newsUcipem n. 535 – 1 marzo 2015

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Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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  • notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali ed altri operatori, responsabili dell’A o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.
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  • Le notizie, anche con il contenuto non condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica.
  • La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.                                                                                      intelligenti pauca

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ABORTO                                          A Torino un gesto di indulgenza per chi ha abortito.

ADDEBITO                                       Presupposti.

ADOZIONE INTERNAZIONALE  AI. Bi. sospende il blocco degli incarichi di coppie adottive.

ADOZIONI INTERNAZIONALI    Haiti. Ai.Bi. riaccreditata potranno adottare 17 coppie all’anno.

Moldavia: finalmente operativa la nuova legge.

AFFIDO CONDIVISO                      Si può impedire a genitore la visita al figlio col nuovo partner?

ANONIMATO DELLA MADRE     Rispettare la scelta delle partorienti di non riconoscere il nato.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  Separazione, divorzio: l’eredità e l’assegno di mantenimento.

CENTRO italiano SESSUOLOGIA La costola di Adamo. (Ancona).

CHIESA CATTOLICA                    La posizione di Gesù sul matrimonio. (Alegre).

Occorre una nuova morale sessuale. (Robison).

Metafora nuziale e Bibbia. (Asurmendi)

Preti sposati: nella chiesa latina come in quelle chiese orientali?

CONSULTORI familiari UCIPEM  P. Cupia ad un anno dalla morte. (Fanelli).

DALLA NAVATA                            2° domenica di Quaresima – anno B –1 marzo 2015

EUROPA                                           «Europa, non rassegnarti alle madri in affitto».

FORUM ASS.ni FAMILIARI                       La famiglia conviene. Quali politiche per la famiglia?

Sì all’adozione da parte delle famiglie affidatarie.

FRANCESCO VESCOVO di Roma LaValle e il Papa argentino, venuto a riaprire la questione di Dio

GENITORI                                       Azione per la “reintegrazione” del genitore.

MATRIMONI                                               La famiglia cambia mentre la politica dorme.

MINORI                                            Il cervello dei bambini fuori famiglia

#5buoneragioni. Incontro a Firenze

NULLITÀ DEL MATRIMONIO     Sentenza ecclesiastica bloccata dal limite dell’ordine pubblico.

OMOFILIA                                       Novità che scaldano il cuore»: cattolici lgbt all’udienza del Papa.

                                                           «Posso benedire le armi ma non i gay». Parroco svizzero cacciato

PARLAMENTO        Camera            Giustizia. Accesso dell’adottato alle proprie origini.

                        Senato.            Giustizia. Disciplina delle unioni civili.

SEPARAZIONI E DIVORZI                       con negoziazione assistita: se il P.M. non autorizza l’accordo.

SESSUOLOGIA                                Se Eros diventa un esercizio filosofico. (Mancuso).

                                   La genesi del maschio (Anne-Joëlle Philippart).

SINODO DEI VESCOVI                  “Rendere chiara la specificità del matrimonio cattolico”.

Celibi e nubili, trascurati dal Sinodo sulla famiglia.

VIOLENZA                                      Minori. 400mila vittime di violenza assistita.

Violenza assistita in famiglia: rischi e tutele legali per i minori.

Reato sessuale in danno di figlio minore.

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ABORTO

A Torino un gesto di indulgenza per chi ha abortito

In occasione dell’ostensione della Sindone, l’arcivescovo Cesare Nosiglia ha concesso la possibilità di rimettere la scomunica senza l’onere del ricorso. Le donne che hanno commesso aborto e tutte le persone che l’avranno praticato o incoraggiato potranno ricevere la remissione della scomunica senza l’onere del ricorso, qualora si rechino in pellegrinaggio a Torino, durante l’ostensione straordinaria della Sacra Sindone, prevista dal 19 aprile al 24 giugno prossimo 2015.

            Lo stabilisce un decreto firmato dall’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, che concede la facoltà della remissione a tutti i sacerdoti (sia diocesani o extradiocesani, sia membri di istituti di vita consacrata o di società di vita apostolica, che siano regolarmente abilitati a ricevere le confessioni dei fedeli) per l’intero territorio dell’arcidiocesi di Torino.

            La decisione è stata presa in considerazione del fatto che “nel periodo della ormai prossima Ostensione della Santa Sindone affluiranno nella città di Torino e nell’intero territorio dell’Arcidiocesi moltitudini di fedeli e che questo evento è un tempo di grazia che potrà tradursi in atteggiamenti di conversione, frutti di penitenza e di novità di vita fino a risvegliare molte coscienze”, si legge nel decreto.

            La facoltà dell’assoluzione dalla scomunica derivante dall’aborto procurato, senza l’onere del ricorso entro un mese al Superiore competente o un sacerdote provvisto delle facoltà e di attenersi alle sue decisioni è un segno della “misericordia del Padre nei confronti di chi è pentito di un delitto commesso, senza peraltro sminuire il vigore della legge che impone l’obbligo del ricorso a chi è stato assolto, perché gli era gravoso rimanere in stato di peccato grave”.

            Nel decreto, l’arcivescovo di Torino raccomanda ai sacerdoti delegati di “anzitutto consolare chi è angosciato ricordando che, qualunque cosa il cuore rimproveri, Dio è più grande del cuore dell’uomo e conosce ogni cosa”. Dopo aver “istruito i penitenti circa la gravità di questo peccato”, i confessori dovranno verificare se “sono realmente incorsi nella censura” e, nel caso, imporre “penitenze sacramentali tali da favorire il più possibile una stabile conversione”.

            A titolo di esempio, monsignor Nosiglia suggerisce “implorare l’indispensabile aiuto di Dio con qualche impegno di preghiera, quale potrebbe essere la partecipazione alla Messa – oltre che festiva – anche in un giorno feriale per un periodo di tempo da determinarsi volta per volta, secondo le concrete possibilità del penitente”.

            Il presule propone infine il sostegno a un “centro di accoglienza alla vita”, oppure “opere che mirano al bene dei piccoli, senza escludere all’occorrenza di offrire – a quanti fossero intenzionati a ricorrere all’aborto – sia il consiglio retto per affrontare una maternità non desiderata sia anche, quando possibile, l’aiuto materiale”. In tal modo “non si intende escludere che la soddisfazione possa limitarsi alla preghiera, ma piuttosto sottolineare che l’indirizzo della Chiesa è per una penitenza più direttamente correttiva del disordine compiuto e quindi costruttiva del bene corrispondente”.

Luca Marcolivio        zenit.org         23 febbraio 2015

www.zenit.org/it/articles/a-torino-un-gesto-di-indulgenza-per-chi-ha-abortito

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ADDEBITO

Presupposti.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 2576, 10 febbraio 2015.

            In tema di separazione personale, l’addebito presuppone non solo una violazione degli obblighi matrimoniali, ma anche un rapporto di causalità con l’intollerabilità della convivenza.

Precisa la sentenza impugnata, con motivazione adeguata e non illogica, che tanto l’abbandono della casa coniugale che la violazione dell’obbligo di fedeltà da parte del marito, erano palesi espressioni di una grave crisi familiare, una totale assenza di comunione di vita, in relazione alla quale i coniugi avevano sottoscritto un accordo per regolare una separazione (ancora) di fatto: un’insanabile frattura nel rapporto coniugale, una situazione di palese intollerabilità della convivenza.

avv. Renato D’Isa      25 febbraio 2015                               testo

http://renatodisa.com/2015/02/25/corte-di-cassazione-sezione-vi-ordinanza-10-febbraio-2015-n-2576-in-tema-di-separazione-personale-laddebito-presuppone-non-solo-una-violazione-degli-obblighi-matrimoniali-ma-anche-un-rapporto

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Amici dei Bambini sospende il blocco degli incarichi di coppie adottive.

Da lunedì 23 febbraio 2015, Amici dei Bambini sospende il blocco degli incarichi per le adozioni internazionali: saranno pertanto accolte, con le nuove modalità di formazione previste, le prime 100 nuove coppie.

Era ottobre 2014 quando, constatata la situazione di estrema precarietà legislativa e istituzionale in cui versava la realtà delle adozioni internazionali, Ai.Bi. decise di sospendere l’accettazione di nuovi mandati. Non si era in grado di assicurare, in quel momento, di poter accompagnare le coppie lungo tutto l’iter adottivo nel modo efficace e sereno richiesto da questo tipo di percorso, già di per se complesso. Una legge troppo vecchia che il Parlamento non pareva intenzionato a riformare, scarsi se non del tutto assenti controlli sulla trasparenza contabile di chi opera in questo settore, una Commissione per le Adozioni Internazionali gestita in modo individualistico anziché collegiale, il completo disinteresse da parte della politica per una realtà come quella, appunto, dell’adozione internazionale non lasciavano molti spiragli di speranza.

In questi mesi, però, riflettendo sulle difficoltà in cui versa il mondo dell’adozione, ci si è resi conto che c’è qualcosa di più importante dei problemi politici e istituzionali che stanno martoriando l’adozione stessa. È il superiore interesse del minore. Il crollo delle adozioni internazionali è sotto gli occhi di tutti. Le proiezioni effettuate per il 2014 parlano di un calo di minori stranieri adottati in Italia addirittura del 30% rispetto al 2013 e del 50% rispetto al 2010. Nel giro di 4 anni si è passati da 4.130 bambini accolti a circa 2mila. Di questo passo l’adozione internazionale scomparirà in poco tempo.

Nonostante questo crollo, però, l’attenzione delle famiglie non è calata nei confronti del tema dell’adozione. Non è passato giorno, infatti, che ad Ai.Bi. non sia arrivata una lettera, una telefonata, una richiesta di informazioni da parte delle coppie per chiedere alla nostra associazione di riprendere ad accettare gli incarichi e di sospendere il blocco deciso a ottobre 2014. Chiunque si è rivolto a noi in questi mesi, ha sottolineato, con notevole preoccupazione, che il crollo delle adozioni sta mettendo in seria difficoltà diversi enti che non riescono a reggere il peso della crisi. Con la conseguenza che le famiglie disposte ad adottare – che, pur diminuite, sono sempre migliaia – molto spesso non sanno a chi rivolgersi per poter coltivare il sogno di accogliere un bambino abbandonato. Molte di esse, inoltre, pur avendo ottenuto l’idoneità per l’adozione, rischiano di vederla decadere, decorso l’anno entro il quale le coppie stesse sono tenute a trovare un ente che accolga il loro incarico.

Gli stessi Paesi di origine di molti minori accolti in Italia, inoltre, hanno chiesto più volte le ragioni della sospensione decisa da Ai.Bi., che per le Autorità Centrali straniere ha sempre rappresentato un punto di riferimento nel panorama italiano dell’adozione. Ad incoraggiare Ai.Bi. a scendere di nuovo in campo ha di certo contribuito anche la consapevolezza che qualcosa, a livello sia civile che politico, si stia finalmente muovendo. Da più parti, infatti, la società civile ha assicurato il sostegno ad Amici dei Bambini nella sua battaglia a favore della legalità e della trasparenza nel mondo delle adozioni. Una delle lotte più importanti che Ai.Bi. sta affrontando in questo momento è quella finalizzata a debellare la piaga dei trasferimenti in nero di denaro contante all’estero ai fini dell’adozione.

Anche la politica, nonostante un governo Renzi rimasto fin’ora del tutto indifferente davanti alla crisi delle adozioni, sembra avviata verso un’importante svolta. Diverse assicurazioni, infatti, sono giunte dal mondo politico circa un prossimo cambiamento di rotta nel sistema dell’adozione internazionale, con la volontà, questa volta, finalmente, di mettere mani a una profonda riforma del settore.

In un contesto così delineato, Amici dei Bambini non poteva più restare a guardare. Da qui la decisione di lanciare una nuova campagna, intitolata #iosonoundono, allo scopo di rilanciare e promuovere l’adozione internazionale. Il primo passo è rappresentato proprio dalla decisione di riprendere ad accettare i mandati da parte degli aspiranti genitori adottivi. Di conseguenza, verranno riattivate anche le attività di formazione, con nuove modalità. Per il momento verranno accolti gli incarichi delle prime 100 coppie che chiederanno ad Ai.Bi. di accompagnarle in questo meraviglioso percorso di accoglienza.

Aibi     23 febbraio 2015                               www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Haiti. Ai.Bi. riaccreditata fino al settembre 2016: potranno adottare 17 coppie all’anno.

            I bambini di Haiti potranno continuare a diventare figli di coppie italiane anche grazie ad Amici dei Bambini. È del 23 febbraio 2015 la notizia del riaccreditamento di Ai.Bi. come ente autorizzato a operare nell’isola caraibica per le adozioni internazionali. Il documento che sancisce il rinnovo dell’autorizzazione porta la firma del direttore generale dell’Istituto del Benessere Sociale e delle Ricerche (Ibesr), Autorità Centrale di Haiti, che impegna Ai.Bi. ad agire “nel superiore interesse del minore e a osservare le diverse disposizioni legislative applicabili in materia d’adozione in Italia e ad Haiti”.

Il riaccreditamento avrà valore biennale, fino al 30 settembre 2016 e permetterà ad Amici dei Bambini di operare secondo le disposizioni previste dal “Memorandum” per le adozioni internazionali nel Paese americano, promulgato nel dicembre 2014. Secondo questo regolamento, sarà possibile depositare un dossier al mese fino al 30 settembre 2016 e 5 dossier aggiuntivi all’anno per l’adozione di bambini “speciali”.

La decisione di rinnovare ad Ai.Bi. l’autorizzazione a lavorare ad Haiti da parte delle autorità di Port au Prince si configura come un riconoscimento della solidità, dell’efficienza e delle potenzialità del nostro ente, presente ad Haiti fin da gennaio 2013. Poco più di un anno dopo, nel marzo 2014, ad Haiti è entrata in vigore la Convenzione dell’Aja che ha rappresentato un punto di arrivo del percorso che ha portato la legislazione del Paese ad adeguare il proprio sistema di protezione e tutela dell’infanzia ai principi dell’Aja. Dirette conseguenze di questa decisione sono state l’assunzione da parte dell’Ibesr del ruolo di Autorità Centrale per le adozioni internazionali e l’emanazione del “Memorandum” che regolamentava l’accoglienza adottiva di minori haitiani.

Le coppie che intendono adottare ad Haiti devono essere sposate oppure convivere in modo stabile e continuativo da almeno 5 anni. L’età minima di almeno uno dei coniugi è di 30 anni e il limite massimo per gli aspiranti genitori di 50 anni.

Due i viaggi necessari nel Paese di origine del futuro figlio. Il primo, di circa 3 settimane, sarà finalizzato alla conoscenza del bambino e a trascorrere un periodo di convivenza di almeno 14 giorni. Il secondo viaggio, invece, servirà per andare a prendere il bambino che sarà affidato alla coppia mentre sarà predisposta la documentazione necessaria per il suo ingresso in Italia.

            Per maggiori info sull’iter per le adozioni internazionali ad Haiti, è possibile telefonare al numero 02.988221 o visitare la pagina dedicata       www.aibi.it/ita/attivita/adozione-internazionale/liste-di-attesa

Aibi     25 febbraio 2015                               www.aibi.it/ita/category/archivio-news

Moldavia: finalmente operativa la nuova legge.

Ai.Bi. riaccreditata. Gli enti autorizzati scendono da 25 a 16. Di metà febbraio 2015, infatti, è la notizia del riaccreditamento di Amici dei Bambini come ente abilitato a operare in Moldavia per l’adozione di bambini orfani o abbandonati da parte di coppie italiane. Un risultato raggiunto grazie allo storico impegno di Ai.Bi. nel Paese ex sovietico ampiamente riconosciuto dal ministero del Lavoro, della Protezione sociale e della Famiglia di Chisinau. A comunicare ad Ai.Bi. il riaccreditamento per un anno è stato lo stesso ministro moldavo in carica al momento della firma del relativo documento, Valentina Buliga, in seguito all’esame del report presentato da Ai.Bi. sulle attività svolte nell’anno precedente: un documento necessario per ottenere il prolungamento dell’accreditamento anche per il 2015. Analoga autorizzazione è stata riservata dal ministero moldavo ad altri 15 enti autorizzati di cui 10 italiani, 3 statunitensi, uno svizzero e uno spagnolo. Nel complesso, comunque, viene ridotto da 25 a 16 il numero di enti autorizzati a operare in Moldavia.

Questi potranno lavorare nell’ambito di un sistema delle adozioni internazionali riformato dalla nuova legge in materia. Una legge varata a maggio 2010 ed entrata in vigore inizialmente a gennaio 2011. Modificata e integrata a dicembre 2012, la nuova versione della norma è entrata in vigore ad aprile 2013 ed è ora effettivamente operativa. La legge, varata dopo 3 anni di chiusura delle adozioni internazionali in Moldavia, è centrata principalmente attorno a due aspetti.

In primo luogo l’istituzione del Consiglio Consultivo per le Adozioni come Autorità Centrale a cui spetta il compito di esaminare il dossier delle coppie straniere e di proporre i relativi abbinamenti.

In secondo luogo, l’introduzione di un iter procedurale diverso per i bambini “speciali” rispetto agli altri. Mentre questi ultimi non dovranno attendere più di 2 anni per essere adottabili a livello internazionale, i bambini “speciali” potranno seguire una corsia “prioritaria” e quindi essere adottati entro 6 mesi dalla definizione del loro status di adottabili. I gruppi di fratelli, inoltre, non potranno essere separati, tranne che in alcuni casi eccezionali.

Per maggiori info sull’iter per le adozioni internazionali in Moldavia (in rumeno Moldova), è possibile telefonare al numero 02.988221 o visitare la pagina dedicata.

 www.aibi.it/ita/attivita/adozione-internazionale/liste-di-attesa

Aibi     24 febbraio 2015                               www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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AFFIDO CONDIVISO

Si può impedire al genitore di visitare il figlio insieme al nuovo partner?

            Se la presenza del nuovo partner del genitore non pregiudica la serenità del minore, il divieto di incontrarlo durante le visite è illegittimo. Non sempre il genitore affidatario del minore può impedire che durante la visita da parte dell’altro genitore sia presente anche il nuovo partner.

            Il divieto per il genitore non affidatario di visitare proprio figlio insieme al nuovo compagno/a non può, infatti, essere considerato legittimo a priori sulla base di una presunta lesione per lo sviluppo psico-fisico del minore [Cass. sent. n. 283 del 9.1.2009]. La presenza del nuovo partner del padre o della madre non è di per sé produttiva di effetti negativi per il minore, neppure quando la nuova relazione è stata proprio il motivo della separazione.

            Può anzi accadere che la conoscenza e frequentazione del nuovo partner, legato al genitore da una relazione affettiva stabile, contribuisca al contrario ad uno sviluppo armonico del minore, permettendogli di affrontare con serenità la nuova situazione familiare. Consentire o meno al genitore di portare con sé il proprio partner durante le visite al figlio dipende unicamente dall’interesse di quest’ultimo.

            Più precisamente il giudice potrà vietare, su richiesta del genitore affidatario, la partecipazione del nuovo partner alle visite solo quando la presenza di una nuova persona nella vita del minore possa compromettere la sua serenità e il suo sviluppo psico-fisico. Si tratta dunque di una valutazione caso per caso che non si fonda sulla pretesa del genitore affidatario “geloso” o sulla presunzione assoluta di lesione del benessere del minore, bensì sull’interesse di quest’ultimo che deve poter subire il minor pregiudizio possibile a causa della disgregazione della sua famiglia d’origine.

La soluzione preferibile sembrerebbe in ogni caso quella di abituare il minore alla nuova “famiglia” e di evitare divieti assoluti che, creando malessere e incomprensioni anche fra gli adulti, potrebbero avere l’effetto scongiurato di allontanare il minore dal genitore non affidatario o comunque di farlo soffrire maggiormente.

            Maria Monteleone     a legge per tutti                      25 febbraio 2015

www.laleggepertutti.it/79896_si-puo-impedire-al-genitore-di-visitare-il-figlio-insieme-al-nuovo-partner

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ANONIMATO DELLA MADRE

Rispettare la scelta delle partorienti di non riconoscere il loro nato.

Presa di posizione del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza -CNCA in merito al dibattito sull’accesso del figlio adottato non riconosciuto alla nascita alle informazioni sulle proprie origini e sulla propria identità.

Il CNCA ha preso posizione in merito al dibattito in corso presso la Commissione Giustizia della Camera del testo base “Disposizioni in materia di accesso del figlio adottato non riconosciuto alla nascita alle informazioni sulle proprie origini e sulla propria identità”.

In particolare, il CNCA esprime “il convincimento che la scelta delle partorienti di poter decidere consapevolmente di non riconoscere il loro nato debba essere in ogni caso rispettata e salvaguardata, così come deve essere tutelato e reso esigibile il diritto alla segretezza del parto che lo Stato ha garantito loro per cento anni al momento del parto.”

Testo completo                                                                                 http://www.cnca.it

www.cnca.it/images/stories/ufficio-stampa/Nota_sul_testo_unificato_identit%C3%A0_madre.pdf

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

                        Separazione, divorzio: l’eredità e l’assegno di mantenimento.

