvenire         16 aprile 2015

            www.avvenire.it/famiglia/Pagine/Basta-sguardi-giudicanti-sulle-fragilit-.aspx

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CONCEPITO

                        Presentato ddl per iscrizione all’anagrafe dei feti nati morti.

            Dare dignità civile ai feti “nati morti” permettendone l’iscrizione all’anagrafe civile. E’ quanto si propone il disegno di legge S.1768 presentato dai senatori Aldo Di Biagio di Area popolare e Laura Puppato del Partito democratico.        www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/911334/index.html

            Il provvedimento, illustrato in una conferenza stampa al Senato e promosso dall’associazione “Pensiero celeste” di Padova, ha l’obiettivo di fare ordine sulle leggi italiane, che sul tema della natimortalità sono spesso confuse e contraddittorie.

In Italia ogni anno 180.000 genitori perdono il loro figlio prima della fine naturale della gravidanza e per quelli “nati morti” prima della ventottesima settimana non c’è nessun diritto all’iscrizione all’anagrafe. Tutto è rimesso, infatti, alla discrezionalità delle autorità competenti, in un quadro legislativo per nulla univoco. La polizia mortuaria, ad esempio, prevede l’assenso dell’Usl per la sepoltura dei feti nati tra le 20 e le 28 settimane. Un assenso che molto spesso viene negato. Il congedo di maternità, invece, scatta anche per i figli nati morti a partire da 180 giorni di gestazione, mentre l’Istat fa partire le proprie rilevazioni a partire dalla venticinquesima settimana. La senatrice Laura Puppato è tra i promotori della legge:

            “Stiamo cercando di recuperare dei gap che la legislazione italiana ha lasciato nel corso di questi anni, creando molta soggettività e una situazione di interpretazione che non aiuta i cittadini italiani. In generale dobbiamo avere certezze nel fatto di poter concedere, laddove i genitori lo vogliano, l’iscrizione all’anagrafe di questi che non possono essere definiti ‘feti’, ma devono essere definiti con il termine corretto: bambini”.

            Il disegno di legge propone di garantire, ai genitori che ne sentano l’esigenza, l’iscrizione all’anagrafe civile di tutti i feti che superano i 500 grammi, a prescindere dalle settimane di gestazione. Una legge sul modello di quelle che ci sono in Francia e Germania e basata su un regolamento dell’Ue, che riceve i parametri di natimortalità dell’Organizzazione mondiale della sanità. I bambini iscritti all’anagrafe non saranno titolari di nessun diritto giuridico, mentre i loro genitori avranno il rispetto dovuto per la perdita di un figlio. Il senatore Aldo Di Biagio è uno dei due firmatari del disegno di legge:

            “Le famiglie si aspettano che la società civile e la comunità in qualche maniera raccolga questo elemento di sensibilità personale, quindi noi in un certo senso abbiamo voluto colmare un vuoto normativo della legge. In un contesto dove organismi anche preposti hanno diverse opinioni noi abbiamo voluto un riconoscimento che va a un feto che è oltre i 500 grammi”.

            L’idea per questa proposta di legge parte dall’associazione “Pensiero celeste” di cui è presidente Antonio Napoli. Lui e la moglie hanno perso la loro bambina, Celeste, durante la ventisettesima settimana. Da quel momento Antonio ha combattuto la sua battaglia per ottenere il certificato di nascita della bimba, dapprima negatogli, culminata con due sentenze del tribunale di Padova in suo favore:

            “E’ uno stravolgimento di quello che fino ad oggi si è visto, ovvero cominciare a rendersi conto che c’è stata una gravidanza, c’è stato un parto, c’è stato un lutto e di conseguenza non stiamo parlando di un qualche cosa che non esiste, ma di un bambino sotto tutti i punti di vista. Per noi, dico sempre, mia figlia è sempre esistita ed esisterà sempre. E’ giusto che anche gli altri comincino a capire questo. E’ proprio un cambio culturale in questo senso”.

            La petizione promossa da “Pensiero Celeste”, ha raccolto oltre mille firme, mentre si attende la discussione di questo progetto di legge in Senato.

Bollettino radiogiornale radio vaticana 15 aprile 2015      http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Latiano. Corso tema Preadolescenti e Adolescenti: affettività e sessualità.

L’Assessorato ai Servizi Sociali della Città di Latiano, d’intesa ed in collaborazione con il Consultorio Familiare della Fondazione Opera Beato Bartolo Longo, promuove ed organizza il primo Corso di formazione sul tema Preadolescenti e Adolescenti: affettività e sessualità – Linee Guida per Educatori e Genitori, rivolto ai genitori, agli educatori delle Strutture e Servizi per minori, e per donne con minori, ubicati nel territorio latianese, e ai docenti degli Istituti Scolastici, nell’ambito dei previsti percorsi di aggiornamento professionale.

Il Corso avrà inizio giovedì 30 aprile 2015, e terminerà giovedì 11 giugno 2015, e prevede il rilascio di apposito attestato.

Il percorso affronta, in un percorso completo ed articolato, le tematiche tipiche dell’adolescenza, con particolare riferimento alla costruzione dell’identità e alla scoperta dell’intimità, allo sviluppo dell’autostima, alla gestione delle emozioni, alla dimensione relazionale che si manifesta concretamente nei rapporti di amicizia e di innamoramento che i ragazzi iniziano a sviluppare nell’età preadolescente ed adolescente.

Il programma di educazione all’affettività e sessualità mira a fornire sostegno agli interventi di promozione delle competenze relazionali e di integrazione tra affettività e sessualità, procurando strumenti atti ad aiutare gli educatori a migliorare la comunicazione con i ragazzi preadolescenti e adolescenti, ad individuare regole e limiti.

Il corso si compone di 6 incontri, con approccio partecipativo di 3 ore ciascuno, per un totale di 18 ore:

  • giovedì 30 aprile 2015 ore 16.00-19.00: La scoperta del Corpo
  • giovedì 7 maggio 2015 ore 16.00-19.00: La Scoperta di Sé e dell’Altro: Identità ed Alterità
  • giovedì 14 maggio 2015 ore 16.00-19.00: Lo Sviluppo dell’Affettività
  • giovedì 21 maggio 2015 ore 16.00-19.00: Affettività e Sessualità
  • giovedì 28 maggio 2015 ore 16.00-19.00: Lo Svincolo dalla Famiglia ed il gruppo dei pari
  • giovedì 4 giugno 2015 ore 16.00-19.00: Relazioni Amorose e le Relazioni Altre

Gli incontri prevedono un approccio interattivo, con un coinvolgimento dinamico dei partecipanti.

Direttore del corso è l’avv. Alessandro Nocco. Lo Staff progettuale è composto da: dott.ssa Maria Concetta Leozappa, psicologa; dott.ssa Pamela Fiorante, psicologa; dott.ssa Simona Negro, psicologa psicoterapeuta; dott.ssa Grazia Lanzillotti, coordinatrice del Consultorio Familiare Beato Bartolo Longo.

La partecipazione al corso prevede preventiva iscrizione, da effettuarsi, entro venerdì 24 aprile 2015, utilizzando i moduli resi disponibili, da giovedì 16 aprile p.v., sui siti della Città di Latiano www.comune.latiano.br.it e della Fondazione OBBL www.beatobartololongo.it.

www.beatobartololongo.it/bartololongo/pdf_doc/programma-corso-Preadolescenti-e-Adolescenti

            Rimini. Direttore del consultorio familiare al Rotary Club.

Bella e partecipata serata quella di martedì 14 aprile al Rotary Club di Rimini in interclub con l’Inner Wheel. E’ intervenuta la prof.ssa Vittoria Maioli Sanese psicologa della coppia e della famiglia, fondatrice e direttrice del consultorio familiare (associato UCIPEM) di Rimini, che ha presentato un’interessante relazione dal titolo: “L’evoluzione della coppia nella famiglia di oggi”.

            La realtà familiare contemporanea è complessa e diversificata. Secondo le stime dell’Istat sono circa 84 mila le coppie che si sposano ogni anno a cui fanno eco 54 mila divorzi. I matrimoni durano in media 15 anni, poi marito e moglie prendono la loro strada e ricominciano una nuova vita.

            Oggi chi decide di sposarsi con un’altra persona e di legarsi a lei lo fa pensando che d’ora in avanti il compito del suo partner sarà quello di farla stare bene, di emozionarla, capirla, sostenerla. Il rapporto andrà in crisi quando uno dei due non si sentirà più capito e sostenuto dal marito o dalla moglie e sentirà di stare meglio da solo, di “funzionare” senza l’altro. Un matrimonio solido, invece, è un rapporto in cui entrambi i membri della coppia si sentono davvero loro stessi. “Non ho mai scoperto me stesso così vero se non sotto i tuoi occhi, tu sei la relazione che mi fa essere me stesso autenticamente”: ecco dove sta la differenza. Nell’innamoramento ciascuno scopre di più se stesso e si riconosce esaltato nel proprio io. Oggi invece il rapporto è vissuto in maniera identificatoria, il mio “Io” lo trovo da solo, la relazione non mi costituisce, è solo un modo per avere accanto qualcuno con cui fare le cose che mi piacciono. Ma questa è la strada che porta all’addio.

In questo clima di debolezza della relazione si inserisce il figlio quasi come un’entità “di salvezza” che attira su di sé tutte le energie dell’adulto, e a cui si consegnano grandi investimenti caricandolo di un peso che non è suo. Rispondere al suo bisogno diventa quindi il “massimo” concepito, perché non è più guardato e riconosciuto figlio questo bambino cui si affibbiano bisogni /necessità che non sono altro che sovrastrutture. Il figlio ha un unico vero, fondamentale bisogno: che quel uomo sia veramente marito e padre; che quella donna sia veramente moglie e madre.

Oltre a questo l’allentamento dei vincoli e delle norme tradizionali e l’introduzione di culture e prassi diverse, favorita dagli odierni fenomeni migratori, coinvolgono anche la coppia, il matrimonio e la famiglia e spingono alla realizzazione di modelli alternativi di convivenza tra uomini e donne, tra adulti e bambini.

Sono fenomeni e dati di realtà che si devono saper leggere e con i quali un Consultorio familiare sostenuto da un’etica rispettosa della persona e dei suoi valori si confronta nel servizio quotidiano.

L’Ucipem (Unione Consultori Prematrimoniali e Matrimoniali) ha inteso prospettare agli operatori dei Consultori familiari di organizzazioni pubbliche e private e di tutti quanti operano nel settore della famiglia e hanno a cuore il suo futuro, i fenomeni emergenti delle unioni civili, dei matrimoni misti e delle famiglie fondate su altre tradizioni religiose e giuridiche per un servizio sempre più consapevole e adeguato.

Rotary Club Rimini   14 aprile 2014

www.rotaryrimini.org/2015/04/15/martedi-14-aprile-2015-prof-ssa-vittoria-sanese

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CORTE COSTITUZIONALE

Provetta e diagnosi, la Consulta rinvia il verdetto.

