News UCIPEM n. 987 – 5 novembre 2023

News UCIPEM n. 987 – 5 novembre 2023

UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

“Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.

Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le news sono strutturate: notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}. Link diretti e link per pdf -download a siti internet, per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono ripresi nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto delle news è liberamente riproducibile citando la fonte primaria.

In ottemperanza alla direttiva europea sulle comunicazioni on-line (direttiva 2000/31/CE), se non desiderate ricevere ulteriori news e/o se questo messaggio vi ha disturbato, inviate una e-mail all’indirizzo: newsucipem@gmail.com con richiesta di disconnessione.

Chi desidera connettersi invii a newsucipem@gmail.com la richiesta indicando nominativo e-comune d’esercizio d’attività, e-mail, ed eventuale consultorio di appartenenza. [Invio a 921 connessi].

Carta dell’U.C.I.P.E.M.

Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.

1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.

            CONSULTORI UCIPEM Contributi anche per essere in sintonia con la visione evangelica

02 C. INTERN. STUDI FAMIGLIA       Newsletter CISF – N. 40, 1° novembre 2023

04 CHIESA NEL MONDO                    Francia, due anni dopo il rapporto CIASE continua il dibattito sugli abusi

05 DALLA NAVATA                              XXXI Domenica del tempo ordinario – Anno A

05                                                          Gesù ricorda: il più grande è colui che serve

06 FRANCESCO VESCOVO di ROMA Il papa si schiera per la pace: «Due Stati, ben limitati»

07 PSICOLOGIA                                    Riflessioni dopo il colloquio

11 RICORDI DI GIANNINO PIANA    Il magistero ecclesiale: fallibile o infallibile?

13 SINODO SULLA SINODALITÀ       La rotta del sinodo:  Una Chiesa accogliente per tutti

14                                                          Sensibilità differenti ma nessuna spaccatura, segnale di speranza per il mondo

15                                                          La chiesa vota la svolta si torna al concilio

17                                                          Da un Instrumentum Laboris a un altro: le costituzioni sinodali differite

20                                                          Il rapporto del Sinodo sulla sinodalità è deludente ma non sorprendente

22                                                          Sinodo: il diaconato femminile, la madre di tutte le battaglie

23                                                          Le proposte del Sinodo e le possibili modifiche al Codice di Diritto Canonico

25 TEOLOGIA                                        Von Balthasar e la gerarchia dei sessi                                                                         

27 VIOLENZA                                        Violenza di genere

CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n . 40, 1° novembre 2023

  • CISF Family Report 2023. Il nuovo Report annuale del Centro Internazionale Studi Famiglia, intitolato “Politiche al servizio della famiglia“, sarà in libreria dal 10 novembre. Fisco, natalità, assegno unico, politiche familiari, conciliazione, servizi: il volume esplora le ragioni per cui è fondamentale investire sulle famiglie. Con un’analisi comparata delle politiche sociali in 7 diversi Paesi europei e nuove proposte per un fisco “family friendly”.

http://cisf.famigliacristiana.it/cisf/cisf-news/articoloCISF/cisf-family-report-2023-focus-su-fisco-e-politiche-familiari.aspx?utm_sour _cisf_01_11_2023

Perchè servono politiche al servizio delle famiglie?. È la domanda di fondo che ha unito la squadra di autori del nuovo Cisf Family Report: attraverso le diverse prospettive del diritto, dell’economia, della sociologia si è provato ad analizzare le criticità del sistema delle politiche e del sistema fiscale attuali, anche attraverso la comparazione con gli altri sistemi europei, individuando proposte per fornire alle famiglie risposte concrete, e una direzione coerente delle politiche per i giovani che progettano di avere figli.

Dal 10 novembre in libreria e ordinabile su sanpaolostore.it    

www.sanpaolostore.it/?gclid=Cj0KCQjwyqBhD0ARIsAEbCt6gf0tjd8AQLRYowbkrNUPwoUbyfuupp-uXcLsGY4LVZKVaMcfGIA2MaAqrkEALw_wcBce=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter   

  • Pubblicato il “women peace and security index 2023”. Il Georgetown Institute for Women, Peace and Security (in collaborazione con il PRIO Center on Gender, Peace and Security e il sostegno del Ministero degli Affari Esteri norvegese) ha pubblicato l’edizione 2023 del Women Peace and Security Index (WPS Index), che valuta e classifica 177 paesi in termini di inclusione, giustizia e sicurezza delle donne.
https://giwps.georgetown.edu/the-index

La spaccatura tra Nord e Sud del mondo, disponibile sulla mappa interattiva della classifica, è molto evidente. Ai primi posti per sicurezza Danimarca, Svizzera, Svezia; agli ultimi Afghanistan, Yemen, Repubblica Centrafricana; in posizioni non ottimali anche gli Stati Uniti, al 37mo posto, la Cina (82mo), il Messico (142mo)

                https://a4e9e4.emailsp.com/f/rnl.aspx/?fgg=wsswt/e-ge=s/fh0=oxv49a1:a=.-4&x=pv&65kac&x=pp&qzb9g6.b9g9h/:i4-7d=vt2tNCLMo posto, la Cina (82mo), il Messico (142mo).

  • Notizie dall’Italia. Aumentano le famiglie in povertà assoluta. Le statistiche Istat sulla povertà denunciano un peggioramento delle condizioni delle famiglie: in condizione di povertà assoluta si trovano 2,18 milioni di famiglie (8,3% del totale da 7,7% nel 2021). Questo peggioramento, secondo l’Istat, è imputabile in larga misura alla forte accelerazione dell’inflazione, che ha colpito tutti ma in particolare i nuclei numerosi: il disagio più marcato si osserva per le famiglie con tre o più figli minori, dove l’incidenza arriva al 22,3%; e, più in generale, per le coppie con tre o più figli (20,7%)

.                                                                                                                                              www.istat.it/it/archivio/289724

Pandemia, guerra in Ucraina, crisi energetica ed economica sono i fattori debilitanti che erano già stati messi in luce, alcune settimane fa, in un Report più specifico realizzato da dieci Caritas Lombarde: “Pavimenti appiccicosi”, racconta di un fenomeno grave e correlato, la trasmissione intergenerazionale della povertà.

https://download.caritasambrosiana.it/download/pavimenti-appiccicosi.pdf

Carewgiver familiari: tra ipotesi di legge e ricerche sui giovani. A fine ottobre il Ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli e il Ministro del Lavoro Marina Calderone hanno firmato il decreto per l’istituzione del “Tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge statale sui caregiver familiari”. Il Tavolo avrà durata di sei mesi e sarà incaricato, tra le altre cose, di individuare e quantificare i caregiver familiari.

https://disabilita.governo.it/it/notizie/istituito-tavolo-tecnico-per-il-riconoscimento-del-caregiver-familiare

                Di questo si è parlato durante il seminario “Giovani caregivers; la sfida della cura tra le generazioni” tenutosi presso l’Università Cattolica di Milano, che si è soffermato sul ruolo “invisibile” di cui circa 391.000 giovani in Italia si fanno carico.

www.unicatt.it/eventi/ateneo/milano/2023/Giovani-caregivers-La-sfida-della-cura-tra-le-generazioni.html

  • Percorsi di formazione. Formazione a distanza per la progettazione dei servizi “per” e “con” le nuove generazioni. È disponibile online un percorso formativo gratuito e aperto a tutti coloro che si occupano di progetti e servizi per l’infanzia e l’adolescenza (assistenti, sociali, educatori, psicologi, insegnanti, ricercatori, ecc.). S’intitola “Tracce per la programmazione e la progettazione” ed è proposta dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dall’Istituto degli Innocenti. Ha una durata di 13 ore, suddivise in 7 moduli, è riconosciuto dal MIUR ed è accreditato presso il CNOAS .

www.lavoro.gov.it/notizie/pagine/nuove-generazioni-disponibile-la-formazione-distanza-sulla-progettazione-dei-servizi

  • Novità dalle case editrici
  • I Melio, È facile parlare di disabilità. La comunicazione giusta per un mondo inclusivo, Erickson, Trento, 2022, pp. 136.
  • V .Pazé, Libertà in vendita. Il corpo tra scelta e mercato, Bollati Boringhieri, Torino, 2023, pp.184.
  • Mauro Corsi, Tanto smetto quando voglio. La storia di una vita, Albatros, Roma 2019, pp. 158.

Profuma di verità e di speranza, questa testimonianza di un “viaggio all’inferno e risalita” causato dalla dipendenza dall’alcol. (…). Una storia a lieto fine, che però non nasconde nulla dei dolori, delle sofferenze, degli inganni e anche dei fallimenti di tanti compagni di viaggio. Che quindi potrà in qualche modo confortare ed aiutare tutti coloro che in vario modo si trovano a dover fare i conti con una dipendenza.

www.famigliacristiana.it/media/pdf/cisf/23cisfnews40allegatolibri.pdf

Proponiamo questo volume, nella recensione di Francesco Belletti, per continuare la riflessione che il CISF ha avviato sul tema delle dipendenze (e delle ricadute che queste hanno in ambito familiare    sociale), con i diversi appuntamenti formativi realizzati in collaborazione con l’Ordine degli Assistenti Sociali della Lombardia [a questo link il webinar “Gioco d’azzardo e alcol in età anziana”]                                                    www.youtube.com/watch?v=l8J3wvZVMKQ

  • Save the date
  • Webinar (INT) – 8 novembre 2023 (17.30-19). “Pour ou contre l’éducation positive?” webinar organizzato dall’Institut Catholique de Paris [qui per info]—con traduzione a richiesta

www.icp.fr/a-propos-de-licp/agenda/la-co-education-a-lecole-des-cles-pour-une-responsabilite-partagee-1

  • Seminario (Milano)13 novembre 2023 (inizio ore 17.30). “Chi ci curerà? Appunti sul futuro della sanità pubblica” organizzato da Fondazione Ambrosianeum e Fondazione Matarelli, nell’ambito del ciclo tematico Medicina, Sanità e Persona [qui per info] ↓
  • Workshop (Torino) – 15/16 novembre 2023. “Financial education: From better personal finance to improved citizenship” organizzato da CeRP-Fondazione Collegio Carlo Alberto, Università di Torino, Politecnico di Torino

www.carloalberto.org/event/workshop-financial-education-from-better-personal-finance-to-improved-citizenship

  • Evento (Roma/Milano)22 novembre 2023 (18-20). “StrongHER TogetHER. L’emancipazione economica: dal ruolo professionale alla crescita personale” doppio evento in contemporanea, a Roma e a Milano, organizzato da SDA-Bocconi

www.sdabocconi.it/it/eventi-scuola/sda-bocconi-roma–strongher-together-lemancipazione-economica-dal-ruolo-professionale-alla-crescita-personale-20231122ù

https://www.sdabocconi.it/it/eventi-scuola/sda-bocconi-milano–strongher-together-lemancipazione-economica-dal-ruolo-professionale-alla-crescita-personale-20231122
  • Congresso Internazionale (Cebu City-Filippine) – 24/25 febbraio 2024. “Family life and new technologies” a cura di IFFD-Internetional Federation For Family Development [qui per info]
https://iffd.org/iffd-congress-2024

Iscrizione    http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio    http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.asp

https://a4e9e4.emailsp.com/f/rnl.aspx/?fgg=wsswt/e-ge=s/fh0=oxv49a1:a=.-4&x=pv&65kac&x=pp&qzb9g6.b9g9h/:i4-7d=vt2tNCLM

CHIESA NEL MONDO

Francia, due anni dopo il rapporto CIASE continua il dibattito sugli abusi

 *1949             Jean-Marc Sauvé, che presiedette la commissione sugli abusi della Chiesa, esprime i suoi dubbi riguardo la risposta che c’è stata al rapporto. Alimentando altre polemiche

Due anni dopo la pubblicazione del rapporto CIASE (la Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa), il presidente della commissione, Jean-Marc Sauvé, si fa intervistare da Le Parisien per esprimere i suoi dubbi. Ma, alla fine, più che dubbi sul rapporto, Sauvé mostra dubbi sulla risposta della Chiesa, alimenta divisione, chiede ancora riforme strutturali e dottrinali nella Chiesa che di certo non sono competenza della CIASE, con colpi di scena come la richiesta di considerare l’abuso su minori non solo come peccato contro il Sesto Comandamento, ma anche contro il Quinto, perché “per la CIASE lo stupro di una minorenne è un’opera di morte”.

