NewsUcipem n. 536 –8 marzo 2015

NewsUcipem n. 536 –8 marzo 2015

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  • La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.                                                                                      intelligenti pauca

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ADOZIONE INTERNAZIONALE  Senza certezze crisi inevitabile.

AFFIDO CONDIVISO                     Ostacolare le visite dell’ex-coniuge ai figli è sanzionabile.

Favor per la scuola pubblica per i figli nel conflitto genitoriale.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  Riduzione del mantenimento e revoca della casa coniugale.

Prima al figlio e poi, eventualmente, all’ex coniuge.

CHIESA BATTISTA                        Cristianesimo e violenza contro le donne.

CHIESA CATTOLICA                    I cristiani e la legge civile. (Piana).

Chiesa, che cosa fai del tuo linguaggio?

Commissione adozioni internazionaliIl Governo interviene al Senato.

Giovanardi: “Una scena di umorismo surreale”.

CONSULENZA CONIUGALE        AICCeF nuova sede.

                                               Prossima Giornata di Studio A.I.C.C.e F.

CONSULTORI familiari UCIPEM  Trento. Seminario “Famiglie fragili e figli a rischio evolutivo”.

DALLA NAVATA                            3° domenica di Quaresima – anno B –8 marzo 2015.

DANNO                                             Diritto alla sessualità e infedeltà: il danno ingiusto.

Separazione personale con addebito e risarcimento dei danni.

Risarcimento del danno per omesso mantenimento.

FRANCESCO VESCOVO di Roma Angelus. Festa della donna.

NON PROFIT                                               Quanto donano gli italiani.

OMOFILIA                                       Trascrizione d’un matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Stabilità della relazione per la carta di soggiorno.

PARLAMENTO        Senato.            Assemblea.Ratifica convenzione Aja protezione minori.                                                             Assemblea. Adozione dei minori.

POLITICHE SOCIALI                    Conciliazione lavoro e famiglia: avanti a piccoli passi.

                                                           I nuovi padri? Sono in ritardo.

SEPARAZIONI E DIVORZI                       con negoziazione assistita: se il P.M. non autorizza l’accordo.

SINODO DEI VESCOVI                  «Comunione ai divorziati risposati? Capiamo meglio il Vangelo»

Come interpretare il consenso degli sposi? (Del Giudice).

L’indissolubilità non si discute. Né la misericordia.

Un arcivescovo propone un’“audace” sfida per il Sinodo-

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Senza certezze crisi inevitabile.

Non è soltanto questione di numeri. E cioè di costi troppo alti, di anni di attesa, di difficoltà burocratiche. Perché tutto questo nell’adozione internazionale c’è sempre stato. Forse l’Italia era un po’ più ricca, questo sì. Ma adottare un bambino (dentro e fuori i confini del nostro paese) è sempre stato un percorso ad ostacoli. Un cammino fatto di speranze e delusioni, di salti di gioia e di momenti di paura, di servizi sociali non sempre all’altezza, di tribunali lenti come lumache, di costi destinati a sfuggire di mano, e di viaggi nei paesi d’origine spesso densi di incognite. La differenza però tra ieri e oggi, tra quelle stagioni in cui in Italia entravano migliaia di bambini l’anno, e la grande crisi attuale delle adozioni internazionali, si riassume in una parola su tutte: fiducia. Quella fiducia che ormai non c’è più. Nel senso che pur tra mille insidie, fino a qualche anno fa, le statistiche dimostravano che bastava tenere duro, aprire il cuore, e il bambino sognato e atteso prima o poi sarebbe arrivato. Perché i nostri canali internazionali erano saldi, perché molti paesi non avevano ancora chiuso le frontiere, perché, anche, gli enti non erano così tanti e ormai spesso in competizione tra di loro.

Oggi invece, come raccontano molti aspiranti genitori adottivi, la certezza non c’è più. Può accadere, infatti, che il paese dal quale si attende l’arrivo di uno o più figli blocchi all’improvviso le pratiche. O cambi in corsa le regole degli abbinamenti. E non perché in nazioni come la Cambogia, l’India, o la Russia, o in continenti come l’Africa la condizione dell’infanzia sia migliorata. Tutt’altro. I dati mondiali sulla salute dei bambini ci dicono che ovunque le cose peggiorano e che l’abbandono è una piaga endemica. I paesi chiudono per poter alzare il prezzo con le nazioni più ricche, o per dimostrare fittiziamente di non avere un problema “infanzia” e candidarsi così ad entrare (accadde con la Romania) nel clan degli stati forti.

Nella totale incertezza capita allora che molte coppie abbandonino. E’ vero: i costi di un’adozione internazionale sono alti, spesso arbitrariamente alti. Eppure non è nemmeno questo che scoraggia la voglia di un figlio. Basti pensare che nell’Italia della crisi più grave, i viaggi delle coppie verso le cliniche della fertilità di tutto il mondo hanno raggiunto numeri mai visti prima. Per due fecondazioni eterologhe in Spagna ci volevano (e ci vogliono) più o meno quei ventimila euro che è il costo medio di un’adozione internazionale. Può capitare così che di fronte a tanta difficoltà nell’adozione, non poche coppie scelgano oggi le nuove frontiere della fecondazione assistita. Incerta anch’essa ma i cui successi sono in crescita e non in discesa. Il punto è che in una geopolitica in perenne mutamento, le adozioni dovrebbero essere oggi materia di dicasteri forti, come gli Esteri, questioni di vera politica internazionale e non soltanto di affari sociali. Allora, forse, i canali potrebbero riaprirsi.

Maria Novella De Luca: Repubblica.it       inchiesta “Quando l’adozione diventa impossibile”.

Aibi     2 marzo 2015                         www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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AFFIDO CONDIVISO

Ostacolare le visite dell’ex-coniuge ai figli è condotta sanzionabile.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 3810, 25 febbraio 2015.

Confermata multa di mille euro alla madre

Con la recente sentenza ha respinto il ricorso della madre, condannata al pagamento alla Cassa delle ammende di una somma a titolo di sanzione per aver ostacolato il diritto di visita dell’ex-marito alle figlie.

            La donna, più precisamente, otteneva in primo grado l’affido condiviso ma, a causa dell’acceso contrasto sussistente con l’ex-coniuge, ex art. 709 ter c. 2 n. 1) c.p.c., veniva ammonita unitamente a quest’ultimo ad agevolare il rapporto tra le figlie minori e l’altro genitore.

            Non essendo cessato il contegno ostativo della donna, il giudice di seconde cure, nel riconfermare il predetto ammonimento, disponeva altresì nei confronti della medesima una sanzione amministrativa pecuniaria pari a mille euro, ai sensi dell’art. 709 ter c. 2 n. 4) c.p.c.

            Le cesure mosse dalla ricorrente al provvedimento in sede di Cassazione sono state ritenute dalla Suprema Corte non pertinenti, in quanto afferenti alle ipotesi di cui ai nn. 1), 2), 3) dell’art. 709 ter c. 2 c.p.c. e non già all’ipotesi di cui al n. 4).

Nel dichiarare il ricorso presentato inammissibile, inoltre, la Cassazione ha precisato che l’ammonimento, stante la sua natura meramente esortativa, non sarebbe comunque ricorribile: esaurita la fase del reclamo, invero, non possono essere censurati sotto il profilo della legittimità i provvedimenti, quali quello in questione, “meramente sanzionatori e privi del carattere della decisorietà”.

avv. Laura Bazzan     newslettere StudioCataldi    6 marzo 2015

www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_17724.asp

Favor per la scuola pubblica per l’iscrizione scolastica dei figli  nel conflitto genitoriale

Tribunale di Milano, non Sezione, decreto 4 febbraio 2015.

            Laddove non esista, o non persista, un’intesa tra i genitori a favore di qualsivoglia istituto scolastico privato e non emergano evidenti controindicazioni all’interesse del minore (in particolare riconducibili a sue insite difficoltà di apprendimento, a particolari fragilità di inserimento nel contesto dei coetanei, a esigenze di coltivare studi in sintonia con la dotazione culturale o l’estrazione nazionale dei genitori ecc.), la decisione dell’Ufficio giudiziario – in sé sostitutiva di quella della coppia genitoriale – non può che essere a favore dell’istruzione pubblica, secondo i canoni dall’ordinamento riconosciuti come idonei allo sviluppo culturale di qualsiasi soggetto minore residente sul territorio.

            In linea di principio, nell’ipotesi di conflitto tra i genitori in ordine all’iscrizione dei minori a Scuola, preferenza e prevalenza va data all’istituzione scolastiche pubbliche poiché espressione primaria e diretta del sistema nazionale di istruzione (art. 1 l. 10 marzo 2000 n. 62) nonché esplicazione principale del diritto costituzionale all’istruzione (art. 33 comma II cost.). Le altre istituzioni scolastiche (paritarie, private in generale), pertanto, possono incontrare il favore del giudice, nella risoluzione del conflitto, solo là dove emergano elementi precisi e di dettaglio per accertare un concreto interesse effettivo dei figli a frequentare una scuola diversa da quella pubblica. Peraltro, la scelta del giudicante nel senso della scuola pubblica è una scelta “neutra” che non rischia di orientare il minore verso determinate scelte educative o di orientamento culturale in generale (e ciò, invece, potrebbe avvenire nella designazione di una scuola privata).

Giuseppe Buffone       Il Caso.it, n. 12199 -05 marzo 2015

www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/12199.pdf

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Disposta la riduzione del mantenimento e la revoca dell’assegnazione della casa coniugale.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 2435, 9 febbraio 2015.

            In questa pronuncia la Cassazione ha affrontato un caso in cui in sede di revisione delle condizioni di divorzio è stata disposta la riduzione dell’assegno di mantenimento e la revoca dell’assegnazione della casa coniugale. La Cassazione si pronuncia confermando la sentenza di secondo grado ed osservando che ciò che conta è che, di fatto, si siano verificate circostanze oggettivamente idonee a giustificare l’apertura del procedimento di revisione.

            Deve trattarsi di circostanze sopravvenute, gravi e rilevanti, concernenti la qualità e lo standard di vita del coniuge onerato. Nel caso di specie la Corte d’appello in parziale riforma della decisione del Tribunale (che aveva revocato sia l’assegno di mantenimento sia l’assegnazione della casa coniugale, ha ridotto l’assegno divorzile dando rilievo alla progressiva diminuzione del carico di lavoro dello studio professionale cui era titolare il marito; tale diminuzione di lavoro era oltretutto sfociata nella chiusura dell’attività professionale, circostanza che ha determinato una sensibile riduzione dei proventi dell’ex marito, il quale si era trovato a vivere della sola pensione.

            Non è quindi pertinente il vizio denunciato dall’ex moglie (violazione di legge) la quale aveva lamentato la violazione dell’art. 9 della legge 898/1970 (in tema di modifica delle condizioni di divorzio); e, in ogni caso, la questione viene individuata dalla Suprema Corte come attinente al merito, di conseguenza non sindacabile in Cassazione. Qui sotto il testo della sentenza.

avv. Licia Albertazzi newslettere StudioCataldi     6 marzo 2015

www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_17589.asp

ordinanza        http://www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_17589_1.pdf

Mantenimento: prima al figlio e poi, eventualmente, all’ex coniuge.

Tribunale di Caltanissetta, ordinanza 4 febbraio 2015.

Genitori separati: chi convive con il ragazzo può chiedere il pagamento dell’assegno solo se non lo chiede il figlio. In caso di separazione a chi va versato l’assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne? Prima ai figli stessi e poi, in caso questi ultimi non lo richiedano, al genitore affidatario (ossia a colui che vi convive).

A chiarirlo è stato il Tribunale di Caltanissetta con una recente ordinanza.

            La questione sulla legittimazione su a chi spettasse il diritto di esigere il contributo mensile ha, in passato, diviso numerosi tribunali. Esisteva, infatti, un filone di giurisprudenza che riteneva sussistesse una “concorrenza concorrente” di entrambi i soggetti, ossia sia da parte del figlio maggiorenne non autosufficiente, sia da parte del genitore affidatario e con lui convivente [Cass. sent. n. 9067/2002].

            Il Tribunale siciliano, però, aderisce al secondo orientamento, quello secondo cui, in prima battuta, deve essere sempre il figlio a rivolgere la pretesa. Infatti – si legge nel provvedimento in commento – in base all’attuale la legge [art.155-quinquie Cod. c], il mantenimento per i figli maggiorenni non economicamente autosufficienti va versato innanzitutto, ed in via diretta, all’avente diritto, salvo diversa decisione del giudice. Il genitore convivente con il ragazzo ha sì diritto a chiedere tale assegno, ma solo se il figlio rimane inerte.

            Tanto, ovviamente, vale sì nel caso di richiesta stragiudiziale, ma ancor di più per intraprendere la causa in tribunale. In questi casi, la legge parla di “legittimazione attiva all’azione”: si tratta della capacità di stare in giudizio e richiedere, al giudice, l’emissione del provvedimento di condanna. Se, dunque, il figlio non vuol far causa al genitore, la potrà avviare colui (o colei) con cui questi convive (perché cointeressato alle somme, servendogli, difatti, per la crescita della prole).

Raffaella Mari                       la legge per tutti         2 marzo 2015

www.laleggepertutti.it/80551_mantenimento-prima-al-figlio-e-poi-eventualmente-allex-coniuge

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CHIESA BATTISTA

Cristianesimo e violenza contro le donne.

Giovedì 5 marzo alle ore 20,45 presso la chiesa evangelica metodista di Novara, si è tenuto un incontro con la teologa femminista Elizabeth E. Green, che rifletterà sul tema «Donna, perché piangi (Gv 20, 13)? Cristianesimo, chiese e violenza contro le donne». Elizabeth E. Green, attualmente pastora della chiesa battista di Grosseto, già vicepresidente dell’Associazione europea delle donne per la ricerca teologica, ha pubblicato per l’Ed. Claudiana di Torino: Lacrime amare. Cristianesimo e violenza contro le donne (2000); Il Dio sconfinato. Teologia per donne e uomini (2007); Dal silenzio alla parola. Storie di donne nella Bibbia (2007); Il vangelo secondo Paolo. Spunti per una lettura al femminile (2009); Il filo tradito. Vent’anni di teologia femminista (2011). A lei abbiamo rivolto alcune domande.

«Donna, perché piangi?» sono – secondo l’evangelo di Giovanni – le prime parole pronunciate dal Cristo risorto. Cosa esprime questa domanda?

«Credo che l’evangelista Giovanni voglia sottolineare che Gesù rivolge quella domanda ad una donna perché egli stesso era capace di esprimere emozione e piangere. In un altro capitolo del quarto Vangelo, infatti, ci viene detto che Gesù pianse per la morte del caro amico Lazzaro. Le chiese, purtroppo, lungo i secoli non hanno mostrato la stessa sensibilità verso il pianto delle donne né verso una delle sue cause: la violenza maschile.»

Quando le donne hanno cominciato ad interrogarsi sul nesso tra violenza maschile e cristianesimo?

