NewsUcipem n. 540 –5 aprile 2015

NewsUcipem n. 540 –5 aprile 2015

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Per i numeri precedenti

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ABORTO VOLONTARIO               EllaOne: la decisione del CSS tutela salute donne e del concepito.

ADDEBITO                                       Va addebitata la separazione al coniuge ‘abituè’ del tradimento.

AFFIDAMENTO ESCLUSIVO        Sottrazione internazionale.

AFFIDO                                            Minori in difficoltà, l’affido sta morendo.

AFFIDO E ADOZIONE                   Appello dell’ANFAA

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  No attenuante per che paga con i1 1\5 dello stipendio pignorato.

BIBBIA                                              Nel racconto di Adamo e Eva, il mito dell’androgino di Platone?

CHIESA CATTOLICA                    Meglio sposarsi che ardere”. Anche in seconde nozze.

CINQUE PER MILLE                      Iscrizione agli elenchi 2015.

C. a. i.                                                Criteri per designazione dei rappresentanti delle Ass.ni familiari

CONTRACCEZIONE                      La contraccezione d’emergenza: sul meccanismo d’azione.

DALLA NAVATA                            Domenica di Pasqua – anno B –5 aprile 2015

DANNO                                             Fa credere al compagno di essere il padre di una bambina.

DIRITTO DI FAMIGLIA                Giurisprudenza del Tribunale di Milano.

FECONDAZIONE ARTIFICIALE  Solo due coppie su dieci avranno un figlio.

GRAVIDANZA                                 Cosa si può fare in caso di gravidanza ectopica?

ORIGINI                                           La loro ricerca: un iter in cui i ragazzi devono essere guidati.

PARLAMENTO Camera Assemblea          Relazione sull’attuazione L. 194\1978

            Senato                        Depositato il DDL 1756 “affido condiviso dei figli”.

RIPRODUZIONE UMANA             Un viaggio alla scoperta della riproduzione umana (Mozzanega).

SCIENZA & VITA                           Newsletter di Scienza & Vita n.79

SEPARAZIONE E DIVORZI                      Gli “assistiti”: niente contributo unificato né sospensione feriale.

SESSUOLOGIA                                “Non chiedeteci di restare indifferenti”

SINODO DEI VESCOVI                  Mons. Bettazzi: Con Francesco torna lo spirito del Concilio.

UNIONI CIVILI                               Coppie sposate e di fatto: ancora tante differenze per la legge.

VIOLENZA                                       Violenza sessuale anche senza querela, se collegata a reati.

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Andrea Mantegna, La Résurrection – 1457-1459.

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ABORTO VOLONTARIO

            EllaOne: la Decisione del CSS tutela la salute delle donne e del concepito.

La Società Italiana Procreazione Responsabile (SIPRe) esprime apprezzamento per la recente decisione del Consiglio Superiore di Sanità (CSS) in ordine alle modalità di prescrizione del farmaco ellaOne, la cosiddetta pillola dei cinque giorni dopo.

            Nonostante la pressione esercitata da influenti e interessati gruppi di pressione il CSS ha saputo verificare le contraddizioni e le incongruenze contenute nei documenti ufficiali dell’EMA, l’Agenzia Europea del Farmaco. Contraddizioni e incongruenze che compromettono gravemente il diritto delle persone e dei medici a essere correttamente informati sulle modalità di azione del farmaco in un ambito ad alto impatto esistenziale ed etico, quale è quello della sessualità e della procreazione, e che possono avere conseguenze estremamente pesanti sulla salute fisica e psichica delle utenti.

            Sarebbe interessante sapere se il CSS abbia avuto la possibilità di valutare il meccanismo d’azione del farmaco, con particolare riguardo ai suoi possibili effetti anti-annidamento dei quali non si parla nel foglietto informativo del farmaco. Il foglietto, infatti, si limita ad affermare per ellaOne un’esclusiva attività anti-ovulatoria che risulta, invece, essere assente proprio nei giorni più fertili del ciclo mestruale.

            E’, tuttavia, importante che il CSS abbia voluto mantenere, fra i doveri del medico, quello di escludere la gravidanza in atto. Paradossalmente, le conseguenze di ellaOne sulla prosecuzione di una gravidanza sono tuttora elencate da EMA fra i rischi potenziali gravi, proprio in quello stesso documento (l’Assessment Report EMA/73099/2015) attraverso il quale l’EMA decide che la gravidanza non debba più comparire fra le controindicazioni all’uso del farmaco.

            Il CHMP dell’EMA esclude frettolosamente che si applichino a ellaOne i quattro criteri menzionati nelle Linee Guida della Commissione Europea per richiedere che un farmaco per uso umano debba essere prescritto dal medico. In particolare risulta superficialmente affrontato il secondo criterio, in relazione al possibile uso off-label finalizzato a interrompere una gravidanza: oltre ad agire, come risulta dalla letteratura medica, con meccanismo prevalentemente anti-annidamento, ellaOne è perfettamente in grado, quantomeno per somministrazione di dosi multiple, anche di interrompere una gravidanza in atto. EMA ricorda (A.R. EMA/73099/2015), peraltro in modo esplicito, che HRA Pharma era stata richiesta di produrre studi che escludessero tale possibilità ma che si è ben guardata dall’effettuarli o dal comunicarli.

            Tuttavia, per sostenere che ellaOne non sia percepito né usato per l’aborto, EMA infine si accontenta di un’intervista composta di due semplici domande, rivolta a soli 90 medici polacchi e tedeschi, evidentemente considerati rappresentativi dell’intera Europa. Questi medici, peraltro, sarebbero stati scelti dopo il fallimento di una precedente intervista a 130 medici non selezionati, il 20% dei quali non distingueva affatto fra contraccettivi d’emergenza e farmaci abortivi.

            La SIPRe auspica che AIFA si attenga al parere equilibrato espresso dal CSS, eventualmente aggiornando il foglietto informativo di ellaOne qualora esso risultasse inadeguato alle risultanze del CSS. La SIPRe ritiene che la decisione del CSS miri a evitare un’utilizzazione off-label di ellaOne a dosi multiple per fini abortivi, che diventerebbe possibile in caso di distribuzione senza prescrizione medica e che è un rischio paventato nello stesso documento EMA. Come noto, non esiste obbligo per gli Stati membri di ottemperare automaticamente a raccomandazioni o direttive della Commissione Europea sui temi della contraccezione e dell’aborto.           S. I. P. Re  comunicato stampa 22 marzo 2015www.sipre.eu/?p=259

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ADDEBITO

Va addebitata la separazione al coniuge ‘abituè’ del tradimento.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 5108, 13 marzo 2015.

Più volte la Cassazione ha in qualche modo “perdonato” il coniuge fedifrago. In alcune pronunce la suprema Corte aveva, infatti, affermato che il tradimento non costituisce di per sé motivo di addebito della separazione. È necessario, in sostanza, stabilire se l’infedeltà è stata realmente la causa della crisi coniugale o se sia stata solo il suo effetto.             Insomma la crisi coniugale non è sempre colpa di chi tradisce. Ma attenti a non esagerare! In questa curiosa vicenda il coniuge a cui è stata addebitata la separazione era in qualche modo un’abitué del tradimento e si era anche ingegnato nel fornire false generalità negli approcci con il gentil sesso.

            Un comportamento che gli è costato una pronuncia di addebito della separazione. Nel corso del giudizio l’ex marito si era difeso affermando che la sua infedeltà non era stata la causa dell’intollerabilità della convivenza dato che la sua relazione extraconiugale si era verificata alcuni anni prima del ricorso per separazione.

            La Corte, però, dopo aver rimarcato che il controllo di legittimità non può consentire un riesame del merito, fa notare che il giudice dell’appello aveva correttamente motivato circa la sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento infedele dell’ex marito e l’intervenuta separazione. Era emerso, infatti, che anche prima della separazione lui avesse tentato un approccio con altra donna a cui aveva oltretutto fornito false generalità. Anche la continuità del comportamento fedifrago sembra abbia segnato le sorti del giudizio.

                        Newsletter del 30 marzo 2015 – studio Cataldi.it

testo ordinanza                                   www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_17975.asp

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AFFIDAMENTO ESCLUSIVO

Sottrazione internazionale.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, Sentenza n. 6139, 26 marzo 2015.

Per il ritorno dei minori nei casi di sottrazione internazionale necessario è l’esercizio concreto del diritto di affidamento del genitore che chiede il rimpatrio. Se manca il presupposto dell’effettivo esercizio del diritto di affidamento deve essere escluso il rientro del minore nei casi di sottrazione internazionale. Non basta, quindi, il regime astratto dell’affidamento legale per giustificare il ritorno. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, chiamata ad applicare la Convenzione dell’Aja sulla sottrazione internazionale dei minori del 25 ottobre 1980, ratificata dall’Italia con legge 15 gennaio 1994 n. 64.

A rivolgersi alla Cassazione è stata la madre di una bambina, che aveva impugnato il decreto del Tribunale di Catania il quale aveva disposto il ritorno della minore in Belgio, dal padre che si era rivolto all’Autorità centrale belga. La coppia si era separata e la donna aveva lasciato il Belgio, dove prima viveva con il marito, tornando in Italia. La Cassazione ha chiarito che presupposto per il ritorno del minore è che, al momento del trasferimento, il diritto di affidamento sia effettivamente esercitato dal richiedente senza che rilevino le cause e le ragioni del mancato esercizio. Così non era nel caso di specie senza che fossero indicate le cause e le ragioni del mancato esercizio, malgrado l’onere probatorio “riguardante l’effettivo esercizio del diritto di custodia” sia a carico del genitore non convivente.

Non basta – osserva la Cassazione – basarsi sul regime astratto dell’affidamento legale o invocare un viaggio a Disneyland poiché il concreto esercizio di un potere genitoriale non deve avere carattere episodico. Va poi aggiunto che il padre aveva visto la bambina pochissime volte limitandosi ad esercitare il diritto di visita e non quello di custodia. La bambina, poi, era andata poche volte a scuola anche per difficoltà legate alla lingua del luogo. Di conseguenza è stato accolto il ricorso della madre, con annullamento, con rinvio, del provvedimento di ritorno del minore.

            Marina Castellaneta              2 aprile 2015

www.marinacastellaneta.it/blog/per-il-ritorno-dei-minori-nei-casi-di-sottrazione-internazionale-necessario-lesercizio-concreto-del-diritto-di-affidamento-del-genitore-che-chiede-il-rimpatrio.html

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AFFIDO

Minori in difficoltà, l’affido sta morendo.

            La conclusione è sempre quella. Amara, inevitabilmente, perché riguarda la sorte di migliaia e migliaia di bambini. Quando la situazione economica peggiora, quando le risorse a disposizione dei servizi sociali sono sempre più esigue, i primi a pagarne le conseguenze sono loro. Si restringono le opportunità dell’adozione, ma vengono meno anche i percorsi che portano all’affido. Gli ultimi dati a disposizione (che si riferiscono al 2012), diffusi dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, fotografano una situazione davvero pesante. Mai erano stati toccati livelli così bassi per quanto riguarda il numero dei bambini in affido familiare: 7.444 quelli affidati a famiglie “terze”, a quei nuclei cioè che hanno deciso consapevolmente di aprire le porte di casa a un piccolo in difficoltà.

Poi ci sono 6.750 minori in affido a parenti. Sono invece 14.255 quelli inseriti nelle varie tipologie di servizi residenziali. Il dato ministeriale non permette però di distinguere tra case famiglia, presidi socio assistenziali e comunità di vario tipo. E, per la qualità di vita dei bambini, non si tratta di differenze trascurabili.

Tanti i motivi di preoccupazione insomma che hanno indotto le associazioni partecipanti al Tavolo nazionale affido a lanciare l’allarme. Urgente «mettere in conto strategie di riposizionamento del sistema che, senza disconoscere il bisogno di interventi di protezione e cura dei minori esposti a situazioni gravemente pregiudizievoli – scrivono i rappresentanti delle associazioni – sappiano intervenire prima, prevenendo l’aggravarsi delle situazioni familiari». Che, tradotto, vuol dire: o interveniamo con rapidità per cambiare tutto, o l’affido come lo conosciamo è destinato a morire.

La perplessità di fondo della riflessione nasce dalla verifica dei dati che dimostrano come l’affido sia ormai residuale rispetto ad altre opzioni: «Ogni tre minori collocati all’esterno della cerchia familiare e parentale, due sono in servizi residenziali e uno in affido». E questa prassi si è affermata nonostante la legge 184 dica esattamente l’opposto. E cioè che l’affido familiare dev’essere la prima scelta, mentre alle comunità di tipo familiare ci si debba rivolgere soltanto in seconda battuta.

