NewsUcipem n. 537 –15 marzo 2015

NewsUcipem n. 537 –15 marzo 2015

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ABORTO                                          Danno da nascita indesiderata

ADDEBITO                                       per infedeltà coniugale: la posizione della giurisprudenza.

                                               Il tradimento ripetuto è causa d’addebito della separazione.

ADOZIONE INTERNAZIONALE  L’Ami propone di semplificarla e renderle gratuite.

AFFIDO                                            Promuoverlo: dove non arriva lo Stato arrivano le famiglie.

AFFIDO E ADOZIONI                    Casini (Mpv), “tutelare gli interessi del bambino”.

Adozione. Va in soffitta “il superiore interesse del minore”?

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  Non in discussione con la delibazione della sentenza ecclesiastica

ASSEGNO DIVORZILE                  Assegno a carico dell’eredità: quando e come ottenerlo.

CONSULENZA CONIUGALE        Il Consulente Familiare”

                                                             Chi sono Counselor- Psicologo- Psicoterapeuta?

                                                             Medicina e Counseling

CONSULTORI familiari UCIPEM  Milano 1. On line “la casa news” marzo 2015.

DALLA NAVATA                            4° domenica di Quaresima – anno B –15 marzo 2015

DANNO                                             Violazione dei doveri nascenti dal rapporto di filiazione.

FECONDAZIONE ARTIFICIALE  Eterologa: i primi due nati in Italia stanno bene.

FORUM Associazioni Familiari       UE: aborto e nozze gay “diritti politici e umani”. (Belletti).

                                               Strasburgo approva la Tarabella. Ma non cambia nulla.

FRANCESCO VESCOVO di Roma Intervista a Televisa.

GOVERNO                                       Prescrizione obbligatoria per la pillola EllaOne

NULLITÀ E OMOLOGA                Mio marito è pazzo sì all’accesso alla sua cartella clinica.

OMOFILIA                                       I sindaci non possono trascrivere unioni gay contratte all’estero.

Il pm ricorre e il giudice annulla.

Tar Lazio: matrimoni omosessuali non sono trascrivibili.

PARLAMENTO        Senato.            Assemblea.Ratifica convenzione Aja protezione minori.

Commissione Adozioni Internazionali Kafala

                                               Assemblea. Adozione dei minori.

                                               Assemblea. Divorzio breve

SINODO DEI VESCOVI                  Da maggioranza omologante a minoranza testimoniante SUCCESSIONE                                    Coniugi separati: in caso di morte e successione ereditaria?

VIOLENZA                                       Il delitto di maltrattamenti in famiglia assorbe quello di percosse

Reato sessuale in danno del figlio il genitore che lo permette.

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ABORTO

Danno da nascita indesiderata: alle Sezioni Unite, sciogliere i nodi.

Corte di Cassazione, terza Sezione civile, ordinanza n. 3569, 11 marzo 2015.

Vanno rimesse alle Sezioni Unite, le questioni, oggetto di contrasto, collegate al danno da nascita indesiderata per mancata informazione sull’esistenza di malformazioni congenite del feto, e relative all’onere di allegazione e al contenuto della prova a carico della gestante, nonché alla legittimazione, o meno, del nato a pretendere il risarcimento del danno.

Giuseppe Buffone       Il Caso.it, n. 12232 -11marzo 2015

www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/mdc.php?id_cont=12232.php

Fatto e diritto                                    estratto

Premesso che: … convennero in giudizio …nelle rispettive qualità di primario di Ostetricia e Ginecologia presso l’Ospedale (omissis) e di direttore del Laboratorio di Analisi dello stesso presidio) nonché l’Azienda U.S.L. … per ottenere il risarcimento dei danni conseguiti alla nascita della figlia, affetta da sindrome di Down, assumendo che la donna era stata avviata al parto, senza che fossero stati disposti approfondimenti, benché i risultati degli esami ematochimici effettuati alla sedicesima settimana avessero fornito valori non rassicuranti; (…)

Rilevato che: la Corte fiorentina ha osservato che, “anche a voler considerare provata la volontà della donna di orientarsi verso l’aborto, non emergono neppure indizi per ritenere che sussisteva per la medesima il diritto di ricorrere all’interruzione della gravidanza, in presenza dei presupposti di legge, e cioè del grave pericolo per la salute fisica o psichica”; ha pertanto ritenuto che, “non potendosi affermare il diritto della gestante ad interrompere comunque la gravidanza in presenza di anomalie o malformazioni del feto, la domanda proposta … in proprio non può trovare accoglimento, rimanendo quindi assorbita la questione se effettivamente sussisteva il dedotto inadempimento all’obbligo di esatta informazione, contestato ai convenuti”; quanto alla domanda risarcitoria avanzata dai genitori in nome e per conto della figlia, la Corte ha rilevato che “l’ordinamento positivo tutela il concepito e l’evoluzione della gravidanza esclusivamente verso la nascita, non essendo configurabile in capo al medesimo un diritto a non nascere o a non nascere se non sano” e che non è quindi “configurabile il diritto al risarcimento dei danni prospettato dagli attori, in qualità di genitori della minore, quale pregiudizio conseguente alla nascita, atteso che la tutela dell’individuo (che con la nascita acquista la personalità giuridica) nella fase prenatale è limitata alle lesioni imputabili ai comportamenti colposi dei sanitari, ma non si estende alle situazioni diverse”; col primo motivo, i ricorrenti hanno dedotto “violazione e falsa applicazione degli artt. 1176 e 2236 cod. proc. civ. e dell’art. 6 L. n. 194/1978, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.” e hanno censurato la sentenza perché, dopo aver rilevato che l’interruzione di gravidanza oltre il novantesimo giorno di gestazione è consentita a condizione che sussista un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, ha ritenuto che gli attori non avessero fornito la prova di tale presupposto, senza però considerare che si trattava di una “prova impossibile”, in quanto alla donna non era stata “fornita l’esatta informazione sulle condizioni del feto in grado di attivare il processo patologico che induce in pericolo la sua salute”, e senza neppure valutare come sia “del tutto naturale la volontà di interrompere la gravidanza a fronte di una corretta diagnosi e di una completa informazione che indichi gravi malformazioni del feto”; col secondo motivo (“violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 31, 32 Cost. e della l. 29.7.1975 n. 405, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.”), è stato censurato il capo della sentenza che ha escluso la possibilità di riconoscere il risarcimento in favore della minore; hanno sostenuto all’opposto i ricorrenti che, “se… al momento della mancata informazione erano presenti le condizioni previste dalla legge per far ricorso all’aborto…, allora il nato è legittimato ad agire in giudizio in quanto la richiesta è volta non a richiedere i danni per una nascita non voluta, bensì per un’esistenza difficile da portarsi dietro tutta la vita e da vivere in ragione delle proprie limitazioni psicofisiche”. (…)

la Corte rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.                                                                                www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/12232.pdf

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ADDEBITO

L’addebito della separazione per infedeltà coniugale: la posizione della giurisprudenza

Come noto, in forza dell’art. 151 c.c. la separazione può essere richiesta quando si verificano fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole e ciò indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi. L’intollerabilità della convivenza ed il grave pregiudizio all’educazione della prole, costituiscono pertanto presupposto imprescindibile ed ove richiesto e se ne ricorrano le circostanze il giudice può ulteriormente dichiarare a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.

            Nell’immaginario collettivo quindi, prima ancora che nei manuali di diritto e negli annali di giurisprudenza, il tradimento è considerato in re ipsa motivo certo di separazione, violazione del dovere non solo di fedeltà, proprio del matrimonio, ma anche dei più elementari canoni di fiducia e rispetto reciproci che dovrebbero porsi alla base di qualsivoglia relazione di coppia. L’addebito della separazione in caso di tradimento può quindi apparire conseguenza naturale, ma per la giurisprudenza non è sempre così.

            Infatti: “Per l’addebitabilità della separazione, l’indagine sull’intollerabilità della convivenza deve essere effettuata con una valutazione globale e con la comparazione delle condotte di tutti e due i coniugi, non potendo il comportamento dell’uno essere giudicato senza un raffronto con quello dell’altro. Infatti, solo tale comparazione permette di riscontrare se e quale rilevanza essi abbiano avuto, nel verificarsi della crisi matrimoniale.”. (Cass. n. 14162/2001) ed ulteriormente: “Il giudice deve accertare che la crisi coniugale sia ricollegabile al comportamento oggettivamente trasgressivo di uno o di entrambi i coniugi e che sussista, pertanto, un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità della convivenza, condizione per la pronuncia di separazione” (Cass. n. 279/2000).

            L’esame comparativo delle condotte di entrambi i coniugi e la sussistenza di un nesso di causalità tra il comportamento oggettivamente trasgressivo ed il determinarsi dell’intollerabilità della convivenza sono pertanto elementi imprescindibili. Infatti, il tradimento non rileva se interviene in una situazione già compromessa: In tema di separazione dei coniugi il presunto tradimento non assume alcuna rilevanza ai fini dell’addebito della stessa, laddove risulti intervenuto a situazione ormai compromessa, quando cioè già da mesi, con la scoperta della mala gestio del patrimonio familiare da parte del coniuge infedele, risultasse già maturata l’intollerabilità della convivenza. La presunta gestione per fini personali dei risparmi di famiglia, invece, rileva ai fini dell’addebito solo se la parte dimostri che essa abbia comportato la concreta violazione degli obblighi di assistenza economica-materiale e di contribuzione ai bisogni della famiglia cui ciascun coniuge è obbligato in via primaria ai sensi dell’art. 143 c.c. (Trib. Genova Sez. IV, 29/03/2012.)

            Mentre può rilevare se offende la dignità e l’onore dell’altro coniuge per le sue modalità: “La relazione intrattenuta da un coniuge con terzi, qualora, considerati gli aspetti esteriori caratterizzanti la stessa nell’ambiente in cui i coniugi vivono, sia idonea a dar luogo a plausibili sospetti di infedeltà, è tale da costituire causa di addebito della separazione ex art. 151 c.c. anche qualora, di fatto, non si sostanzi in un vero e proprio tradimento, poiché in ogni caso tale da determinare l’offesa alla dignità ed all’onore dell’altro coniuge”. (Trib. Trieste, 24/03/2011)

            Tuttavia nella giurisprudenza più recente si osservano una diversa valutazione delle circostanze ed una modifica della prospettiva di partenza ritenendo che in talune ipotesi sussista una presunzione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza ed in particolare in caso di tradimento, onerando l’altro coniuge della prova contraria. Il richiedente l’addebito non dovrà neppure provare il nesso causale sopra accennato.

La Cassazione n. 11516 del 23/05/2014 ha statuito che: “in tema di separazione giudiziale dei coniugi, si presume che l’inosservanza del dovere di fedeltà, per la sua gravita, determini l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, giustificando così, di per sé, l’addebito al coniuge responsabile, salvo che questi dimostri che l’adulterio non sia stato la causa della crisi familiare, essendo questa già irrimediabilmente in atto, sicché la convivenza coniugale era ormai meramente formale (da ultimo, Cass. 14 febbraio 2012, n. 2059; Cass. 7 dicembre 2007, n. 25618). Ciò vuoi dire che, a fronte dell’adulterio, il richiedente l’addebito ha assolto l’onere della prova su di lui gravante, non essendo egli onerato anche della dimostrazione dell’efficienza causale dal medesimo svolta; spetta, di conseguenza, all’altro coniuge di provare, per evitare l’addebito, il fatto estintivo e cioè che l’adulterio sopravvenne in un contesto familiare già disgregato, al punto che la convivenza era mero simulacro; ne deriva parimenti che, una volta accertato l’adulterio, la sentenza che su tale premessa fonda la pronuncia di addebito è sufficientemente motivata (così ancora la citata Cass. 14 febbraio 2012, n. 2059). Dall’altro lato, l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà non è stata positivamente accertata dalla Corte del merito, la quale, dopo attento esame di tutti gli elementi della fattispecie emersi nel corso del giudizio, ha infine escluso che nel caso concreto i fatti dalla responsabile allegati (litigi e l’abitudine di dormire in camere separate) fossero indizi concludenti ed inequivoci della pregressa situazione di intollerabilità della convivenza e della natura di mero simulacro ed apparenza della medesima, posto che comunque essi non impedirono la prosecuzione anche dei rapporti fra loro.”.

            In senso conforme alla precedente Cassazione civile, sez. I, sentenza 23.10.2012 n. 18175 per la quale: “Non può tuttavia sottacersi che la violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale, particolarmente se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, rappresenta una violazione particolarmente grave di tale obbligo, che, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, causa della separazione personale dei coniugi e, quindi, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile, sempreché non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale (Cass., 9 giugno 2000, n. 7859; Cass., 18 settembre 2003, n. 13747; Cass., 12 aprile 2006, n. 8512; Cass., 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass., 14 febbraio 2012, n. 2059, proprio in tema di ripartizione del relativo onere della prova).”

            In sostanza, secondo la Corte, quando il tradimento è duraturo e particolarmente grave, non c’è bisogno di fornire la prova rigorosa del nesso causale tra l’intollerabilità della convivenza e il tradimento stesso; opera una sorte di inversione dell’onere della prova per cui il nesso si presume e spetta a chi vuole dimostrare il contrario di portare le prove della mancanza di tale nesso. Anche alcune sentenze di merito hanno accolto tali principi: “Qualora la ragione dell’addebito della separazione sia costituita dall’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale, questo comportamento, se provato, fa presumere che abbia reso la convivenza intollerabile, sicché, da un lato, la parte che lo ha allegato ha interamente assolto l’onere della prova su di lei gravante” (Trib. Cassino, 08/05/2014).

            E’ dunque evidente come in tal caso l’obbligo di fedeltà assuma una maggior forza cogente. Così accanto a sentenze che statuiscono che: “ai fini della pronuncia di addebito non può ritenersi di per sé sufficiente l’accertamento della sussistenza di condotte contrarie ai doveri nascenti dal matrimonio” (Trib. di Novara 11/02/2010) ed ulteriormente: “ai fini dell’addebitabilità della separazione, non basta che uno dei coniugi o entrambi abbiano tenuto comportamenti contrari ai doveri nascenti dal matrimonio, è necessario che sia provato un nesso di causalità fra tali comportamenti e la sopraggiunta intollerabilità della convivenza, essendo irrilevanti i comportamenti successivi al determinarsi di tale intollerabilità” (Cass. n. 13431/2008); vi sono pronunce che sottraggono a tale valutazione comparativa alcuni comportamenti violativi di doveri coniugali ritenuti così gravi da comportare in re ipsa non soltanto la sussistenza del nesso di causalità, ma anche una presunzione non superabile di intollerabilità ponendo in una posizione processuale di vantaggio il coniuge richiedente l’addebito.