«La riflessione è cominciata durante il Decennio ecumenico di solidarietà con le donne (1985-1995), a conclusione del quale fu chiaro che ciò che univa le donne di tutte le regioni, le confessioni e i ceti sociali era la violenza maschile. La IV Conferenza mondiale sulla donna tenutasi a Pechino vent’anni fa ha dichiarato che “La violenza contro le donne è una manifestazione delle relazioni storicamente ineguali tra gli uomini e le donne che hanno condotto alla dominazione e alla discriminazione contro le donne da parte degli uomini e costituisce un ostacolo al pieno progresso delle donne”. Dunque, per scoprire il nesso tra cristianesimo e violenza contro le donne bisogna vedere in che modo esso ha contribuito alla costruzione di tali relazioni ineguali. Non sto dicendo che il cristianesimo ha creato tale squilibrio, ma certamente ha veicolato idee le quali, costruendo potenti stereotipi di genere, hanno permesso la violenza contro le donne».

In che modo il cristianesimo ha contribuito a rendere asimmetriche le relazioni tra uomini e donne all’interno delle quali accade la violenza?

«Nel mio libro Lacrime amare ho individuato alcuni aspetti del pensiero cristiano che hanno legittimato la violenza contro le donne, ad esempio: la sottomissione o subordinazione delle donne, la peccaminosità femminile, la sofferenza come fonte di salvezza, l’immagine di Dio Padre, un messaggio distorto dell’amore e del perdono cristiano veicolato da espressioni come “l’amore sopporta tutto”, “portare la propria croce”, e infine il silenzio. Riguardo a quest’ultimo aspetto, in particolare, le chiese, esortando le donne a tacere, non solo hanno contribuito a creare quella cultura del silenzio che circonda ogni forma di violenza contro le donne, non solo non sono riuscite a elaborare una visione del corpo e della sessualità che aiutasse ragazze e donne a essere più consapevoli di se stesse, più capaci di resistere alla violenza maschile, ma esse stesse hanno mantenuto il silenzio circa la violenza contro le donne, diventandone complici.

Ecco nei secoli il cristianesimo ha contribuito, e contribuisce tuttora in alcuni contesti, a costruire il tipo di relazioni squilibrate tra i generi all’interno delle quali accade la violenza contro le donne. Però sono convinta che il cristianesimo possieda delle risorse importanti.»

Quale può essere dunque il compito delle chiese cristiane?

«Prima di tutto, tornando a quanto affermato dal Decennio ecumenico di solidarietà con le donne, occorre riconoscere che la violenza maschile è peccato, nominarlo, denunciarlo e parlarne. Poi bisogna impegnarsi affinché le parrocchie e le comunità diventino palestre di un nuovo modo di vivere le relazioni tra uomini e donne e siano sempre più “assemblea di uguali”, per riprendere un’immagine della teologa femminista cattolica Elisabeth Schüssler Fiorenza. È importante, infine, formare sacerdoti e pastori a riconoscere i segni e i sintomi della violenza maschile contro le donne, ed accompagnare le donne in un percorso di liberazione e di trasformazione.»

E gli uomini?

«In questi ultimi anni gli uomini sono diventati sempre più consapevoli che il problema riguarda loro in prima persona. Non solo ci sono gruppi di uomini, come le associazioni Maschile plurale e Uomini in cammino, che riflettono sulla propria maschilità ovvero sulle radici culturali della violenza, ma è nata un’attenzione ai maltrattanti, e l’elaborazione di un percorso che aiuti l’uomo a modificarsi, a riconoscere e a gestire le sue complesse sensazioni di dipendenza e di impotenza che possono sfociare nel bisogno di controllo.

Anche su questo versante credo che le chiese possano fare la loro parte, accompagnando gli uomini in un percorso di maturazione e di consapevolezza all’insegna dell’esempio lasciatoci da Gesù il quale mai discriminò le donne, anzi le difese contro la prepotenza maschile, mise il servizio e non il dominio al centro delle relazioni umane, preferì subire la violenza anziché infliggerla. Sarebbe importante che le chiese, composte da uomini e da donne, si occupassero della violenza maschile contro le donne e si assumessero le loro responsabilità a riguardo, seguendo l’esempio di Gesù che seppe piangere egli stesso e le cui prime parole pronunciate da risorto furono “Donna, perché piangi?”».

Marta D’Auria                      www.riforma.it                      4 marzo 2015

http://riforma.it/it/articolo/2015/03/04/cristianesimo-e-violenza-contro-le-donne

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201503/150304greendauria.pdf

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CHIESA CATTOLICA

I cristiani e la legge civile.

Il pluralismo non solo ideologico e culturale, ma anche etico, della nostra società rende difficile il compito di elaborazione delle leggi civili, soprattutto laddove sono in gioco questioni eticamente sensibili, che hanno a che fare cioè con scelte valoriali particolarmente delicate e significative. Il fenomeno della secolarizzazione, il cui processo si è gradualmente intensificato fino a sfociare nel secolarismo, ha, infatti, sempre più accentuato quel politeismo dei valori — come lo definiva con anticipazione profetica Max Weber — che ha finito per vanificare la possibilità di convergere attorno a una piattaforma valoriale comune. Le tentazioni che in questa fase affiorano in chi è chiamato a legiferare sono, da un lato, quella di fare propria (e di imporre) l’etica di una tradizione religiosa, di un gruppo sociale o di un’ideologia; oppure, dall’altro (e inversamente), di abbandonare (o quanto meno di mettere del tutto tra parentesi) l’etica (perciò il rimando ai valori) per muoversi sul terreno della semplice proceduralità, facendo appello al dato sociologico e utilizzando come criterio normativo il principio di maggioranza.

L’ineludibilità del riferimento all’etica. È evidente l’inaccettabilità della prima ipotesi: la legislazione civile non può certo identificarsi con una concezione etica particolare, che riflette la visione di una parte ristretta della popolazione o che si ispira a criteri di natura confessionale o ideologica. L’adozione di questo modello, infatti, oltre a cancellare la fondamentale distinzione (ma non separazione) tra etica e diritto e a non rispettare l’autonomia di quest’ultimo, finisce soprattutto per trasformare la legge in una misura autoritaria, derivante da una presa di posizione parziale e integralista.

Anche la seconda ipotesi, tuttavia, non risulta plausibile né praticabile. Il riferimento all’etica non può essere, infatti, del tutto eluso. Anche chi ritiene di poterne fare a meno, in realtà implicitamente vi ricorre, poiché i criteri ai quali ispira le proprie scelte rinviano comunque a una concezione dell’uomo e della vita dalla quale scaturisce una prospettiva valoriale, che fa propri, nella maggior parte dei casi, paradigmi utilitaristi o contrattualisti.

Mentre dunque emerge, da un lato, l’ineludibilità del ricorso all’etica, appare, dall’altro, evidente l’impossibilità di assumere un’etica particolare e diviene invece necessario identificare, al di là della grande pluralità e differenziazione delle posizioni etiche, la presenza di un ethos comune condiviso, che diventi la base da cui partire per dare vita a un ordinamento giuridico che interpreti in qualche modo le esigenze della maggior parte della popolazione.

La necessità di un ampio dibattito pubblico. La questione che pertanto affiora è allora la seguente: come è possibile pervenire alla conoscenza di questo ethos? Come riuscire a individuare un minimo (o forse massimo!) comune denominatore che consenta nel legiferare non soltanto di tener conto di un criterio di funzionalità, per quanto fondamentale — una legge inefficace è una cattiva legge —, ma anche della rilevanza che la legge riveste nella formazione del costume, e dunque della necessità di favorire processi civili destinati a salvaguardare la dignità e i diritti di tutti, a partire da quelli delle categorie più deboli e più indifese.

Un’importanza particolare riveste a tale riguardo la questione del metodo: si tratta di creare le condizioni perché i singoli individui e soprattutto le soggettività sociali portatrici di diverse visioni etiche — dalle formazioni sociali, alle aggregazioni etnico-culturali, fino alle appartenenze religiose -possano liberamente esprimersi, entrando tra loro in un dialogo costruttivo volto alla ricerca di un terreno comune al quale ancorare l’intervento legislativo. Il che impone l’attivazione di un vasto dibattito pubblico, in cui si esprimano Liberamente le diverse opinioni e vengano esposte con cura le argomentazioni che le sostengono.

Ma soprattutto esige che si faccia proprio da parte di tutti quella che Habermas definisce come l’«etica del discorso» o della comunicazione); un’etica che presuppone una seria volontà di comunicare, vincendo la tentazione del monologo o la tendenza all’imposizione del proprio punto di vista disponendosi a un confronto con l’altro, senza chiusure preconcette o sterili pregiudizi, ma con la disponibilità a mettersi in discussione, nella convinzione che la crescita nella verità è frutto di un processo in cui è determinante il contributo di ciascuno. È come dire, in altre parole, che è necessario coltivare una serie di atteggiamenti, che vanno dal rispetto dell’altro, alla consapevolezza della relatività delle proprie convinzioni (che non devono essere per questo accantonate, rinunciando a proporle e a giustificarle); dalla capacità di ascolto, che è frutto di ricettività interiore, al coraggio di mettersi in discussione, acquisendo dagli interlocutori di qualsiasi parte preziosi stimoli di riflessione.

Il compito del mondo cattolico. Nel vivo di questa agorà non può (e non deve) certo mancare l’offerta del proprio contributo da parte dei cristiani, di fatto in Italia coincidenti con il cosiddetto mondo cattolico. Se è vero che la proposta etica del vangelo ha la pretesa (giustificata) di contenere una forma di autentico umanesimo, la chiesa ha il diritto e il dovere di farla conoscere, entrando nel dibattito pubblico con argomentazioni di carattere razionale, che, in quanto prescindono dal riferimento diretto alla fede, vanno offerte a tutti gli uomini di buona volontà. L’etica evangelica è, infatti, anzitutto — ce lo ricorda lo sviluppo che ha avuto nel postconcilio il significativo dibattito sulla morale autonoma —un’etica umana, razionale —si pensi soltanto che essa ha il suo fondamento nel decalogo, la cui seconda tavola contiene precetti che fanno riferimento a essenziali valori umani e relazionali — la quale riceve dal riferimento all’evento-persona di Gesú e dal messaggio da lui annunciato la spinta a un’interiorizzazione e a una radicalizzazione delle proprie istanze.

La proposta deve tuttavia essere avanzata con discrezione e con umiltà, bandendo ogni forma di potere e ogni presunzione di possesso esclusivo della verità e rivestendosi dello spirito del servizio, con la disponibilità a offrire alla comunità umana il frutto della propria esperienza, il cui significato può peraltro essere colto efficacemente soltanto se all’annuncio verbale si accompagna la testimonianza resa dai credenti e dalle comunità cristiane ai valori enunciati attraverso il proprio comportamento nella vita quotidiana. E ancora, la proposta deve avvenire nel pieno rispetto del metodo democratico, accettando le regole del gioco e disponendosi ad accogliere le risultanze del confronto senza recriminazioni, anche se non corrispondono (come non possono d’altronde mai del tutto corrispondere) alla propria visione etica.

Due considerazioni conclusive. Due ultime considerazioni, infine. La possibilità che nella chiesa si faccia strada questa prospettiva è anzitutto legata al pieno riconoscimento della distinzione già accennata tra etica e diritto. Il regime di cristianità ha per molto tempo cancellato questa distinzione: la legge altro non era, in quel contesto, che il riflesso, sul piano civile, dell’etica cristiana (almeno degli aspetti di essa che avevano a che fare con la conduzione della vita collettiva) largamente dominante nella società. La secolarizzazione ha giustamente messo sotto processo questa identificazione, facendo spazio con chiarezza all’autonomia del diritto, cioè alla sua specificità epistemologica e alla sua diversa funzione rispetto a quella dell’etica.

La differenza tra scelta morale e ordinamento giuridico, con l’attenzione, in questo ultimo caso, a tenere in conto il carattere pragmatico della legge, che ha come obiettivo la regolamentazione di una situazione esistente, deve peraltro accompagnarsi — è questa la seconda considerazione — alla maturazione da parte della chiesa della consapevolezza che la difesa della moralità (in particolare della propria) non può (e non deve) essere affidata al sostegno della legge (senza misconoscere per questo il significato pedagogico che essa può avere), ma è, invece, compito di un’opera di formazione in profondità delle coscienze. Solo riconoscendo la laicità della legge civile e facendosi carico di un’azione educativa, che esige il coinvolgimento delle varie agenzie in campo e che fa riferimento per i credenti alla radicalità del messaggio cristiano — dell’annuncio di questa radicalità deve anzitutto preoccuparsi la chiesa (non è questo del resto ciò che papa Francesco ribadisce con insistenza?) —, è possibile dare alla società un ordinamento civile capace di interpretare le esigenze vere della popolazione e di favorire, nello stesso tempo, un’assimilazione dei valori capace di conferire alle scelte degli individui un significato positivo, tanto a livello personale che sociale.

Giannino Piana in “Il Gallo”    gennaio 2015 

http://www.c3dem.it/wp-content/uploads/2015/02/i-cristiani-e-la-legge-civile-g.-piana-ilgallo.pdf

http://www.ilgallo46.it/gennaio-2

Chiesa, che cosa fai del tuo linguaggio?

Nonostante le apparenze, la Chiesa parla una sola lingua, quella della dottrina. La prima fase del sinodo sulla famiglia ha messo in evidenza che la preminenza del linguaggio dottrinale ne costituiva sempre la principale posta in gioco.

            Una lingua dottrinale legittima, ma morta. Certo, la lingua del magistero è legittima, perché razionalizza a posteriori la fede della Chiesa. Ma essa non può essere l’unica lingua parlata nella Chiesa, perché si rivela incapace di esprimere senso nelle situazioni che vivono gli uomini e le donne di oggi.

Rifiutando la distinzione e la distanza tra natura e cultura, inglobando queste due nozioni in un solo concetto che è quello della “legge naturale” e che è alla base di questa lingua dottrinale, la Chiesa la condanna a restare teorica, concettuale, atemporale, astratta e cristallizzata. Essa è strutturalmente incapace di tenere in considerazione la storia, inadatta ad integrarla, cioè a rivolgersi alla vita in perpetua evoluzione. Non può quindi raggiungere gli uomini e le donne la cui vita concreta si inscrive in una storia, è un momento di una storia.

La sua logica consiste esclusivamente nel tentare, senza mai riuscirvi, a far entrare una realtà vissuta inserita in una storia, in casi fissati di concetti e di nozioni astratte presentati come un ideale da raggiungere.

Come mettere in relazione dottrina e vita concreta, condizione della testimonianza? I protestanti hanno risposto alla domanda con il primato della coscienza personale. L’ebraismo ricorre alle possibilità dell’interpretazione senza fine che gli permette anche di raggiungere le persone nella loro storia. La Chiesa cattolica ha preferito aggirare il problema distinguendo dottrina e pastorale. Ma questa manovra di elusione mostra presto i suoi limiti. Da un lato perché la pastorale è sempre subordinata alla dottrina e dall’altro lato perché oggi, essendo la dottrina accessibile a tutti, la pastorale no  ha più spazio per dispiegarsi, tenuto conto che la mediazione obbligatoria del confessore che era il suo principale vettore è caduta in desuetudine.