Davanti alla complessità giuridica e alla delicatezza etica della decisione i giudici della Corte Costituzionale scelgono di prendere tempo.

La questione è particolarmente delicata. L’hanno fatto capire i giudici costituzionali, che dopo l’udienza pubblica di martedì mattina 14 aprile 2014 e le due camere di consiglio di quel pomeriggio e della mattinata di ieri, hanno rinviato discussione e verdetto a data da destinarsi. Sotto la lente d’ingrandimento della Consulta c’è per l’undicesima volta la legge 40\2004: stavolta il suo divieto di accedere alla procreazione medicalmente assistita da parte di coppie in grado di procreare ma che hanno malattie ereditarie.

Le coppie vorrebbero concepire in provetta per poter effettuare sugli embrioni una diagnosi pre-impianto, all’esito della quale scartare i feti malformati e impiantare in utero solo quelli sani. Al termine dell’udienza pubblica, martedì, l’Associazione radicale Luca Coscioni aveva dato per imminente la nuova bocciatura della legge, ma lo stop di ieri ha frenato gli entusiasmi.

In effetti, le argomentazioni portate in aula da Filomena Gallo e Gianni Baldini, legali delle due coppie ricorrenti, non sono le uniche spendibili. Altri giuristi, in queste settimane, hanno spiegato che ogni sospetto di legittimità costituzionale avanzato dai ricorrenti può essere tecnicamente ribattuto.

Ecco una sintesi delle principali obiezioni esposte alla Consulta e gli argomenti di segno opposto.

«La legge 40 viola il diritto della coppia all’autodeterminazione nelle scelte procreative». In verità, lo bilancia con il diritto costituzionale alla difesa del debole: il concepito.

«Ammettere alla fecondazione in vitro solo le coppie infertili è discriminatorio nei confronti di quelle fertili». La fecondazione assistita e dunque la legge 40 non sono fatte per scegliere di chi essere genitori ma per dare l’opportunità di essere genitori a chi non può diventarlo per vie naturali.

«Il divieto di diagnosi pre-impianto vige solo in Italia». Solo con riferimento all’Europa occidentale, la vietano anche Svizzera e Austria. E comunque ogni Paese è pienamente sovrano nel decidere le proprie leggi, senza obblighi morali di imitare le norme altrui.

«La Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha condannato l’Italia per aver impedito la diagnosi pre impianto». Vero: il riferimento è alla sentenza Costa-Pavan, peraltro criticatissima, dell’agosto 2012. Ma la nostra Corte Costituzionale, a partire dalla pronuncia 348/2007, ha stabilito che la Carta europea dei diritti dell’uomo –su cui giudica la Cedu – si applica nei singoli Stati solo in quanto conforme alle loro Costituzioni. Non si può quindi invocare una sentenza di Strasburgo per suffragare l’illegittimità costituzionale di una norma propria di uno Stato.

«Il divieto di diagnosi pre-impianto non ha ragione di esistere, visto che la legge 194\1978 permette l’aborto finché il feto non ha possibilità di vita autonoma». L’aborto è consentito solo quando le gravi anomalie del feto possono compromettere la salute della gestante. La diagnosi pre-impianto verrebbe invece utilizzata per selezionare embrioni sani a discapito di quelli malati, a prescindere dalla futura gravidanza.

«La diagnosi pre-impianto è assimilabile a qualunque diagnosi prenatale, come l’ecografia e l’amniocentesi, che sono lecite». Sono concetti ben diversi: la diagnosi prenatale serve per diagnosticare eventuali malattie del feto e attivare tempestivamente le cure più idonee. Nella diagnosi pre-impianto non è invece possibile, allo stato attuale, attivare terapia alcuna ma solo selezionare gli embrioni. Tra l’altro, va ricordato che tutti i centri che effettuano diagnosi pre-impianto invitano le donne a fare amniocentesi o villocentesi, prova che l’esame non dà risultati certi.

“La diagnosi pre-impianto può essere applicata con successo a molte malattie genetiche. Non c’è dunque ragione di vietarla”. È una tecnica che fornisce risultati assai modesti: solo il 3% degli embrioni arriva alla nascita. Se invece una donna si sottopone a una villocentesi le probabilità che il piccolo nasca sano raggiungono il 75%.

«La diagnosi pre impianto è già stata ritenuta possibile e legale per le coppie sterili. Perché impedirne l’estensione ad altri soggetti?». Nessuna sentenza di Tar o di Corte Costituzionale si è mai pronunciata sulla legittimità della diagnosi pre-impianto. Al contrario, il Tar del Lazio nel 2008 ha stabilito che le linee guida della legge 40 non possono aggiungere nulla al testo. Dunque né diagnosi pre-impianto né osservazionale.

«Vietando la diagnosi pre-impianto si compromette la salute della donna». Questo concetto è ripreso dalla 194, che permette l’aborto se c’è conflitto tra vita di madre e figlio. Ma quest’ultimo è già dentro il grembo. Con la diagnosi pre-impianto invece si introdurrebbe il concetto di maternità “su condizione”.

Marcello Palmieri                 Avvenire                    16 aprile 2014

www.scienzaevita.org/rassegne/a94625eba610659c319cdcfa18db0fc2.PDF

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DALLA NAVATA

                                   3° Domenica di Pasqua – anno B –19 aprile 2015

Atti                 03.17 «Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi»

Salmo             04.02 «Quando t’invoco, rispondimi, Dio della mia giustizia!»

1 Giovanni      02.02 «E’ lui la vittima d’espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.»

Luca               24.48 «Di questo voi siete testimoni»

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EUROPA

L’interesse superiore del minore criterio guida per la giurisdizione nelle controversie transfrontaliere

L’interesse superiore del minore prima di tutto. Anche per risolvere la ripartizione di giurisdizione tra giudici di Stati membri in controversie transfrontaliere sulla separazione e le obbligazioni alimentari. Lo ha affermato l’Avvocato generale della Corte di giustizia Ue, Bot, nelle conclusioni depositate il 16 aprile 2015 (causa C-184/14, obbligazioni alimentari). Il rinvio pregiudiziale alla Corte Ue è stato sottoposto dalla Corte di Cassazione italiana alle prese con una controversia tra due coniugi italiani, residenti a Londra con due figli. Il marito si era rivolto al Tribunale di Milano per la separazione con addebito alla moglie e l’affidamento condiviso dei figli. La donna aveva eccepito il difetto di giurisdizione ritenendo competenti, sul mantenimento dei figli, i giudici inglesi.

Secondo il Tribunale di Milano la giurisdizione sulla separazione, in forza dell’articolo 3 del regolamento n. 2201 sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale, doveva essere a loro attribuita, mentre ai giudici inglesi andava affidata la competenza sulle questioni di responsabilità genitoriale. Una conclusione che non convince l’Avvocato generale secondo il quale l’individuazione del giudice competente deve essere trovata mettendo in primo piano l’interesse superiore del minore che “permea necessariamente il diritto di famiglia dal momento che la controversia di cui al procedimento principale incide sulla situazione del minore”.

Senza dimenticare il ruolo dell’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e la circostanza che la giurisprudenza della Corte Ue, che ha sancito l’obbligo di interpretare il regolamento n. 2201/2003 alla luce dell’interesse superiore del minore, va applicata anche con riguardo al regolamento n. 4/2009 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari. Di conseguenza – scrive Bot – non si può accogliere una soluzione che porta ad attribuire la competenza sulla separazione dei coniugi al giudice di uno Stato membro e a quello di un altro Paese Ue la giurisdizione sull’assegno mensile dei figli. Tanto più che, ad accogliere una simile soluzione, il giudice competente sugli alimenti dovrebbe attendere prima l’esito definitivo della separazione “con un tempo di latenza durante il quale la sorte dei minori sarebbe indefinita”.

Di qui la conclusione dell’Avvocato generale secondo il quale, alla luce dell’interesse superiore del minore, va applicato il criterio della vicinanza con l’attribuzione della competenza a vantaggio dei giudici dello Stato membro in cui i minori risiedono abitualmente. Va così negata la competenza dei giudici italiani a favore dei giudici inglesi tenendo conto della residenza abituale dei minori.

Marina Castellaneta              17 aprile 2015

www.marinacastellaneta.it/blog/linteresse-superiore-del-minore-criterio-guida-per-la-giurisdizione-nelle-controversie-transfrontaliere.html

            Coabitazioni e unioni registrate: necessarie norme di conflitto comuni.

Si moltiplicano le famiglie non tradizionali, con un netto incremento di forme di coabitazione e di unioni registrate rispetto al matrimonio. Con problemi nuovi sia dal punto di vista del diritto interno che del diritto internazionale privato. Necessario, quindi, predisporre strumenti internazionali volti a individuare norme condivise.

In questa direzione, il Permanent Bureau della Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato ha adottato a marzo 2015 il documento n. 5 sull’aggiornamento riguardanti gli sviluppi nel diritto interno e nel diritto internazionale privato relativi alla coabitazione fuori dal matrimonio incluse le unioni registrate (hague conference). Molti i casi – si legge nel documento – di status acquisiti in alcuni Stati e non riconosciuti in altri sia con riguardo alle coppie conviventi sia alle unioni registrate. Nel documento, analizzata la situazione normativa in numerosi Stati, con le inevitabili differenze soprattutto tra i Paesi che ammettono le unioni registrate (con sfumature poi differenti in ogni Stato anche in ordine all’ammissibilità di unioni tra persone dello stesso sesso) e quelli che escludono ogni forma di riconoscimento giuridico, nonché le proposte della Commissione europea a partire dal 2008, si constata un trend volto ad accettare forme familiari differenti rispetto alle famiglie tradizionali.

Tuttavia, le diverse conseguenze giuridiche rispetto alle differenti forme di coabitazione sono ancora molto diffuse anche con riguardo alle norme di diritto internazionale privato con conseguenze negative sulla circolazione degli status, nonché sul riconoscimento di relazioni conseguite all’estero. Con problemi legati anche ai conflitti negativi di giurisdizione, ad esempio nei casi di dissoluzione delle unioni e forme di forum shopping[rivolgersi ad uno stato di propria scelta la controversia]. Senza trascurare i problemi riguardanti la responsabilità genitoriale e le adozioni. Di qui la decisione di mantenere nell’agenda della Conferenza dell’Aja la questione e la redazione di un questionario da inviare agli Stati in vista dell’adozione di uno strumento idoneo ad assicurare un approccio unitario alle problematiche di diritto internazionale privato poste da queste nuove forme di convivenza.

Marina Castellaneta              13 aprile 2015

www.marinacastellaneta.it/blog/coabitazioni-e-unioni-registrate-necessarie-norme-di-conflitto-comuni.html

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FORUM DELLE ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Famiglie e Figli. Ecco come usare il “tesoretto” del Def (ammesso che ci sia).