Monica Guastamacchia        Altalex            , 3 marzo 2015                      www.altalex.com/index.php?idnot=70531

Il tradimento ripetuto è causa d’addebito della separazione.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 5108, 13 marzo 2015,

Ai fini dell’addebito della separazione per violazione del dovere di fedeltà rileva l’abitudine del coniuge a cercare occasioni di avventure: anche se la relazione coniugale risale a molti anni prima, il fatto che il marito, poco prima della separazione, abbia tentato, sotto falso nome peraltro, un approccio con un’altra donna, è indice della tendenza a tradire. Sussiste quindi il nesso di casualità tra separazione e violazione dei doveri coniugali, nonché la continuità del comportamento fedifrago.

 solo: il marito non ha alcun diritto sulla casa coniugale, costituita da un’unità abitativa costituita da due appartamenti accorpati con l’abbattimento di un muro: lo scorporo comporterebbe la lesione del diritto dei figli minori a continuare a godere dell’habitat domestico anche dopo la separazione dei genitori. Infine, a nulla rileva che una delle due unità immobiliari originarie sia oggetto di comodato, poiché, secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, il diritto del comodante alla restituzione dell’immobile soccombe rispetto all’interesse dei figli minori di godere della casa familiare.

Valeria Mazzotta       persona e danno                                16 marzo 2015

www.personaedanno.it/index.php?option=com_content&view=article&id=47335&catid=121&Itemid=368&mese=03&anno=2015

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

                        L’Ami propone di semplificarla e renderle assolutamente gratuite.       

“L’Italia perde l’ennesima occasione storica di salvare i milioni di bambini sparsi nel mondo rinchiusi negli internati, privi di ogni affetto e assistenza familiare”, così l’avv. Gian Ettore Gassani, presidente nazionale dell’Associazione degli Avvocati Matrimonialisti Italiani.

            “Nel nostro Paese – afferma l’avv. Gassani – si è registrato un fortissimo calo del numero delle adozioni internazionali dal 2010 ad oggi: dai 4130 bambini adottati del 2010 si è passati ai 2825 bambini adottati del 2013. Si preferisce far marcire un bambino in un orfanotrofio piuttosto che farlo adottare da un single che abbia dato prova di capacità morali, affettive ed economiche da mettere a disposizione di uno o più bambini abbandonati. Tante persone separate e divorziate che hanno messo al mondo figli ben potrebbero adottare un bambino, eppure resiste nel nostro Paese una visione conservatrice della famiglia.”.

            Inoltre: “Nulla si dice invece sugli enormi costi che le coppie sono costrette a sostenere per adottare un bambino. Tra costi effettivi dichiarati da enti e associazioni e costi sostenuti direttamente dalla famiglia, prima in Italia e poi all’estero, si parla di cifre che talvolta si aggirano sui 20.000-25.000 euro, tanto che recentemente alcune banche hanno istituito dei mutui ad hoc”.

            Infine: “Le adozioni devono essere gratuite e a tal fine bisogna istituire un fondo per incentivare il percorso adozionale, considerato che in costanza di crisi economica molte sono le coppie costrette a rinunciare all’adozione. Ciò che stride è che in Italia un mafioso può avvalersi della legge sul gratuito patrocinio per difendersi da orrendi crimini, con parcelle faraoniche per gli avvocati, e poi non si reperiscono i fondi per sostenere economicamente le persone oneste che intendono adottare un bambino bisognoso”.

            Redazione Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani            14 marzo 2015

www.ami-avvocati.it/adozioni-lami-propone-di-semplificarle-e-renderle-assolutamente-gratuite

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AFFIDO

Promuovere l’affido: dove non arriva lo Stato arrivano le famiglie.

Famiglie abbandonate, sempre più dimenticate dalle già scarse azioni di sostegno sociale e la cui precaria condizione si ritorce, con particolare gravità, sui ragazzi minorenni. È in questo quadro, ogni giorno più diffuso nel nostro Paese in questi anni di crisi, che l’affido familiare assume un doppio valore. Non solo quello di “rifugio” temporaneo per i bambini che provengono da situazioni disagiate, ma anche di vero e proprio strumento di lotta alla povertà. Nonostante la legge, teoricamente, non consenta che tale forma di accoglienza sia utilizzata come una sorta di “ammortizzatore sociale”.

            Nel suo bollettino sulla povertà in Italia nel 2013, l’Istat rileva che sarebbero più di un milione i minori “incapaci di avere una vita dignitosa”. E si tratterebbe di un dato approssimato per difetto, perché non tiene conto di quella vasta “zona grigia” che comprende le tante famiglie che si trovano poco al di sopra del limite di reddito mensile di spesa considerato “soglia di povertà assoluta”. Una cifra – pari, per esempio, a 1.046 euro per i nuclei con 4 componenti residenti al Nord – che può facilmente essere superata, trasformando l’incubo povertà di molte famiglie in una tragica realtà.

            La Legge 149/2001, riprendendo quanto disposto dalla Legge 184/1983, relativamente al “diritto del minore a crescere e ad essere educato nell’ambito della propria famiglia”, sancisce esplicitamente che “le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia”. In sostanza, la legge vieterebbe l’affidamento esterno di un minore a causa di motivi economici e della situazione di indigenza del nucleo di origine. Ma la realtà molto spesso si discosta dalla teoria. È sempre più frequente, infatti, che siano proprio le condizioni economiche a motivare l’allontanamento del minore, “stante la temporanea assenza di un ambiente familiare idoneo”.

            Questo perché, quegli “interventi di sostegno e di aiuto” alle famiglie a cui le istituzioni, ancora secondo la Legge 149, sarebbero tenute, sono invece sempre più rari. Tali aiuti, infatti, andrebbero attinti dalle ormai vuote casse comunali. I servizi sociali dei Comuni, più che vigilare, dovrebbero agevolare, stimolare e prendersi cura dei soggetti più deboli e sostenere i minori attraverso interventi sui loro genitori.

            In questa situazione, si attende un intervento risolutivo dei Tribunali per i minorenni. Compito loro “dovrebbe essere il ripristino della legalità – afferma Alessandro Bongarzone, esperto di affido, nel suo blog sul “Fatto Quotidiano” -, imponendo ai servizi sociali di svolgere il proprio ruolo e ai Comuni di reperire le risorse adeguate a sostenere i redditi delle famiglie che più ne hanno bisogno. Anche attraverso un più serrato reclutamento di singoli e di famiglie disponibili a sostenere, con una presenza di prossimità, i minori e le loro famiglie di appartenenza e recuperando risorse oggi affidate a strutture comunitarie”.

            Intervenendo in questo senso, i Tribunali per i minorenni svolgerebbero un servizio di stimolo a nuove e più avanzate forme di socialità.

Aibi     12 marzo 2015                                  www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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AFFIDO E ADOZIONI

Casini (Mpv), “tutelare gli interessi del bambino”.

“Apprezzo il ritiro dell’emendamento che, se approvato, avrebbe capovolto il senso stesso dell’adozione”. È il commento al Sir di Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita (Mpv), in merito al ritiro dell’emendamento che avrebbe cambiato i criteri per adozione e affidamento. “Bisogna sempre ricordare – aggiunge Casini – che l’adozione e l’affidamento sono istituti a favore dei bambini, per dare una famiglia a chi non ce l’ha o ce l’ha in difficoltà, ma non è uno strumento per dare dei figli a chi non ce li ha”.

“Oggi, invece, si sta assistendo ad un degrado del concetto stesso di adozione e di affidamento, che vengono considerati un modo per avere figli. Non è così”. Casini insiste su un punto: “Al bambino va dato il meglio possibile. E il meglio possibile è una famiglia composta da un uomo e una donna sposati, legati da un affetto stabile. Così dice la legge italiana e così deve restare”. “Sull’adozione si raccontano tante favole, come quella sulle procedure lunghe. In realtà, ci sono pochi bambini che possono essere adottati perché, in Italia, non vengono fatti nascere con l’aborto”, conclude il presidente del Movimento per la vita.

SIR – Servizio Informazione Religiosa –11 marzo 2015

www.agensir.it/pls/sir/v4_s2doc_b.stampa_quotidiani_cons?id_oggetto=307349

Adozione. Va in soffitta “il superiore interesse del minore”?

Da anni si discute su come migliorare la legge 149 su affido e adozione, per garantire maggiori tutele ai minori in difficoltà; le associazioni familiari che si occupano di accoglienza da anni esprimono suggerimenti, proposte, e quindi la notizia che domani, martedì 10 marzo, l’aula del Senato avvii la discussione sul disegno di legge di riforma sembrava una buona notizia.

Uno degli aspetti cruciali è la possibilità, in caso di affidamento prolungato del minore ad una famiglia, di poterla trasformare in adozione, con un canale privilegiato. Tuttavia nei primi testi questa possibilità era riservata solo alle coppie sposate (in piena continuità con le regole dell’adozione, che è appunto riservata a coppie legalmente sposate), a sorpresa il testo arrivato in aula apre questa opzione anche ai single.

La ratio della limitazione alle coppie sposate appare di un’evidenza cristallina: offrire ai bambini una famiglia che abbia il massimo della stabilità e dell’impegno pubblico, attraverso il matrimonio. Una coppia sposata testimonia, infatti, un’esplicita responsabilità sociale, formalizzata nel patto matrimoniale, sottoposto ai vincoli della legge, e garantisce al bambino un padre e una madre, cioè una coppia genitoriale completa, il che costituisce ovviamente maggiore garanzia di benessere. Quindi la legge vuole assicurare anche a queste situazioni il massimo di tutela possibile. Certo, molti affidi da parte di persone sole riescono ottimamente, e in “casi speciali” si può già oggi approvare un’adozione da parte di un single, ai sensi dell’art. 44 della legge 149. Ma si tratta, appunto, di casi speciali, mentre la generalità della risposta dello Stato deve necessariamente tendere a dare il massimo ad un bambino in difficoltà. E per lo Stato il massimo è una coppia genitoriale completa, regolarmente sposata, che proprio davanti allo Stato si è impegnata alla stabilità e ai compiti di cura previsti dal codice civile, come sottolineato anche dal Tavolo nazionale sull’affido (vedi allegato).
Davvero questa legislatura vuole introdurre una norma che, anziché garantire in tutti i modi possibili il “superiore interesse del minore”, vuole promuovere lo slogan “adozioni più facili.

Forum delle Associazioni Familiari Comunicato stampa 9 marzo 2015

www.forumfamiglie.org/comunicati.php?filtro=ultimi_30_giorni&comunicato=747

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

L’assegno non viene messo in discussione con la delibazione della sentenza ecclesiastica.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, sentenza n. 5133, 13 marzo 2015

            La delibazione della pronuncia ecclesiastica di nullità non rimette in discussione l’assegno di mantenimento riconosciuto al coniuge in virtù di sentenza di separazione passata in giudicato.

avv. Maria Martignetti         diritto e giustizia        17 marzo 2015

www.dirittoegiustizia.it/news/9/0000072627/L_assegno_di_mantenimento_non_viene_messo_in_discussione_con_la_delibazione_della_sentenza_ecclesiastica.html

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ASSEGNO DIVORZILE

Assegno di divorzio a carico dell’eredità: quando e come ottenerlo.

            Il coniuge divorziato, dopo la morte dell’ex, può presentare al giudice una domanda diretta ad ottenere un assegno successorio: una guida su requisiti e presupposti occorrenti.

Di norma, con il divorzio, vengono meno tutti i diritti ereditari che la legge collega allo stato di coniuge. Ciò significa che il divorziato ha la possibilità di partecipare alla successione dell’ex, ormai defunto, solo se questo lo abbia nominato nel proprio testamento.

            Esiste, però (anche in mancanza di un’espressa disposizione testamentaria) la possibilità per il divorziato superstite di partecipare alla successione dell’ex consorte, ricevendo un assegno a carico dell’eredità (altrimenti detto assegno successorio). Vediamo nello specifico di cosa si tratta e a quali condizioni è possibile ottenerlo.

            L’assegno successorio [art.9-bis della L. 898/1970] è un assegno periodico che il giudice, dopo la morte dell’ex coniuge, può porre a carico degli eredi (legittimi o testamentari) in favore dell’ex superstite, purché sussistano determinate condizioni. Tale assegno vuole garantire quel regime di solidarietà familiare nato con il matrimonio tutte le volte in cui non sia possibile sostenere in altro modo l’ex coniuge che si trovi in stato di bisogno [Cass. sent. n. 1253 del 27.01.2012].

            Si tratta, in pratica, di un assegno con una natura alimentare, finalizzato ad assicurare all’ex di sopperire al venir meno dell’assegno di divorzio conseguente alla morte dell’obbligato. Esso comunque non rappresenta una trasformazione dell’assegno divorzile ma un obbligo autonomo degli eredi che deve essere espressamente riconosciuto dal giudice [Cass. 10557/1996; Cass. n. 6045/1981].

            Dalla natura alimentare dell’assegno successorio, derivano alcune conseguenze, quali:

– l’indisponibilità (e perciò l’impossibilità di trasmetterlo ad altri soggetti);

– l’imprescrittibilità (cioè la possibilità di richiederlo in qualsiasi momento ove ne ricorrano i presupposti);

– la possibilità di chiederne la rivalutazione monetaria.

Per aver diritto all’assegno successorio, occorre che l’ex coniuge superstite si trovi al contempo nelle seguenti condizioni:

1) gli sia stato già riconosciuto il diritto a un assegno di mantenimento divorzile;

2) versi in stato di bisogno;

3) dopo il divorzio non si sia risposato e non lo faccia in seguito;

4) non abbia già ricevuto con il divorzio il mantenimento attraverso un’erogazione in unica soluzione (cosiddetto una tantum).

Nell’ambito dei suddetti presupposti, merita un approfondimento quello relativo allo stato di bisogno, trattandosi di una condizione che può essere oggetto di diverse interpretazioni. Tale stato, pur non coincidendo con quello di assoluta povertà, viene – di norma – individuato in una situazione peggiore rispetto a quella in cui manchino le disponibilità idonee a conservare il precedente tenore di vita (presupposto, invece, per il riconoscimento di un assegno divorzile). Esso, infatti, deriva dall’insufficienza delle risorse economiche del superstite in rapporto alle sue esigenze esistenziali primarie “che non possono rimanere insoddisfatte se non a costo di deterioramento fisico e psichico” [Cass., 17 giugno 1992].

            In altre parole, nonostante la natura di tale assegno sia analoga a quella degli alimenti, l’entità del bisogno va valutata in relazione al contesto socio – economico del superstite e del defunto e non con riferimento alle norme generali in tema di sostegno dell’indigenza [Cass. sent. n 1253/2012 e n. 9185/2004].

            Di conseguenza, tale stato di bisogno sarebbe configurabile anche nei casi in cui l’ex coniuge possa far fronte in modo temporaneo alle proprie esigenze di vita, alienando beni mobili di valore (come gioielli, argenteria, ecc.) [Tribunale di Pavia, 13 maggio 1993].