Per una “lingua viva” dei battezzati. Quando Sant’Agostino riflette sul linguaggio e tenta di rispondere alla domanda “di che cosa è segno la parola?”, distingue due nozioni complementari:

  • il verbum, parola la cui sola finalità è di essere pronunciata indipendentemente dal suo senso. Una parola fuori del tempo e della storia, una “parola parlata” senza rapporto con la realtà, la cui solo funzione è di essere pronunciata. In materia di sacramento, essa esprime la dimensione “già là” del sacramento stesso. Esempio: il matrimonio sacramentale è indissolubile. La lingua della dottrina procede dalla dimensione verbum.
  • il dictio, parola la cui finalità è di essere totalmente a servizio del significato. È la “parola parlante”, inscritta nella storia, capace di inserirsi nella nostra storia, di darle un senso, di aprirle un avvenire. In materia di sacramento, è la dimensione “non ancora” che orienta la vita.

            È nel registro del dictio, quello della vita concreta, capace di raggiungere ciascuno in un momento della sua storia, che si gioca oggi la credibilità della testimonianza. Questa è la lingua dei battezzati.

Legittimare una lingua vivente diversa da quella del magistero. Si può certamente obiettare: che ne è dell’unità della Chiesa, se essa parla diverse lingue? Effettivamente, se si presuppone che la comunione che è la Chiesa procede obbligatoriamente da un’organizzazione gerarchica piramidale, la pluralità delle lingue è una minaccia per l’unità. E la preminenza del linguaggio dottrinale è giustificata.

Se al contrario si ritiene che la Chiesa comunione risulta dalla tensione feconda e organizzata tra i tre poli di uguale importanza che sono il magistero, i teologi e i fedeli battezzati, la pluralità delle lingue, ciascuna adatta alla sua funzione e alla sua missione a servizio della comunione, è allora possibile e auspicabile.

Questa Chiesa è esistita, non solo nel racconto degli Atti degli Apostoli in cui ciascuno comprende

il messaggio nella propria lingua, ma anche, come ha mostrato Yves Congar, all’epoca in cui il sensus communis fidelium era preso in considerazione per ponderare il carattere astratto della lingua magisteriale.

            Nel suo funzionamento attuale, la Chiesta sottostima la dimensione dictio del proprio linguaggio subordinandola, di fatto, alla dimensione verbum da cui tutto dipende. È ciò che contribuisce a squalificare il suo linguaggio, anzi a costituirlo in contro-testimonianza. A questo proposito basta pensare a Humanae Vitae o alla condizione dei divorziati risposati nell’accesso ai sacramenti.

            Con molti cattolici, oso dire che i battezzati possono testimoniare l’amore incondizionato di Dio per ciascuno, indipendentemente dalla loro situazione, impegnando la Chiesa, senza indebolirne l’unità né nuocere alla comunione, parlando la loro lingua viva che non è obbligatoriamente una semplice declinazione di quella del magistero. È la posta in gioco del sinodo sulla famiglia, è la mia risposta alla consultazione avviata.

Gershom Leibowicz   Conference Catholique des baptise e s francophones                     2 marzo 2015

 www.baptises.fr/content/%C3%A9glise-que-fais-tu-de-ton-langage-0

traduzione: www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201503/150303leibowicz.pdf

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                                    COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Il Governo interviene al Senato.

Resoconto stenografico della seduta di giovedì 5 marzo 2015

Presidenza Valeria Fedeli. Seguono le interpellanze (…) sul funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali.

Andrea Olivero, vice ministro delle politiche agricole alimentari e forestali.

(…)      Il Governo, nel rispondere a queste interpellanze, presentata dai senatori Maurizio Sacconi e Carlo Giovanardi e altri, intende innanzitutto rassicurare gli interpellanti sull’assoluta legittimità del funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali. Ringrazia anzi gli interpellanti per aver offerto una preziosa occasione al Governo per fare chiarezza rispetto a tutta una serie di notizie ed affermazioni non corrette, veicolate in più sedi, anche autorevoli (come quella parlamentare), in maniera strumentale e con l’esclusivo obiettivo di delegittimare la politica del Governo in materia di adozioni internazionali, con grave danno degli aspiranti genitori adottivi e con grave pregiudizio dei diritti dei minori, la tutela del cui interesse dovrebbe essere l’unica ed esclusiva stella polare di qualsiasi intervento su tale terreno.

            Il Presidente del Consiglio, in ossequio alla previsione normativa, ha ritenuto di tenere direttamente su di sé la responsabilità politica delle adozioni internazionali, attribuendo a tale tema una rilevanza particolare, attraverso cui il Governo intende qualificare la propria azione. Proprio in questa linea quindi, e sempre in stretto ossequio alla normativa, si colloca l’ulteriore scelta del Presidente del Consiglio di delegare le proprie funzioni alla vice presidente, consigliera Silvia Della Monica, magistrato competente, autorevole e di esperienza poliedrica, che nella precedente legislatura ha ricoperto la carica di senatore della Repubblica.

            La Commissione esprime la sua azione attraverso decisioni sia collegiali che monocratiche. Opera difatti prevalentemente tramite il presidente, che la rappresenta nelle sedi nazionali ed internazionali, ed il vice presidente, che ha compiti specifici attribuiti dal regolamento. A tale proposito, va quindi sottolineato che, proprio in stringente ossequio alle norme, alcuni atti devono essere firmati in qualità di presidente, laddove rappresentano esercizio delle funzioni delegate (ad esempio la firma degli accordi bilaterali), altri devono essere firmati in qualità di vice presidente, laddove si tratta di atti propri del vice presidente (ad esempio le autorizzazioni all’ingresso dei minori adottati).

            Improprio ed illegittimo sarebbe invece un diverso comportamento, che non tenesse conto delle funzioni diverse esercitate. Per norma, la Commissione è convocata dal presidente, che ne stabilisce l’ordine del giorno. La cadenza con cui viene o no convocata deve rispondere ad esigenze effettive di assunzione di decisioni collegiali, piuttosto che onorare una cosiddetta prassi che, per quanto ripetuta nel tempo, non rappresenta certo di per sé legittimo rispetto delle norme.

            Il Governo assicura poi gli interpellanti che gli esperti nominati dal Presidente del Consiglio possiedono tutti i requisiti previsti e richiesti dalla norma, in ragione dei complessi e molteplici compiti attribuiti alla Commissione.

            In sede internazionale l’attività della Commissione è molto apprezzata e non mancano esplicite espressioni di soddisfazione e gradimento e concreti riscontri agli scambi intercorsi sui temi delle adozioni internazionali. La scelta del Presidente del Consiglio di tenere su di sé la competenza delle adozioni internazionali, delegando le sue funzioni alla vice presidente Silvia Della Monica, è stata, infatti, gradita in sede internazionale, a conferma della volontà del Presidente del Consiglio di attribuire un’importanza particolare alla tutela dei diritti umani dei minori nelle relazioni con i Paesi stranieri.

            (…)                             Notizie Commissione Adozioni Internazionali        6 marzo 2015

www.commissioneadozioni.it/it/notizie/2015/comunicato-stampa-il-governo-riafferma-piena-fiducia-nella-commissione-per-le-adozioni-internazionali.aspx

Giovanardi : “Una scena di umorismo surreale sulle adozioni interpretata da un Vice ministro della agricoltura” (E il vice ministro annuisce).

 “Non me la prendo con lei, vice ministro Olivero; lei ha letto probabilmente quello che la dottoressa Silvia Della Monica ha scritto, perché non può essere altrimenti, visto che sono state ripetute in tutto l’intervento una serie di menzogne“. Non usa mezzi termini il senatore Carlo Giovanardi (gruppo Area Popolare) commentando la risposta, data il 05 marzo dal Governo  alle due interrogazioni (pubblicate la prima il 30 ottobre 2014 a firma di Sacconi e la seconda a firma del senatore Giovanardi e di altri 11 parlamentari il 27 gennaio 2015). Argomento, la legittimità e il modus operandi della CAI (Commissione adozioni internazionali).

            Ci sono voluti cinque mesi per ascoltare dal Governo, attraverso la voce di Andrea Olivero, vice ministro per le Politiche agricole, solo una sfilza di elogi dell’operato della Cai.

            Per la Presidenza del Consiglio non solo è tutto legittimo, ma le notizie veicolate in più sedi, anche autorevoli (come quella parlamentare) sono ‘non corrette’ e diffuse con ‘l’esclusivo obiettivo di delegittimare la politica del Governo in materia di adozioni internazionali’. Anzi, a dispetto dei dubbi sollevati anche da inchieste giornalistiche, la Commissione- afferma Olivero– ha “lavorato intensamente in questo anno, con esiti molto importanti”. Il Viceministro ha poi rassicurato i senatori anche sugli ottimi rapporti con i Paesi stranieri, smentendo tensioni e crisi diplomatiche con la Repubblica Democratica del Congo e la Bielorussia.

            Inevitabile lo scontro con il senatore Giovanardi. Il senatore, per quattro anni presidente della Cai, nella replica ha premesso di non avercela con il rappresentante del Governo, “inviato in Parlamento come un kamikaze a leggere una risposta di umorismo surreale“, ma non ha fatto per nulla segreto della sua insoddisfazione per le risposte ottenute, definite come “ripetute menzogne”.

            L’interpellante, spazientito di fronte alle risposte del Governo, ha chiesto piccato “Allora, Vice Ministro, cosa mi è venuto a dire che la Commissione ha fatto se non si è mai riunita? Ma come si fa?”, ma qui è andato in scena il teatro dell’assurdo. Chi era presente in aula ha assistito a questa scena. A questa domanda il viceministro ha semplicemente annuito, come riporta nero su bianco la stesura stenografica.

            Intanto Giovanardi ha annunciato di volersi rivolgere alla Procura della Repubblica o alla Corte dei Conti “per far rispettare la legalità”

Svariate le criticità evidenziate dall’interpellanza, ribadite in Senato da Giovanardi . L’esponente di Ap ha ricordato l’illegittimità della doppia carica assunta da Silvia della Monica, che è contemporaneamente presidente e vicepresidente della Commissione. Ha sottolineato inoltre il fatto che la Commissione, sulla carta un organo collegiale, “in più di un anno si è riunita una sola volta, mentre tutti gli atti sono stati firmati dalla stessa Della Monica, che a seconda delle circostanze si qualifica ora come presidente, ora come vice presidente”.

Giovanardi si è infine domandato perché a fronte di ‘macroscopiche illegittimità’ in questo Paese per far rispettare la legalità si debba andare in Procura della Repubblica o alla Corte dei Conti”.

            Ai. Bi.  6 marzo 2015

www.aibi.it/ita/giovanardi-ap-una-scena-di-umorismo-surreale-sulle-adozioni-interpretata-da-un-vice-ministro-della-agricoltura-e-il-vice-ministro-annuisce

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CONSULENZA CONIUGALE

AICCeF nuova sede.

            Domenica 8 marzo, a Faenza si inaugurerà la nuova sede nazionale dell’AICCeF in via Agostino Tolosano n. 60.

            La presidenza, il Consiglio direttivo, la segreteria e la redazione partecipano, con soddisfazione, a tutti i Soci la realizzazione di questo traguardo, tenacemente voluto dalla Presidente Rita Roberto, che rappresenta un grande passo verso l’autonomia, la visibilità e la funzionalità dell’Associazione e richiede un impegno ancora maggiore per affrontare le nuove sfide del mondo delle professioni.

            La nuova sede, con i suoi ampi e luminosi locali, rappresenta la casa di tutti i Consulenti Familiari che fanno parte della famiglia dell’AICCeF, ed offrirà loro un luogo idoneo ed adeguato a tutte le vecchie e nuove attività che l’Associazione è chiamata a svolgere.

L’inaugurazione ufficiale avverrà alle 16,00 di domenica 8 marzo e tutti i Soci sono invitati a partecipare ed a condividere insieme questo momento di allegria e di soddisfazione.

                        Prossima Giornata di Studio A.I.C.C.e F.

19 aprile 2015 – Hotel dei Congressi, Viale Shakespeare n.29, Roma

Metodologia professionale del Consulente familiare e Attestazione di qualità

Relatrice della Giornata sarà Emiliana Alessandrucci, Presidente del Colap, (Coordinamento delle Libere Associazioni Professionali), che parlerà di Professioni associative e del valore dell’Attestazione di qualità rilasciata dalle medesime Associazioni  ai sensi dell’art. 7 della legge n.4 del 2013.

Durante la Giornata la Presidente presenterà la nuova edizione del libro “Il Consulente di coppia”  di Giovanna  Bartholini, edita dall’AICCeF su licenza degli eredi di G.B. Per l’occasione sarà presente la cugina della compianta autrice, la d.ssa Michela Duè.                                                www.aiccef.it

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

                                   Trento. Seminario di studio “Famiglie fragili e figli a rischio evolutivo”

Con il Patrocinio dell’Ordine degli Psicologi di Trento dell’Ordine degli Assistenti Sociali TAA il consultorio familiare organizza il 26 marzo 2015 un -Seminario di studio sul tema «Famiglie fragili e figli a rischio evolutivo, Intervento clinico in contesti coatti nell’ottica della cura dei legami».

Sede: Sala Verde (via Romagnosi 11, Trento c/o Centro Europa – PAT). Ore 8,30-18.        

L’esigenza di intervento verso le famiglie con carenze nell’accudimento dei figli impegna molto i servizi, arrivando anche a contrapporre gli interessi dei figli a quello dei genitori: come quando l’aiuto al genitore vede il bambino ridotto a risorsa terapeutica, o quando al contrario l’aiuto al bambino diventa una questione di separazione obbligatoria da genitori ‘insufficienti’.

Gli studi recenti sollecitano nuove soluzioni e la necessità di sviluppare ricerca e sperimentazione di possibili nuovi interventi ‘per tutta la famiglia’ a garanzia di maggior tutela di bambini e ragazzi che sono in situazioni di rischio evolutivo.

La giornata di studio propone un’occasione di confronto clinico e di approfondimento interdisciplinare su un modello d’intervento centrato sui bisogni del figlio, ma rivolto a tutto il nucleo famigliare, con una presa in carico del sistema ‘bambino con i suoi legami’.

La presentazione dei 10 anni di attività del Progetto Pinocchio, permette di esaminare il modello nella sua applicazione clinica e analizzare dati quantitativi e qualitativi dell’intervento rivolto a situazioni familiari inviate dai Servizi Sociali, spesso con prescrizioni della Magistratura che le obbligano al percorso psicologico perché ritenute carenti nella gestione dei figli.

Il seminario approfondisce quindi la tematica dei legami di attaccamento, alla luce dei più recenti studi, focalizzandola in particolare sulle situazioni familiari compromesse, di bambini e famiglie messi ‘sotto tutela’.

Vuole essere un’occasione per avviare una riflessione nell’ambito innovativo della valutazione di efficacia degli interventi che si fanno nell’area della tutela e cominciare a riflettere sugli esiti degli interventi fatti e sulle condizioni per essere efficaci.

Permette anche di dare una restituzione ai vari stakeholders del Progetto Pinocchio, finanziato sulla LP14/91, che prende in carico situazioni complesse inviate dal Servizio sociale, area minori e famiglia; può rappresentare un contributo d’analisi utile a migliorare l’intervento professionale in quest’area complessa delle politiche sociali.

L’analisi clinica è fatta in un contesto di partecipazione allargata ad altre figure professionali, in particolare con l’assistente sociale inviante, al fine di permettere un confronto interdisciplinare su bisogni, metodologie ed esiti di prese in carico condivise.