Si è aperta la caccia all’ennesimo “tesoretto”, che metterebbe a disposizione del Governo la cifra imprevista di circa 1,6 miliardi di euro; mi si scuserà il condizionale, ma dubitare dell’entità della cifra, se non addirittura della sua stessa esistenza, appare più esercizio di sano realismo che non atteggiamento pregiudiziale verso la politica degli annunci. La somma appare miracolosamente disponibile dai nuovi conteggi che il Governo ha elaborato in occasione della presentazione del Def (Documento di economia e finanza), uno strumento di programmazione degli impieghi del denaro pubblico in vista della prossima Legge di stabilità. Subito sono emerse nelle pagine dei giornali e nelle dichiarazioni dei vari leader politici le ipotesi più disparate: dai poveri agli esodati, dalla scuola pubblica alla sicurezza nelle strade, dal rafforzamento delle pensioni all’estensione della platea di destinatari degli 80 euro in busta paga.

Noi non avremmo dubbi (riecco il condizionale): dopo questi lunghi anni di crisi la povertà nel Paese è cresciuta in maniera esponenziale, e quindi è certamente doveroso sostenere le persone povere. Ma ovviamente ogni tesoretto ha i suoi limiti, e quindi è doveroso anche individuare un target specifico, per non spalmare su troppi destinatari un intervento che diventerebbe marginale. E allora segnaliamo che l’Italia ha il triste primato di un tasso di povertà minorile tra i più alti d’Europa, e troppi minori, per il semplice fatto di vivere in famiglie di tre o più figli, sono “poveri”. Quindi le famiglie devono essere messe al centro dei possibili impieghi. Il Censis segnalava che”avere o non avere figli: ecco una causa di diseguaglianza. La nascita del primo figlio fa aumentare di poco, rispetto alle coppie senza figli, il rischio di finire in povertà.

Nel primo caso il rischio riguarda l’11,6%, nel secondo caso riguarda il 13,1%. Ma la nascita del secondo figlio fa quasi raddoppiare il rischio di finire in povertà (20,6%) e la nascita del terzo figlio triplica questo rischio (32,3%). Inoltre, avere figli raddoppia il rischio di finire indebitati per mutuo, affitti, bollette o altro rispetto alle coppie senza figli” (Censis, 3 maggio 2014).

Figli, povertà e sviluppo sono quindi certamente fenomeni collegati: la fiscalità e il sostegno diretto alle famiglie giovani sono strumenti fondamentali a questo riguardo. Quante famiglie non cadrebbero sotto la soglia di povertà con un fisco più equo? Dobbiamo riscoprirlo oggi? Non è bastato nemmeno l’allarme lanciato ormai dieci anni fa dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi (figura certamente non inscrivibile in un’ipotetica lobby “pro-life”): “Una società con poche madri e con pochi figli è destinata a scomparire. È necessario un sostegno, forte e convinto, al recupero della natalità, essenziale per conservare i livelli di benessere di cui godiamo. Le culle vuote sono il vero, il primo problema della società italiana” (Carlo Azeglio Ciampi, 7 marzo 2004, messaggio del Presidente della Repubblica per l’8 marzo).

            Allora, se tesoretto ci sarà, che vada a contrastare la povertà delle famiglie: se non tutto dedicato a una misura di equità familiare, che almeno metà del tesoretto sia speso per le famiglie con bambini: saranno soldi certamente ben spesi. E speriamo che questo dibattito non si risolva in una bolla di sapone, come troppo spesso è successo nel nostro Paese, quando altri leader politici hanno parlato di tesoretti.

Anche perché questa improvvisa disponibilità di tesoretti fa venire in mente la botta di fortuna (per essere eleganti) di chi gioca al superenalotto, aspettandosi di risolvere così i propri problemi. E oltre a uno Stato che spinge le famiglie a giocare d’azzardo, anziché proteggerle dai suoi rischi, non vorremmo certo affidare anche la sostenibilità delle nostre politiche sociali alla dea bendata. Né vorremmo che gli occhi bendati siano i nostri, spinti a guardare e a litigare sulla destinazione di un ipotetico tesoretto, e distratti quindi dalla filosofia generale del Def e della prossima Legge di stabilità, che spostano risorse ben più rilevanti e con impatti economici e sociali ben più consistenti. Sarà meglio tenerli ben aperti, gli occhi, su questo.

Francesco Belletti      il sussidiario 15 aprile 2015

www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2015/4/15/FAMIGLIE-E-FIGLI-Ecco-come-usare-il-tesoretto-del-Def-ammesso-che-ci-sia-/599730

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Francesco: “Gender” è passo indietro, uomo e donna hanno pari dignità.

La teoria del “gender” invece di essere una soluzione per i problemi di rapporto tra uomo e donna rischia di essere “un passo indietro”. Lo ha affermato Papa Francesco all’udienza generale in Piazza San Pietro, davanti a circa 50 mila persone. Il Papa ha ribadito che uomo e donna sono stati pensati da Dio con caratteristiche complementari e dotati entrambi di identica dignità.

Maschio e femmina li creò e per Dio le due creature erano a Lui somiglianti e complementari fra loro. Erano, afferma Papa Francesco, il suo “capolavoro”, il “vertice della creazione divina”. I problemi sono nati dopo con l’uomo, quando lungo la storia ha inteso la diversità come contrapposizione, ha preferito la subordinazione alla reciprocità, fino ad arrivare ai nostri giorni, quelli dei diritti chiesti e magari imposti, che altrove nel mondo continuano a essere una parola semisconosciuta e calpestata.

Gender, “passo indietro”. Francesco parte proprio dalla “cultura moderna e contemporanea” per riaffermare – nello spazio tra i due Sinodi – la visione cristiana sulla coppia e il matrimonio. Parte dai “nuovi spazi” di libertà individuati nel rapporto uomo-donna che hanno finito per generare, come per la teoria del “gender”, “molti dubbi” e “molto scetticismo”: “Io mi domando, ad esempio, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Eh! rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione”.

Reciprocità per capire la diversità. Francesco si rifà all’esperienza concreta e quotidiana, che “insegna” invece una realtà del tutto evidente: “Per conoscersi bene e crescere armonicamente l’essere umano ha bisogno della reciprocità tra uomo e donna. Quando ciò non avviene, se ne vedono le conseguenze. Siamo fatti per ascoltarci e aiutarci a vicenda. Possiamo dire che senza l’arricchimento reciproco in questa relazione – nel pensiero e nell’azione, negli affetti e nel lavoro, anche nella fede – i due non possono nemmeno capire fino in fondo che cosa significa essere uomo e donna”.

Volersi più bene. Uomo e donna, prosegue, Dio li ha creati a sua immagine non solo individualmente, ma anche “come coppia” e dunque la loro differenza va intesa come “comunione” e “generazione”. “Mi chiedo – osserva ancora Francesco – se la crisi di fiducia collettiva in Dio, che ci fa tanto male, ci fa ammalare di rassegnazione all’incredulità e al cinismo, non sia anche connessa alla crisi dell’alleanza tra uomo e donna”.

“Per risolvere i loro problemi di relazione, l’uomo e la donna devono invece parlarsi di più, ascoltarsi di più, conoscersi di più, volersi bene di più. Devono trattarsi con rispetto e cooperare con amicizia. Con queste basi umane, sostenute dalla grazia di Dio, è possibile progettare l’unione matrimoniale e familiare per tutta la vita. Il legame matrimoniale e familiare è una cosa seria, e lo è per tutti, non solo per i credenti”.

Voce donna abbia peso reale nella società e nella Chiesa. Il Papa invita anche gli intellettuali “a non disertare questo tema, come se fosse diventato secondario – obietta – per l’impegno a favore di una società più libera e più giusta”. E maggiore giustizia, ribadisce, vuol dire più impegno “in favore della donna”, prendendo a modello Gesù che – ricorda – l’ha considerata protagonista “in un contesto meno favorevole del nostro”: “E’ necessario, infatti, che la donna non solo sia più ascoltata, ma che la sua voce abbia un peso reale, un’autorevolezza riconosciuta, nella società e nella Chiesa (…) Ancora non abbiamo capito in profondità quali sono le cose che ci può dare il genio femminile, le cose che la donna può dare alla società e anche a noi, che sa vedere le cose con altri occhi che completano il pensiero degli uomini. E’ una strada da percorrere con più creatività e audacia”.

Basta soprusi contro le donne. La catechesi termina con un’appendice significativa quando Francesco riprende il concetto dell’uguaglianza e della pari “dignità” tra uomo e donna al momento dei saluti ai gruppi di lingua araba: “Lavoriamo, nella ‎Chiesa e nella società, affinché tale uguaglianza ‎venga rispettata, rifiutando – conclude – ogni ‎forma di‏ ‏sopruso o di ‎ingiustizia, in particolare contro le donne”.

Bollettino radiogiornale radio vaticana 15 aprile 2015      http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

testo ufficiale              http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150415_udienza-generale.html

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GOVERNO

Ministro delle Giustizia- relazione su attuazione L. 194\1978

Relazione sullo stato di attuazione della legge concernente norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, Presentata dal Ministro della giustizia Orlando.

(Anno 2014 – Comprensiva dei dati relativi al periodo 1995-2014)

Trasmessa al Parlamento il 17 marzo 2015                                   estratti             passim

Il monitoraggio della Legge condotto dal Ministero della Giustizia fa parte delle rilevazioni del Piano Statistico Nazionale e consta in realtà di due rilevazioni distinte ed indipendenti, l’una relativa alla giurisdizione penale, riguardante i procedimenti instauratisi a seguito di violazione delle disposizioni in materia penale della Legge, e l’altra relativa alla giurisdizione volontaria, riguardante le richieste al Giudice Tutelare di autorizzazione all’aborto da parte di donne minorenni e di donne maggiorenni interdette.

1.1) Giurisdizione penale. I dati relativi agli anni 1995 – 2014 mostrano che il fenomeno, a livello di giurisdizione penale, ossia di repressione delle violazioni delle disposizioni penali previste dalla Legge, è di ridotte proporzioni, essendo caratterizzato da un contenuto numero di procedimenti penali iscritti presso le Procure (136 procedimenti penali iscritti nell’anno 2014 presso le Procure), e, analogamente, da un numero di persone iscritte anch’esso contenuto (230 persone iscritte nell’anno 2014 presso le Procure, con un numero medio di circa 1, 7 persone iscritte per procedimento).In linea generale, non emerge dai dati raccolti che vi sia una qualche tendenza ad eseguire aborti clandestini in modo organizzato presso strutture pubbliche o private, sebbene siano state comunque individuate dall’Autorità giudiziaria, nel corso del tempo, alcune associazioni di consistenti dimensioni (vedi par. 2.3.c).

Caratteristica di rilievo è la marcata incidenza degli stranieri rispetto al totale delle persone (italiane e straniere) nei procedimenti penali iscritti presso le Procure. Nell’anno 2014 la percentuale degli stranieri sul totale delle persone iscritte presso le Procure è stata del 33,0%; tale incidenza risulta essere piuttosto elevata, soprattutto se si pensa che la popolazione straniera residente al 01/01/14 costituisce solo 1’8,1% circa dell’intera popolazione residente in Italia (percentuale desunta da dati ISTAT).  (…)

Delitti previsti dall’art. 19 della Legge (aborto clandestino.)