In ogni caso, spetta al giudice la prudente valutazione in merito alla sussistenza o meno di tale condizione che, tuttavia, deve essere dedotta e provata dal soggetto interessato ad ottenere il predetto beneficio. Tale stato di bisogno deve, inoltre, perdurare nel tempo, sicché il diritto all’assegno successorio si estingue col suo venir meno e sorge nuovamente, ove tale stato si ripresenti.

Per determinare la misura dell’assegno, il giudice deve tener conto non solo dei criteri previsti dalla normativa in tema di diritto agli alimenti quali la proporzione del bisogno di chi li domanda e le condizioni economiche di chi deve somministrarli, ma anche di specifici ulteriori elementi, espressamente previsti dalla legge citata:

– il numero, la qualità e le condizioni economiche degli eredi: con possibile valutazione e attribuzione dell’obbligazione in misura differenziata per i singoli eredi ;

– il tenore di vita che era garantito dall’assegno divorzile;

– l’eventuale godimento da parte del richiedente della pensione di reversibilità;

– il valore dell’asse ereditario.

            Tutti questi elementi devono essere valutati con riferimento alla situazione esistente al momento in cui la ripartizione deve essere effettuata. In ogni caso, poiché tale assegno deve considerarsi un onere a carico degli eredi, il suo ammontare non potrà mai superare il valore delle sostanze ereditarie; sicché, se vi sia una eredità passiva (cioè costituita da debiti), l’ex superstite nulla potrà pretendere.

            Su accordo delle parti – ed è quello che in genere avviene nella prassi – la corresponsione dell’assegno a carico dell’eredità può avvenire in un’unica soluzione: ove ciò avvenga al beneficiario sarà preclusa la possibilità di avanzare qualsiasi richiesta futura, anche nel caso in cui subentri nuovamente lo stato di bisogno.

Poiché il diritto al mantenimento da parte dell’ex coniuge (attuato tramite il riconoscimento di un assegno divorzile) ha natura strettamente personale e si estingue con la morte dell’obbligato, al verificarsi di questo evento non sorge in via automatica alcun trasferimento a carico degli eredi di corrispondere l’assegno all’ex superstite. Occorre, quindi, che l’interessato si faccia parte attiva e formuli un’espressa domanda giudiziale (con l’assistenza di un avvocato) in tal senso; sicché la sentenza che accerta il diritto ad un assegno successorio non ha effetti retroattivi, ma li produce a partire da quel momento.

            La domanda va proposta davanti al tribunale (in composizione collegiale) del luogo di apertura della successione e, avendo ad oggetto un diritto di natura alimentare, può essere quindi presentata in qualunque momento sopravvenga l’eventuale stato di bisogno (non ha, quindi, termini di prescrizione). Essa non richiede, ai fini di una valida proposizione, la necessità di esperire un preventivo tentativo di mediazione o di negoziazione assistita.

            L’assegno dovrà essere corrisposto in misura proporzionale alle rispettive quote ereditarie. In caso di morte di uno dei soggetti obbligati a corrispondere l’assegno, il beneficiario potrà presentare una nuova domanda al giudice al fine di ottenere un aumento della quota a carico degli altri obbligati.

            Maria Elena Casarano          la legge per tutti         12 marzo 2015

www.laleggepertutti.it/81753_assegno-di-divorzio-a-carico-delleredita-quando-e-come-ottenerlo

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CONSULENZA CONIUGALE

Il Consulente Familiare”

E’ in distribuzione il n.1 del marzo 2015 di “Il Consulente Familiare” organo dell’Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari A.I.C.C.e F.

  • Editoriale
  • Lettera della Presidente Rita Roberto
  • La prossima Giornata di Studio a Roma il 19 aprile 2015
  • L’intervista a Emiliana Alessandrucci, presidente del COLAP
  • Giovanna Bartholini “Il Consulente di Coppia” di Rita Roberto
  • Conferenza Internazionale ICCFR a Berlino 22-24 giugno 2015 www.iccfr.org
  • Convegno UCIPEM 2014 di Rimini «trama e ordito».
  • Parliamo di “il tirocinio professionale AICCeF” di Rita Roberto.
  • Letto e visto per Voi: rubrica di libri e cinema Licia Serino e Davide Monaci
  • Lettere alI’Aiccef e risposte
  • Notizie Aiccef
  • Soci referenti regionali

e-mail: info@aiccef.it                               sito:www.aiccef.it                       http://ilconsulente4.blogspot.it/

Chi sono questi personaggi?   Counselor- Psicologo- Psicoterapeuta.

Personalmente, quando cerco di spiegare in termini comprensibili le tre figure, utilizzo tre figure di riferimento dell’ambito sanitario. Il counselor lo paragono all’infermiere, lo psicologo al medico generico, lo psicoterapeuta al medico chirurgo.

Il counselor: si occupa di persone sostanzialmente sane che in determinati momenti della loro vita sentono la necessità di avere un aiuto per affrontare situazioni di disagio emotivo, esistenziale, comunicativo, relazionale. Il counselor, quindi, interviene in contesti in cui è assente un disagio o disturbo mentale. Rollo May definisce il in questo modo il counselor, ossia come colui che ha il compito di “ favorire lo sviluppo e l’utilizzazione delle potenzialità del cliente, aiutandolo a superare eventuali problemi che gli impediscono di esprimersi pienamente e liberamente nel mondo esterno […] il superamento del problema, la vera trasformazione, il cambiamento spetta, comunque al cliente. Il counselor può solo guidarlo con empatia e rispetto a trovare la libertà di esser se stesso“. (L’infermiere ).

Lo psicologo: è una persona che possiede una laurea in psicologia, acquisita attraverso un percorso formativo universitario che prevede un lavoro teorico e testuale, infatti, i programmi universitari di psicologia sono incentrati su una componente diagnostica, medica di stampo cognitivista. In psicologia il test ha un utilizzo che è fondamentale per avere la diagnosi come momento conoscitivo della persona. Dopo un anno di tirocinio ed il superamento di un esame di stato si iscrive all’ordine degli psicologi e si può utilizzare il titolo di psicologo. Lo psicologo quindi può compiere interventi che spaziano dalla prevenzione del disagio e la promozione della salute psicologica alla patologia, ossia alla cura dei disturbi mentali attraverso terapie psicologiche. (Il medico generico)

Lo psicoterapeuta: è un professionista con competenze professionali in psicoterapia, competenze non necessariamente legate alla competenza di scienze psicologiche, infatti, anche i medici possono specializzarsi e diventare psicoterapeuti. Definirei lo psicoterapeuta come colui che è in grado di instaurare un processo interpersonale, volto ad influenzare i disturbi del comportamento e situazioni di sofferenza con mezzi verbali e non verbali, al fine di ridurre i sintomi o modificare la struttura della personalità, per mezzo di tecniche che differiscono per il diverso orientamento teorico a cui si rifanno. (Il chirurgo)

Nella mia visione chiamiamola romantica, ho sempre visto queste tre figure come persone che si sono avvicinate a questa materia perché portatori di ferite personali. Nel percorso di formazione il counselor ha iniziato a vedere le sue ferite grazie ad un lavoro personale di psicoterapia, che continuerà per l’arco del tempo della sua professione, iniziando così la riparazione delle sue ferite. Lo psicologo, continua ad essere ferito ma non ha possibilità di conoscere e sanare le sue ferite. Lo psicoterapeuta, nel suo percorso di formazione vede le sue ferite, le sana grazie al lavoro personale con uno psicoterapeuta, le sana per buona parte e continuerà a sanarle lungo il cammino della sua professione.

Giuseppe Latte                      psicologo, psicoterapeuta, musicoterapeuta e mediatore familiare.

www.agoragiornaletelematico.it/counselor-psicologo-psicoterapeuta     

Medicina e Counseling

Il Convegno “Medicina e Counseling” si terrà a Firenze alla Limonaia di Villa Strozzi in via Pisana, 77 il giorno 21 marzo 2015 alle ore 15,00. L’ingresso è gratuito.

Il Counselor è un professionista adeguatamente formato la cui competenza principale è la relazione. E’ un professionista capace di indirizzare la persona verso una possibile soluzione di una problematica presente in un determinato ambito o nata da difficoltà relazionali che possono impedire la libera espressione individuale. Il Counseling può essere presente in ogni tipo di contesto: individuale, scolastico, ospedaliero, aziendale, religioso.

www.agoragiornaletelematico.it/convegno-medicina-e-counseling

la brochure     www.agoragiornaletelematico.it/wp-content/uploads/2015/03/Brochure-21Marzo.pdf

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Milano 1.                    On line “la casa news” marzo 2015

Editoriale                                            Alice Calori

Nessuna voce risuona a vuoto                        Dagli scritti di don Paolo Liggeri

Un vecchio e lo scorpione                  Beppe Sivelli

Un viaggio dentro la coppia                Francesca Neri

Ogni bambino che nasce                    Mary Rapaccioli

Diventare coppia e famiglia                Iscritti Movimento L’Anello d’Oro

Quarant’anni insieme                         Paolo e Carla

Diventare madre                                 Jolanda Cavassini

Genitori e nonni con fiducia               Elena D’Eredità

Adozioni in Cile                                 Servizio Adozioni

Progetti di cooperazione                     Associazione Hogar Onlus

Appuntamenti                                     corsi e gruppi

                                   www.istitutolacasa.it/pdf_sarat/rivistapdf_pdf_15.pdf

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DALLA NAVATA

                                   4° domenica di Quaresima – anno B –15 marzo 2015

2 Cronache     ..36.23 «(Ciro, re di Persia) Chiunque di voi appartenga al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”»

Salmo             137.04 «Come cantare i canti del Signore in terra straniera?»

Efesini             ..02.04 «Dio, ricco di misericordia, ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati.»

Giovanni           03.17 «Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.»

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DANNO

Violazione dei doveri nascenti dal rapporto di filiazione.

Tribunale di Modena, seconda Sezione, sentenza 20 febbraio 2015

La violazione dei doveri nascenti dal rapporto di filiazione assume rilevanza e può legittimare un’azione di risarcimento danni solo quando sia configurabile una condotta che per la sua intrinseca gravità si ponga come aggressione ai diritti fondamentali della persona, tutelati dalla Costituzione.

Esperita azione per il riconoscimento di paternità e richiesta di condanna al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali (ivi compresi quelli esistenziali e morali), derivati dal mancato riconoscimento e dal mancato adempimento da parte del genitore degli obblighi di istruzione, educazione e mantenimento, nelle more del giudizio veniva disposto sequestro conservativo nei confronti del convenuto, su istanza dell’attore, per avere, questi, disposto del proprio patrimonio nell’ambito della separazione personale nel frattempo intervenuta con la moglie proprio a causa dell’instaurata procedura di riconoscimento giudiziale di paternità. Il tribunale ritiene la domanda attorea sullo status fondata, la prova è data dall’esame del DNA, svolto nell’ambito della consulenza tecnica d’ufficio effettuata in istruttoria. Per quanto attiene al cognome, nessuna richiesta è stata avanzata dall’attore, dato che quello attuale è divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale.

Pertanto, a norma dell’art. 262 c.c, come integrato dalla sentenza della Corte Costituzionale 297/1996, nessuna modifica si rende necessaria al cognome ai sensi dell’art. 49 lett. p) D.P.R. n. 396 del 2000, ter. Quanto alla domanda di danno patrimoniale, il calcolo del pregiudizio economico lamentato tiene conto di alcuni criteri, tra i quali il fatto che l’attore sia rimasto privo dell’apporto economico paterno solo per il periodo che va dalla nascita fino al riconoscimento effettuato dal marito della madre, dopo il quale ha assunto non solo lo status, ma anche il tractatus di figlio legittimato di quest’ultimo; anche nel primo periodo, comunque, non è rimasto completamente privo di sostegno economico da parte del convenuto, che ha fornito sostentamento mediante la disponibilità dell’alloggio alla madre dello stesso. Viene, pertanto, compiuto un conteggio presuntivo sulla base delle risultanze reddituali disponibili, relative agli anni successivi, ed analizzate dettagliatamente dalla consulenza tecnica d’ufficio per un periodo ampio e indubbiamente significativo, di quindici anni. Il Tribunale riconosce anche il danno non patrimoniale, esaminando un’ampia casistica giurisprudenziale cui si rimanda nella sentenza per esteso,

http://www.questionididirittodifamiglia.it

 ha rafforzato l’orientamento che ammette le due forme di risarcimento per la violazione degli obblighi nascenti dal rapporto di filiazione, per avere privato i figli dell’affettività paterna, per avere dimostrato totale insensibilità nei loro confronti, come dimostrato dal rifiuto di corrispondere i mezzi di sussistenza e negato loro ogni aiuto, non solo economico, con conseguente violazione di diritti di primaria rilevanza costituzionale.

avv. Carmen Spadea             questione di diritto di famiglia                                 marzo 2015

https://it-it.facebook.com/permalink.php?story_fbid=936854953025742&id=767230263321546

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FECONDAZIONE ARTIFICIALE

Eterologa: i primi due nati in Italia stanno bene. Ora aspettiamo il listino prezzi.

Da un po’ di tempo in qua i bambini possono tornare a chiedere alle loro mamme: “Come nascono i bambini? Da dove vengono i bambini?”, passato il tempo delle cicogne e dei bimbi trovati sotto una pianta, è cominciato il tempo delle provette e del mercato degli ovuli e degli spermatozoi. Dopo un periodo di racconti fantastici, i genitori sembravano essersi messi d’accordo sul fatto che si dovesse rispondere ai bambini che erano nati dall’amore di mamma e papà e che mamma e papà avrebbero continuato ad amarli per sempre. Raccontare oggi ad un bambino che è nato con la fecondazione eterologa non è semplice e ci vorrà molta fantasia per spiegargli la differenza che c’è tra un genitore biologico o un genitore sociale e perché, se sono entrambi genitori, sia pure a titolo diverso, uno lo ha abbandonato e uno lo ha preso in casa con sé. Ma sarà ancora più imbarazzante rispondere alla domanda su chi è il papà o la mamma che gli hanno dato la vita e gli hanno trasmesso delle caratteristiche fondamentali e poi sono scomparsi

Perché mai hanno fatto una cosa così strana: hanno donato i loro gameti come se si trattasse di un moderno “game”, senza preoccuparsi di sapere che fine avrebbero fatto. In Italia c’è attualmente poca gente disponibile a compiere questo gesto di apparente generosità, come sanno bene le coppie che vorrebbero ricorrere alla fecondazione eterologa e faticano a trovare donatori, proprio perché il buon senso di tante persone ritiene che la generosità sia meglio rivolgerla prima di tutto ai propri figli, di cui ci si vuole prendere cura davvero e per tutta la vita.