                Se Sauvé ha parlato di nuovo è anche perché il rapporto è stato molto contestato, per metodologia e calcolo. Si parla, infatti, di 300 mila vittime nella Chiesa cattolica, ma è anche vero che solo 3 mila persone hanno contattato le autorità di riparazione e richiedono assistenza. I numeri, insomma, non quadrano. Ma Sauvé lo spiega con il fatto che “siamo di fronte a due categorie di vittime: quelle che accettano il processo di riparazione e quelle che scelgono il silenzio. O perché non hanno sentito parlare della richiesta di testimonianze e dell’esistenza degli organismi di riparazione, o perché è troppo difficile parlarne”.

Sauvé rilancia: la Chiesa ha mostrato grande contrizione, su riconoscimento e riparazione individuale, ma ora c’è bisogno di misure preventive per il futuro, e i suggerimenti della CIASE – lamenta – “non sono stati ascoltati”.

Quali sono i suggerimenti? “Aprirla a più laici, più donne, per regolare le questioni di abuso di potere”.

E ancora, dare maggiore responsabilità ai vescovi, che non sono nemmeno stati d’accordo a parificare l’abuso al quinto comandamento. Ù

Non è la prima volta che Sauvé prende la parola per rilanciare il lavoro della Commissione.  Secondo il rapporto, conosciuto con la sigla del CIASE, 330 mila minori sarebbero stai oggetto di violenze sessuali da parte di chierici, religiosi o laici in relazione con la Chiesa in un periodo di tempo che andava dal 1950 al 2020. Le cifre andavano contestualizzate, ci si doveva ricordare che si trattava di stime, di segnalazioni telefoniche o via email. Anche i numeri andavano letti bene: terribili, se si pensa alla Chiesa, ma in termini di paragone si poteva notare che si trattava del 4% degli abusi sessuali commessi in Francia in quel periodo di tempo, che interessavano tra il 2,5% e il 2,8% dei sacerdoti.

L’Accademia Cattolica di Francia – organismo ufficioso, nato nel 2008, che riunisce dai 200 ai 250 accademici –  aveva criticato i dati, sottolineava che la stima statistica di 330 mila vittime nasce sulla proiezione di 2.738 testimonianze ricevute, ma che questa era la proiezione dell’IFOP. La Scuola Pratica di studi superiori stimava 27.808 abusati.

E poi, veniva sottolineato che il rapporto Sauvé esige anche “cambiamenti pastorali e dottrinali della Chiesa cattolica”, senza però nemmeno considerare il Catechismo della Chiesa cattolica, rivelando “un’ecclesiologia imperfetta, un’esegesi debole, una teologia morale superata”.

Andrea Gagliarducci                     ACI Stampa        31 ottobre 2023

www.acistampa.com/story/francia-due-anni-dopo-il-rapporto-ciase-continua-il-dibattito-sugli-abusi

CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Mantova – Periodico cura del Consultorio Prematrimoniale e Matrimoniale

ETICA SALUTE_FAMIGLIA – 2023 anno XXVII n°06 – Novembre Dicembre

02 Editoriale                     L’anziano come risorsa                                                 Armando Savignano

04 Primo piano                Violenza di genere                                                        Cristina Danielis

08                                          Dopo l’ultimo femminicidio. Una riflessione       Benedetta Rizzi

10                                          Lo psicologo di fronte al dolore del paziente      Paolo Breviglieri

17 Testimoni                     Artemide Zatti. Infermiere missionario                Gabrio Zacché

19 Spiritualità                  Sul significato del termine” salus”                          Egidio Faglioni

22 Il post del mese          Seigneur mon ami                                          www.consultorioucipemmantova.it/consultorio/index.php/pubblicazioni/etica-salute-famiglia/198-etica-salute-famiglia-2023-anno-xxvii-n-06-novembre-dicembre%20uova%20edizione%20online

poi cliccare su   “NUOVA EDIZIONE ON-LINE”

DALLA NAVATA

XXXI Domenica del tempo ordinario – Anno A

Malachia                            01. 30. Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l’uno contro l’altro, profanando l’alleanza dei nostri padri?

 Salmo                                  130, 01. Signore, non si esalta il mio cuore né i miei occhi guardano in alto; non vado                                                 cercando cose grandi né meraviglie più alte di me.

Paolo ai 1Tessalonicési 02, 13. Proprio per questo anche noi rendiamo continuamente grazie a Dio perché, ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti.

Matteo                                23,03. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.

Gesù ricorda: il più grande è colui che serve

Non fatevi chiamare “rabbì”, perché́ uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

La Parola di Dio mi mette con le spalle al muro: sono anch’io, come scriba o fariseo, uno che dice ma non fa? Cristiano di sostanza oppure di facciata? Una “domanda del cuore”, di quelle che fanno vivere: sono uno falso che non è ciò che dice e non dice ciò che è, oppure persona vera, compiuta, in cui annuncio e annunciatore coincidono? Ci sono colpi duri, oggi, nelle parole di Gesù; ma ogni volta che ciò accade lo scopo non è ferire, ma spezzare la conchiglia affinché appaia la perla. La conchiglia non è la fragilità, ma l’ipocrisia.

Nel Vangelo Gesù non sopporta due categorie di persone: gli ipocriti e quelli dal cuore duro, due tipi umani che spesso si identificano. Legano pesi enormi sulle spalle delle persone, ma loro non li toccano con un dito, Ipocrita è il moralista che impone leggi rigide, ma solo agli altri, e più è severo con loro più si sente vicino a Dio! Gesù è rigoroso, ma mai rigido.

Paolo oggi nella seconda lettura: «Avrei voluto darvi la mia vita» (1Ts 2,8). L’ipocrita invece dice: «Vi ho dato la legge, sono a posto». Sono funzionari delle regole e analfabeti del cuore. E perfino analfabeti di Dio. Cioè, nel loro intimo, sono strutturalmente atei. Ipocrita è termine greco che significa attore, il teatrante che recita una parte e indossa una maschera: tutte le opere le fanno per essere ammirati dalla gente, si compiacciono dei primi posti, dei saluti sulle piazze, degli applausi… Ma il cuore è assente, il cuore è altrove. Fanno finta: sono personaggi e non più persone. E questa è la peggior sventura che possa capitare, la dissociazione dell’anima, lo sdoppiamento della persona, quando ami ciò che va dalla pelle in fuori (l’apparenza e il superfluo) e non ti curi di ciò che va dalla pelle in dentro (la sostanza e l’essenziale). Sono così rare le persone autentiche, tutte d’un pezzo, quelle che sono sé stesse in pubblico come in privato, senza maschere. Quando ne incontriamo una, non lasciamola andare via senza aver tentato di farcela amica. È tra quelli che aprono una fessura sulla verità, una feritoia su Dio.

Gesù poi evidenzia un altro errore che sgretola e avvelena dal di dentro la vita: l’amore del potere. Non fatevi chiamare maestro, o dottore, o padre, come se foste superiori agli altri. Voi siete tutti fratelli. Ma noi siamo sempre impreparati ad essere fratelli e sorelle. La fraternità ha fatto naufragio nella storia umana, è trauma e sogno, sempre ferita, sempre minacciata, sempre a rischio. Eppure disegna un mondo buono che si regge su legami d’affetto gioioso, dove il più grande è colui che serve. Perché un mondo fondato sul concetto di potere e di nemico, non è una civiltà, ma una barbarie.

Fratello Enzo Ronchi OSM                          

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/gesu-ricorda-il-piu-grande-e-colui-che-serve

FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Il papa si schiera per la pace: «Due Stati, ben limitati»

«Ogni guerra è una sconfitta. Non si risolve nulla con la guerra. Niente. Tutto si guadagna con la

pace, con il dialogo». Lo ha ripetuto ieri sera papa Francesco in una lunga intervista a Gian Marco Chiocci, direttore del Tg1, andata in onda subito dopo il telegiornale delle 20.

Il 7 ottobre i miliziani di Hamas «sono entrati nei kibbutz, hanno preso ostaggi, hanno ucciso», poi c’è stata la reazione degli israeliani, ha ricordato Bergoglio. «Nella guerra uno schiaffo provoca l’altro. Uno forte e l’altro più forte ancora e così si va avanti. La guerra è una sconfitta. Io l’ho sentita come una sconfitta in più», ha detto ancora il pontefice, ribadendo la storica posizione della Santa sede su Israele e Palestina: «Due popoli che devono vivere insieme, con quella soluzione saggia dell’accordo di Oslo (1993): due Stati, ben limitati, e Gerusalemme con una status speciale».

La posizione pacifista del papa però non piace a tutti. In particolare non piace a Israele, che si aspetterebbe da Bergoglio una chiara scelta di campo (uno schema già visto nella guerra in Ucraina, con Zelensky spesso critico nei confronti del pontefice non allineato alle posizioni di Kiev e della Nato). Il papa deve schierarsi, «ci tengo a sentire una dichiarazione molto forte anche dalla Santa Sede» contro Hamas, ha chiesto il presidente israeliano Isaac Herzog dialogando con Bruno Vespa a “Porta a porta” martedì sera.

 È qualche giorno prima Riccardo Di Segni, rabbino capo della comunità ebraica di Roma, aveva scritto alla “Repubblica”, nella giornata di digiuno e di preghiera per la pace promossa dal papa: «Si può pregare per la pace, ma bisogna vedere di quale pace si tratti, se è una pace in cui il male sia sconfitto o una pace che soddisfa gli aggressori e i violenti, e lascia gli sconfitti feriti e offesi», si legge nella lettera di Di Segni. «Le guerre sono sempre un’offesa alla dignità umana, comportano morte e distruzione, e certamente vanno evitate, ma quando è in gioco la propria esistenza davanti a un nemico irriducibile l’alternativa pacifista è discutibile anche moralmente».

Eppure da parte del papa fin dall’inizio c’è stata sia la condanna del «terrorismo» di Hamas, sia gli appelli per la liberazione degli ostaggi israeliani. Insieme però alla critica alla reazione spropositata di Tel Aviv, alla denuncia della «situazione disperata» a Gaza e soprattutto al no alla guerra.

Luca Kocci           “il manifesto”   2 novembre 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202311/231102kocci.pdf

PSICOLOGIA

Riflessioni dopo il colloquio

Con una serie di articoli intendo proporre alcune riflessioni sul lavoro psicologico in un consultorio familiare dove opero da molti anni, in una forma discorsiva e narrativa che ho ideato immaginando un breve dialogo “con una collega tirocinante a cui mi rivolgo prendendo spunto dal colloquio che abbiamo appena svolto. (P. Breviglieri)

“Perché proprio a me?” Lo psicologo di fronte al dolore del paziente

                Caro Giulio, la signora S. che abbiamo incontrato poco fa ci ha parlato dei tanti suoi problemi fisici che in un susseguirsi di tappe sembrano disegnare una sorta di via crucis. Sono problemi che stanno limitando la sua vita e interferiscono molto sul suo ruolo all’interno della famiglia, come moglie e madre creandole sensi di colpa e di inadeguatezza. S. è una donna forte, vitale piena di voglia di vivere e di relazioni positive, è sempre stata abituata ad affrontare i problemi con energia, ma ora di fronte ad un percorso sanitario incerto di cui non si conosce l’esito, si sente schiacciata, avvilita, svuotata, con la paura di cedere allo sconforto. Sul piano clinico potremmo probabilmente parlare di un’incipiente depressione reattiva, visti i suoi sintomi sempre più definiti: scoraggiamento, senso di colpa, senso di scarso valore, rabbia, insonnia, voglia di isolarsi.

S. è una delle tante persone che si rivolgono allo psicologo non per un quadro psicopatologico, un disturbo o una difficoltà relazionale ma per una fatica a reagire ad eventi particolarmente gravosi e dolorosi che li hanno investiti e che hanno stravolto il loro abituale assetto di vita e di percezione di sé.

Cosa fare in queste circostanze? Come cercare di dare un aiuto che non sia solo un ascolto passivo e che d’altra parte non può utilizzare il setting e gli strumenti tipici della psicoterapia?