Assolutamente disomogenea poi la ripartizione geografica dell’affido. In Liguria è diffuso undici volte più che in Basilicata. Forse perché al Sud il quadro familiare è meno problematico? Si sarebbe indotti a crederlo anche da un altro dato. Le regioni in cui sono maggiormente diminuiti i minori tolti alle famiglie sono Campania (-28%), Puglia (-30%) e Lazio (-32%) rispetto all’ultimo dato (anno 2007). Questo forte decremento – si chiedono le associazioni – «potrebbe essere indicativo di una maggiore capacità di prevenzione degli allontanamenti e di un migliore stato di salute delle famiglie di origine?».

Purtroppo si tratta di una speranza destinata a naufragare di fronte alla disastrosa situazione sociale di queste regioni. Siamo di fronte, annotano, infatti, gli esperti, a una «ridotta capacità di intervento del sistema di tutela minorile, causata dalla progressiva contrazione delle risorse impiegate nel welfare».

I motivi di preoccupazione però non sono finiti. Dai dati emerge, infatti, come l’affido, rispetto alle comunità, risulti sempre meno scelto per i minori da 0 a 2 anni, «nonostante siano ampiamente dimostrate sul piano scientifico le conseguenze negative della deprivazione di cure familiari nei primissimi anni di vita». Il rapporto ministeriale evidenzia inoltre un altro aspetto inquietante.

Non solo, come detto, gli affidi diminuiscono, ma quelli esistenti durano troppo a lungo, togliendo così all’istituto le originarie caratteristiche di aiuto temporaneo. Un terzo dei minori è in affido da oltre 4 anni, il 25% da 24 a 48 mesi, il 56,7% da due anni. Altrettanto pesante il quadro riferito agli affidi giudiziali (quelli cioè decisi dai tribunali) rispetto a quelli consensuali (che si realizzano con l’accordo delle famiglie di origine). I primi sono il 74,2% del totale. In Sicilia, si arriva addirittura al 91,3%. E, anche in questo caso, la situazione va letta in chiave assolutamente negativa perché, si legge ancora nel documento del Tavolo nazionale, si conferma «la tendenza ad intervenire con lo strumento dell’affidamento familiare rispetto a situazioni molto compromesse».

Non più uno strumento per offrire a una famiglia in difficoltà l’occasione per risollevarsi in modo concordato, ma quasi una scelta estrema per assestare, con la sottrazione del figlio, il colpo di grazia a genitori già pesantemente provati.

Luciano Moia             Avvenire         30 marzo 2015                      .aibi.it/ita/category/archivio-news

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AFFIDO E ADOZIONE

Appello dell’ANFAA.

In data 31 marzo 2015, l’Anfaa –Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie– ha inoltrato un appello ai componenti della Commissione Giustizia della Camera in cui sollecita l’approvazione del DDL n. 2957 “Modifica alla legge 4 maggio 1983/1983 n. 184 sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare”.

«L’Anfaa intende esprimere il proprio apprezzamento per il disegno di legge in oggetto, di cui auspica la rapida approvazione. Verrà così finalmente affermato A CHIARE LETTERE il diritto alla continuità degli affetti del minore affidato, ancora oggi talvolta negato dalle Istituzioni preposte, diritto che dovrà essere tutelato nelle diverse situazioni.

Questo DDL, infatti, non si limita ad affermare la possibilità che un minore affidato, se dichiarato adottabile, possa, a tutela del suo prioritario interesse, essere adottato dagli affidatari, “sussistendo i requisiti previsti dall’articolo 6” della legge n. 184/1983, ma sottolinea anche la necessità di assicurare, sempre nel suo interesse, “la continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l’affidamento” con gli affidatari anche quando egli “fa ritorno nella famiglia di origine o sia dato in affidamento ad un’altra famiglia o sia adottato da altra famiglia”.

In considerazione delle scorrette e fuorvianti notizie, riportate da alcuni mezzi di informazione in merito ai contenuti del suddetto A. C. al momento della sua approvazione in Senato, riteniamo anche opportuno ricordare che l’art. 44 lett. d) della legge suddetta già consente l’adozione “in casi particolari” da parte dell’affidatario single, che può essere pronunciata dal Tribunale per i minorenni, tenuto conto dei legami affettivi consolidatisi tra il minore affidato dichiarato adottabile e l’affidatario stesso.

Il suddetto disegno di legge non abroga questa disposizione, che pertanto rimane in vigore.»

Donata Nova Micucci, Presidente Anfaa  comunicato stampa        31 marzo 2015                      http://www.anfaa.it

www.anfaa.it/wp-content/uploads/2015/04/Anfaa-su-ddl-Puglisi.pdf

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

No attenuante all’ex coniuge che paga con il quinto dello stipendio pignorato.

Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza n. 10958, 13 marzo 2015.

Nel reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, le somme ottenute dal coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento a titolo coatto – ossia, dietro pignoramento di parte dello stipendio – non consentono sotto alcun profilo la concessione dell’attenuante del risarcimento del danno, prevista dall’art. 62, n. 6, Cod. Pen.

http://renatodisa.com/2015/03/31/corte-di-cassazione-sezione-vi-sentenza-13-marzo-2015-n-10958-nel-reato-di-violazione-degli-obblighi-di-assistenza-familiare-le-somme-ottenute-dal-coniuge-beneficiario-dellassegno-di-mantenime

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BIBBIA

Nel racconto di Adamo ed Eva c’è il mito dell’androgino di Platone?

Nelle stesse prime pagine della Genesi (cc. 1-2) la coppia umana entra subito in scena. Essa è il paradigma fondamentale di qualsiasi altra relazione interpersonale. Da essa fluisce la generazione e quindi la famiglia e, in un certo senso, la stessa storia della salvezza. Ebbene, qual è il percorso dell’amore che nutre e sostiene la coppia umana? Che cosa ci dicono in merito le pagine bibliche della creazione, situate in quei primi capitoli della Genesi? Da esse estraiamo solo due motivi di riflessione piuttosto settoriali ma rilevanti.

            Il primo motivo di riflessione concerne il tema dell’“immagine” di Dio, esplicitata in Gen 1,27. Quel passo è elaborato secondo i canoni del parallelismo (nella fattispecie gli studiosi parlano di un parallelismo “chiastico progressivo”), una delle norme capitali della letteratura biblica, soprattutto poetica, importante per comprendere – attraverso appunto i paralleli, cioè le riprese tematiche, le ripetizioni di significato – il senso profondo di un passo. Il versetto si apre con la dichiarazione: “Dio creò l’uomo a sua immagine”, che viene ribadita in forma “chiastica”, cioè invertita: “A immagine di Dio lo creò”. A questo punto si ha una sorprendente puntualizzazione dell’“immagine” divina nella creatura umana: “Maschio e femmina li creò”. Quindi a “immagine di Dio” corrisponde in parallelo la bipolarità sessuale. Si noti che l’autore sacro (la tradizione cosiddetta “Sacerdotale” del VI secolo a.C.) non usa i due termini socio-psicologici ish (uomo) e ishshàh (donna), presenti e spiegati nell’altro racconto del capitolo 2 (v. 23), bensì quelli fisiologici di zakàr, che allude all’organo sessuale maschile (alla lettera: “puntuto”), e di neqebàh, che è il parallelo femminile (alla lettera: “forata”), facendo quindi esplicito riferimento alla sessualità maschile e femminile.

            E’ scontato che per la Bibbia Dio non sia sessuato, come insegna la costante polemica contro l’idolatria del culto sessuale di Baal, proprio delle popolazioni locali indigene della Terrasanta, i Cananei. L’“immagine” divina è allora da cercare nella potenza generatrice della coppia, che è una sorta di continuazione, nella storia, dell’atto creativo di Dio, tant’è vero che la successiva narrazione “sacerdotale” della Genesi è tutta ritmata su una serie di genealogie (1,28; 2,4; 9,1.7; 10; 17,2.6; 25,11; 28,3; 35,9-11; 47,7; 48,3-4). La capacità di generare, propria della coppia umana, è la via sulla quale continua la creazione, ma sulla quale si snoda anche la trama della storia della salvezza. Dio resta trascendente e non è né maschio né femmina, anche se simboli di questo genere esprimono alcune caratteristiche della sua personalità. Egli, però, come creatore ha la sua rappresentazione ideale non nel solo maschio, come vorrà una successiva tradizione giudaica, ricalcata anche da san Paolo (1Cor 11,7), ma nella coppia umana che si ama e genera. Essa diventa così la “statua” più somigliante di Dio (ed è anche per questo che s’introdurrà nel Decalogo il divieto di costruire immagini materiali divine).

            La fecondità della coppia umana è, quindi, parallela all’atto creativo di Dio, è un segno visibile del Dio creatore e salvatore. Il nostro legame naturale con il Creatore è da cercare proprio nella persona umana, in quanto comprende la bipolarità sessuale, la fecondità, la capacità di possedere e dare la vita e, quindi, in senso più lato, l’amore. Siamo, perciò, lontani da una tradizionale interpretazione che vedeva nell’anima il tratto distintivo della nostra “somiglianza” a Dio, come affermava sant’Agostino, che in “La Genesi”difesa contro i Manichei scriveva: “Che l’uomo sia fatto a immagine di Dio viene detto a causa della parte intima dell’uomo, ove ha sede la ragione e l’intelletto […]. L’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio soprattutto per quanto riguarda l’anima” (1, 17, 28). Il celebre Padre della Chiesa rileggeva la Genesi alla luce della cultura greca, cogliendo un aspetto nuovo, mentre in realtà – con una certa semplificazione – potremmo dire che la Bibbia optava per la via dell’amore fecondo rispetto a quella dell’intelligenza spirituale propugnata dalla classicità greca.

            Passiamo ora alla nostra seconda considerazione, dai contorni forse più curiosi. Anni fa, dopo aver presentato a Milano un romanzo di uno dei maggiori scrittori francesi contemporanei, l’Eleazar di Michel Tournier, fui con lui invitato a cena in un ristorante del centro cittadino e, a tavola, ebbi una discussione amabile ma netta su una sua idea, per altro non nuova (fu sostenuta già nel 1918 da un noto studioso del tempo, Salomon Reinach, e ripresa nel 1936 da Alexandre H. Grappe e da altri ancora successivamente): la narrazione di Gen 2, sulla formazione della donna dalla costola dell’uomo, non sarebbe una rappresentazione simbolica della comune qualità umana dei due, tant’è vero che essi avrebbero un nome identico, declinato al maschile (ish) e al femminile (ishsàh), quanto piuttosto sarebbe una ripresa del mito dell’androgino, cioè di un essere primigenio che univa in sé qualità maschili e femminili, destinate successivamente a dissociarsi. Certo, si deve riconoscere che questa interpretazione della genesi della bipolarità sessuale s’affaccia in molte civiltà, come è stato attestato dal famoso studioso di storia delle religioni Mircea Eliade nel suo Trattato di storia delle religioni.

            Nel IV secolo a.C. un sacerdote babilonese, Berosso, evocava l’androginismo come una dottrina già presente nel mondo sumero-accadico. Ma fu Platone a rendere popolare questa teoria, mettendola in bocca ad Aristofane nel dialogo sull’amore, il Convivio (o Simposio). Ecco alcune battute di quel testo: “In principio tre erano i sessi degli uomini, non due come ora: maschio, femmina e il terzo sesso che partecipava ai caratteri di entrambi gli attuali. Un tempo, dunque, l’androgino era un unico essere vivente, formato dagli altri due sessi insieme riuniti, maschio e femmina […]. Che vigore, che potenza di forza presentava questa duplice creatura e quale sterminato orgoglio! Decise, allora, di tentare una scalata al cielo con l’intento di far violenza agli dèi […]. Zeus pensò a lungo e alla fine si decise: Taglierò in due ciascun uomo [androgino]. Saranno così più deboli e nello stesso tempo ci potranno servire meglio perché il loro numero sarà più grande”.

            Platone trova in questa divisione operata da Zeus nell’androgino la radice della potenza attrattiva dell’eros tra uomo e donna che tende a ricondurre la creatura alla sua unità primigenia: “Da un’origine così remota è innato nell’uomo il reciproco amore. Amore riconduce all’antica condizione, cerca di far uno ciò che è due, cerca così di medicare la natura umana. Ciascuno di noi è un pezzo solo, è la metà dell’uomo intero […]. Era uno e ora sono due. Ciascuno, allora, continua a cercare l’altra metà che gli corrisponda […]. All’origine eravamo tante singole unità; allo stato attuale, in seguito alla nostra colpa [l’assalto orgoglioso contro gli dèi], Dio ci ha separati, uno in una dimora, l’altro in un’altra” (Convivio 189d-193d). In pratica l’amore avrebbe una funzione “simbolica” (da syn-bàllein, “mettere insieme”), quella di ricondurre all’unità ciò che è scisso e quindi imperfetto.