Ieri sono nati i primi gemelli, nati da fecondazione eterologa, con una madre sociale di 47 anni, che desiderava intensamente avere un figlio, senza riuscire a restare incinta, e una madre biologica poco più che ventenne, studentessa universitaria, che sembra averlo fatto per puro spirito umanitario, ricevendone in cambio solo un rimborso spese. Il ginecologo che ha seguito la donna, in una sua intervista ha detto che “La fertilità della donna era compromessa oltre che dall’età, 47 anni, anche da una riserva ovarica (produzione di ovociti) drasticamente ed irrimediabilmente danneggiata da una patologia a carico delle ovaie, l’endometriosi, responsabile del 45% dei casi di infertilità femminile”. E questa stessa diagnosi pone seri interrogativi al sistema sociale — perché attualmente le donne hanno il primo figlio sulla soglia dei 40 anni — e al sistema sanitario: l’endometriosi è una patologia che esige un impegno molto più forte da parte del SSN, spesso è sottovalutata, e non è semplice giungere ad una diagnosi tempestiva, indispensabile per attivare il prima possibile terapie adeguate.

Il parto è avvenuto prematuramente con quattro settimane di anticipo e con taglio cesareo, mamma e bambini stanno tutti bene. È stato utilizzato il seme del marito e per scegliere la donatrice è stata verificata la compatibilità del gruppo sanguigno e le caratteristiche fenotipiche (il colore degli occhi, dei capelli, eccetera) della donna che ha ricevuto la donazione. Le donatrici hanno ricevuto un rimborso spese, come indicato dall’attuale normativa.

I giornali oggi (ieri, ndr) hanno parlato di un congruo rimborso proporzionato alla fatica e allo stress provocato dal prelievo degli ovuli dopo il necessario bombardamento ormonale. Niente a che vedere con il commercio di gameti che c’è all’Estero: Spagna, Inghilterra, Stati Uniti o in alcuni paesi dell’Europa dell’Est, dove esistono perfino dei cataloghi da cui si possono scegliere bambini con caratteristiche genetiche ben classificate. Non c’è che dire, un vero e proprio commercio umano con i suoi prezzi, un traffico che contraddice radicalmente al senso della dignità umana e della sua assoluta inviolabilità. Non si fa commercio del sangue… lo si dona! non si fa commercio del midollo, né di un rene o di una parte di fegato o di polmone… La legge sui trapianti in questo è chiarissima! Ma si tratta di un dono vero e non di una sorta di compra-vendita più o meno mascherata. Questo è il sospetto che circonda la fecondazione eterologa, anche perché in mancanza di una legge specifica sono ancora molte le zone d’ombra che circondano l’eterologa.

Se è vero che la paternità e la maternità, così come la vita, non possono essere ridotte a un dato meramente genetico, non si può neppure ignorare come la medicina vada scoprendo ogni giorno di più l’imprinting genetico che caratterizza il nostro assetto biologico, nella salute e nella malattia.

La gioia per la nascita dei due gemelli e la soddisfazione che sicuramente ne avrà tratto la madre sociale non deve far dimenticare la complessità di tutta la procedura e le implicazioni sociali e psicologiche che potrà avere per ognuna delle due mamme e per lo stesso bambino se e quando da adulto saprà come è nato.

L’Human Fertilisation and Embryology Authority (Hfea) ha calcolato che in tutto il mondo ci saranno dai 30mila ai 60mila bambini concepiti con gameti comprati, mentre nel 2012, nel solo Regno Unito, sono state 632 le donne single che si sono sottoposte alla fecondazione in vitro. Sono numeri che consentono di fare degli studi prospettici interessanti e mettere a fuoco delle problematiche molto concrete.

In un sito creato da una ragazza nata da un padre biologico diverso da quello sociale sono raccolte molte storie diverse che devono far riflettere i fautori ad oltranza di questa metodologia di fecondazione artificiale. Ci sono ragazzi che da grandi desiderano conoscere il genitore donante, madre o padre che sia, e ragazzi che sviluppano nei suoi confronti una spiccata avversità. Qualcuno cerca il padre o la madre postando le proprie generalità e le proprie fotografie su siti come www.searchingformyspermdonorfather.org (alla ricerca di mio padre donatore di sperma); lo fanno per cercare il padre, ma anche eventuali fratelli o sorelle. Perché un genitore biologico, soprattutto i padri, non si limitano a farlo una volta sola e se per caso una ragazza giovane, senza mezzi economici, capisce che può ricavarne risorse economiche sufficienti per vivere, può essere tentata di farlo più volte.

Ma ci sono anche genitori biologici che dopo alcuni anni vogliono ritrovare quei figli di cui si sono privati troppo superficialmente. Attraverso il portale www.donorconnections.com alcuni donatori, magari dopo anni, decidono di cercare i loro figli, riportando la propria identità, i luoghi e le circostanze in cui decisero di cedere i loro gameti. Per questo è comunque necessario che il ministero della Salute in Italia predisponga quanto prima il registro dei donatori: siamo agli inizi di una prassi in cui ci sono non poche zone di ambiguità che vanno tenute attentamente sotto controllo.

Paola Binetti   il sussidiario   11 marzo 2015

www.ilsussidiario.net/News/roma/2015/3/11/ETEROLOGA-I-primi-due-nati-in-Italia-stanno-bene-ora-aspettiamo-il-listino-prezzi-/589746

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FORUM DELLE ASSOCIAZIONI FAMILIARI

UE: aborto e nozze gay “diritti politici e umani”. Belletti: precisa strategia.

            “Dopo le nozze gay, il prossimo passo è quello delle adozioni per queste coppie”. Così il presidente dei vescovi italiani, il cardinale Angelo Bagnasco, all’indomani del via libera del parlamento Ue alla Relazione su diritti e democrazia nel mondo, contente non solo un nuovo e più incisivo riferimento all'”aborto sicuro e legale” come “diritto inalienabile”, ma anche un “incoraggiamento” agli Stati membri al riconoscimento delle unioni omosessuali in quanto “diritto politico e umano”. “E’ una battaglia ideologica, che travisa il significato dei diritti”, sottolinea in sintesi, Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari.

            R. – Diciamo che siamo di fronte a una strategia molto di lungo periodo, che tende a introdurre elementi di una certa cultura – quindi la cultura dei diritti, la cultura individualistica delle persone. Di fatto, la cosa che un po’ disorienta è che è una cultura non relazionale, quindi questo tema dei diritti parla solo del singolo individuo slegato dalle relazioni e dalle responsabilità. Questi continui interventi di pronunciamenti generali di affermazioni di diritti sembra lascino il tempo che trovano, in realtà sono come singoli chiodi piantati in montagna durante una scalata. Poi ci si appoggerà a questi pronunciamenti per continuare a rappresentare questa vertenza, di fatto andando anche contro le regole interne dell’Unione Europea sulla sussidiarietà. Infatti, sul rispetto delle culture delle singole nazioni sul tema del matrimonio, sul tema dell’identità della famiglia, l’Europa si è autolimitata – dicendo che non tocca a lei ma tocca alle legislazioni nazionali – e poi con questi pronunciamenti va a smantellare la legittimità delle scelte nazionali. Ecco, qui c’è un gioco molto complicato, perché purtroppo sono oggettivi attacchi all’identità della famiglia.

            D. – Il Papa, parlando al parlamento europeo a novembre, ha citato esattamente quello che lei diceva, cioè questo rischio di passare dal diritto umano al diritto individualistico. Cosa fare?

            R. – Diciamo che il progetto culturale della famiglia all’interno dell’identità europea è un progetto di lungo periodo, è un progetto che ha di fronte una verità antropologica. Invece, queste nuove culture tendono a cavalcare la legge per cambiare la testa delle persone. Un po’ il contrario di quello che dovrebbe fare la legge: la legge dovrebbe essere espressione della volontà del popolo. Invece, così si vuole cambiare la testa delle persone. Tantissimi interventi sull’educazione al “gender” hanno proprio questa cultura esplicita: dobbiamo intervenire prima possibile perché la gente la pensi in modo diverso. E quindi si tratta di mantenere vigile il discorso pubblico, cioè bisogna riuscire a distinguere che un conto è rispettare i diritti delle persone, degli individui – e tutelarli quindi contro ogni atteggiamento di marginalizzazione e di violazione dell’integrità delle persone – e un conto è andare a rivisitare alcune istituzioni fondamentali dell’umano. E la famiglia e la tutela della vita, sempre e comunque, sono due pilastri fondamentali di una società umana e equa. E’ questa la cosa preoccupante: che si vanno a deteriorare le fondamenta dell’umano. Dopo, se l’aborto diventa un diritto anziché essere giudicato come un’operazione negativa – al di là del fatto che sia possibile oppure no – e se la famiglia viene totalmente svuotata di significato si indebolisce radicalmente la protezione dell’umano.

            D. – Come battersi, in maniera ovviamente pacifica e dialogante, per portare avanti le proprie idee, se non sono queste?

            R. – Diciamo che il dibattito è sia a livello politico-istituzionale, poi c’è la battaglia culturale di convincimento, cioè far risuonare nel discorso pubblico – appunto – l’idea che la difesa della famiglia, la difesa della vita è un valore di progresso, è un valore di futuro, non è la difesa di un passato. E poi c’è un lavoro di testimonianza: cioè rifondare dal basso un popolo che, qualunque cosa pensino le élite che votano nei parlamenti, comunque alla vita e alla famiglia crede fino in fondo con la propria esperienza concreta. E questo popolo c’è. Dobbiamo essere più coraggiosi…

Intervista  di Gabriella Ceraso         Bollettino radiogiornale radio vaticana 13 marzo 2015

http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

Strasburgo approva la Tarabella. Ma non cambia nulla.

L’Aula del Parlamento di Strasburgo ha approvato con 441 si, 205 no e 52 astenuti la relazione curata da Marc Tarabella sulla parità uomo-donna. E’ passata anche la parte più controversa del documento, ovvero quella in cui si sottolinea la necessità di garantire i diritti delle donne anche attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto. Un voto che non avrà alcuna conseguenza operativa.

Nel corso delle votazioni, il Ppe ha presentato un emendamento, poi approvato dall’Aula, che inserisce nella relazione la sottolineatura che la legislazione sulla riproduzione è di competenza nazionale. Un dato acquisito dalle normative ma che depotenzia anche il significato di questa votazione. Un emendamento approvato anche da Silvia Costa (Pd), presidente della Commissione Cultura del Parlamento. “Con questo emendamento che ribadisce che sanità e diritti sessuali e riproduttivi sono competenza nazionale – spiega lei stessa – ho votato a favore della Tarabella”.

Diverso il discorso per Luigi Morgano, un altro esponente del Partito democratico, fortemente critico con la relazione Tarabella, che in Aula ha reso noto di essersi astenuto nella votazione finale.

Ora si passa alla discussione e al voto della relazione di Pier Antonio Panzeri dal titolo “Diritti umani e democrazia nel mondo” che pure presenta dei riferimenti ad un preteso “Diritto all’aborto”.

Comunicato stampa 10 marzo 2015                        www.forumfamiglie.org/news.php?&news=889

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Intervista a Televisa

Dalla monumentale intervista di papa Francesco alla vaticanista Valentina Alazraki, per la rete messicana Televisa, nel secondo compleanno della sua elezione, ecco qui di seguito tre passaggi di particolare interesse.

L’intervista può essere letta integralmente sia nell’originale spagnolo sia nella versione italiana, che occupa ben quattro pagine de “L’Osservatore Romano” di sabato 14 marzo 2015.

Sandro Magister        14 marzo 2015           http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it

Sul sinodo e la comunione ai divorziati risposati.

D. – Circa il sinodo si sono create molte aspettative tra le coppie che soffrono, tra i divorziati risposati, tra gli omosessuali. Crede che siano eccessive?

R. – Credo che ci sono aspettative smisurate. Il sinodo sulla famiglia non l’ho voluto io. Lo ha voluto il Signore. Ed è stata una cosa sua. Quando monsignor Eterović, che era il segretario, mi ha portato i tre temi più votati mi ha detto che tra questi quello più votato era il contributo di Gesù Cristo all’uomo di oggi. Va bene, facciamolo. Questo era il titolo del sinodo. Abbiamo continuato parlando dell’organizzazione e io gli dissi: «Facciamo una cosa, mettiamo il contributo di Gesù Cristo all’uomo e alla famiglia di oggi». E così siamo rimasti, con la famiglia un po’ in secondo piano. Quando siamo andati alla prima riunione del consiglio post sinodale si è cominciato a parlare con quel titolo e dopo del contributo di Gesù Cristo alla famiglia, e l’uomo di oggi è rimasto un pochino fuori. E alla fine è stato detto: «No, perché questo sinodo sulla famiglia…» ed è stata la stessa dinamica a cambiare il titolo. Io zitto. Alla fine mi sono reso conto che è stato il Signore che ha voluto questo. E lo ha voluto con forza. Perché la famiglia è in crisi. Forse non le crisi più tradizionali, delle infedeltà o come si chiama in Messico la “casa piccola” e la “casa grande”. No, no. Ma una crisi più profonda. Si vede che i giovani non vogliono sposarsi o convivono. Non lo fanno per protesta, ma perché oggi sono così. Dopo, alla lunga, alcuni si sposano anche in Chiesa. Vale a dire che c’è una crisi familiare all’interno della famiglia. E da questo punto di vista credo che il Signore voglia che noi affrontiamo questo: preparazione al matrimonio, accompagnamento di coloro che convivono, accompagnamento di coloro che si sposano e conducono bene la loro famiglia, accompagnamento di quelli che hanno avuto un insuccesso nella famiglia e hanno una nuova unione, preparazione al sacramento del matrimonio, non tutti sono preparati. E quanti matrimoni che sono fatti sociali sono nulli! Per mancanza di fede.