Procedimenti penali di cui all’art. 19 della L. 194/78 (aborto clandestino) iscritti presso le Procure

che mostra come questi particolari procedimenti siano circa il 25-30% dei procedimenti totali.

anni     1995    1999    2003    2007    2011    2013    2014

26           18        39        43           51        44           32        

persone iscritte 145     177       290       318       343       304       230

1.2) Giurisdizione volontaria. I dati relativi agli anni 1989 – 2014 mostrano che il fenomeno, a livello di giurisdizione volontaria, ossia di richieste al Giudice Tutelare di autorizzazione all’aborto da parte di donne minorenni, nei casi in cui sia mancato l’assenso delle persone che esercitano la potestà o la tutela su di esse (art. 12 della Legge), appare in tendenziale diminuzione.

Quasi nullo è invece il numero di richieste al Giudice Tutelare di autorizzazione all’aborto da parte di donne maggiorenni interdette.

Sono state, infatti, 923 le richieste di autorizzazione all’aborto da parte di donne minorenni nel 2014, ed una sola richiesta da parte di donne maggiorenni interdette.

L’andamento, tuttavia, che sembrava permanere pressoché stazionario fino al 2007 con una media annua di circa 1.300 casi ex art. 12, appare in significativa diminuzione nell’ultimo periodo della serie storica, 2007 – 2014, con un ‘trend’ sempre decrescente (nel 2007 si erano avuti 1.435 casi ex art. 12, mentre nel 2014, se ne sono avuti, appunto, 923). (…).

L’area maggiormente interessata è stata sempre quella del Nord. Fino all’anno 2005 si è visto come in genere le autorizzazioni all’aborto venivano concesse dal Giudice Tutelare alle minorenni nella quasi totalità dei casi. (…)

3.5.b) Legittimità e merito del Giudice Tutelare (pag.20) Il Giudice Tutelare, pur non avendo alcun potere istruttorio, una volta verificata la sussistenza dei requisiti e la correttezza delle procedure prescritti dalla Legge, possiede sempre un certo margine di discrezionalità circa la sua decisione (” … può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo .. “; art. 12), potendo basarla non solo sulla documentazione inviata dalla struttura, ma anche sul colloquio con la minorenne e sul suo libero convincimento come giudice. A questo proposito si era ravvisato come vi fossero alcune divergenze interpretative nonché difficoltà applicative della Legge, qui di seguito riportate.

In linea generale, alcuni giudici suggerivano un’attenta valutazione, oltre che della documentazione inviata dalla struttura socio-sanitaria, anche degli elementi che emergevano dal colloquio con la minorenne e, possibilmente, con qualche suo familiare, per approfondire e valutare nel modo migliore i motivi da essa addotti per chiedere l’aborto. Altri avevano proposto di confrontare le conseguenze psicologiche dell’aborto con quelle derivanti dall’eventuale prosecuzione della gestazione, nonché di valorizzare il periodo di tempo ancora disponibile (sempre entro i 90 giorni), per permettere alla minorenne di valutare nel modo migliore la sua decisione.

Per ciò che riguarda i motivi addotti dalla minorenne per chiedere l’aborto e i seri motivi di non consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, si era parimenti ravvisato come vi fossero orientamenti diversi e, a volte, anche diametralmente opposti tra un Giudice Tutelare e l’altro.

In generale, si potevano distinguere due gruppi di giudici: un primo gruppo era costituito da alcuni giudici che ritenevano corretto entrare, sia pure in certa misura, nel merito delle risposte fomite dalla minorenne per valutare nel modo migliore possibile se concedere o meno l’autorizzazione all’aborto; un secondo gruppo era costituito da altri giudici che, al contrario, non ritenevano corretto entrare in tale merito, ma ritenevano corretto fornire solo un sostegno volto ad integrare la volontà non ancora del tutto formata della minorenne, considerando quindi come dato di fatto quanto da lei dichiarato.

  1. 1° gruppo. Relativamente ai motivi addotti, era stato affermato da un giudice che “se fosse sufficiente il semplice disagio personale e relazionale della minore a far ritenere sussistente il serio pericolo per la salute psichica prescritto dalla legge, dovrebbe concludersi che in tutti i casi di concepimento ad opera di una minore, che ne abbia tenuto all’oscuro i suoi genitori, l’aborto dovrebbe essere autorizzato quasi automaticamente, perché quasi sempre, in casi del genere, la minore vive una situazione di grave sofferenza e disagio … “.Relativamente ai motivi di non consultazione, era stato osservato che, senza poteri di accertamento ed istruttori, risulta difficile per il giudice valutare l’esistenza dei “seri motivi che impediscono o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela”, anche a causa dei tempi molto ristretti prescritti dalla Legge per decidere sulla richiesta (il giudice deve decidere entro 5 giorni dalla ricezione della relazione della struttura; vedi anche par. 3.2). A tale proposito era stato affermato che non rientrava tra i seri motivi di non consultazione il mero timore della minorenne di una censura, sia pure ferma e decisa, da parte dei genitori, i quali hanno il diritto-dovere di educare i figli (art. 30 della Costituzione). Sarebbe stato, infatti, necessario un ‘quid pluris’ da lasciare fondatamente prevedere una rottura irreparabile dei rapporti genitori-figlia. Infatti, “se la consultazione dei genitori non è prescritta essa non è nemmeno esclusa, ma lasciata ( … ) al prudente apprezzamento del giudice” (sent. 109/81 della Corte Costituzionale). Analogamente era stato osservato che “la consultazione dei genitori va decisa o esclusa a seconda che, con essa, la libertà morale della minore si rafforzi (nel caso in cui il confronto con persone, le quali costituiscano un punto di riferimento affettivo e morale, possa rimuovere pregiudizi o rinsaldare motivazioni e dare, comunque, indispensabile conforto in un delicatissimo momento di vita), ovvero si riduca (nel caso in cui i genitori possano conculcare la minore, imponendo soluzioni, anziché favorendo un processo formativo).”  (…)
  2. 2° gruppo. Un secondo gruppo di Giudici Tutelari aveva invece affermato sostanzialmente che al giudice non spetterebbe sindacare sui motivi addotti dalla minorenne all’aborto, né sull’esistenza dei seri motivi di non consultazione, in quanto sarebbe semplicemente sufficiente quanto affermato dalla minorenne stessa. Una volta verificata la sussistenza dei requisiti e la correttezza delle procedure indicati dalla Legge, al Giudice spetterebbe unicamente, da un lato, di fornire alla minorenne un sostegno volto ad integrare la sua libera ma non ancora del tutto formata volontà, e, dall’altro, di assicurarsi che la sua scelta sia libera da coercizioni morali, senza quindi entrare mai nel merito di quanto affermato dalla minorenne stessa, non essendovi bisogno di alcuna valutazione discrezionale circa i motivi addotti ed i seri motivi di non consultazione (da ciò discende che l’autorizzazione diviene quasi automatica, come ha affermato un giudice del primo gruppo). (…)

3.5.c) Compiti delle strutture. Alcuni giudici avevano espresso soddisfazione per il lavoro svolto dalle strutture del loro territorio, (in particolare dai Consultori) mentre altri, al contrario, avevano,espresso pareri negativi, osservando che la struttura non deve solo limitarsi a registrare quanto affermato dalla minorenne, ma farsi anche carici di verificarlo.      (…).

            Infine alcuni giudici avevano fatto presente che le strutture (in particolare Consultori, Servizi Sociali e ASL) avrebbero dovuto fornire alla minorenne non solo un valido sostegno socio-assistenziale, ma anche psicologico. Erano stati ad esempio segnalati anche casi di minorenni coinvolte nell’ambiente prostituzione, dove l’assistenza delle strutture sarebbe potuta risultare decisiva. (…)

            Testo ufficiale e tabelle         

www.camera.it/_dati/leg17/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/037bis/002_RS/INTERO_COM.pdf

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PARLAMENTO

Camera          Comm. Giustizia                   Divorzio breve

Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi. C. 831-892-1053-1288-1938-2200-B approvato dalla Camera e modificato dal Senato. – Relatori: D’Alessandro, FI-PdL e Morani, PD.

15 aprile 2015 Donatella Ferranti, presidente, avverte che la Commissione Affari costituzionali ha espresso parere favorevole sul testo in esame, iscritto nel calendario dell’Assemblea a partire da martedì 21 aprile prossimo. La Commissione delibera di conferire il mandato ai relatori, onorevoli Alessia Morani e Luca D’Alessandro, di riferire in senso favorevole all’Assemblea sul provvedimento in esame.

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2015&mese=04&giorno=15&view=&commissione=02&pagina=data.20150415.com02.bollettino.sede00040.tit00010#data.20150415.com02.bollettino.sede00040.tit00010

                                   Adozioni dei minori

Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare.  C. 2957 approvata dal Senato e C. 2040 Santerini.

14 aprile 2015

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2015&mese=04&giorno=14&view=&commissione=02&pagina=data.20150414.com02.bollettino.sede00010.tit00010#data.20150414.com02.bollettino.sede00010.tit00010

15 aprile 2015 Donatella Ferranti, presidente, comunica che alle proposte di legge in esame è abbinata la proposta di legge C. 3019 Marzano vertente su materia identica a quella oggetto delle proposte già abbinate.

            Alfonso Bonafede (M5S) preannuncia la presentazione di una proposta sulla medesima materia

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2015&mese=04&giorno=15&view=&commissione=02&pagina=data.20150415.com02.bollettino.sede00040.tit00010#data.20150415.com02.bollettino.sede00040.tit00010

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POLITICHE SOCIALI

                                   Bonus bebè 2015. Il Decreto attuativo.

D.P.C.M. 27 febbraio 2015, G.U. 10. aprile .2015

Ai sensi e alle condizioni di cui all’art. 1, comma 125, della Legge n. 190/2014, ai nuclei familiari, per ogni figlio nato o adottato tra il 1° gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017, è riconosciuto l’assegno di cui all’art. 3 su domanda di un genitore convivente con il figlio.

E’ quanto prevede il DPCM 27 febbraio 2015 pubblicato in Gazzetta Ufficiale 10 aprile 2015, n. 83.

I nuclei familiari beneficiari, al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata del beneficio, devono essere in possesso di ISEE in corso di validità non superiore a 25.000 euro annui.

L’assegno è fissato in un importo annuo pari ad 960 euro per figlio. Per i nuclei in possesso di ISEE non superiore a 7.000 euro annui, l’importo annuo dell’assegno è pari a 1.920 euro.

L’assegno è corrisposto dall’INPS, su domanda del genitore, con cadenza mensile, per un importo pari a 80 euro se la misura annua dell’assegno è pari ad euro 960 ovvero per un importo pari a 160 euro se la misura annua dell’assegno è pari a 1.920 euro.