            Ex coniugi: la morte del parente e l’apertura della successione non fa aumentare il contributo alla moglie o ai figli.

            Che succede se, dopo la separazione o il divorzio, uno dei due coniugi beneficia di una consistente eredità? Il discorso è differente a seconda che si tratti del coniuge tenuto a versare il mantenimento o di quello che, invece, lo riceve. Così come è diverso se a ricevere l’assegno sono i figli o l’ex. Vediamo nel dettaglio, dunque, come funziona questo importante passaggio.

Se erede è l’obbligato. Se il coniuge tenuto al versamento dell’assegno di mantenimento eredita un rilevante patrimonio non scatta, per lui, l’aumento del contributo mensile di mantenimento. E questo perché l’eredità non incide sull’ammontare dell’assegno a favore della moglie. A chiarirlo è una recente sentenza del Tribunale di Roma [sent. n. 581/2015] che riprende un’interpretazione già fornita, in passato, dalla Cassazione [Interpretazione dell’articolo 5 della legge 898/1970]. Come noto, l’assegno deve essere rapportato al tenore di vita goduto dai coniugi durante la convivenza matrimoniale: tenore che sarebbe proseguito in caso di continuazione del legame o che “poteva legittimamente o ragionevolmente configurarsi, sulla base delle aspettative maturate nel corso del rapporto”. “Il riferimento alle aspettative del coniuge beneficiario – si legge in sentenza – deve essere ancorato all’attività lavorativa” del coniuge obbligato al versamento e alle relative e ipotizzabili prospettive di crescita professionale e, quindi, anche economiche. Insomma, l’assegno è sensibile solo a quei miglioramenti del tenore di vita che potevano essere previsti già durante il matrimonio in funzione della progressione di carriera lavorativa. In questo, dunque, nulla c’entra l’arrivo di un’eredità, che è invece un evento imprevedibile, sul quale certo la famiglia, quando ancora era unita, non poteva fare affidamento per il futuro. Pertanto, il lascito testamentario non comporta un incremento dell’assegno divorzile, perché privo di collegamento a pregresse situazioni.

            Non è così, invece, per l’assegno di mantenimento dei figli che, a differenza di quello versato all’ex coniuge, va aggiornato in caso di incremento patrimoniale derivante da lasciti ereditari. Infatti, posto che il mantenimento dei figli è un dovere che prescinde dal “tenore di vita” goduto durante il matrimonio, ma è legato in proporzione alle attuali e concrete consistenze reddituali e patrimoniali del genitore, l’eventuale eredità determinerà un aumento dell’assegno in favore della prole.

            Se erede è il beneficiario. Diverso il discorso se l’eredità viene conseguita (non dal coniuge tenuto al versamento, ma) dal coniuge beneficiario del mantenimento: in tal caso quest’ultimo avrebbe un indiscutibile incremento patrimoniale e questa evenienza comporta una riduzione o la cancellazione totale dell’obbligo di contribuzione divorzile. Viene, infatti, meno l’esigenza e la difficoltà economica del beneficiario stesso, che era alla base dell’obbligo di corrispondergli un assegno.

Raffaella Mari                       la legge per tutti         25 febbraio 2015

www.laleggepertutti.it/79840_separazione-divorzio-leredita-e-lassegno-di-mantenimento

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CENTRO ITALIANO DI SESSUOLOGIA

La costola di Adamo.

La Delegazione Regionale Emilia Romagna-Marche organizza il 1 marzo 2015 ad Ancona un convegno dal titolo “La costola di Adamo” e un incontro conviviale.

  • dr Sara Scuppa                                 Maternità responsabile e cambiamento sociale
  • dr Antonella Ciccarelli                     Femminicidio – analisi sociale e percorsi di emancipazione
  • Maria Lampa                                               La dignità non ha sesso
  • dr Giuliano Proietti                           Donna: dal mercato del matrimonio al capitale erotico
  • dr Walter La Gatta                          Donne compagne di vita
  • prof. Lucia Tancredi                         La vita pubblica e privata delle donne

ore 20.30 cena (da prenotare)~

L’evento è aperto al pubblico ed è gratuito: ore 15,45-20 e si svolge all’hotel Europa, via Sentino (zona ospedale) Torrette Ancona.                Prenotazioni ed informazioni:  prenotazioni@psicolinea.it

http://www.cisonline.net/files/amore_relazione_coppia.pdf

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CHIESA CATTOLICA

La posizione di Gesù sul matrimonio.

È degno di attenzione il fatto che, secondo i Vangeli, Gesù parlò poco del matrimonio e della sessualità, mentre la denuncia dei pericoli della ricchezza fu un aspetto fondamentale della sua predicazione, soprattutto nel Vangelo di Luca. Sorprende, quindi, che nel Magistero della Chiesa la proporzione sia inversa e soprattutto fa specie il contrasto nel modo in cui il Magistero affronta la morale sociale e la morale sessuale. In materia di morale sociale, come sottolinea il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 2423), «la dottrina sociale della Chiesa propone principi di riflessione; formula criteri di giudizio, offre orientamenti per l’azione». In tutto ciò che riguarda la morale sessuale, invece, dichiara in modo tassativo ciò che è lecito e ciò che non lo è. Tuttavia, niente nella Bibbia giustifica questa diversità di atteggiamento rispetto ai testi relativi a Gesù nei Vangeli.

            Se si vuole comprendere quale fu l’atteggiamento di Gesù rispetto al matrimonio e, di conseguenza, cosa Gesù si aspettasse dai suoi seguaci, ieri come oggi (cfr. Rom 15,4), mi sembra importante sottolineare che c’è un presupposto fondamentale di cui tener conto quando si legge un testo biblico: i testi non possono mai essere presi alla lettera, sulla base di una lettura fondamentalista, prescindendo dal contesto letterario e socioculturale nel quale furono scritti. Pertanto, i ricordi di Gesù trasmessici dai Vangeli devono essere interpretati adeguatamente, come qualsiasi altro testo, ancor più se antico.

            E ciò implica due cose. In primo luogo, non devono essere letti al di fuori del contesto letterario globale dei Vangeli, poiché «un testo fuori contesto si converte facilmente in un pretesto». Né, in secondo luogo, possono essere letti senza tener presente il contesto storico-sociale e culturale nel quale sono nati, se non vogliamo finire per leggerli a partire dal nostro contesto e dai nostri preconcetti, anziché a partire dalla mentalità biblica.

            La Bibbia non corrisponde a un dettato di Dio, ma è, in quanto parola umana, rivelazione di Dio pienamente incarnata nel contesto culturale nel quale i testi furono scritti. Così evidenziò il Concilio Vaticano II nella Costituzione Dei Verbum. Per questo, una rilettura continua, attraverso questa «biblioteca» che è la Bibbia, dei testi fondamentali che rispondono a un’esperienza profonda di Dio in un momento concreto, è il filo conduttore di cui è intessuta la Bibbia. Questa rilettura la troviamo già nell’Antico Testamento a proposito dell’esperienza dell’Esodo e per i cristiani culmina con la rilettura attualizzata dell’Antico Testamento condotta da Gesù di Nazareth (cfr. Mt 5,17-48). E portata avanti dai suoi discepoli nel Nuovo Testamento.

                        L’atteggiamento di Gesù rispetto al matrimonio secondo i vangeli.

            Nonostante Gesù abbia parlato poco del matrimonio, sembra innegabile, secondo i Vangeli (e Paolo lo dà per assodato), il fatto che Gesù proclamò che, nel progetto di Dio, il matrimonio era, in principio, indissolubile. E condannò fermamente il divorzio in due testi fondamentali, in origine indipendenti: nel Vangelo di Marco (10,1-12, un testo che raccoglie Matteo 19,1-12), e in una fonte che si è persa, ma che fu raccolta da Matteo e Luca (Mt 5,31-32; Lc 16,18). {Il Vangelo di Giovanni (l’ultimo, degli anni 80) non ne parla. Il miracolo alle nozze di Cana Gv 2-11 “è l’inizio dei segni. ndr}.

            Che intendeva Gesù? Per interpretare adeguatamente questi testi, non dobbiamo dimenticare che Gesù, secondo i Vangeli, pronunciò anche molte altre parole radicali: per esempio, ai discepoli che avrebbero dovuto ricoprire un ruolo di leadership nella Chiesa, disse che non avrebbero dovuto farsi chiamare «padri» o «maestri» » (Mt 23,9-10), né avrebbero dovuto indossare abiti speciali o occupare sempre i primi posti nelle riunioni ecclesiali (Mt 23,4-8). E ammonì tutti i cristiani a non fare giuramenti (Mt 5,33-37), a porgere l’altra guancia (Mt 5,38-42) e ad amare i propri nemici (Mt 5,43-48).

            È ovvio che la Chiesa non ha preso alla lettera tutte queste parole, e altre simili (come Mc 10,25), ad eccezione di quelle sul divorzio. La domanda che dobbiamo porci, allora, è se è giustificato che le parole relative al divorzio debbano essere interpretate – per fedeltà a Gesù! – alla lettera. Di modo che, per esempio, un divorziato che si risposi e abbia relazioni sessuali con il proprio partner debba essere escluso dalla partecipazione all’eucarestia, come ha interpretato il Magistero della Chiesa cattolica, a differenza di quanto avvenuto nella Chiesa ortodossa (o in quelle evangeliche), in cui è permesso un nuovo matrimonio.

                        Le intenzioni delle parole di Gesù sul divorzio.

            Per rispondere adeguatamente alla domanda su come si debbano interpretare questi testi è necessario guardare alla volontà di Gesù rivelata dai Vangeli, così come è necessario tenere presente il contesto socioculturale e letterario nel quale si collocano le sue parole sul divorzio.

            La volontà di Gesù. A differenza di come sono presentati farisei, scribi e sacerdoti ebrei, Gesù nei Vangeli non assume mai un atteggiamento legalista. Se qualcosa lo caratterizza – e caratterizza il Dio che vuole rivelare con le sue parole e azioni – è la misericordia. Perché così è Dio. E così devono essere i discepoli: «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6,36). E lo esemplifica nel modo in cui agisce: accogliendo, condividendo la tavola con i peccatori e gli emarginati, criticando quanti si credevano pii, in maniera da rivelare con questo atteggiamento che Dio ama tutti, buoni e cattivi, facendo sorgere il sole tanto sugli uni quanto sugli altri (Mt 5,44-45).

            Più che norme concrete, quello che propugna sono atteggiamenti determinati, profondamente umanizzanti. Egli invita alla perfezione come vocazione (Mt 5,48), non come legge. E le leggi, anche quelle più sacre per gli ebrei, come l’obbligo di non lavorare di sabato (Es 20,8-10), non devono essere interpretate alla lettera, poiché sono promulgate da Dio per il bene dell’essere umano (Mc 2,27). Nella gerarchia dei valori di Gesù, il bene dell’essere umano supera qualsiasi altra legge, per quanto sacra (Mc 3,1-6; Gv 5,1-18). Per questo non va interpretata alla lettera (Mt 5,21-48).

            La situazione socioculturale del matrimonio al tempo di Gesù. La concezione del matrimonio nel mondo ebraico di Gesù è radicalmente diversa da quella odierna. Secondo la legge, la relazione tra moglie e marito non era di eguaglianza, né il matrimonio era una scelta libera della coppia, ma rispondeva a determinati interessi, fondamentalmente economici, delle rispettive famiglie. In questo contesto, la donna era chiaramente marginalizzata, appartenendo fino al matrimonio al padre e poi al marito. Quest’ultimo, secondo la concezione più permissiva della scuola del rabbino Hillel, basata su Dt 24,1, poteva separarsi dalla moglie per qualsiasi motivo (per esempio, perché aveva incontrato una donna più giovane e bella). Oppure, secondo la concezione più rigida della scuola del rabbino Shammai, poteva divorziare solo in caso di adulterio. La donna, invece, non poteva prendere l’iniziativa di divorziare per alcun motivo.

            In questo contesto sociale, i farisei chiedono a Gesù (secondo Marco 10,1-12, per metterlo alla prova) se è consentito al marito separarsi dalla moglie. Sanno bene che Gesù non è un legalista e che non interpreta mai la Legge in modo fondamentalista ma sempre a favore dei più vulnerabili (e nel caso del divorzio era la moglie a esserlo). E cercano quindi un’occasione per accusarlo di non rispettare la Legge di Dio. Gesù rifiuta questa casistica destinata a emarginare le donne (al contrario, secondo testi come Luca 8,1-3, permette persino alle donne, contraddicendo quanto sostenevano i rabbini, di essere discepole; cfr. Lc 8,1-3; 10,38-42). Però, per denunciare l’ingiustizia derivante dalla casistica rabbinica, si rifà alla volontà originaria di Dio nella creazione, che difendeva, come ideale, l’amore indissolubile tra marito e moglie (in Marco 10,5-9, cita il testo di Genesi 1,27 e 2,24). È un ideale, spesso utopico, più che mai attuale, oggi, in un matrimonio plasmato fondamentalmente sull’amore della coppia. Da buon ebreo del suo tempo, Gesù avrebbe dovuto parlare del divorzio solo dal punto di vista dell’uomo, che era l’unico legittimato a divorziare (cfr. Mc 10,2-9). Però Marco, che vive in una cultura romana, in cui l’uomo e la donna sono maggiormente equiparati quanto a possibilità di divorzio, aggiunge i versetti 11-12, esplicitando l’intenzione di Gesù in un nuovo contesto: questo ideale di unione matrimoniale indissolubile è valido tanto per l’uomo quanto per la donna.

            Così facendo, Gesù non proclama una legge, ma un progetto ideale di vita. Perché, come sottolinea lo studioso cattolico Gerhard Lohfink, la forma letteraria che il Vangelo utilizza qui non è, anche se lo sembra, quella di un testo giuridico inappellabile, ma quella di un’esortazione e di una sfida «senza dimenticare il suo carattere provocatorio», come accade anche con altre affermazioni di Gesù (per esempio Mt 7,13s; 19,24).

            Gesù, pertanto, vuole smascherare l’ingiustizia contro le donne che deriva dal diritto matrimoniale giudaico e anche promuovere (come profeta, non come legislatore) l’amore radicale nella coppia come applicazione concreta del principio di amore per il prossimo (Mt 22,39). Un amore che trova la sua realizzazione in quel principio che è la quintessenza di quanto chiedono la Legge e i profeti: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt 7,12).

            Il contesto letterario delle parole sul divorzio. Ciò che abbiamo detto è confermato dal contesto letterario nel quale gli evangelisti situano le parole di Gesù sul divorzio.

            Il primo testo, attribuito a Gesù, lo troviamo in Marco 10,1-12. Oltre a quanto abbiamo visto sul senso della forma letteraria di questo testo, conviene tenere presente il contesto letterario nel quale Marco lo situa. Si trova in un blocco fondamentale del suo Vangelo, nel quale – anche per comprendere meglio ciò che significa per i seguaci di Gesù il fatto che Gesù è il Messia, l’Unto (Mc 8,27-39) –, Marco concretizza i valori fondamentali indicati da Gesù a quanti lo vogliono seguire (cfr. Mc 8,31-10,45), inquadrandoli con tre annunci della morte e resurrezione di Gesù (Mc 8,31; 9,31; 10,32-34). Questi valori, che, se vissuti con radicalità, possono facilmente portare alla croce (Mc 8,34), contengono parole di grande radicalità: che i ricchi, se vogliono essere perfetti, devono dare ai poveri i loro averi (Mc 10,23-27); che è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel regno dei cieli (Mc 10,25); che, se la nostra mano o il nostro piede è occasione di scandalo per i piccoli, è preferibile tagliarli (Mc 9,42-48). O che colui che vuole essere il primo e il più grande deve farsi servitore di tutti (Mc 10,42-45). E affinché non si spiritualizzi indebitamente tutto ciò, lo contrappone a ciò che fanno i re e i politici, allora come oggi.

            È dunque tenendo presente questo contesto che dobbiamo interpretare le parole di Gesù sul divorzio. Il secondo testo (Mt 5,31-32 o Lc 16,18) Matteo lo colloca all’interno del discorso della montagna (Mt 5-7) che, in nessun caso, vuole essere un Codice di diritto canonico o una proposta di legge immutabile, ma un ideale dinamico di vita cristiana, impegnata a favore del progetto di Dio (quello che Gesù chiama il Regno di Dio). Luca lo colloca nel cammino verso Gerusalemme (Lc 9,51-19,28), in un ampio testo in cui il terzo evangelista presenta i grandi valori cristiani che, se vissuti con la stessa radicalità di Gesù, finiscono – in un mondo tanto ingiusto, allora come oggi – per condurre alla croce. Un testo che, tra le altre cose, contiene dure critiche contro i ricchi che non vogliono condividere (Lc 12,13-21; 16,1-13.19-31), fino all’affermazione che non si può servire Dio e mammona (Lc 16,13). Questo contesto non permette in nessun caso di interpretare tali testi come leggi immutabili.

            Reinterpretazione delle parole sul divorzio in Matteo e Paolo. La conferma la troviamo nel Vangelo di Matteo e nella Prima Lettera di Paolo ai Corinzi, dove le parole di Gesù sul divorzio non sono interpretate alla lettera, come una legge assoluta e senza eccezione, ma vengono attualizzate in rapporto alle nuove situazioni che stavano vivendo le loro comunità. Per questo, Matteo aggiunge al versetto 5,32 (che non sembra parola di Gesù poiché non si trova in nessun altro testo del Nuovo Testamento) un’eccezione alla proibizione di divorzio: la sua comunità lo accetta in caso di adulterio (o di «impurità legale» per il matrimonio ebraico, secondo alcuni studiosi). Paolo, in 1Cor 7,10-11, ricorda alla sua comunità, come un ordine del Signore, che moglie e marito non devono separarsi e che, se lo fanno, non devono risposarsi, poiché sembra considerare la possibilità di una riconciliazione (…). Tuttavia non la considera una norma assoluta, poiché accetta almeno un caso concreto in cui il divorzio e le nuove nozze appaiono qualcosa di legittimo: si tratta del caso in cui è un non credente a volersi separare. In questo caso il o la credente è libero (…). Questa eccezione è stata chiamata nella Chiesa “privilegio paolino”.

                        Conclusione

Stando così le cose, quale deve essere oggi l’atteggiamento di una Chiesa che vuole essere fedele a Gesù rispetto ai divorziati risposati? Bisogna escluderli dalla partecipazione all’eucarestia a meno che non rispettino alcune condizioni, come quella di non avere rapporti sessuali?

            Indipendentemente dal fatto che ci sia stato o meno peccato nel processo di separazione – in alcuni casi è ovvio che non c’è stato e in altri forse sì – dobbiamo tenere presente, per quanto abbiamo visto nei Vangeli, che Gesù accoglie incondizionatamente, confidando che l’esperienza della sua accoglienza amorosa aiuterà ad avvicinarsi al Padre. Di fatto, se andò a mangiare a casa di Zaccheo, non è perché questi aveva chiesto perdono per i suoi peccati e si era riconciliato con il popolo di Dio (Lc 19,1-10). Né pose condizioni ai peccatori invitati alla sua mensa (Mc 2,15-17). Partecipare all’eucarestia è sempre dono e grazia per tutti. E chi pensa di essere senza peccato scagli la prima pietra (Gv 8,1-11). Non partecipiamo all’eucarestia perché siamo buoni, ma affinché si possa esserlo grazie all’unione intima con Gesù.

            D’altra parte, con che diritto ci permettiamo di giudicare? E lo stesso vale per gay e lesbiche, un tema che qui non abbiamo potuto trattare ma che allo stesso modo richiederebbe una rilettura e una reinterpretazione dei testi biblici alla luce del contesto socioculturale e letterario nel quale sono collocati.

            Dopo quanto abbiamo visto, sembra ovvio che non si possa giudicare ed emarginare i divorziati – neppure se risposati – in nome di Gesù, così come ci è rivelato nei Vangeli. I testi evangelici, letti nel loro contesto, non danno luogo alla loro condanna e ancor meno alla loro esclusione dall’eucarestia: poiché non è questo il senso dei testi che troviamo nei Vangeli.

            Inoltre, ogni cristiano deve tenere ben presente l’avvertimento di Gesù che il giudizio sulle persone compete solo a Lui. Ed è giusto che sia così, poiché è ovvio che Egli ci ama. Al contrario, Gesù ci ha ammonito a non cercare di sradicare dalla comunità ciò che si pensa possa essere zizzania, poiché corriamo il pericolo di sradicare con la zizzania anche il grano (Mt 13,24-30.36-43). E ci ha anche invitato a fare molta attenzione nel giudicare gli altri poiché Dio ci giudicherà con lo stesso metro che abbiamo utilizzato per loro (Mt 7,1-2).

            Xavier Alegre S. J., professore emerito di Nuovo Testamento presso la Facultad de Teología de Catalunya (Barcellona, Spagna) e dal 1985 presso l’Universidad Centroamericana (UCA) di San Salvador (El Salvador).

            traduzione       di Ingrid Colanicchia adista notizie n. 8- 28 febbraio 2015

www.adistaonline.it/index.php?op=articolo&id=54763

Occorre una nuova morale sessuale.