D. – Già Benedetto ha sottolineato che la mancanza di fede e di coscienza riguardo a ciò che si fa sono problemi gravi.

La famiglia è in crisi. Come integrare nella vita della Chiesa le famiglie replay? Cioè quelle di seconda unione che a volte risultano fenomenali, mentre le prime un insuccesso. Come reintegrarle? Che vadano in chiesa. Allora semplificano e dicono: “Ah, daranno la comunione ai divorziati”. Con questo non si risolve nulla. Quello che la Chiesa vuole è che tu ti integri nella vita della Chiesa. Però ci sono alcuni che dicono: “No, io voglio fare la comunione e basta”. Una coccarda, un’onorificenza. No. Ti devi reintegrare. Ci sono sette cose che, secondo il diritto attuale, le persone in seconde unioni non possono fare. Non me le ricordo tutte, però una è essere padrino di battesimo. Perché? E che testimonianza potrà dare al figlioccio? Quella di dire: “Guarda caro, nella mia vita mi sono sbagliato. Ora sono in questa situazione. Sono cattolico. I principi sono questi. Io faccio questo e ti accompagno”. Una vera testimonianza. […] C’è bisogno di integrare. Se credono, anche se vivono in una situazione definita irregolare e la riconoscono e l’accettano e sanno quello che la Chiesa pensa di questa condizione, non è un impedimento. Quando parliamo di integrare intendiamo tutto questo. E dopo di accompagnare i processi interiori. […] Inoltre, abbiamo un problema molto serio che è quello della colonizzazione ideologica sulla famiglia. Per questo ne ho parlato nelle Filippine perché è un problema molto serio. Gli africani si lamentano molto di questo. E anche in America latina. E a me è successo una volta. Sono stato testimone di un caso di questo tipo con una ministro dell’educazione riguardo l’insegnamento della teoria del “gender” che è una cosa che sta atomizzando la famiglia. Questa colonizzazione ideologica distrugge la famiglia. Per questo credo che dal sinodo usciranno cose molto chiare, molto rapide, che aiuteranno in questa crisi familiare che è totale.  (…)

Osservatore romano             13 marzo 2015

www.osservatoreromano.va/it/news/due-anni-di-pontificato

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GOVERNO

Prescrizione obbligatoria per la pillola EllaOne

Consiglio Superiore di sanità, Comunicato stampa n. 38.

 In data odierna è stato deliberato il parere del Consiglio superiore di Sanità sulla cosiddetta “pillola dei 5 giorni dopo”. In attesa dei dettagli del dispositivo, la decisione è che “il farmaco EllaOne debba essere venduto in regime di prescrizione medica indipendentemente dall’età della richiedente”. Ciò soprattutto per evitare gravi effetti collaterali nel caso di assunzioni ripetute in assenza di controllo medico.

Ministero della Salute            10 marzo 2015

www.salastampa.salute.gov.it/portale/news/p3_2_4_1_1_stampa.jsp?id=4501

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬NNULLITÀ E OMOLOGA

Mio marito è pazzo, voglio il divorzio!”: sì all’accesso alla sua cartella clinica per provarlo.

Tar Lazio sez. 3Q, sentenza 12590, 15 dicembre 2014

La richiesta di annullamento del matrimonio innanzi ad un tribunale ecclesiastico, equiparato in tutto e per tutto al divorzio innanzi all’AGO [Assicurazione Generale Obbligatoria], costituisce una situazione giuridica di rango almeno pari alla tutela del diritto alla riservatezza dei dati sensibili relativi alla salute, sottendendo un significativo diritto della personalità. In questi casi, perciò, sussiste l’interesse personale idoneo a legittimare la proposizione della domanda di accesso alla cartella clinica, senza che sia necessaria alcuna penetrante indagine in merito all’essenzialità o meno della documentazione richiesta, né circa le prospettive di buon esito del rito processuale concordatario. Mutato orientamento (Tar Bari 785/13).

È quanto deciso dal Tar Lazio, dettando un principio usato anche nei giudizi d’impugnazione dei testamenti olografi per incapacità del de cuius (CDS 3952/12).

Il caso. Una donna, dopo pochi mesi, ritenendo la convivenza impossibile, nel 2010 decideva di avviare causa di separazione dinanzi al Tribunale civile e, successivamente, causa di nullità del vincolo matrimoniale dinanzi al Vicariato di Roma. Nel corso del procedimento dinanzi al giudice civile, il controinteressato depositava documentazione dalla quale si evinceva che lo stesso era stato più volte ricoverato presso una clinica (una fondazione) per problemi depressivo-psichiatrici. In particolar modo chiedeva l’accesso alla cartella clinica attestante i ricoveri nel 2013, ma la struttura sanitaria ritenendola un dato ultra sensibile, per la tutela della privacy, lo negava. È ricorsa vittoriosamente al Tar per l’annullamento del rifiuto, il quale ingiungeva la loro esibizione entro 30 giorni dalla notifica o dalla comunicazione di questa decisione.

Anche nei confronti di soggetti con personalità giuridica di diritto privato sussiste l’obbligo di garantire il diritto di accesso, a prescindere dalla loro qualificazione quale organismo di diritto pubblico, qualora si tratti di soggetti gestori di servizi pubblici>> (CDS 4923/13 e Tar Trento 305/12). Il diritto di accesso, in base alla novella della L.241/90 introdotta dalla L. 15/11, deve essere sempre garantito quando oltre a rispondere ad un interesse diretto, concreto ed attuale, la conoscenza dei documenti richiesti «sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici; nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale».

Non vi è dubbio che la fattispecie rientri in questa ultima ipotesi e che l’accesso ai dati sensibilissimi come quelli contenuti nella cartella (compreso anche il foglio di dimissioni) sia consentito dal testo dell’art. 92 Dlgs 196/2003: (…)

La cartella clinica è universalmente considerata un atto pubblico che produce effetti incidenti su situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica e quindi deve essere accessibile (Cass. pen n. 42917, 2011; Da queste considerazioni, vista la pendenza del giudizio ecclesiastico, è stato elaborato il principio di diritto in epigrafe suffragato dalla giurisprudenza anteriore alla riforma (CDS 5374/2008 e Tar Catania 878/2009).

La peculiare natura dei Tribunali ecclesiastici preclude questo diritto? Il loro carattere non nazionale e non statuale ex art. 8 L.121/1985, di ratifica e di esecuzione del Concordato del 1984, non preclude al riconoscimento delle loro sentenze tramite omologa come qualsiasi altra decisione emessa da una corte estera. Hanno così, all’interno del nostro ordinamento, «piena efficacia e forza cogente, in una situazione di pari dignità giuridica con le sentenze di scioglimento del vincolo matrimoniale civile assunte dagli organi giudiziari nazionali», con la conseguenza che «l’intento di adire la via giurisdizionale concordataria ai fini della declaratoria di nullità del vincolo coniugale va assimilato, ai fini dell’esercizio del diritto di accesso, all’intento di adire il giudice nazionale per il conseguimento del divorzio» (CDS 6781/2006).

Milizia Giulia Diritto amministrativo           03 marzo 2015

www.diritto.it/docs/36884-mio-marito-pazzo-voglio-il-divorzio-s-all-accesso-alla-sua-cartella-clinica-per-provarlo

Sentenza          www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/cdsintra/AmministrazionePortale/DocumentViewer/index.html?ddocname=LODGRBYXEV75JTAPSMEPDVWEVA&q=Tar or Lazio or sez. or 3Q, or sentenza or 12590, or 15 or dicembre or 2014

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OMOFILIA

Impossibile per i sindaci trascrivere unioni gay contratte all’estero.

            T.A.R. Lazio-Roma, Sezione I ter, Sentenza n. 3907, 9 marzo 2015.                             estratto

  1. Il Collegio, prima di procedere all’esame delle censure proposte dalla parte ricorrente, ritiene opportuno prendere in considerazione il quadro normativo e giurisprudenziale relativo alla celebrazione ed alla trascrizione dei matrimoni celebrati in Italia e all’estero.

L’art. 27, comma 1, della legge n. 218/1995 (recante la riforma del diritto internazionale privato), stabilisce che “la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio”.

Tale disposizione va letta in combinato disposto con l’art. 115 del codice civile, secondo cui “il cittadino è soggetto alle disposizioni contenute nella sezione prima di questo capo, anche quando contrae matrimonio in paese straniero secondo le forme ivi stabilite”.

Da tali disposizioni deriva che – a prescindere della validità formale del matrimonio celebrato applicando una legge straniera -, all’ufficiale di stato civile italiano spetta, ai fini della trascrizione, il potere/dovere di verificare la sussistenza dei requisiti sostanziali necessari (avuto riguardo alla normativa nazionale) per celebrare un matrimonio che possa avere effetti giuridicamente rilevanti.

Sotto questo profilo, ai sensi del codice civile, la diversità di sesso dei nubendi costituisce un requisito sostanziale necessario affinché il matrimonio produca effetti giuridici nell’ordinamento interno, posto che, allo stato, l’istituto del matrimonio si fonda sulla diversità di sesso dei coniugi, come si evince dall’art. 107 c.c., il quale stabilisce che l’ufficiale dello stato civile “riceve da ciascuna delle parti personalmente, l’una dopo l’altra, la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie, e di seguito dichiara che esse sono unite in matrimonio”.

In linea con tale assunto si pongono gli articoli 108, 143 e 143 bis del codice civile, e l’art. 64, comma 1, lett. e) del D.P.R. n. 396/2000.

La normativa nazionale che non consente la celebrazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso e la sua trascrizione nei registri dello stato civile, è stata ritenuta costituzionalmente legittima.

Con sentenza n. 138 del 2010 la Corte Costituzionale ha, infatti, affermato che l’art. 29 Cost. si riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice civile come unione tra persone di sesso diverso e questo significato del precetto costituzionale non può essere superato con un’interpretazione creativa né, peraltro, con specifico riferimento all’art. 3, comma 1, Cost., le unioni omosessuali possono essere ritenute tout court omogenee al matrimonio.

Con sentenza n. 170 dell’11 giugno 2014, la Consulta è intervenuta sulla normativa che prevede l’automatica cessazione degli effetti civili del matrimonio in caso di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei due coniugi, affermando che “la nozione di matrimonio presupposta dal Costituente (cui conferisce tutela l’art. 29 Cost.) è quella stessa definita dal codice civile del 1942 che stabiliva e tuttora stabilisce che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso (sentenza n. 138 del 2010”, (punto 5.2. del Considerato in diritto), e segnalando il requisito dell’eterosessualità del matrimonio (punto 5.1. del Considerato in diritto).

La Consulta ha stabilito che tra le formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., in grado di favorire il pieno sviluppo della persona umana nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico, rientra anche l’unione omosessuale ma, ha evidenziato che spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità politica, individuare con atto di rango legislativo le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, scegliendo, in particolare, se equiparare tout court il matrimonio omosessuale a quello eterosessuale, ovvero introdurre forme diverse di riconoscimento giuridico della stabile convivenza della coppia omosessuale.

In tale contesto, la Corte costituzionale ha ritenuto di poter intervenire solo per tutelare specifiche situazioni, come avvenuto con le sentenze n. 559 del 1989 e n. 404 del 1988, in materia di locazioni e di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale per le convivenze more uxorio.

In sostanza, allo stato dell’attuale normativa nazionale italiana, il matrimonio celebrato all’estero tra persone dello stesso sesso risulta privo dei requisiti sostanziali necessari per procedere alla sua trascrizione, ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 396/2000, come confermato dalla giurisprudenza, la quale ha affermato che “l’intrascrivibilità delle unioni omosessuali dipende non più dalla loro inesistenza e neppure dall’invalidità, ma dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano” (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 4184 del 2012, richiamata da entrambe le parti in causa, la quale ha ad oggetto una vicenda analoga a quella oggetto del presente giudizio, relativa ad una richiesta di trascrizione di un matrimonio contratto all’estero da due cittadini italiani dello stesso sesso, rifiutata dall’ufficiale di stato civile del Comune di Latina. Sul punto, cfr. anche Corte di Cassazione, sentenze n. 1808 del 1976, n. 1304 del 1990, n. 1739 del 1999, n. 7877 del 2000.)

A tale riguardo, come correttamente rilevato dall’Amministrazione resistente, non assume particolare rilievo, in senso contrario, l’art. 65 della legge n. 218/1995, considerato che l’atto di matrimonio celebrato all’estero, sebbene soggetto a determinate forme solenni che prevedono la ricezione della volontà dei nubendi da parte dei soggetti investiti di un pubblico ufficio, non risulta assimilabile ad un provvedimento proveniente dall’autorità amministrativa o giurisdizionale, costituendo un atto negoziale che non incide sull’individuazione della normativa che disciplina gli effetti del matrimonio nell’ordinamento interno (cfr. la richiamata sentenza della Corte di Cassazione n. 4184 del 2012, che va condivisa a prescindere dall’isolato precedente contrario del Tribunale di Grosseto del 3-9 aprile 2014, annullato in sede di reclamo della Corte d’appello di Firenze con decreto del 19 settembre 2014).

La disciplina nazionale non risulta in aperto contrasto con la normativa europea, se si considera quanto stabilito dagli articoli 12 della CEDU e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (cd. “Carta di Nizza”.)

L’articolo 12 della CEDU, infatti, stabilisce che “uomini e donne in età adatta hanno diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto”, e, quindi, fa riferimento alla nozione tradizionale di matrimonio fondato sulla diversità di sesso dei nubendi, rinviando alla legislazione dei singoli Stati per la disciplina delle condizioni che regolano l’esercizio del diritto.

L’articolo 9 della Carta di Nizza, invece, prevede che “il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”, omettendo il riferimento alla diversità di sesso dei nubendi e lasciando, così, al legislatore nazionale la possibilità di riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso.

In tale contesto normativo europeo, la Corte Europea dei diritti dell’uomo, con pronuncia del 24 giugno 2010 (Prima Sezione, caso Schalk e Kopf contro Austria: in un caso analogo a quello oggetto del presente giudizio), ha affermato che il rifiuto dell’ufficiale di stato civile di adempiere le formalità richieste per la celebrazione di un matrimonio tra persone dello stesso sesso non contrasta con la CEDU, osservando che il matrimonio ha connotazioni sociali e culturali radicate che possono differire molto da una società all’altra sicché, va rimessa ai legislatori nazionali di ciascuno Stato aderente la decisione di permettere o meno il matrimonio omosessuale e la conseguente decisione in merito alla trascrivibilità o meno dello stesso (cfr. Corte di giustizia UE nella sentenza 31.5.2001, cause riunite C-122/99 P e C-125/99 P, circa la nozione di matrimonio come “unione di due persone di sesso diverso”).

Concludendo sul punto, va detto che, allo stato dell’attuale normativa e fatto salvo un intervento legislativo al riguardo, che ponga la legislazione del nostro Paese in linea con quella di altri Stati, europei e non -, le coppie omosessuali non vantano in Italia né un diritto a contrarre matrimonio, né la pretesa alla trascrizione di unioni celebrate all’estero, anche se le unioni tra Persone dello stesso sesso non possono essere considerate contrarie all’ordine pubblico (cfr. la richiamata sentenza della Corte di Cassazione n. 4184 del 2012).   (…)

www.altalex.com/index.php?idnot=70626

Il pm ricorre e il giudice annulla

La sentenza del Tar del Lazio? Nella sua sostanza, conferma il principio per cui non è possibile trascrivere i matrimoni gay contratti all’estero». Ne è certo Francesco Saverio Marini, ordinario di Diritto pubblico all’università di Tor Vergata di Roma.

Allora perché il Tar è intervenuto in questo modo?

È una questione tecnica: il Tar ha detto chiaramente che quanto disposto da Angelino Alfano [Ministro degli Interni] è corretto nel contenuto in quanto assolutamente conforme sia alle norme, comunitarie e nazionali, sia alla giurisprudenza, costituzionale e di legittimità.