Ripensando al colloquio che abbiamo svolto proviamo a individuare alcuni passaggi e interventi con il paziente che possono essere piuttosto cruciali e fondamentali. Mi pare che potremmo individuare quattro momenti particolarmente importanti che si dovrebbero concatenare nel colloquio:

1. rispecchiamento comprensivo

2. validazione

3. contrasto alle distorsioni cognitive

                4. promozione di strategie di fronteggiamento

                5. ricerca e attribuzione di un senso

Passiamo in rassegna brevemente queste diverse fasi:

Rispecchiamento comprensivo. Con questo termine si intende il momento in cui cerchiamo di raccogliere l’esperienza del nostro paziente attraverso un ascolto attento, non giudicante ma nello stesso tempo analizzando i diversi aspetti che ne costituiscono il contenuto; i fatti principali, i pensieri del soggetto, i suoi stati d’animo, le reazioni dell’ambiente esterno.

Questa fase è accompagnata da un atteggiamento profondamente empatico dello psicologo che deve “immergersi” nell’esperienza riportata dal paziente, sentirla risuonare dentro di sé, comprenderla nei suoi significati. Questo movimento di ascolto è punteggiato da numerosi momenti in cui lo psicologo restituisce il discorso del paziente riportandolo un po’ con le sue parole o trovando delle brevi sintesi che ne vengono a cogliere il significato. Non si tratta di interpretazioni ma semplicemente di modi per dire le cose che il paziente ci ha trasmesso con le nostre parole mostrandogli così nel modo più efficace che lo abbiamo capito.

Quando la signora S. ci ha parlato ad esempio del suo lungo ricovero in isolamento, ho commentato ad un certo punto che “immaginavo quanto fosse terribile essere lontani dai propri cari e non vedere dei progressi sul piano della ripresa fisica”. Sono frasi molto semplici in apparenza quasi banali, che tuttavia creano questa sintonia nel sentire con il paziente.

L’effetto di questo intervento non è mai banale perché il paziente riceve la conferma di essere stato capito in profondità e che il suo vissuto doloroso è stato “preso in carico” dallo psicologo in tutta la sua complessità e pesantezza.

Validazione. Questo termine si riferisce allo sforzo di dimostrare al paziente che le sue reazioni hanno un senso, che sono in fondo comuni e che possono essere spiegate come modalità comprensibili di reagire. Questo tipo di intervento è volto a rassicurare il paziente rispetto al fatto di “essere come gli altri”, di non essere più debole, più cattivo o più stupido, ma semplicemente di essere come tutti: un essere umano che reagisce secondo modi e meccanismi abbastanza comuni. Per svolgere questa operazione durante il colloquio, lo psicologo cerca di commentare e discutere con il paziente le sue reazioni e spiega anche dal punto di vista del funzionamento mentale come esse siano coerenti e comprensibili.

Con S. abbiamo preso in esame ad esempio quel continuo ripetersi nella sua mente: “perché proprio a me?” “perché di tanti pazienti solo io ho avuto quella complicazione così rovinosa?” “sento che contro di me vi è un destino avverso”. Questi pensieri così negativi e distruttivi, sono tuttavia molto normali e comuni e dipendono da tanti fattori, dalle nostre esperienze passate, dal nostro temperamento e anche da come è fatto il nostro sistema di psichico come esseri umani.

Con S. per cercare di spiegarle come mai lei si senta di aver fatto qualcosa di male per il fatto di essere malata, abbiamo illustrato il concetto della giustizia immanente che il grande psicologo Jean Piaget ha scoperto esistere nei bambini. Egli ha infatti mostrato come i bambini, ma anche gli adulti quando devono dare dei giudizi “a caldo” tendono a mettere in relazione delle conseguenze negative con cause attribuibili a comportamenti errati commessi dal soggetto anche se le due cose (conseguenze e comportamenti) sono completamente disgiunte e scollegate nella realtà. Si tratta in buona sostanza della stessa spiegazione che davano gli ebrei al problema delle malattie fisiche che venivano attribuite a delle colpe commesse o dal soggetto stesso o dai suoi genitori o antenati.

Sapere che in noi ci sono meccanismi di pensiero automatici e primitivi che ci portano a dare significati irrazionali alla realtà, non elimina questi pensieri ma ci permette di fare un primo passaggio per sentirci non completamente succubi degli stessi. Ecco che quindi arriviamo ad un’altra fase importante che consiste nel prendere le distanze da questi.

Contrastare le distorsioni cognitive La mente della persona che vive condizioni di limitazione, stress, avversità o incertezza si riempie di pensieri molto negativi che tendono a riproporsi con insistenza e a generare sentimenti ed emozioni sempre più distruttive. Questi pensieri spesso sono esagerati o catastrofici e in qualche modo sono anche frutto di quelle modalità di pensiero primitivo o infantile con cui talvolta leggiamo la realtà. Per questo possiamo chiamarle vere e proprie distorsioni cognitive: rappresentazioni della realtà in cui la stessa anche se non è deformata al punto da divenire delirante, resta comunque alterata e sensibilmente diversa da come la si potrebbe guardare con un’ottica più equilibrata. La nostra paziente di oggi ne ha portati diversi di queste distorsioni, che abbiamo cercato di mettere in discussione con un confronto pacato; ne faccio un breve elenco:

  1. L’idea di essere perseguitata da un destino avverso (interpretazione scorretta della realtà);
  2. L’idea che i suoi mali siano la conseguenza di una colpa o di una sua debolezza (svalutazione di sé, attribuzione erronea di responsabilità);
  3. L’idea chela sua vita sia completamente annullata nelle sue potenzialità dai problemi di salute (catastrofismo);
  4. L’idea che la sua malattia avrà conseguenze devastanti per tutta la sua famiglia e che lei non può permettersi di non essere come avrebbe voluto (eccessivo senso di responsabilità e eccessive aspettative su di sé).

È importante individuare queste distorsioni con la paziente e metterle in discussione attraverso un confronto realistico e dialogico. Non si tratta naturalmente di arrivare diritti alle conclusioni dicendo sbrigativamente “sono idee sbagliate”, ma si tratta di intraprendere un dialogo direi quasi socratico in cui l’idea viene messa a confronto con la realtà e ne viene vagliata la sua capacità di comprensione e di descrizione della realtà stessa. Io dico spesso ai pazienti che le nostre idee e i nostri pensieri sulla realtà sono la nostra bussola per questo dobbiamo fare un lavoro periodico di verifica per capire se queste nostre rappresentazioni riescono a contenere la realtà stessa nella sua complessità o sono delle semplificazioni che la distorcono.

Alla fine di questo processo di confronto con la paziente, ad esempio, abbiamo riconosciuto che la malattia non ha messo in evidenza un suo lato debole ma tutt’altro ella ha dimostrato in diverse circostanze di riuscire a proteggere il figlio da un’esposizione troppo traumatica e addirittura di renderlo partecipe di alcune procedure sanitarie senza che egli si spaventasse. Ecco che l’idea “sono un disastro come persona perché non riesco a fare più tutto come prima” è stata sostituita con l’idea “sono stata in grado di gestire nella mia famiglia la malattia in modo molto protettivo ed efficace soprattutto verso il figlio”. È evidente che questo processo cognitivo di elaborazione va consolidato e tenuto vivo a fronte dei pensieri automatici di cui si parlava che prendono spazio nella mente un po’ come certe illusioni ottiche si impongono alla percezione nonostante noi sappiamo che siano ingannevoli.

Promozione di strategie di fronteggiamento (coping). Accanto a questi processi di analisi dei pensieri e dei sentimenti che si agitano nel paziente, è molto importante dedicare un tempo a ragionare con lui su come pensa di affrontare sul piano comportamentale il problema, attraverso quali strategie di supporto e di aiuto e di mantenimento di alcuni momenti di gratificazione e di distrazione. Questo tipo di “discorsi pratici” ha anche il senso di immettere il paziente in un contesto in cui siamo con lui ad affiancarlo nella ricerca di soluzioni più soddisfacenti in merito alla gestione della quotidianità, alla creazione di momenti di piacere, al mantenimento degli interessi e delle abitudini del paziente stesso. Nessuno può sottrarsi alla necessità di ripensare alla propria quotidianità, alle proprie relazioni, a come usare il proprio tempo e le proprie energie quando un evento impegnativo come una malattia interviene seriamente nella nostra vita.

Con la nostra paziente S. a questo proposito ci siamo interrogati su come potrebbe ugualmente andare in vacanza nei posti per lei tanto amati o come potrebbe chiedere più esplicitamente un aiuto al proprio compagno nella gestione del figlio. Una volta trovato anche questo relativo nuovo equilibrio in cui il paziente si ritrova cambiato suo malgrado e per certi aspetti adattato a questa nuova condizione, resta però un ulteriore domanda a cui è importante cercare di rispondere con il paziente stesso; domanda che talvolta egli non fa esplicitamente ma che emerge tra le pieghe del dialogo: “tutto questo che mi è capitato è un non senso o ha un significato per me e per le persone che mi vivono accanto?”

Ricerca e attribuzione di senso. Eccoci dunque al termine di questo piccolo percorso ad incrociare la domanda più difficile e forse più atipica, che in fondo molti psicologi non ritengono di prendere in considerazione o di sollecitare. Quello che succede ad una persona che vede stravolta la sua vita da una malattia è giustamente sentito come un “non valore”, un evento assurdo e negativo che andrebbe eliminato al più presto per tornare alla normalità. Il male è rifiutato come un oggetto estraneo, assurdo, beffardo che deve essere tenuto lontano ma che purtroppo fa parte in diversa misura della nostra esistenza. Quando questo male visita la nostra vita per un tempo non breve, dobbiamo assumere una posizione di fronte ad esso e ridefinire noi stessi in base anche a questa nuova condizione.

Come ha ben spiegato lo psicologo statunitense A. Abraham Harold Maslow (*1908-†1970)  l’essere umano vede in sé una molteplicità di bisogni (fisiologici, di sicurezza, sociali, affettivi, di stima, di auto realizzazione) al culmine dei quali egli ha collocato i bisogni di realizzazione di sé e i bisogni spirituali. Si tratta in altre parole di rispondere all’antico e sempre vivo dilemma che accompagna ogni essere umano a partire dall’adolescenza: ma in fondo quale è il significato della mia vita, cosa ci sto a fare al mondo? Come mi colloco di fronte alla vita che sto vivendo, che valori voglio incarnare nella mia vita e nei miei atteggiamenti? Cosa voglio lasciare agli altri? Che persona voglio essere?

Sono domande dal sapore filosofico o religioso che certamente possono trovare lo psicologo in una posizione di imbarazzo in quanto ritiene di non essere formato per affrontare questi temi, e credo che ciò sia vero. Tuttavia penso sempre alla disperazione della mia paziente S. che guardando alla sua vita sconvolta si chiede: “e ora? Che senso ha la mia vita ora?” Certamente è una domanda a cui nessun esperto può rispondere ma ritengo che essere con la mia paziente in un rapporto di affiancamento e di aiuto vuol dire anche non eludere questa domanda e porsi di fronte a lei a riflettere, interrogarsi, cercare con lei.

A questo punto paziente e psicologo sono alla pari, sono due persone che si interrogano e che cercano, una portatrice di una condizione di sofferenza, l’altro portatore di tante esperienze simili, oltre che la propria, su cui ragionare. Non è una questione che si può liquidare con una soluzione, ma aver posto il problema, averlo quantomeno definito, aver delineato alcune possibilità, può aiutare il paziente a sentirsi sempre più uomo tra gli uomini che vivono la comune condizione del dolore. Si tratta come essere umano di dare un significato alla propria vita non solo nonostante la sofferenza ma anche attraverso la sofferenza.

Questa cosa così difficile si è materializzata nel colloquio con S. quando mi ha detto: “vede ho capito che posso educare il mio bambino anche se sono malata, anzi anche attraverso l’esperienza della malattia, e vedo già ora che egli sta diventando più sensibile e maturo”. Non ho saputo rispondere se non ringraziandola per questo che mi stava dicendo. Per tradurre questo suo pensiero, l’ho espresso in una poesia che le ho poi inviato e che riporto con cui concludo questa mia riflessione.