            Supponendo pure che l’autore – nel caso del capitolo 2 della Genesi, la cosiddetta tradizione Jahvista – conoscesse il mito dell’androgino, bisogna però dire che lo ha profondamente trasformato, tanto da renderlo irriconoscibile. Gli esegeti propendono, anzi, per un’indipendenza da tale visione, anche se non ci si deve stupire che nelle pagine genesiache della creazione ci si imbatta in rimandi o recuperi di antiche mitologiche cosmologiche, sottoposte però a un’operazione vigorosa di demitizzazione e di depoliteizzazione. La differenza rispetto al mito dell’androgino così come è formulato da Platone è, comunque, netta e non solo perché la concezione del filosofo greco suppone una divisione anche nei maschi e nelle femmine primordiali non androgini così da giustificare l’omosessualità: “Tutte le donne tagliate dall’unico sesso femminile hanno propensione per altre donne e quanti sono taglio del sesso maschile vanno dietro ai maschi” (191d).

            La differenza radicale sta nel fatto che, mentre per Platone lo stato ideale è nell’unità androgina, per la Genesi “non è bene che l’uomo sia solo” (2, 18), mentre la realtà “molto buona/bella” è che esistano i due sessi (1,31), la cui identità non è una maledizione, bensì una benedizione divina (1,28).

            Inoltre la creazione dei due sessi è vista non come conseguenza di un peccato di ribellione contro Dio, bensì come un atto d’amore del Creatore nei confronti della sua creatura che si sente sola e imperfetta e che riceve, perciò, un dono, un ‘ezer kenegdò, come dice l’ebraico, cioè un aiuto e una presenza che gli stia “di fronte”, in un dialogo d’amore. La considerazione finale sulla “carne sola” (2,24) che l’uomo e la donna costituiscono, tenendo conto del significato biblico del vocabolo basàr (carne), non rimanda solo all’atto sessuale o alla generazione del figlio (che è una “sola carne” dei due genitori), ma anche alla condivisione dell’esistenza umana nella sua realtà mutevole e caduca (cfr. Is 31,3; Sal 78,39).

            Siamo, quindi, su un piano più psicologico-esistenziale che metafisico; siamo di fronte a un’antropologia teologica che cerca di illustrare il valore costitutivo delle relazioni che la creatura umana intesse con Dio (l’alito vitale e la neshamàh, che in pratica è la coscienza in Gen 2,7), con la materia e gli animali (“coltivare, custodire la terra” e “dare il nome agli animali”) e, infine, con il prossimo, incarnato nell’archetipo matrimoniale. La prospettiva è, perciò, molto più elaborata e di chiaro impianto etico-teologico, tant’è vero che il peccato sarà compiuto dalla coppia, ma secondo la propria identità e responsabilità individuale: inizia la donna e l’uomo s’associa e a ciascuno dei due sarà assegnato uno specifico giudizio divino, come si evince dalla lettura del capitolo 3 della Genesi.

            Siamo, dunque, in presenza di un più complesso e articolato sistema di pensiero, che ha soprattutto nella libertà della creatura umana il suo asse portante. Non per nulla è emblematica la scena dell’uomo che è collocato solitario ai piedi dell’albero della “conoscenza del bene e del male”, ossia della scelta morale. Nella Gaudium et spes (n. 16) il Concilio Vaticano II dichiara che “la coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo”, è la sede in cui “l’uomo si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria”. Una voce che “lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male e, quando occorre, dice chiaramente alle orecchie del cuore: fa questo, fuggi quest’altro”. E tutto questo accade sia all’uomo sia alla donna, nella pienezza della loro libertà.

            Tratto da Gianfranco Ravasi, “Generare la vita. Maschio e femmina li creò” (Edizioni San Paolo).

Aleteia 1 aprile 2015

www.aleteia.org/it/religione/q-a/genesi-adamo-eva-mito-androgino-platone-ravasi-5784398406352896

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CHIESA CATTOLICA

Meglio sposarsi che ardere”. Anche in seconde nozze.

            Nel giovedì santo risuona più che mai attuale il monito dell’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto: “Chiunque mangia il pane e beve al calice del Signore in modo indegno… mangia e beve la propria condanna”. È da questo monito che la Chiesa cattolica ha derivato il divieto di dare la comunione ai divorziati risposati.

            Nelle Chiese ortodosse è prevalsa invece una prassi diversa. Che arriva a benedire le seconde nozze e a concedere la comunione eucaristica a chi si è risposato. Chi vuole introdurre questa prassi anche nella Chiesa cattolica addita, infatti, le Chiese ortodosse come un esempio di “misericordia” da imitare, e chiama a proprio sostegno una sibillina battuta di papa Francesco del 28 luglio 2013, sull’aereo di ritorno da Rio de Janeiro: “Gli ortodossi seguono la teologia dell’economia, come la chiamano, e danno una seconda possibilità [di matrimonio], lo permettono. Credo che questo problema si debba studiare nella cornice della pastorale matrimoniale”.

            Ma alla vigilia della prima tornata del sinodo sulla famiglia, lo scorso ottobre, l’arcivescovo Cyril Vasil, segretario della congregazione vaticana per le Chiese orientali, mise in guardia da una lettura “ingenua” della prassi delle Chiese ortodosse in materia di matrimonio. Le seconde nozze – spiegò – sono entrate nella prassi delle Chiese orientali in epoca tardiva, verso la fine del primo millennio. Vi sono entrate sotto l’invasiva influenza della legislazione imperiale bizantina, di cui le Chiese erano esecutrici. E anche oggi lo scioglimento delle prime nozze è quasi sempre per tali Chiese la semplice trascrizione di una sentenza di divorzio emessa dall’autorità civile. Vasil è un’autorità in materia. Slovacco di rito greco, gesuita, è stato decano della facoltà di diritto canonico presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma. Il suo saggio sul divorzio e le seconde nozze nelle Chiese ortodosse era parte di un libro a più voci uscito alla vigilia del sinodo con il contributo di cinque cardinali, tutti contrari alla comunione ai divorziati risposati: “Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e Comunione nella Chiesa cattolica”, Cantagalli, Siena, 2014.

            I passaggi salienti del saggio di Vasil “Separazione, divorzio, scioglimento del vincolo e seconde nozze. approcci teologici e pratici delle chiese ortodosse” sono riprodotti in:

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350879

Tuttavia non tutti gli esperti sono d’accordo con lui. Enrico Morini, professore di storia delle Chiese ortodosse nell’Università statale di Bologna, ha scritto in nota a un suo saggio su “Memorie Teologiche”, la rivista on line della sua facoltà, a proposito dello scioglimento del vincolo nuziale e alla possibilità di un secondo matrimonio, ammessi dalle Chiese ortodosse:

            “Questo dato incontrovertibile della modulazione della prassi ecclesiastica, tenendo conto della normativa civile in ambito matrimoniale, sembra presentato in chiave negativa da Cyril Vasil, come un’adulterazione secolarizzante del dettato evangelico, quasi un’acquiescenza a leggi dello Stato in contrasto con la legge divina. Mi sembra invece costituire una prassi che sapientemente applica nella pastorale il criterio salvifico della misericordia, senza compromettere il principio dell’indissolubilità. Nelle problematiche acute suscitate dall’attuale contesto sociologico, essa rappresenta, a mio parere, una valida alternativa all’ipotesi dell’ammissione alla comunione sacramentale dei divorziati risposati. Infatti, anziché ammettere al sacramento chi oggettivamente vive in stato di peccato, tale prassi sana piuttosto la situazione peccaminosa con una ratifica ecclesiale non sacramentale, che valorizza ciò che vi è di positivo in un’unione naturale, stabile e fedele”.

            Il saggio di Morini può essere letto integralmente nel sito on line di “Memorie Teologiche”:  Il matrimonio nella dottrina e nella prassi canonica della Chiesa ortodossa

www.memorieteologiche.it/images/meteo/2015/morini-1-2015.pdf

            Mentre qui di seguito ne sono riprodotti i passaggi salienti. Va notato che Morini è diacono e ha presieduto la commissione per l’ecumenismo dell’arcidiocesi di Bologna, retta da Carlo Caffara che è uno dei cinque cardinali del volume sopra citato e gode della crescente stima di papa Francesco:

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351011

Segno che proprio una diocesi retta da un vescovo “intransigente” può essere esempio di dialogo aperto e fruttuoso tra posizioni diverse e persino opposte, nel reciproco rispetto e ai livelli più alti di competenza.                                                         http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351018

Il matrimonio nella chiesa ortodossa.

1. Teologia del matrimonio cristiano. Per comprendere la normativa della Chiesa ortodossa sul matrimonio è necessario partire dalle premesse teologiche. […]

            Qual è l’essenza del sacramento nuziale? Gli sposi sono icone viventi – cioè immagini che implicano la presenza reale di ciò che è rappresentato – di due congiunzioni soprannaturali parallele, in quanto una implica l’altra: l’unione del Dio Verbo, nell’incarnazione, con la natura umana e quella del Cristo, Verbo incarnato, con la Chiesa. […]

            Conseguenze:

  1. La necessità assoluta dell’eterosessualità del matrimonio. L’unione omosessuale, non è un semplice disordine: è un mostro, che profana la sacralità stessa del matrimonio, è una contraffazione sacrilega dell’unione divino-umana e dell’unione Cristo-Chiesa. Annichilisce il carattere iconico del matrimonio. […]
  2. Unità del matrimonio, che esclude nel modo più assoluto la poligamia simultanea, ma anche quella successiva, dopo una o più vedovanze. Infatti […], come ogni altro sacramento, il matrimonio cristiano non riguarda solo la vita terrena, ma anche la vita eterna: pertanto la grazia del sacramento non cessa con la morte, ma costituisce un’unità eterna tra coloro che lo hanno ricevuto. Cessa l’esercizio del matrimonio –come detto dal Signore “neque nubent neque nubentur” – ma non la grazia sacramentale.
  3. Altrettanto assoluta è la sua indissolubilità. Se il matrimonio è icona dell’incarnazione non può essere temporaneo. Come la consacrazione verginale nel monachesimo – per la quale nell’Ortodossia non si ammettono dispense –, esso si proietta nell’eternità. La grazia di un sacramento – come è risaputo per il battesimo e per la cresima – non si può togliere. […]

2. Matrimonio civile e convivenze. Questo quadro teologico comporta delle ricadute ben precise nel giudicare, ad esempio, il matrimonio civile e le convivenze.

            L’unione tra un uomo e una donna, contratta secondo le leggi civili – o religiose di altra fede – con il proposito della stabilità e della reciproca fedeltà, adombra in se stessa il mistero divino-umano del matrimonio, anche se non realizza il mistero del matrimonio cristiano, né riproduce l’immagine dell’archetipo divino. È un fatto naturale e non soprannaturale. […] Però, pur non essendo sacramento, è ugualmente un vincolo sacro, in quanto adombra la vera icona. Anche se i due coniugi non vengono trasformati dalla grazia divina, tuttavia nella loro unione c’è una certa presenza di grazia, ulteriormente depotenziata, ovviamente, nelle convivenze al di fuori del matrimonio, le quali, se poi non c’è intenzione di stabilità e di fedeltà, sono pura e semplice fornicazione.

            Per tutto questo la Chiesa antica, prima che si affermasse il rito cristiano del matrimonio, accettava come salvifiche le nozze civili.

3. L’economia ecclesiastica. La Chiesa si trovò subito di fronte al fatto che la legislazione civile consentiva non solo le seconde nozze ai vedovi, ma contemplava anche lo scioglimento del vincolo nuziale e la possibilità di un ulteriore matrimonio. Per risolvere questo grave problema pastorale – che non fu solo della Chiesa antica, ma si è acutizzato oggi con la secolarizzazione della società e l’affermazione della laicità dello Stato – la Chiesa orientale ha elaborato il concetto di “economia”. […]

            Tecnicamente l’economia ecclesiastica è la possibilità di concedere deroghe, in forma temporanea o permanente, da una prescrizione normativa, senza per questo inficiare in alcun modo la validità della prescrizione stessa. Tale procedimento, con il quale si mitiga la durezza di una legge nel momento stesso in cui se ne ribadisce la validità, si giustifica solo con il fine superiore di agevolare il conseguimento della salvezza eterna, laddove la legge, applicata in tutto il suo rigore, potrebbe ostacolarlo.