I giudici laziali ne hanno fatto solo una questione di competenza: l’annullamento di queste trascrizioni, legittimo e doveroso, è compito dei giudici ordinari.

Qual è la procedura corretta?

L’azione di annullamento va attivata dal pubblico ministero: quando egli ha notizia della trascrizione di un matrimonio gay contratto all’estero è suo dovere impugnare il provvedimento presso il tribunale del luogo.

E se non lo fa?

Rimane valido l’atto illegittimo. Bisogna, però ribadire che sia la Cassazione sia la Corte costituzionale hanno ritenuto che il matrimonio è solo quello tra uomo e donna. Non vedo quindi come sarebbe possibile per un Pubblico ministero lasciar correre una violazione così conclamata.

Vale anche per i sindaci?

A maggior ragione. Anzi, la sentenza del Tar è una terza conferma: dopo la Cassazione, dopo la Corte costituzionale, i primi cittadini che trascrivono nozze omosessuali celebrate all’estero violano la legge. Che poi tocchi al prefetto piuttosto che al tribunale annullare quanto han fatto, sotto il profilo sostanziale conta poco.

Ma quando il tribunale è chiamato a decidere può discostarsi da questa giurisprudenza?

Teoricamente sì, anche se non vedrei in concreto come possa contraddire l’orientamento della Suprema Corte.

Per la verità, l’ultima sentenza della Cassazione riguardava un caso leggermente diverso…

Certo: la sentenza del mese scorso è stata provocata da una coppia gay che avrebbe voluto sposarsi in Campidoglio, e non semplicemente far riconoscere delle nozze già celebrate all’estero. Ma la stessa pronuncia ha chiarito che un conto è il matrimonio, sancito dall’articolo 29 della Costituzione e riservato alle unioni eterosessuali, un conto sono altre forme di diritti e doveri, in questo caso attribuiti anche alle coppie gay dagli articoli 2 e 3 della nostra legge fondamentale.

Marcello Palmieri                 avvenire         10 marzo 2015

Tar Lazio: matrimoni omosessuali non sono trascrivibili.

 “Non sono trascrivibili matrimoni omosessuali celebrati all’estero”, ma “l’annullamento delle trascrizioni nel registro dello stato civile” da parte di sindaci “può essere disposto solo dall’Autorità giudiziaria ordinaria”, non dai prefetti. Il pronunciamento del Tar di Lazio riaccende il dibattito sul controverso tema delle nozze gay.

Commento del giurista, Alberto Gambino:

R. – È una sentenza che fa leva su un aspetto formale. In linea di massima, l’ordinamento civile e la tenuta anche dei registri relativi alle trascrizioni spetta al Ministero degli interni e ai prefetti, che tuttavia in base a una legge l’hanno delegata agli enti locali e dunque ai sindaci. Questo è il motivo per cui è stato il sindaco che ha consentito le trascrizioni di queste nozze gay celebrate all’estero. Una volta trascritte – dice il Tar – a questo punto possono essere annullate solo dai giudici ordinari: cioè quelli che tutelano i diritti soggettivi. Quindi, a questo punto, dovrà essere un pubblico ministero – ed è strano che non l’abbia ancora fatto – a impugnare il provvedimento e chiedere l’annullamento, perché il Tar comunque dice anche che non sono trascrivibili e non sono legittimi matrimoni tra coniugi dello stesso sesso, o conviventi dello stesso sesso.

D. – E le nozze gay trascritte sono valide, o no?

R. – Questo è un bel pasticcio, perché il Tar dice che effettivamente sono illegittime. Tuttavia, finché il Pm non le impugna queste hanno una loro rilevanza. Facciamo attenzione, che ci sono anche dei profili di risarcimento del danno che potrebbero emergere. Quindi, in realtà, l’atto del ministro degli Interni e dei prefetti è stato una sorta di autotutela, come a dire: cari enti locali, cari sindaci, state attenti che state compiendo degli atti che poi potrebbero riverberarsi a vostro sfavore, in quanto illegittimi e forse addirittura produttivi di danni, danni ovviamente a carico dell’erario, a carico di tutti i cittadini.

D. – E chi potrebbe rivalersi, chi ha ottenuto prima un riconoscimento e poi se lo vede negato?

R. – Ad esempio, pensi al tema – che so – della comunione legale. A una coppia viene trascritto il matrimonio celebrato all’estero: i due individui si sentono a tutti gli effetti riconosciuti come uniti in matrimonio e decidono di far valere alcuni diritti propri dell’ordinamento civile. A un certo punto, questi diritti vengono annullati: i due, che magari hanno comprato una casa in comunione legale, potrebbero chiedere una tutela risarcitoria…

D. – Dunque, le nozze gay celebrate all’estero non sono valide. Ma perché allora necessitano di formale annullamento da parte del giudice?

R. – Perché formalmente stanno là, stanno in questi registri. Siccome sono quei registri che fanno fede nei confronti della collettività e dello Stato, finché sono apposte sui quei registri producono i loro effetti giuridici. Ripeto: è davvero sorprendente che a oggi nessuna Procura sia intervenuta e che, viceversa, debba essere stato soltanto il ministro degli Interni a rilevare questo difetto macroscopico. Perché anche il Tar, ripeto, dice che in base alla nostra giurisprudenza, ma anche in base alla legge, non sono legittime le nozze tra conviventi dello stesso sesso.

D. – Trascrivendole nel registro dello stato civile, i sindaci non hanno violato alcuna legge?

R. – Essendo contratti all’estero, i sindaci dicono: in base all’ordine pubblico internazionale, poiché sono validi all’estero, a questo punto dovrebbero essere validi anche in un Paese occidentale come l’Italia, che appartiene alla comunità internazionale. Ma, in materia di famiglia vige invece il principio della prevalenza dell’ordinamento dello Stato interno. E quindi, siccome invece in Italia c’è una Carta costituzionale chiarissima, e un Codice civile chiarissimo, che escludono le nozze tra persone dello stesso sesso, i sindaci non avrebbero dovuto trascrivere. Ma giammai possono adesso i sindaci continuare a trascriverli, perché a questo punto è chiarissimo quello che ha detto il Tar.

D. – Il pronunciamento del Tar si inserisce in un momento di accesa “querelle” sul tema delle unioni civili e c’è chi sostiene che questa sentenza evidenzia il vuoto normativo in Italia.

R. – I giudici, ormai da un po’ di tempo, oltre a fare i giudici, fanno un po’ i suggeritori del legislatore –cosa peraltro non corretta. Anche in questo caso fanno intendere che ci potrebbe essere una lacuna e, a dir la verità, l’intento dei sindaci, che da questo punto di vista invece sono stati intellettualmente onesti, è stato sempre quello di dire: noi registriamo questi atti, soprattutto per suscitare un dibattito in sede nazionale e in sede parlamentare. Probabilmente, si sono dimenticati anche che sono pubblici ufficiali e quegli atti possono avere delle conseguenze anche molto gravi.

D. – E’ notizia degli ultimi giorni: l’Italia avrebbe detto “sì” alla sollecitazione delle Nazioni Unite a riconoscere le unioni e il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

R. – Il matrimonio oggi non sarebbe possibile perché andrebbe certamente modificata la Carta costituzionale. Tutto è possibile, però bisogna passare per la porta, e non per la finestra. E la porta è la modifica della Carta costituzionale ed è da vedere se ci sono i numeri per modificare la Carta costituzionale. Altro invece è il tema delle unioni civili: valutando in termini di diritti e doveri di singoli, c’è tutta una serie di situazioni che oggi già la giurisprudenza ha riconosciuto anche per le coppie dello stesso sesso. E quindi un provvedimento normativo, che fosse in qualche modo ricognitivo dell’esistente, non riterrei possa essere considerato illegittimo o contrastante con la Carta costituzionale.

Bollettino radiogiornale radio vaticana 10 marzo 2015     http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

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PARLAMENTO

Senato Assemblea.                Ratifica convenzione Aja protezione minori

1552 Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, fatta all’Aja il 19 ottobre 1996, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno (Approvato dalla Camera dei deputati)

572 Di Biagio ed altri. – Ratifica ed esecuzione della Convenzione concernente la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, conclusa all’Aja il 19 ottobre 1996

10 marzo 2015 Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, fatta all’Aja il 19 ottobre 1996, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno                            approvato con il nuovo titolo

1589    Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, fatta all’Aja il 19 ottobre 1996

Risulta pertanto assorbito il disegno di legge n. 572.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=906733

Commissione Adozioni Internazionali Kafala

            Il Senato, con il parere favorevole del Governo, ha individuato l’Autorità centrale nella Presidenza del Consiglio dei Ministri e ha disposto lo stralcio delle norme di adeguamento del nostro ordinamento, tenendo conto delle osservazioni formulate – nelle audizioni svolte – dalla Commissione per le adozioni internazionali e dagli enti autorizzati, dall’associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia, da giuristi e associazioni che si occupano di diritti umani e tutela dei minori.

            Difatti, posto che nei Paesi che ispirano la propria legislazione ai precetti coranici l’adozione è proibita e che l’unico strumento di tutela per i minori orfani, abbandonati o comunque privi di un ambiente familiare idoneo alla loro crescita personale, è la kafala, che risponde a determinati requisiti, è certamente complesso, se pur assolutamente doveroso, il tentativo di introdurre nei sistemi europei, compreso quello italiano, discipline e strumenti a protezione del minore, tenendo conto non solo delle similitudini ma anche delle diversità, rispetto agli istituti europei tradizionalmente deputati alla protezione dei minori.

            Nel 2013 la Corte di Cassazione con sentenza n.21108/2013 ha specificato che la kafala, non solo non può produrre gli effetti dell’adozione ma ha la specifica funzione di “giustificare l’attività di cura materiale ed affettiva del minore, con esclusione di ogni vincolo di natura parentale o anche di sola rappresentanza legale”.

            La legge di ratifica della Convenzione dell’Aja dovrebbe, quindi, tradurre in norma i principi enunciati dalla giurisprudenza della Suprema Corte, senza in alcun modo introdurre automatismi: la kafala va sicuramente regolamentata, ma attraverso una disciplina specifica che si attagli sulle sue peculiarità.

            La necessità di un approfondimento della normativa in itinere aveva già indotto le relatrici del provvedimento a proporre, nelle Commissioni riunite, il rinvio ad altro momento delle misure di adeguamento del nostro sistema ai principi della Convenzione.

            Il Senato, anche nella sede plenaria, ha riconosciuto valida questa impostazione.

            La ratifica della Convenzione non può, difatti, tradursi nella trasformazione dell’istituto islamico della kafala in una sorta di adozione internazionale “camuffata” (con conseguenti problematiche con i paesi islamici, che vietano l’adozione) e non può consentire di eludere le regole poste dalla normativa sulle adozioni internazionali, ponendo le premesse perché, senza autorizzazioni e controlli del Governo, si potesse dare vita ad operazioni di traffici di minori, in  violazione dei loro diritti fondamentali.

 

Il nodo politico rappresentato dalla necessità di evitare criticità nei rapporti dell’Italia con i Paesi islamici ha giustamente indotto il Senato ad individuare l’Autorità centrale nella Presidenza del Consiglio dei Ministri, modificando, con parere favorevole delle relatrici e del Governo, il testo approvato in Commissione.

Comunicato stampa CAI      12 marzo 2015

www.commissioneadozioni.it/it/notizie/2015/convenzione-aja-del-1996-misure-di-protezione-dei-minori.aspx

Senato Assemblea.                Adozione dei minori.

1209 Puglisi ed altri – Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozioni dei minori da parte delle famiglie affidatarie

11 marzo 2015 Approvazione, all’unanimità, con modificazioni, con il seguente titolo: Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare. il testo passa all’esame della Camera dei deputati.

Francesca Puglisi (PD). Signor Presidente, desidero davvero ringraziare la relatrice Rosanna Filippin e i membri della Commissione giustizia, i Capigruppo e l’Aula tutta per aver contribuito a migliorare il testo del provvedimento che stiamo per votare.

Questo disegno di legge parla del diritto dei bambini e delle bambine in affido familiare alla continuità degli affetti. Questo non è un provvedimento per trasformare l’affido in adozione – come qualcuno ha detto – ma un punto di civiltà per tutelare le relazioni significative, maturate in un prolungato periodo di affidamento da un minore con la famiglia affidataria.

Voglio ricordare che i minori fuori famiglia, al 31 dicembre 2012, erano 28.449, di cui ben 14.255 in comunità residenziali e 14.194 in affido familiare. Di questi, 6.750 sono affidati a parenti e 7.444 a terzi, persone singole o famiglie, appunto, che hanno dato la loro grande disponibilità con immensa generosità. Voglio anche ricordare un altro dato. Il 31,7 per cento degli affidi dura più di quattro anni e il 25 per cento di questi da due a quattro anni.

Quindi, signor Presidente, è proprio per questa ragione che è così importante ed è un tale passo avanti questo disegno di legge, che riconosce il diritto alla continuità degli affetti. I due istituti, affido e adozione, restano distinti per requisiti e motivazioni.

I requisiti per l’affido e l’adozione sono diversi, e così sono le aspettative teoriche riguardanti i due istituti. In pratica, però, più della metà degli affidi sono altra cosa rispetto a ciò che la teoria vorrebbe, perché così è la vita. A volte i problemi delle famiglie di origine dei bambini non si risolvono. A volte si aggravano, si complicano e un bambino, dopo molto tempo che è stato in affido, diventa adottabile.

Anche la motivazione che spinge a richiedere l’affido o l’adozione è spesso molto diversa. Quando si chiede l’accesso all’istituto dell’adozione la motivazione è molto semplice: il desiderio di un figlio o aggiungere alla propria famiglia un altro rispetto a quelli già esistenti. Invece, la motivazione dell’affidamento è quella di aiutare qualcuno perché si è ricchi di affetto, di gioia e di condizioni di vita solide che si decide di condividere con un bambino in un momento di grande difficoltà. Altra motivazione è quella di chi decide di prendersi cura del prossimo, e non solo a parole ma con i fatti. È un atto di grande generosità e responsabilità.

Chi dovesse pensare di aggirare le norme sull’adozione utilizzando la via dell’affido compirebbe davvero un atto avente un’altissima probabilità di arrecare del male, innanzitutto a sé stesso e poi anche al bambino, e soprattutto avrebbe una scarsa probabilità di aggirare servizi sociali e tribunali.

Quindi, quella paura, che oggi aleggiava in Aula, dell’utilizzo dell’affido in modo strumentale da parte di singoli per poi accedere all’adozione la ritengo quanto di più improbabile possibile. Tra l’altro, già oggi i tribunali, a volte, nell’adozione di casi particolari attraverso l’articolo 44, lettera d), possono dare in adozione ad un singolo i bambini.