Obiettivi generali:

  • sviluppare le conoscenze cliniche sulla cura dei legami nelle situazioni compromesse e sugli effetti degli allontanamenti
  • presentare gli esiti, a dieci anni dall’avvio, di un modello clinico d’intervento a favore di minori e famiglie fragili in contesti di prescrizioni della Magistratura
  • approfondire il tema della valutazione degli interventi fatti nell’area della tutela minorile e conoscere cosa si fa in Italia e in Europa

Obiettivi specifici:

  • Conoscere l’influenza dei legami primari nel processo di costruzione dell’identità
  • Conoscere gli effetti dell’interruzione dei legami di attaccamento
  • Sapere come ridefinire il contesto clinico nel processo di presa in carico con invio coatto
  • Conoscere una metodologia di presa in carico prescritta da Decreto della Magistratura
  • Conoscere alcune esperienze in atto di valutazione degli esiti nell’area della tutela dei minori
  • Conoscere nodi e opportunità nel valutare l’efficacia degli interventi nel lavoro con minori e loro famiglie

Metodologia:

  • esposizione frontale da parte del relatore con slide e testimonianza di esperienze professionali
  • scambio interattivo tra relatori e corsisti di diverse professioni per chiarificazioni, approfondimenti e confronto con altre esperienze professionali
  • presentazione di materiale d’uso pratico, di linee guida, normativa

Modalità d’iscrizione L’iscrizione è gratuita, ma obbligatoria.

Domanda sul modulo inviata all’indirizzo                 e-mail a progettopinocchio.trento@gmail.com

Docenti

  • Bommassar Roberta, psicologa psicoterapeuta, già Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni,
  • Dossi Francesca, assistente sociale Comune Rovereto,
  • Malossini Maria Vittoria, psicologa-psicoterapeuta, Consultorio Familiare Ucipem di Trento
  • Marotta Katiuscia, assistente sociale Comune Trento
  • Matacotta Valeria, psicologa psicoterapeuta, già Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni, Consultorio Familiare Ucipem di Trento,
  • Pisoni Daniela, psicologa-psicoterapeuta, Consultorio Familiare Ucipem di Trento
  • Scopel Vanda, psicologa, già Direttore del Consultorio Familiare Ucipem di Trento, già Componente Privato in Corte d’Appello Sezione Minorenni,
  • Vecchiato Tiziano, Direttore Fondazione Emanuela Zancan di Padova, Consultorio Familiare Ucipem onlus

http://ordinepsicologi.tn.it/upload/documents/PROGRAMMA_CORSO_UCIPEM_26_03_2015.pdf

/www.ordineastaa.it/Formazione/Notizie

Progetto Pinocchio                                                   www.ucipem-tn.it/pinocchio.php

www.ucipem-tn.it/index.php

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DALLA NAVATA

                                   3° domenica di Quaresima – anno B –8 marzo 2015

Esodo              20.01 «Dio pronunciò tutte queste parole:”Io sono il Signore, tuo Dio, …”».

Salmo             19. 10 «Il timore del Signore è puro, rimane per sempre».

1 Corinzi        01. 22 «Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani».

Giovanni         02.22 «Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù»

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DANNO

                                   Diritto alla sessualità e infedeltà : il danno ingiusto.

            E’ considerato illecito endofamiliare quello  commesso da un familiare a danno di altro soggetto appartenente alla medesima compagine domestica. Oggi, a seguito dell’evoluzione legislativa (L. 54/2006) e giurisprudenziale, è pacifico che l’illecito endofamiliare genera il risarcimento dei danni a favore della vittima.

            Prima di tali lavorii evoluzionistici, però, l’illecito civile commesso all’interno della famiglia rimaneva confinato nelle mura domestiche e le azioni di risarcimento danni per gli illeciti endofamiliari erano pressoché inesistenti. Peraltro, la giurisprudenza si è sempre dimostrata restia, se non contraria, a definire positivamente le azioni risarcitorie promosse in tal senso argomentando che il risarcimento del danno nell’ambito dei rapporti familiari è costituito dall’incoercibilità dell’adempimento dei cosiddetti doveri coniugali.

            Tale situazione è, appunto, sensibilmente mutata sia a seguito delle riforme legislative, sia, soprattutto, a causa del mutamento dei costumi comuni e della stessa concezione della famiglia, non più intesa come struttura chiusa, bensì come struttura fondata sull’uguaglianza e sulla reciproca solidarietà dei suoi membri, tutti portatori di autonomi diritti soggettivi meritevoli di tutela giuridica. A poco a poco è stata riconosciuta l’esistenza di nuovi danni – risarcibili – all’interno della famiglia.

            Nell’illecito endofamiliare il risarcimento del danno non patrimoniale è riconosciuto nel caso in cui la condotta di un coniuge, che violi uno o più doveri matrimoniali (fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione, coabitazione, contribuzione ai bisogni della famiglia, ecc.), determini aggressione ai diritti inviolabili della persona dell’altro coniuge, come ad esempio la sessualità, l’integrità morale, la dignità, l’onore, la reputazione, la privacy, ecc. secondo una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. (ex Cass. SS.UU. n. 26972, 26973, 26974 e 269759 del 2008, sulla scia delle cosiddette sentenze gemelle Cass. Civ. n. 8827 e 8828 del 2003).

            Viene quindi in rilievo il diritto alla sessualità che costituisce uno degli essenziali modi di espressione della persona umana (C. Cost. n. 561 del 1987). Tale diritto, dunque, è incluso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana, di cui all’art. 2 della Carta. Sul punto, il Tribunale di Napoli (sentenza 13 aprile 2007 n. 3996 – riguardo alla liquidazione del danno da morte del coniuge cagionata da fatto illecito commesso da terzi), ha riconosciuto al coniuge superstite, a titolo di danno non patrimoniale, la somma di € 20.000, per la perdita da costui subita alla propria sfera sessuale. In altre parole, la perdita del coniuge è stata valorizzata anche come perdita dell’esclusivo partner sessuale e ciò giustifica un risarcimento del danno non patrimoniale a tale titolo.

            Il diritto alla sessualità, non è solo un diritto personalissimo assoluto, ma anche una sorta di diritto di credito del coniuge nei confronti dell’altro (nell’ambito dei reciproci diritti doveri coniugali), la cui lesione ad opera di un terzo soggetto, determina un ingiusto danno risarcibile a favore del coniuge non direttamente danneggiato sul piano psicofisico. Tale impostazione è stata confermata anche dal Giudice di legittimità nella celeberrima pronunzia delle Sezioni Unite n. 26972 dell’11 novembre 2008 che ha fatto specifico riferimento al danno non patrimoniale “riflesso” cagionato al coniuge per l’impossibilità di rapporti sessuali nel caso di danno all’integrità psicofisica subito dall’altro coniuge, (che trova giustificazione nei diritti-doveri nascenti dal rapporto di coniugio).

            Altra pronunzia della Suprema Corte (n. 13547 dell’11 giugno 2009) riguardante un caso di colpa medica che aveva determinato ad una donna un danno biologico del 20%, ed una compromissione alla sfera sessuale, ha riconosciuto e ristorato il diritto alla sessualità della danneggiata, essendo lo stesso inquadrato tra i diritti inviolabili della persona, ovvero come “modus vivendi essenziale per l’espressione e lo sviluppo della persona”.

Quanto al danno alla sfera sessuale, dunque, la Cassazione ha statuito che “i diritti umani inviolabili che godono di copertura costituzionale non restano necessariamente assorbiti nel danno biologico, allorché abbiano una lesione propria come nel caso del diritto alla sessualità, che è per certo inquadrabile tra i diritti inviolabili della persona. La perdita o la compromissione della sessualità, per quanto anche solo attinente alla sua sfera psichica, costituisce quindi di per sé un danno che dev’essere valutato separatamente in modo autonomo quale danno non patrimoniale di per sé risarcibile”.

            Tale danno non patrimoniale alla sfera sessuale, va, dunque, pacificamente risarcito sia nell’ambito dei rapporti tra coniugi, come illecito endofamiliare, sia come illecito esofamiliare, vuoi direttamente alla persona che ha subito la lesione psicofisica da cui consegue il pregiudizio alla propria sfera sessuale, sia all’altro coniuge, come danno “riflesso”.

            Ad ultimo si segnala la sentenza n. 23147/2013 della Suprema Corte. In sintesi, la Cassazione ha confermato la sentenza d’appello, la quale, “pur procedendo ad una liquidazione unitaria del danno alla salute, ha distinto nella motivazione tre voci di danno: biologico, morale ed esistenziale. Quest’ultimo non costituisce però – rileva la Suprema Corte – un’autonoma categoria di danno, venendo in rilievo soltanto come sintagma descrittivo della lesione di un diritto fondamentale della persona.

            La Corte d’appello ha, infatti, posto in luce come, nel caso di specie, il danneggiato abbia lamentato, oltre al danno biologico (cioè alla lesione della salute) non già un generico pregiudizio esistenziale, ma un «danno non patrimoniale conseguente all’impossibilità di realizzare la [propria] persona sul piano sessuale, di realizzarsi attraverso la formazione di un nucleo familiare con figli”.

            Altro illecito endofamiliare è quello derivante dall’infedeltà. L’infedeltà lede l’onore e la dignità del coniuge. Come noto, non vi è puntuale corrispondenza tra la violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio e ingiustizia del danno. La violazione del dovere di fedeltà costituisce il mezzo attraverso cui può determinarsi la lesione di interessi meritevoli di tutela, quali l’onore e la reputazione, meritevoli di tutela.

Significativa al riguardo la pronunzia del Tribunale di Venezia (3 luglio 2006), riguardante una causa di risarcimento proposta dalla moglie nei confronti del marito e della sua nuova compagna. Il Tribunale ha accolto la domanda risarcitoria non tanto per la violazione dell’obbligo di fedeltà, pur di per sé era idonea a sorreggere la pronuncia di addebito alla separazione, quanto per la violazione dei diritti inviolabili della persona dell’altro coniuge. In particolare il Tribunale di Venezia ha evidenziato come la condotta posta in essere dal marito, in aperto spregio ai doveri nascenti dal matrimonio, oltre ad essere stata direttamente lesiva della sfera psicofisica dell’attrice, abbia anche leso la sua dignità. Infatti, l’attrice ha dovuto prendere atto del fallimento dell’unione coniugale in termini drammatici, cogliendo in flagrante il marito il quale, quasi nel puerile desiderio di nascondere l’avvenuta relazione extra coniugale, aggrediva la moglie facendosi spalleggiare anche dalla compagna del momento.

            Dunque l’infedeltà, di per sé, non determina un ingiusto danno risarcibile, nemmeno se essa si risolva in una relazione omosessuale (Corte Appello Brescia sentenza n. 56/2007).

            Altro caso ancora trattato dal Tribunale di Venezia (sentenza n. 145/2009) di infedeltà e di violazione degli obblighi di assistenza e coabitazione, che è pervenuto alla declaratoria che la condotta del marito, gravemente contraria ai doveri matrimoniali, oltre a costituire sicura causa di addebito della separazione coniugale, abbia leso in modo grave la dignità e l’integrità morale della moglie. Quest’ultima, in conseguenza delle ripetute condotte illecite del consorte (che si era allontanato dalla casa coniugale per andare a vivere con altra donna ed aveva offeso la dignità della moglie sia dal punto di vista affettivo che sessuale e relegandola a mera “badante” della propria madre), ha accusato patologie ansiogene e depressive accertate per un periodo di circa due anni.

            La lesione della dignità, causata dall’infedeltà, è dunque pacificamente riconosciuta come autonoma posta di danno risarcibile nell’alveo del danno non patrimoniale. Aggiungasi, per completezza espositiva, che più volte la Corte di Cassazione si è occupata del tradimento e più volte ha ricordato che una relazione extraconiugale non è sufficiente, di per sé, per la declaratoria di addebito della separazione. Ciò che conta, infatti, è verificare se la violazione del dovere di fedeltà coniugale sia stata la causa della crisi matrimoniale o se, invece, ne sia stato l’effetto.

            Nel giudizio di bilanciamento tra gli interessi dei coniugi l’ingiustizia del danno non può essere ravvisata nel fatto della rottura del vincolo coniugale, perché ciascun coniuge ha diritto di porre liberamente fine al rapporto coniugale. La Cassazione (sentenza n. 9801 del 2005) ha, infatti, precisato che i rimedi tipici previsti dal diritto di famiglia, come la separazione o il divorzio, sono compatibili e concorrenti con l’azione ordinaria di risarcimento danni, di cui all’articolo 2043 c.c. e che la mera violazione dei doveri matrimoniali, o anche la pronuncia di addebito della separazione non sono di per sé fonte di una responsabilità risarcitoria. Ha osservato la Suprema Corte che “la separazione o il divorzio sono strumenti accordati dall’ordinamento per porre rimedio a situazioni di impossibilità di prosecuzione della convivenza o di definitiva dissoluzione del vincolo e che diversa è la funzione dell’assegno di separazione o di divorzio avente natura strettamente assistenziale, rispetto alla tutela offerta dal risarcimento dei danni che assolve, di regola, ad una funzione compensatoria; oltretutto la perdita del diritto all’assegno di separazione a causa dell’addebito, può trovare applicazione soltanto in via eventuale, in quanto colpisce solo il coniuge che ne avrebbe diritto e non quello che deve corrisponderlo e non opera quando il soggetto responsabile non sia titolare di mezzi economici”.

            Sottolinea la citata pronunzia del 2005 che “per configurarsi un danno ingiusto, risarcibile ex art. 2043 c.c., vi deve essere un comportamento illecito dotato di una certa efficacia lesiva perché, diversamente, all’interno della famiglia deve sussistere tra i coniugi quello spirito di comprensione e di tolleranza che è parte del dovere di reciproca assistenza”. Non tutte le infedeltà, dunque, sono motivo di addebito della separazione e tantomeno fonte di risarcimento del danno.

            La posizione assunta dalla Cassazione (sentenza 15 settembre 2011 n. 18853 ed a seguire sentenza 1 giugno 2012 n. 8862) ha chiarito che l’infedeltà che ha cagionato la lesione alla dignità e all’onore del coniuge tradito rappresenta un illecito civile suscettibile di risarcimento danni. In forza di tale orientamento vengono condannate le infedeltà coniugali consumate in modo plateale e che hanno leso la dignità e l’onore di chi le subisce.

            Meritevole, infine, di breve cenno è la sentenza della Cassazione 10 aprile 2012, n. 5652 con la quale è stato ribadito che “nell’ambito di un vasto orientamento dottrinale e giurisprudenziale è stata da tempo enucleata la nozione di illecito endofamiliare, in virtù della quale la violazione dei doveri familiari non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c..”.

            avv. Emanuela Foligno                     newsletter StudioCataldi.it, 27 febbraio 2015

www.studiocataldi.it/articoli/17694-diritto-alla-sessualita-e-infedelta-il-danno-ingiusto.asp

Domanda di separazione personale con addebito e domanda di risarcimento dei danni.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 18870, 8 settembre 2014.

La connessione tra la domanda di risarcimento danni e quella di separazione personale con addebito è riconducibile alla previsione dell’art. 33 cod. proc. civ. – trattandosi di cause tra le stesse parti e connesse solo parzialmente per causa petendi -, rimanendo pertanto esclusa una ipotesi di connessione “forte”.