La tesi di questo documento si divide in tre parti:

  1. Non c’è possibilità di cambiamento per l’insegnamento della Chiesa Cattolica riguardo agli atti omosessuali, a meno che e non prima che ci sia un cambiamento nel suo insegnamento riguardo agli atti eterosessuali;
  2. C’è un serio bisogno di cambiamento radicale nell’insegnamento della Chiesa riguardo agli atti eterosessuali;
  3. Se e quando questo cambiamento avverrà, avrà inevitabilmente un effetto sull’insegnamento riguardo agli atti omosessuali.

Parte Prima. L’argomentazione costantemente ripetuta dalla Chiesa Cattolica è che Dio ha creato il sesso tra esseri umani per due ragioni: come mezzo attraverso il quale una nuova vita umana viene portata all’essere (aspetto procreativo) e come mezzo di espressione e nutrimento dell’amore all’interno di una coppia (aspetto unitivo).

L’argomentazione prosegue dicendo che l’atto sessuale è “secondo natura” solamente quando adempie ad ambedue questi scopi stabiliti da Dio, e che ambedue sono autenticamente presenti solo all’interno del matrimonio e, anche in questo caso, solamente quando il rapporto è aperto alla nuova vita, così che tutti gli altri usi della capacità sessuale sono moralmente sbagliati (Papa Paolo VI, lettera enciclica Humanae Vitae, 26 luglio 1968, no. 12).

http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_25071968_humanae-vitae.html

Se questo è il punto di partenza, non c’è possibilità di approvazione per gli atti omosessuali (Il Catechismo della Chiesa Cattolica tratta la questione con una straordinaria concisione: “(Gli atti omosessuali) sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale.” Vedi § 2357→2359)

www.vatican.va/archive/catechism_it/index_it.htm

www.vatican.va/archive/catechism_it/p3s2c2a6_it.htm

Non è di alcuna utilità cercare il cambiamento all’interno di questo insegnamento.

Parte Seconda. Se noi concepiamo la “procreazione” come la produzione di figli adulti invece che come la produzione di bambini, non ho difficoltà ad affermare che il matrimonio, come istituzione della razza umana, contiene sia un aspetto procreativo che uno unitivo. Ma ho cinque serie difficoltà nel pensare, come afferma il Magistero, che ogni singolo atto sessuale debba contenere ambedue questi aspetti.

1)      Prima difficoltà. Un peccato contro Dio: La prima difficoltà è che, attraverso questo insegnamento, la Chiesa sta dicendo che qualsiasi utilizzo del sesso che non sia al tempo stesso procreativo e unitivo è un’offesa diretta a Dio perché è una violazione di ciò che si presume essere l’ordine divino e naturale stabilito da Dio. Questo solleva due serie questioni, una riguardante la natura e l’altra riguardante Dio.

  1. Riguardo alla natura: Se tale ordine divino e naturale esiste in relazione alle nostre capacità sessuali, non dovrebbe esistere anche in molte altre aree della vita umana? L’argomentazione della Chiesa riguardo al sesso non dovrebbe indicare molti altri campi nei quali Dio assegnato uno scopo divino a delle cose create, di modo che sarebbe un peccato contro di lui usare quelle cose in modo diverso? Perché una tale affermazione viene avanzata solamente in relazione al sesso? Mi ricordo di aver letto, anni fa, l’argomentazione umoristica secondo la quale lo scopo che Dio ha assegnato agli occhi dell’uomo è guardare in avanti (ecco perché sono posti nella parte anteriore della testa), così che gli specchietti retrovisori delle auto sono contro natura, perciò immorali. Certo, questa è una battuta, che tuttavia solleva delle domande su cosa intendiamo per “natura” e su come sia difficile ricavare delle conclusioni morali dalla pretesa che esista una natura divinamente stabilita.
  2. Riguardo a Dio: Colpire un re o un presidente è sempre stata considerata un’offesa più grave del colpire un semplice cittadino. Si diceva, in linea con questo pensiero, che il re più grande di tutti fosse Dio, quindi un’offesa rivolta direttamente a Dio è molto più grave di un’offesa rivolta a un semplice essere umano. Dato che tutti i peccati sessuali erano considerati come offese rivolte direttamente a Dio, venivano perciò tutti considerati peccati gravissimi. I peccati sessuali erano considerati allo stesso livello dell’altro peccato rivolto direttamente contro Dio, la blasfemia, e questo ci aiuta a capire perché, nella Chiesa Cattolica, alla morale sessuale è stata data per molto tempo un’importanza esagerata. Per secoli la Chiesa ha insegnato che ogni peccato sessuale è un peccato mortale. In questo campo, si pensava, non esistono peccati veniali. Secondo questo insegnamento, persino ricavare deliberatamente piacere dal pensare al sesso con una persona che non sia il proprio coniuge, per quanto brevemente, è un peccato mortale. Un insegnamento che oggigiorno non può essere sbandierato come una volta, che però è stato proclamato da molti papi (Per esempio Clemente VII (1592-1605) e Paolo V (1605-1621) hanno affermato che chiunque neghi questo insegnamento deve essere denunciato all’Inquisizione). non è mai stato ritrattato e ha dispiegato i suoi effetti su innumerevoli persone. Questo insegnamento ha alimentato la credenza in un Dio incredibilmente iroso, un Dio che condanna una persona all’inferno per l’eternità per un singolo impenitente momento di piacere deliberato nato dal desiderio sessuale. Questa idea di Dio è assolutamente contraria al concetto di Dio che Gesù ci ha presentato, e io non posso accettarla. La mia prima ribellione contro l’insegnamento della Chiesa riguardo il sesso, quindi, non derivava direttamente dal rifiuto di ciò che la Chiesa diceva sull’argomento, ma dal rifiuto del falso dio presentato da questo insegnamento.

2)      Seconda difficoltà: un insegnamento basato su asserzioni. La seconda ragione per cambiare le cose è che le dichiarazioni della Chiesa sembrano essere asserzioni piuttosto che argomentazioni. Ambedue gli elementi, procreativo e unitivo, sono aspetti fondamentali del matrimonio in quanto istituzione dell’intera razza umana, ma ne segue forse che:

  • sono elementi essenziali di ogni singolo matrimonio, a prescindere dalle circostanze?
  • sono elementi essenziali di ogni singolo atto del rapporto sessuale? Su quali basi?

Per esempio, una certa coppia può venire a sapere da medici specialisti che i figli che eventualmente concepiranno soffriranno di una seria malattia ereditaria che li renderà disabili, e quindi decidere di adottare i loro figli. Stanno agendo contro la volontà di Dio? Un’altra coppia potrebbe decidere di avere già molti figli e di non essere finanziariamente e psicologicamente capaci di averne altri. Su quali basi noi diciamo che stanno agendo contro la volontà di Dio?

Sorgono sempre problemi quando gli esseri umani pretendono di conoscere la mente di Dio. Che dire della dichiarazione che è volontà di Dio, anzi ordine di Dio, che ambedue gli aspetti, unitivo e procreativo, devono necessariamente essere presenti in ogni atto del rapporto sessuale? È un fatto dimostrato o una semplice asserzione? Se è un fatto dimostrato, dove sono le prove? Perché i documenti della Chiesa non presentano tali prove? Tali prove non dovrebbero comprendere l’esperienza di milioni di persone nello sforzo tutto umano di conciliare il sesso, l’amore e la procreazione di nuova vita in mezzo alla tempesta della sessualità e alle complessità della vita umana? Forse viene confuso un ideale con la realtà? Se è solo un’asserzione, c’è una ragione per cui non dovremmo applicare il principio logico secondo il quale ciò che viene liberamente asserito può essere liberamente negato? Se non è niente più che un’asserzione, ha davvero importanza chi la pronuncia o quanto spesso viene pronunciata? Dove sono le argomentazioni in suo favore per poter convincere una coscienza aperta e onesta?

3)      Terza difficoltà: una morale degli atti fisici. La terza argomentazione è che l’insegnamento della Chiesa si basa sulla considerazione di ciò che è visto come la natura, stabilita da Dio, degli atti fisici in se stessi, piuttosto che su questi atti visti come azioni di esseri umani. Ed essa continua a ragionare così in un’epoca in cui l’intera tendenza della teologia morale va nella direzione opposta. Il risultato è che ci si impastoia in incredibili difficoltà nell’analizzare gli atti fisici senza il loro contesto di relazioni umane.

Per esempio, alcune coppie sposate scoprono un’ostruzione che impedisce allo sperma di raggiungere l’ovulo, ma con un semplice procedimento un medico può prendere lo sperma del marito e inserirlo nell’ovulo della moglie, così da permettere il concepimento. Ma la Congregazione per la Dottrina della Fede ha condannato questa procedura perché l’atto fisico non è stato considerato “integrale”, anche se la ragione precisa di questo intervento è proprio che la coppia vuole che il suo matrimonio sia unitivo e procreativo. Le argomentazioni della Chiesa riguardo al sesso si basano unicamente sull’atto fisico in se stesso invece che sull’atto fisico in quanto azione che influenza le persone e le relazioni.

4)      Quarta difficoltà: l’idea di “naturale”. È stato Dio a creare un mondo in cui coesistono eterosessuali e omosessuali. Non è un errore compiuto da Dio, che gli esseri umani sono incaricati di riparare; è semplicemente e innegabilmente parte della creazione di Dio. Gli unici atti sessuali naturali per gli omosessuali sono gli atti omosessuali. Non è una libera scelta compiuta tra due cose ugualmente attraenti, ma qualcosa di profondamente impresso nella loro natura, qualcosa di cui non possono semplicemente sbarazzarsi. Gli atti omosessuali sono per loro naturali, gli atti eterosessuali invece no. Gli omosessuali non possono compiere quelli che la Chiesa chiamerebbe atti “naturali” in un modo che sia naturale per loro. Perché dobbiamo ricorrere ad astrazioni nel determinare che cosa è naturale, invece che all’esperienza vera e vissuta degli esseri umani? Perché dovremmo dire che gli omosessuali agiscono contro natura quando agiscono in accordo con l’unica natura di cui abbiano mai avuto esperienza? La Chiesa afferma di basarsi sulla “legge naturale”, ma una legge naturale che si basa su astrazioni è una falsa legge naturale. In effetti, la Chiesa getta nel discredito l’intero concetto di legge naturale.

5)      Quinta difficoltà: non è basata sull’insegnamento di Gesù. La quinta difficoltà è che l’intero concetto della necessità della coesistenza dell’elemento unitivo e di quello procreativo in ogni atto del rapporto sessuale non si basa su niente che Gesù abbia detto o sottinteso ma deriva da concetti extrabiblici che concernono gli atti cosiddetti naturali e gli atti cosiddetti contro natura. Nel cercare di comprendere la natura morale della sessualità come la forza più potente e importante della vita umana, perché la Chiesa non fa riferimento a qualcosa che Gesù ha detto o fatto invece di fare affidamento solamente a concetti che derivano da altre fonti?

Il dilemma. Alla luce di queste cinque difficoltà rimane il fatto che la Chiesa Cattolica propone un insegnamento che, sul terreno della logica, non è mai stato attraente, nemmeno per le persone meglio disposte ad accoglierlo. Anche all’interno della Chiesa la maggior parte della gente non lo accetta più, specialmente tra i giovani. La società occidentale, nel suo complesso, ha rigettato questo insegnamento e ha assunto una posizione che, in molti sensi, ne costituisce l’estremo opposto. Poche persone oggi tenterebbero una difesa razionale dell’insegnamento della Chiesa e non è facile nemmeno proporre una via di mezzo tra i due estremi. È quella via di mezzo che ora desidero esplorare.

            La via di mezzo. Se noi decidiamo di lasciarci alle spalle un’etica che vede il sesso in termini di offesa rivolta direttamente a Dio, che mette l’accento sull’atto fisico invece che sulle persone e le relazioni, che non deriva dai vangeli e che si basa su un’asserzione invece che su un’argomentazione logica, dove possiamo andare? Io suggerisco che la risposta sta nel muoversi verso un’etica che:

  1. vede ogni offesa nei confronti di Dio non causata dall’atto sessuale preso in se stesso, ma dal danno causato alle persone;
  2. parla in termini di persone e relazioni invece che di atti fisici;
  3. attinge le sue idee di ciò che è naturale dalla realtà invece che da astrazioni;
  4. attinge consciamente e direttamente dai vangeli;
  5. e poi costruisce un’argomentazione su questi fondamenti invece che su asserzioni non dimostrate.

Dal punto di vista di Dio. Se è impossibile fondare un’intera etica sessuale sulla base delle offese rivolte direttamente a Dio, l’evidenza ci dice che Dio ha estremamente a cuore gli esseri umani e prende molto sul serio ogni danno a loro causato, attraverso il desiderio sessuale o qualsiasi altra causa. “Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare” (Marco 9, 42). “Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me” (Matteo 25, 44-45).

In queste due citazioni Gesù si identifica con le persone più deboli della comunità e ci dice che ogni danno a loro causato è un danno causato a lui stesso. Voglio suggerire che questo danno causato alle persone è il vero peccato in materia di sesso, l’unico peccato che provoca l’ira di Dio. Voglio perciò suggerire che dovremmo considerare la morale sessuale in termini di bene o di danno causato alle persone e alle relazioni che si instaurano tra loro piuttosto che in termini di offesa rivolta direttamente a Dio. Da questo può seguire che il piacere sessuale, come ogni altro piacere, è in se stesso moralmente neutro, né buono né cattivo? Che sono piuttosto le circostanze che riguardano le persone e le relazioni che rendono questo piacere buono o cattivo, per esempio il piacere buono di una coppia sposata che cerca di riconciliarsi dopo un litigio o il piacere cattivo di un uomo che commette uno stupro?

            La Chiesa contro la società moderna. Se scendiamo in profondità, al di sotto degli insegnamenti particolari della Chiesa Cattolica sul sesso, e arriviamo alle sue credenze di base, quello che voglio suggerire è che esiste un punto fondamentale sul quale la Chiesa e la società occidentale moderna sembrano muoversi in direzioni opposte. Detto in termini molto semplici, la Chiesa dice che, dato che l’amore è un aspetto importantissimo della vita umana e dato che il sesso è un modo così vitale di esprimere l’amore, il sesso è una cosa seria, mentre la società moderna accetta sempre più apertamente anche l’attività sessuale più occasionale, anche quando non reca nessuna traccia di amore o di relazione. Su questo punto fondamentale mi trovo istintivamente più in sintonia con l’opinione della Chiesa che con quella della società moderna. Paradossalmente, sono stati gli effetti degli abusi sessuali sui minori a convincermi, più di ogni altra cosa, che il sesso è una cosa seria.

            “Non fare il male” e “Ama il tuo prossimo”. Dato che considero il sesso una cosa seria, non posso semplicemente concludere che il sesso è sempre buono finché non fa del male a nessuno. Non porrei mai la questione in questi termini perché ho visto troppo male causato da questo atteggiamento. Esso viene espresso in termini negativi (“Non fare il male”) e inevitabilmente contiene in sé questo serio rischio: uno, dandosi poco pensiero del bene dell’altra persona con cui ha dei rapporti, può cercare il proprio piacere e, così facendo, arrivare vicinissimo al causare danno alla persona in questione. In un campo così pieno di rischi come questo, innumerevoli persone che si basano su questo principio oltrepasseranno questo limite.

Se apriamo i vangeli, Gesù ha detto “Ama il tuo prossimo” e non tanto “Non fare del male al tuo prossimo”, e l’amore non è semplicemente l’atteggiamento negativo di non fare il male; l’amore sottintende un genuino rispetto per l’altro e l’atteggiamento positivo di volere e cercare il bene dell’altro. La differenza essenziale tra i due è che con l’atteggiamento “Non fare il male” possiamo mettere noi stessi al primo posto, mentre con “Ama il tuo prossimo” al primo posto sta il nostro prossimo. Nell’applicare questo principio gesuano dobbiamo prendere molto sul serio il danno che può essere causato dal desiderio sessuale e considerare attentamente le circostanze che possono rendere moralmente sbagliata la ricerca del piacere sessuale perché può arrecare danno agli altri, a se stessi o alla comunità.

Alcuni di questi fattori sono la violenza fisica o psicologica, l’inganno e l’autoinganno, il fare del male a una terza persona (per esempio, il coniuge), usare un’altra persona per la propria gratificazione, trattare le persone come oggetti sessuali invece che come persone, banalizzare il sesso fino a fargli perdere la sua serietà, non rispettare la connessione esistente tra il sesso e la nuova vita, non rispettare l’esigenza di costruire una relazione con pazienza e cura, non rispettare il bene comune dell’intera comunità.

Da tutto questo si capirà che, pur considerando il piacere sessuale in se stesso moralmente neutro, ho serissime difficoltà con l’idea che “tanto, che differenza fa?”. Quando si reagisce a un estremo c’è sempre il pericolo di andare verso l’estremo opposto. Credo che questo sia ciò che ha fatto la società moderna per quanto riguarda il sesso.

            Un’etica cristiana. Quello che voglio suggerire è che le questioni centrali concernenti la morale sessuale sono:

  • Ci muoviamo verso un’etica genuinamente cristiana se basiamo i nostri atti sessuali su un profondo rispetto per le relazioni che danno un significato, uno scopo e una direzione alla vita umana e sull’amare il nostro prossimo come vorremmo che il nostro prossimo amasse noi?
  • All’interno di questo contesto, possiamo chiederci se un atto sessuale è moralmente giusto quando, in positivo, è basato su un genuino amore per il prossimo, cioè un genuino desiderio di quello che è bene per l’altra persona, invece di basarsi unicamente sull’interesse personale, e, in negativo, non contiene nessun elemento di danno come il fare del male a una terza persona, qualsiasi forma di coercizione o inganno, o un qualsiasi danno alla capacità del sesso di esprimere l’amore?
  • Chiedersi quando queste circostanze possono essere valide e se, e fino a che punto, possono essere valide al di fuori del matrimonio, può essere una base per la discussione e il dibattito per la comunità ecclesiale e per la società nel suo complesso, per una decisione e la responsabilità di fronte a Dio, agli altri e al proprio sé più profondo da parte di ogni individuo?

Molti obietteranno che ciò che ho proposto non fornisce regole semplici e chiare. Ma Dio non ci ha mai promesso che le cose che attengono alla vita morale sarebbero state semplici e chiare. La morale non è solamente fare le cose giuste: significa anche sforzarsi per sapere qual è la cosa giusta da fare. Non è solamente fare ciò che tutti attorno a noi stanno facendo: significa prendersi la responsabilità genuinamente personale di tutto ciò che facciamo. Significa anche essere profondamente sensibili ai bisogni e alle vulnerabilità delle persone con le quali interagiamo.

            Io credo che normalmente l’atto sessuale abbia possibilità molto maggiori di adempiere i requisiti che ho suggerito all’interno di una relazione votata ad essere permanente come il matrimonio piuttosto che fuori da una tale relazione. Ma dubito di poter tirare questa semplice conclusione: all’interno del matrimonio tutto è bene, al di fuori del matrimonio tutto è male. Le complessità della natura umana e l’impeto della sessualità non permettono risposte così semplici.

            Parte Terza, Se e quando questo cambiamento (nell’insegnamento concernente gli atti eterosessuali) avverrà, avrà inevitabilmente un effetto sull’insegnamento riguardo gli atti omosessuali. Se applichiamo ciò che ho appena detto sugli atti eterosessuali agli atti omosessuali, ne seguiranno varie cose.

In negativo, non potrei accettare per gli atti omosessuali, non più che per gli atti eterosessuali, che si possa fare il proprio comodo, o che la morale possa basarsi sull’interesse personale oppure l’idea che si possa fare di tutto fino a che non si fa del male all’altra persona. Chiederei alle persone omosessuali come a quelle eterosessuali di essere ben consce di quanto facilmente i pensieri che vertono sul sesso possano essere diretti unicamente verso l’interesse personale e condurre a fare del male. Non potrei certo approvare uno stile di vita deliberatamente basato su partner sessuali che vanno e vengono, non più di quanto potrei approvarlo per quanto riguarda gli eterosessuali, perché non riesco a vedere come questo possa conciliarsi con ciò che ho detto in questo documento.

            In positivo, ne segue che gli atti sessuali, sia eterosessuali che omosessuali, non sono, di per se stessi e presi isolatamente, offensivi per Dio. Questo vorrebbe dire che gli atti sessuali piacciono a Dio quando collaborano a costruire le persone e le relazioni, dispiacciono a Dio quando danneggiano le persone e le relazioni. Dato che vado cercando un’etica specificamente cristiana, voglio sperare che siano sempre basati su un affetto genuino e sul volere il bene dell’altro piuttosto che unicamente sull’interesse o la gratificazione personale.