            Soltanto la Chiesa, che attualizza nel tempo e nella storia l’opera salvifica del Cristo, può derogare dalla lettera della legge. Agendo in tal modo, infatti, essa non fa che imitare l’infinita misericordia divina, che vuole che “tutti gli uomini siano salvati” (1 Tim 2, 4) e si ritiene perciò autorizzata a concedere deroghe persino alle prescrizioni risalenti al Cristo stesso, talvolta risultando in apparenza più condiscendente del suo stesso Signore. […]. In modo più concettuale l’economia canonica potrebbe essere definita la “pastorale della misericordia”, che riesce ad addolcire le durezze della legge, senza in alcun modo comprometterne la validità. […]

4. Nozze dei vedovi. Il primo ricorso all’economia in ambito matrimoniale sarebbe testimoniato nella Sacra Scrittura. L’apostolo Paolo insegna, nella prospettiva di un’imminente attesa escatologica, che la verginità e preferibile al matrimonio, ma che comunque “è meglio sposarsi che ardere” (1 Cor 7, 8-9). Se questa è un’indicazione generale, a fortiori essa vale per i vedovi, ai quali pure raccomanda di non sposarsi (1 Cor 7, 40). […] Un secondo matrimonio viene pertanto consentito ai vedovi come una medicina contro la fornicazione. […]

            Questo matrimonio medicinale non potendo riprodurre con la dovuta perfezione il modello nuziale divino-umano, non è propriamente sacramento: smentisce, infatti, il principio dell’unità del matrimonio che, appartenendo all’ordine soprannaturale, si proietta nell’eternità. La madre Chiesa tuttavia lo benedice: sia per il carattere comunque salvifico che comporta un’unione stabile e fedele, sia per aiutare i nuovi coniugi ad evitare il peccato di fornicazione. Per questo fu preparato un rito per i deutero-coniugati, nel quale non era prevista in origine l’incoronazione degli sposi, caratterizzato dal fatto che:

  1. Le preghiere pronunciate dal sacerdote sono di carattere penitenziale.
  2. Ai due coniugi sono imposte delle pratiche penitenziali, che comportano anche un lungo periodo di astensione dalla comunione eucaristica. […]

5. Nozze dei divorziati. Ciò che maggiormente colpisce nella normativa canonica della Chiesa ortodossa – ma è frutto di una profonda coerenza – è il fatto che in essa le seconde nozze dei divorziati vengano assimilate a quelle dei vedovi. Il divorzio è contrario alla natura, in quanto i due diventano una carne sola, ed è contrario alla legge divina, perché Dio l’ha proibito: “l’uomo non separi ciò che Dio ha unito”. Tuttavia l’uomo, che ha in sé la libertà di peccare, ha altresì la tremenda possibilità di distruggere, con il peccato, l’integrità della comunione sponsale, causare la morte morale – non sacramentale, perché il matrimonio è intrinsecamente indissolubile – del matrimonio stesso. […]

            Si può dire che dei due aspetti, sacramentale e contrattuale, del matrimonio cristiano – che la concezione orientale tiene maggiormente distinti rispetto a quella occidentale – è l’aspetto contrattuale che viene sciolto dal divorzio. Questo viene concesso dalla Chiesa non sulla base della semplice volontà dei coniugi – nei paesi ortodossi la Chiesa si è sempre opposta a che le leggi civili consentano il divorzio consensuale – ma in presenza di gravi fatti peccaminosi, qualificabili come “crimina” contro il matrimonio. […] Essi sono principalmente:

  1. L’adulterio di uno dei coniugi.
  2. L’abbandono del tetto coniugale.
  3. Atti di violenza, che possono arrivare sino al tentativo di sopprimere il coniuge.
  4. L’apostasia dal cristianesimo di uno dei coniugi. […]

Va sottolineato che la rottura del matrimonio è sempre un atto delittuoso, in quanto infrange l’icona delle nozze divino-umane e coinvolge pertanto nel profondo il rapporto dei coniugi con Dio. Per questo il colpevole non può riconciliarsi con Dio solo con il sacramento della confessione, ma viene privato della comunione sacramentale per un certo periodo, anche se non si risposa. Tale sanzione significa che il colpevole ha commesso un reato contro la fede cristiana, ma si configura tuttavia come un’esclusione solo temporanea dalla comunione, in quanto la Chiesa è posta per la salvezza degli uomini e non per loro la condanna.

            La parte innocente invece, se mantiene la continenza, non riceve alcuna sanzione. Ma se, per non “ardere”, le viene concesso un secondo matrimonio, le vengono ugualmente imposte le consuete penitenze, come ad un ammalato si prescrivono le dovute medicine. Esse mostrano che il secondo matrimonio è una deroga alla legge divina, giustificata – come applicazione misericordiosa della medesima legge – dall’infermità della carne. L’esigenza imprescindibile, infatti, è evitare la fornicazione, che sarebbe esiziale per la salvezza dell’individuo. In quanto rapporto non stabile e con persone diverse, essa è ancor più distruttiva del mistero di cui il matrimonio è l’immagine. Assimilabile alla poligamia simultanea, essa è il massimo male nell’etica matrimoniale. Infatti un rapporto sessuale fisso, di uno con un’unica, è comunque una pallida immagine del mistero, anche se massimamente imperfetto al di fuori del sacramento, mentre la fornicazione non può mai esserlo. […]

            Ha scritto il vescovo greco-cattolico Dimitrios Salachas: “La cura pastorale della Chiesa deve cercare la soluzione più accettabile per ambedue le parti e per i loro figli. In molti casi una nuova unione matrimoniale è inevitabile, ma dal punto di vista della Chiesa questo nuovo matrimonio non può avere la pienezza sacramentale del primo: bisogna adoperare il rito per i deutero-coniugati”. […]

            6. Conclusioni. Non ci si deve lasciare ingannare dalle differenze tra le due Chiese, cattolica ed ortodossa, in merito alla normativa matrimoniale. Esiste, infatti, un basilare consenso teologico fondato sull’unità e indissolubilità del sacramento e la diversa prassi si basa unicamente su una diversa rilevazione del dato empirico.

            Per l’Occidente – che in una visione prevalentemente giuridica identifica contratto e sacramento – può avvenire che siano dichiarati nulli matrimoni avvenuti e vissuti solo perché una clausola sociale – e non teologica – non è stata pienamente adempiuta. Ora questi matrimoni, per l’Oriente ortodosso, sarebbero perfettamente validi, in quanto l’aspetto contrattuale non è considerato elemento costitutivo del sacramento, ma lo sono piuttosto gli elementi essenziali iconici del mistero del Verbo incarnato.

Vorrei concludere con queste parole dello storico e teologo russo-americano John Meyendorff, che sintetizzano efficacemente la prospettiva della Chiesa ortodossa: “La Chiesa è sempre stata comprensiva verso la debolezza umana e non ha cercato di imporre il Vangelo per mezzo di prescrizioni puramente formali. Soltanto una consacrazione cosciente di tutta la vita a Cristo rende comprensibile tutto il significato e la pienezza della dottrina evangelica sul matrimonio. Ma questa consacrazione rimane inaccessibile a molti”.

Enrico Morini   Memorie teologiche            fascicolo 8, 2015                    www.memorieteologiche.it

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CINQUE PER MILLE

Iscrizione agli elenchi 2015.

E’ uscita la possibilità di iscriversi agli elenchi del 5 per mille 2015. La domanda va trasmessa in via telematica entro il 7 maggio 2015. Non saranno accolte le domande pervenute con modalità diversa da quella telematica. I requisiti sostanziali richiesti per l’accesso al beneficio devono essere comunque posseduti alla data di scadenza della presentazione della domanda di iscrizione (7 maggio 2015).

I legali rappresentanti degli enti iscritti nell’elenco pubblicato dalla stessa Agenzia delle Entrate, successivamente alla data del 7 maggio, devono spedire entro il 30 giugno tramite raccomandata con ricevuta di ritorno la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà unitamente alla fotocopia della carta d’identità del presidente; l”invio va effettuato alla direzione regionale agenzia entrate.

Agenzia delle entrate             26 marzo 2015

www.nuovofiscooggi.it/files/u5/comunicatistampa/052_com._st._5_per_mille_2015_26.03.15.pdf

circolare 13 E            26 marzo 2015

www.agenziaentrate.gov.it/wps/file/nsilib/nsi/documentazione/provvedimenti+circolari+e+risoluzioni/circolari/archivio+circolari/circolari+2015/marzo+2015/circolare+13e+del+26+marzo+2015/cir13e+del+26.03.15.pdf

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Criteri per la designazione dei rappresentanti delle Associazioni familiari

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 07 aprile 2015 il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 13 marzo 2015: “Criteri per la designazione dei rappresentanti delle Associazioni familiari a carattere nazionale, nominati componenti della Commissione per le adozioni internazionali.”

www.commissioneadozioni.it/media/147343/dpcm%2013.03.2015.pdf

www.commissioneadozioni.it/it/notizie/2015/decreto-pcm-del-13-marzo-2015.aspx

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CONTRACCEZIONE

La contraccezione d’emergenza Position paper sul meccanismo d’azione.

            Lo Stato italiano, attraverso le sue leggi, finalizza la procreazione responsabile alla tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento. E’ l’articolo 1, comma 3, della legge 405 del 1975 che istituisce i Consultori Familiari. Questa tutela è ribadita anche nella Legge 194 del 1978 che, pur permettendo l’aborto in casi che dovrebbero essere eccezionali, proclama la tutela della vita umana dal suo inizio (inizio della vita umana, e non della “gravidanza” che l’OMS vorrebbe fare iniziare dall’impianto in utero). La legge 40 del 2004, da ultimo, nelle procedure di fecondazione assistita riconosce al concepito le tutele che garantisce ai suoi genitori (passaggio mai modificato da alcuno dei numerosi interventi della Corte Costituzionale).

E’ quindi importante sapere se i farmaci utilizzati per la contraccezione d’emergenza, il Levonorgestrel (LNG, Norlevo®) e l’Ulipristal Acetato (UPA, ellaOne®), possano o meno prevenire il concepimento e siano, di conseguenza, compatibili o meno con le leggi del nostro Stato.

 Società Italiana per la Procreazione Responsabile S.I.P.Re.

Testo Completo in       www.sipre.eu/wp-content/uploads/2014/12/SIPRe-Position-Paper-italiano.pdf

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DALLA NAVATA

                                   Domenica di Pasqua – anno B –5 aprile 2015

Atti                   10.41 «…Noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua resurrezione dai morti.»

Salmo             118.23 «Questo è stato fatto dal Signore: una meraviglia ai nostri occhi.»

Colossesi           03.04 «Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.»

Giovanni           20.08 «Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.»

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DANNO

            Fa credere al compagno di essere il padre di una bambina. Ora deve risarcire il danno.

            Tribunale di Firenze – sentenza 2 febbraio 2015

Il Tribunale di Firenze si è pronunciato sulla condotta di una donna che, per oltre un anno dalla nascita della propria figlia, non ha rivelato al partner di aver intrattenuto rapporti sessuali con un altro uomo nel periodo in cui era iniziata la gravidanza, ingenerando così  nell’uomo la falsa convinzione di essere il padre della bambina.

            Il tribunale, accertata l’ingiustizia del danno e la colpa della convenuta, ha ravvisato in tale condotta omissiva della donna gli estremi dell’illecito colposo. L’attore, che è stato indotto a riconoscere una figlia biologicamente non sua, ha subìto la lesione di interessi costituzionalmente tutelati, quali la dignità personale e la libertà di autodeterminazione rispetto alle proprie scelte di vita.

            In fattispecie simili, l’azione risarcitoria in questione, proprio in virtù del fatto che il diritto leso riguarda l’autodeterminazione della persona, potrà essere esercitata sia dal convivente more uxorio che dal marito che apprenda che il figlio nato in costanza della relazione stabile o del matrimonio, non sia biologicamente frutto del suo seme.

            In relazione al “quantum” risarcitorio, nel caso di specie, se da un lato, il Giudice valorizza il diritto all’autodeterminazione della persona nella sfera genitoriale aprendo le porte al ristoro anche del danno non patrimoniale, dall’altro lato quantifica tale danno in un importo non particolarmente elevato, liquidandolo, infatti, in soli Euro 5.000,00.                                    Maria De Filippis       studio Cataldi 26 marzo 2015

www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_17939.asp#commenti

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DIRITTO DI FAMIGLIA

Giurisprudenza del Tribunale di Milano.

Raccolta della giurisprudenza della Sezione IX Civile del Tribunale di Milano anno 2014 http://news.ilcaso.it/libreriaFile/Giurisprudenza%20Famiglia%20Milano%20anno%202014.pdf

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FECONDAZIONE ARTIFICIALE

Aumentano le coppie che si affidano alla provetta: ma solo due su dieci avranno un figlio.

E’ un circolo vizioso. Si arriva a voler concepire un figlio sempre più tardi, ma l’orologio biologico non perdona. E così la speranza di tante coppie prende il nome di fecondazione artificiale. Il Censis, in collaborazione con la Fondazione Ibsa (ente che tra le proprie aree scientifiche si occupa anche di fertilità) ha pubblicato una ricerca sull’argomento.

I numeri evidenziano un incremento del 170% dei bimbi nati grazie alla fecondazione assistita. Nel 2005 sono venuti alla luce grazie alla fecondazione artificiale 3.649 bambini; nel 2012 il loro numero è salito a 9.818. Mentre le coppie che si sono sottoposte alla Procreazione medica assistita (Pma) sono passate da 30.749 del 2005 a 54.458 del 2012. Il dato tutt’altro che incoraggiante è questo: dopo bombardamenti ormonali, impianti di gameti e tante attese, solo 2 coppie su dieci ottengono un figlio. Per l’esattezza, il 23% delle coppie diventano genitori. Quello che viene sottaciuto è che moltissime ripetono 4 o più volte il trattamento, con rischi che si moltiplicano per la salute delle donne.