Vita sulle rocce

Ci sono abeti

che si innalzano

non nell’ombra morbida

di un inclinato bosco,

ma una roccia acuta

è data loro in sorte;

quale colpa, quale capriccio

li ha fatti così

solitari interpreti

di acrobatiche esistenze

non è dato

né sensato chiedere:

il vento ciecamente

sparge i semi

perché ogni angolo

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sia vita,

così s’ergono, unici

punti verdi nell’azzurro terso

che è un miracolo

di grazia e forza

il loro tronco scuro,

dura è la fatica di quelle radici

ma quando li ammiri

dritti danzare nel sole

o alla loro ombra riposi,

senti la gioia

che riversano in ogni

palmo pulsante

e li ringrazi

di tanto amore.

Dr Paolo Breviglieri, psicologo psicoterapeuta                   pag.10

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RICORDI DI GIANNINO PIANA

– Il magistero ecclesiale: fallibile o infallibile?

si fa eccezione per alcune encicliche sociali, quali la Pacem in terris (1963) di Giovanni XXIII, la Populorum progressio (1967) di Paolo VI e la Laudato si’ (2015) di papa Francesco, che hanno avuto una larga risonanza anche nel mondo laico, i documenti del magistero ecclesiale non hanno rivestito (e non rivestono tuttora) un ruolo di particolare importanza nell’ambito delle comunità cristiane.

                Sia quelli più autorevoli, come le encicliche e le esortazioni apostoliche papali e gli interventi delle congregazioni romane, sia soprattutto quelli più legati a un territorio circoscritto come i progetti pastorali delle conferenze episcopali nazionali o le lettere pastorali dei singoli vescovi (peraltro sempre meno frequenti) godono di una scarsa attenzione presso il mondo dei fedeli laici praticanti. Del resto, gli stessi preti raramente fanno riferimento, nella predicazione e nella catechesi, a testi magisteriali, anche a quelli (e ve ne sono) particolarmente significativi.

                Un linguaggio fuori dal tempo. Le ragioni di questa omissione sono molte e di diversa natura. La prima (e la più immediata) riguarda la forma con cui tali documenti sono in genere redatti. Il linguaggio utilizzato è spesso un linguaggio paludato, per molti aspetti arcaico e dunque poco attraente, o un linguaggio cifrato di stretta natura teologica, perciò comprensibile ai soli addetti ai lavori. A questi limiti si è in realtà sottratto – è giusto ricordarlo – papa Francesco, i cui testi sono scritti in un linguaggio non solo comprensibile, ma persino avvincente anche per il ricorso frequente a figure evocative e a espressioni narrative che riflettono l’immaginario latino-americano.

                Un’ulteriore ragione della scarsa attenzione rilevata va poi ricercata nell’eccessiva moltiplicazione di tali documenti, che rischiano di essere largamente inflazionati e di non consentire a chi li accosta di distinguere la loro diversa importanza.

                Il cosiddetto magistero ordinario, sotto la cui etichetta tali documenti si collocano, è in realtà composto da una serie di interventi che non hanno (e non possono avere) lo stesso valore, sia per la fonte da cui provengono sia per l’oggetto a cui si riferiscono che è legato a un grado più o meno consistente di storicità, sia, infine, – ed è questo un elemento di notevole rilevanza – per il diverso carattere dottrinale e/o pastorale che li qualifica.

                Da ultimo (ma non in ordine di importanza) un ruolo decisivo nella scarsa considerazione rilevata va attribuito alla pretesa di dare a tali documenti un livello di assolutezza, tale da farli percepire dai comuni fedeli come contrassegnati da un carattere dogmatico.

                La dottrina ufficiale della chiesa non ha mancato di rilevare (anche se lo ha fatto con troppo poca insistenza) che si tratta di documenti il cui contenuto non è immutabile né, tanto meno, infallibile.

Non sono infallibili. Non ha tuttavia torto  Hans Küng (*1928-+2021)nel rilevare, nel suo famoso ”Infallibile?” 1970, che, dopo la definizione dell’infallibilità papale da parte del concilio Vaticano I (1870), è venuta diffondendosi in una parte del mondo ecclesiale una forma di infallibilismo che nulla ha a che vedere con la definizione propria del Concilio, la quale mette in evidenza con precisione a quali condizioni l’infallibilità papale possa (debba) esercitarsi.

                Purtroppo la sottolineatura di tali condizioni non è sempre stata ribadita dalla stessa gerarchia, la quale, mentre è spesso intervenuta con rigidità a sconfessare chi assume posizioni critiche nei confronti di documenti magisteriali che contengono affermazioni datate e prese di posizione del tutto opinabili, non ha stigmatizzato con altrettanto rigore il comportamento di chi li considera infallibili, incorrendo di fatto in un grave errore dottrinale.

Il ricupero del significato dei testi del magistero, in particolare di quelli più significativi, è allora subordinato ad alcune condizioni. Al di là della necessità dell’uso di un linguaggio più attuale e più comprensibile e di una maggiore sobrietà negli interventi, due dati meritano di essere segnalati. Il primo è l’attenzione alla diversità di autorevolezza dei vari documenti, non solo per la fonte da cui provengono, ma anche per i contenuti ai quali si riferiscono.

                Il magistero ordinario è, infatti, un magistero complesso, che coinvolge i diversi livelli della gerarchia ecclesiastica e che ha anche talora un diverso ambito geografico di riferimento: si va dagli interventi papali e delle congregazioni romane rivolti ai membri della chiesa universale, a quelli delle conferenze episcopali nazionali che si rivolgono ai fedeli della rispettiva nazione, fino a quelli dei singoli vescovi, la cui area di influenza si restringe all’ambito della propria chiesa locale.

                Secondo, la differenza tra i problemi affrontati, diversi come conseguenza di questa ampia articolazione. Mentre, infatti, i documenti della chiesa di Roma non possono che riguardare tematiche generali concernenti sia la vita della chiesa universale sia l’ordine socio-politico mondiale, quanto più si scende nei vari ambiti territoriali tanto più si entra in questioni particolari con prese di posizione che presentano una maggiore opinabilità.

                Il giudizio che si può dare di ogni singolo documento e il grado di adesione che a esso va riservato devono perciò essere messi in stretta relazione con la loro diversa natura e con la diversa importanza della fonte da cui provengono, nonché dall’area geografica alla quale fanno capo.

Criteri di lettura. A fornire utili indicazioni in proposito vi è stata in passato nella manualistica teologica l’introduzione della categoria di note teologiche che definiva la diversa rilevanza dei vari documenti a seconda del loro genere letterario, assegnando il primato alle encicliche papali e procedendo secondo una scala valoriale dalla quale discendeva il diverso grado di assenso richiesto.

                Oggi la situazione è più fluida, parlando di magistero ordinario non si fanno grandi distinzioni, anche se non mancano – come si è detto – criteri importanti che consentono di mettere in atto un corretto discernimento. La mancata attenzione di molti – preti e fedeli – ai documenti del magistero ordinario, va ricercata, da ultimo (ma non in ordine di importanza), nella eccessiva rilevanza a essi attribuita dalla gerarchia ecclesiastica e nella considerazione della caducità di molti di essi e talora della discutibilità delle argomentazioni addotte.

Se si risale indietro nel tempo è facile riscontrare in molti casi lo stretto legame di alcuni interventi con una situazione storico-culturale oggi del tutto superata; in altri l’incapacità di leggere i segni del tempo o il prevalere di logiche di potere, che finiscono per offuscare il giudizio su eventi rivelatisi poi provvidenziali; in altri, infine, per condannare posizioni dottrinali che, pur con gli inevitabili limiti, contenevano i germi di una significativa attualizzazione dell’annuncio evangelico. Lunghissimo sarebbe l’elenco delle valutazioni storiche che si sono rivelate in seguito infondate o sbagliate.

Affermazioni infondate. Limitando, tuttavia, la riflessione alle posizioni dottrinali, ci si può domandare quale continuità sia possibile riscontrare tra il Sillabo (un elenco degli errori condannati dalla Chiesa nel 1864, di fatto un rifiuto del pensiero moderno e della libertà di coscienza, ndr) e il decreto sulla libertà religiosa del Vaticano II (1965) o quale ritardo nell’aggiornamento dottrinale e pastorale della chiesa sia stato provocato dalla promulgazione dell’enciclica Pascendi (1907) di Pio X che condannava il modernismo (movimento filosofico-teologico che, a cavallo dei secoli XIX e XX, propone un rinnovamento del linguaggio e degli studi in ambito ecclesiastico, ndr).

                Questi esempi (e molti altri) evidenziano che – paradossalmente – la via per rivalutare il magistero ordinario e favorire lo sviluppo di una maggiore attenzione a esso da parte delle comunità cristiane, è di relativizzarlo storicizzandolo, riconducendolo cioè al contesto storico-culturale in cui è nato e riconoscendo con onestà i limiti e gli errori cui è andato soggetto, assumendo pertanto nei suoi confronti un atteggiamento rispettoso senza rinunciare tuttavia all’esercizio del discernimento e della critica.

Giannino Piana, già docente di etica cristiana alla Libera Università di Urbino e di etica ed economia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino.

Articolo pubblicato (con il titolo “Magistero ecclesiale: quale identità?”) sul numero di maggio (5/2022) del mensile “Il Gallo”, che aderisce alla Rete dei Viandanti

SINODO SULLA SINODALITÀ

La rotta del Sinodo: una Chiesa accogliente per tutti

Ritrovarsi insieme, pregare insieme, ascoltare insieme la parola di Dio e ascoltarci gli uni gli altri è servito a riscoprire ciò che ci unisce in Cristo per essere, camminando insieme, la terra buona dove il seme possa crescere; a testimoniare che un altro modo di stare insieme è possibile; a valorizzare sempre, popolo di Dio unito dal battesimo, ciò che ci unisce e mai ciò che ci divide.

Arrivati a metà del cammino di questo Sinodo, che ci chiede di ripensarci come Chiesa, ci ritroviamo attoniti in un mondo polarizzato che “ha smarrito la via della pace, che ha preferito Caino ad Abele” (Cfr. Papa Francesco Preghiera per la pace del 27.10.2023); un pianeta che “si sta sgretolando e forse si sta avvicinando al punto di rottura” (Papa Francesco, Laudate Deum,2) .

Ci viene spontaneo domandarci allora: dove siamo noi nel mondo, dove siamo nel nostro viaggio? Quanta strada abbiamo percorso? E verso dove? E soprattutto è servito questo ritrovarsi a Roma di vescovi di tutti i continenti, insieme ad una piccola parte di “semplici battezzati”?

A cosa è servito? Il documento di sintesi si chiude citando il Vangelo di Marco (Mc 4,30 ss). Il regno di Dio è come un granello di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti i semi; ma poi diventa così grande che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra.

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/10/28/0751/01653.html

Ecco a cosa è servito ritrovarsi insieme, pregare insieme, ascoltare insieme la parola di Dio e ascoltarci gli uni gli altri: a riscoprire ciò che ci unisce in Cristo; per essere, camminando insieme, la terra buona dove il seme possa crescere.

A testimoniare che un altro modo di stare insieme è possibile. A valorizzare sempre, popolo di Dio unito dal, ciò che ci unisce e mai ciò che ci divide. A capire che la corresponsabilità a cui ognuno è chiamato – nella diversità dei carismi e dei ministeri – è un servizio e non un potere. A riscoprire come il discorso di Gesù sulla povertà ci riguarda tutti, come persone e come istituzione. A proporci di evitare ogni clericalismo (quello dei laici e quello dei sacerdoti ordinati). A riscoprire l’importanza di ognuno; e soprattutto della comunione che ci fa una cosa sola, membra gli uni degli altri. A riflettere sul ruolo delle donne, che furono le prime ad annunciare la resurrezione di Gesù. A ridare slancio all’ecumenismo. Ad essere una Chiesa accogliente per tutti. Tutti, nessuno escluso. Una Chiesa che non ragiona secondo le divisioni e le etichette del mondo, ma si domanda in ogni momento cosa avrebbe fatto Gesù di fronte a questo fratello, a questa sorella feriti. A come avrebbe fatto in modo di non escluderli dalla redenzione.