Se l’insegnamento della Chiesa fosse basato sulle persone e le relazioni invece che su ciò che viene considerato “secondo natura” nell’atto fisico, la considerazione degli atti omosessuali esisterebbe in un mondo completamente nuovo e dovrebbe essere interamente ripensata. In breve, se desiderate cambiare l’insegnamento della Chiesa concernente gli atti omosessuali, allora lavorate per favorire il cambiamento nel suo insegnamento sugli atti sessuali in generale.

La Scrittura, Ci sono dei passi delle Scritture che paiono condannare gli atti omosessuali. Ne vengono citati in particolare cinque, due nell’Antico Testamento (Genesi 19 e Levitico 18, 22) e tre nel Nuovo (Romani 1, 26-27, I Corinzi 6, 9, e I Timoteo 1, 10). Esistono delle difficoltà nell’interpretazione di questi cinque passi, ma non ci si può rifiutare di prenderli in considerazione. Nonostante questo, ci sono quattro punti da tenere a mente.

Il Levitico chiama l’omosessualità un “abominio” ma questa parola viene usata 138 volte nell’Antico Testamento, anche per definire cose che noi oggi diamo per scontate, per esempio mangiare i gamberetti. Il pensiero prevalente nell’antichità è che tutte le persone erano di fatto eterosessuali e su questa base si riteneva che gli atti omosessuali fossero sbagliati. Nella cultura dell’antico Israele esisteva una gerarchia sessuale nella quale gli uomini erano dominanti e le donne sottomesse. Secondo questa concezione, in un atto omosessuale un uomo dominante veniva trattato come una donna sottomessa, e questo era considerato sbagliato.

La legge concernente l’omosessualità in Levitico fa parte delle leggi di purità e la Chiesa primitiva accettava il fatto che Gesù avesse abolito quelle leggi. Le affermazioni sull’omosessualità nel Nuovo Testamento non forniscono ragioni convincenti per le loro proibizioni e danno l’impressione di essere delle reliquie delle leggi di purità.

In breve, è difficile costruire un edificio così grande su questi testi. Rimane il fatto che l’intero campo della morale sessuale ha un urgente bisogno di essere ristudiato da cima a fondo.

Intervento di Geoffrey James Robinson*, vescovo emerito della diocesi cattolica di Sidney (Australia), tenuto a “Le strade dell’amore”, conferenza internazionale per una pastorale con le persone omosessuali e trans. (Roma, Italia, 3 ottobre 2014), liberamente tradotto da Giacomo Tessaro e apparso il 3.10.2014 sul blog                         waysoflove.wordpress.com.

Il vescovo Geoffrey James Robinson fu ordinato sacerdote per l’Arcidiocesi di Sydney (Australia) nel 1960 e fu nominato vescovo ausiliario di Sydney nel 1984. Ha conseguito lauree in filosofia, teologia e diritto canonico presso varie università in Australia e a Roma.

Per molti anni ha presieduto il Comitato delle scuole cattoliche dell’Arcidiocesi di Sydney e la Commissione di istruzione cattolica australiana nel Nuovo Galles del Sud. È stato fortemente impegnato in aree come l’ecumenismo e gli standard professionali nel ministero. È stato autore di libri sul matrimonio, divorzio, annullamento, il Vangelo di Marco ed esperienze religiose nella vita quotidiana

Geoffrey James Robinson                sabato 21 febbraio 2015        testo integrale e note

www.ilregno-blog.blogspot.it/2015/02/omosessualita-occorre-una-nuova-morale.html#more

Metafora nuziale e Bibbia

Contributo n. 2 della “Conférence catholique des baptisé-e-s francophones” per la riflessione in vista del Sinodo sulla famiglia.

La metafora nuziale – il fatto di paragonare l’amore di Dio per il suo popolo a uno sposalizio – è una faccenda antica nella Bibbia. Innanzitutto nei profeti e poi nel Cantico dei Cantici. Il primo ad utilizzarla in maniera intensiva è Osea. Questo profeta dell’VIII secolo a.C. riceve l’ordine di Dio di sposarsi con Gomer, una prostituta, e di avere dei figli con lei (Os 1,4-9 e 2,4-24). Ciò che fu fatto. In 3,1 nuova versione dell’evento e chiave di lettura: “Il Signore mi dice: ‘Va ancora, ama una donna amata da un altro e che si dedica all’adulterio: perché questo è l’amore del Signore per i figli di Israele’.”

Non si tratta più di prendere il matrimonio di Osea come una parabola o una finzione qualunque. E questa azione simbolica non è un gesto puntuale. Genera una situazione permanente. In questo sta lo choc delle parole e la provocazione dei gesti. E la chiave di lettura per comprenderli. Osea e Gomer, la prostituta, sono presenti per attivare senza sosta la coscienza dello squilibrio della relazione: un Dio fedele e un popolo adultero.

Geremia ed Ezechiele, tra gli altri, utilizzano a loro volta la metafora, l’ultimo realizzando la sua allegoria con colori violenti. Ricordiamo che è Osea, in 3,1 che dà la chiave di lettura della metafora in quanto tale e giustifica così che essa possa essere usata teologicamente. E a questo punto, si constata uno dei limiti della metafora. Essa gioca sempre in parametri precisi: la fedeltà è da parte del marito, l’infedeltà da quello della moglie. Ma la si sarebbe benissimo potuta montare in senso opposto: la donna espressione della fedeltà (Dio) e l’uomo figura del tradimento e dell’adulterio (Israele).

Il Cantico dei Cantici usa la metafora ma in una prospettiva diversa. In nessun momento si parla di sposo o di sposa, ma semplicemente di uomo e di donna. Il lato istituzionale è totalmente assente. Ciò che è in gioco è l’intensità dell’amore, della relazione nella fluttuazione dell’incontro e dell’allontanamento, della presenza e dell’assenza. Questo testo, nel quale Dio non è mai nominato, salvo forse una volta, è un canto all’amore umano. Il fatto che appaia nella Bibbia, in risonanza con tutti gli altri testi e formando un tutto, prende un’altra dimensione: l’amore umano è parola di Dio. L’amore umano è divino. Detto e posto questo, in seguito ad Osea, si può vedere la realtà dell’amore umano come una metafora che apre il senso: l’amore umano apre all’amore di Dio per il suo popolo.

Un altro rischio della metafora è la sua allegorizzazione. La metafora, a partire dalla similitudine dell’uno o dell’altro degli elementi del racconto con un’altra situazione differente, apre l’orizzonte di senso. I rapporti tra Dio e il suo popolo e quelli di un marito con sua moglie non sono dello stesso ordine. Ma l’amore di un uomo per la sua donna, adultera e prostituta, può far comprendere e immaginare l’amore di Dio per il suo popolo. In tutti i dibattiti sul matrimonio, si confonde troppo spesso, nel mondo cattolico romano, la metafora e l’orizzonte di senso che essa apre con le applicazioni parziali e provvisorie del senso a cui rinvia. Anche se c’è una certa similitudine a livello della relazione tra marito e moglie e Dio e il suo popolo, non bisogna mai dimenticare che si tratta di due realtà di ordine assolutamente diverso. E questa differenza non potrà mai essere cancellata da effetti di senso più o meno eleganti. Dato che l’amore di Dio per il suo popolo è indissolubile, non ne consegue logicamente che l’amore tra un uomo e una donna lo sia in maniera equivalente.

L’interpretazione fuorviante della metafora nuziale si basa spesso sulla Lettera agli Efesini 5,21-33. L’utilizzazione della relazione tra Cristo e la Chiesa è applicata ai rapporti tra il marito e la moglie (“il marito, infatti, è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto”.)

Ma questo è problematico e nessuno specialista oggi prende il testo alla lettera. La contestualizzazione di ogni testo è assolutamente necessaria. L’applicazione della metafora a situazioni concrete è sempre rischiosa. Chi negherà che l’utilizzazione della metafora nuziale alla vita religiosa è stata pervertita? Chi può dire che la religiosa è la sposa di Cristo? Chi è allora il partner del religioso maschio? Come spiegare allora che l’abbandono della vita religiosa non pone problema né giuridicamente né teologicamente, mentre la rottura del legame nuziale del matrimonio sarebbe impossibile? I due stati di vita non sono forse simili, in riferimento all’amore indefettibile e indissolubile di Cristo per la sua Chiesa? E se la metafora non può essere applicata al maschile e al femminile, non può esserlo per nessuno. E se essa non può essere invocata in maniera identica per lo stato religioso e per il matrimonio, allora non può esserlo in nessun caso. Salvo se essa è vista come apertura e indicazione di senso, come l’espressione di una relazione che non si confonde con la realizzazione istituzionale delle figure particolari (matrimonio uomo/donna o vita religiosa). Non prendiamo le metafore per quello che non sono. Rischieremmo di pervertirle.

Jesús Asurmendi        www.baptises.fr, 25 febbraio 2015 (traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201502/150226asurmendi.pdf

Preti sposati: nella chiesa latina come in quelle chiese orientali?

Preti sposati: è possibile applicare il “modello” della chiesa cattolica di rito orientale alla chiesa cattolica di rito latino? La questione si è accesa dopo una sorta di “apertura” da parte di Papa Francesco.

Durante la messa del 10 febbraio 2015 a Santa Marta (ma la notizia è circolata solo dopo una decina di giorni), riporta La Repubblica (19 febbraio), erano presenti sette preti che festeggiavano il loro 50esimo di sacerdozio, ma anche cinque sacerdoti che hanno lasciato il ministero perché si sono sposati. E ancora durante l’incontro col clero romano, il Papa è tornato sull’argomento (Aleteia, 19 febbraio).

            Alla domanda di uno dei preti presenti, don Giovanni Cereti, sulla questione dei preti sposati (nella quale si ricordava il caso delle Chiese Orientali, dove gli uomini sposati possono essere ordinati sacerdoti e le migliaia di preti sposati di rito latino che invece non possono celebrare), Bergoglio ha risposto a sorpresa: «Il problema è presente nella mia agenda».

            Il “giallo” della lettera ad Hummes. Secondo notizie pubblicate in Brasile, alcuni mesi fa il papa avrebbe scritto al cardinale brasiliano Claudio Hummes una lettera sulla possibilità di avviare una riflessione sul celibato ecclesiastico relativa ai cosiddetti “viri probati” cioè a uomini di età non giovane, sposati, che conducono una vita familiare e religiosa esemplare, e ai quali alcuni ritengono che possano essere affidati compiti nella Chiesa al pari dei sacerdoti. La notizia della lettera di Francesco è stata però ridimensionata dal portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, per il quale «non c’è nessuna lettera del Papa al cardinale Hummes sulla materia indicata».

            L’incoraggiamento di Benedetto XVI. L’argomento è tornato d’attualità a distanza di oltre due anni da un altro importante pronunciamento di Benedetto XVI. Quest’ultimo nell’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente del 14 settembre 2012, dopo avere affermato che «il celibato sacerdotale è un dono inestimabile di Dio alla sua Chiesa, che occorre accogliere con riconoscenza, tanto in Oriente quanto in Occidente, poiché rappresenta un segno profetico sempre attuale» ha ricordato «il ministero dei presbiteri sposati che sono una componente antica delle tradizioni orientali» e li ha incoraggiati poiché «con le loro famiglie, sono chiamati alla santità nel fedele esercizio del loro ministero e nelle loro condizioni di vita a volte difficili» (15 novembre 2014).                                                           www.cattoliciromani.com,

            Cosa avviene nelle Chiese orientali. Don Basilio Petrà, ordinario di teologia morale presso la Facoltà teologica dell’Italia centrale, precisa ad Aleteia i contorni della vicenda: «Tutte le Chiese orientali cattoliche ammettono uomini sposati al presbiterato ad eccezione delle Chiese siro-malabarese e siro-malankarese in India». La regola fondamentale, spiega il teologo, è che «nelle chiese orientali vengono ordinati uomini sposati ma non è previsto che uno già prete possa sposarsi. Questa è una distinzione molto importante. Inoltre, se coloro che dopo il matrimonio sono diventati preti rimangono vedovi non possono più risposarsi. Ancora, i preti sposati non diventano vescovi e sono per lo più impegnati come parroci».

            Vita morale e castità coniugale. La pratica dei preti uxorati «ha radici antiche e si ispira alle lettere pastorali di Paolo. Essi sono chiamati ad essere esemplari sia nella vita sacerdotale che nella vita genitoriale e coniugale. Inoltre è prevista la castità coniugale, come per i laici sposati: castità coniugale non significa astinenza coniugale ma vivere la sessualità coniugale in modo degno e rispettoso della legge morale. Prima delle celebrazioni c’è un tempo di astinenza sessuale, un giorno o due secondo ciò che prevede la disciplina della chiesa di riferimento».

            Il caso dei preti anglicani sposati. Anche nella Chiesa cattolica di rito latino ci sono già esempi di preti sposati. «In Germania ad esempio, c’è la presenza di pastori protestanti diventati preti cattolici rimanendo sposati, così come altrove ci sono ministri anglicani diventati preti cattolici. Sottolineo: essi rimangono sposati anche se vengono ordinati come preti cattolici. In America Latina molti anni fa c’è stato almeno un caso eccezionale di “vir probatus” ordinato prete».

            La vera svolta è riammettere i preti già sposati. Dunque secondo don Basilio Petrà, nell’attesa che Francesco si apra maggiormente sulla questione, la vera novità nella chiesa di rito latino sarebbe quella di riammettere al servizio sacerdotale «quei preti che lasciano l’abito, si sposano e poi vogliono “rientrare” rimanendo sposati. Naturalmente bisogna vedere se il Papa ha davvero l’intenzione di promuovere la loro riammissione semplice al ministero sacerdotale. Se ciò avvenisse – conclude il teologo – parleremmo di una svolta almeno da 1700 anni a questa parte».

Gelsomino Del Guercio                     Aleteia                        27 febbraio 2015

www.aleteia.org/it/religione/interviste/preti-sposati-uxorati-chiesa-cattolica-5822948086644736?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it-28/02/2015

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

                                   P. Cupia ad un anno dalla morte: la misericordia di Dio in famiglia.

            Un anno fa si spegneva padre Luciano Cupia, oblato di Maria Immacolata, fondatore del “Centro La Famiglia”, il consultorio familiare prematrimoniale e matrimoniale aperto nel 1968 a Roma insieme a Rosalba Fanelli, e delle Scuole per consulenti familiari oggi attive in tutta Italia. Domani mattina il sacerdote verrà ricordato presso l’Istituto Santa Maria con una serie di testimonianze e una Messa presieduta da mons. Giuseppe Molinari, vescovo emerito dell’Aquila, e concelebrata da padre Alberto Gnemmi, provinciale degli Oblati di Maria Immacolata.

Per un ricordo di padre Cupia, Marina Tomarro ha sentito Rosalba Fanelli:

            R. – Lui fondamentalmente si è occupato della famiglia, a cominciare dal Centro di preparazione al matrimonio, che fu una cosa nuova in Italia, ovviamente, proveniente dal Centro Novalis dell’Università Saint Paul di Ottawa in Canada. Quindi iniziò questo lavoro, preparando subito un’equipe di collaboratori. A Roma, in particolare, c’era un corso permanente presso la rettoria di mons. Luigi Di Liegro, a Piazza Poli, dove si tenevano corsi cittadini. Finché non è stato chiamato anche fuori e a macchia d’olio poi siamo andati in tutta Italia: dal Nord al Sud. Questo ha fatto sì che l’idea della preparazione al matrimonio sia passata e, non solo, anche la necessità di aprire dei centri di consulenza, dei consultori.

            D. – Padre Luciano era impegnato anima e corpo per la famiglia.

            R. – Famiglia e giovani, famiglie e coppie, per la preparazione al matrimonio e l’accompagnamento post-matrimoniale: questo è stato proprio il suo apostolato principale. Prima i fidanzati, poi, nel momento in cui c’è stato il consultorio, anche le consulenze, e via di seguito. Nel 1975 nascono i consultori pubblici. Noi eravamo sul territorio già da molti anni prima, per preparare queste persone, questi consulenti nei nuovi consultori, e non solo, anche perché nel frattempo erano nate tante altre strutture consultorio in Italia, grazie ai suoi spostamenti e così via. Istituimmo, quindi, una scuola per consulenti familiari. Questa è stata proprio la sua precipua attività, dove ha dato anima e corpo.

            D. – C’è uno degli insegnamenti di padre Luciano che è rimasto nel suo cuore, nel cuore delle tante coppie, che avete seguito durante questi anni?

            R. – Nel cuore è rimasto questo grande amore, questa tenerezza. Lui era veramente il predicatore della tenerezza. Queste tre “T”: trasparenza, come luminosità del vivere, del pensare e dell’agire; tolleranza, come rispetto delle convinzioni altrui; e tenerezza, fiducia, accoglienza, abbandono nell’amore di Dio.

            D. – Qual è il suo ricordo personale di padre Luciano, il ricordo che lei conserva?

            R. – Il ricordo che conservo è la sua generosità. La misericordia di Dio era per lui una cosa importantissima. Infatti, quando fece il 50.mo di sacerdozio impostò la cerimonia e anche i ricordini sul Padre Misericordioso. Ecco, lui si sentiva su questa linea.

Bollettino radiogiornale radio vaticana 27 febbraio 2015  http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

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DALLA NAVATA

                                   2° domenica di Quaresima – anno B –1 marzo 2015

Genesi               22.01 «Dio mise alla prova Abramo e gli disse: “Abramo!”. Rispose “Eccomi!” ».

Salmo             116. 10 «Ho creduto anche quando dicevo: “Sono troppo infelice” ».

Romani             08. 32 «Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?».

Marco               09.10 «Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti»

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EUROPA

«Europa, non rassegnarti alle madri in affitto».

            Nel documento diffuso dai vescovi dell’Ue l’allarme sull’aria di resa tra i Paesi dell’Unione al dilagare di un mercato che umilia la dignità femminile e riduce la vita a merce che si compra e si vende.

In una sala gremita del Parlamento europeo si è svolta lunedì [23 febbraio 2015] la presentazione del documento sulla scottante questione dell’utero in affitto, redatto dal Gruppo di studio in Bioetica della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece). Il documento parte dall’osservazione che questa pratica, tollerata in Europa solo da alcuni Stati a patto di essere del tutto gratuita o quasi, interessa l’Europa per il turismo procreativo verso Paesi dove «sono tollerate attività commerciali in questo campo», dagli Usa all’Asia, all’Europa orientale, con agenzie specializzate che usano spregiudicatamente Internet «per attrarre clienti» sul mercato globale «e metterli in contatto con giovani donne» pagate per condurre una gravidanza per conto terzi dietro ricompensa «spesso molto alta rispetto al salario normale».

            Solo due Stati europei accettano la maternità surrogata, e solo sotto la condizione che sia ‘altruistica’, cioè senza un effettivo commercio dell’utero o del bambino, e solo con il pagamento di una ragionevole quota, concetto però messo in dubbio dal documento.

            La presentazione è stata introdotta dallo slovacco Miroslav Mikolasik, presidente del gruppo di studio del Ppe sulla bioetica, e da monsignor Patrick Daly, segretario generale del Comece. Il gesuita padre Patrick Verspieren ha presentato i dettagli del documento, mentre Letitia Pouliquen, di Europe for Family, ha parlato dell’attentato che il commercio dell’utero in affitto porta alla dignità della donna. José Ramos-Ascensão, consigliere giuridico del Comece, ha portato importanti contributi dal punto di vista etico e legale alla questione del traffico dell’utero in affitto.

            Il documento dei vescovi Ue ricorda all’Europa i punti caldi della maternità surrogata. Il primo è che non solo si affitta «un utero» ma tutta la persona per nove mesi, cosa che va contro la dignità umana sfruttando talora povertà e fragilità delle donne coinvolte. Oltretutto viene colpita la sfera dell’attività quotidiana della donna stessa che deve per contratto accettare di seguire una serie di comportamenti soggetti non solo all’amore materno ma a un contratto, arrivando a limitare le scelte della donna stessa e – cosa paradossale per la cultura laicista che preme per la libertà di affitto dell’utero – anche quelle riguardanti l’aborto. In alcuni Paesi, spiega la Comece, le donne ‘affittate’ sono soggette a visite quotidiane da parte delle agenzie che sorvegliano il contratto; in altri vengono separate dalla famiglia per poterle indirizzare verso i comportamenti salutistici scelti dalle agenzie.

            La Commissione dei vescovi europei si sofferma poi su due punti focali: è possibile portare in sé un bambino senza che questo abbia un legame affettivo e che la separazione non abbia un effetto negativo? È vero che alcune donne portano davvero per fini altruistici un figlio di un’altra, e quante sono quelle che non lo fanno liberamente o lo fanno solo per denaro? «Questa reificazione del bambino è in diretta contraddizione con l’affermazione dei diritti umani della Comunità europea e viola la proibizione di fare del corpo umano e delle sue parti sorgente di guadagno finanziario». Viene infine sottolineata la dissociazione tra atto procreativo e atto generativo, e i problemi legali legati ad esempio all’atto di nascita del bambino. Alcuni Stati finiscono col riconoscere il fatto compiuto, una volta che la coppia torna dall’estero col figlio nato da procreazione surrogata.