L’assegno è concesso a decorrere dal giorno di nascita o di ingresso nel nucleo familiare a seguito dell’adozione e fino al compimento del terzo anno di età oppure fino al terzo anno dall’ingresso nel nucleo familiare a seguito dell’adozione.

Altalex, 14 aprile 2015                      www.altalex.com/index.php?idstr=26&idnot=70871

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SEPARAZIONE E DIVORZI

Regolamentazione delle spese straordinarie.

            Tribunale di Mantova – Regolamentazione delle spese straordinarie nei giudizi di separazione, di divorzio e in quelli proposti ex art. 337 bis c.c.

(…) – pone a carico di entrambi i genitori, nella misura del 50% a testa, senza necessità di previo accordo e con obbligo di rimborso entro 20 giorni a fronte della semplice esibizione del documento attestante la spesa da parte del genitore che l’ha anticipata per intero, le seguenti spese straordinarie:

  1. spese mediche: tutte quelle per visite mediche, esami e cure, anche odontoiatriche, erogate in ambito pubblico con pagamento di ticket (e quindi non interamente coperte dal SSN) che siano debitamente prescritte da un medico, nonché quelle per esami e cure in ambito privato urgenti ed indifferibili e non erogabili in ambito pubblico in tempi rapidi;
  2. spese scolastiche: tasse di iscrizione (ivi comprese eventuali assicurazioni obbligatorie richieste dall’istituto) all’asilo nido, alla scuola dell’infanzia, alla scuola dell’obbligo, alla scuola superiore e, dopo la maturità, tasse per l’iscrizione ad università pubblica (qualora i figli proseguano negli studi); acquisto dei libri di testo scolastici ed universitari; spese per la mensa scolastica e per la partecipazione alla gita scolastica organizzata dalla scuola; spese per il trasporto da e per la sede di studi universitaria con mezzo pubblico;
  3. altre spese straordinarie: spese per le lezioni di scuola guida (pratica e teoria). Tutte le altre spese di natura straordinaria (a titolo meramente esemplificativo: per la baby sitter, per l’attività ludico-sportiva, per l’acquisto di computer o telefono cellulare, per l’acquisto di motorino od autovettura, per le vacanze estive, per la locazione di appartamento presso la sede universitaria, etc.) saranno parimenti suddivise al 50% tra i genitori secondo le modalità e tempistiche sopra precisate, ma solamente se previamente concordate tra i medesimi; occorre infine precisare che per le spese straordinarie che richiedono il preventivo accordo, il genitore, a fronte di una richiesta scritta dell’altro, dovrà manifestare un motivato dissenso per iscritto entro dieci giorni dalla richiesta; in difetto il silenzio sarà inteso come consenso alla spesa, che dovrà essere rimborsata, per la quota di spettanza, entro 20 giorni dall’esibizione del documento attestante l’esborso.

Redazione il caso.it – news 41, 16 aprile 2015                                            http://news.ilcaso.it/news_321

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SESSUOLOGIA

Sesso e gender? Davvero alternativi?

            La recente prolusione del cardinale Bagnasco ai lavori della sessione primaverile del Consiglio episcopale permanente della Cei, affronta, in un apposito paragrafo, la questione della teoria del «gender». Il Presidente della Conferenza episcopale italiana manifesta tutta la propria preoccupazione per la sua possibile introduzione all’interno della scuola – il tentativo di introdurla è stato lo scorso anno sventato dall’emergere di posizioni contrastanti nell’ambito della maggioranza di governo e da una forte presa di posizione dei vertici della chiesa italiana – denunciando drasticamente i rischi ad essa connessi e sollecitando un risveglio della coscienza individuale e collettiva perché reagisca a tale prospettiva.

La tesi del cardinale Bagnasco è, infatti, che la teoria del «gender» – sono sue parole – «pone la scure alla radice stessa dell’umano per edificare un ‘transumano’ in cui l’uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità». In altre parole, si tratterebbe di una visione antropologica che mette radicalmente in discussione la naturalità dell’identità di genere, il suo stretto legame cioè con la differenza originaria dei sessi, e che finisce, di conseguenza, per ricondurre gli atti sessuali a una mera costruzione sociale. Per questo il Presidente della Cei non esita ad usare espressioni forti come «identità senza essenza» o a parlare di «persone fluide» – il rinvio è qui (forse) alla «società liquida» di Bauman – «che pretendono che ogni desiderio si trasformi in bisogno, e quindi diventi diritto».

Un cambio radicale di prospettiva. Si tratta – come è evidente – di giudizi pesanti, che meritano una seria considerazione. Non vi è dubbio, infatti, che la teoria del «gender» si presenta in molti casi sotto la forma di un’ideologia assoluta e totalizzante, che tende a soppiantare radicalmente la tradizionale interpretazione della differenza sessuale, negando di fatto ogni ruolo al sesso biologico. Ma è questa l’unica possibile lettura di tale teoria? Per rispondere è anzitutto necessario far luce sulle sue origini e sulle ragioni che ne hanno provocato l’insorgenza.

Nata agli inizi degli anni novanta del secolo scorso negli Stati Uniti, la teoria del « gender»» si è posta, fin dall’inizio, come obiettivo quello di spiegare la pluralità di identità delle persone, non riducibile al semplice dato biologico, ma legata alla presenza anche di altri fattori. Posta in questi termini, la questione non è in realtà del tutto nuova. La tendenza a considerare l’identità soggettiva come frutto di un processo complesso, che coinvolge, oltre al dato biologico, le dinamiche psicologiche ed educative, le varie forme di socializzazione e il contesto culturale entro il quale ha luogo lo sviluppo della personalità, è, in qualche misura, sempre esistita. A caratterizzare, tuttavia, l’attuale corso è un vero e proprio salto qualitativo, che coincide con l’assegnazione del primato ai fattori ambientali – sociali e culturali – e che mette in discussione i modelli relazionali del passato, aprendo la strada a nuove forme di incontro e di reciproco riconoscimento.

Le cause di questa svolta vanno addebitate, da un lato, agli sviluppi dell’ideologia liberale, che ha sottolineato con forza la libertà dell’autocostruzione individuale della persona e, dall’altro, al pensiero femminile, che, nella fase più recente, è passato (almeno in alcune aree della propria elaborazione) dal teorizzare il valore delle differenze, proponendo come modello la reciprocità tra i sessi, alla loro negazione, perciò alla rinuncia a catalogare i generi in forza dell’apertura a un intreccio indefinito di possibilità espressive anche a livello sessuale.

Natura e cultura: un binomio da integrare. È naturale che questo modo di fare l’approccio susciti (e non possa non suscitare) forti perplessità nell’ambito del mondo cattolico (e non solo) e renda, in certa misura, plausibile la reazione del cardinale Bagnasco, che intravede in esso il pericolo (non puramente ipotetico) di incorrere in una totale confusione circa il costituirsi della coscienza di sé, con la conseguente ampia dilatazione delle modalità di attuazione dell’esperienza sessuale.

Questa lettura, per quanto prevalente non è tuttavia l’unica possibile. Se, infatti, si abbandona una prospettiva rigidamente ideologica, che – è corretto rilevarlo – soggiace tanto alle posizioni estreme della teoria del gender» quanto ad alcune forme allarmistiche di reazione presenti in area cattolica, e si fa spazio a una visione più attenta alla globalità e alla complessità dell’umano, lo scontro risulta tutt’altro che inevitabile. Sesso e «gender», lungi dal dover essere concepite come realtà del tutto alternative, sono fattori che possono (e devono) reciprocamente integrarsi.

A ben guardare è qui in gioco la definizione di un giusto equilibrio tra natura e cultura. Non si tratta di optare per l’una rinunciando all’altra, ma di rimetterle correttamente in circolazione tra loro; si tratta cioè, nel caso specifico, di riconoscere l’importanza fondamentale che riveste la differenza uomo-donna, che ha anzitutto la propria radice nel sesso biologico e che costituisce l’archetipo irrinunciabile da cui ha origine l’umano, e di non esitare a riconoscere, nello stesso tempo, il ruolo delle strutture sociali e della cultura.

Il peso determinante della cultura. È senz’altro merito della teoria del «gender» l’aver dato maggiore rilevanza nella definizione dell’identità di genere ai vissuti personali, concorrendo così al superamento di alcuni pregiudizi, fonte di gravi discriminazioni, come quelle che hanno a lungo determinato (e in parte tuttora determinano) l’emarginazione di alcune categorie di persone, gli omosessuali e i transessuali in primis. D’altra parte, non si può negare che esista un indubbio aspetto di verità nella difesa che la gerarchia cattolica ha fatto (e fa) del dato biologico quale base imprescindibile dell’umano, segnalando pertanto il pericolo che la sua decostruzione finisca per comprometterne gravemente l’identità.

La composizione delle due esigenze va allora ricercata in una revisione del concetto di «natura umana» (e di «legge naturale umana»); revisione per la quale preziose indicazioni si trovano anche nella storia del pensiero cristiano. Si pensi soltanto alla posizione assunta a tale riguardo da parte della teologia scolastica, la quale, reagendo nei confronti della tradizione patristica che, influenzata dal dualismo platonico e dal naturalismo stoico, aveva accentuato la fissità del dato biologico, sottolinea con forza l’importanza del dato culturale, facendo consistere nella «razionalità» – «natura ut ratio» secondo la nota formula di Tommaso d’Aquino – la specificità della natura umana e riconoscendone, di conseguenza, l’aspetto dinamico ed evolutivo.

La ricerca del confronto. Questa ultima interpretazione è venuta consolidandosi nel secolo scorso grazie agli apporti decisivi di alcune correnti filosofiche moderne, la fenomenologia e il personalismo in particolare, che hanno riportato l’attenzione sulla globalità dell’umano, ponendo sempre più l’accento sul dato culturale e sociale quale suo fattore costitutivo. Si deve aggiungere poi che un ulteriore (e decisivo) contributo all’approfondimento dei presupposti antropologici che stanno alla radice della teoria del ««gender» (oltre a quelli già segnalati dell’ideologia liberale e del pensiero femminista) è stato fornito dalla riflessione di alcuni pensatori di area francese – da Michel Foucault a Gilles Deleuze sino a Jacques Derrida – che, partendo dalla consapevolezza della ricchezza dell’umano, hanno reso trasparente come la questione dell’identità vada ripensata nell’ottica di una maggiore attenzione alla singolarità della coscienza di sé e della propria libertà, nonché facendo spazio alle decisioni soggettive e agli stili di vita personali ed evitando perciò di dare l’adesione a paradigmi universalistici, che non rispettano le diversità individuali.

Respingendo posizioni unilaterali e semplificatrici di marca strettamente ideologica che non hanno peraltro – come già si è detto, anche se giova ribadirlo – alcun riscontro nella realtà, si deve ammettere che la lettura del mondo umano che proviene dalla teoria del «gender» non può che sollecitare l’etica in generale, e quella di ispirazione cristiana in primo luogo, a fondare i propri orientamenti su basi più ampie di quelle tradizionali, prestando maggiore attenzione alle complesse dinamiche che presiedono alla costruzione dei comportamenti, dinamiche legate ai processi strutturali e culturali propri della società cui si appartiene.