Sono tante le sfide che come Chiesa abbiamo davanti. Riguardano il sacerdozio, il diaconato, i ministeri non ordinati, la vita consacrata, le famiglie e le situazioni matrimoniali difficili; il ministero petrino, l’ecumenismo, la comunicazione nell’era digitale. Riguardano anche il tema controverso dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale.

Ma è l’amore che le ricomprende tutte. Una sola regola descrive la Chiesa costitutivamente sinodale: la carità; una creatività missionaria fondata, paziente, benigna; “non invidiosa, che non si vanta, che non si gonfia” (Cfr 1Cor 13,4 ss).

Questo ci ha detto l’assemblea che si è appena conclusa. Indicando una rotta e non un menu. Milioni, miliardi di persone sono come il viandante che percorreva la strada tra Gerusalemme e Gerico. Non possiamo dire non sapevo. Da questo saremo giudicati (cfr. Mt 25).

Paolo Ruffini, Prefetto Dicastero per la comunicazione

www.agensir.it/chiesa/2023/10/30/la-rotta-del-sinodo-una-chiesa-accogliente-per-tutti

Mons. Repole (Torino): Sensibilità differenti ma nessuna spaccatura, segnale di speranza per il mondo

. Parla     mons. Roberto Repole,*1967, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, che ha partecipato al Sinodo in Vaticano. “Ci siamo incontrati tra fratelli cristiani di ogni angolo del mondo. Abbiamo sperimentato la cattolicità della Chiesa ed è stata l’occasione per riscoprire ciò che qualche volta dimentichiamo: il mondo è davvero vasto e la Chiesa è vasta”. Mons. Roberto Repole ha partecipato alla XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi che si è tenuta in Vaticano dal 4 e al 29 ottobre.

Eccellenza, si è conclusa la prima fase del Sinodo sulla sinodalità voluto da Papa Francesco. Che esperienza è stata?

Abbiamo vissuto la sinodalità. Nel corso dei lavori, ci sono state voci diverse che sono state unificate dal soffio dello Spirito. Ci sono punti di vista differenti, ma formano un unico coro. Ed è stato fondamentale collocare queste voci non soltanto sul piano intellettualistico, ma su un livello profondo di preghiera e di ascolto di ciò che lo Spirito dice attraverso di noi. Non soltanto come singoli, ma come comunità.

La relazione di sintesi è stata approvata quasi all’unanimità, con pochi paragrafi che hanno ottenuto meno di 300 voti. In particolare i punti che riguardano il diaconato femminile, l’inserimento dei presbiteri che hanno lasciato il ministero in un servizio pastorale e il celibato sacerdotale.

Evidentemente ci sono sensibilità differenti, come dimostra anche la sintesi di questo primo atto del Sinodo. Ci sono questioni che rimangono da approfondire: mi è parso illuminante e anche utile, se si guarda la sintesi, il fatto che si siano distinte le questioni che sono patrimonio comune da quelle che vanno approfondite con competenza teologica. Non si tratta di sensibilità personale, ma dell’ascolto della Parola di Dio e di ciò che Dio vuole dire per l’oggi.

Bisogna leggere il documento in questa linea: ci può essere discussione, ci possono essere condizioni diverse, ma non le tensioni o le spaccature che fanno molto comodo al racconto dei media.

Cosa si attende dalla riflessione e dal confronto sui temi più dibattuti, come il ruolo della donna all’interno della Chiesa?

               La donna fa parte a pieno titolo e anzi in maniera viva e propulsiva alla vita della Chiesa. Senza le donne, la Chiesa non ci sarebbe e questo è un dato assodato che emerge dalla relazione. Poi ci sono questioni teologiche da affrontare, ad esempio se si parla del diaconato, che è il primo grado del sacramento dell’Ordine sacro. Mi aspetto che si affrontino questi temi con la giusta profondità teologica. Senza banalizzazione, senza superficialità, senza farci dettare l’agenda dal mondo. Il nostro essere Chiesa richiede dialogo, partecipazione, corresponsabilità differenziata di tutti i cristiani nella vita e nella missione della Chiesa.

Quanto ai laici, l’invito contenuto nella relazione è a non clericalizzarli in “una sorta di élite laicale che perpetua le disuguaglianze e le divisioni nel Popolo di Dio”.

Dobbiamo guardare la Chiesa per come è. C’è bisogno di ministerialità che siano altro dal ministero ordinato, perché la Chiesa possa esistere e possa vivere come comunità di fratelli e sorelle. Allo stesso tempo, queste nuove ministerialità o queste altre ministerialità non catturano tutta la questione dei laici e del laicato, che riguarda la grande maggioranza delle cristiane e dei cristiani che non svolgono un servizio dentro le mura della Chiesa ma vivono il loro essere cristiani nel mondo. Abbiamo bisogno di nuove ministerialità, ma non dobbiamo leggerle secondo una logica di superiorità e di inferiorità. Senza la presenza delle laiche e dei laici nel mondo – nella famiglia, nell’economia, nella scuola, nell’università, nella politica – il pericolo non è soltanto di clericalismo nella Chiesa, ma di una Chiesa clericale che è ripiegata su sé stessa.

Il Sinodo universale parla anche al Cammino sinodale della Chiesa italiana?

Le Chiese in Italia fanno parte della Chiesa cattolica. Il lavoro svolto dal Sinodo sarà di giovamento a tutta la Chiesa italiana. Ma può essere importante anche per l’Italia e per il mondo intero, non soltanto a livello ecclesiale.

Durante i lavori dell’Assemblea sinodale sono echeggiate le questioni del mondo di oggi: le donne e gli uomini costretti a emigrare per sopravvivere, le guerre che uccidono le persone e devastano i Paesi. Molti membri dell’Assemblea venivano da quei luoghi, dove si sperimentano quotidianamente gli effetti devastanti della crisi ecologica che si ripercuote anzitutto sui poveri.

                C’è una parola per le crisi nel mondo, dal Medio Oriente alla guerra in Ucraina?

Il messaggio del Sinodo può essere raccolto dalle cristiane e dai cristiani che si ritrovano insieme, pur appartenendo a popoli diversi, e in forza della fede riescono ad affrontare i problemi nel rispetto e nell’ascolto della Parola di Dio. Il Sinodo può essere un grandissimo segnale di speranza per il mondo che, come ha detto il Papa, vive davvero un’ora buia.

Intervista di Riccardo Benotti     Agenzia SIR        30 ottobre 2023

www.agensir.it/chiesa/2023/10/30/sinodo-sulla-sinodalita-mons-repole-torino-sensibilita-differenti-ma-nessuna-spaccatura-segnale-di-speranza-per-il-mondo

La chiesa vota la svolta si torna al concilio

Cosa resta del Sinodo dei vescovi? Quattro settimane di lavori, 464 partecipanti, 365 votanti tra cui 54 donne; una conferenza stampa al giorno o quasi in Vaticano, relazioni e un documento finale che finale non è perché il Sinodo di quest’anno è un ponte per arrivare all’anno prossimo, con una nuova Assemblea e – si spera – qualche decisione operativa.

Tuttavia c’è un’immagine che più di tutto racconta come questo Sinodo sia stato un’avventura vera e propria, di segno diverso rispetto al passato. L’immagine è quella dell’Aula Paolo VI attrezzata per i lavori. I partecipanti non erano nella classica platea rivolta verso un tavolo di presidenza ma disposti attorno a tavoli circolari con 8-10 posti per volta. Un modo per favorire il dialogo e lo scambio.

In precedenza, ognuno parlava per pochi minuti e dalla massa informe di interventi si cercava a fatica di recuperare un filo conduttore. Tutt’altro metodo questa volta e la “sinodalità” è nello sforzo di mettere in relazione le persone, parlarsi, trovare aspetti su cui convergere. Papa Francesco lo ha detto chiaramente in apertura dei lavori: non siamo davanti ad una procedura ‘parlamentare’ dove si cerca una maggioranza oppure ci si scontra e alla fine si decide per quantità di voti. Siamo in uno stile ‘sinodale’ dove la ricerca della convergenza è un processo di discernimento e dialogo. Per il Papa – e per la Chiesa – è un metodo di lavoro dietro il quale agirebbe lo Spirito Santo. Per chi è meno teologico, bisogna riconoscere che è in atto lo sforzo di superare contrapposizioni e tensioni attraverso un processo di dialogo.

Il Sinodo si è chiuso con una Relazione di sintesi, divisa in tre parti:

  1. i principi teologici che illuminano e fondano la sinodalità;
  2. la vita e la missione della Chiesa;
  3.  lo scambio tra le Chiese e il dialogo con il mondo.

L’obiettivo è portarla a livello locale per una più ampia e approfondita discussione, prima del prossimo appuntamento di ottobre 2024 per riprendere il filo del discorso e arrivare a delle conclusioni.

La lettura della Relazione sfuma i toni ed è tutta sull’impronta della gradualità.

Ammettere le donne al diaconato e quindi sostituire il sacerdote in alcune funzioni (celebrare matrimoni, amministrare i sacramenti, benedire, predicare)? Qui si conta il maggior numero di opposizioni (69 no, 277 sì), indicando una possibile spaccatura qualora si proceda troppo velocemente. Anche se la proposta che “prosegua la ricerca teologica e pastorale sull’accesso delle donne al diaconato”, e la proposta di “una più approfondita” ricerca teologica sul diaconato, hanno ricevuto rispettivamente 67 no e 279 sì e 61 no e 285 sì.

Iniziare una riflessione sul celibato obbligatorio dei preti (regola introdotta dopo il Concilio di Trento)? Approvata con 55 no e 291 sì. 53 voti contrari e 293 positivi per il suggerimento di considerare, “caso per caso e a seconda dei contesti, l’opportunità di inserire presbiteri che hanno lasciato il ministero in un servizio pastorale che valorizzi la loro formazione e

la loro esperienza”.

Ha raccolto 27 no – quindi molto pochi – la proposta di “garantire che le donne possano partecipare ai processi decisionali e assumere ruoli di responsabilità nella pastorale e nel ministero”, e 26 voti contrari per l’affermazione che “clericalismo, maschilismo e un uso inappropriato dell’autorità continuano a sfregiare il volto della Chiesa e danneggiano la comunione.

Insomma, entrando dentro la Relazione ce ne è per tutti i gusti. Dal punto di vista tecnico e strettamente ecclesiale, il punto di svolta di un possibile effettivo cambiamento sta nelle 5 righe finali delle proposte approvate nel primo paragrafo della prima parte. Si parla di approfondire il tema della sinodalità, prima attraverso una specifica riflessione teologica; e poi si dice così: “Richiedono un analogo chiarimento le implicazioni canonistiche della prospettiva della sinodalità”.

A riguardo si propone l’istituzione di un’apposita commissione intercontinentale di teologi e canonisti, in vista della Seconda Sessione dell’Assemblea.

Pare giunto il momento per una revisione del Codice di Diritto Canonico e del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Si avvii quindi uno studio preliminare”.

Qui c’è lo snodo definitivo, perché tutte le proposte che verranno discusse e magari approvate l’anno prossimo, saranno nulle se non si trasformano in ‘canoni’ del Codice di diritto canonico – nei suoi due rami, quello per la Chiesa di rito latino e per le Chiese di rito orientale. E ovviamente il cantiere è gigantesco.

 Il cardinale gesuita Jean-Claude Hollerich, relatore generale del Sinodo, ha ribadito il suo punto di vista: “Non sono affatto preoccupato da questi risultati, credo che fosse chiaro che alcune questioni avrebbero incontrato resistenza: sono semmai sorpreso dal fatto che così tante persone hanno votato a favore, il che significa che le resistenza non sono così forti come qualcuno pensava”.

Sulla stessa linea il segretario generale del Sinodo, il cardinale Mario Grech, secondo il quale l’assemblea ha mostrato che “si sono aperti degli spazi”; “il ghiaccio si scioglie”.