Ne consegue che le due domande non possono essere proposte nel medesimo giudizio. Peraltro, la mancanza di una ragione di connessione idonea a consentire, ai sensi dell’art. 40 cod. proc. civ., comma 3, la trattazione unitaria delle cause, può essere eccepita dalle parti o rilevata dal giudice non oltre la prima udienza, in analogia a quanto disposto dal medesimo art. 40, comma 2 (v. Cass., sent. n. 9915 del 2007).

dr Giuseppe Buffone Il Caso.it, n. 12160, 02 marzo 2015.                        testo integrale

www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fam.php?id_cont=12160.php

Risarcimento del danno per omesso mantenimento

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, sentenza n. 3079, 16 febbraio 2015.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello che aveva accolto la richiesta di una figlia nata fuori del matrimonio di ottenere una somma a titolo di risarcimento per omesso mantenimento, assistenza ed istruzione da parte del padre, ritenendolo responsabile di non avere adempiuto i doveri genitoriali.

La Suprema Corte, nella sentenza in esame, ha ribadito due principi sui quali la giurisprudenza sembra essere ormai costante. In primis, la Corte conferma che “l’obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio nasce proprio al momento della sua nascita, anche se la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza (…). Inoltre, l’obbligo dei genitori di mantenere i figli (artt. 147 e 148 c.c.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsiasi domanda”.

Con riferimento al profilo del risarcimento del danno non patrimoniale e dell’illecito endofamiliare, si ribadisce la risarcibilità del pregiudizio di natura non patrimoniale, quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale. Nel caso di specie,“il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di una figlia – come accertato in sede di merito -, integra da un lato la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione e, determina, dall’altro, un’immancabile ferita di quei diritti nascenti dal rapporto di filiazione, che trovano nella carta costituzionale (in particolare artt. 2 e 30), e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e tutela”.

AIAF – Newsletter     3 marzo 2015                                                www.aiaf-avvocati.it

Sentenza                                             www.aiaf-avvocati.it/files/2015/03/cass.3079-del-16.02.15.pdf

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FECONDAZIONE ARTIFICIALE

Valutazione degli spermatozoi.

            Si chiama “Istone H2AX” ed è un test in grado di valutare gli spermatozoi efficaci nella Procreazione medicalmente assistita. A individuarlo è stato il Servizio per la Patologia della Riproduzione umana dell’Azienda Universitaria di Padova diretta da Carlo Foresta, che lo ha presentato in occasione del XXX Convegno di Medicina della Riproduzione che si sta svolgendo ad Abano.

Il nuovo test è rivolto agli spermatozoi dei soggetti infertili ed è in grado di valutare la presenza di alterazioni strutturali del DNA spermatico. L’analisi dell’Istone H2AX è stata eseguita sui campioni seminali di 100 soggetti infertili candidati a tecniche di fecondazione assistita e si è rivelato l’unico test in grado di predire l’esito positivo rispetto a tutti gli altri metodi di valutazione spermatica finora conosciuti. Questo studio apre nuovi scenari sulle metodiche di analisi del DNA degli spermatozoi nei soggetti infertili e fornisce informazioni importanti sulle chances di successo dei trattamenti di procreazione assistita.

            Aduc salute                27 febbraio 2015

http://salute.aduc.it/notizia/fecondazione+nuovo+metodo+individuare+spermatozoi_130810.php

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Angelus. Festa della donna

Nella giornata dedicata alla Festa della donna, le parole più significative le pronuncia papa Francesco. Questa mattina all’Angelus davanti ai fedeli in piazza San Pietro ha detto: “Le donne portano la vita e vedono oltre, ci trasmettono la capacità di vedere oltre e di capire il mondo con occhi diversi, con cuore più creativo, più paziente e tenero. Una benedizione particolare per tutte le donne presenti in piazza e per tutte le donne”.

            Ha poi aggiunto: “L’8 marzo è un’occasione per ribadire l’importanza delle donne e la necessità della loro presenza nella vita. Un mondo in cui sono emarginate è un mondo sterile”.

E ha concluso: “Le donne ogni giorno cercano di costruire una società più umana e accogliente”, ha aggiunto il Pontefice.

                        la repubblica on line              8 marzo 2015

www.repubblica.it/cronaca/2015/03/08/news/8_marzo_il_papa_le_donne_vedono_oltre_con_cuore_piu_creativo_e_tenero_-109043836/?ref=HRER1-1

testo integrale                         http://w2.vatican.va/content/francesco/it/angelus/2015/documents/papa-francesco_angelus_20150308.html

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NON PROFIT

Quanto donano gli italiani.

Per la prima volta un’inchiesta completa rivela il dato sulla generosità degli italiani: 12 miliardi di euro donati dai soggetti privati al non profit ogni anno.

In Italia si movimentano 4,584 miliardi di donazioni individuali, 4,372 miliardi di altre donazioni private e 2,6 miliardi di offerte alle parrocchie ogni anno. Le prime due cifre sono tratte dal Censimento Istat 2011. Quello sulle offerte alle chiese è ricavato da Vita facendo la media sui bilanci di un campione di parrocchie. A riflettere su questi dati i contributi del fiscalista Antonio Cuonzo e del sottosegretario al Welfare, Luigi Bobba.

Vita it 5 marzo 2015             www.vita.it/it/article/2015/03/04/quanto-donano-gli-italiani/130595

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OMOFILIA

Trascrizione d’un matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Tribunale Ordinario di Grosseto, Sezione Civile, Decreto 26 febbraio 2015.

            Una coppia omosessuale ha presentato al Tribunale ricorso ex art. 95 D.P.R. 396/2000 avverso il diniego opposto dall’Ufficiale di Stato Civile di trascrivere nei registri dello stato civile l’atto di matrimonio celebrato con rito civile a New York nel 2012. L’atto di matrimonio era stato ritenuto intrascrivibile per due ragioni: la contrarietà all’ordine pubblico dei matrimoni tra persone dello stesso sesso e l’inesistenza (o l’inefficacia) di tali tipi di matrimoni nel nostro ordinamento.

Il Tribunale ha, innanzitutto, premesso il principio secondo il quale l’intrascrivibilità degli atti stranieri costituisce un’eccezione la quale non può essere interpretata restrittivamente, in particolar modo quando gli atti o i provvedimenti incidano sullo status o sulla capacità delle persone. Il ragionamento del Tribunale è poi proseguito affermando come non si rinvengano nel nostro ordinamento delle norme che consentano di concludere per la sussistenza di un divieto né implicito né esplicito di matrimoni tra persone dello stesso sesso, anche alla luce del fatto che l’Italia appartiene all’Unione Europea ove la realtà giuridica è più variegata e comprende al suo interno oltre a Paesi che hanno stabilito una forma di tutela per le unioni omosessuali mediante unioni civili anche Paesi che riconoscono il cd. matrimonio egualitario.

Il Tribunale ha poi concluso affermando che il matrimonio tra persone dello stesso sesso non può neppure dirsi contrario all’ordine pubblico, tenendo conto che del fatto che l’ordine pubblico rappresenta una nozione elastica che oggi non può più essere interpretata secondo una concezione di ispirazione statualista, ma deve necessariamente riferirsi alla comunità internazionale cui l’Italia partecipa.

Una volta chiarito che il matrimonio tra persone dello stesso sesso non può dirsi inesistente, né contrario all’ordine pubblico, il Tribunale ha da ultimo dovuto chiarire se, a fronte del silenzio legislativo, sia inevitabile dare un’interpretazione del quadro normativo che si traduca in una discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale, negando il riconoscimento del diritto a vedersi riconosciuto nel proprio Paese lo status di coniuge acquisito all’estero oppure se sia, al contrario, possibile un’interpretazione delle norme che disciplinano il rapporto matrimoniale costituzionalmente e convenzionalmente orientata (C. Cot. 150/2012) che consenta alle coppie omosessuali che abbiano validamente contratto matrimonio all’estero di vedere il proprio status riconosciuto anche in Italia.

Richiamando anche la giurisprudenza CEDU, il Tribunale ha optato per la seconda soluzione, accogliendo il ricorso sul presupposto che, superato l’argomento della contrarietà all’ordine pubblico e dell’inesistenza, “l’unico ostacolo della trascrivibilità sarebbe costituito da considerazioni sull’orientamento sessuale, inaccettabili ai sensi della Convenzione (…)”.

La Corte Edu, con riferimento al mancato riconoscimento dello status personale, ha chiarito che, affinché il rifiuto di riconoscere un atto riguardante lo status sia legittimo deve rispondere ad un imperativo sociale e deve essere proporzionato allo scopo che si propone di raggiungere: tale imperativo sociale che consente, ove sia proporzionale allo scopo, la diversità di trattamento di situazione analoghe “non può essere costituito da una discriminazione basata sull’orientamento sessuale, anche ove tale discriminazione possa ritenersi parte della tradizione di un Paese”.

AIAF – Newsletter     3 marzo 2015                                                www.aiaf-avvocati.it

Decreto                                   www.aiaf-avvocati.it/files/2015/03/Decreto-Tribunale-di-Grosseto-1.pdf

Stabilità della relazione per la carta di soggiorno

            Tribunale di Verona – Prima Sezione Civile – Ordinanza ex art. 702 ter cpc del 5.12.2014

Nel caso di specie, il ricorrente ha chiesto al Tribunale di ottenere l’annullamento del diniego della Questura al rilascio della carta di soggiorno per familiare di cittadino dell’Unione Europea nonché per l’accertamento del diritto al soggiorno in Italia ex artt. 2 e 3 d. lgs 30/2007, in quanto convivente di cittadino italiano, allo stesso unito da unione civile registrata in Germania. La Questura, infatti, aveva ritenuto che l’unione civile registrata in diverso registro rispetto a quello del matrimonio non potesse essere equiparata al matrimonio e, pertanto, il ricorrente non potesse essere considerato coniuge ai sensi dell’art. 2 del d. lgs 30/2007. La Questura, inoltre, aveva ritenuto che mancasse lo stato di convivenza posto che il ricorrente risultava lavorare in Germania e trascorrere solo alcuni fine settimana in Italia presso l’abitazione del partner.

Il Giudice ha stabilito che al caso di specie non potesse essere applicato l’art. 2 del DLgs 30/2007 posto che il ricorrente non è pacificamente un coniuge, non avendo contratto un matrimonio ma un’unione civile registrata sulla base della legislazione dello stato tedesco; le unioni civili registrate non sono previste dall’ordinamento italiano e, pertanto, non può neppure applicarsi la lettera b) dell’art. 2 del d. lgs 30/2007 in quanto la stessa richiede che “la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio”. Diverso discorso può farsi, però, in relazione all’applicabilità al caso in esame dell’art. 3 del DLgs 30/2007 secondo il quale “Lo stato membro ospitante (…) agevola l’ingresso ed il soggiorno (…) del partner con cui il cittadino dell’Unione Europea abbia una relazione stabile debitamente attestata con documentazione ufficiale. 3. Lo stato membro ospitante effettua un esame approfondito della situazione personale e giustifica l’eventuale rifiuto del loro ingresso e soggiorno”.

Il Giudice ha ritenuto che, nel caso in esame, la relazione del ricorrente e del partner cittadino italiano risultasse avere i caratteri della stabilità, tenuto conto che il ricorrente aveva richiesto il rilascio della Carta di soggiorno ben tre anni dopo che la loro unione civile era stata registrata in Germania. Inoltre, tale relazione risulta debitamente attestata da documentazione ufficiale, in quanto la stessa Autorità competente tedesca ha dato conto della registrazione dell’Unione Civile negli appositi registri, di ciò informando la competente Autorità Italiana richiedente.

Nel caso di specie non rileva, pertanto, l’elemento della convivenza bensì quello della stabilità della relazione e sussistono tutti i requisiti stabiliti dall’art. 3 del d. lgs 30/2007 (che ha recepito la direttiva CE/2004/3) in presenza dei quali lo Stato italiano agevola l’ingresso ed il soggiorno del partner di un cittadino comunitario.

Il Tribunale di Verona ha, dunque, accolto il ricorso e per l’effetto annullato il provvedimento di diniego del rilascio della Carta di soggiorno per motivi familiari.

AIAF – Newsletter     3 marzo 2015                                                www.aiaf-avvocati.it

Ordinanza                                          www.aiaf-avvocati.it/files/2015/03/ordinanza-Trib-Vr.pdf

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PARLAMENTO

Senato Assemblea.Ratifica convenzione Aja protezione minori.

1552 Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, fatta all’Aja il 19 ottobre 1996, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno (Approvato dalla Camera dei deputati.)

572 Di Biagio ed altri. – Ratifica ed esecuzione della Convenzione concernente la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, conclusa all’Aja il 19 ottobre 1996

5 marzo 2015 Discussione generale congiunta Il relatore di maggioranza svolge relazione orale. Adottato come testo base il DDL S. 1552. Conclusa la discussione generale. Rinviato il seguito dell’esame del disegno di legge in titolo ad altra seduta.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=906449

Senato Assemblea. Adozione dei minori.

1209 Puglisi ed altri – Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozioni dei minori da parte delle famiglie affidatarie

4 marzo 2015 Rinviato il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=906347

Dichiaro chiusa la discussione generale.

5 marzo 2015 Dichiarata chiusa la discussione generale. Rinviato il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=906449

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POLITICHE SOCIALI

Conciliazione lavoro e famiglia: avanti a piccoli passi.

            Uno dei decreti attuativi del Jobs act contiene varie misure per la tutela della maternità e per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro. Ma il vero banco di prova per capire quanto il governo intenda investire sul lavoro delle donne saranno i decreti sugli incentivi fiscali.

Come promesso da una delle deleghe del Jobs act, il governo ha emanato il 20 febbraio 2015 un decreto legislativo che contiene misure per la tutela della maternità e per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.

Il primo obiettivo riguarda l’estensione della possibilità di utilizzo del congedo parentale fino ai 12 anni del bambino dagli 8 attuali e di quello parzialmente retribuito dagli attuali 3 anni ai 6 anni.

Una maggiore flessibilità nell’utilizzo del congedo parentale, comunque a parità della sua durata complessiva, può consentire alle famiglie di scegliere i tempi per loro migliori da dedicare alla cura e al lavoro. Consente alle madri – ricordiamo che sono le donne a usufruire nella maggioranza dei casi del congedo parentale, spesso anche per convenienza economica – di non concentrare nei primi anni di vita del bambino il periodo di congedo, senza il rischio di perdere questo diritto.

La possibilità poi di usufruire del congedo su base oraria e non solo su base giornaliera va nella direzione di rendere l’organizzazione dei tempi di lavoro una scelta della famiglia. Una delle ragioni di non ritorno delle donne dal congedo di maternità sta nella difficoltà di articolare i tempi di lavoro in modo da renderli più adeguati alle nuove esigenze familiari.

Se la flessibilità di utilizzo del congedo in un arco più lungo del ciclo di vita è importante, la reale necessità di tempo per la famiglia è molto più pressante nei primi anni di vita dei figli, specie in mancanza di una struttura efficiente e accessibile di servizi per l’infanzia. Le strada da percorrere per una riduzione del costo dei figli sulla carriera lavorativa delle mamme prevede, da un lato, una maggiore condivisione delle responsabilità con i padri, sul modello dei paesi scandinavi ma anche della Spagna (per ora in Italia rimane un solo giorno obbligatorio di congedo di paternità); e, dall’altro, maggiori investimenti nell’offerta di nidi.