Ma, soprattutto, voglio ricordare a quest’Assemblea che stiamo per approvare un atto normativo atteso davvero da molto tempo. Quel testo, uscito dalla Commissione giustizia e che oggi è stato ulteriormente migliorato dal contributo dell’Aula, davvero è atteso e ha ricevuto il plauso di tutte le associazioni del tavolo per l’affido e l’adozione. (…)

            Voteremo favorevolmente perché ci sono dolori, signor Presidente, che nella vita non si possono evitare, come il dolore di un distacco o di un abbandono. Poi, però, ci sono distacchi dolorosi che possono essere causati da una cattiva legge o da una legge ambigua, una legge che oggi stiamo correggendo con le norme in esame. È bene, quindi, che una buona legge li possa definitivamente evitare. È questo che ci accingiamo a fare, garantendo a tutti i bambini in affido familiare il diritto alla continuità dei propri affetti.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=906897

testo approvato                       www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLMESS/906928/index.html

Senato Assemblea.                Divorzio breve

1504. Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi (Approvato dalla Camera dei deputati

11 marzo 2015.          Il relatore di maggioranza Rosanna Filippin svolge relazione orale. passim

            Ciascuno di noi, su questo tema, potrebbe esprimere una propria opinione personale: io vorrei invece invitare l’Aula ed i senatori a riflettere esclusivamente, e in maniera quanto più possibile oggettiva, sul testo licenziato dalla Commissione giustizia che oggi è al nostro esame, senza lasciarsi prendere in alcun modo da opinioni troppo personali sul concetto di matrimonio e di famiglia.

            Oggi, infatti, stiamo discutendo di un’altra vicenda: non di matrimonio e di famiglia, ma di rimedi e soluzioni per facilitare la vita a chi non ha avuto un matrimonio ideale o semplicemente normale e cerca un’altra vita. Una proposta di legge di questo genere non è contro il matrimonio, anzi potrebbe persino favorirlo, perché agevola la ricostruzione di possibili matrimoni futuri. Ad attendere sentenze di divorzio lente, vi sono già coppie che si sono formate, che magari hanno figli e avrebbero anche diritto di vedere che i loro problemi, in uno Stato civile come quello italiano, vengano affrontati con la dovuta sensibilità e con tempi adeguati.

            La principale obiezione che finora ha interferito sulla modifica della legge del 1970 è stata quella che l’abbreviazione dei tempi di divorzio rende più fragile l’istituto del matrimonio e della famiglia. In realtà, c’è la prova statistica che i tempi lunghi dello scioglimento del matrimonio alimentano il conflitto più che la riscoperta della solidarietà tra i coniugi. Con il provvedimento sul divorzio breve, invece, si vuole affermare il principio della salvaguardia della cultura della famiglia, che deve sopravvivere anche dove la coppia non riesce più a stare insieme, perché è finita la condivisione di affetti tra marito e moglie.

            Ritengo allora che questo provvedimento non solo deve essere visto e letto in favore della famiglia che – lo ribadisco – deve resistere anche quando la coppia fallisce, ma, riducendo il conflitto tra i coniugi, vada senz’altro a ridurre la sofferenza dei figli, quando questi ci sono. È evidente che i figli vogliono che i genitori stiano insieme, nessun figlio chiede ai genitori di separarsi. È anche vero, però, quando l’amore finisce in una coppia, che deve resistere la cultura della famiglia, che è un ambiente in cui i figli hanno diritto di restare, e dev’essere garantito che i genitori continuino ad assumersi il loro ruolo nei confronti dei figli. Credo siano questi i principi e la ratio che abbiamo voluto sottendere al provvedimento in esame.

            Per venire al testo del provvedimento, l’Atto Senato 1504, approvato dalla Camera dei deputati il 29 maggio 2014, interviene sulla disciplina dello scioglimento del matrimonio, come previsto dalla legge 1º dicembre 1970, n. 898. Il presupposto per la pronuncia da parte del giudice del divorzio, scioglimento definitivo del matrimonio civile, o della cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, è l’accertamento del venir meno della comunione materiale e spirituale dei coniugi, per l’esistenza di una delle cause previste dalla legge. Quest’ultima contiene un’indicazione tassativa delle cause in presenza delle quali possono esseri domandati lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Fra questi, ad esempio, vi è uno specifico elenco dei delitti commessi dall’altro coniuge.

            Per poter presentare domanda di divorzio o cessazione degli effetti civili del matrimonio, però, sono necessari anche oggi – e anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 162 del 2014 sul cosiddetto divorzio facile, mediante negoziazione assistita o davanti all’ufficiale dello stato civile – l’omologa di separazione o l’accordo negoziato sottoscritto e trascritto o la doppia dichiarazione avanti l’ufficiale dello stato civile, nei casi di procedura consensuale, o la sentenza di separazione passata in giudicato, se il procedimento è giudiziale. La seconda condizione, però, è che vi sia una separazione ininterrotta da almeno tre anni, che decorrono dalla comparizione personale dei coniugi davanti al presidente del tribunale, nel procedimento di separazione personale, o dalla sottoscrizione dell’accordo negoziato o dalla dichiarazione davanti all’ufficiale dello stato civile.

            L’articolo 1 dell’Atto Senato 1504 modifica la lettera b) del numero 2 del comma 1 dell’articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, riducendo a dodici mesi la durata del periodo di separazione ininterrotta dei coniugi, necessaria per poter proporre la domanda di divorzio nei casi di separazione giudiziale. Qualora la separazione sia consensuale, l’ultimo periodo dell’articolo 1 riduce a sei mesi il periodo di separazione ininterrotta.         (…)

            Il testo approvato dalla Camera prevedeva, inoltre, come dies a quo, ovvero come termine da cui far decorrere il periodo di necessaria separazione, la data di deposito, qualora il ricorso fosse stato presentato da entrambi i coniugi, ovvero la data della notificazione del ricorso, qualora esso fosse stato presentato da uno solo dei coniugi. Anche in tal caso la Commissione giustizia del Senato è intervenuta ripristinando l’originario dies a quo, ovvero la comparizione dei coniugi avanti il presidente del tribunale. Troppe sono le perplessità suscitate dal diverso termine previsto dal testo approvato dalla Camera dei deputati, foriero di problematiche applicative ed interpretative. (…)

            Infine, la Commissione giustizia ha introdotto la modifica più rilevante, aggiungendo all’articolo 1 del presente testo il comma 2, ovvero il cosiddetto divorzio diretto. È prevista in tal modo la facoltà per i coniugi di chiedere, con ricorso congiunto, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio anche in assenza di separazione legale, quando non vi siano figli minori o figli maggiorenni incapaci o economicamente non autosufficienti. Ricordo, a tale proposito, che in Europa solo pochi Paesi come Polonia, Irlanda e Malta prevedono una disciplina articolata su tempi lunghi per ottenere il divorzio. In particolare, solo le legislazioni irlandese e maltese stabiliscono l’obbligo della separazione prima di accedere al divorzio. Tale obbligo non è previsto in Paesi come la Francia e il Regno Unito, dove il tempo medio necessario per ottenere lo scioglimento del matrimonio è di circa sei mesi. La normativa spagnola prevede poi tempi assai rapidi per pervenire allo scioglimento del matrimonio che, al ricorrere di certi presupposti, è alternativo rispetto alla separazione. Si registra, infine, che in alcuni Paesi del Nord Europa, quali Finlandia, Norvegia e Olanda, lo scioglimento del vincolo coniugale è immediato. Ciò contribuisce al fatto che, sempre più frequentemente, coppie di cittadini italiani trasferiscono la propria residenza all’estero al solo fine di ottenere il divorzio in tempi brevi.

            Non posso quindi che ritornare alla considerazione preliminare del mio intervento. Chiedo all’Assemblea di ragionare sul testo proposto dalla Commissione giustizia in modo laico. L’obiettivo che il presente disegno di legge si propone, cioè la riduzione dei tempi, è destinato unicamente a preservare la famiglia e ad evitare che il conflitto che si instaura con la crisi matrimoniale abbia conseguenze devastanti sulla vita delle persone. Le considerazioni personali o la vita di ciascuno di noi, comprese le convinzioni etiche, non devono aver posto quando dobbiamo fare i legislatori.

            Intervengono Sen. Monica Cirinnà (PD) Sen. Erika Stefani (LN-Aut) Sen. Ciro Falanga (FI-PdL XVII) Sen. Emma Fattorini (PD) Sen. Giuseppe Francesco Maria Marinello (AP (NCD-UDC)) Sen. Sergio Lo Giudice (PD) Sen. Aldo Di Biagio (AP (NCD-UDC)).

. Gianpiero Dalla Zuanna (PD)  docente universitario di demografia          passim

nel corso del nuovo secolo ci sono stati ogni anno all’incirca 85.000 separazioni e 50.000 divorzi in Italia, con scarsi cambiamenti nel corso del tempo. Si può stimare che un matrimonio su tre celebrati in Italia nell’ultimo decennio del Novecento finirà con una separazione, ma solo uno su cinque finirà con un divorzio. Una caratteristica particolare dell’Italia è l’ampia distanza temporale fra matrimonio e separazione (in media 16 anni fra matrimonio e iscrizione al ruolo). Tale distanza non si riduce nel tempo. Nel 2012 metà delle separazioni e un terzo dei divorzi hanno interessato almeno un figlio affidato.

Non tutte le separazioni si concludono con un divorzio: nel corso dell’ultimo ventennio, in un caso su tre i coniugi non passano dalla condizione di separati a quella di divorziati. Quindi, la condizione di separato o di separata – una caratteristica peculiare dell’Italia e di pochi altri Paesi – viene scelta come pressoché definitiva da un numero rilevante di coppie e la dinamica fra separazione e divorzio è assai stabile nel tempo.

È, quindi, sbagliata l’idea di un numero soverchiante e crescente di coppie incatenate dai tempi troppo lunghi intercorrenti fra separazione e divorzio. I numeri ci dicono che solo un numero contenuto di coppie sente l’urgenza di restringere i tempi. Inoltre, le coppie separate che sentono l’urgenza di divorziare sono una minoranza. Nel 2012 i divorzi sono stati 50.000: solo nel 38 per cento dei casi la distanza fra separazione e iscrizione al ruolo è stata di tre anni. Nella maggioranza dei casi, la distanza è stata assai maggiore (questo non c’entra nulla con le lungaggini della nostra giustizia, ma è proprio una scelta delle persone): nel 42 per cento dei casi fra quattro e sette anni, nel 21 per cento dei casi addirittura superiore a sette anni. Quindi si può prevedere che la richiesta di divorzio breve possa interessare nei prossimi anni poco meno di 20.000 coppie all’anno, le altre 30.000 continueranno a preferire tempi più lunghi.

La maggioranza delle coppie separate tende a muoversi con prudenza rispetto al divorzio: evitando di chiederlo – preferendo quindi mantenere lo status di separato o separata – o chiedendolo solo dopo un periodo di separazione assai più prolungato di quello previsto come minimo dalla legge attuale.

L’istituto della separazione è molto italiano, ma – come detto bene anche la mia collega Fattorini – non è affatto sinonimo di arretratezza culturale. Ha trovato accoglienza duratura e consolidata nelle abitudini delle coppie che vogliono porre fine alla convivenza coniugale, ma non vogliono sospendere del tutto un legame che potrebbe riannodarsi o persistere, sia pure debole, per tutta la vita.

Anche senza evocare l’utilizzo opportunistico del divorzio – che pure esiste – lo studio empirico del comportamento effettivo degli italiani suggerisce al legislatore di affrontare questi temi con molta circospezione. Accorciare i tempi fra separazione e divorzio è ragionevole, perché permette di accelerare i percorsi per quella minoranza che – dopo un fallimento matrimoniale – vuole stabilizzare rapidamente una nuova storia di coppia oppure vuole esaurire tutti gli effetti legali del precedente matrimonio.

La proposta approvata a larghissima maggioranza alla Camera (i voti favorevoli sono stati 300 contro 40) mi sembra condivisibile, riducendo la distanza minima fra separazione e divorzio a sei mesi in caso di procedura consensuale (che interessa il 70 per cento dei divorzi oggi), a un anno in caso di contenzioso. Si tratta di una riduzione rilevantissima, un sesto o un terzo rispetto ai tempi attuali. Si tratta di una scelta equilibrata anche in presenza di figli minori, perché – se è in ogni caso ragionevole mantenere un periodo di riflessione dopo la separazione coniugale – se la frattura coniugale è effettiva e profonda, per il bene dei figli è opportuno stabilizzare la nuova situazione in tempi non eccessivamente prolungati.

Nel presente contesto storico italiano, il divorzio diretto appare invece una forzatura, che trova – come ho cercato di dimostrare – poche giustificazioni nei comportamenti effettivi delle coppie. Introducendo il divorzio diretto, il legislatore indicherebbe una strada oggi largamente estranea alla cultura italiana della vita di coppia, non praticata né richiesta dalla grande maggioranza dei cittadini coinvolti in percorsi di crisi coniugale.

Permettetemi un piccolo commento finale su alcune osservazioni del collega e amico Lo Giudice, con cui condivido la passione per temi che – alla fin fine – riguardano la felicità delle persone. Nell’ultimo quarantennio i matrimoni non sono diminuiti solo in Italia, ma in tutti i paesi occidentali, a prescindere dalle leggi vigenti sul divorzio. Sono diminuiti per molti motivi, ma specialmente perché – in tutto l’Occidente – ora la società intera accetta senza problemi la convivenza more uxorio e le nascite extranuziali come scelte possibili e non sanzionabili. Eppure, al contrario di come ritenevano molti studiosi, il matrimonio non è sparito, anzi in Paesi come la Svezia, dove pure metà dei bambini nasce fuori dal matrimonio, ci si sposa (e parliamo di primi matrimoni) con maggior frequenza rispetto all’Italia.

Mi permetto – da statistico, come si dice, prestato alla politica – di esortarvi a non farvi intrappolare in una celebre frase di Disraeli: «I politici usano le statistiche come gli ubriachi usano i lampioni: non per la luce, ma per il sostegno».