E veniamo a qualche reazione e commento da sottolineare Papa Francesco cambia la Chiesa. Il teologo austriaco Paul Zulhener *1939  ha rilevato, pur in una visione positiva dell’insieme dei lavori, che “l’alto gradimento del presente testo è stato reso possibile dal fatto che molte questioni non sono state risolte, ma indicate come ancora aperte: il che, da solo, deve essere considerato un grande successo. Questo significa molto lavoro per l’anno prossimo. Il diaconato delle donne, la questione del celibato, la cultura sessuale, la questione di genere, la benedizione delle coppie omosessuali − sono tutte rimaste aperte. Da un lato, questo può deludere chi si aspettava già ora delle decisioni. Ma preoccupa anche chi voleva che questi temi fossero rimossi dal tavolo sinodale. Secondo le cifre del voto sulle questioni sensibili,

questi ultimi non sono poi così pochi − circa un terzo”.

Ma forse la visione più lucida della posta in gioco e del processo in atto è stata espressa da Michael Sean Winters    sul periodico statunitense (progressista) National Catholic Reporter. Nota Winters che “per ragioni che alcuni ritengono inadeguate e altri necessarie, i primi tre papi post-conciliari hanno tutti percepito la necessità di frenare alcune delle forze centrifughe scatenate dal Vaticano II. Francesco riconosce che la piena ricezione del Vaticano II dipende dal reinserimento, forse anche dall’incoraggiamento, di queste forze centrifughe. Il mezzo che ha adottato è questo processo sinodale, senza dubbio in gran parte grazie alla sua esperienza dei processi sinodali in America Latina. Pur nella loro diversità, le Chiese dell’America Latina condividono molti legami comuni, mentre la Chiesa globale contiene molte barriere socioculturali. Superare queste barriere per forgiare l’unità ecclesiale per via sinodale non sarà facile. È notevole come molti delegati sinodali abbiano usato parole come ‘duro lavoro’ e ‘estenuante’ per descrivere le loro riunioni! I conservatori scommettono, forse alcuni sperano addirittura, che l’intero processo sinodale si rivelerà troppo faticoso e che la Chiesa tornerà al suo metodo preferito per forgiare l’unità ecclesiale: l’obbedienza a una casta clericale e soprattutto alla Curia romana. Questo approccio ha dimostrato la sua inadeguatezza in troppi modi, dalla crisi degli abusi sessuali del clero ai pasticci finanziari del Vaticano, fino alla deliberata ignoranza delle mutevoli speranze e dei sogni di quella metà della razza umana che è femminile! Francesco ha chiesto di provare un approccio diverso, un approccio sinodale. Il sinodo appena concluso ha chiesto di proseguire con riflessione e preghiera lungo il cammino sinodale. L’attuazione creativa dell’ecclesiologia del Vaticano II da parte dei delegati può non soddisfare alcuni, ma è una svolta importante nella ricezione del Vaticano II. Vale la pena continuare su questa strada. D’altronde, non c’è davvero alternativa”.

www.ncronline.org/opinion/ncr-voices/synod-meeting-rome-done-what-now Papa Francesco cambia la Chiesa

Fabrizio Mastrofini          “l’Unità” 1° novembre 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202311/231101mastrofini.pdf

Da un Instrumentum Laboris a un altro: le costituzioni sinodali differite

La Relazione di Sintesi (=RS) della Prima Sessione della XVI Assemblea del Sinodo dei vescovi apre un enorme “cantiere ecclesiale”, sul quale, almeno per un anno, si leggerà la scritta “lavori in corso”. Come era chiaro già al momento della scelta di una “duplice assemblea”, questo passaggio del 2023 ha avuto, come esito, la trasformazione del Vetus Instrumentum Laboris in un Novum Instrumentum Laboris. La produzione di decisioni, come era inevitabile, è stata rimandata al prossimo anno, dopo il confronto ecclesiale, che dal centro tornerà alla periferia e troverà nuovo slancio e nuove argomentazioni.

La organizzazione del testo della RS in tre parti e 20 capitoli offre un quadro amplissimo di materie intorno a cui, per lo più, si riconosce che occorre riflettere ancora. Lo “status quæstionis” elaborato in queste 20 caselle presenta sempre un andamento tripartito: convergenze, divergenze e proposte.

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/10/28/0751/01653.html

Non ci soni deliberazioni, ma ci sono alcuni orientamenti chiari: primo fra tutti lo stile della “conversazione nello Spirito”, che ha permesso di identificare con cura la complessità delle questioni e di articolarle in modo ampio. Il risultato di questo amplio confronto è un documento a sua volta preparatorio. Qui, evidentemente, la coerenza tra metodo e risultato chiederà, alla fase successiva, un metodo diverso per ottenere non “costatazioni”, ma “deliberazioni”.

Un sintomo di questo necessario passaggio sta proprio nella “duplicazione” dell’Istrumentum Laboris, che rischia di ripetersi all’infinito. Certo, non è inutile una riorganizzazione dei temi nei 20 capitoli, con gli ascolti incrociati che si sono realizzati nelle sedute di preparazione. Ma è certo che lo stile del testo elaborato ha privilegiato la sintesi sapienziale alla dinamica profetica. Sia chiaro, il passaggio aveva una sua necessità intrinseca, poteva e doveva creare uno stile di confronto che, partendo dal basso, elaborava quadri interpretativi delle singole questioni, spesso eccessivamente dominati dal tema della “sinodalità”, che nel testo sembra talvolta la luce dalla quale ogni questione può trovare soluzione. In realtà si tratta di una “forma ecclesiale”, che costituisce soltanto l’orizzonte, necessario ma non sufficiente, per entrare in modo corretto e propositivo nelle dinamiche storiche e nel dialogo con le coscienze dei soggetti.

Ciò che sorprende, nel documento prodotto, è una singolare composizione tra “grazia della esperienza” e “lavoro di approfondimento”. La grazia è un tratto che accomuna tutte le risonanze scritte e orali dei sinodali implicati. Ma il loro lavoro ha prodotto, oltre che uno stile ecclesiale nuovo, testi di identificazione imponente di un nuovo lavoro necessario.

Il tenore argomentativo è molto pallido, quasi da “status quæstionis”: è come la istruzione della causa, ma il “respondeo dicendum” è sempre sistematicamente rinviato di 365 giorni. La tecnica ha le sue ragioni, ma deve fare immediatamente percepire che ogni stagione ha il suo stile. E che perciò questo stile dell’ascolto, che è iniziato nel 2021 e che è continuato nella prima Assemblea, dovrà essere integrato da nuove logiche (di confronto sulle argomentazioni e di elaborazione delle deliberazioni), senza le quali alla logica della costatazione non si sostituirà mai la logica della deliberazione.

Ad un primo esame, nessuno dei 20 capitoli sfugge a questa logica del differimento grazioso con supplemento di lavoro. Una analisi dettagliata, per ora prematura, può essere sostituita solo da piccoli sondaggi. Che dischiudono compiti urgenti e indifferibili, con la provvidenziale opportunità di una “data di scadenza” brevissima: ottobre 2024. Così, per paradosso, quello che non si è fatto in 60 anni, si potrà/dovrà recuperare in 11 mesi! Una grande profezia ecclesiale, messa alla prova dal tempo che si è fatto breve, quasi all’improvviso. La luce del Concilio Vaticano II dovrebbe farsi più brillante proprio in questo prossimo anno. Ecco un primo sguardo a queste dinamiche urgenti attraverso l’intero spettro dei temi affrontati.

a) Sinodalità in generale. Già sul primo punto, sulla nozione di sinodalità, le proposte (RS 1 p-q-r) indicano il necessario approfondimento a livello teologico, canonico e con la riforma dei codici di diritto canonico. Qui appare evidente come il regime argomentativo, anche sullo “stile sinodale”, non ha ancora acquisito una sua lineare chiarezza né teologica né canonica. Lo stesso vale per la relazione tra Tradizione e segni dei tempi, che appare come bloccata al 1963 ed esposta come questione e non come opportunità (RS 2, f): ciò che il Concilio Vaticano II aveva elaborato come risposta, ricompare qui ancora come una semplice domanda. Singolare appare poi il fatto che la sinodalità possa essere l’effetto di una comprensione unitaria della iniziazione cristiana (RS 3, g) o del significato teologico della Cresima (RS 3, i); lo stesso vale per la trattazione del tema dei poveri, dove tra le proposte brilla soprattutto la diffusione della “dottrina sociale” (RS 4, n). Vi è poi tutta la sezione del dialogo interreligioso e interconfessionale (RS 5-7): alla esigenza di nuovi linguaggi e paradigmi nel rapporto tra fede e cultura (RS 5, n), si unisce il compito di studio da parte di commissioni miste (teologiche, storiche e canoniche) tra tradizione orientale e occidentale (RS 6, j) e analogo approfondimento teologico, canonico e pastorale si chiede per la “ospitalità eucaristica (RS 7, i).

Come è evidente, il richiamo delle questioni è abbastanza dettagliato, ma il ricorso alla argomentazione per rispondere è integralmente differito ad altra data.

b) I soggetti di una chiesa sinodale. Analogo andamento emerge dall’esame dei singoli soggetti della Chiesa sinodale. Anzitutto nella identificazione della Chiesa come “missione”, la domanda di approfondire in generale la relazione tra carismi e ministeri (RS 8, i) pone al lavoro del prossimo anno il compito arduo di una parola chiarificatrice e che orienti speditamente la Chiesa non solo a riconoscere le questioni, ma a risolverle. Lo stesso vale per il tema “donna”, su cui il resoconto delle posizioni circa il ruolo della donna e sul suo accesso al ministero ordinato sembra restare ancora condizionato da una comprensione della tradizione come museo intoccabile e al tema del soggetto femminile ordinato come frutto di una “pericolosa confusione antropologica” (RS 9, j). Anche qui, la rinuncia alla argomentazione teologica e la presentazione sullo stesso piano delle diverse “posizioni” rimanda il compito al lavoro seguente, “se possibile” entro il prossimo anno (RS 9, n). Lo stesso vale per i religiosi e le religiose (RS 10), per diaconi e presbiteri (RS 11) per i Vescovi (RS 12) e per il papa e il collegio episcopale (RS 13): tutti vengono riletti in prospettiva sinodale, con richieste di revisione canonica e teologica di procedure importanti, come ad esempio la possibile obbligatorietà della nomina dei Consigli consultivi. Sul tema del “celibato” obbligatorio, in analogia con quanto detto sulla ordinazione della donna, la assenza di argomentazioni rimanda soltanto ad un approfondimento futuro, senza ulteriori specificazioni.

c) Lo stile di una chiesa sinodale. a terza parte, che ha per titolo “Tessere legami, costruire comunità”, inizia dalla questione della “formazione”, che si concentra sulla formazione dei ministri, con un ripensamento della “Ratio fundamentalis” indicato come dovuto e orientato alla sinodalità (RS 14). Segue poi il cap. 15, che appare il meno definito in tutto il testo e quasi un puro rimando ad un compito integralmente differito. Già il titolo “Discernimento ecclesiale e questioni aperte” dimostra l’imbarazzo verso il tema. Il suo contenuto si trova indicato in modo generico: “gli effetti antropologici delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale, la non violenza e la legittima difesa, le problematiche relative al ministero, i temi connessi con la corporeità e la sessualità e altri ancora.” (RS 15,b). Qui si deve osservare una prospettiva diversa nel criterio di considerazione delle questioni, rispetto alle limpide parole del Vaticano II, che in GS 46 dice di procedere: “alla luce del Vangelo e della esperienza umana”. Il testo sinodale dice invece: “Per sviluppare un autentico discernimento ecclesiale in questi e altri ambiti, è necessario integrare, alla luce della Parola di Dio e del Magistero, una base informativa più ampia e una componente riflessiva più articolata. Per evitare di rifugiarsi nella comodità di formule convenzionali, va istruito un confronto con il punto di vista delle scienze umane e sociali, della riflessione filosofica e della elaborazione teologica.” (RS 15,c). La luce viene solo dalla Parola di Dio e dal Magistero, mentre i dati sono “base informativa”. Si capisce bene la esigenza, ma la formula conciliare è più avanzata di quella proposta (solo provvisoriamente) in questo testo. La espressione viene ripetuta anche nell’unica proposta, assai generica, che chiude il capitolo, dove si afferma: “Proponiamo di promuovere iniziative che consentano un discernimento condiviso su questioni dottrinali, pastorali ed etiche che sono controverse, alla luce della Parola di Dio, dell’insegnamento della Chiesa, della riflessione teologica e, valorizzando l’esperienza sinodale” (RS 15, k).