La rivelazione biblica offre, a tale proposito, importanti suggestioni, invitando a riflettere sulla dialettica esistente tra la postulazione di un «principio» – l’archetipo – al quale non si può rinunciare – la differenza dei sessi che ha la sua origine nel dato biologico e che viene ricondotta all’ordine della creazione – e il costante riferimento alle forme culturali, che modellano, di volta in volta, l’identità e le preferenze sessuali, configurandole, nella loro dimensione storica, come fenomeni in costante divenire.

L’abbandono di ogni preclusione ideologica, inclusa quella presente in forme di rifiuto aprioristico della teoria del «gender» (la prolusione del Cardinal Bagnasco corre questo pericolo), e l’apertura a un confronto sereno e costruttivo tra le posizioni più moderate che abbiamo delineate – confronto che, per essere costruttivo e fecondo, va incentrato sul riconoscimento della dignità della persona umana e dell’uguaglianza dei diritti, perciò su una piattaforma di valori condivisi – è la via da percorrere per contribuire allo sviluppo di una convivenza civile nella quale le differenze, lungi dall’essere demonizzate o emarginate, si traducano in ricchezza per la vita dell’intera famiglia umana.

Giannino Piana                 “Rocca” n. 8, 15 aprile 2015

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201504/150417piana.pdf

Numero monotematico sulla sessualità.

“Dire Psicologia” è la newsletter gratuita prodotta dall’agenzia Dire allo scopo di divulgare l’informazione alle diverse professionalità del settore. I destinatari sono gli psicologi, gli psicoterapeuti, i medici, i dirigenti scolastici, gli insegnanti, gli studenti e tutti coloro che sono interessati alle tematiche inerenti la Psicologia, la Pedagogia, la Psichiatria e la Neuropsichiatria.

newsletter AGENZIA dire psicologia, 14 aprile 2015 –

http://www.direnews.it/newsletter_psicologia/anno/2015/aprile/14/index.php

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SINODO DEI VESCOVI

Le risposte della Rivista Matrimonio (Brescia)

Domanda previa riferita a tutte le sezioni della Relatio Synodi

La descrizione della realtà della famiglia presente nella Relatio Synodi corrisponde a quanto si rileva nella Chiesa e nella società di oggi? Quali aspetti mancanti si possono integrare?

Benché ci siano diversi richiami al coinvolgimento delle famiglie, definite “soggetto imprescindibile dell’evangelizzazione”, nell’attività a diversi livelli della comunità ecclesiale, e soprattutto delle parrocchie, non c’è un’adeguata riflessione sul “ministero della coppia”, che non si esaurisce nelle cose da fare, ma nel far percepire a tutta la chiesa la sensibilità e lo stile che nasce dall’essere coppia prima e famiglia poi. Uno stile in cui le difficoltà e i limiti si affrontano vivendo in relazione.

I Parte L’ascolto: il contesto e le sfide sulla famiglia… omissis

Le domande che si propongono di seguito… intendono facilitare il dovuto realismo nella riflessione, evitando che le risposte possano essere fornite secondo schemi e prospettive proprie di una pastorale meramente applicativa della dottrina, che allontanerebbe la riflessione dal cammino ormai tracciato.

Ci sembra importante cogliere l’invito che precede la formulazione delle domande. Esso sottolinea la necessità di non fermarsi al solo aggiustamento del linguaggio, ma di mettersi in ascolto e di modificare profondamente l’approccio ai problemi.

Il contesto socio-culturale (nn. 5-8) … omissis

Come l’azione pastorale della Chiesa reagisce alla diffusione del relativismo culturale nella società secolarizzata al conseguente rigetto da parte di molti del modello di famiglia formato dall’uomo e dalla donna uniti nel vincolo matrimoniale e aperto alla procreazione?

Parliamo di un “relativismo culturale nella società secolarizzata”, ma si potrebbe forse riconoscere L’esistenza di un “relativismo culturale nella comunità ecclesiale”: ci riferiamo al fatto che il testo biblico non può essere letto in maniera “statica”, ma deve essere continuamente interpretato e reinterpretato in maniera dinamica, alla luce delle acquisizioni degli studi biblici e della riflessione teologica nonché del progresso scientifico, anche per quanto attiene al “modello di famiglia”. Non a caso nella Relatio synodi, al n. 12, si legge “ogni volta che torniamo alla fonte dell’esperienza cristiana si aprono strade nuove e possibilità impensate».

II Parte Lo sguardo su Cristo: il Vangelo della famiglia … omissis

Verità e bellezza della famiglia e misericordia verso le famiglie ferite e fragili (nn. 23-28) (…)

Le considerazioni che riguardano le famiglie “ferite e fragili” riguardano tutte le famiglie, anche quelle i cui matrimoni risultano “riusciti e solidi”. Vale, per tutte, la raccomandazione dell’Evangelii gaudium su citata. Il centro dovrebbe essere la comunità. Non si possono considerare solo i problemi delle singole coppie e/o delle singole famiglie senza un rapporto vitale con la comunità e senza una presenza attiva di coppie e famiglie nella comunità.

Pensiamo ai momenti forti della celebrazione dei sacramenti (del matrimonio, ma anche dei sacramenti dell’iniziazione cristiana per i figli), ma pensiamo anche alla lettura comunitaria della parola di Dio, con il contributo di esperienza (e oggi persino di competenza biblica e teologica) di laici sposati, di genitori e anche di nonni. Pensiamo all’assunzione di ruoli di responsabilità nella vita parrocchiale e diocesana, compresi apporti di competenza nelle scienze umane.

Se non c’è una comunità che riconosce, sostiene e condivide, tutto rischia di restare prescrizione, affermazione di principi riferiti alla Scrittura e utilizzati per giudicare dei comportamenti.

Non esiste la categoria dei ‘conviventi’, degli ‘sposati solo civilmente’, quella dei ‘separati’ o dei ‘divorziati risposati’ ecc. Esistono delle persone che vivono queste condizioni, impegnate nella reciproca cura e promozione umana, non raramente in modo più fedele all’annuncio evangelico di quanto non facciano coloro che sono regolarmente sposati in chiesa. E’ necessario un impegno al discernimento, finalizzato a una pastorale differenziata che non appiattisca tutti in una categoria.

Quanto all’auspicio: ‘siano aiutati a giungere alla pienezza del matrimonio cristiano’ non ci pare debba essere un traguardo obbligatorio. Da un lato riteniamo che non si dovrebbe parlare di “matrimonio cristiano”, ma di “matrimoni dei cristiani’: il sacramento non conferisce privilegi né garantisce sconti sul matrimonio di tutti; dall’altro si tratta di riconoscere i valori positivi che ci possono essere nelle diverse relazioni d’amore, non generalizzando l’espressione “condizione oggettiva di peccato”.

Non diciamo che la chiesa deve considerare uguali tutte le situazioni: la chiesa deve continuare ad annunciare il matrimonio tra un uomo e una donna, celebrato come un sacramento, ma non dovrebbe negare i sacramenti della riconciliazione e dell’eucarestia e la collocazione nelle esperienze ecclesiali a tutte le persone che vivono relazioni d’amore diverse, che hanno un’alta qualità di amore e di fede e si impegnano a far crescere la propria umanità, cioè a vivere l’annuncio evangelico.

E’ importante richiamare l’attenzione a un’accoglienza misericordiosa, ma si deve anche far attenzione ai valori che queste persone esprimono e vivono e alla testimonianza che danno.

Del resto la stessa Relatioal n. 25 afferma: “Dio è all’opera in ciascuna delle loro vite dando il coraggio di compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno dell’altro ed essere al servizio della comunità nella quale lavorano“ e ancora, al numero 46: “Ogni famiglia va innanzitutto ascoltata con rispetto e amore. Valgono in maniera particolare per queste situazioni le parole di Papa Francesco: ‘La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento’, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro. Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità…”

E’ stato ipotizzato che ogni vescovo, nella sua diocesi, attraverso un gruppo di persone, possa discernere caso per caso la qualità di una coppia, avendo anche la possibilità di fare delle scelte diverse da quelle enunciate come principio, ma noi pensiamo che solo la coppia può discernere la qualità della sua relazione e accedere a quel sacramento della riconciliazione che oggi le viene negato: perché certamente il principio della indissolubilità del matrimonio dovrà rimanere, ma bisognerà presentarlo come proposta ideale. Un traguardo certo non facile, che richiede un profondo mutamento culturale-teologico.

Se ne dovrebbe parlare come di un ideale verso cui tendere e non come di una legge che vincola. Sarebbe anche auspicabile una mutazione del linguaggio: invece di sottolineare l’indissolubilità – concetto prevalentemente giuridico – si dovrebbe parlare di fedeltà – concetto biblico, non meno esigente dell’indissolubilità, ma meno formale e più sostanziale.

Se parliamo di progetto ideale, parliamo di un fatto che coinvolge totalmente l’uomo, un progetto che si proietta nel futuro, che gode della speranza e del piacere di pensarsi anche in un futuro. Pensare con gioia a questo futuro è la funzione dell’ideale, che è sempre una meta, uno slancio verso. Quando lo fossilizziamo diventa “idealizzazione” cioè un meccanismo di difesa. Il progetto comporta delle tappe: significa assumersi la responsabilità di trasformare un innamoramento in amore e quindi di prendersi cura dell’altro. Parlare di progetto significa fare riferimento alla nostra condizione che è legata allo spazio e al tempo. In questo senso non si dovrebbe essere rigidi, ma aperti al cambiamento, in rapporto alle situazioni e al nostro stesso cambiamento in seguito alle scoperte che facciamo. E’ cammino facendo che ci scopriamo e ci riprogettiamo di conseguenza.

E’ forse necessario domandarsi se si può parlare di un “progetto di Dio” sul matrimonio e la famiglia o se quest’espressione non sia una proiezione su Dio del nostro essere legati al tempo e allo spazio. Non possiamo proiettare su Dio la nostra esigenza di progettare. Dovremmo dire che il progetto è dell’uomo e non di Dio, ovvero che Dio non interviene dal di fuori nella storia dell’uomo, ma la anima dall’interno e che il cristiano, man mano che vive, deve chiedersi se i suoi progetti sono coerenti o meno con l’annuncio evangelico.

III Parte Il confronto: prospettive pastorali (…)

Identificare come elementi costitutivi del matrimonio soltanto l’unità, l’indissolubilità e l’apertura alla procreazione, ci sembra insufficiente e restrittivo. La coppia e la famiglia sono anche il “luogo” della crescita umana e cristiana, culturale e spirituale, personale e sociale, degli sposi, dei genitori e dei figli.

Non c’è alcun cenno alla passione amorosa, alla dimensione del piacere sessuale, che sono fattori importanti dell’unità della coppia: sembra di cogliere in questo silenzio un problema non ancora risolto nei confronti della sessualità. L’esperienza sponsale ci avvicina di giorno in giorno a capire il senso del matrimonio, alla luce della parola di Dio, che ci chiede di essere testimoni e annunciatori del suo amore fedele e di interpretare questo progetto di fedeltà.