            Il documento in conclusione chiede che l’Europa affermi che non accetterà di trascrivere i certificati di queste nascite qualora vengano da Paesi in cui l’affitto dell’utero è realizzato in cambio di una ricompensa economica, in modo che vengano scoraggiate le coppie come gli Stati interessati a fare dell’utero in affitto un commercio.

Carlo Bellieni             26 febbraio 2015                               http://carlobellieni.com/?p=2126

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FORUM DELLE ASSOCIAZIONI FAMILIARI

La famiglia conviene. Quali politiche per la famiglia?

Incontro “La famiglia conviene. Quali politiche per la famiglia”

24 febbraio 2015, Palazzo Santa Chiara, Roma

            Il paradosso del titolo di questo incontro è che la famiglia conviene sicuramente, per il benessere delle persone e per la coesione sociale e la tenuta della società, ma non conviene per chi fa famiglia. Chi fa famiglia subisce, infatti, una oggettiva pesante penalizzazione fiscale, nell’accesso ai servizi, nelle scelte politiche generali, nello sviluppo di carriere professionali, nella possibilità di conciliare o armonizzare famiglia e lavoro, nel gestire i compiti di cura verso le persone fragili e quelli educativi verso le nuove generazioni, e certamente questo non è un Paese a misura di famiglia.

            Cosa c’è di familiare nelle politiche degli ultimi decenni? Pochi interventi a favore, in genere sporadici e sovente eccezionali, mentre contro si è avuto un grave inasprimento della pressione tributaria, un indebolimento del sistema di protezione sociale e in definitiva la perdita della centralità della famiglia che è origine – e non conseguenza! – del declino della coesione sociale, di perdita della capacità di risparmio, di annientamento della progettazione del futuro.

            Come ognuno di noi può facilmente verificare, non esiste una programmazione di ampio respiro in materia di politiche familiari, erroneamente ricondotte nell’alveo delle politiche sociali. Eppure, nel 2012 in Italia è stato anche approvato dal governo un Piano nazionale per la famiglia (con il profetico ma disatteso sottotitolo “Alleanza per la famiglia”), il primo nella storia del Paese. Ma anche in questo caso la scelta della politica è stata, al momento dell’approvazione del testo definitivo, di togliere integralmente dalla bozza di Piano l’impegno a riformare il sistema fiscale sulla famiglia, (emerso dalla Conferenza nazionale del governo di Milano 2010, e centrato sul modello del FattoreFamiglia, proposto dal Forum).

Il Piano rimane comunque un prezioso strumento di programmazione strategica nazionale, l’unico ad oggi adottato nel nostro Paese senza dover rispondere ad un mandato/obbligo dall’Unione europea. Non che non abbia difetti. Ad esempio non prevede alcuna copertura finanziaria: quindi, come passare dalle parole ai fatti? Inoltre, passando dalla bozza 2010 al testo approvato nel 2012, sono stati puntualmente cancellati tutti i riferimenti all’art. 29 della Costituzione – a riprova che esiste una resistenza – e addirittura un attacco – all’idea di famiglia come società naturale fondata sul matrimonio – che invece i Padri costituenti hanno sottoscritto dopo un appassionato dibattito, esito di una mediazione alta tra culture molto diverse. E non di compromessi al ribasso, come troppo spesso oggi succede.

            Come Forum delle associazioni familiari, abbiamo la ferma determinazione di sollecitare le Istituzioni ad avviare una discussione pubblica e ad intervenire concretamente su quella che da oltre vent’anni chiamiamo “vertenza famiglia”. Che oggi poi si qualifica in modo decisivo anche come “emergenza nascite”, in un Paese che nel 2014 ha toccato il fondo: poco più di 500mila nuovi nati, dato simile alle nascite dei primi anni dell’Unità d’Italia (non della Repubblica: si parla di fine Ottocento!). Nel 1964 sono nati più di un milione di italiani. Oggi la metà. E un Paese senza nuove generazioni è un Paese senza progetto e senza futuro, come conferma anche la pessima qualità delle politiche di sostegno ai giovani (che sono poi le generazioni che “fanno famiglia”).

            È drammatico vedere in tutte le indagini come i dati sulla povertà dei bambini crescano, nel nostro Paese, spesso “solo perché si vive in una famiglia con tre figli o più”. Siamo molto preoccupati dalla perdurante indifferenza nei confronti dell’emergenza demografica nel nostro Paese, che ormai è riconosciuta da osservatori di ogni orientamento culturale e valoriale come una variabile decisiva per un Paese orientato al futuro.

            Le politiche familiari devono inquadrarsi in alcune ‘macro aree’ di intervento: politiche fiscali; politiche sociali-sanitarie; politiche del lavoro; responsabilità educativa e sistema di istruzione. Non sono gli unici nodi su cui la vita familiare è oggi in difficoltà (basti pensare al grande tema della dimensione familiare dei flussi migratori): tuttavia ci pare che attorno a queste priorità si possano costruire azioni concrete che possono migliorare in modo sostanziale la condizione di vita delle famiglie e insieme la tenuta complessiva del Paese. E in particolare sottolineare l’urgenza di una radicale riforma della fiscalità significa adottare un modello finalmente sussidiario, che promuove la libertà e la responsabilità delle famiglie, anziché costruire un modello assistenziale, per cui aumenti il prelievo fiscale per dare più servizi. E’ temo di ridurre il prelievo fiscale, per consentire alle famiglie libertà di scelta, e capacità autonoma di rispondere ai propri bisogni.

            Bisogna in definitiva rispondere alla domanda su quale sia il posto che si vuole dare alla famiglia nel nostro Paese: se ridurla puro nucleo privato di affetti e sentimenti, di qualunque tipo, o se strumentalizzarla e schiacciarla, sfruttandola come “il primo e più importante ammortizzatore sociale” di fronte alla crisi, medaglia che faremmo volentieri a meno di appuntarci sul petto, oppure se finalmente è il tempo di investire sulla famiglia, risorsa sociale e struttura portante della coesione sociale e della capacità economica dell’Italia.

            In materia fiscale è ormai improcrastinabile l’attuazione degli articoli 31 e 53 della Costituzione in materia di sostegno alla famiglia e di capacità contributiva: il sistema tributario italiano purtroppo penalizza proprio le famiglie, ancor più quelle con figli o con altri familiari a carico, a causa dell’assenza di equità verso il ‘soggetto famiglia’. Anche i recenti interventi del governo in carica denotano l’assenza di considerazione verso i carichi familiari per concentrarsi sul reddito del singolo cittadino – tranne che nel caso dell’Isee, in cui proprio le famiglie con carichi familiari onerosi sono le più penalizzate. Tutto ciò proprio quando l’Istat indica che col crescere dei componenti del nucleo familiare cresce esponenzialmente il rischio di povertà.

            È ora di individuare una no tax area familiare, variabile in modo congruo rispetto ai carichi familiari. Non come rischia di fare il nuovo ISEE, tuttora troppo avaro nel pesare i carichi familiari e le dimensioni del nucleo. In effetti, alla luce dei doveri che la Costituzione attribuisce alla famiglia si tratta di spese obbligate, pertanto non dovrebbero essere assoggettate ad imposizione tributaria.

Il modello del FattoreFamiglia, individuato dal Forum, permette allo Stato di investire sulla famiglia sottraendo dal reddito imponibile le risorse necessarie al fabbisogno di ciascun nucleo familiare. Il costo dell’introduzione del modello completo del FattoreFamiglia è di circa l’1% del PIL, che è il vero spread tra l’Italia e la media europea della spesa in materia di politiche familiari.

            Tre sono quindi le prospettive strategiche al cui interno si collocano le politiche familiari:

  1. Le politiche familiari non sono politiche di nicchia, di piccoli incentivi, di micro-aggiustamenti o di agevolazioni mirate. Servono invece – oggi più che in altri momenti, proprio di fronte a perduranti passaggi di crisi economica – politiche familiari forti, generaliste: dirette esplicitamente al nucleo familiare, relazionali, organiche, distintive e promozionali e proprio per questo preventive di disagi e di povertà più gravi. Queste politiche devono essere necessariamente ambiziose, perché la famiglia va considerata un asset strategico del Paese, esattamente come la nostra capacità creativa imprenditoriale o come il nostro patrimonio naturale e culturale. Non vogliamo agire solo o principalmente su azioni “a costo limitato” (se non addirittura a costo zero). In particolare, nel confronto europeo un punto di Pil è quello che ci manca per raggiungere la media europea di risorse pubbliche dedicate alle politiche familiari: è quello che manca alle nostre famiglie povere, alle nostre politiche di sostegno alla natalità e alle famiglie con figli e con carichi assistenziali (con disabili e/o anziani fragili). Questo è lo spread di cui il nostro governo dovrebbe occuparsi, oggi.
  2. Rilanciamo quindi, come orizzonte di medio periodo la proposta di impegnare, nell’orizzonte temporale della legislatura, un punto di PIL in più da dedicare alle politiche familiari. Si tratta di investire sulla famiglia almeno 3 miliardi di euro ogni anno, dal 2014 al 2018. Ovviamente questo spostamento si può costruire, in tutto o in parte, anche attraverso una revisione degli attuali strumenti di sostegno fiscale ed economico; però certamente non è credibile – né accettabile – sottoporre a tagli le già scarse risorse in gioco.
  3. Il tema dell’Alleanza della famiglia, infine, citato dal Piano nazionale del 2012, richiama il principio di sussidiarietà, vale a dire la realizzazione di un modello di welfare society, a livello nazionale e locale, che è ormai parte integrante e ineliminabile di ogni serio e moderno approccio all’implementazione di politiche familiari e sociali appropriate. In esso le famiglie non sono utenti da assistere, ma protagoniste del loro percorso. Allo Stato e agli altri attori sociali spetta la costruzione o la rimodulazione di “infrastrutture sociali” capaci di rispettare e valorizzare la libertà di azione della famiglia: soggetto sociale, economico, solidaristico, giuridico. Il fisco è una di queste infrastrutture sociali, che oggi, nel nostro Paese, penalizza i carichi familiari, anziché sostenerli selettivamente. Noi siamo convinti che trasformarlo in un “fisco a misura di famiglia” lo renderà più equo e più efficace.

Riflessioni a partire dall’intervento di Francesco Belletti, presidente del Forum,

www.forumfamiglie.org/news.php?news=887

Sì all’adozione da parte delle famiglie affidatarie.

Il Forum aderisce al documento del Tavolo nazionale.

            Il Forum delle associazioni familiari aderisce al documento presentato nelle scorse settimane dal Tavolo nazionale affido a proposito del disegno di legge in materia di adozioni dei minori da parte delle famiglie affidatarie. E’ un segnale importante della capacità di fare rete, tra i soggetti di società civile, quando si mettono al centro bisogni reali e priorità assolute, come la tutela del benessere dei bambini attraverso l’accoglienza familiare, anche a fronte delle diversità di carismi, culture di riferimento, scelte organizzative ed operative.                                         www.forumfamiglie.org/allegati/documento_730.doc

vedi     newsUCIPEM n. 529 – 18 gennaio 2014, pag. 3

Nel merito, è senz’altro positiva l’attenzione al diritto alla continuità degli affetti che sarebbe garantita dal passaggio da famiglia affidataria a famiglia adottiva e dall’allungamento del periodo di affidamento. Ma è altresì importante che venga sottolineato, come fanno le associazioni del Tavolo, che il passaggio da famiglia affidataria ad adottiva non può essere considerato un automatismo ma, semmai, un’opzione limitata ai pochi casi in cui i genitori sono in possesso dei requisiti fissati dalla legge. La materia richiede sì un intervento ma non “qualunque sia”. Per non innescare il consueto meccanismo per cui “dai casi particolari” si cercano di smantellare i principi fondativi delle norme oggi vigenti.

Alcuni aggiustamenti ed approfondimenti sono possibili, e forse necessari, ma è comunque urgente che il testo Puglisi entri tra le priorità della Commissione giustizia del Senato.

Comunicato stampa 25 febbraio 2015                   www.forumfamiglie.org/comunicati.php

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

La Valle e il Papa argentino, «venuto a riaprire la questione di Dio».

Che cosa è venuto a fare papa Francesco? Qual è il senso del suo pontificato? Nella gara tra vaticanisti e cultori di cose religiose ad arrivare primi, con instant book e librini fondati su una velocità pari alla caducità, Raniero La Valle giunge ben ultimo, ma con un testo tra i più pensati e dal respiro ampio ( Chi sono io, Francesco? Cronache di cose mai viste, Ponte alle Grazie, 204 pagine, 15 euro, in libreria).

E di cose il giornalista di lungo corso La Valle, giunto alla soglia degli 84 anni, ne ha viste parecchie. Ha raccontato il Concilio sull’Avvenire d’Italia, di cui fu giovane direttore. È stato parlamentare per la Sinistra indipendente. Ha scritto libri e diretto riviste. Ha combattuto la battaglia nonviolenta per la pace. Ha girato il mondo. Continuando comunque a ‘raccontare il Concilio, la sua stella polare o, se preferite, la sua magnifica ossessione. Il Concilio interrotto, secondo lui mai davvero attuato perché mai davvero amato da chi invece avrebbe dovuto amarlo.

Poi arriva il Papa argentino e sulla sua ‘rivoluzione’ grandinano parole, applausi, elogi, qualche fischio, alcuni distinguo. Ma qual è davvero la sua novità, oltre le scarpe nere e il suo ostinato voler risiedere a Santa Marta disertando le sacre stanze del palazzo apostolico? Oltre ai suoi modi inusuali, le sue metafore ardite che mandano in confusione traduttori ed esegeti? La Valle procede in modo sistematico, da analista rigoroso che ha sì una tesi da dimostrare, ma per dimostrarla non ha bisogno di trucchi e inganni. Magari illumina aspetti della personalità e delle azioni di Francesco lasciandone nella penombra altri. Ma la sua tesi è degna di nota e vale, da qui in poi, di essere presa in considerazione.

Il Papa che di sé dice: «Non sono venuto a giudicare» è venuto a dirci «chi è Dio», a «riaprire la questione di Dio». Un Dio troppo stesso travisato, manipolato, oscurato. Lo stesso cambio di passo del Concilio riguarda Dio. Un Dio per il quale valga il verbo, intraducibile, primerear, ossia ‘Dio viene prima’, ci precede. E un Papa che viene – altro verbo intraducibile – a misericordiare, ossia a ‘guardare con amore’, senza affannarsi a giudicare. Scrive La Valle: «Non basta la riforma della Chiesa per rinnovare la faccia della terra, ci vuole un nuovo annuncio di Dio».

La soglia della prima missione affidata dal Conclave a Bergoglio si sposta più avanti. La Chiesa va riformata sì, ma affinché possa veramente mostrare Dio. A chi? A un «popolo di Dio» che La Valle allarga, oltre i battezzati, oltre la Chiesa, fino all’umanità intera. Ma è anche un Papa che, mostrando il volto di Dio, svela quello dei poteri: «Il mondo è nudo», sembra dire il Papa-bambino capace di chiamare con il suo nome la «società dell’esclusione», fino a indurre, alla vigilia del Natale scorso, il Corriere della sera a muovere contro di lui: non tanto per porsi in generosa sintonia con il «cattolico medio», ma per la condanna radicale e reiterata da parte di Bergoglio dell’attuale sistema economico- sociale. E c’è un precedente: lo stesso quotidiano «aveva scatenato Indro Montanelli», poi pentito, contro Giovanni XXIII ai tempi del Concilio.

Ci sono tutti i La Valle. Il credente tenacemente schierato a sinistra, con le Comunità di base e con ‘Noi siamo Chiesa’. Il pacifista di tante battaglie. L’anticapitalista rimasto tale anche a marxismo tramontato. C’è, ma senza le punte polemiche che pure sarebbe logico attendersi e senza togliersi i sassi dalle scarpe (solo qualcuno, piccolo). Come se il tempo lo avesse ‘asciugato’. Piaccia o non piaccia, il suo libro su Francesco merita la lettura.

Umberto Folena         “Avvenire”, 26 febbraio 2015                      http://ranierolavalle.blogspot.it/

http://ranierolavalle.blogspot.it/2015/02/la-valle-e-il-papa-argentino-venuto.html

Chi sono io, Francesco? Cronache di cose mai viste.

Da giovedì 26 febbraio è in libreria un libro dal titolo “Chi sono io Francesco?”, nel quale si cerca di capire qual è la vera novità di questo papa, vista non tanto come una novità  nella Chiesa quanto nello stesso annuncio cristiano

Per mille anni, a partire dalla “rivoluzione papale” di Gregorio VII, i papi si sono rivolti al mondo dicendo: “lei non sa chi sono io”, intendendo dominare “su re e regni”, dettare i pensieri dei cuori e determinare le scelte anche più segrete degli uomini e dei fedeli. Ora c’è la rivoluzione papale di papa Francesco che dice: “chi sono io?”, chi sono io per giudicare, per condannare, per escludere dalla comunione sostituendomi a Dio? E perciò come san Francesco si spoglia degli abiti del dominio e degli orpelli del potere, apre le porte, va a cercare gli esclusi, sconfessa i violenti, vuole che il denaro non sia signore ma servo, tira fuori il Concilio dopo 50 anni di morfina e annuncia un mondo dove “buonasera” vuol dire davvero buona sera. E così facendo svela il vero desiderio di Dio. Questo libro racconta questa novità vista da vicino, da Roma, dove dopo due anni di pontificato, si è appena agli inizi. 

Editore Ponte Alle Grazie   pagine 224 ISBN-13 9788868332792Prezzo € 14,00

http://ranierolavalle.blogspot.it/2015/02/chi-sono-io-francesco-cronache-di-cose.html

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GENITORI

            Azione per la “reintegrazione” del genitore nella pienezza della responsabilità genitoriale.

Tribunale di Milano, nona Sezione civile, decreto 11 febbraio 2015

            Competenza del Tribunale dei Minorenni. La domanda del genitore diretta ad ottenere una modifica dei provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale deve essere qualificata come domanda ex art. 333 comma 2 c.c, posto che le limitazioni ex art. 333 c.c. sono sempre modificabili e revocabili ai sensi del secondo comma della citata norma. L’art. 38 disp. att. c.c come modificato dalla legge 219/2012 ha previsto in via generale la competenza del Tribunale dei Minori per i procedimenti di cui all’art. 333 c.c senza operare alcuna distinzione tra le ipotesi di cui al primo e al secondo comma dell’art. 333 c.c, con la sola eccezione per cui i provvedimenti di cui alla suddetta disposizione vengono attratti alla competenza del Tribunale Ordinario nell’ipotesi in cui sia in corso tra le stesse parti un giudizio di separazione o divorzio o un giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c.

In altri termini, l’azione ex art. 333 comma 2 c.c. proposta in via autonoma non rientra nella competenza del Tribunale Ordinario, ipotizzabile sempre soltanto nel caso in cui penda un procedimento di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c.c tra le stesse parti (v. art. 38, comma I, disp. att. c.c.) e la competenza del Tribunale per i Minorenni si estende anche al provvedimento di modifica o revoca delle limitazioni genitoriali, trovando la sua disciplina normativa in seno all’art. 333 comma 2 c.c., come richiamato anche in parte qua dall’art. 38 disp. att. c.c..

Giuseppe Buffone  Il Caso.it n.12144, 25 febbraio 2015     Il testo integrale

www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fam.php?id_cont=12144.php

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MATRIMONI

La famiglia cambia mentre la politica dorme.

Più separazioni e basta matrimoni in chiesa. Inchiesta dell’Espresso

In pochi anni il nucleo della nostra società ha subito una rivoluzione. Quasi un matrimonio su due non è religioso, crescono le convivenze mentre i divorzi calano per colpa della crisi. E se il Paese continua ad essere diverso tra Nord e Sud e città e campagna, la domanda di leggi più moderne rimane inevasa per tutti.

            Matrimoni in calo costante da cinquanta anni. Un divorzio ogni quattro coppie sposate. Quasi metà delle nozze celebrata con rito civile e una coppia ogni dieci composta da conviventi. La famiglia italiana raccontata con i dati dell’Istat lascia pochi dubbi su quanto sia cambiata la scala di valori nel Belpaese, sempre meno legato all’idea tradizionale di famiglia e allergico ai legami «per sempre».

            L’Italia di oggi è molto diversa non solo da quella di cinquanta, ma anche di venti o dieci anni fa. Differente anche da quella rappresentata dalla televisione pubblica. E, per quanto la politica provi a ignorare o rimandare le riforme in tema di famiglia e diritti riproduttivi, sui temi etici gli italiani hanno già fatto quel salto che i loro legislatori non sembrano voler accompagnare.

            Molto si è detto sulla costante diminuzione del numero di matrimoni, ma per avere un quadro dai contorni più definiti sulla realtà del paese, abbiamo rapportato una serie di dati sulle unioni alla popolazione residente.