Anche gli ultimi numeri (RS 16-20), dedicati all’ascolto e all’ accompagnamento, al confronto con l’ambiente digitale, ai raggruppamenti di Chiese e al rapporto tra Sinodo dei Vescovi e Assemblea ecclesiale, presentano un profilo propositivo assai ridotto e un livello argomentativo estremamente timido.

d) Grazia donata e duro lavoro. Di fronte ad un testo di rielaborazione di uno “strumento di lavoro” in un altro “strumento di lavoro” si può restare perplessi. Il passaggio non è stato invano. Ma chiede ora un cambio di stile e una logica sinodale diversa. Da un lato, infatti, un cammino di riconoscimento reciproco, interno alla Chiesa, deve essere visto come un passaggio necessario, ma non sufficiente, se non approda ad un atto di riconoscimento delle realtà complesse, con le quali la Chiesa si trova a camminare. Una Chiesa che esce, per davvero, non può pensare che il mondo, così come si presenta, sia solo il frutto di una “moda passeggera”. Per questo all’approccio sapienziale, che ha dominato anche giustamente fino a qui, occorre aggiungere un tratto profetico, che dalla RS sembra semplicemente differito. Una profezia differita rischia di tener la Chiesa certo al coperto, ma anche al chiuso. D’altra parte per creare il consenso su punti delicati, ma decisivi, occorre offrire ragioni più forti, più profonde e più convincenti. La semplice elencazione di “posizioni diverse” non dà ragione delle argomentazioni su cui le posizioni riposano e sull’orizzonte ecclesiale e spirituale che le alimenta. Non avere l’istinto di controbattere è una virtù da maturare, che però degenere in vizio se l’orientamento comune viene paralizzato dal gioco delle opinioni diverse. La dinamica dello Spirito, con la sua libertà, crea lo spazio per nuove visioni complessive, capaci di integrare le identità e di mettere in moto nuove forme del riconoscimento. Ci sono cose nuove, ci sono “segni” che insegnano alla Chiesa nuovi linguaggi e nuove forme di annuncio. Il cammino verso una “narrazione dinamica” della Chiesa cattolica, riaperto solennemente dal Concilio Vaticano II, deve tradurre le proposte in costituzioni sinodali capaci di una sintesi nuova. Senza una mediazione teologica forte, questo sarà impossibile. Il lavoro di preparazione, che certamente è costato tanta fatica, chiede uno stile nuovo e un linguaggio deliberativo, che interpreti la tradizione, lasciando che la luce della Parola e quella della esperienza umana, in una nuova sintesi originale, permettano alla Chiesa di riconoscere il bene esistente e di dare nome al bene possibile, quando esce fuori di sé, come le chiede il suo Signore. Il cantiere di lavoro è aperto. E ha la data di scadenza. Questi sono forse i due elementi più importanti del testo appena approvato.

Andrea Grillo    Come se non” – cittadella editrice          30 ottobre 2023

www.cittadellaeditrice.com/munera/da-un-instrumentumlaboris-a-un-altro-le-costituzioni-sinodali-differite

Il rapporto del Sinodo sulla sinodalità è deludente ma non sorprendente

Per Papa Francesco, la prima sessione del sinodo sulla sinodalità non ha mai avuto lo scopo di risolvere le questioni controverse che la Chiesa deve affrontare. Anche così, c’era chi sperava in un progresso sui preti sposati, sulle donne diaconi e sulle questioni LGBTQ. Rimarranno delusi dal rapporto finale pubblicato dal sinodo il 28 ottobre.

Per Francis non si trattava di argomenti scottanti. Si trattava sempre del processo sinodale, che sperava avrebbe superato le divisioni nella Chiesa e ci avrebbe impegnato nuovamente nella missione di Gesù: proclamare il Vangelo dell’amore e della compassione del Padre per tutta l’umanità e la Terra.

Se non altro, il movimento sulle questioni LGBTQ è stato invertito, come si può vedere dal fatto che il sinodo ha rifiutato persino di usare il termine LGBTQ nel suo rapporto, anche se il Vaticano e il papa ora usano il termine nei loro documenti.

Il rapporto di 40 pagine mostra che il potere nella Chiesa, almeno nel Sinodo, si è spostato dal Nord del mondo (Europa e Stati Uniti) al Sud del mondo (soprattutto Africa). Gli africani sono stati in grado di inserire nel rapporto la preoccupazione pastorale per coloro che vivono in matrimoni poligami, ma hanno lottato con le unghie e con i denti per mantenere fuori dal rapporto qualsiasi riferimento ai cattolici LGBTQ. A loro si sono uniti i vescovi polacchi e altri in opposizione a quella che hanno definito “ideologia LGBTQ”. Molti dei loro commenti al sinodo sarebbero considerati omofobici nel Nord del mondo.

Il patriarca di Siria si è addirittura ritirato dal sinodo piuttosto che sedersi con qualcuno che aveva opinioni opposte sulla questione. Ti chiedi se abbiano mai avuto consapevolmente una conversazione con una persona gay. Il trattamento delle questioni LGBTQ nel documento di lavoro del sinodo, o instrumentum laboris , è stato migliore rispetto al rapporto finale. Il rapporto non descrive nemmeno il dibattito nel sinodo. D’altra parte, il sinodo non ha chiuso la discussione sulle questioni LGBTQ né ha utilizzato un linguaggio come “intrinsecamente disordinato”. Piuttosto, si legge, «certe questioni, come quelle relative alle questioni dell’identità e della sessualità… sono controverse non solo nella società, ma anche nella Chiesa, perché sollevano nuove questioni».

Un sostenitore gay ha risposto: “Hanno dormito negli ultimi 50 anni per pensare che queste fossero domande nuove?” Il rapporto continua con una nota leggermente aperta: Talvolta le categorie antropologiche che abbiamo sviluppato non sono in grado di cogliere la complessità degli elementi che emergono dall’esperienza o dalla conoscenza delle scienze e richiedono maggiore precisione e approfondimento. È importante prendersi il tempo necessario per questa riflessione e investire in essa le nostre migliori energie, senza cedere a giudizi semplicistici che feriscono le persone e il Corpo della Chiesa.

Anche se questo lascia la questione aperta alla discussione, l’impressione generale che se ne ricava è: “Abbiamo le risposte giuste, semplicemente non sappiamo come comunicarle”. “Sono deluso non solo dal fatto che la comunità LGBTQ sia stata eliminata”, ha affermato il gesuita p. James Martin, che si occupa della comunità LGBTQ+ ed è stato scelto come delegato da Francis, ha detto al Washington Post , “ma anche che le discussioni che abbiamo avuto, appassionate da entrambe le parti, non si sono riflesse nel documento finale”.

La discussione sulle donne diaconi non ha né fatto avanzare né ritardato la questione. Il rapporto descrive piuttosto lo stato della questione, che non è stata modificata dal Sinodo: Sono state espresse posizioni diverse riguardo all’accesso delle donne al ministero diaconale. Per alcuni questo passo sarebbe inaccettabile perché lo considerano una discontinuità con la Tradizione. Per altri, invece, aprire l’accesso alle donne al diaconato ripristinerebbe la pratica della Chiesa primitiva. Altri ancora la discernono come una risposta adeguata e necessaria ai segni dei tempi, fedele alla Tradizione, e che troverà eco nel cuore di tanti che cercano nuova energia e vitalità nella Chiesa. Alcuni esprimono preoccupazione perché la richiesta parla di una preoccupante confusione antropologica, che, se accolta, sposerebbe la Chiesa allo spirito del tempo.

Anche in questo caso il ruolo dei membri africani è stato importante. Mentre il sinodo sull’Amazzonia ha favorito le donne diaconi, la Chiesa africana non ne ha affatto molti. I catechisti svolgono un ruolo molto più importante in Africa. Non c’è da meravigliarsi che ci sia poco interesse per le donne diacono in Africa, dove ci sono pochi diaconi uomini. Le donne in Africa si trovano ad affrontare il patriarcato e il clericalismo su scala più ampia.

Sorprendentemente, la possibilità di avere preti sposati ha ricevuto meno attenzione al Sinodo rispetto alle donne diaconi. Un delegato mi ha detto che solo tre interventi hanno discusso del celibato facoltativo. Altri hanno detto che nei loro piccoli gruppi non se ne è mai parlato. Qui tutto ciò che il Sinodo ha potuto dire è stato: Sono state espresse opinioni diverse sul celibato sacerdotale. Il suo valore è da tutti apprezzato come riccamente profetico e profondo testimone di Cristo; alcuni si chiedono, però, se la sua adeguatezza, teologicamente, al ministero sacerdotale debba necessariamente tradursi in un obbligo disciplinare nella Chiesa latina, soprattutto nei contesti ecclesiali e culturali che lo rendono più difficile. Questa discussione non è nuova ma richiede un’ulteriore considerazione.

Se dopo un mese questo è tutto ciò che possono dire, perché si sono presi la briga? Questo ci riporta alla visione di Francesco del sinodo come un modo per superare le divisioni e modellare il modo in cui le decisioni dovrebbero essere prese nella Chiesa. Per quasi tutti i membri del sinodo l’esperienza è stata positiva. Particolarmente buone sono state le conversazioni nello Spirito durante le tavole rotonde di circa 10 membri.

All’inizio, alcuni vescovi non erano abituati a sentirsi dire da una laica che i loro quattro minuti erano scaduti e che dovevano smettere di parlare. Ma la maggior parte ha accettato il processo e ha imparato a partecipare in un contesto in cui vescovi, sacerdoti, religiosi, laici e laici erano tutti ascoltati con rispetto. Il problema ora è come ripetere quell’esperienza in tutto il mondo nell’anno di consultazione prima della prossima sessione del sinodo nell’ottobre 2024. Poche persone leggeranno il documento di 40 pagine. I pastori hanno bisogno di una serie di semplici istruzioni su come continuare il dialogo nelle loro parrocchie . Si spera che la segreteria del Sinodo elabori una semplice tabella di marcia per le discussioni provvisorie.

Inoltre, nel rapporto ci sono molti elementi interessanti e importanti sui rifugiati, i migranti, la tratta di esseri umani e i poveri. Ha riconosciuto la necessità di promuovere la pace e proteggere la Terra. Ha sottolineato l’importanza dell’ecumenismo e della cooperazione interreligiosa. Sostiene che la Chiesa sia più sinodale ed esprime il desiderio di una migliore formazione del clero e dei laici, nonché la “necessità di rendere il linguaggio liturgico più accessibile ai fedeli e più incarnato nella diversità delle culture”.

Ogni vescovo e pastore dovrebbe poter trovare nelle 40 pagine qualcosa da discutere con la sua comunità. Tentare di scrivere un documento di 40 pagine nell’ultima settimana del Sinodo è stato un errore, soprattutto quando si ha a che fare con un gruppo internazionale multiculturale di 364 membri. Alla prima bozza sono stati presentati più di mille emendamenti. Il testo ufficiale era italiano con una traduzione provvisoria in inglese, che ho utilizzato in questa rubrica. Non era disponibile nessun’altra traduzione, il che ha lasciato fuori gli spagnoli. La soluzione è stata leggere all’assemblea tutte le 40 pagine con traduzione simultanea prima che la relazione fosse votata paragrafo per paragrafo. Nessuno sa quando verranno pubblicate le traduzioni ufficiali.

Nell’omelia della messa conclusiva del sinodo, Francesco ha riconosciuto che i lavori del sinodo non sono finiti. “Oggi non vediamo il frutto pieno di questo processo, ma guardiamo con lungimiranza all’orizzonte che si apre davanti a noi”, ha affermato. “Il Signore ci guiderà e ci aiuterà ad essere una Chiesa più sinodale e missionaria, una Chiesa che adora Dio e serve le donne e gli uomini del nostro tempo, andando a portare a tutti la consolante gioia del Vangelo”.