Una delle proposte della “Buona scuola” è quella di costituire un sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita fino ai sei anni, annullando la separazione tra asili nido e scuole di infanzia e ponendo entrambi sotto la responsabilità unica del ministero dell’Istruzione. Oggi i nidi sono gestiti prevalente dalle amministrazioni comunali (nonostante la legge sul federalismo fiscale), che hanno subito fortissimi tagli con risposte molto eterogenee da comune a comune . Anche se non avrà un percorso facile né breve dati gli alti costi di attuazione (in un momento in cui si chiedono riforme a costo zero o quasi), la proposta va nella direzione di adempiere ai target europei e rendere più efficiente e potenzialmente più equo il sistema scolastico, promuovendo fino dalla primissima età quell’uguaglianza di opportunità che la letteratura ha dimostrato essere cruciale per mettere a pieno frutto il capitale umano di un paese.

            Il secondo punto importante del decreto è quello di estendere le tutele ai lavoratori autonomi, equiparandoli ai lavoratori dipendenti, e di attribuire ai lavoratori e alle lavoratrici iscritte alla gestione separata il diritto all’indennità di maternità anche quando il datore di lavoro non abbia versato i contributi: la tutela della maternità (o della paternità) rimane comunque fermamente ancorata al rapporto di lavoro e le indennità sono corrisposte alle madri (o ai padri) in quanto lavoratori con figli, e non in quanto genitori, in un’ottica lontana dal welfare universalistico.

            Il terzo punto riguarda i benefici per le imprese che ricorrono al telelavoro per esigenze di cure parentali da parte dei lavoratori. Questi incentivi sono importanti per molte ragioni. Un’organizzazione del lavoro troppo rigida comporta, infatti, una penalizzazione delle carriere delle donne che si vedono costrette a uscire dal mercato o a scegliere lavori meno qualificati o precari, pur di avere gradi di flessibilità che permettano la cura dei figli o degli anziani in famiglia. Ricordiamo che in Italia una madre su quattro a distanza di due anni dalla nascita del figlio non ha più un lavoro, un dato stabile nel tempo. Claudia Goldin in un recente contributo sottolinea come siano proprio la struttura del mercato del lavoro e la tendenza in molte professioni, specialmente quelle più remunerative, di continuare a premiare le lunghe ore in ufficio ad alimentare e mantenere forti i divari salariali di genere.

            Infine, il decreto introduce per la prima volta una norma che riguarda il congedo per le donne vittime di violenza di genere e inserite in percorsi di protezione. Il decreto prevede la possibilità di astenersi dal lavoro, per un massimo di tre mesi, per motivi legati a tali percorsi, garantendo l’intera retribuzione, le ferie e il diritto di trasformare, se richiesto dalla lavoratrice, il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Queste possibilità riconoscono come la violenza di genere produca non solo danni psicologici e fisici, ma come abbia anche un potenziale impatto negativo sull’esperienza di lavoro e sui guadagni delle vittime.

            Non tutti i punti toccati dalla delega si ritrovano in questo decreto, in particolare non vi sono compresi il credito d’imposta per le lavoratrici con figli minori e le modalità di integrazione dell’offerta di servizi per le cure parentali. I decreti che disciplineranno gli incentivi fiscali al lavoro femminile – il cosiddetto tax credit – e che definiranno l’integrazione dell’offerta di servizi per le cure parentali saranno il vero banco di prova per comprendere quanto il governo intenda investire sul lavoro delle donne e quanto le infrastrutture sociali siano considerate uno strumento prioritario per favorire la conciliazione dei tempi del lavoro e della famiglia.

Non è solo una questione di cura dei più piccoli: in uno dei paesi più vecchi al mondo, secondo in Europa solo alla Germania, la cura degli anziani è una sfida alle possibilità di conciliazione e al welfare altrettanto seria quanto quella della cura dei bambini. È (anche) su questo terreno che si gioca la partita del lavoro delle donne. Partita in cui il governo Renzi deve (ancora) dichiarare quante risorse vuole puntare. I risparmi della spending review, se applicata, sarebbero ben utilizzati in questo ambito.

Alessandra Casarico e Daniela Del Boca                La voce                     6 marzo 2015

www.lavoce.info/archives/33476/piccoli-passi-conciliazione-famiglia/

                                   I nuovi padri? Sono in ritardo.

I dati sull’uso del tempo mostrano che i padri più istruiti dedicano più tempo ai figli anche in paesi come l’Italia. Politiche specifiche possono agevolare un cambiamento culturale che resta lento. E la distanza tra padri italiani e scandinavi è ancora grande. Cosa dicono le associazioni di parole.

I due modelli di conciliazione. Le analisi comparate dell’Ocse, a più riprese, hanno mostrato come per proteggere una famiglia con figli sia molto importante che entrambi i genitori lavorino. Come conciliare lavoro e genitorialità? Semplificando, ci sono due modi attraverso cui le madri e i padri con figli piccoli possono condividere più equamente il lavoro per il mercato e per la famiglia.

  1. Primo, le madri possono iniziare a comportarsi in modo simile ai padri, aumentando le ore lavorate per il mercato e diminuendo le ore spese per il lavoro domestico e la cura dei figli. Se i padri non cambiano il loro comportamento, aumenta il reddito familiare, ma diminuisce il tempo dedicato alla cura dei figli. Se si guadagna abbastanza si può acquistare sul mercato il tempo di cura dei figli. Per semplicità possiamo chiamare questo modello “americano”.
  2. Secondo, i padri possono iniziare a comportarsi in modo simile alle madri, in particolare aumentando le ore spese per il lavoro domestico e la cura dei figli. Normalmente non è possibile, per ragioni economiche, diminuire il tempo che i padri dedicano al lavoro per il mercato, salvo che non vi siano coperture particolari come i congedi di paternità. Per semplicità possiamo chiamare questo modello “scandinavo”. Qui sono i padri a dover cambiare il proprio comportamento e diventare dei “nuovi padri”. Le politiche possono aiutare questo cambiamento: sappiamo, infatti, proprio con dati sui paesi scandinavi, che i padri che hanno preso un congedo di paternità condividono maggiormente il lavoro domestico e di cura dei figli.

Esistono veramente i nuovi padri del modello “scandinavo”? Ebbene sì: anche in paesi “ritardatari”, come l’Italia, i padri iniziano a dedicare più tempo ai figli e al lavoro domestico. In particolare, i dati sull’uso del tempo mostrano che i padri più istruiti nei paesi ritardatari dedicano un tempo ormai paragonabile a quello dei paesi in cui tradizionalmente sono più presenti. Questa convergenza, seppur timidamente, è associata a livelli di fecondità più alti: la presenza dei nuovi padri, oltre ad aiutare la famiglia, può anche servire a innalzare la fecondità.

I cambiamenti culturali necessari richiedono tuttavia tempo, anche quando le politiche possono agevolarli, e l’Italia è ancora lontana dai livelli di coinvolgimento dei padri in Scandinavia. È difficile avere indicazioni su quelli che avvengono nel lungo periodo.

Un modo per farlo, per l’Italia, è attraverso l’analisi dei volumi pubblicati in italiano e catalogati in Google Books, contando l’apparire di parole o frasi. Nella figura possiamo vedere come dagli anni Novanta del secolo scorso le parole “padre e figlio” e “padre e figlia” inizino ad apparire più di frequente—con un declino dell’associazione “padre e figlio” a partire dal Duemila. I nuovi padri emergono dunque da un lungo cammino. Tuttavia, resiste ancora la presenza della casalinga. Sono dati solo suggestivi, che indicano però le tensioni in atto e le tendenze possibili.

Il cammino dei nuovi padri è ancora lungo. Le politiche (come il congedo di paternità) possono agevolarlo e velocizzarlo.

                                   Francesco Billari       La voce                      6 marzo 2015

Testo e grafico                                   www.lavoce.info/archives/33511/cammino-dei-padri

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SEPARAZIONE – DIVORZIO

con negoziazione assistita: se il P.M. non autorizza l’accordo

Tribunale di Torino – settima Sezione civile, 15 gennaio 2015

È possibile ripresentare la domanda adeguando l’intesa ai rilievi mossi dal pubblico ministero.

            Che succede se l’accordo per la separazione o il divorzio, fatto dai coniugi allo studio dell’avvocato con il nuovo meccanismo della negoziazione assistita (senza, quindi, l’intervento del giudice) non viene poi approvato dal Pubblico Ministero?

 La risposta viene da un recente provvedimento del tribunale di Torino, uno dei primi a dare maggiori dettagli sulla procedura appena introdotta dall’ultima riforma della giustizia Legge n. 162 del 2014].

Studio Sugamele        4 marzo 2015             ww.divorzista.org/sentenza.php?id=9814

vedi     newsUCIPEM n. 537 – 1 marzo 2014, pag. 27

www.ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=category&id=84&Itemid=231

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SINODO DEI VESCOVI

«Comunione ai divorziati risposati? Capiamo meglio il Vangelo»

«Mai c’era stata nelle parrocchie una simile partecipazione», afferma a Vatican Insider l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia a proposito della discussione diocesana sui documenti usciti dal Sinodo straordinario sulla Famiglia. Nelle diocesi si stanno animatamente discutendo i documenti sinodali sulla famiglia. Negli incontri parrocchiali, a detta dei vescovi, la partecipazione dei fedeli è insolitamente alta.

Secondo lei perché?

«Non c’è dubbio che l’interesse dei fedeli (e non solo) sul tema del Sinodo è altissimo. Molte diocesi italiane e anche fuori hanno invitato anche me a presentare la Relazione finale per continuare a riflettere su quanto è stato già deciso dai vescovi. Ma il metodo sinodale effettivo che papa Francesco ha voluto avviare risponde in maniera eccellente al quel sensus fidei che senza dubbio entra non solo nel metodo ma anche nel contenuto del dibattito. Credo sia indispensabile porre attenzione alle riflessioni che salgono dalle Chiese locali. E la Segreteria del Sinodo è consapevole della preziosità di quanto sta avvenendo».

Attraverso i questionari il Papa consulta la base e le istanze sottoposte al Sinodo dei vescovi includono la riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati. Ritiene che la sessione ordinaria del prossimo autunno proseguirà lungo una linea di apertura?

«Il metodo sinodale non è neutro rispetto al contenuto; al contrario ne è parte integrante. C’è una speciale grazia dello Spirito quando i fedeli si ritrovano nel suo nome a riflettere sui temi della vita cristiana. La scelta del Papa di offrire subito alle Chiese locali le risoluzioni dell’ottobre scorso significa due cose. Anzitutto l’indispensabile recezione di quanto è stato deciso: c’è già quindi una solida base di avvio. E poi si chiede ancora un’ulteriore riflessione sulle linee già tracciate. È ovvio pertanto che si prosegua su quanto già tracciato. Il dibattito, le riflessioni sono importanti sia per allargare i temi sia per allargare il consenso».

Al recente ricevimento per l’anniversario dei «Patti Lateranensi», conversando con i giornalisti, il prefetto della Dottrina della Fede, Gerhard Ludwig Müller ha ribadito che non ci si può aspettare dal Sinodo stravolgimenti della fede perché «non siamo padroni della dottrina», mentre il cardinale Lorenzo Baldisseri ha sottolineato la necessità di consentire alla discussione sinodale di sviluppare tutte le sue potenzialità.

Secondo lei sono eccessive le aspettative create nell’opinione pubblica attorno all’Assise sulla famiglia?

Non ero presente al ricevimento di cui lei parla. Ma è evidente che se per un verso non si può “stravolgere la dottrina”, per l’altro è sempre esistita nella Chiesa – che non è un museo, ma un corpo vivo -, quel che viene chiamato il “progresso del dogma”, ossia l’approfondimento, l’allargamento della dottrina. San Giovanni XXIII, con grande sapienza pastorale, a chi gli rimproverava alcune aperture, rispondeva: “Non è il Vangelo che cambia, siamo noi a comprenderlo meglio”. Il Sinodo, in tutto il suo procedere e quindi comprese anche le attese e le speranze dei fedeli e anche di tutti gli uomini, è esattamente proprio questo impegno a riproporre la dottrina di sempre con un linguaggio che sia comprensibile agli uomini e alle donne del nostro tempo. È l’affascinante e arduo cammino della Chiesa nel corso del tempo».

Non si ricorda da molto tempo una così intensa partecipazione dei fedeli al dibattito nella Chiesa. È per questo che il Papa ha dedicato due Sinodi alla Famiglia?

«Per questo penso che siamo in un momento provvidenziale della storia della Chiesa. Un vero e proprio “kairòs”. E sono convinto che la crisi che stiamo vivendo, anche nel versante della famiglia, può essere una crisi di crescita. Dipende da noi, ovviamente. Si tratta, infatti, di favorire modelli rinnovati di famiglia: ossia una famiglia più consapevole di sé, più rispettosa del suo legame con l’ambiente circostante, più attenta alla qualità dei rapporti interni, più interessata e capace di vivere con altre famiglie. Potremmo dire: se da una parte c’è meno famiglia, in senso quantitativo, dall’altra c’è bisogno di più famiglia, in senso qualitativo. Del resto nessun’altra via è stata trovata per la piena umanizzazione di coloro che nascono alla vita. C’è da essere molto più cauti nell’indebolire questa unità fondamentale che resta non solo l’architrave della vita sociale, ma che può evitare le derive disumane di una società iper-tecnica e iper-individualista. La famiglia rimane –potremmo dire anche grazie ai suoi difetti e limiti – il luogo della vita, del mistero dell’essere, della prova e della storia. La sua unicità la rende un incredibile e insostituibile patrimonio dell’umanità».

Giacomo Galeazzi                 “La Stampa-Vatican Insider”,         3 marzo 2015

http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/sino-famiglia-39476

Come interpretare il consenso degli sposi?

Forse non sarà sfuggito a molti: la parola “consenso” nel Documento preparatorio al Sinodo appariva solo una volta nel paragrafo dedicato a “L’insegnamento della Chiesa sulla famiglia”, seguendo così, nel numero di volte in cui la parola viene citata, la costituzione Gaudium et spes, documento conciliare in cui il lemma compare come esemplificazione e traduzione giuridica della categoria “alleanza dei coniugi” («vale a dire l’irrevocabile consenso personale»; GS, 48; testo a cui fa riferimento immediato il Codice di diritto canonico). Negli attuali Lineamenta il lemma in questione è sparito: sembra sostituito, con linguaggio meno tecnico, da una circonlocuzione che appare al n. 21, in cui si legge al posto di “consenso” un più dinamico “vicendevole impegno”. Forse, in modo consapevolmente più tecnico, la parola “consenso” viene poi sostituita da “vincolo nuziale” che appare al n. 24.

            In ogni caso i Lineamenta sembrano rimandare a una mens attenta più alle dinamiche della coppia, del matrimonio e della famiglia che al suo puntuale momento genetico giuridico-sacramentale: d’altra parte lo stile e le preoccupazioni di questo momento del Sinodo sono di carattere prevalentemente pastorale nonostante vi siano finalità, cum Petro et sub Petro, di far rispettare e consolidare la disciplina ecclesiastica (cf. CIC, can. 342).