Numeri e cifre che non reggono il confronto con l’adozione internazionale. Sono 72 su 100 le aspiranti coppie adottive che, ottenuto il decreto idoneità negli ultimi 5 anni e conferito l’incarico a un ente autorizzato, hanno effettivamente portato a termine l’adozione (dati al 31 dicembre 2013). Ed è una media nazionale, perché ci sono enti autorizzati virtuosi, Amici dei Bambini è tra questi, dove quasi 99 coppie su 100 hanno concluso con successo l’iter adottivo.

Tornando alla ricerca del Censis, i ginecologi, andrologi e urologi intervistati valutano importante la legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita (89,3%). Ma evidenziano la presenza di rilevanti differenziazioni territoriali nell’applicazione della legge. L’88,7% dei medici sottolinea che non in tutte le regioni italiane è assicurato lo stesso livello di qualità nei trattamenti per la Procreazione medicalmente assistita e che, nonostante le dichiarazioni di principio, non in tutte le regioni è assicurata la gratuità dell’accesso alle cure per la Pma (83,3%).

In Italia il 54% dei centri in cui si può effettuare la Pma iscritti al registro nazionale sono privati, ma la percentuale arriva al 69% al Sud. Il 76% degli specialisti è favorevole a una revisione della legge 40/2004. Per loro l’aspetto che andrebbe modificato prima di tutto riguarda la possibilità di offrire effettivamente alle coppie la possibilità di accedere all’eterologa (60,5%).

Ora, al di là dei camici bianchi, davvero si pensa che il meglio per una famiglia sia quello di rincorrere un figlio ad ogni costo (fosse pure ottenuto prendendo ‘in prestito’ materiale genetico da persone estranee alla coppia). La ricerca suggerisce anche un altro confronto. Mentre nel 2012 sono nati 9.818 bimbi in ‘provetta’, nello stesso anno i bambini stranieri entrati in Italia per adozione sono stati 3.106. Le famiglie che si sono rivolte alla scienza per diventare genitori sono state 54.458; quelle adottive appena 2.469. E il 2012 è per il settore il primo anno di crisi. Con una flessione del 22,8% rispetto al 2011, per il numero di bambini adottati; e del 21,7% considerando il numero di famiglie adottive.

E’ doloroso pensarlo, ma mentre migliaia di gameti vengono ‘lavorati’ inutilmente nei laboratori del nostro Paese, milioni di bambini già nati muoiono d’abbandono. Nel mondo ci sono milioni di bambini che aspettano solo una mamma e un papà che li ami. La soluzione più giusta al vuoto affettivo che tutte le coppie sterili sperimentano forse è una scelta d’altruismo.

Deve pensarla così anche Maurizio Romani, vicepresidente della Commissione Igiene e sanità del Senato. Di fronte alla ricerca Censis, intervistato dal quotidiano Avvenire, ha affermato che per lui l’auspicio è che accanto alla regolamentazione attraverso Linee guida di una materia così delicata come la Legge 40, andrebbe facilitato il percorso adottivo.

Avvenire/il Sole24ore  Aibi   3 aprile 2015                          www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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GRAVIDANZA

Cosa si può fare in caso di gravidanza ectopica?

            Uno dei casi in cui c’è un serio pericolo per la vita della madre.

            Cos’è la gravidanza ectopica? In occasioni molto rare, l’embrione che inizia la sua esistenza dopo la fecondazione di un ovulo da parte di uno spermatozoo non riesce ad arrivare all’utero e si impianta nella tuba di Falloppio, luogo di transito verso la cavità uterina, biologicamente non in grado di sostenere una gravidanza. Visto che l’elasticità della parete di questo condotto è limitata, l’aumento di volume del feto in crescita provocherà inevitabilmente la sua rottura, mettendo in pericolo la vita della madre, oltre a provocare la morte del feto.

            Quando l’embrione si impianta nel luogo errato, sia questo la tuba di Falloppio o l’addome, la gravidanza viene chiamata “ectopica” (fuori dalla sua sede). Il 97% di tutte le gravidanze ectopiche si verifica nelle tube di Falloppio.

            Come risolvere la questione? Delle quattro procedure utilizzate più di frequente per trattare le gravidanze ectopiche, tre presentano oggettive difficoltà tecniche, e solo una risulterebbe accettabile a livello morale.

  1. Il primo trattamento implica l’uso di metotrexato, che quando utilizzato punta alle cellule di rapida crescita provocandone la morte, soprattutto quelle trofoblastiche (precursori della placenta), che sono quelle che fanno aderire l’embrione alla parete della tuba di Falloppio. C’è chi ritiene possibile che questa sostanza si rivolga di preferenza a quelle cellule, diverse dal resto dell’embrione, di modo che si potrebbe pensare che ponga fine alla vita di questo solo in modo indiretto. Altri, tuttavia, pensano che queste cellule trofoblastiche facciano, di fatto, parte dell’embrione (prodotte dall’embrione, non dalla madre), per cui il metotrexato in realtà va a intaccare un organo vitale dell’embrione provocandone la morte.
  2. Un’altra tecnica moralmente problematica è la salpingostomia, che consiste nel realizzare un taglio lungo la tuba di Falloppio ed estrarre l’embrione, che naturalmente morirà subito, chiudendo la condotta tubarica con una sutura. Questa soluzione, come l’utilizzo del metotrexato, lascia la tuba di Falloppio in gran parte intatta per possibili gravidanze future, ma pone anche serie obiezioni morali perché questo intervento è volto direttamente a estirpare l’embrione dalla tuba provocandone la morte.

Ad ogni modo, si ammette che queste tecniche in genere lascino cicatrici nella tuba di Falloppio, aumentando così le possibilità che una gravidanza futura possa presentare lo stesso problema di annidamento ectopico.

  1. Una terza soluzione consiste nell’estirpare la tuba di Falloppio che contiene l’embrione annidato in sé. Questa procedura viene chiamata salpingectomia. Il momento per realizzarla – visto che quasi la metà dei casi di gravidanza ectopica si risolve da sé, senza necessità di alcun intervento, quando il bambino muore in modo naturale – verrebbe indicato dalla verifica di un assottigliamento nella parete della tuba che favorirebbe la sua rottura, per via dell’incremento della pressione esercitata dall’embrione e dal suo trofoblasto, entrambi in crescita. In questo caso, la morte dell’embrione non è l’effetto direttamente cercato con l’intervento, che è quello di estirpare la tuba prima che questa scoppi. Questo caso potrebbe essere considerato un’azione dal doppio effetto, uno positivo e un altro negativo ma non desiderato, per cui si potrebbe considerare eticamente corretto, visto che l’intenzione del medico è quella di ottenere l’effetto positivo (eliminare il tessuto danneggiato della tuba), mentre l’effetto negativo (la morte del feto ectopico) viene solo tollerato. In questo senso, è importante sottolineare che il medico sta agendo direttamente sulla tuba di Falloppio (una parte del corpo della madre) e non direttamente sul feto. Un altro elemento importante per stabilire un giudizio etico è che la morte del feto non è il mezzo che rende possibile la guarigione della madre. Si ricorrerebbe alla stessa procedura curativa se ciò che fosse dentro alla tuba di Falloppio fosse un tumore e non un feto. Ciò che cura la madre è l’estirpazione della tuba, non la conseguente morte del bambino.
  2. Una quarta soluzione consisterebbe nella cosiddetta “attesa armata”, che consiste nel sottoporre la gestante a una vigilanza volta a intervenire con urgenza nel momento in cui si verifichi la rottura della tuba, per minimizzare il rischio per la madre. Questa soluzione, anche se evita di intervenire prima della rottura della tuba per evitare la morte del feto, sottopone indirettamente la madre a un rischio elevato che risulta difficile da giustificare avendo l’alternativa della salpingectomia, che come abbiamo detto è eticamente accettabile per le ragioni suesposte.

Valutazione bioetica. Tutti gli interventi volti direttamente a provocare la morte dell’embrione o del feto, anche se si vogliono giustificare al fine di proteggere la vita della madre, a livello etico sono da respingere. Un fine lecito, in questo caso curare la madre, non giustifica un mezzo illecito, ovvero provocare direttamente la morte di suo figlio. Sia la salpingostomia, ovvero estirpare l’embrione situato nella tuba mantenendo quest’ultima, che l’uso del metotrexato provocano direttamente la morte dell’embrione, il che renderebbe moralmente illecito il loro uso. L’argomentazione che sostiene che questo farmaco agisce solo sul trofoblasto, precursore della placenta, e non sull’embrione risulta difficilmente sostenibile, visto che considerare il trofoblasto come qualcosa di diverso dall’embrione è un concetto che può essere chiaramente messo in discussione. Dall’altro lato, il metotrexato non agisce solo sulle cellule del trofoblasto, ma su tutta la popolazione cellulare che presenta processi di divisione, come anche su quelle dell’embrione, anche se la loro velocità di moltiplicazione cellulare è nettamente inferiore a quella del trofoblasto.

            La “vigilanza armata” o astenersi dall’intervenire fino a che non si verifica lo scoppia della tuba presenta la difficoltà etica di sottoporre la madre a un rischio elevato non necessario, che può essere evitato mediante la salpingectomia o estirpando la tuba prima che ci siano indizi dell’assottigliamento della sua parete che possano far pensare a una possibile rottura. Sembra quindi che sia quest’ultimo intervento, la salpingectomia, a offrire meno dubbi sulla sua bontà etica, pur ammettendo il doppio effetto inevitabile e non cercato di provocare la morte indiretta dell’embrione come conseguenza dell’estirpazione della tuba di Falloppio nella quale è annidato.

            Julio Tudela e Justo Aznar, Osservatorio di Bioetica dell’Università Cattolica di Valencia (Spagna)

            Traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti  aleteia             28 marzo n2015

www.aleteia.org/it/salute/articolo/aborto-giustificato-gravidanza-ectopica-6426816797474816?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it-28/03/2015

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ORIGINI

Colella (ARAI). “La ricerca delle origini: un percorso in cui i ragazzi devono essere guidati”.

La ricerca delle origini, ambito tra i più delicati e dibattuti sia nelle sedi parlamentari che istituzionali tra addetti al settore (enti che si occupano di adozioni, psicologi e formatori), nel 2015, nell’era di internet, è a tutti gli effetti una realtà che si muove ad un ritmo accelerato: è il caso di dire, di un click. I social network, forum, chat e blog, infatti, sono diventati strumenti tra i più accessibili e alla portata di tutti, senza distinzione di età e di situazione personale, rischiando così di essere usati anche impropriamente.

L’avvento delle nuove tecnologie e dei moderni sistemi di comunicazione informatica sta avendo profonde implicazioni sull’istituto e sul processo adottivi, con grandi ripercussioni su tutti i suoi attori. E se da una parte le Convenzioni Internazionali sanciscono il diritto del minore di conoscere le sue origini, suggerendo una politica sistematica e coerente per regolamentare l’accesso a tali informazioni, dall’altra parte le normative e le pratiche restano tutt’oggi molto variegate, sia all’interno del contesto italiano che in quello europeo.

Tematiche molto delicate che saranno oggetto di confronto interdisciplinare con esperti del settore di respiro europeo, nel corso del convegno nazionale “Connessioni: leg@mi adottivi ai tempi di internet” organizzato da ARAI, e che si svolgerà a Torino il 16 e 17 aprile 2015.

vedi newsUCIPEM n. 539 – 29 marzo 2015, pag. 2

“L’avvento di internet rende possibile questa ricerca – dice Annamaria Colella, presidente di Arai – ad età molto più precoci ed in tempi molto più rapidi: più l’adottato è giovane, più è facile che l’atteggiamento di ricerca sia impetuoso e non serbi la dovuta distanza. Inoltre, anche per i membri della famiglia biologica è più facile ristabilire dei contatti”. Emerge dunque un quadro generale in cui questi processi possono avvenire e avvengono senza la supervisione ed il sostegno di professionisti dell’adozione (Howard, 2012).

“Studi internazionali stimano che circa il 50% degli adottati adulti ricerchi le proprie origini – precisa Colella – e che la metà di questi cerchi di entrare in contatto con i genitori biologici. In Italia, come emerge da una ricerca dell’Istituto degli Innocenti pubblicata nel 2013, è molto difficile stabilire a quanto ammonti esattamente la percentuale di coloro che hanno presentato istanza di accesso al fascicolo”. Le domande registrate in Italia sembrerebbero, comunque, inferiori a quelle calcolate nei Paesi stranieri, forse perché questo dipende dalla non diffusa conoscenza di questa opportunità (Pregliasco, 2013, pag. 213, Carocci editore). “La diffusione di internet e dei social network fa sì che – continua – molte di queste ricerche vengano condotte in autonomia e che non possano essere pertanto tracciate. I dati americani ed inglesi mostrano un netto aumento della ricerca delle origini attraverso questi canali”.