            Se nel 2013 si sono sposati 32 italiani ogni diecimila abitanti, nel 1961 erano più del doppio: 79 ogni diecimila (un calo del 59 per cento). Confrontando il dato più recente con quello di cinque o dieci anni prima, la voglia di sposarsi risulta in forte diminuzione: il 22 per cento meno del 2008, e meno 30 per cento rispetto al 2003. Il fenomeno è anche in parte dovuto, come spiega l’Istat, a un «effetto struttura», ovvero il calo delle nascite che ha interessato il nostro paese dalla metà degli anni 70, ha prodotto oggi un calo fisiologico della popolazione in età da prime nozze.

            Guardando l’andamento nazionale dei matrimoni salta immediatamente all’occhio, inoltre, il crollo verticale tra il 1971 e il 1981. Sono gli anni delle battaglie civili, alle quali partecipa attivamente anche il nostro settimanale. Nel dicembre del 1970 il divorzio diventa legge, e per quanto ciò non abbia influenza sulla regolamentazione del matrimonio, quel che accade dà il senso del cambiamento culturale in atto nel paese. Per la prima volta viene cioè ridimensionata l’idea del matrimonio come evento centrale, persino inevitabile, dell’età adulta. In quel decennio i matrimoni caleranno, infatti, del 25 per cento.

            È il Friuli Venezia Giulia a registrare il calo più significativo tra 2000 e 2011, in undici anni matrimoni quasi dimezzati: meno 46 per cento. Seguono Umbria (meno 43), e Campania (meno 36,5 per cento). Tiene invece la Calabria, che vanta oggi il numero più alto di matrimoni per abitante, quarantuno per diecimila, con un calo di «soli» undici punti rispetto al 1999. Maglia nera per numero di matrimoni invece, insieme alla «rossa» Emilia Romagna c’è la Lombardia targata Formigoni, che detiene il minor numero di matrimoni per abitante, 27 ogni diecimila. Segno che la politica non cambia i costumi.

            E se il calo dei matrimoni poteva non rappresentare una novità assoluta per i più informati, a sorprendere è certamente il fatto che in molte regioni sono ormai oltre la metà gli italiani che preferiscono sposarsi davanti a un ufficiale di stato civile piuttosto che a un prete.

            Nel 2013 il 43 per cento dei cittadini ha messo da parte la religione per il suo «giorno più bello». È una società irriconoscibile se confrontata con quella di venti anni prima. Qui le differenze tra Nord e Sud sono piuttosto grandi, ed emerge un paese diviso in due. Con le regioni settentrionali altamente secolarizzate, dove i matrimoni concordatari – cioè cattolici – sono in minoranza, oscillando tra il 46 per cento del Piemonte e il 39 della Valle d’Aosta, e il meridione, dove il matrimonio davanti all’altare è ancora prevalente, con valori che oscillano tra l’86 per cento della Basilicata e il 53 della Sardegna.

            Ancora più interessanti sono i dati delle città. La vista che segue mostra le graduatorie dei comuni capoluoghi, in base alla percentuale di matrimoni civili e cattolici. Il terzo grafico invece raccoglie il dato sui matrimoni civili in tutti gli oltre ottomila comuni italiani.

            Nelle città del nord e del centro i matrimoni civili sono ormai in netta maggioranza, raggiungendo punte superiore all’83 per cento a Siena e Bolzano e con altre tredici grandi città oltre il 70 per cento, compresi capoluoghi di regione come Milano, Firenze, Bologna, Trieste e Aosta. Numericamente, in ben più della metà dei capoluoghi italiani, prevalgono i «sì» laici. In questa parte della graduatoria non è presente nessuna città del Mezzogiorno, fatta eccezione per qualche comune sardo e abruzzese.

            Le grandi città del meridione che compaiono per prime sono Catania, con il 43,3 per cento di matrimoni non religiosi, e Napoli, con il 35,4. Tutte le altre sono ben al di sotto di questi valori. È da notare anche che, di norma, la percentuale di matrimoni civili nelle città è sempre più alta rispetto al corrispondente dato regionale. Ciò significa che, senza distinzioni tra nord e sud, il matrimonio religioso è sempre più radicato nelle campagne e nei piccoli centri rispetto alla città.

            Anche le convivenze sono in crescita. Nel nord Italia rappresentano ormai il 10 per cento delle coppie, mentre si attestano al 7 per cento nelle regioni centrali. Valori decisamente più bassi al sud, dove resiste il concetto di famiglia tradizionale: sposata e in chiesa. Qui, infatti, convivono solo tre coppie su cento. In tutti i casi occorre tenere presente che le convivenze formatesi per ragioni affettive, cioè quelle rappresentate da questi dati, sono composte sia da quanti intendono la scelta come alternativa al matrimonio, sia da coloro che la considerano solo un passaggio intermedio. In ogni caso, con l’eccezione del centro Italia che passa dal 5 al 7 per cento, tanto al nord quanto al sud tutti i valori sono più che raddoppiati rispetto a dieci anni prima.

            L’annus horribilis per le unioni matrimoniali è il 2011: secondo i dati Istat, a cento coppie che si sono sposate, hanno fatto da contraltare 43,4 separazioni e 26,3 divorzi. Valori che l’anno successivo, il 2012, hanno visto una diminuzione, lieve per quanto riguarda le separazioni e più marcata per i divorzi: meno 6,5 per cento. È il primo calo significativo dai tempi dell’introduzione di questo istituto nel nostro ordinamento.

            Ciò indurrebbe a pensare che stia tornando l’armonia tra le coppie italiane. Tuttavia confrontando questo andamento con quello sulle separazioni si svela una storia più prosaica. In crescita dal dopoguerra e dopo una temporanea flessione alla metà degli anni duemila, le separazioni hanno continuato a crescere fino a raggiungere, nel 2011, il record di 15 per diecimila abitanti.

            I divorzi diminuiscono, ma le separazioni aumentano. Cosa accade? La ragione di questa controtendenza la si può trovare nei soldi, tanti, che le coppie devono spendere per sciogliere la loro unione. Dal momento che questa flessione coincide con l’inizio della crisi economica italiana, e tenendo conto dei tre anni canonici che occorrono per un divorzio (se tutto va bene), è piuttosto probabile che un numero crescente di famiglie desista da questa scelta, optando per una più semplice separazione.

            Scendendo nel dettaglio regionale emergono però i dati più interessanti. Il nord est è da sempre l’area con il maggior numero di divorzi pro capite: nel 2012 in Valle D’Aosta se ne registravano 14,8 per diecimila abitanti, in Liguria 13,4, e in Piemonte 12,1, contro una media italiana di 8,6. Al di sotto di questa soglia solamente il Veneto, in ossequio al suo appellativo di «bianco», con 8 divorzi per diecimila abitanti.

            Nel centro Italia la situazione rispecchia la media del paese sia per le separazioni che per i divorzi, con l’eccezione del Lazio. È proprio intorno alla capitale della cristianità che divorzi e separazioni decollano: rispettivamente 18,4 e 9,4 contro medie nazionali di 14,9 e 8,6.

            Ma è al sud che si riscontra la crescita maggiore negli ultimi anni. Cliccando sulle regioni è possibile osservare questo fenomeno con il grafico a sinistra. Mentre molte regioni del nord seguono un andamento contrastante, e in calo per qualcuna, al sud aumentano i divorzi e soprattutto le separazioni, che in Campania e Sardegna impennano, portando queste due ai livelli del nord Italia.

            Nonostante il leggero calo generalizzato di separazioni e divorzi nell’ultimo anno considerato, il 2012, siamo di fronte a un fenomeno nuovo. Nel nord non cessa il processo di secolarizzazione in atto dal dopoguerra, mentre il sud con il drastico calo dei matrimoni e il repentino aumento di divorzi e separazioni sembra voler salire sul treno in corsa.

            Con uno Stato che non riesce a essere pienamente laico, una politica sorda ai richiami dei cittadini che reclamano riforme in senso moderno e inclusivo degli istituti giuridici in tema di famiglia e diritti riproduttivi, gli italiani sono comunque determinati a smarcarsi da quel modello culturale che impone loro regole di vita dettate da sensibilità e precetti religiosi sempre più marginali nella società italiana.

Lorenzo Di Pietro      espresso          23 febbraio 2015

http://espresso.repubblica.it/inchieste/2015/02/23/news/la-famiglia-cambia-politica-dorme-separazioni-e-basta-matrimoni-in-chiesa-1.196530

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MINORI

Il cervello dei bambini fuori famiglia

Un problema che riguarda 15 mila minori ospiti nelle comunità educative in Italia. I cervelli dei bambini abbandonati che vivono (e rimangono) in comunità di assistenza non caratterizzate da relazioni familiari (Istituti, comunità educative) subiscono delle alterazioni a livello neurologico: delle vere e proprie cicatrici. A differenza di quelli che, invece, sono accolti da famiglie affidatarie o in casa famiglia. A metterlo nero su bianco è uno studio dei ricercatori dell’ospedale dei bambini di Boston, Harvard Medical School, che nel 2001 hanno analizzato gli effetti dell’istituzionalizzazione prolungata sui cervelli dei bambini ospiti negli orfanotrofi di Bucarest. Prima di questa ricerca, a Bucarest non c’era un programma di adozioni, iniziato con l’attività del gruppo statunitense.

Il risultato è scientifico: alterazioni nella microstruttura della materia bianca con deficit di collegamento che spiegano anche i disturbi comportamentali, cognitivi e nella gestione delle emozioni. Difficoltà che invece non dimostrano di avere i minori che vanno in affido.

I ricercatori hanno preso in esame un gruppo di 136 bambini (di circa 2 anni) in orfanotrofio dalla nascita: sono stati suddivisi in due sottogruppi. Uno inviato in affidamento e l’altro rimasto in orfanotrofio. Tutti questi bambini sono stati osservati per circa 8 anni ad intervalli regolari, valutando il loro sviluppo intellettivo e comportamentale fino a un’età di 9-11 anni. Infine, alcuni bambini di ciascun gruppo sono stati sottoposti a un’indagine cerebrale realizzata con la tecnica della Diffusione del tensore: una tecnica che consente di visualizzare i fasci di fibre che connettono le aree cerebrali tra di loro.

Nei bambini istituzionalizzati l’area retro-lenticolare (che fa parte del sistema visivo) è ispessita e quindi più funzionale: come se negli orfani che vivono negli orfanotrofi ci sia un’iperattività visiva indotta dalla necessità di stare sempre in allerta e una scarsa sensibilità tattile, un ottundimento delle sensazioni corporee conseguente alla mancanza di carezze e più in generale di contatto fisico umano. I bambini in affidamento invece mostrano immagini cerebrali del tutto simili ai bambini che vivono in famiglia.

I circuiti cerebrali che sono risultati modificati nei bambini abbandonati sono di particolare importanza. Il corpo calloso è la grande struttura di connessione tra i due emisferi cerebrali: un suo minor sviluppo crea difficoltà a integrare i vari tipi di informazioni (visive, acustiche, motorie) elaborate da aree diverse del cervello con conseguenze di tipo percettivo, cognitivo e linguistico.

Le conseguenze dello studio sono indicate dagli stessi autori. La prima: si dimostra che il cervello è plasmabile da condizioni avverse in particolare, ma non solo, nelle prime fasi della vita. La seconda: finalmente l’efficacia dell’affido familiare nel recuperare i danni cerebrali dell’abbandono ha un’evidenza scientifica a sostegno delle scelte politiche.

Un’indicazione utile anche per l’Italia che ha abolito nel 2006 gli orfanotrofi ma in questo momento ha circa 15 mila minori in comunità educative (precisamente 14.255) su un totale di 28.449 minori fuori dalla famiglia di origine. Ancora troppi: di questi, infatti, solo 14.194 sono in affido.

La cura? Nessun farmaco…ma solo tanto amore che un padre e una madre possono dare e non certo gli operatori di un orfanotrofio.

Fonte: Jama Pediatrics Aibi             25 febbraio 2015        www.aibi.it/ita/category/archivio-news

 

#5buoneragioni: Incontro a Firenze.

Continua il tour per spiegare la realtà dei minorenni allontanati dalla propria famiglia a opinione pubblica e mass media. Oltre 700 persone a Torino, Milano, Bologna, Napoli, Bari Palermo e Ancona per raccontare la realtà dei minorenni allontanati dalla famiglia. Il tour organizzato da #5buoneragioni – la rete promossa da Agevolando, CISMAI, CNCA, CNCM, Progetto Famiglia e SOS Villaggi dei Bambini –si  concluderà a Firenze il 9 marzo 2015.

Scopo del tour è raccontare la realtà dei minorenni allontanati dalla propria famiglia, a partire da un’analisi dei dati disponibili (il punto di riferimento per chiunque voglia confrontarsi sono quelli prodotti dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza per conto del Governo italiano), e dalle voci di magistrati, assistenti sociali, educatori, ma soprattutto ragazzi che sono stati in comunità o in affido e madri che hanno visto i loro figli fare questa esperienza.

            “Sono state bellissime giornate”, dichiara don Armando Zappolini, presidente del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA), “che ci ripaga ampiamente di un attacco mediatico indiscriminato che ormai da tempo si rivolge all’intero sistema che si prende cura dei minorenni ‘fuori famiglia’ e dei loro genitori. Per questo ci ha fatto molto piacere vedere al nostro fianco responsabili delle istituzioni come il sindaco di Napoli Luigi De Magistris e il presidente del consiglio regionale della Puglia Onofrio Introna, garanti per l’infanzia e l’adolescenza, presidenti dei tribunali per i minorenni e, soprattutto, tantissimi ragazzi e ragazze che sono stati ospiti in comunità di accoglienza, oltre che diversi genitori. Non ci scoraggiamo e andiamo avanti, perché sappiamo bene quali sono le storie delle persone che incontriamo nel nostro lavoro, la sofferenza, le contraddizioni e la complessità che le caratterizzano. E da qualche decennio noi e tanti altri stiamo cercando di essere vicini a ragazzi e genitori, con umiltà ma – crediamo – anche con competenza e passione.”

Si svolgerà a Firenze, lunedì 9 marzo dalle 10 alle 13,30 presso l’Istituto degli Innocenti, l’ulteriore tappa del tour di #5buone ragioni per accogliere e tutelare i bambini che vanno protetti, durante la quale verranno presentate #5buone proposte per accogliere e tutelare i bambini che vanno protetti, che i promotori rivolgeranno ai rappresentanti delle istituzioni invitate a discuterne in una tavola rotonda.

Da qualche anno è cresciuto l’interesse di trasmissioni televisive e testate della carta stampata per i bambini e i ragazzi allontanati dalla loro famiglia in seguito a un provvedimento del Tribunale per i minorenni. Per questa ragione i promotori dell’iniziativa hanno ritenuto fosse arrivato il momento di raccontarsi, invece di “essere raccontati”, di far conoscere i volti, le esperienze e i numeri che riguardano un lavoro difficile e appassionante: quello di aiutare un bambino, una ragazza, i loro genitori, a “ripartire”, a ricostruire la propria vita dopo una vicenda difficile e, a volte, drammatica.

È stata dunque preparata una fotografia dettagliata della situazione, attraverso un’analisi dei dati disponibili, ed è stato dato spazio ai ragazzi che sono stati in comunità, ai genitori che hanno accompagnato i loro figli in questo percorso, agli operatori che da molti anni sono impegnati in questo settore. Questo a partire dal manifesto “#5 buone ragioni per accogliere i bambini e i ragazzi che vanno protetti”, nato per chiarire all’opinione pubblica alcuni aspetti fondamentali che riguardano i minorenni allontanati dalla loro famiglia. La tappa di Firenze all’Istituto degli Innocenti del 9 marzo 2015 è la conclusione di questo percorso in cui a partire dalle #5buoneragioni presenteremo alle Istituzioni competenti le nostre 5 buone proposte per migliorare il sistema di presa in carico dei minorenni “fuori famiglia” e assicurare qualità e trasparenza nelle strutture di accoglienza.

9 marzo 2015 ore 10-13,30, Istituto degli Innocenti– Firenze, Piazza della Santissima Annunziata, 12

  • Alessandra Maggi Presidente Istituto degli Innocenti
  • Grazia Sestini Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza Regione Toscana*
  • Laura Laera Presidente Tribunale per i Minorenni di Firenze
  • Dario Merlino, presenta 5 buone proposte per accogliere i bambini che vanno protetti
  • Tavola rotonda con le istituzioni in risposta alle proposte
    • Ministro del lavoro e politiche sociali
    • Ministro della giustizia
    • Commissione parlamentare infanzia e adolescenza, Sandra Zampa, vicepresidente Conferenza delle Regioni e Province Autonome, Commissione politiche sociali
    • Stefania Saccardi, vicepresidente e Assessore alle Politiche sociali Regione Toscana
    • Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza
    • Presidente ANCI

Per partecipare all’incontro è necessario registrarsi entro venerdì 7 Marzo alle ore 15 utilizzando il seguente link:            http://goo.gl/2PNLnJ             Per info: 5buoneragioni@gmail.com                       www.cnca.it

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NULLITÀ DEL MATRIMONIO

Esecuzione della sentenza ecclesiastica bloccata dal limite dell’ordine pubblico

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 2398, 9 febbraio 2015.

            Scatta il limite dell’ordine pubblico, ai sensi dell’articolo 64 della legge n. 218/95, nel caso di delibazione di una sentenza ecclesiastica che sancisce la nullità del matrimonio, dopo molti anni di convivenza coniugale. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di una donna che si opponeva alla declaratoria di efficacia della sentenza pronunciata dal Tribunale ecclesiastico, alla quale aveva già dato il via libera la Corte di appello di Bologna.

Il ricorso era fondato sull’eccezione del limite dell’ordine pubblico anche in ragione del procedimento dinanzi al tribunale ecclesiastico che, secondo la ricorrente, si era svolto in violazione del contraddittorio. La Cassazione non si è soffermata su questo punto ma ha ritenuto che non potesse essere delibata la pronuncia del tribunale ecclesiastico per il limite dell’ordine pubblico che si applica proprio per salvaguardare il matrimonio-rapporto caratterizzato, nel caso di specie, da una convivenza molto lunga e dalla nascita di tre figli. Di qui il no all’esecutività della sentenza ecclesiastica.

            Marina Castellaneta  25 febbraio 2015    www.marinacastellaneta.it/blog/category/delibazione

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OMOFILIA

Novità che scaldano il cuore: cattolici lgbt in prima fila all’udienza del Papa.

Accolti in Vaticano come persone importanti, fatte accomodare all’udienza generale di mercoledì 18 febbraio nelle file dei “vip”: è un clima del tutto nuovo quello che hanno vissuto i 50 pellegrini del movimento cattolico statunitense per i diritti degli omosessuali New Ways Ministry, guidato da suor Jeannine Gramick, affiancati dal gruppo londinese lgbt della chiesa di Farm Street.

Nei suoi 38 anni di vita, New Ways Ministry non aveva mai ricevuto una simile accoglienza. Lo scorso dicembre, suor Gramick aveva scritto a papa Francesco, chiedendogli un incontro personale in occasione del pellegrinaggio programmato per questo febbraio (pellegrinaggio che ha toccato anche Firenze e Assisi, e durante il quale i pellegrini di New Ways Ministry hanno incontrato anche il gruppo fiorentino di cattolici lgbt Kairos e quello di Nuova Proposta, a Roma), e all’inizio di febbraio ha ricevuto una lettera di mons. Georg Gaenswein, prefetto della Casa pontificia (oltre che segretario particolare di Ratzinger), il quale le comunicava di averle riservato i biglietti per l’accesso all’udienza del Mercoledì delle ceneri.

Solo il giorno stesso si è resa conto che si trattava di posti destinati ai “vip” e, benché non ci sia stata l’occasione di salutare il papa di persona, questa accoglienza è stata fonte di grande entusiasmo: «Questo dice – ha affermato subito dopo la Gramick – che nella nostra Chiesa c’è un movimento, un movimento di accoglienza delle persone dai margini verso il centro». L’udienza privata che era stata auspicata non ha avuto luogo, dunque, ma l’invito a quella generale è stato ugualmente gradito, come segno di un cambiamento rilevante rispetto al passato. Cambiamento che è iniziato già negli Stati Uniti, dal momento che è stato il conservatore – di certo non sostenitore della causa lgbt – vescovo di San Francisco mons. Salvatore Cordileone a scrivere in Vaticano, lo scorso dicembre, dopo un incontro con Gramick, chiedendo per i pellegrini gay la possibilità di partecipare all’udienza.

Stesso discorso per il gruppo londinese: il card. Vincent Nichols, a Roma in occasione del recente Concistoro, si è fatto portavoce del desiderio della comunità lgbt di Farm Street in un messaggio in cui assicura ai pellegrini le proprie preghiere e la propria benedizione: «Possiate con le vostre preghiere – si legge nell’affettuoso messaggio del cardinale, che ha sempre sostenuto la causa dei cattolici lgbt – volgere gli sguardi al volto misericordioso di Gesù, che vi conduce all’amore senza fine. Vi darà la grazia di essere i suoi discepoli missionari. Possiate guidare anche altre persone alla famiglia della Chiesa, fondata dagli Apostoli, insegnando come seguire fedelmente Gesù in tutti gli aspetti delle nostre esistenze. Le vostre vite potranno così dare una vera testimonianza a tutti coloro che lottano per trovare l’amore di Dio. Solo Gesù può donare la gioia e la pienezza che cerchiamo. Restiamo vicini a Lui. Siate certi delle mie preghiere per ciascuno di noi. Vi prego di pregare per me alla tomba dei Santi Pietro e Paolo e in tutti i luoghi sacri che visiterete. Fate buon viaggio. Dio vi benedica!».