Manca ancora una visione più ampia che, partendo dalla fecondità all’interno della coppia stessa, si allarghi non solo ai figli (biologici e non) ma anche ad altri interlocutori della coppia e della famiglia, fino a comprendere la comunità civile e quella ecclesiale nelle quali la coppia e la famiglia sono inserite. Questa perdurante carenza di attenzione alle dimensioni della fecondità proprie di ogni amore sponsale ci sembra preoccupante. (…)

Lungi dall’obiettivo di “rendere più accessibili e agili, possibilmente gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità”, pensiamo che tutta la materia che riguarda la nullità del matrimonio dovrebbe essere rivista e che bisognerebbe considerare l’ipotesi di andare verso l’abolizione del tribunale ecclesiastico per le cause di nullità. Pensiamo che la materia del matrimonio appartenga più all’area del perdono (sacramento della riconciliazione) che a quella dei presupposti giuridici /diritto canonico) e che già a partire dal termine “tribunale”, si colga la pretesa di giudicare utilizzando canoni diversi da quelli della misericordia e del perdono, che sono i canoni di Dio.

La richiesta di nullità ha una sorta di freddezza dentro, un’ambiguità di fondo, perché va in cerca degli antefatti per costruire una via di uscita che oltrepassi il contenuto della relazione nel tempo e consenta un decollo futuro, spesso idealistico o fantastico quanto lo era stato nel primo matrimonio. La nullità del matrimonio è spesso una ferita grave che viene inferta all’altro, quando lo si accusa di incapacità (psichiatrica o psicologica, sessuale nelle sue varie sfumature…) e può essere perfino sconvolgente, può arrivare a minare la personalità; e impone ai figli, nati da un gesto d’amore, la fatica di elaborare il lutto della fine di un mondo. Il sostegno e l’aiuto della misericordia di Dio non possono arrivare da un tribunale ecclesiastico, retaggio di una Chiesa giudicante, ma dall’amore vissuto all’interno di una relazione perdonante. (…)

Vogliamo ripetere quanto su già detto: il centro dovrebbe essere la comunità; se non c’è una comunità che riconosce, sostiene e condivide, tutto rischia di restare prescrizione, affermazione di principi. L’ipotesi di cambiare atteggiamento nei confronti dei divorziati risposati che chiedono il sacramento della riconciliazione e la partecipazione all’eucarestia non dovrebbe essere vanificata dall’affermazione che “la chiesa non sbaglia e o non può aver sbagliato”.

I pastori dovrebbero liberarsi da questo assioma e riconoscere che modificare le norme in funzione di una continua rilettura della Scrittura e della realtà non è qualcosa che sminuisce la chiesa. Al contrario, è la rigidità che crea problemi alla chiesa. Si tratta di riconoscere che le cose cambiano, che la realtà evolve, e di non definire tutto “relativismo culturale”: le cose cambiano perché il contesto, le conoscenze, le acquisizioni delle ricerche umane procedono. Del resto la stessa Relatio, al n. 38, afferma che: ‘la pastorale sacramentale nei riguardi dei divorziati risposati, necessita di ulteriori approfondimenti valutando anche la prassi ortodossa”. La chiesa ha interpretato le scritture in maniera consona al tempo in cui tale interpretazione accadeva, e questa oggi può esser giudicata insufficiente. Si tratta anche di evitare che la Tradizione, che alimenta la riflessione teologica, non venga identificata con le tradizioni e le abitudini che la chiesa ha fatto proprie. Riteniamo che la chiesa non può rimanere ancorata a scelte che potevano essere giustificate dalla minore conoscenza della Parola di Dio in passato, ma che non lo sono più oggi.

Nel cambiamento della realtà, grazie alle scoperte e all’evolversi della conoscenza umana, c’è una Parola di Dio che ci viene detta. Se ci irrigidiamo sui ‘principi inamovibili’, questo cammino con l’umanità ci viene precluso. Crediamo che la Rivelazione continui, che la profezia non sia finita: il Primo e il Nuovo Testamento restano un punto fermo di riferimento per camminare e confrontarci e per capire che tutto è un ‘percorso’, anche quello che stiamo vivendo ora.

Molte delle persone divorziate e risposate non credono di dover fare un cammino penitenziale per potersi accostare alla comunione, perché vivono la loro scelta come buona.

Noi pensiamo, prescindendo dal tema del peccato:

  • che ricorrere alla misericordia di Dio per due che hanno rotto un legame può servire per vivere in pace e con maggior consapevolezza la nuova situazione, anche sotto il profilo della fede: la scoperta della misericordia di Dio è la scoperta di un amore per noi;
  • che non si può dire “è un problema solo personale e nessuno deve entrarci”, perché una rottura porta sempre nelle persone vicine a quella coppia un dolore e un disagio.

Ma pensiamo anche che le ragioni per cui si arriva al divorzio sono tali e tante che non è possibile fare dei divorziati risposati un’unica categoria, cui guardare sempre nell’ottica del peccato. .Al numero 52 della Relatio si può leggere: “Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che ‘l’imputabilità e la responsabilità di una azione possono essere sminuite o annullate “ da diversi” fattori psichici oppure sociali’ (Catechismo della Chiesa Cattolica ,1735)”, precisazione qui omessa. Pensare che tutte le situazioni siano ascrivibili ad una “situazione oggettiva di peccato”, di cui eventualmente considerare le “circostanze attenuanti”, significa far riferimento ad una norma (definita “legge di Dio”) alla quale si è derogato e richiamare all’obbedienza, senza lasciar spazio alla coscienza.

S’innesta qui la riflessione sul versetto di Matteo “per la durezza del vostro cuore…. Ma in principio non era così”. Anche se il tempo a cui fa riferimento quell’“in principio…” non è mai esistito, ci sembra che debba essere conservato il valore simbolico dell’espressione, ma anche che essa indichi “ciò che sarà” più che “ciò che è stato”, un orizzonte ideale, cui siamo chiamati a tendere, più che una legge, cui siamo chiamati ad obbedire ciecamente a qualunque costo.

Gli studi biblici dicono che il libro della Genesi è stato scritto per ultimo, quando erano già in essere i precetti di Mosè e le leggi che regolamentavano le relazioni all’interno del matrimonio. Il popolo ebraico viveva queste leggi e l’autore della Genesi le ha proiettate in un principio, ma non è il principio che fa la vita, ma è la vita che fa i principi: è dall’esperienza del popolo ebraico che è nato anche l’in principio. Dentro questo discorso pulsa lo Spirito e importante è sentire di non essere soli, ma di camminare dentro una comunità, mai senza l’altro dunque. E con gli altri impariamo a discernere quali siano i principi cui fare riferimento.

Il teologo è colui che vive la realtà, non quello che la studia; una teologia che nasce dal basso, dalla vita, non una teologia che fa discendere dall’alto principi e leggi, cui l’uomo si deve adeguare. Sul piano pastorale, quando nascono dei problemi piccoli o grandi, non può mancare questa attenzione “dal basso”.

Allora nel discorso dei divorziati risposati che chiedono l’eucarestia, appare come sia importante trovare una strada che parta dal basso, se non per risolvere, almeno per avvicinarci alla soluzione. Sarebbe un primo passo per capire che la chiesa cresce con la parola di Dio.

Chi può dire di ‘meritare’ l’eucarestia, se ci confrontiamo con la ‘non carità’ verso i poveri, i deboli, i soli; la ‘non mitezza’ verso chi riteniamo ci offenda, verso chi non sta alle regole o, peggio, non è all’altezza delle nostre attese; il ‘non aver cura’,…Proponiamo quindi di intensificare il momento penitenziale della celebrazione eucaristica: una comunità che diventa penitenziale non in momenti particolari o luoghi particolari ma nel momento centrale del suo essere comunità: la celebrazione eucaristica. Non dunque spazi e momenti riservati ma spazi comunitari, in cui impariamo, come comunità a chiedere perdono.

39. La normativa attuale permette di dare risposte valide alle sfide poste dai matrimoni misti e da quelli interconfessionali?Occorre tenere conto di altri elementi?

Il richiamo all’ecumenismo è importante e non solo per “valutare la prassi ortodossa” (domanda precedente) per la questione dei divorziati risposati, ma anche come ampliamento della visione cristiana sulla relazione sponsale alla luce della lettura di oggi della Parola di Dio e delle esperienze (storiche e attuali) dei fratelli delle altre confessioni cristiane.

L’attenzione pastorale verso le persone con tendenza omosessuale (nn. 55-56) (…)

La risposta a questa domanda va ricercata nuovamente nel valorizzare il ruolo della comunità nell’incontrare, nell’accogliere e ascoltare “gli uomini e le donne con tendenze omosessuali con rispetto e delicatezza”.Ci sembra del tutto ingiustificato proporre l’immagine di una volontà esigente di Dio che rispondere a modalità normative che nascono dalle paure e dai pregiudizi degli uomini. Sono tutti amati in maniera precisa, puntuale e personale da Dio e come tutti sono chiamati ad accogliere e annunciare l’evangelo con e nella loro vita e in coscienza a discernere la volontà di Dio nella loro storia. La Chiesa non può rinunciare a promuovere il matrimonio tra un uomo e una donna, ma questo non giustifica la svalutazione, fino al disprezzo, di altre situazioni e l’opposizione a soluzioni legislative che garantiscano i diritti civili delle persone implicate.

La trasmissione della vita e la sfida della denatalità (nn. 57-59) (…)

Riconosciamo positivo il riferimento all’Humanae Vitae solo a titolo esemplificativo e ricordiamo le indicazioni del Concilio (Gaudium et Spes, 16 ) sulla priorità delle scelte in coscienza, coscienza che nella realtà dell’esperienza coniugale assume un valore sacramentale specifico.  … omissis

La sfida dell’educazione e il ruolo della famiglia nell’evangelizzazione (nn. 60-61) (…)

In ordine alla “trasmissione della fede”, occorre ricordare che non sempre i coniugi riescono a parlare tra loro della fede e del senso dell’essere credenti. Spesso, poi, i genitori fanno fatica a parlare con i loro figli e a maggior ragione non sanno “parlare” con loro della propria fede. Più che di un “dovere della trasmissione della fede” parleremmo, con prudenza, di “tentare di trasmettere la fede con la loro testimonianza personale e di coppia.                       L’indice del sinodo             17 aprile 2015

http://www.ilregno-blog.blogspot.it/2015/04/le-risposte-della-rivista-matrimonio.html

                        Le risposte di Noi siamo Chiesa. Una consultazione carente

Dopo lo scorso Sinodo si sono avviate altre consultazioni nella base del popolo cristiano per il prossimo Sinodo ordinario di ottobre. Esse hanno più tempo a disposizione di quelle precedenti e hanno alle spalle i documenti sinodali e tutto il dibattito prima e dopo.