Per Colella “i servizi sociali e gli enti autorizzati devono accompagnare e orientare i ragazzi adottati e le famiglie in questa ricerca perché si tratta di un percorso molto delicato. E’ un’esigenza che si palesa per lo più negli adolescenti che per questo devono essere preparati opportunamente e guidati nell’uso corretto di internet”

Il convegno è rivolto a tutti operatori che accompagnano le famiglie nel delicato percorso dell’adozione, “e costituisce un momento di importante scambio formativo multidisciplinare – continua Colella – non soltanto per giuristi, psicologi e assistenti sociali, ma anche per le famiglie adottive e tutti gli ‘addetti ai lavori’, che potranno beneficiare direttamente e indirettamente della ricchezza derivante dal confronto”.

Il convegno si suddividerà in due giornate. La prima giornata sarà incentrata “sulla ricerca delle origini e saranno illustrati la normativa italiana in materia – precisa la presidente di ARAI – le motivazioni che spingono un adottato a ricercare informazioni sulla propria famiglia di nascita, il significato che questa ricerca assume per la costruzione dell’identità personale, e su quali sfide pongono le reti digitali”. Nel pomeriggio si lascerà spazio alle prassi dei vari attori coinvolti: i tribunali per i minorenni, gli operatori territoriali dell’adozione, gli enti autorizzati all’adozione internazionale. Verrà inoltre presentata una panoramica di ciò che accade nei paesi stranieri.

La seconda giornata si incentrerà invece sull’effetto dei social media e sulle prospettive future: “le sfide poste da internet – conclude Colella – al ruolo genitoriale e quali possibili precauzioni e tutele attivare”. Sono previste anche tavole rotonde tra operatori, associazioni, esponenti politici, enti autorizzati e regioni; eventi collaterali come il workshop (18 aprile) rivolto ai genitori adottivi, la proiezione di un film e un reading di un romanzo.

Aibi     31 marzo 2015                                  www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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PARLAMENTO

Camera          Assemblea      Relazione sull’attuazione L. 194\1978

1 aprile 2015. Eleonora Bechis, interrogazione a risposta immediata n. 3-01404.

Al Ministro della salute . — Per sapere – premesso che l’articolo 16 della legge 22 maggio 1978, n. 194, recante: «Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza», prevede quanto segue: «Entro il mese di febbraio, a partire dall’anno successivo a quello dell’entrata in vigore della presente legge, il Ministro della sanità presenta al Parlamento una relazione sull’attuazione della legge stessa e sui suoi effetti, anche in riferimento al problema della prevenzione. Le regioni sono tenute a fornire le informazioni necessarie entro il mese di gennaio di ciascun anno, sulla base di questionari predisposti dal Ministro. Analoga relazione presenta il Ministro di grazia e giustizia per quanto riguarda le questioni di specifica competenza del suo Dicastero.»;

  • parrebbe che in data odierna il Ministro interrogato non abbia ancora ottemperato agli obblighi di legge di cui sopra –:
  • quali siano le motivazioni dettagliate per cui il Ministro interrogato non abbia ancora provveduto ad ottemperare agli obblighi di legge. (3-01404)

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=3/01404&ramo=CAMERA&leg=17

Beatrice Lorenzin, Ministra della salute. (…) Questo Ministero ha già avuto modo di segnalare, anche in occasione delle precedenti relazioni inviate al Parlamento sull’attuazione della legge in questione, che risulta particolarmente difficile, se non proprio impossibile, rispettare la scadenza prevista dalla norma sopra citata, e cioè il mese di gennaio per le regioni che raccolgono i dati e il mese di febbraio per l’Istituto superiore di sanità, che si occupa della rilevazione ed elaborazione dei dati in oggetto e, quindi, di conseguenza, per il Ministero della salute, in considerazione dell’oggettiva complessità dell’acquisizione del dato relativo al numero reale di aborti effettuati, nonché dell’analisi del fenomeno. Inoltre, i tempi necessari per acquisire dati sufficientemente accurati e completi vanno aggiunti a quelli per l’acquisizione di quelli relativi alle popolazioni di riferimento, donne in età feconda e i nati vivi dell’anno in oggetto forniti dall’ISTAT. Voglio, comunque, rassicurare gli onorevoli interroganti che, non appena sarà completata la fase in corso di acquisizione, il controllo dei dati relativi all’anno 2014, sarà mia cura trasmettere immediatamente la relazione al Parlamento.

Questo dato, onorevole, relativo al fatto che nella norma c’è scritto febbraio, che in realtà mai è stato rispettato, è oggettivo. È una procedura e in questo caso razionalità vorrebbe che o cambiamo la data della presentazione o continuiamo nella prassi. Io ho sollecitato più volte gli uffici competenti, l’importante è comunque che, sempre entro l’estate, riusciamo a fare una relazione completa, accurata e dettagliata nei minimi particolari.

http://www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0403&tipo=stenografico#sed0403.stenografico.tit00040.sub00040.int00020

Senato             Depositato il DDL 1756 “Disposizioni in materia di affido condiviso dei figli”.

Rosetta Enza Blundo (non ancora assegnato). Il testo non è disponibile sul sito del Senato.

www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/testi/45206_testi.htm

«Onorevoli Senatori – Sono trascorsi ormai più di otto anni dalla entrata in vigore della legge n. 54 dell’8 febbraio 2006 – c.d. Affido Condiviso – e l’esperienza giurisprudenziale fin qui maturata ha dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, come la norma sia stata disapplicata in quasi tutti i tribunali della Repubblica e la Magistratura abbia, in questi anni, fatto riferimento a prassi e stereotipi tipici dell’affido esclusivo.

La sopra citata legge è riuscita ad affermare, soltanto nei principi, il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori e l’attività di monitoraggio delle sentenze effettuata dall’Osservatorio Nazionale sul Condiviso testimonia una totale assenza di omogeneità nei provvedimenti adottati, con decisioni apertamente contraddittorie non solo fra tribunali di diverse città, ma anche tra diversi giudici dello stesso tribunale. Una vasta area della Magistratura, infatti, abituata a considerare l’affidamento mono-genitoriale come la forma da privilegiare, fatica ancora oggi ad applicare una norma che ha ribaltato la “scala di priorità giudiziaria” della separazione, indirizzandola verso modalità di affido che privilegino il principio di “bigenitorialità”, considerato dal Legislatore come più adatto a contenere i danni che i minori subiscono dalla separazione dei loro genitori. 

L’alternativa all’Affidamento Esclusivo, e cioè l’Affidamento Congiunto, pur essendo l’antenato del Condiviso, era adottato solo in un numero limitato di casi, in presenza di bassa conflittualità. L’Affidamento Condiviso avrebbe dovuto risolvere tale limitato ricorso a forme di affidamento bigenitoriale perché, a differenza dell’Affidamento Congiunto, prevede anche l’esercizio separato della responsabilità genitoriale per le decisioni ordinarie, il che elimina ogni preoccupazione per i casi di elevata conflittualità.

L’Affidamento Esclusivo con la nuova normativa sopra richiamata avrebbe dovuto trovare una collocazione puramente residuale, limitata ai casi in cui le modalità previste dal Condiviso arrechino grave pregiudizio ai minori.

Tuttavia, nei primi otto anni di vita della nuova normativa, si è assistito alla diffusione di sentenze in cui le nuove modalità di affidamento sono rimaste lettera morta. La forma più evidente di mancata applicazione della L.54/2006 si intravede con chiarezza in quei provvedimenti in cui l’Affidamento Condiviso viene nominalmente concesso, salvo stabilire l’elezione di un genitore “domiciliatario prevalente” o “collocatario” (prassi di origine giurisprudenziale, non prevista dal Legislatore) che, di fatto, svuota la nuova norma di ogni effetto, ristabilendo, da un’altra direzione, lo strumento dell’Affidamento Esclusivo anche laddove non sussistano motivi di pregiudizio per il minore.

In siffatti provvedimenti, il modello dell’affidamento esclusivo si riproduce concretamente quantificazione dei tempi di “visita” o nella “facoltà”, anziché nell’obbligo, dei contatti tra i figli ed il genitore “non collocatario”, replicando in concreto il modello  di genitore non affidatario riferibile al precedente impianto normativo.

Tutto ciò è l’esatto contrario di quanto il legislatore si è proposto nel 2006, e cioè la sostituzione del modello mono-genitoriale con quello bi–genitoriale, e si contrappone ai risultati di autorevoli studi internazionali sui benefici che possono derivare per il minore dal coinvolgimento ampio di ambedue le figure genitoriali. (Anna Sarkadi, Robert Kristiansson, Frank Oberklaid, Sven Bremberg “Fathers’ involvement and children’s developmental outcomes: a systematic review of longitudinal studies”. Acta Pædiatrica 2008, 97 (2) , 153–158 2008). (…) »

Testo completo e articolato in          www.genitorisottratti.it/2015/04/depositato-al-senato-il-ddl-1756.html

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RIPRODUZIONE UMANA

                        Da Vita a Vita: un viaggio alla scoperta della riproduzione umana

Il prof. Bruno Mozzanega, ricercatore presso la clinica ginecologica ed ostetrica dell’Università di Padova, parla del suo ultimo libro “Da Vita a Vita – viaggio alla scoperta della riproduzione umana” (SEU). E’ presidente della SIPRe (Società Italiana Procreazione Responsabile) di recente costituzione.

www.sipre.eu/?page_id=22

Prof. Mozzanega, come e quando è nata l’idea di questo libro?

Il libro nasce dall’attività di formazione che ho svolto nelle scuole medie, in collaborazione con i docenti di Scienze, negli anni in cui lavoravo nel consultorio familiare pubblico.

So che sembrerà strano, ma devo riconoscere che ho scoperto quanto sia affascinante la biologia della riproduzione nel momento in cui ho iniziato ad illustrarla ai ragazzi. Naturalmente ne avevo già affrontato lo studio nell’ambito dei programmi del corso di laurea e di quelli più specifici della Scuola di Specializzazione. Tuttavia l’armonia che ne lega gli eventi mi era sfuggita, forse a causa della preoccupazione, allora preminente, di approfondirne in modo analitico i singoli particolari. La necessità di presentare ai ragazzi questi argomenti in modo organico, con lo scopo di far capire prima ancora che far imparare, mi ha spinto a riorganizzare le informazioni che avevo e a ricercare le relazioni che più intimamente le legano e le unificano in vista di quell’obiettivo, unico e fondamentale, che è la comparsa della vita umana. Ne è uscito un percorso di informazioni che si susseguono, concatenate le une alle altre, e che accompagnano il lettore a comprendere con gradualità i meccanismi della riproduzione ed insieme a ripercorrere le origini della propria storia.

Una volta smessa l’attività nel consultorio, ho deciso che nulla dovesse essere perso e l’ho trascritto. La prima edizione di “Da Vita a Vita” è del 1992. Le edizioni successive sono riccamente aggiornate, anche se i dati anatomici e la fisiologia del ciclo mestruale restano sostanzialmente invariati.

“Da Vita a Vita”… perché questo titolo?

Il titolo traduce l’ampio respiro del testo. E’ la vita stessa che fluisce e si perpetua, in un modo che ci vede, insieme, protagonisti e strumenti. Già appena concepiti, nelle primissime fasi della nostra esistenza, si differenziano in noi le cellule germinali primordiali che ci consentiranno, un giorno, di trasmettere la Vita e di essere partecipi, spero sempre consapevolmente, di questa immensa opportunità che ci è data.

Un “viaggio” alla scoperta della riproduzione umana?

Sì. E’ una Bellezza da scoprire nella sua meraviglia e nella sua perfezione. Riga dopo riga, nell’apprendere o nel sistemare nozioni che magari già possiede, chi legge si rende conto di leggere di sé. In questo viaggio il ragazzo, l’uomo, capisce di essere prezioso: il suo ruolo biologico è insostituibile, ovviamente. Ma capisce anche che è la donna la “garante” della vita umana: è il suo organismo a determinare i tempi della fertilità, quelli nei quali all’affettività si associa la procreazione. E’ lei la custode di questi eventi. Lei ospita il figlio e lo sente vivere e crescere in sé. Lei gli offre il cibo, la protezione, la prima e immediata comunicazione. E gli organi destinati a consentire tutto questo sono protetti all’interno del suo corpo, a differenza dei genitali maschili, pure importanti, è ovvio, ma che sono all’esterno e sono del tutto complementari a quelli femminili. E poi l’emergere della nostra prima cellula.

La vita che nasce non si esaurisce in una serie di eventi mirabili che si ripetono da millenni; essa porta in sé anche lo stupore e la magia di un evento unico, che trascende la biologia e si fa irripetibile.

Sì. Sono eventi che si ripetono da millenni e millenni, è vero, e che a volte possono rischiare di passare come routine. Ma nella realtà ogni volta avviene un prodigio: viene alla vita un individuo unico nel tempo e nello spazio, prescelto, selezionato fra infinite possibilità. Sei tu, sono io, sono tutte le persone, così particolari nella loro individualità, che hanno popolato e popoleranno questa Terra. Che l’arricchiranno con le loro storie particolari.