«Credo che la reazione positiva della gerarchia cattolica dipenda dallo spirito di accoglienza di papa Francesco», ha commentato suor Gramick (Washington Post, 16/2/2015). «Queste novità scaldano il cuore di chi per lungo tempo si è sentito alienato ed emarginato. Ora siamo pieni di speranza». E nessuno meglio di lei può saperlo, visto che nel 1999 l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede card. Ratzinger la punì con l’obbligo del silenzio per il suo apostolato a fianco dei cattolici omosessuali definito «erroneo e pericoloso», «inaccettabile dal punto di vista dottrinale», perché aveva creato «confusione tra i cattolici e danno alla comunità ecclesiale» Nel 2000 si aprì un’indagine sul suo conto, durata più di 10 anni, nel corso della quale le fu impedito di testimoniare; e in tutto questo tempo l’atteggiamento dell’episcopato Usa nei confronti del suo gruppo è sempre stato piuttosto freddo.

Il passo compiuto dal papa rappresenta, ora, un deciso salto in avanti sulla questione. Un salto in qualche modo preannunciato da diverse affermazioni di questi due anni di pontificato: dal «Chi sono io per giudicare?» i gay, pronunciato nell’estate del 2013, alla affettuosa risposta alla lettera inviatagli dal gruppo di gay cattolici fiorentino Kairos, dalle discussioni al centro del Sinodo sulla famiglia dello scorso ottobre, che hanno toccato anche la questione degli omosessuali, al recente incontro con un transessuale spagnolo, allontanato dalla parrocchia per il cambio di sesso. «Anche se i cattolici lgbt sperano nel cambiamento, sono abbastanza realisti da capire che Francesco potrebbe non determinarli, ma che certo sta muovendo dei passi molto importanti per la loro vita spirituale», ha detto il direttore di New Ways Ministry, Francis de Bernardo. «Guardiamo lontano – gli ha fatto eco la Gramick – e ogni passo è un progresso».

Ludovica Eugenio      adista notizie n. 8- 28 febbraio 2015

www.adistaonline.it/index.php?op=articolo&id=54754

«Posso benedire le armi ma non i gay». Parroco svizzero cacciato dal vescovo

La decisione del parroco di Bürglen (Canton Uri) di benedire una coppia di donne lesbiche del suo paesino non è andata a genio al vescovo di Coira, Vitus Huonder che, venuto a conoscenza dell’audace gesto di don Wendelin Bucheli, risalente a ottobre scorso, ha pensato di spedirlo dall’altra parte della Svizzera, a Losanna, dove aveva ricevuto l’ordinazione.

adista notizie n. 8- 28 febbraio 2015                        www.adistaonline.it/index.php?op=numero&id=4295

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PARLAMENTO

            Camera 2° Comm. Giustizia                Accesso dell’adottato alle proprie origini.

Disposizioni in materia di accesso del figlio adottato non riconosciuto alla nascita alle informazioni sulle proprie origini e sulla propria identità.

C. 784 Bossa, C. 1874 Marzano, C. 1343 Campana, C. 1983 Cesaro Antimo, C. 1901 Sarro, C. 1989 Rossomando, C. 2321 Brambilla e C. 2351 Santerini.

25 febbraio 2015 La Commissione prosegue l’esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 17 febbraio 2015.

Giuseppe Berretta(PD), relatore, sottolinea che gli emendamenti da lui presentati sono volti ad accogliere quanto è emerso nel corso delle ultime audizioni svolte per verificare le modalità di interpello della madre naturale adottate da quei Presidenti dei tribunali per i minorenni che stanno applicando la legge secondo la giurisprudenza costituzionale in materia. (…) Rileva che dalle predette audizioni è emersa chiaramente l’esigenza che la disciplina legislativa dell’interpello che si intende introdurre nell’ordinamento sia flessibile al fine di poter adottare nel caso concreto tutte le cautele necessarie per salvaguardare la riservatezza della madre interpellata. (…)

Donatella Ferranti, presidente, dopo aver sottolineato l’esaustività delle audizioni svolte, rinvia il seguito dell’esame ad altra seduta.

/www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2015&mese=02&giorno=25&view=&commissione=02&pagina=data.20150225.com02.bollettino.sede00010.tit00020#data.20150225.com02.bollettino.sede00010.tit00020

Senato 2° Comm. Giustizia. Disciplina delle unioni civili

24 febbraio 2015 – Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili (…)

1745 Sacconi ed altri. Testo unico dei diritti riconosciuti ai componenti di un’unione di fatto.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/902395/index.html

1763 Romano Ed altri. Disposizioni in materia di istituzione del registro delle stabili convivenze.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/902796/index.html

            Prosegue l’esame congiunto, sospeso nella seduta del 26 novembre 2014.

pag. 17 di news n. 522 30.11.2014    www.ucipem.it/sito/sito/main.php?id=-1&ex=299&ir=228&it=3

La relatrice Monica Cirinnà (PD) avverte che la scorsa settimana sono stati presentati ed assegnati alla Commissione i disegni di legge n. 1745, d’iniziativa del senatore Maurizio Sacconi ed altri, recante un testo unico dei diritti riconosciuti ai componenti di una unione di fatto, e n. 1763, d’iniziativa del senatore Lucio Romano, in materia di istituzione del registro delle stabili convivenze.

Il disegno di legge n. 1745 ha lo scopo di evidenziare e raccogliere sistematicamente in un unico testo tutte le norme che l’ordinamento già prevede in materia di diritti dei conviventi, fino a costituire uno “statuto della convivenza”. (…)

Passando ad illustrare il disegno di legge n. 1763, la relatrice avverte che tale proposta normativa è volta a riconoscere i diritti di tutti coloro che convivono stabilmente, sia che si tratti di coppie eterosessuali, ovvero di coppie omosessuali, sia che si tratti di persone conviventi in quanto legate da vincoli di affettività, di parentela o anche da intenti di mutuo sostegno a fini solidaristici. (…) Il disegno di legge prevede in particolare l’istituzione di un registro delle stabili convivenze (articolo 3) presso l’anagrafe comunale; (…)

La relatrice propone infine di esaminare i disegni di legge nn. 1745 e 1763 congiuntamente con gli altri disegni di legge in titolo. (…). La Commissione conviene.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=904210

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SEPARAZIONI E DIVORZI

                        Divorzio/separazione con negoziazione assistita: se il P.M. non autorizza l’accordo

È possibile ripresentare la domanda adeguando l’intesa ai rilievi mossi dal pubblico ministero.

            Che succede se l’accordo per la separazione o il divorzio, fatto dai coniugi allo studio dell’avvocato con il nuovo meccanismo della negoziazione assistita (senza, quindi, l’intervento del giudice) non viene poi approvato dal Pubblico Ministero? La risposta viene da un recente provvedimento del tribunale di Torino [Trib. Torino, sent. del 15.01.2015], uno dei primi a dare maggiori dettagli sulla procedura appena introdotta dall’ultima riforma della giustizia Legge n. 162 del 2014].

Ricordiamo che il pubblico ministero potrebbe negare l’autorizzazione all’accordo raggiunto se questo non risponde agli interessi del figlio minorenne o maggiorenne ma non autonomo sul piano economico. Per esempio, un’intesa che nulla dica sul mantenimento della prole rischierebbe la sonora bocciatura da parte del P.M. La nuova legge stabilisce, infatti, che i coniugi, ciascuno rappresentato e assistito dal proprio avvocato, possano concludere un accordo volto a definire gli accordi della separazione o del divorzio. Tale intesa, dopo il vaglio del PM, andrà annotata negli atti di stato civile entro 10 giorni.

            Tuttavia, in caso di mancato assenso da parte del pubblico ministero, quest’ultimo trasmette l’accordo al Presidente del tribunale che fissa entro 30 giorni udienza di comparizione delle parti: in quel caso, la procedura prosegue in tribunale. In quella udienza, il Presidente, invitate le parti a comparire, le esorta ad adeguarsi ai rilievi del PM e, nel caso di disponibilità, procede ad autorizzare egli stesso la nuova intesa. Quindi, in buona sostanza, se i coniugi acconsentono alla modifica dell’accordo secondo le osservazioni della pubblica accusa, il procedimento di negoziazione assistita prosegue e l’atto potrà essere annotato negli atti di stato civile.

Viceversa, se tale adeguamento non avviene per mancata intesa delle parti, allora l’unica via resta quella giudiziale ordinaria [ex art. 711 cod. proc. civ.]. In questo caso ogni eventuale intesa raggiunta con la negoziazione assistita si intenderà rinunciata e abbandonata dalle parti: il relativo fascicolo sarà archiviato a seguito di una pronuncia di “non luogo a provvedere”. Dall’altro lato verrà incardinato un procedimento secondo il rito tradizionale.

            La legge per tutti       26 febbraio 2015

www.laleggepertutti.it/80116_divorzioseparazione-con-negoziazione-assistita-se-il-p-m-non-autorizza-laccordo

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SESSUOLOGIA

Se Eros diventa un esercizio filosofico.

L’amore è un fenomeno ambiguo che può essere rappresentato con il volto bellissimo e benevolo della Venere di Botticelli oppure con quello sformato e malevolo dell’Amorino dormiente di Caravaggio. I greci l’avevano compreso alla perfezione e per questo chiamavano Afrodite sia Urania (celeste) sia Pandemia (volgare). Ogni giorno gli esseri umani si dichiarano “ti amo” e ogni giorno una ventina di donne nel mondo vengono uccise “per amore”. A ragione quindi Moreno Montanari intitola il suo nuovo libro Gli equivoci dell’amore.

In quanto filosofo, Montanari si interroga anzitutto sulla capacità conoscitiva dell’amore: l’amore illumina la mente oppure l’acceca? Contribuisce a conoscere la realtà, oppure genera illusioni? Chi ama conosce di più o conosce di meno rispetto a chi non ama? La tesi di Montanari è che “l’amore sa”, come vuole la tradizione platonica in filosofia e quella agostiniana in teologia. Non si deve dimenticare però che per altre scuole la conoscenza autentica si ottiene solo liberandosi dalla passione dell’amore: così gli stoici parlavano di apatheia, gli epicurei di atarassia, Sant’Ignazio di Loyola di santa indifferenza, e il Dhammapada, uno dei testi più importanti della tradizione buddista invita a “non considerare caro alcunché” perché “dall’affetto sorge il dolore”. Chi avrà ragione?

Io penso che vi siano elementi per sostenere che chi ama conosce l’amato meglio di chiunque altro, e che insieme ve ne siano per sostenere l’opposto, che l’amore cioè porta a vedere nell’amato qualità che non ci sono e a non vedere difetti sotto gli occhi di tutti. Se è vero poi che l’amore ha una capacità penetrativa, è altrettanto vero che anche l’odio ne ha, si pensi per esempio alla perversa lucidità di Jago. Avvertendo tutto ciò, Auden scrisse il celebre verso: “O, Tell me the truth about love”, che nella splendida traduzione di Gilberto Forti diviene: “La verità, vi prego, sull’amore”. Ma qual è la risposta?

Secondo Montanaril’amore deve essere vissuto come «un vero e proprio esercizio spirituale» mediante cui il soggetto si libera del desiderio rivolto a sé per orientarlo alla verità dell’altro e del reale. Così da potenziale trappola, esso diviene una potente energia investigativa, per descrivere la quale Montanaricita efficacemente Giordano Bruno negli Eroici furori: «L’amore illustra, chiarisce, apre l’intelletto e fa penetrar tutto». È quanto già Dante nella Vita nuova esprimeva mediante la canzone “Donne ch’avete intelletto d’amore”. L’amore cioè ha un intelletto peculiare e al suo riguardo non è un caso che Dante si rivolga alle donne perché esso è posseduto in modo particolare dalle donne, o per meglio dire dal lato femminile dell’essere umano, detto Anima da Jung per differenziarlo dal lato maschile detto Animus. L’autore ricorda anche che il termine ebraico e arabo per indicare la misericordia divina viene dalla radice rhm che significa “utero” e che fa pensare a Dio come madre, un’immagine divina di cui il nostro mondo insanguinato anche a causa delle religioni avrebbe un grande bisogno.

E sempre tramite una donna, Hannah Arendt, Montanari svela il malinteso comune che porta a ritenere l’amore una creazione del nostro sentimento, mentre esso nasce altrove, nelle profondità cosmiche di cui è messaggero, e per questo chi lo segue veramente viene condotto altrove, in una terra sempre nuova verso la liberazione da sé. Questo vale anche per il rapporto sessuale, interpretato dall’autore come «un potenziale esercizio spirituale», una «paradossale ma concreta forma di altruismo egoistico o egoismo altruistico», perché nell’amplesso, scrive Montanari, «l’amante gode di più nel far godere la persona amata che sperimentando il proprio personale godimento». Insieme alla capacità di accecare e illuminare la mente, quest’ultimo paradosso è il più fecondo equivoco di quell’instabile esperienza chiamata amore di cui nessuno può fare a meno.

Vito Mancuso “la Repubblica”, 28 febbraio 2015

http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201502/150228mancuso.pdf

La genesi del maschio

È normale che ci siano rapporti tra cultura e religione, entrambe sono attraversate da una dominazione ed una trasmissione essenzialmente maschili. In questo modo, gli uomini hanno consolidato i loro diritti acquisiti veicolando le storie che li rafforzavano. Hanno anche strumentalizzato i più bei testi sacri estrapolandoli dal loro contesto e interpretandoli solo nella visuale loro favorevole.

I primi sei capitoli della Genesi ne sono un esempio. L’interpretazione patriarcale ha trasformato la “Genesi della creazione” in “Genesi del maschio”. In Gn 1, il Dio della Bibbia ha creato degli esseri umani (v. 26). Li ha fatti donne e uomini a sua immagine e somiglianza. Ha creato la ricchezza della diversità (v. 27), la forza della differenza.

Nessuna gerarchia è imposta. In Gn 2, Dio crea “l’Adam” fatto di terra, un essere umano indifferenziato, né donna né uomo. Dio poi dice che non è bene che l’essere umano sia solo. Gli occorre una persona che gli stia di fronte, in tutto simile, con cui interagire. Crea allora una donna a partire da un lato dell’Adam. La anima e la fa avanzare verso l’Adam che diventa, allora, finalmente un uomo. È dunque l’arrivo della donna che trasforma l’Adam in uomo. Ma l’ego maschile, immerso in una cultura patriarcale, opera allora una serie di scivolamenti lessicali per concedersi un potere senza condivisione a partire da questo testo. Così l’Adam diventa il maschio e non più l’essere umano indifferenziato. La donna è formata da una costola e non più da un lato. Diventa un aiuto nell’inferiorità imposta dal patriarcato e non più una persona di fronte e simile. Il maschio parla e nomina, la donna tace. Gn 2 termina dicendo che non è instaurato nessun disagio della differenza, che nessun muro è creato: nella semplicità della loro differenza sono armoniosamente insieme (v. 25). Dio non crea né ruolo, né status dell’uno o dell’altro sesso.

Gn 3 deve essere rimesso nel suo contesto. Occorre distinguere la parte culturale e umana da un lato, e il senso profondo di un messaggio dall’altro. Dietro il tentativo di spiegazione di un mondo duro in cui gli esseri umani faticano sotto le necessità della sopravvivenza, nei dolori e nella fatica, viene anche riferita la collaborazione delle donne e degli uomini per migliorare il quotidiano. E soprattutto vi si vede una donna che riflette, che si sente responsabile, che condivide i suoi progetti e decide all’interno della coppia. Vi si vede poi l’uomo e la donna piuttosto codardi e pronti a punire, gettando la colpa sull’altro. Ora, solo il serpente è davvero punito. E solo la donna riceve la capacità di discernere e detestare il male. Il suo lignaggio diventa una minaccia per quest’ultimo (v.15). Ognuno paga le conseguenze della trasgressione in funzione della ripartizione tradizionale dei compiti e degli status di quella società. Nella storia dell’interpretazione di questo testo, il patriarca forza allora certi tratti e ne omette altri. Inventa una donna perniciosa, influenzabile, tentatrice, all’origine della sua caduta e del peccato originale.

Di Gn 4 bisogna soprattutto ricordare l’emergere di un’umanità religiosa in cui gli esseri umani cominciano a fare delle offerte a Dio. Scopriamo così un mondo di uomini, riflesso della realtà dell’epoca. I maschi, dominanti e gelosi, si dedicano alle prime lotte fratricide, opera di Satana, pur rendendo omaggio a Dio in funzione di ciò che sono, opera di Dio. Le donne sono poco presenti. La cultura le ha assegnate al focolare dove sono vicine ai bambini e alla vita.

In Gn 5, il testo ispirato ci ricorda che la nostra umanità di donna e di uomo è “a somiglianza di Dio” (v. 2). Questa frase viene allora stravolta per permettere all’uomo di accaparrarsi la capacità di dare la vita. Così per tutto questo capitolo si dice che gli uomini “generano” dei figli e delle figlie. Ma generare ed educare è un’opera a 4 mani dei due genitori.

In Gn 6, gli uomini si dicono “figli di Dio”, mentre le donne, divenute oggetto di desiderio, sono dichiarate “figlie degli uomini”. Dio non approva la cattiveria dell’essere umano (v. 5). Fa venire il diluvio e ricorda che la donna e l’uomo sono, insieme, indispensabili alla sopravvivenza della specie (v. 19).

Così il peso culturale, quello che l’evangelista Marco chiama “la tradizione degli uomini” occulta talvolta il comandamento di Dio: “Le dottrine che essi [farisei e scribi] insegnano non sono che precetti umani” (Marco 7,7). Costoro credono di essere fedeli agli insegnamenti di Dio, ma lo limitano strumentalizzando e mutilando le sue parole.

Anne-Joëlle Philippart www.comitedelajupe.fr,23 febbraio 2015 (traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201502/150224philippart.pdf

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SINODO DEI VESCOVI

Rendere chiara la specificità del matrimonio cattolico.

I vescovi tedeschi hanno scelto: il cardinale Reinhard Marx (Monaco e Frisinga), Franz-Josef Bode (Osnabrück) e Heiner Koch (Dresda-Meissen) andranno in ottobre al Sinodo sulla famiglia a Roma.

Nell’intervista, Bode e Koch esprimono le loro posizioni.

I vescovi vi hanno scelti come delegati per il Sinodo sulla famiglia. Quali sono i temi che vi stanno maggiormente a cuore?

Koch – Vorrei chiarire meglio la specificità del sacramento del matrimonio – in rapporto al matrimonio civile. Vogliamo far sì che i giovani siano più consapevoli nell’assumersi un impegno nel matrimonio religioso. Inoltre, abbiamo in Germania molte coppie nelle quali uno dei partner non appartiene ad alcuna Chiesa e talvolta rifiuta un’educazione religiosa ai figli. Come può essere trasmessa la fede nonostante ciò? In terzo luogo non dobbiamo lasciare sole le persone il cui matrimonio è fallito malgrado le migliori intenzioni. E in quarto luogo per me è importante che il tema non si riduca alle giovani coppie e alle famiglie, ma che tenga presente anche il matrimonio e la famiglia fino ad età avanzata e fino alla fine della vita.

Bode – Per me, è importante anche una questione di fondo teologica: in che rapporto sta oggi la dottrina della Chiesa con la vita quotidiana delle persone? Inseriamo sufficientemente le esperienze concrete delle persone nella dottrina? Non si può lasciare che la dottrina e la vita siano separate.

Quali esperienze vorreste portare concretamente al Sinodo?

Bode – In Germania abbiamo un gran numero di divorziati risposati e un gran numero di giovani che convivono prima del matrimonio. Benché questo non corrisponda alla dottrina della Chiesa, anche valori di fondo come la fedeltà e la responsabilità sono molto importanti. E, anche come Chiesa, dobbiamo tenerli maggiormente in considerazione. Al contempo dobbiamo spiegare in modo più convincente perché il nostro modo di intendere matrimonio e famiglia è positivo per le persone e non è una limitazione.

Koch – Desidero che ci siano dei dibattiti teologici che vadano più a fondo. E vedo l’enorme sfida di presentare il nostro messaggio di matrimonio come arricchente – anche per coloro che hanno un atteggiamento scettico nei confronti della fede e della Chiesa.

Avete già affrontato l’atteggiamento verso i divorziati risposati. Come potranno proseguire le cose?

Koch – Innanzitutto: per noi il sacramento del matrimonio è e rimane indissolubile. Vedo però anche tra i divorziati risposati una profonda devozione eucaristica. E cerchiamo qui delle vie per ammetterli ai sacramenti, senza mettere in discussione il principio. Ma non dobbiamo concentrarci sempre solo su questo tema.