            Nasce però una domanda: la decisione di non parlare di “consenso” nei Lineamenta è solo una questione di stile pastorale o una tendenza a valorizzare l’intero momento dinamico in cui nasce il matrimonio? La seconda soluzione sembra da preferire.

            Invero la tendenza di valorizzare l’essenza dinamica del consenso matrimoniale, in qualche modo, è già presente nella riflessione giurisprudenziale che ha superato la distinzione netta tra matrimonio in fieri e matrimonio de facto: il primo si riferisce al momento della celebrazione, il secondo alla sua realizzazione storica.            Se dovessimo approcciarci al matrimonio attraverso il solo testo (e la sola mentalità) del Codice di diritto canonico non potremmo non costatare che, schematicamente, le volontà degli sposi confluiscono in un consenso che rimane sufficiente e necessario al fine d’instaurare il “consortium totius vitæ” (CIC can. 1055, §1; 1057, §1): questo “consenso”, come è noto, rimane il momento sintetico su cui indagare lì dove sia presentata un’accusa di nullità di matrimonio dalle parti.

            In caso di “patologia” matrimoniale (meglio sarebbe parlare di “ferita matrimoniale”) al diritto sostanziale s’accompagna il diritto processuale e la prassi giurisprudenziale. Come da prassi, l’istruttoria per le cause di nullità matrimoniale deve badare alle dichiarazioni delle parti (soprattutto quelle extragiudiziali espresse in tempo non sospetto), a quelle dei testi (degni di fede), alle cause della possibile simulazione e, infine, alle “circumstantiæ” antecedenti, concomitanti e susseguenti la celebrazione del matrimonio. Proprio queste ultime aiutano non poco a cogliere quanto il “vincolo nuziale”, seppure possa essere necessariamente e giuridicamente individuato in un “atto puntuale” (quello del “consenso” stricto sensu, appunto) sia il frutto e la conseguenza di relazioni e affetti che appartengono molto più alle dilatate dinamiche affettive e volitive (mai separabili), personali e di coppia, che agli atti, intenzionali e/o umani, considerati nella loro “puntualità”.

            Per prassi processuale, un tribunale, al fine di raggiungere la “certezza morale” necessaria e sufficiente per emettere una sentenza, deve tener conto delle “circostanze” (immediate, prossime ma anche remote) in cui la volontà consensuale si è sviluppata o meno, e con la quale si è pervenuti alla celebrazione: contingenze che costituiscono appunto quelle “circumstantiæ antecedentes et concomitantes” attraverso le quali meglio comprendere l’intima volontà del o dei contraenti. A queste vanno aggiunte quelle linee comportamentali che susseguono in un tempo non molto limitato la celebrazione del matrimonio e che costituiscono le “circumstantiæ subsequentes” in cui si estendono e/o si realizzano le inclinazioni e le decisioni già presenti al momento del “consenso”.

            Le “circumstantiæ“, secondo la consolidata giurisprudenza rotale, sono delineate nella “narrazione dei fatti” che emergono dagli atti (vale a dire dichiarazioni, testimonianze, prove, ammennicoli…) che possono dare più forza e credibilità alla tesi per la quale è manifesta la presenza della volontà (o meno) di una causa simulandi superiore a quella contrahendi. L’analisi delle “circostanze” non è solo indicativa, ma fa parte di un insieme di indicazioni necessarie per comprendere l’intenzione intima con cui i possibili simulatori hanno celebrato il matrimonio.

            Fuori dagli schemi processuali tutto questo può indicarci altro. Sembra che una visione d’insieme, che tenga conto del diritto sostanziale (minimale ed essenziale) e della prassi giudiziale (necessaria e non trascurabile), non possa non evidenziare la “dinamicità dell’evento e dell’esperienza del consenso”: tale momento dinamico è già tenuto in considerazione dalla giurisprudenza. Non è fuori luogo sottolineare che essa presenta una mentalità attenta alla dinamica della coppia proprio attraverso la necessità di considerare le “circostanze antecedenti, concomitanti e susseguenti” quali momenti dinamici in cui nasce e si fonda il consenso. In altre parole, se il diritto sostanziale (ex natura sua) bada e si concentra sul “momento sintetico” del consenso matrimoniale, la prassi processuale ricorda che non si può non ricorrere ai “momenti dinamici” della volontà consensuale.

            È pur vero che proprio in questa relazione sintetico-dinamica del vincolo matrimoniale si gioca una delle questioni fondamentali che interessano il dibattito attuale. D’altra parte è forse indispensabile ormai che la stessa riflessione giuridica badi al carattere “dinamico” del consenso matrimoniale senza rifugiarsi dietro categorie che vedono il consenso matrimoniale solo nella sua legale (e romana) indole “puntuale”.

            Quale volontà umana nasce e si sviluppa in un solo momento della storia? Appare dalla prassi processuale che già la giurisprudenza sa dare valore all’indagine esistenziale e dinamica attraverso la quale leggere e ricercare l’atto positivo di volontà il quale, per quanto possa essere espresso puntualmente in un atto rituale “simbolico-sintetico”, esprime una realtà profondamente “storico-dinamica”. Non a caso la giurisprudenza coglie la genesi e lo sviluppo dell’azione rituale (quale è la celebrazione del matrimonio) che il solo diritto sostanziale può anche tralasciare nella sua formulazione, ma non (più) nella sua interpretazione. L’azione rituale coniuga le “storie” della promessa divina e delle volontà dei nubendi i quali fanno esperienza della loro comunione di vita: storie (dinamiche) non riferibili alla sola celebrazione intesa come atto giuridico (e sintetico).

            Se è vero tutto questo, si possono anche prevedere sviluppi dottrinali a partire dalla comprensione “dinamica” del consenso matrimoniale? È possibile per il diritto sostanziale produrre un concetto di “consenso” non come atto puntuale e ricordare che esso ha valore dinamico-esistenziale sia per il singolo che per la coppia?

            Forse alcune indicazioni del magistero, il linguaggio adottato per ora dal Sinodo, la giurisprudenza e diverse riflessioni, pendono verso una risposta affermativa; va riconosciuto tuttavia che non è per niente facile e scontato prevedere quali possano essere le soluzioni o le ricadute giuridiche. L’impressione netta però è che, se si rimane ancorati al solo momento genetico-puntuale del consenso matrimoniale, l’interpretazione dei canoni relativi al matrimonio non vedrà sviluppi, né saranno proposti nuovi paradigmi giuridici attraverso i quali “tradurre” la realtà consensuale del matrimonio: si ripeteranno così modelli giuridicamente stabili e pastoralmente sterili che produrranno ancora una divisione esclusivista tra “consensi puri”, centrali ed idealizzati, e “consensi disattesi”, marginali ed emarginati.

Non è fuori luogo credere però che la canonistica sia alquanto matura da poter produrre, in un futuro non remoto e sotto le indicazioni magisteriali, un concetto giuridico di “consenso” attento all’intera storia dei nubendi che sappia cogliere e accogliere la loro possibile “alleanza coniugale” in tutta la propria (esistenzialmente radicale ed a volte drammatica) dinamicità.

Umberto R. Del Giudice, teologo, canonista, liturgista                     2 marzo 2015

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L’indissolubilità non si discute. Né la misericordia.

Nel suo ultimo libro Tout amour véritable est indissoluble (Cerf, Parigi 2015, pp. 112, € 9), il vescovo di Orano (Algeria), mons. Jean-Paul Vesco afferma che la Chiesa può cambiare la disciplina sui divorziati risposati senza rimettere in causa la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio, ma, al contrario, per riconoscergli un posto d’onore. Pubblichiamo l’intervista apparsa su La Croix a mons. Vesco il 2 marzo 2015.    E a seguire la traduzione di finesettimana.org. (…)

Perché scrivere un libro sui divorziati risposati?

“La disciplina della Chiesa nei confronti dei divorziati risposati mi ferisce e, a dire il vero, mi ripugna da tempo a causa dell’inutile violenza che fa subire alle persone coinvolte, senza nessuna distinzione riguardo alla loro situazione individuale. Soffro anche per il male che questa disposizione procura all’immagine della Chiesa, perché è come una contro-testimonianza. Per me non si tratta di rimettere in discussione l’indissolubilità del matrimonio sacramentale. Quest’ultimo è la più alta realizzazione del progetto di Dio per l’uomo e la donna.

Credo tuttavia che la dottrina classica sul matrimonio autorizzi un’altra disciplina in caso di seconde nozze. L’attuale, che priva coloro che si risposano del sacramento della riconciliazione e dell’eucaristia, non è rispettata quasi da nessuno. Conosco pochissimi genitori, i cui figli hanno divorziato, che pregano perché non si risposino. Alcune persone, per fedeltà al primo “sì” che hanno pronunciato, decidono di non sposarsi. È un’ottima cosa che la Chiesa incoraggi la scelta del celibato perché rappresenta un segno magnifico dell’indissolubilità dell’amore. Ma è una vocazione personale e non può essere la via unica imposta dall’esterno.

Entrare in una nuova unione dopo il fallimento di un primo matrimonio, non significa rinunciare all’appello alla santità di ogni battezzato. Non si possono chiudere tutte le porte dopo un primo matrimonio, a rischio di assolutizzare, anzi di ideologizzare l’indissolubilità del matrimonio. In nome dell’indissolubilità, la Chiesa non ha il potere di chiedere di separarsi a persone che hanno stretto una seconda unione fedele.”

            -Ma questo non rischia di scoraggiare tutti coloro che cercano di restare fedeli alla loro prima unione?

“La Chiesa riconosce, nel n. 83 di Familiaris consortio, che un matrimonio può fallire, che è meglio talvolta rompere un’unione e che si può essere innocenti in questa rottura. Dice anche che è opportuno distinguere le responsabilità ma non trae le conseguenze da queste distinzioni. E assimila ad un adulterio qualsiasi altra relazione dopo il divorzio. Per me, queste parole sono terribili. Una dottrina vera non può entrare in contraddizione con la verità delle persone”.

Prendendo questa posizione tra i due Sinodi sulla famiglia, non teme di aumentare la confusione e di focalizzare il dibattito solo sul problema dei divorziati risposati?

“In realtà, questo libro non avrebbe mai dovuto essere scritto perché è da tempo che la Chiesa non dovrebbe più trattare da adultere persone che sono fedeli da anni ad una seconda unione, in nome di Cristo. I divorziati risposati non dovrebbero più essere un argomento per il Sinodo, che, effettivamente, ha molti altri temi importanti da affrontare. Trattiamolo rapidamente e passiamo al resto”.

            Come vescovo, non ha paura di partecipare ad una forma di opposizione nella Chiesa?

Quello di cui ho paura, è di essere strumentalizzato da coloro che giudicano la Chiesa retrograda. Io sono totalmente inserito nella Chiesa. Quello che mi ripugna è vederla rovinata, presa di mira su questo problema. Mi situo nel dibattito aperto dallo stesso papa Francesco con l’invio di un questionario a tutti i battezzati. Per vivere la sinodalità, offro elementi al dibattito. Il papa fa delle domande, io rispondo.

            Che cosa si aspetta dal prossimo Sinodo?

“Vorrei che la Chiesa potesse dare ai ministri della riconciliazione l’autorizzazione di permettere a certe persone di affrontare il loro passato, di considerare le ragioni della rottura, di esaminare la loro responsabilità, per poter chiedere perdono per questa rottura. Non un diritto al perdono, ma un diritto a poter chiedere perdono”.

            Ma cambiando la disciplina, non viene rimessa in discussione la dottrina della Chiesa?

“Nessuno rimette in discussione la dottrina dell’indissolubilità. Le persone che soffrono per il fatto di non poter accedere alla comunione, ne soffrono proprio perché ci credono. Ma l’indissolubilità non può essere ridotta al matrimonio sacramentale. Il sacramento è una consacrazione dell’indissolubilità di un amore vero tra l’uomo e la donna. Questo amore è il segno di una realtà più alta, ed è infinitamente forte e fragile. Che si caratterizzi questo segno dicendo che ci si sposa una sola volta, benissimo, se però non si permette l’accesso al sacramento della riconciliazione, allora è una dottrina che diventa opprimente e ingiusta. Invece io credo che sia giusta.

Quindi è il nostro modo di attuarla che non lo è. Credo anche che si possa cambiare la disciplina per essere più aderenti alla dottrina. Se qualche cosa, nelle mie affermazioni, metterà in gioco l’essenza della fede, ritratterò e chiederò perdono. Ma che me lo si spieghi, perché oggi non lo capisco “I divorziati risposati non dovrebbero più essere un problema per la Chiesa”

intervista di Bruno Bouvet e Céline Hoyeau in “La Croix” del 2 marzo 2015

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Un arcivescovo africano propone un’“audace” sfida per il Sinodo sulla famiglia.

L’arcivescovo Charles Palmer-Buckle prende in considerazione nuovi modi di intendere l’uso delle “chiavi del potere” di San Pietro. Nella seguente intervista ad ampio raggio, l’arcivescovo Charles G. Palmer-Buckle di Accra, Ghana, suggerisce che il Sinodo del prossimo ottobre potrebbe valutare la possibilità che “il potere delle chiavi” (Mt 16,19) venga usato per “slegare” coloro che hanno divorziato e si sono risposati civilmente senza un decreto di annullamento. Definisce “audace” il suo pensiero su questo tema, indicando numerosi esempi di Gesù che ha esteso la misericordia agli emarginati dalla società. Si chiede inoltre se i figli e le figlie della Chiesa non abbiano qualche responsabilità per la veemenza della lobby gay a causa dei loro atteggiamenti disumanizzanti.

I vescovi del Ghana hanno scelto l’arcivescovo Palmer-Buckle, 64 anni, per partecipare al Sinodo dei vescovi che si riunirà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre 2015. Papa Francesco ha confermato la sua elezione in gennaio. L’arcivescovo Palmer-Buckle è anche il vescovo responsabile per la famiglia nella Conferenza episcopale cattolica del Ghana, e tesoriere per il Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar (SECAM), l’assemblea dei vescovi cattolici del continente africano.

La nostra intervista con l’arcivescovo Palmer-Buckle ha avuto luogo il 5 febbraio dopo una riunione del Comitato permanente del SECAM a Roma.

Eccellenza, che cosa è importante per l’Africa nel Sinodo?

L’importante per l’Africa è che la Chiesa si esprima in modo chiaro su ciò che costituisce la dottrina antica e moderna della Chiesa sul matrimonio, cioè che il matrimonio è un’unione tra uomo e donna. Ciò che ci aspettiamo davvero è sentire una presa di posizione chiara della Chiesa riguardo a ciò che è e rimane la dottrina sul santo matrimonio: un’unione tra uomo e donna, tra un uomo e una donna, per l’aiuto reciproco e per la procreazione. Questo è ciò che ci aspettiamo di sentire, perché ci sono troppe voci contrastanti, non necessariamente dalla Chiesa – ma sfortunatamente dal mondo occidentale – che stanno cercando di sovrastare la voce di Dio, la voce della Chiesa. Questa è la prima cosa.