            I Sinodi precedenti sono stati pressoché inutili, con dibattiti tutti interni al mondo ecclesiastico. Ora però le cose stanno cambiando. Le attuali quarantasei domande riguardano tematiche che ci sono ormai consuete. Sempre positivo ci sembra questo metodo di porre problemi da discutere, di cercare di guardare la realtà che è spesso lontana dalle predicatorie litanie tradizionali sulla famiglia del nostro mondo ecclesiastico.

Questo metodo però, almeno nel nostro paese, non è ben gestito. Il momento della riflessione sulle questioni proposte si ferma alle parrocchie e agli incontri di base, dove questi si fanno e sul numero e le caratteristiche dei quali non riusciamo ad avere informazioni generalizzabili. Poi tutto si incanala in un percorso gerarchico, a filtri successivi, verso le diocesi e poi verso la Conferenza Episcopale. Nulla viene comunicato sulle caratteristiche e sui contenuti di questa consultazione che dovrebbe essersi già conclusa. L’unica informazione vera, nel Consiglio Episcopale Permanente di marzo, riguarda “l’importanza dell’alleanza tra sacerdoti e sposi; per cui i candidati al ministero ordinato facciano esperienza reale di pastorale familiare”.

Continua quindi la tradizione di nessuna trasparenza che i nostri vescovi ritengono utile affinché lo Spirito Santo possa manifestarsi senza occhi od orecchie indiscrete che lo ascoltino. Per fortuna, a quanto sappiamo, nella gran parte degli altri paesi, non è così ed una nuova riflessione sul messaggio autentico dell’Evangelo sulla famiglia si sta facendo strada nella Chiesa universale.

            Le opinioni di Noi Siamo Chiesa. Tutto ciò premesso, Noi Siamo Chiesa (NSC), anche in questa occasione, vuole dare il suo contributo, cercando di mettersi in sintonia con le gioie e con le sofferenze di oggi nel nostro paese su queste problematiche. (…)

L’insufficiente rappresentatività del Sinodo. Il nostro ulteriore contributo parte da un’attenta lettura della prolissa Relatio Synodi, del dibattito sinodale – per quanto conosciuto – e delle domande proposte ora dalla segreteria del Sinodo. La comprensione dell’iter sinodale ci induce anzitutto a ripetere quanto detto da tempo sulla composizione dell’assemblea e sui suoi limiti strutturali nel rappresentare la voce del Popolo di Dio, in particolare su argomenti così interni al vissuto quotidiano dei credenti, ai loro sentimenti, ai loro rapporti interpersonali e famigliari. Ci vorrebbe una maggiore presenza di donne, di coppie e di altri soggetti coinvolti sull’universo delle questioni in discussione che fosse significativa e selezionata non solo e non tanto in base a titoli ecclesiastici.

E’ pure un grave vuoto quello di esperti di umanità famigliare, di teologi/ghe e di rappresentanti di movimenti delle varie aree di esperienza e di sofferenza esistenti nell’universo cattolico. Un’assemblea di uomini celibi e anziani non si presenta, in partenza, come la più capace di capire al meglio le questioni in discussione. Il Movimento Internazionale Noi Siamo Chiesa aveva esplicitamente proposto al Segretario del Sinodo nello scorso aprile quindici nomi (di cui 12 donne) perché fossero ammessi a pieno titolo all’assemblea sinodale . Non è arrivata alcuna risposta.

Da più parti sono state fatte proposte analoghe. Nello scorso gennaio 15 associazioni e movimenti USA hanno inviato alla segreteria del Sinodo un Appello molto esplicito in questa direzione. Questa insufficiente rappresentatività del Sinodo sarà, almeno in parte, ridotta nella sessione ordinaria del prossimo ottobre?

            Tre questioni passate sotto silenzio.

Proprio in ragione di queste nostre riserve sul Sinodo così come è ora, ci sentiamo autorizzati a proporre per la discussione alcuni punti sui quali la riflessione e la ricerca ci sembrano siano stati carenti o assenti nella sessione straordinaria dello scorso ottobre. Speriamo che un supplemento di attenzione sia dedicato nel prossimo Sinodo a queste questioni. Ne elenchiamo tre di diverso tipo:

  1. L’attenzione alle situazioni economiche e sociali che condizionano la famiglia (lavoro, casa, emigrazione….) è stata insufficiente (se ne accenna solo ai punti 6 e 38 della Relatio). Esse mettono in difficoltà la tenuta della convivenza famigliare e della coppia. Nonostante tante volontà positive di intervento diretto la Chiesa deve parlare di più di ciò e anche additare le responsabilità individuali e politiche. Non deve rifiutarsi a doverose autocritiche nel nostro paese dove non esiste una vera politica famigliare, nonostante la presenza determinante da decenni al governo nazionale e ai governi locali di cattolici dichiarati.
  2. Le dinamiche famigliari riguardano la coppia – di essa molto si è parlato – ma anche il rapporto educativo tra genitori e figli e poi quello tra figli e genitori (“onora il padre e la madre”) così come tra fratelli e sorelle ed altri parenti. Situazioni di autoritarismo e, per un altro verso, di lassismo e di disimpegno dai propri doveri sono ancora troppo frequenti La condizione della donna, la sua piena dignità e il suo ruolo sono sempre su un piano scivoloso e inclinato dove ogni miglioramento è sempre a rischio di arretramento e violenze, esplicite o indirette, nei suoi confronti sono sempre all’ordine del giorno. E’ necessario definire un’etica della convivenza famigliare in cui gli affetti, i conflitti e le solidarietà abbiano come riferimento l’Evangelo. Chi ha pratica della pastorale quotidiana nelle nostre comunità cristiane sa quanta sia la rilevanza di queste situazioni. Il Sinodo di tutto ciò si è ben poco occupato. Tutto resterà come prima?
  3. Una maggiore riflessione è necessaria su come la famiglia emerge dalla predicazione di Gesù e anche sulla stessa famiglia di Gesù come presentata negli Evangeli. La famiglia e il matrimonio non sono al centro dell’Evangelo e, in ogni caso, il messaggio sulla famiglia che vi è contenuto non è interpretabile solo da chi vi vede principi e forme immutabili. Un’altra questione ignorata dal Sinodo riguarda lo straordinario evolversi nella storia del magistero della Chiesa sulle questioni della famiglia. A partire dall’accettazione del matrimonio stipulato secondo le norme civili vigenti fino al sacramento del matrimonio, alla sua forma e a tante altre situazioni. Si dovrebbe, dopo un’accurata disamina storiografica, avere perlomeno più prudenza nell’esprimere opinioni ultimative su “verità di fede” contenute nel Vangelo che impedirebbero qualsiasi modifica della dottrina e della pastorale. Perché nel passato queste “verità” erano abbastanza diverse? Ci sembra invece opportuno che il Sinodo apra a sperimentazioni che permettano maggiore elasticità nella pastorale per tenere conto delle culture locali, avendo molta attenzione allo spirito del messaggio evangelico e molto meno a forme che da esso si pretende di dedurre.

Divorziati, Humanae Vitae e omosessuali: non si può rimanere fermi. Contemporaneamente confermiamo i nostri punti di vista sulle questioni più dibattute che sono contenuti nei nostri documenti precedenti:

            — rimanendo acquisito ovviamente l’appello ideale all’indissolubilità del matrimonio, ci sembra che, per quanto riguarda i divorziati risposati, la strada da percorrere, senza indugi o mediazioni pasticciate, sia quella legata all’attuazione del canone 8 del Concilio di Nicea (primo concilio ecumenico) di tornare alla prassi dei primi secoli, che è ancora seguita dalle Chiese ortodosse. Essa è quella di ammettere all’Eucaristia, dopo un percorso penitenziale qualora ce ne siano le condizioni, le coppie divorziate e risposate civilmente, ammettendo le loro nuove nozze in Chiesa.

Le dichiarazioni di nullità siano esplicitamente limitate a situazioni evidenti (per esempio costrizione della volontà, frequente soprattutto in alcune situazioni locali) senza ipocrite sentenze o procedure lunghe e costose. Comunque il Sinodo dica che, per ogni divorziato risposato, debba valere il criterio della libertà di coscienza nel caso egli desideri ricevere l’Eucaristia, senza che ciò significhi alcuna censura, diretta o indiretta, da parte della comunità cristiana di cui fa parte.

            — nella Relatio Synodi e nelle 46 domande di questa seconda consultazione, senza che ci sia stata- a quanto ci risulta- una vera discussione, si dà per acquisita l’Humanae Vitae “di cui va riscoperto il messaggio…nella valutazione morale dei metodi di regolazione delle nascite”(n.58). Ciò è stupefacente. Si dovrebbe invece prendere atto della decadenza di questo magistero per assenza di receptio , fin dall’inizio, da parte del Popolo di Dio. L’insistere a ricordare l’Humanae Vitae, per un’errata volontà di affermare a ogni costo l’inerranza e la continuità del magistero, fa perdere credibilità ai nuovi contenuti che il Sinodo potrebbe proporre. Se i vescovi non se la sentono ancora, dopo 46 anni, di riconoscere esplicitamente l’errore contenuto in questa enciclica, almeno passi la linea del silenzio consistente nel non parlarne più a Roma e nelle chiese locali. Tutti capirebbero e ci sarà poi l’occasione per ripercorrere questa vicenda in un futuro neanche troppo lontano.

            — il passo indietro tra la Relatio post disceptationem e la conclusiva Relatio Synodi sulla questione delle persone omosessuali è stata evidente e deludente. La domanda n.40, di poche righe, esprime la volontà di accantonare, in modo troppo comodo, questioni di grande importanza di cui peraltro si è molto discusso. Ormai si è diffusa un’opinione interna alla Chiesa che pensa e dice altro. Infatti, si è preso consapevolezza, come conseguenza di una conoscenza più approfondita della sessualità, che l’omosessualità è una variante prevista dalla natura, la quale non è né statica né univoca. Le persone omosessuali sono fratelli e sorelle che possono stabilire rapporti di coppia che la comunità cristiana deve riconoscere e accettare. La cultura del nascondimento di queste situazioni o della discriminazione, ancora diffusa, nei confronti delle coppie omo non è evangelica. Il Sinodo prenda atto della riflessione e della pratica degli omosessuali che sono cristiani e che vivono, anche nella loro condizione di coppia, la vita di fede.

            Il clima di apertura del pontificato di Francesco dovrebbe portare il prossimo Sinodo, integrato nel modo che auspichiamo, a non avere paura di dare risposte nuove ed evangeliche nella dottrina e nella pastorale. Con l’aiuto dello Spirito Santo il Popolo di Dio potrà essere protagonista di una ripresa dello spirito del Concilio per la riforma della Chiesa su questioni centrali per la vita cristiana.

L’indice del sinodo     18 aprile 2015                                               www.noisiamochiesa.org/?p=4076.

www.ilregno-blog.blogspot.it/2015/04/le-risposte-di-noi-siamo-chiesa.html

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