Bode – La maggioranza dei vescovi tedeschi è favorevole, a determinate condizioni, ad ammettere i divorziati risposati ai sacramenti. Lo abbiamo già anche comunicato a Roma come indicazione. Bisogna però ancora discutere in maniera più intensa quali vie aprono la Bibbia e la tradizione della Chiesa.

Vedete qui la possibilità di cambiamenti concreti?

Koch – Un sinodo romano non può mai risolvere tutti i problemi delle singole Chiese nei vari paesi e nelle varie culture. Ma io spero che riceveremo un impulso e che ci sia una determinata linea, una prospettiva, e che le Conferenze episcopali nei vari paesi ricevano l’incarico di decidere che cosa possono fare. A questo ci stiamo preparando anche noi.

Bode – Comunque, nell’ultimo sinodo anche per questi problemi controversi più della metà dei partecipanti si sono espressi a favore della ricerca di nuove vie. Per questo ho anche la speranza che ciò possa avvenire.

E se non avviene? La delusione sarà grande, allora.

Bode – Sicuramente, se non facciamo nessun passo avanti. Ma io credo che siamo già giunti ad un buon punto. Quindi anche queste riflessioni non saranno state inutili.

Koch – Possiamo solo cercare di essere compresi. Cerchiamo delle posizioni che possano essere fondate biblicamente e secondo la tradizione della Chiesa. E spesso non si può dire semplicemente: è giusto, è sbagliato. Spero che nel corso delle discussioni e delle conversazioni nel Sinodo riusciamo a comprenderci reciprocamente. E che possiamo poi spiegare agli altri perché il Santo Padre e il sinodo siano andati in una direzione o in un’altra.

Sarah Schortemeyer e Gottfried Bohl, www.domradio.de, 25 febbraio 2015 traduzione:            www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201502/150227bodekochdomradio.pdf

Celibi e nubili, trascurati dal Sinodo sulla famiglia.

Poco affrontata in occasione del primo Sinodo sulla famiglia dell’ottobre 2014, la questione del celibato non scelto e non consacrato interessa però i vescovi francesi. Su richiesta del Consiglio famiglia e società, il gesuita Christoph Theobald dovrà presentare una nota teologica sul tema affinché i vescovi possano discuterne in occasione della loro Assemblea generale, a fine marzo, prima del prossimo Sinodo nell’ottobre 2015.

“Scioccato e ferito”. Mons. Luc Ravel non esita a definire così la sua delusione alla lettura della relazione finale del primo Sinodo sulla famiglia dell’ottobre 2014, constatando che i celibi non vi sono citati. Vescovo nell’esercito dal 2009, Mons. Ravel si era fatto conoscere precedentemente per aver animato diversi pellegrinaggi per celibi e aver fondato Notre-Dame de l’Écoute (NDE) che riunisce celibi per momenti conviviali e spirituali. “Il celibato è un fatto sociale diffuso delle nostre società occidentali ed è sorprendente che non gli si dedichi neanche una riga in un quadro sulle famiglie che intende essere esaustivo”, insiste, ricordando che il fenomeno continua ad aumentare.

Tale dimenticanza dei Padri sinodali non sorprende affatto le persone abituate ad accompagnare dei celibi cristiani. “Il Sinodo si è incentrato sui divorziati risposati e sulla contraccezione, che pongono alla Chiesa problemi evidenti, mentre i problemi relativi ai celibi non sembrano così urgenti”, ritiene padre Denis Sonet che organizza da tempo incontri per celibi. “Nelle parrocchie, celibi e nubili non sono affatto visibili”, afferma Capucine Couchet, consigliera coniugale del CLER a Parigi, che riceve spesso donne sole di 35-45 anni, “nell’età in cui la pressione sociale e familiare è maggiormente dolorosa” da vivere. “Non si lamentano, non rivendicano niente, così i responsabili della Chiesa non vedono il problema”, deplora Capucine Couchet, pur riconoscendo che si tratta di un “circolo vizioso”: “La Chiesa non percepisce celibi e nubili come persone in cerca di aiuto, perché loro stessi non osano esprimere le loro sofferenze e le loro attese, come se ne vergognassero”. E aggiunge sorridendo: “Nella Chiesa, celibi e nubili sono proprio i parenti poveri!”.

Mons. Ravel va nella stessa direzione ritenendo che “la questione di celibi e nubili non deve essere lasciata agli psicologi e ai siti internet” e che è un “dovere” per la Chiesa riflettere su questo stato di vita e dare alle persone che lo vivono “di che nutrire umanamente e spiritualmente la loro esistenza. Come una madre, la Chiesa deve esercitare un ministero di consolazione nei confronti di celibi e nubili dimostrando che li capisce”, prosegue. Sensibilizzato dal problema del celibato non scelto dalle “due donne nubili della sua équipe episcopale”, Mons. Hervé Giraud, vescovo di Soissons, aveva pubblicamente deplorato la dimenticanza del Sinodo davanti all’Assemblea dei vescovi francesi a Lourdes nel novembre scorso. “A forza di insistere sulla famiglia e sulla vita consacrata, coloro che non sono impegnati né nel matrimonio né nel sacerdozio ministeriale o nella vita religiosa si sentono dimenticati, se non svalorizzati, dall’istituzione ecclesiale”, riassume.

Per questo, in dicembre, il Consiglio famiglia e società della CEF ha chiesto al gesuita Christoph Theobald, insegnante al Centre Sèvres a Parigi, di riflettere su questo problema pastorale: “Quale percorso di vita proporre alle persone che non sono chiamate né al matrimonio né alla vita consacrata?”. Come decine di altri teologi incaricati di approfondire una ventina di problemi difficili e delicati, dovrà presentare il 1° marzo una nota teologica di “due pagine al massimo”. “Conto di sottolineare innanzitutto la diversità delle situazioni di celibi e nubili e delle loro difficoltà ad essere riconosciuti, sia nella società che nella Chiesa”, afferma padre Theobald, basandosi su un “Document Episcopat”, pubblicato nel 2010. Il teologo vuole anche distinguere “vocazione umana” e “vocazione battesimale” alla luce del Vaticano II che ricorda l’uguaglianza fondamentale tra battezzati, tutti chiamati alla santità indipendentemente dal loro stato di vita e dal loro carisma. “Non bisogna assolutizzare gli stati di vita, ma al contrario relativizzarli”, insiste, deplorando certi discorsi ecclesiali che idealizzano il matrimonio.

Padre Theobald vuole infine proporre delle piste per sviluppare l’accompagnamento e la formazione all’interno delle comunità cristiane, affinché esse percepiscano celibi e nubili come “un segno del principio di diversità caro a san Paolo”. Dichiarazioni confortate dalle osservazioni del suo confratello Alain Thomasset, professore di teologia morale al Centre Sèvres e presidente dell’Associazione di teologi per lo studio della morale (Atem). “C’è qualcosa da ascoltare dalla sofferenza e dalla povertà di coloro che hanno il desiderio di fondare una famiglia ma che non trovano come concretizzare il loro desiderio”, insiste. E anche dalla loro attesa e dalla loro speranza!”.

Claire Lesegretain, “La Croix”, 27 febbraio 2015 (traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201502/150227bodekochdomradio.pdf

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VIOLENZA

Minori. 400mila vittime di violenza assistita. È opportuno prevedere un reato autonomo.

“In Italia i minori che sono vittime di violenza assistita sono 400mila: un dato allarmante, che mette in evidenza la necessità di intervenire quanto prima, partendo innanzitutto dall’istituzione di un reato ad hoc”. Lo dichiara la deputata del Pd e responsabile nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, Vanna Iori, che ha presentato una mozione sul tema alla Camera. “La violenza assistita si verifica quando un minore assiste a comportamenti di aggressività, abuso e violenza commessi su altri membri della famiglia o su persone che sono legate a lui a livello affettivo: è un evento traumatico destinato a produrre effetti rilevanti sullo sviluppo del bambino, favorendo inoltre l’insorgenza di psicopatologie, sia a breve che a lungo termine”, spiega Iori.

“Già nell’immediato il bambino o l’adolescente- prosegue Iori- manifestano disagio, depressione, isolamento e svalutazione di sé, tutti segnali che spesso non sono riconosciuti o trascurati: l’esposizione a situazioni di violenza genera poi nel minorenne un senso di colpa per la situazione in cui si sente impotente ed incapace di intervenire”, aggiunge la deputata del Pd.

“Il messaggio distorto che viene appreso dai minorenni è che l’abuso è una normale modalità di relazione nella coppia: questo, nel lungo periodo, aumenta il rischio della riproducibilità, ossia la tendenza a sviluppare comportamenti violenti in età adulta, assumendo la violenza come legittimo strumento relazionale”, sottolinea. “Considerarlo un’aggravante, come nella ratifica della Convenzione di Istanbul, va nella giusta direzione, ma è opportuno prevedere un reato autonomo per la violenza assista, oltre a mettere in campo un piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale di genere che punti sulla prevenzione e sull’educazione alla genitorialità”, conclude la responsabile nazionale del Pd per l’Infanzia.

            Wel/ DireNotiziario Minori  27 febbraio 2015 –

                        www.direnews.it/newsletter_minori/anno/2015/febbraio/27/?news=08

Violenza assistita in famiglia: rischi e tutele legali per i minori

Lasciare che un bambino assista quotidianamente alle violenze tra gli adulti può comportare gravi effetti sulla sua salute psico-fisica e responsabilità di natura giuridica per chi lo permette: diversi gli strumenti di tutela. Diciamoci la verità: a quale genitore non è mai capitato di intavolare in famiglia una forte discussione con un adulto senza curarsi della presenza dei bambini in casa? Le risposte in questi casi sono sempre pronte: “il bambino dormiva, o ancora, era assorto nei suoi giochi e non si è accorto di niente”.

Ebbene, è opportuno che l’eccezione non divenga mai una regola in quanto un simile comportamento, specie se portato avanti in modo costante, configura una vera e propria forma di violenza domestica, definita più tecnicamente come “violenza assistita intrafamiliare”.

            Vediamo nello specifico di cosa si tratta, cosa prevede la legge a riguardo, quali effetti può provocare su un minore e come è possibile combatterla.

La violenza assistita consiste nell’obbligare un minore ad assistere ad aggressioni fisiche o verbali tra persone che rappresentano per lui un riferimento educativo o affettivo. Essa può essere vissuta dal bambino in forma diretta o indiretta.

            Se, per esempio, il minore è costretto (in quanto non ha la possibilità di allontanarsi) o, peggio, volutamente obbligato ad assistere in prima persona a scene violente in atto tra gli adulti (come anche solo l’udire le voci alterate o il rumore degli oggetti scossi), si parla in tal caso di violenza diretta; se, invece, il fanciullo percepisce o viene a conoscenza degli effetti negativi della violenza (ad esempio vedendo il genitore in lacrime, triste o angosciato dopo un litigio oppure gli oggetti di casa danneggiati a seguito dello scontro tra gli adulti) è più corretto parlare di violenza assistita indiretta.

            Questa situazione, specie se ripetuta nel corso del tempo, può produrre sul bambino conseguenze molto gravi (come a breve vedremo), a volte simili a quelle che scaturiscono da veri e propri abusi.

La legge prevede norme, sia di tipo penale che civile, a tutela dei soggetti che subiscono sottomissioni e violenze non solo fisiche ma anche di tipo psicologico (come intimidazioni, pressioni, minacce o molestie) nel contesto della famiglia. Essa, tuttavia, non associa la violenza assistita ad una tipica figura di reato, ma la inquadra nell’ambito del reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi che punisce con la reclusione da due a sei anni chiunque maltratti una persona:

  • della famiglia o comunque convivente,
  • o sottoposta alla sua autorità,
  • o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte.

Dunque, possono macchiarsi di tale reato non solo i genitori, ma anche quei soggetti che rivestano un ruolo educativo per i bambini.

            La pena è maggiorata se la violenza è stata compiuta in danno di un minore di 14 anni e se dal fatto sia derivata una lesione personale grave o gravissima o addirittura la morte.

            Sempre in ambito penale, la legge punisce chi ripetutamente minacci o molesti una persona in modo da:

  • provocare in questa un grave e perdurante stato di ansia o di paura per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona a cui sia affettivamente legata,
  • ovvero da costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita.

Si tratta dello specifico reato di atti persecutori e stalking che, con particolare riferimento alla violenza assistita sui minori, sembra tutelarne in special modo la forma indiretta (cioè – lo ricordiamo – quella che si crea quando il minore percepisce la paura e l’angoscia del familiare).

Quanto alle specifiche misure cautelari previste dal codice di procedura penale in soccorso alle vittime di maltrattamenti in famiglia, la legge attribuisce al giudice la possibilità di prescrivere all’imputato violento:

  • di lasciare immediatamente la casa familiare;
  • o di non farvi rientro e di non accedervi senza autorizzazione;
  • di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti.

Sul piano civile la legge tutela tale forma di violenza attraverso lo strumento degli ordini di protezione contro gli abusi familiari. In particolare, nei casi in cui il comportamento aggressivo del soggetto provochi un grave pregiudizio all’integrità psico-fisica o morale o alla libertà del coniuge o convivente (e di riflesso anche dei minori), questi può ottenere, con una specifica istanza, che il giudice ordini che il soggetto cessi la condotta violenta, si allontani dalla casa familiare e non si avvicini ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima; il magistrato, ove appaia necessario, potrà anche disporre l’intervento dei servizi sociali presenti sul territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni di supporto e accoglienza per le persone che abbiano subito maltrattamenti o abusi (cosiddetti centri antiviolenza).

Presenziare alle scene di violenza tra i soggetti che rappresentano delle figure di riferimento (affettivo, ed educativo), è un’esperienza che può segnare profondamente e in modo traumatico un bambino, finendo col compromettere il suo sviluppo personale e la sua capacità di interagire a livello sociale, sia da adolescente che da adulto.

            Se, infatti, l’assistere ad aggressioni fisiche e verbali diviene una costante, il bambino vive una situazione psicologica di confusione e disorientamento in quanto, anziché associare la figura dell’adulto (come di norma dovrebbe avvenire) a quella di chi lo protegge, la associa invece a quella di chi lo pone in una situazione di pericolo.

Tale condizione, oltre ad essere fonte di immediate manifestazioni di disagio sul minore (come la depressione, la bassa autostima, le difficoltà scolastiche) aumenta di molto il pericolo che egli risenta, anche da adulto, degli effetti della violenza, ritenendola un legittimo strumento con cui rapportarsi agli altri e, in special modo, alla nuova famiglia che andrà a creare. Infatti, i comportamenti dei genitori (così come di chi ne fa le veci) sono presi di norma a modello dai bambini e, di seguito, trasposti nelle proprie relazioni sociali e familiari una volta cresciuti.

I sentimenti che prevalgono tra i minori che assistono alla violenza intrafamiliare possono essere di diverso tipo, a seconda dell’età, dell’indole e della specifica situazione personale:

  • il senso di colpa e la vergogna legati o al fatto di sentirsi privilegiati rispetto al familiare che subisce la violenza o, a volte, anche responsabili di quanto avviene tra gli adulti: ciò può avvenire sia per l’incapacità (data dall’età) di comprendere quanto accade intorno a loro, sia perché, in alcuni casi, essi vengono espressamente accusati dal familiare violento di essere il motivo del maltrattamento (ad esempio per aver deluso le aspettative scolastiche o educative in genere);
  • la paura che quanto avvenuto possa ripetersi e il senso di fallimento per trovarsi a vivere situazioni che non sono in grado né di prevenire né di controllare;
  • il senso di impotenza, di delusione, e di sfiducia derivante dal fatto di sentirsi traditi e dall’impossibilità di modificare o frenare la situazione di violenza che si trovano a vivere;
  • la rabbia e il risentimento che, in taluni casi, possono si trasformarsi in disprezzo e odio nei confronti di chi invece li dovrebbe proteggere.

Attenzione! Il minore può finire col nutrire tale sentimento non solo nei confronti del soggetto che compie la violenza ma anche verso chi la subisce senza proteggerlo (si pensi al genitore che, pur di “salvare il matrimonio” non denuncia la violenza o, comunque, scelga di restare col compagno aggressivo).

È bene che l’adulto che si trova a subire la violenza in casa, ancor più se alla presenza dei propri bambini, sappia che esistono strade alternative e senz’altro opportune da seguire, nel proprio interesse e, in special modo, di quello dei più piccoli.

            Accettare, sopportare, sminuire la violenza e i maltrattamenti (fisici o psicologici che siano) è un atteggiamento che non può che portare gravi e irrimediabili effetti nel tempo e che – contrariamente a ciò che spesso si ritiene – non può in alcun modo contribuire a tenere in piedi una famiglia. In altre parole, in questi casi, seguire il vecchio adagio secondo il quale “i panni sporchi si lavano in casa” è la cosa meno indicata.

In ogni caso è, innanzitutto, importante distinguere due situazioni:

  • quella in cui il conflitto sia connotato da violenza vera e propria (anche psicologica) e dall’atteggiamento prevaricatore del familiare/convivente che non sappia controllare le proprie reazioni e la propria rabbia;
  • quella in cui le tensioni tra gli adulti siano il fisiologico effetto della rottura di una relazione sentimentale.

Nel primo caso, qualora il familiare violento non si mostri intenzionato a farsi aiutare (sottoponendosi, ad esempio, ad un percorso psicoterapeutico) è opportuno che chi subisce i maltrattamenti:

  • informi di quanto avviene una persona di fiducia, per poter fare riferimento ad essa in caso di necessità;
  • custodisca in un luogo sicuro (anche diverso dall’abitazione) i propri effetti personali (documenti, bancomat, ecc.) ;
  • se decide di allontanarsi da casa con i propri figli, invii una motivata lettera raccomandata al coniuge o compagno (meglio se redatta da un avvocato) onde evitare una successiva querela per sottrazione di minori: potrà anche segnalare la cosa alle forze dell’ordine e/o cercare aiuto (insieme ai figli) presso i centri antiviolenza di riferimento sul proprio territorio: essi sono in grado di fornire il necessario supporto (anche di tipo psicologico) e il rispetto dell’anonimato e, in taluni casi, (quando la vittima non abbia nessuno cui appoggiarsi) anche temporanea ospitalità;
  • se, invece, decide di rimanere in casa, si rivolga comunque ad un centro antiviolenza o ad un avvocato per farsi consigliare sulla strada più opportuna da intraprendere (cioè se di tipo civile come gli ordini di protezione o penale come una querela) a seconda della gravità del caso, al fine di ottenere l’allontanamento del familiare violento.

Qualora, invece, in famiglia si sia giunti ad una situazione di quotidiano litigio (ma non caratterizzato da violenza in senso stretto) dovuto ad una crisi coniugale o di coppia, è consigliabile – soprattutto nel bene dei figli (incolpevoli vittime del contrasto in atto) – seguire strade diverse e anche tra loro complementari:

  • quella di rivolgersi ad un centro di mediazione familiare nel tentativo di ritrovare un canale di comunicazione sereno e rispettoso che favorisca soluzioni alternative al conflitto;
  • quella di cercare di comprendere i segni di disagio che la crisi dei genitori crea sui minori, facendo loro seguire dei gruppi di parola (dei quali abbiamo parlato in questo articolo: “I gruppi di parola: un modo per aiutare i figli nella crisi da separazione dei genitori”);
  • quella di preferire – qualora la scelta sia quella della separazione – una soluzione giudiziaria consensuale favorita da un percorso di diritto collaborativo: tale soluzione potrà essere raggiunta anche attraverso il procedimento di negoziazione assistita dagli avvocati (senza, cioè doversi rivolgere al giudice).

Maria Elena Casarano    la legge per tutti                    26 febbraio 2015

www.laleggepertutti.it/80088_violenza-assistita-in-famiglia-rischi-e-tutele-legali-per-i-minori

Reato sessuale in danno di figlio minore.

Corte di Cassazione, terza Sezione penale, sentenza n. 6844, 17 febbraio 2015

Risponde del reato sessuale in danno del figlio minore il genitore che, consapevole del fatto e nella possibilità di porvi fine, non si attivi per impedirlo ma tenga una condotta passiva, ricoprendo egli una posizione di garanzia a tutela dell’intangibilità sessuale del figlio stesso che rende operante la clausola di equivalenza di cui all’art. 40, comma 2, c.p.; si è poi aggiunto che tale responsabilità a titolo di causalità omissiva ricorre allorquando sussistano le condizioni rappresentate: a) dalla conoscenza o conoscibilità dell’evento; b) dalla conoscenza o riconoscibilità dell’azione doverosa incombente sul “garante”; c) dalla possibilità oggettiva di impedire l’evento.

avv. Renato D’Isa      23 febbraio 2015                                           sentenza

http://renatodisa.com/2015/02/23/corte-di-cassazione-sezione-iii-sentenza-17-febbraio-2015-n-6844-risponde-del-reato-sessuale-in-danno-del-figlio-minore-il-genitore-che-consapevole-del-fatto-e-nella-possibilita-di-porvi-fine-n

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