Rinviato il seguito della discussione ad altra seduta.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=906897

12 marzo 2015. Intervengono Sen. Stefano Candiani (LN-Aut), Sen. Giuseppe Luigi Salvatore Cucca (PD), Sen. Loredana De Petris (Misto, Sinistra Ecologia e Libertà), Sen. Roberto Formigoni (AP (NCD-UDC)), Sen. Alberto Airola (M5S), Sen. Maria Mussini (Misto, Movimento X) , Sen. Stefano Lepri (PD), Sen. Gabriele Albertini (AP (NCD-UDC)) , en. Emilia Grazia De Biasi (PD), Sen. Lucio Barani (GAL (GS, LA-nS, MpA, NPSI, PpI)), Sen. Sergio Divina (LN-Aut), Sen. Enrico Buemi (Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE), Sen. Alessia Petraglia (Misto, Sinistra Ecologia e Libertà), Sen. Carlo Giovanardi (AP (NCD-UDC)), Sen. Maurizio Buccarella (M5S). Sen. Nitto Francesco Palma (FI-PdL XVII), Sen. Giacomo Caliendo (FI-PdL XVII) , Sen. Giuseppe Lumia (PD)

Rinviato il seguito della discussione ad altra seduta.

http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=907009

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SINODO DEI VESCOVI

Da maggioranza omologante a minoranza testimoniante

Di seguito la sintesi di quanto emerso nell’incontro unificato del Consiglio pastorale parrocchiale e degli operatori pastorali, che si è tenuto nella parrocchia romana della SS. Trinità a Villa Chigi. Una riflessione più approfondita su tutto il Questionario, precisa il parroco Lucio Boldrin che ha curato questa sintesi, avrebbe richiesto tempi più lunghi e altre occasioni di incontro con tutta la comunità.

            Una premessa di metodo. Ci si è attenuti all’indicazione del Questionario che invitava ad evitare risposte «fornite secondo una pastorale meramente applicativa della dottrina» che avrebbe allontanato dal cammino ormai tracciato dalla Chiesa per mitigare, sul piano pastorale, le asprezze e le incongruenze del rigore dottrinale con la “medicina della misericordia”. In parrocchia si è riflettuto su due posizioni in campo: chi invoca il primato della dottrina (alcuni cardinali ma anche media cattolici come La Croce, nato anche per influenzare il prossimo Sinodo) e chi vorrebbe spingere la Chiesa nel mare aperto dell’innovazione pastorale. Non si aiutano certo i padri sinodali riproponendo il loro modo di vedere le cose, magari insistendo su questioni già acquisite come la bellezza del matrimonio cristiano, sul carattere sacramentale, ecc. Al contrario, li si aiuta se si fa conoscere loro il vero sentire dei credenti su questioni controverse e aperte.

            I temi cruciali. Riguardo alla cura pastorale delle persone sposate civilmente o conviventi, mentre si è sottolineata l’esistenza di valori umani aperti all’acquisizione della fede, si è auspicato che i vescovi trovino le modalità più adatte per diffondere nelle comunità quella sensibilità nuova della pastorale di cui parla il Questionario e che consiste nel cogliere gli elementi positivi presenti nei matrimoni civili e nelle convivenze.

            In merito alle fragilità familiari ed in particolare alla condizione dei separati, divorziati non risposati, divorziati risposati e famiglie monoparentali si è concordato sulla necessità di scelte coraggiose. Lo snellimento delle procedure per le cause matrimoniali è necessario e doveroso, ma una nullità più facile e rapida non è risolutiva di ogni problema. Si è molto insistito sulla necessità di assicurare ai divorziati risposati l’accesso ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia utilizzando, con gli opportuni adattamenti, anche l’esempio della prassi ortodossa, che risale ad un’esperienza precedente lo scisma d’Oriente.

            Sull’atteggiamento da tenere verso gli omosessuali, la parrocchia ha suggerito di approfondire la reale conoscenza dei temi e delle persone, a partire dalla congruità della formula del rifiuto della “ingiusta discriminazione”, che presupporrebbe l’esistenza di una discriminazione “giusta”. Infine, il rifiuto dell’equiparazione tra matrimonio sacramentale e unioni “omo” nella Chiesa non dovrebbe minacciare, in campo civile, un percorso di equiparazione nell’ambito della disciplina delle coppie di fatto.

            Questioni giuridiche e questioni pastorali. Tralasciando quello dottrinale, l’impressione è che nella discussione si confondono spesso il piano giuridico e quello pastorale, una confusione che la parrocchia SS. Trinità ha proposto di combattere con chiarezza, proprio per ottenere una maggiore efficacia pastorale.

Nella cultura occidentale attuale la Chiesa e le sue istituzioni non si identificano più con la società, ma ne sono solo “parte”. Solo rinunciando a un’ambizione maggioritaria sarà possibile ricondurre il messaggio cristiano alla necessaria radicalità e testimonianza. Le pretese integralistiche dunque danneggiano la necessità di un’azione efficace e visibile dei cristiani nella società. Il tema della famiglia è oggi uno dei simboli privilegiati di questo scontro culturale e della necessità di accettare di essere minoranza testimoniante invece che maggioranza omologante.

            In questa prospettiva una chiara distinzione dei confini tra civile e religioso consentirebbe un discorso più fermo sul matrimonio religioso. Ad esempio: se – come accadeva prima del Concordato – chiunque volesse sposarsi dovesse comunque farlo in Comune, l’eventuale decisione di sposarsi “anche” in Chiesa sarebbe frutto di una scelta più consapevole e meditata.

            Il recente discorso del papa alla Sacra Rota, che invita a valutare con più attenzione le ragioni di nullità dei matrimoni per mancanza di fede, sembra indirettamente indicare una strada del genere. Il problema è che ci si sposa in Chiesa per tante ragioni, ma molte di queste hanno poco a che fare con “l’essere cristiani”.

            Annuncio di fede nei corsi per fidanzati. Nei corsi di preparazione al matrimonio manca tra i partecipanti il “sentimento del sacramento”. E spesso, in realtà, manca proprio la fede. Qualunque catechesi sacramentale in età adulta, in particolare quella del matrimonio, deve partire dall’annuncio kerigmatico di base, giacché solo in questa prospettiva sarà possibile comprendere, e magari condividere, alcune delle proposte di vita della Chiesa che, a confronto con l’esperienza secolare, appaiono incomprensibili o paradossali. Sarebbe in questo senso utile parlare del matrimonio come di una delle possibilità di fare esperienza del Regno di Dio: l’amore sponsale come “scheggia dell’amore di Dio”; l’esperienza di resurrezione nel matrimonio, morendo un po’ a se stessi per riscoprirsi nell’altro e per “sentire” veramente l’altro. L’esperienza dell’amore sponsale può così diventare un passo in direzione della scoperta dell’amore di Dio, che ci aiuta nell’amore per lo sposo o per la sposa, ma anche nell’amore (carità) per gli altri. A tal fine, è essenziale che nei corsi, i futuri sposi siano in contatto costante con la Parola.

            De-enfatizzare le cerimonie, enfatizzare la liturgia. Insieme all’annuncio di fede, le parrocchie dovrebbero proporre una de-enfatizzazione del valore “sociale” delle cerimonie legate ai sacramenti, in particolare al matrimonio, favorendo parallelamente una comprensione e una partecipazione maggiore alla liturgia. Nella società odierna, il significato religioso dei riti è depotenziato, e il “matrimonio in Chiesa” è diventato una consuetudine “laica” (con ricevimento, addobbi floreali, abiti, ecc.) che non c’entra nulla con il sacramento. Riportare le cerimonie all’essenziale potrebbe chiarire molte cose e forse convincere i non tanto convinti a perseguire altre strade.

            Le parrocchie e le “nuove famiglie”. I cristiani, i catechisti, le parrocchie devono avere massima considerazione delle “nuove famiglie”, che si organizzano su geometrie giuridiche ed esistenziali diverse da quelle tradizionali. Occorre escogitare percorsi adatti all’annuncio della Parola in circostanze familiari differenti, anche affinché la realtà del matrimonio tradizionale cristiano non sia interpretata dai giovani come un’occasione per etichettare ed escludere le altre forme di famiglia di cui magari fanno parte. In una formula: passare da una “pastorale della famiglia” a una pastorale “delle famiglie”.

            Il tema del rapporto con le “nuove famiglie” si presenta con particolare problematicità nel caso della scelta dei “padrini” per il battesimo e la cresima. Di prassi si cerca di “nominare” una persona battezzata, cresimata e non risposata, ma spesso il padrino o la madrina scelti non credono neanche all’acqua fresca o magari hanno uno stile di vita discutibile. Anche in questo caso, occorre insistere sulla loro centralità nel cammino di fede dei ragazzi, magari de-enfatizzando gli aspetti “sociali” (il “comparaggio”, le attese di alcuni parenti, ecc.). E se le famiglie non sono in grado di presentare padrini “adeguati”, la comunità parrocchiale dovrà farsi carico di trovare per il ragazzo il padrino adatto. In fondo è la fede della comunità che garantisce per la crescita di quella del ragazzo. Si potrebbe persino ribaltare la prospettiva: la “normalità” è la parrocchia che si fa carico del “padrinaggio”, l’eccezione è la famiglia che presenta un’alternativa valida.

            Riammissione all’eucarestia dei divorziati risposati. Qualunque soluzione rischia di essere interpretata come un “depotenziamento” della dottrina e dell’annuncio salvifico dell’amore sponsale. Innanzitutto, occorre evitare di affrontare il problema in termini di “norme” e “regole” da sostituire con nuove “norme” e “regole”, di trasformare cioè ancora una volta una questione pastorale in un problema giuridico. Detto ciò, si dovrebbe studiare un percorso penitenziale caso per caso, con il quale sia possibile al divorziato risposato reinserirsi a pieno titolo nell’esperienza sacramentale della comunità.

            Annullamenti e divorzi. L’invito del papa ad accelerare le cause di nullità non deve apparire come un “divorzio cattolico”. Anche in questo caso, la separazione tra effetti civili del matrimonio e valore sacramentale del medesimo (vedi sopra) sarebbe particolarmente utile, perché limiterebbe l’efficacia delle sentenze ecclesiastiche alle conseguenze canoniche. La Chiesa potrebbe dunque rinunciare agli effetti civili della nullità, rendendola rilevante solo per gli effetti canonici. Ciò garantirebbe una maggiore libertà dei tribunali ecclesiastici nella valutazione dei soli criteri religiosi.

P. Lucio Boldrin, stimmatino, giornalista, parroco    Adista segni nuovi 15 marzo 2015

www.adistaonline.it/index.php?op=articolo&id=54833

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SUCCESSIONE

Coniugi separati: che accade in caso di morte e successione ereditaria?

Le regole nel caso in cui si apra, con la morte di uno dei coniugi avvenuta prima della sentenza di divorzio, la successione ereditaria.

Sono spesso poco conosciute le regole in tema di successione ereditaria nell’ipotesi in cui questa si apra, con la morte di un coniuge, nell’intervallo (spesso lungo) fra la sentenza di separazione, già pronunciata, e quella di divorzio. In questo caso, tutt’altro che raro, la legge [Art. 548 cod. civ.] stabilisce che il coniuge separato abbia gli stessi ed identici diritti successori del coniuge non separato, salva l’ipotesi in cui la separazione gli sia stata addebitata.

Tale completa equiparazione ai fini successori fra coniuge separato (senza addebito) e coniuge non separato vale se la morte di uno dei coniugi avvenga prima del momento in cui diviene definitiva la sentenza che pronuncia il divorzio, cioè prima che la sentenza di divorzio non possa più essere impugnata con l’appello. Se, quindi, la morte di un coniuge separato avviene prima di tale momento, l’altro coniuge (al quale la separazione non sia stata addebitata) eredita, in assenza di testamento:

1- ed in assenza di altri eredi, la metà del patrimonio del coniuge defunto [Art. 540 cod. civ ],

2- in presenza di un solo figlio eredita un terzo del patrimonio stesso (un altro terzo spetta al figlio),

3- se infine, sempre in assenza di testamento, vi siano più figli, a questi spetta complessivamente la metà del patrimonio del defunto ed al coniuge superstite un quarto Art. 542 cod. civ.].

            Nel caso, invece, in cui il coniuge defunto abbia fatto testamento, egli, ferme restando le quote sopra indicate (cosiddette quote legittime che sono intangibili), può destinare liberamente a chi vuole le parti restanti (quote cosiddette disponibili).

Si precisa, infine, che il coniuge superstite al quale la separazione sia stata addebitata, ha diritto, se l’altro decede prima che la sentenza di divorzio divenga definitiva, solo ad un assegno vitalizio e solo se all’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto [art. 548, 2° comma, cod. civ.]

Angelo Forte  la legge per tutti         15 marzo 2015

www.laleggepertutti.it/82087_coniugi-separati-che-accade-in-caso-di-morte-e-successione-ereditaria

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VIOLENZA

Il delitto di maltrattamenti in famiglia assorbe i delitti di percosse e minacce.

Corte di Cassazione, seconda Sezione penale, sentenza n. 9654, 5 marzo 2015.

Il delitto di maltrattamenti in famiglia assorbe i delitti di percosse e minacce, anche gravi, sempre che tali comportamenti siano contestati come finalizzati ai maltrattamenti, in quanto costituiscono elementi essenziali della violenza fisica o morale propria della fattispecie prevista dall’art. 572 c.p., ma non quello di lesioni (che non costituisce sempre elemento essenziale del delitto di maltrattamenti), di danneggiamento e di estorsione attesa la diversa obiettività giuridica dei reati

                                                        avv Renato D’Isa          9 marzo 2015 sentenza

http://renatodisa.com/2015/03/09/corte-di-cassazione-sezione-ii-sentenza-5-marzo-2015-n-9654-il-delitto-di-maltrattamenti-in-famiglia-assorbe-i-delitti-di-percosse-e-minacce-anche-gravi-sempre-che-tali-comportamenti-siano-cont/

Risponde di reato sessuale in danno del figlio minore il genitore che permette che lo stesso.

Corte di Cassazione, terza Sezione penale, sentenza n. 6844, 17 febbraio 2015

            Risponde di reato sessuale in danno del figlio minore il genitore che permette che lo stesso abbia rapporti sessuali con maggiorenne tenendo una condotta omissiva

            La Suprema Corte condivide le motivazioni della sentenza impugnata, per gli Ermellini la Corte di merito ha applicato, correttamente, i principi affermati da giurisprudenza costante, per cui risponde del reato sessuale in danno del figlio minore il genitore che, “consapevole del fatto e nella possibilità di porvi fine, non si attivi per impedirlo ma tenga una condotta passiva, ricoprendo egli una posizione di garanzia a tutela dell’intangibilità sessuale del figlio stesso che rende operante la clausola di equivalenza di cui all’art. 40, comma 2, c.p.

Tale responsabilità a titolo di causalità omissiva ricorre allorquando sussistano le condizioni rappresentate: a) dalla conoscenza o conoscibilità dell’evento; b) dalla conoscenza o riconoscibilità dell’azione doverosa incombente sul “garante”; c) dalla possibilità oggettiva di impedire l’evento.” Sussiste la responsabilità penale per chi pone in essere una condotta omissiva, che pur essendosi prefigurato la concreta possibilità di verificazione dell’evento, si è sottratto coscientemente all’adempimento dei propri doveri di controllo, accettando il rischio che l’evento si verificasse.

avv. Carmen Spadea questioni di diritto di famiglia                      18 febbraio 2015

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