La magia è nella selezione dell’uovo che sarà scelto, quello contenuto nel follicolo ovarico che crescerà meglio degli altri. La magia è nella gara degli spermatozoi: un percorso ad eliminazione che ne porta solo uno a fecondare l’uovo: uno fra le decine e decine di milioni che vengono emesse ogni volta e poste all’ingresso delle vie genitale femminili. La magia è quella della prima cellula, che inizia immediatamente a svilupparsi e a crescere, secondo le istruzioni già presenti nel genoma nelle quali è scritto immediatamente chi siamo, il genoma che noi siamo… Quel singolo e irripetibile genoma (l’insieme di tutti i nostri geni) che è singolarmente ognuno di noi. E l’immediato rapporto del figlio con l’organismo della madre, della quale inibisce le difese immunitarie locali, quasi a dire: “Ci sono… iniziamo a collaborare”. E’ straordinario.

Raccontarlo è rischioso. Raccontare la perfezione è rischioso: il rischio è farlo male, non tradurla e non trasmetterne il senso; non suscitare lo stupore che questa Bellezza inevitabilmente dovrebbe evocare.

Qual è per lei il significato profondo della sessualità? L’informazione biologica è sufficiente al fine di una completa educazione della sessualità?

La sessualità è forse il livello di comunicazione più profonda che ci sia dato di sperimentare. La conoscenza della biologia è il presupposto ineludibile perché si viva pienamente una sessualità che sia consapevole. Consapevole della ricchezza che la sessualità ha in sé, della possibilità che ne consegua la procreazione, delle responsabilità che tutto ciò comporta nei confronti dell’altro e del figlio che può emergere alla vita. Una consapevolezza che nulla tolga alla spontaneità e a tutti gli altri infiniti significati e portati che sono propri della sessualità, ma che li integri tutti insieme in una relazione positiva e consapevole.

Direi che la conoscenza è una condizione sine qua non, e che il momento informativo è essenziale. E’ preliminare. Dobbiamo sapere bene cosa succede nel nostro organismo e quali tesori ci siano stati dati da custodire e utilizzare con responsabilità. L’essere informati, o meglio ancora il conoscere, è il presupposto fondante di un processo educativo e auto-educativo che dura per sempre e che forse si concluderà solo alla fine della vita. Credo che la vita stessa possa anche intendersi come un’avventura che continuamente ci educa.

Attualmente è diventato difficile attribuire significati univoci a termini scientifici come “concepimento” e “gravidanza”. Si parla di contraccezione di emergenza per nascondere metodiche potenzialmente abortive.

La vita inizia con il concepimento. Nel testo è tutto molto chiaro, ma prima ancora lo è nella realtà della biologia. Nei primi giorni di vita l’embrione si nutre delle riserve che erano nella cellula uovo, la cellula più grande che esiste in natura. Dialoga, in termini biologici, con l’organismo materno e infine si annida, per ricevere il nutrimento che gli serve per poter crescere e svilupparsi. L’embrione è ben vivo dal primo istante. Un organismo morto (non vivo) non potrebbe mai annidarsi, potrebbe soltanto andare in disfacimento, come succede a noi, a qualunque età. Anche se accettassimo l’assunto che, per definizione, la “gravidanza” inizi con l’impianto (che peraltro non è un colpo di calamita ma un processo che si perfeziona in più giorni), la vita comunque inizia dal concepimento. L’importante è non utilizzare queste distinzioni terminologiche per ingannare: oggi si pretende che la gravidanza inizi con l’impianto e non comprenda la prima settimana di vita del figlio: quella in cui l’embrione inizia a crescere e si prepara ad annidarsi.

Dal momento che la definizione comune di aborto è interruzione della gravidanza, pretendendo che la gravidanza inizi con l’annidamento si esclude dalla definizione di aborto tutto ciò che sopprime l’embrione prima dell’impianto nella sua prima settimana di vita. Ma tutte le nostre Leggi, e prima ancora i nostri princìpi, tutelano esplicitamente il concepito e quindi anche la sua prima settimana di vita: eliminarlo prima che si annidi non può certo essere procreazione responsabile.

I contraccettivi d’emergenza agiscono prevalentemente dopo il concepimento: in Europa e nel mondo accademico si accetta passivamente che la contraccezione si estenda fino a impedire l’impianto, ma è aberrante e anche contrario al sentire comune. A differenza di quanto pretende il mondo accademico, la gente comune ritiene correttamente che “contraccettivo” sia tutto ciò che impedisce il concepimento e “abortivo” sia, invece, tutto ciò che agisce dopo il concepimento eliminando il concepito.

A chi è destinato il libro “Da Vita a Vita”?

Come scrivo nell’introduzione, il libro è diretto soprattutto ai ragazzi, agli studenti: credo che leggendo la prima parte, auspicabilmente insieme ai loro insegnanti che li aiutino a consolidare le informazioni, essi non possano che appropriarsi con stupore della perfezione di questi apparati e meccanismi fisiologici che permetteranno loro di trasmettere la vita. Credo anche che, divenendone consapevoli, essi apprendano come sia possibile regolare la propria capacità di procreare senza mai interferire con l’esistenza di un figlio e cioè che essi sappiano distinguere con chiarezza le metodiche che consentono di prevenire i concepimenti da quelle che, al contrario, impediscono al figlio di sopravvivere. E soprattutto che il rispetto per la vita del figlio dal suo inizio possa essere il criterio fondamentale in ogni scelta inerente la procreazione.

”Da Vita a Vita” è diretto anche agli operatori del settore, a chi tiene corsi di educazione sessuale, alle coppie che desiderino vivere responsabilmente la propria capacità di procreare. E’ diretto a chiunque voglia conoscere l’immenso mistero della procreazione, almeno nei termini biologici in cui esso si realizza, e in esso riconoscere anche la propria storia fin dai suoi primi istanti. Il testo è rigorosamente scientifico, ma è intriso della perfezione degli eventi che descrive e dall’affetto e dal profondo rispetto per quel piccolo essere umano che può emergerne. Vorrei che ognuno apprezzasse questa grande Bellezza, se ne innamorasse, la sentisse intimamente costitutiva di sé e la proteggesse come un bene prezioso, in se stesso e negli altri.

Anna Fusina               vita nascente 19 marzo 2015                                   http://vitanascente.blogspot.it

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SCIENZA & VITA

Newsletter di Scienza & Vita n.79

È online la Newsletter di Scienza & Vita di marzo 2015. Per accedere a tutti i contenuti in un’unica soluzione basta scaricare, grazie al link, il pdf che raccoglie gli articoli.

Femminismo e ideologia gender, le differenze necessarie.                Paola Ricci Sindoni

Statement of the women of the world

E se il femminismo è morto? Serve quello “di marca”                                  Maria Teresa Russo

La sfida culturale: i giovani, l’etica, l’economia                                            Italia Buttiglione

Tre ghinee per ridare valore al significato di essere donna                Giulia Galeotti

Il nuovo, insospettabile, femminismo di fatto del III Millennio                     Andrea Piersanti

Mediapiù mediameno

www.scienzaevita.org/materiale/Newsletter79.pdf

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SEPARAZIONE E DIVORZI

Per gli “assistiti”: niente contributo unificato né sospensione feriale.

Nessun contributo unificato né sospensione feriale dei termini per gli accordi di separazione e divorzio conclusi attraverso la negoziazione assistita.

            Lo ha chiarito il ministero della Giustizia con una nota stampa, rispondendo ai quesiti posti dalla procura di Milano sul pagamento dell’onere, in analogia a quanto previsto per le cause dinanzi al tribunale e sulla sottoposizione o meno della procedura alla sospensione feriale dei termini.

            In entrambi i casi, la risposta di via Arenula è stata negativa.

            Quanto al primo quesito, secondo il ministero, l’istituto della negoziazione assistita introdotto dall’art. 6 del D.L. 132/2014 (convertito nella L. n. 162/2014) consente ai coniugi di raggiungere una convenzione al fine di ottenere la separazione personale, il divorzio o la modifica delle statuizioni in precedenza fissate, senza l’intervento del giudice e con gli stessi effetti di un provvedimento giudiziale.

            Il fatto che la legge preveda che tali accordi siano trasmessi al procuratore della Repubblica il quale, quando non ravvisa irregolarità negli accordi raggiunti, comunica agli avvocati il nulla osta o la propria autorizzazione (ovvero in caso contrario, trasmette l’accordo entro cinque giorni al presidente del tribunale per l’apertura del relativo procedimento), rappresenta “un’attività di controllo e verifica con caratteri di natura amministrativa” che “in sintonia con lo spirito e la ratio della legge” che mira a degiurisdizionalizzare e semplificare la materia in oggetto, esclude “la debenza del contributo unificato di iscrizione a ruolo di cui all’art. 9 dpr 30 maggio 2002 n. 115, dovuto ‘per ciascun grado di giudizio’ su richiesta di attività giurisdizionali delle parti”.

Quanto al secondo quesito, in coerenza con la natura del procedimento delineato dal legislatore, “deve ritenersi non applicabile la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale di cui all’art. 1 della L. n. 742/1969 e successive modificazioni”.

            Marina Crisafi                       newsletter studio Cataldi       27 marzo 2015

www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_17923.asp

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SESSUOLOGIA

“Non chiedeteci di restare indifferenti”

Un’azione culturale per contrastare la teoria del gender. E l’appello lanciato dal segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, nella conferenza stampa al termine del Consiglio permanente. Già il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, nella prolusione aveva parlato del gender come di una manipolazione da laboratorio, per costruire delle persone fluide che pretendano che ogni loro desiderio si trasformi in bisogno, e quindi diventi diritto. Individui fluidi per una società fluida e debole. Ne parliamo con il sociologo Sergio Belardinelli, docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Bologna.

Come si può fronteggiare culturalmente la teoria del gender?

Ritengo che si debba innanzitutto depotenziare quel surriscaldamento ideologico che la questione ha assunto. I fautori del gender sembrano invasati da questa nuova frontiera, e questo non fa bene a nessuno. Questa e la prima emergenza, risolvibile con un pizzico di ragionevolezza. Forse troppo a lungo anche noi cattolici ci siamo abbarbicati su un concetto di natura dal quale abbiamo preteso di dedurre con assoluta certezza i comportamenti sessuali corretti: se questo e stato un errore, ora stiamo cadendo nell’errore opposto, nel pensare di poter neutralizzare totalmente la natura, facendo credere che la sessualità non sia altro che un orientamento sessuale puramente culturale e, in quanto tale, dipendente esclusivamente dalle nostre scelte. E vero che gli uomini sono liberi di scegliere, ma pretendere che questo diventi la norma sociale riconosciuta e il criterio regolativo di ogni cosa mi sembra eccessivo.

Quali strumenti si possono mettere in campo? Monsignor Galantino ha parlato di decidere se, attraverso la mobilitazione, si risolve il problema oppure avendo docenti capaci di rispondere con la testa a certi tipi di problemi.

A priori e difficile stabilirlo. Per ora e importante capire che da questa battaglia culturale non ci si può tirare indietro. Con il dovuto rispetto nei confronti di tutti e con la dovuta prudenza, ma anche con una certa disinvoltura, sapendo che ci sono buoni argomenti per fronteggiare questa ideologia.

Non è una battaglia di cattolici contro laici?

Niente affatto, e una questione di ragione, anzi, di ragionevolezza. Usciamo dalle gabbie ideologiche, discutiamo pure animatamente, cerchiamo di trovare un punto d’incontro, ma non chiedeteci di restare indifferenti di fronte a un tema come quello della sessualità che è decisivo in una concezione antropologica.

Cosa può fare la scuola?

Tantissimo. Ciò che, piuttosto, non dovrebbe fare e prendere indebite scorciatoie, propinando testi che danno per scontato ciò che tutti sanno non essere affatto scontato, ovvero che la sessualità sarebbe ormai soppiantata dall’ideologia del gender. Sono furbizie, atteggiamenti ideologici, veri e propri soprusi da evitare se si vuole dar vita a un dialogo che sia fruttuoso per tutti.

E le famiglie che mandano i loro figli a scuola?

La famiglia non deve abdicare al suo ruolo educativo. Se e consapevole di quanto sia delicato oggi il problema educativo, dei temi in gioco, evidentemente anche una scuola che dovesse avviarsi sulla deriva del gender verrebbe fermata. La realtà è che c’è una sproporzione enorme tra ciò che possono fare le famiglie e quel che si riesce a fare ideologicamente attraverso i mass media, la scuola, certe pubblicazioni e cosi via. E una grande sfida culturale da raccogliere: trovo sia naturale che le famiglie abbiano diritto di esprimersi su cosa s’insegna ai figli in materia di gender.

Sulle unioni civili, invece, si è parlato di equiparazione forzata di realtà tra loro diverse. E anche questo un fronte culturale?