[In Africa] molta della nostra gente prima era coinvolta in matrimoni poligamici. Ma per la nostra gente, il matrimonio è sempre stato tra maschio e femmina, tra uomo e donna. Anche con l’estensione di un uomo e delle donne, o in rari casi, perfino tra una donna e degli uomini. Ma poiché il cristianesimo non lo accetta, la maggior parte della nostra gente ha cercato con forza di vivere secondo i dettami di Gesù Cristo.

In Matteo 19, 1-6 Gesù dice: “Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne… Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. Questo è quanto ci aspettiamo di sentire chiaramente enunciato dalla Chiesa.

Ha qualche dubbio sul fatto che la dottrina della Chiesa sul matrimonio sarà enunciata chiaramente al Sinodo in ottobre?

Non ho assolutamente nessun dubbio. La mia preoccupazione è che a molti piace fare della “voce dei media”, la “voce della Chiesa”. È la Chiesa che deve pronunciarsi su questo. Il primo Sinodo straordinario era pensato per portare alla ribalta i problemi relativi al matrimonio oggi – problemi riguardanti sia le persone nella Chiesa che al di fuori della Chiesa – e chiedere quali dovessero essere le nostre preoccupazioni riguardo al matrimonio: riguardo alle persone sposate, riguardo a persone che si sono sposate e poi si sono lasciate, riguardo alle persone che si sono risposate, e anche pensare alle nuove forme di unione che si stanno imponendo all’umanità col nome di matrimonio.

Il Sinodo straordinario era effettivamente solo per dire: questo è lo status questionis. Che cosa fa la Chiesa di fronte a questo? Che cosa facciamo con questo? Come viviamo in questo tipo di mondo senza essere di questo tipo di mondo? Come viviamo in questo mondo e portiamo l’insegnamento e la salvezza di Cristo alle persone? Questo era l’oggetto del primo Sinodo straordinario.

Lo stesso Santo Padre ha messo insieme una sintesi molto bella. In buona sostanza, era: nessuno deve impedire a chiunque altro di dire ciò che pensa sulla situazione attuale del matrimonio, della famiglia, ecc. Nessuno deve soffocare nessuno. Dobbiamo ascoltarci reciprocamente e dobbiamo riflettere su quanto detto e cercare di vedere ciò che lo Spirito Santo ci dice su come accompagnare verso Cristo le persone che si trovano in qualsiasi forma di matrimonio. Questa è la preoccupazione maggiore di papa Francesco: come li portiamo a Cristo, chiunque essi siano, in qualsiasi contesto si trovino. Penso che questo fosse un bellissimo messaggio.

Che cosa intende con “qualsiasi forma di matrimonio”?

Prenda l’Africa. Ci sono persone in relazioni poligamiche, in cui sono state coinvolte prima di diventare cristiani. La loro famiglia doveva fare una scelta: abbandonare una donna o due donne con tutti i loro figli, senza ferire profondamente i figli, senza ferire profondamente le mogli. Quindi è un problema.

Come battezzo dei bambini nati in matrimoni poligamici? Che cosa insegno loro? Se dico loro: “Il vostro papà deve abbandonare la vostra mamma”, questo non ferirà profondamente i bambini, dal punto di vista emotivo, e anche spirituale, per il resto della loro vita, al punto che potrebbero perfino ritenere che la Chiesa è cattiva perché ha distrutto la loro famiglia?

Posso dirvi con certezza che ci sono matrimoni poligamici dove sareste stupiti per l’armonia che esiste tra il marito e le sue diverse mogli, tra le diverse mogli e tra i loro figli. È sorprendente. Ci sono molti, molti altri casi in cui c’è tanta sofferenza e scontro tra le diverse mogli, tra i diversi figli, e questi devono essere messi in luce. Come aiutiamo tutte le persone coinvolte a guardare a Cristo, e a ciò a cui Cristi le invita?

La Lettera agli Ebrei dice: “Guardiamo a Cristo e ci sforziamo di avvicinarci a lui”. Quindi, come li aiuto a guardare a Cristo? E come li accompagno in qualsiasi circostanza in cui si trovano? In Africa – è il contesto di cui mi occupo – non chiuderò gli occhi di fronte al fatto che ci sono casi in Africa di omosessuali, di persone con tendenze omosessuali, di persone con tendenze lesbiche.

L’Africa è sempre stata contraria a questo, perché abbiamo sempre considerato il matrimonio come qualcosa che contribuisse al benessere della società, non necessariamente solo al benessere degli individui. Così in un certo senso dobbiamo dire che chiunque avesse una certa tendenza non era guardato benevolmente. In effetti, ci sono stati casi in cui i loro diritti umani sono stati violati. La Chiesa ci sta chiamando a comprendere questo. Che abbia tendenze omosessuali o eterosessuali, ogni persona è creata ad immagine e somiglianza di Dio, e quell’immagine e somiglianza di Dio è ciò che dobbiamo proteggere. Questo è ciò che dobbiamo difendere. E questo è il motivo per cui dobbiamo far sì che l’individuo ascolti ciò che Dio dice sul suo stato. E io penso che questa sia la bellezza di ciò che la Chiesa ci insegna.

Così questo intermezzo tra il Sinodo straordinario e il Sinodo ordinario ci offre un periodo di tempo, come vediamo dai Lineamenta, per ascoltare, per pregare e per discernere. Quando ci incontreremo in ottobre, credo che affermeremo ciò che la Chiesa ha sempre insegnato. Non lo annacqueremo. Ma sarà affermato in un modo per cui non escluderà nessuno, in nessun modo, dal cammino e dalla via verso Cristo, che è la pienezza della nostra perfezione.

In Occidente, la lobby gay è molto forte e ha molto potere nei media. Molte persone sono perciò preoccupate che, se la lingua è troppo disinvolta, il Sinodo sarà un’occasione in cui alcuni useranno un linguaggio vago per portare avanti idee che sono contrarie al Vangelo. Ad esempio la parola “accogliere” è una parola che è stata usata molto nel Sinodo straordinario lo scorso ottobre. La parola, in certi casi, è stata “dirottata” per far apparire come se la Chiesa si stesse avviando ad approvare le relazioni omosessuali. Che cosa devono dire i vescovi il prossimo ottobre per comunicare sia all’Africa sia all’Occidente dove si pone esattamente la Chiesa?

Sa, se c’è qualcosa che trovo magnifica in papa Francesco, è come ci richiama al problema: come agirebbe Cristo in questa circostanza? E penso che uno dei momenti di più profondo rispetto che ho provato per lui è stato quando stava tornando da Rio de Janeiro e veniva intervistato da giornalisti che desideravano sapere che cosa il papa pensasse delle lesbiche e dei gay, e lui ha detto: “Se un gay cerca Cristo, chi sono io per condannare quella persona?” Penso che il papa abbia assunto l’atteggiamento di Gesù Cristo. Ad esempio, di fronte alla donna che era stata colta in adulterio, le persone che erano là volevano lapidarla a morte. E che cosa ha detto Gesù? “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. La Bibbia ci dice: “se ne andarono uno ad uno”. Ora, se ricorda la domanda che Gesù ha posto alla donna: “Donna, qualcuno ti ha condannata?” La donna risponde: “Nessuno”. Lui dice: “Neanch’io ti condanno. Va e non peccare più”.

La bellezza di questo, ciò che mi piace in questo, è che Gesù innanzitutto ha pensato di dover salvare questa donna e la sua dignità che veniva da Dio e il dono della vita che Dio le aveva dato. Dopo averla salvata e averle fatto capire che Dio la ama, le dice: ora va e ripara ciò che c’è tra te e Dio. Lo trovo bellissimo.

Direi che questo non avviene solo nel caso della donna colta in adulterio, ma anche nel modo in cui Gesù si relaziona con i lebbrosi. Quando il lebbroso arriva e dice: “Signore, se vuoi, puoi purificarmi”, Gesù dice: “Sì, lo voglio”. Tocca il lebbroso e dice: “Sii purificato”. Perché Gesù ha toccato il lebbroso? Toccare un lebbroso era contro la legge ebraica. Ha portato il lebbroso a capire: “Il fatto che tu abbia questa malattia non significa che tu sia meno figlio di Dio. È anche per te che sono venuto”.

Vorrei usare un altro esempio, non solo esempi negativi. Prendiamo la donna che era venuta e stava piangendo ai piedi di Gesù. La cosa divertente è che si dice che tutti sapevano che era una peccatrice. Di quale peccato, non ci viene detto, ma era conosciuta come peccatrice. Le persone che avevano invitato Gesù stavano già condannando la donna nella loro mente, e lui dice: “Simone, vedi questa donna? Sono venuto a casa tua e non mi hai nemmeno lavato il capo, e lei non ha cessato di lavarmi i piedi con le sue lacrime, perciò i suoi molti peccati – non importa quanti siano, non importa quali siano – le sono perdonati, perché ha molto amato”.

Così, vede, Gesù ha un modo bellissimo di confermare in ogni singola persona: “Sei un figlio di Dio, sei unico, e io ti amo per quello che sei, indipendentemente da ciò che chiunque pensi di te o di che cosa sei diventato. Comunque, continua a guardare a Dio, vai avanti”.

Quindi, non incolpo i media. Molto probabilmente abbiamo fatto soffrire le persone per così tanto tempo proprio solo perché non sono “come noi”. Le abbiamo fatte soffrire, le abbiamo discriminate, le abbiamo ostracizzate. Quindi se oggi la lobby gay protesta ad alta voce, è perché noi le abbiamo quasi disumanizzate.

Potrebbe chiarire ulteriormente questo discorso?

Ciò che il papa sta facendo venire alla luce, è che non abbiano nessun diritto di disumanizzare nessuno, che sia per il colore della pelle, per il credo, o per l’orientamento sessuale. Dovremmo abbracciarli, e dopo fare precisazioni, camminare con loro verso ciò che il papa crede sia una certa voce interiore che nessuno può soffocare, che neppure i media possono soffocare. Coloro che sono nella lobby gay, per una ragione o per un’altra, sono stati obbligati da noi, i cosiddetti “buoni”, a reprimere una certa voce in se stessi che in definitiva, penso, ha fatto pensar loro di non essere a posto al 100%. Noi abbiamo contribuito a questo. Abbiamo anche soffocato in noi la voce che dice: tutti sono figli di Dio, e dobbiamo accoglierli tutti. Non abbiamo il diritto di lapidare nessuno, e non abbiamo il diritto di ostracizzare nessuno. Dobbiamo accoglierli.

Alcuni lettori chiedono: che cosa si intende con “accogliere”, nel caso di coppie di divorziati e risposati, o in altri casi? Il cardinal Kasper ha proposto che, in alcuni casi, coloro che sono divorziati e risposati civilmente – ma non hanno avuto l’annullamento – dovrebbero essere ammessi a ricevere la comunione dopo un percorso di penitenza. Questo è un modo di accogliere le persone. Un altro modo di accoglierle è dire: “Sì, vieni in Chiesa, sii parte della comunità, ma ci sono limiti per quanto riguarda ricevere la comunione”. Che cosa significa “accogliere”, a suo modo di vedere?

Vorrei usare un parametro molto diverso. Prendiamo l’Europa. Prendiamo l’America. Ciò che sta avvenendo ora, ad esempio, in America, è che Obama dice che ci sono così tante persone che sono arrivate in America illegalmente, che non si possono più mandare indietro nel loro paese. Così, vediamo di legalizzare il loro status, in modo che possano contribuire generosamente e degnamente al bene della nazione. Ci sono molti americani che sono contrari. Dico bene?

Sì, molti americani pensano che non sia quello il motivo per cui Obama intende legalizzare le

persone immigrate negli Stati Uniti. Lo vedono come un tentativo di cambiare il tipo di elettorato.

Vede, cercare di pensare al posto suo [di Obama] è sempre il problema. Quello che lui ha detto è:

“Se voi foste in quella posizione, come vorreste che noi vi trattassimo?” Se veniamo al problema delle persone che arrivano coi gommoni a Lampedusa, guardate all’atteggiamento qui in Europa. Quello che penso è che il papa sta cercando di far capire a tutti noi, specialmente in riferimento ai divorziati e risposati nella Chiesa, è che lui non ha detto “sì” o “no”. Ha detto “pensiamo”. La comunione è una medicina per i malati. Non è un premio per i perfetti.

Ma riguardo alla dottrina della Chiesa cattolica, indipendentemente da quello che può essere il peccato, uno deve essere in stato di grazia per ricevere l’Eucaristia (CCC 1415).

Devo ammettere che nel corso dei secoli abbiamo costruito una barriera molto dura in tale ambito. Una volta ho incontrato un pastore protestante. Abbiamo avuto un’ampia discussione. Diceva che, in Matteo 16, Gesù dava il potere delle chiavi a Pietro, dicendo: “Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”. Questo pastore protestante mio amico, riteneva che, per questo, in alcune delle chiese protestanti si crede che Cristo abbia dato loro il potere di sciogliere coloro che si sono legati in certi matrimoni che si rivelano irregolari, difficili, controproducenti, e di permettere a queste persone di vivere una diversa situazione, un altro contesto. Così, vede, è un’interpretazione. Noi abbiamo interpretato nel senso che sì, la Chiesa ha il potere delle chiavi, ma non in questo particolare contesto del matrimonio. Perciò, il matrimonio deve seguire l’intero percorso e essere annullato prima che alla coppia sia permesso di procedere oltre. Penso che prenderemo in considerazione quello che può significare “il potere delle chiavi” in questo contesto.

Come si potrebbe conciliare questo con le parole del Signore: “L’uomo non divida ciò che Dio ha unito”?

È vero. Ciò che Dio ha unito. Infatti, non è “l’uomo non divida”, ma “ciò che Dio ha unito, nessun uomo può dividere”, ed è vero. Ma poi lo stesso Gesù dice: “Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”. Allora, che cosa intendeva con questo? Sono due affermazioni che si contraddicono?

Beh, Eccellenza, non possono contraddirsi, se le ha dette il Signore, poiché Lui è la Verità.

Non possono contraddirsi, quindi dobbiamo scoprire tramite la preghiera che cosa fare. Credo che ogni istituzione come la Chiesa deve avere leggi e regole. Ma leggi e regole sono degli ideali, sono punti d’arrivo. Sono la perfezione a cui aspiriamo. Tuttavia, stiamo camminando, e quando cadiamo dobbiamo essere in grado di rialzarci e andare avanti. E questo è il motivo per cui il papa ci chiede: come aiutiamo le persone, il cui matrimonio è distrutto senza possibilità di essere riparato, a rialzarsi, a prendere la medicina di cui hanno bisogno, e continuare a camminare?

Dobbiamo tenerli in perpetuo in una situazione in cui si sentano colpevoli verso se stessi e verso i figli che hanno avuto in seguito, ecc.? Li aiutiamo in questo modo? Dio non è tutto misericordia? Solo in Dio giustizia e misericordia si incontrano e si abbracciano. Siamo solo i suoi strumenti, quindi credo molto fortemente che dobbiamo essere capaci di dire: “Signore, questa è la situazione, ma la presentiamo a te nella tua grande misericordia, e permetti loro…”. Sarà dura, ma potremmo dover fare così. È audace dire quello che sto dicendo.

intervista di Diane Montagna                       in “www.aleteia.org/en/religion”      25 febbraio 2015

www.aleteia.org/en/religion/article/african-archbishop-lays-down-daring-challenge-for-synod-on-the-family-5848157384605696

traduzione       www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201503/150305palmerbucklemontagna.pdf

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