Anche qui c’è da evitare il surriscaldamento ideologico. Sarebbe già un passo avanti se riuscissimo a far capire che il matrimonio tra un uomo e una donna è qualcosa su cui la società ha costruito se stessa, e radicato nella storia e nella cultura, e sarebbe un grave vulnus renderlo un patto qualsiasi.

Passa anche da qui la battaglia per introdurre il gender?

Si, e per questo bisogna mitigare l’esasperazione ideologica. Tra il riconoscere i diritti di coppie che decidono per qualsiasi ragione di stare insieme ed equiparare un patto tra omosessuali e tra eterosessuali ci sono tante possibilità intermedie che non possiamo lasciarci sfuggire. Per salvare il matrimonio e l’identità sessuata servono argomenti convincenti, liberi dai pregiudizi. Per fortuna questi buoni argomenti ci sono: per questo la battaglia va fatta. Riguardo poi all’esito, decideranno i cittadini.

Francesco Rossi         SIR                 30 marzo 2015

www.scienzaevita.org/rassegne/20d95dc2367bbe2a6281fe0d9b458ed2.pdf

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SINODO DEI VESCOVI

Intervista con mons. Bettazzi: “Con Francesco torna lo spirito del Concilio”

Il peccato per cui la Chiesa deve chiedere specialmente misericordia? Non aver attuato pienamente il Concilio Vaticano II, scegliendo di essere Chiesa dei poveri e Chiesa comunione a tutti i livelli. Il peccato che “segna” in particolare l’uomo d’oggi? L’indifferenza di fronte ai grandi valori (a cominciare da quello religioso)».

Meditando sull’Anno Santo prossimo venturo con Luigi Bettazzi nel verde Canavese. Dal 1966 al 1999 vescovo di Ivrea, il novantunenne monsignore, fra i pastori che non sdegnano, anzi, l’odore delle pecore (dagli operai olivettiani agli obiettori di coscienza), già frettolosamente, mediaticamente, soprannominato «il vescovo rosso», ha infine trovato conforto – se mai abbisognasse di conforto -nelle parole di Francesco: «Privilegiare i poveri non vuol dire essere comunisti».

Mons. Luigi Bettazzi, già relatore al XIX congresso UCIPEM a Roma il 25 aprile 2005

“Identità, condivisione, integrazione: … un cammino in salita”. Il suo libro recente «Quale Chiesa? Quale Papa?»                                                                               www.emi.it/quale-chiesa-quale-papa-bettazzi

www.emi.it/quale-chiesa-quale-papa-finalista-premio-card-michele-giordano

 

 

 

 

Papa Francesco ha già creato diversi cardinali ultraottantenni. Potrebbe ricevere anche lei la porpora.

Non sono una figura così di rilievo. E comunque: Loris Capovilla, il segretario di Roncalli, è diventato cardinale a novantasette anni, sono ancora giovane.».

Torino è fra le sorprese dell’ultimo Concistoro.

«La mancata berretta cardinalizia è motivo di riflessione, certo. Ma non dimentichiamo che il Papa mira a segnalare situazioni peculiari, come nel caso di Francesco Montenegro, vescovo di Agrigento, che accolse Francesco a Lampedusa».

È pur vero che Torino è la città della Sindone.

«Sì, forse la prossima ostensione autorizzava l’attesa della porpora».

Per lei la Sindone è un’icona o una reliquia?

«E’ anche reliquia. Secondo Piergiorgio Odifreddi [matematico]è falsa perché non si è riusciti finora a spiegarla scientificamente. Per me è l’esatto contrario: ciò che non è spiegabile, implica un intervento al di là della scienza».

La Sindone icona e reliquia del Dolore. La carneficina tunisina come quella parigina (Charlie Ebdo) sollecita un quesito: l’Occidente de cristianizzato potrà arginare il fondamentalismo islamico?

La secolarizzazione del cristianesimo ha un sicuro risvolto positivo: ci ha consentito di arrivare alla democrazia. Vi è chi ha definito la Carta dei diritti dell’uomo il vangelo secondo l’Onu, un ventaglio di principi evangelici laicamente espressi. L’auspicio è che il mondo musulmano compia il medesimo cammino».

Papa Francesco: ha avuto occasione di incontrarlo?

«Un paio di volte, a Santa Marta. Una volta concelebrando con lui. Mi sono presentato: “Sono un superstite del Concilio”. Mi ha iniettato fiducia: “Un testimone”» [E’ uno degli ultimi quattro protagonisti italiani del Concilio ancora in vita – gli altri sono il cardinale Giovanni Canestri (97 anni), monsignor Felice Leonardo (100 anni) e l’ex abate Giovanni Battista Franzoni (87 anni)].

Quale Papa sente più affine?

«Giovanni XXIII, tale la sua umanità {la sua elezione a vescovo fu trovata nel sua scrivania da Paolo VI ndr} Luciani mi invitò a non turbare la fede della gente. Giovanni Paolo II mi bacchettò: “Si fa presto a scrivere una lettera a Enrico Berlinguer, quando non si è vissuto sotto i comunisti”»

Lei testimone del Concilio, accanto a Lercaro di cui fu ausiliare.

«L’11 ottobre 1963 pronunciai l’intervento in favore della collegialità. In idem sentire, di lì a poco, Joseph Ratzinger, teologo del cardinal Joseph Frings».

Ma il dopo Vaticano non si caratterizza per la collegialità mancata?

«Purtroppo. Francesco vi sta rimediando grazie ai cardinali che ha voluto al suo fianco. Le remore non sono poche, né lievi: il Vaticano è il governo, il Concilio è il parlamento, i governi, notoriamente, soffrono i parlamenti».

Sarebbe favorevole a un Vaticano III?

«Come lo intendeva il cardinal Carlo Maria Martini. Una serie di sessioni tematiche, che durino un mese: la bioetica, il sesso, la collegialità. Francesco, con il Sinodo in due tempi, si avvicina a Martini».

Il Sinodo che si esprimerà, fra l’altro, sulla comunione ai divorziati risposati e sulla condizione omosessuale.

«La comunione: vi sono cristiani ortodossi che, appellandosi al Concilio di Nicea, ammettono persino un secondo matrimonio, nel segno beninteso della sobrietà. L’omosessualità: la questione del sesso va studiata, emancipandosi dai neoplatonici che facevano coincidere sesso e decadenza dello spirito. Perché non espressione dello spirito umano? È noto che mi pronunciai in favore dei Dico [DL Barbara Pollastrini (Pari Opportunità) e Rosy Bindi (Famiglia) Governo Prodi 2007], il riconoscimento delle unioni civili».

Torniamo al Concilio, al gruppo bolognese: card Giacomo Lercaro, Giuseppe Dossetti, lei. E Giuseppe Alberigo, storico del Vaticano II. Quando morì, sette anni fa, la curia felsinea (cardinale Carlo Caffarra) non le permise di presiedere la celebrazione eucaristica. Poté solo concelebrare. Quali le colpe di Alberigo?

«La sua lettura del Concilio: non l’umanità per la Chiesa, ma la Chiesa per l’umanità; non il laicato per la gerarchia, ma la gerarchia per il laicato».

Dossetti, un padre costituente. Carlo Arturo Jemolo rimproverò a Giovanni Battista Montini. Paolo VI di non averlo nominato arcivescovo.

«Montini era un diplomatico, di respiro moroteo. Dossetti lo allarmava».

Jemolo avrebbe voluto vedere vescovo un’anima irrequieta come don Lorenzo Milani, magari a capo della pastorale per gli immigrati.

«Distinguerei tra i pastori e i profeti ».

Francesco ha scandalizzato i cattolici «medi» sostenendo che «il proselitismo è una solenne sciocchezza».

«Francesco è latino-americano. Nel suo bagaglio storico ci sono i nostri antenati che, traversato l’Oceano, non lesinavano l’autaut agli indigeni: o diventavano cristiani o venivano eliminati. Le religione è, sia, un affare di coscienza. Cito il Concilio: “La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio”».

Bruno Quaranta                                la stampa        30 marzo 2015.

www.lastampa.it/2015/03/30/italia/cronache/comunione-ai-divorziati-e-gay-la-chiesa-affronti-le-nuove-sfide-8kPWL3vn6l4XgbZ6yb6XAP/pagina.html

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UNIONI CIVILI

Coppie sposate e coppie di fatto: ancora tante differenze per la legge italiana.

Come si sa, manca attualmente nel nostro Paese una regolamentazione delle cosiddette ‘coppie di fatto’ (regolamentazione che peraltro, a parere di molti, sarebbe anche superflua per i conviventi eterosessuali).

            Ciò comporta un’ovvia e inevitabile diversità di trattamento fra i cittadini dotati dello status di coniugati e quelli che invece condividono liberamente la propria vita con un compagno.

            E se, sotto il profilo della filiazione gli ultimi interventi legislativi hanno completato il processo di equiparazione tra figli legittimi e naturali, sugli altri fronti il divario tra coppie di coniugi e conviventi more uxorio resta ancora molto profondo.

            Di patente evidenza sono le differenze in fatto di patrimonio, tfr e pensione di reversibilità: un convivente non può vantare alcun diritto ex lege sui beni dell’altro, vivente o defunto che sia.

            Per quanto riguarda poi l’argomento eredità, il compagno/la compagna può succedere al de cuius se nominato erede da quest’ultimo, ma solo nei limiti della quota disponibile; inoltre su quanto ereditato, il partner non sposato sarà tenuto a pagare comunque un’imposta pari all’8% del valore contro il 4% dovuto dagli eredi legittimi per quote superiori al milione di euro.

            Altro tasto dolente è poi il mancato riconoscimento al partner non coniugato di un diritto ad assistere l’altro mentre è in ospedale, e a maggior ragione a prendere decisioni relative ad interventi sanitari urgenti o pericolosi. Solo in tema di casa, il codice civile viene incontro alle famiglie di fatto prevedendo la possibilità per il convivente superstite di subentrare nel contratto di locazione stipulato dal defunto.

            Coloro che per svariate ragioni non intendono o non possono (ad esempio i separati in attesa di divorzio dai precedenti partner, le coppie dello stesso sesso etc.) accedere all’istituto del matrimonio potrebbero, però, decidere di tutelare i propri interessi tramite lo strumento privatistico del contratto di convivenza: un negozio giuridico con cui entrambi i partner assumono diritti e doveri reciproci, di natura personale e patrimoniale.

            Va detto in ogni caso che molte sentenze di legittimità e di merito hanno seguito negli ultimi anni una rotta tendente ad avvicinare il trattamento delle coppie regolarmente sposate con quello dei “semplici” conviventi, e che diverse norme dei codici penale e di procedura penale (vedi ad esempio il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi di cui all’art. 572 c.p.) considerano alla stessa stregua il coniuge e il partner convivente.

Mara M.         newsletter studio Cataldi       27 marzo 2015

www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_17941.asp

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VIOLENZA

Violenza sessuale anche senza querela, se collegata a reati procedibili d’ufficio.

Corte di Cassazione, terza Sezione penale, sentenza n. 10217, 11 marzo 2015.

Il reato di violenza sessuale è perseguibile anche in assenza di querela, se presenta un collegamento rilevante con ulteriori reati procedibili d’ufficio. E’ quanto affermato dalla Sentenza che ha annullato il provvedimento del Gup di non luogo a procedere nei confronti dell’imputato, relativamente al reato di violenza sessuale, ritenuto improcedibile in assenza di querela. Veniva invece disposto il rinvio a giudizio per gli ulteriori due reati contestati, ovvero, quello di maltrattamenti in famiglia e di violenza privata.

            In accoglimento delle cesure di parte civile ricorrente, la Cassazione ha precisato in proposito come l’art. 609 septies c.p., dopo aver fissato la regola generale circa la perseguibilità a querela dei reati sessuali, ne ha tuttavia ammesso la procedibilità d’ufficio, nel caso siano connessi ad altri delitti, al pari procedibili d’ufficio.     Ha poi puntualizzato come la connessione di cui all’art. 609 septies non debba essere intesa solo in senso processuale ma anche materiale, ovvero, quando l’indagine sul reato perseguibile d’ufficio, comporti necessariamente l’accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l’uno in occasione dell’altro.

            Alla luce di ciò, ricorrono nel caso di specie – a detta della Corte – le condizioni minime individuate dalla legge per la procedibilità d’ufficio del reato di violenza sessuale, posto che i fatti integranti detta fattispecie e quelli integranti i reati di maltrattamenti in famiglia e violenza privata, appaiono intimamente integrati tra di loro, di modo che non possa investigarsi sugli uni, senza svelare gli altri.

www.telediritto.it/index.php/diritto-penale/giurisprudenza/7055-violenza-sessuale-anche-senza-querela-se-collegata-a-reati-procedibili-d-ufficio

sentenza          http://renatodisa.com/2015/03/31/corte-di-cassazione-sezione-iii-sentenza-11-marzo-2015-n-10217-tra-le-ipotesi-di-perseguibilita-della-violenza-sessuale-senza-querela-delloffeso-spicca-la-fattispecie-di-connessione-dellabuso

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