Ora che la prima sessione del sinodo è terminata, la palla passa a tutti gli altri. Siamo invitati a continuare il dialogo nello Spirito. Quelli come me che sono impazienti di cambiamento devono ricordare le parole del cardinale Jean-Claude Hollerich che ha descritto la Chiesa come “il popolo di Dio, che cammina attraverso la storia, con Cristo in mezzo a lei”. “È normale che ci sia un gruppo che cammina alla sua destra, un altro alla sua sinistra, mentre alcuni corrono avanti e altri restano indietro”, spiega Hollerich. “Quando ciascuno di questi gruppi guarda Cristo nostro Signore, insieme a Lui non possono fare a meno di vedere il gruppo che fa il contrario: chi cammina a destra vedrà chi cammina a sinistra, chi corre avanti vedrà chi resta indietro. In altre parole, il cosiddetto progressista non può guardare Cristo senza vedere con lui i cosiddetti conservatori e viceversa. Tuttavia l’importante non è il gruppo a cui sembriamo appartenere, ma camminare con Cristo all’interno della sua Chiesa”.

Thomas Reese SI

www.ncronline.org/opinion/guest-voices/synod-synodality-report-disappointing-not-surprising

Sinodo: il diaconato femminile, la madre di tutte le battaglie

                La prima sessione del Sinodo sul futuro della Chiesa cattolica, conclusasi domenica scorsa, ha aperto la strada a significativi progressi, in particolare sulla questione del posto delle donne. Ma ci sono ancora grandi incertezze…

Nella sua relazione finale, che sarà discussa nelle Chiese locali nei prossimi mesi, l’assemblea sinodale – alla quale per la prima volta nella storia del cattolicesimo hanno partecipato 54 donne – ritiene “urgente” garantire un ruolo alle donne nel governo della Chiesa. Per ancorare questo desiderio alla realtà, è stata discussa la possibilità di ordinare le donne al diaconato. Per alcuni, come si legge nella relazione, ciò sarebbe “inaccettabile”, una rottura con la Tradizione. Altri sostengono che sarebbe un ritorno alla pratica della Chiesa primitiva. Altri ancora sostengono che sarebbe “una risposta appropriata e necessaria ai segni dei tempi”.

Il diaconato femminile si preannuncia come il terreno di scontro dei prossimi mesi. Sebbene sia diventata una questione centrale, la battaglia è tutt’altro che vinta. È uno dei punti più contestati nella sintesi finale di 42 pagine della prima sessione del sinodo. I due paragrafi che lo riguardano sono stati “i meno votati”, con 69 e 67 voti contrari su 346 votanti, una vera e propria opposizione visto che il documento è stato redatto in modo da ottenere l’assenso dell’assemblea.

Finora il Papa stesso ha dato l’impressione di tentennare, avendo già istituito due commissioni teologiche per riflettere sulla questione. Non ha deciso, ma allo stesso tempo ha lasciato la porta aperta – un modo di procedere bergogliano. Il rapporto di transizione esorta a “continuare la ricerca teologica e pastorale sull’accesso delle donne al diaconato”. Per trovare argomenti per convincere i contrari? È improbabile che ciò sia sufficiente. D’altra parte, la relazione quasi ignora la questione dei diritti LGBT, in particolare la benedizione delle coppie gay. L’acronimo, sebbene utilizzato nell’instrumentum laboris, è letteralmente scomparso dal testo finale. Insomma, la prima sessione del Sinodo sembra aver reso invisibile la questione.

Per paura di una frattura troppo netta? Questo accantonamento riflette la riluttanza, anzi il timore, del Sinodo di affrontare pubblicamente la questione della benedizione delle coppie dello stesso sesso. Una figura di spicco nella lotta per l’inclusione dei gay nella Chiesa cattolica, il gesuita americano

James Martin, *1960 ha espresso il suo disappunto dopo la riunione. “Immagino“, ha dichiarato al National Catholic Reporter, “che la maggior parte dei cattolici LGBTQ sarà delusa di non essere nemmeno menzionata nella sintesi finale“. Per questo prete, ciò è difficilmente comprensibile. Secondo lui, “il documento così come è stato reso pubblico non riflette il fatto che questo argomento […] è emerso più volte, sia nelle discussioni che nelle sessioni plenarie, e ha suscitato punti di vista molto contrastanti”. Allo stato attuale, sarebbe imprudente concludere che il Sinodo abbia respinto la benedizione delle coppie gay in quanto tale. Ma date le divisioni, è improbabile che la questione venga riaperta nella prossima sessione.

Anche l’obbligo del celibato per i preti ha fatto discutere. “Alcuni si sono chiesti se la sua adeguatezza teologica per il ministero presbiterale debba necessariamente tradursi in un obbligo disciplinare nella Chiesa latina“, si legge nella sintesi finale. Alcuni dei pilastri del Sinodo, altro amico intimo di Francesco, e

   come i cardinali Óscar Maradiaga *1942,  Jean-Claude Hollerich, *1958, gesuita,                relatore generale del Sinodo, hanno già preso posizione in passato a favore dell’ordinazione di uomini sposati.

Per quanto riguarda l’esercizio del potere all’interno della Chiesa cattolica – teoricamente al centro dei lavori di questo Sinodo – la relazione solleva alcuni ostacoli, in particolare la necessità di estendere l’istituzione dei consigli episcopali a tutte le diocesi. La scelta e la nomina dei vescovi, una vera e propria scatola nera, è stata oggetto di ampio dibattito. Nella sua relazione, il Sinodo ha chiesto una maggiore partecipazione dei laici a questo processo attualmente molto opaco.

La seconda sessione del Sinodo, prevista per l’ottobre 2024, avrà quindi il suo bel da fare. Secondo le informazioni disponibili, i partecipanti dovrebbero essere più o meno gli stessi e le decisioni finali spetteranno al Papa, che pubblicherà un’esortazione apostolica nel modo classico,

Bernadette Sauvaget     “Témoignage chretien” 2 novembre 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202311/231102sauvaget.pdf

Le proposte del Sinodo e le possibili modifiche al Codice di Diritto Canonico

Alcune proposte vanno a toccare specificatamente il Codice di Diritto Canonico e il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali per i quali si chiede esplicitamente una revisione

La relazione di sintesi pubblicata al termine della prima sessione della XVI Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi elenca decine e decine di proposte e questioni da affrontare in vista della seconda sessione, che si terrà in Vaticano nell’ottobre 2024. Alcune di queste vanno a toccare specificatamente il Codice di Diritto Canonico e il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali per i quali si chiede esplicitamente una revisione (parte I capitolo 1 lettera q-r).

                L’ultima edizione del Codice di Diritto Canonico è stata promulgata da Giovanni Paolo II nel 1983, al termine di un lavoro di revisione dell’edizione precedente pubblicata nel 1917 da Papa Benedetto XV. Il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali risale invece al 1990 sempre per volontà di Giovanni Paolo II. Esso è sostanzialmente il codice comune a tutte le chiese orientali cattoliche sui iuris

Oltre alla revisione dei Codici le proposte giunte dall’assemblea sinodale sono state quelle di istituire un Consiglio dei Patriarchi e Arcivescovi Maggiori delle Chiese orientali cattoliche presso il Santo Padre; l’eventuale convocazione di un Sinodo Speciale dedicato alle Chiese Orientali Cattoliche; un’adeguata rappresentanza di membri delle Chiese orientali cattoliche nei Dicasteri romani.

                E qui entra in scena una delle parole-chiavi del Sinodo, ovvero la corresponsabilità. “E’ un termine – ha spiegato ad ACI Stampa il canonista Rosario Vitale, fondatore di Vox Canonica – forse troppo abusato nell’ambito ecclesiale ma che in realtà dice molto, laddove però venga inteso proprio come il Concilio Vaticano II lo intendeva. Nella Apostolicam Actuositatem questo viene spiegato in maniera peculiare. I laici sono i primi collaboratori dei sacri ministri, e ne condividono le responsabilità. I padri e le madri sinodali hanno ben espresso questo concetto a mio avviso, di fatti nella parte seconda del documento finale intitolata: “Tutti discepoli, tutti missionari” leggiamo: “Piuttosto che dire che la Chiesa ha una missione, affermiamo che la Chiesa è missione”. La riflessione di questi anni ci porta a riflettere sempre di più circa il nostro diritto/dovere di evangelizzare, siamo tutti chiamati ad essere missionari della Parola di Dio, ognuno con i suoi doni e carismi e con la medesima “responsabilità”: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21).

Tra le proposte presentate che sarebbero destinate a toccare i codici, vi è quella circa i ministeri istituiti (parte II capitolo 8 lettera n). Qui si è probabilmente tentato di riportare in auge la questione dei viri probati, di cui si è già discusso durante il Sinodo amazzonico. Vitale ricorda che “si parla di ampliare quello del lettore non solo al ruolo svolto nelle liturgie, bensì anche quello della predicazione, dice il documento: “si potrebbe configurare un vero e proprio ministero della Parola di Dio, che in contesti appropriati potrebbe includere anche la predicazione”. Tale compito ad oggi è riservato esclusivamente ai chierici (vd. Cann. 766; 767 §1). In tal senso, se si vuole portare avanti questa riforma, è necessario cambiare un intero paradigma, giacché la capacitas della predicazione non è qualcosa che attiene alla capacità espositiva o alla preparazione teologica, ma si tratta di una funzione che è riservata a colui il quale è consacrato con il Sacramento dell’Ordine sacro, per cui neppure il Vescovo è autorizzato a dispensare dalla norma”. “Mi pare utile – nota il canonista – pensare ad un ministero istituito per le coppie sposate, le quali possono aiutare i futuri sposi nella preparazione a detto sacramento”, una sorta di catechisti ad hoc per le coppie che si preparano al matrimonio.

                Un altro punto che richiederebbe la modifica delle norme canoniche, riguarda i laici e la potestà di giurisdizione (parte II cap. 9 lettera r). La relazione finale recita “proponiamo che donne adeguatamente formate possano essere giudici in tutti i processi canonici”. “Importante – osserva Rosario Vitale – è questa proposta, poiché ad oggi le donne possono fare da giudici solo in un collegio e non come giudice monocratico. Questo perché se così non fosse, si dovrebbe cambiare un altro paradigma, ovvero quello che si riferisce alla potestà di governo, la quale per istituzione divina può essere esercitata solo da coloro i quali sono insigniti dell’ordine sacro (cfr. Can. 129 – §1). Ad oggi infatti i laici a norma del can. 129 – §2, possono cooperare (cooperari possunt) nell’esercizio di questa potestà, che è ben diverso dal poterla effettivamente esercitare ‘motu proprio’. Ma ci si potrebbe chiedere; se questa potestà possono esercitarla collegialmente, perché non possono esercitarla anche singolarmente? Questa è la domanda che si sono posti i partecipanti al Sinodo, una questione ancora aperta e che si dibatterà alla prossima sessione. Infatti il documento sinodale continua dicendo: “Va approfondita la questione del rapporto tra sacramento dell’Ordine e giurisdizione, alla luce del magistero conciliare di Lumen gentium e degli insegnamenti più recenti, come la Costituzione apostolica Prædicate Evangelium, per precisare i criteri teologici e canonici che sono alla base del principio di condivisione delle responsabilità del Vescovo e determinare ambiti, forme e implicazioni della corresponsabilità”.

                Infine – conclude nel colloquio con ACI Stampa il canonista Vitale – “si propone di rendere obbligatorio codificandolo, il Consiglio Pastorale nelle parrocchie, ad oggi strumento consultivo e facoltativo”.

Marco Mancini- Città del Vaticano         ACI Stampa.       3 novembre 023

www.acistampa.com/story/le-proposte-del-sinodo-e-le-possibili-modifiche-al-codice-di-diritto-canonico

TEOLOGIA

Von Balthasar e la gerarchia dei sessi

“La via regia della semplicità divina e la via della più inaudita illusione corrono parallele nella storia della teologia, in tutti i tempi e in tutti gli sviluppi, separate soltanto dallo spessore di un capello”  K. Barth

                       Karl Barth (* 1886 – † 1968) teologo e pastore riformato svizzero.

                Il magistero ecclesiale, nel pronunciarsi negativamente sulla ordinazione sacerdotale della donna, ha prudentemente tenuto le distanze da ogni “teoria universale” della esclusione della donna dal ministero ordinato. Non ne troviamo traccia né in “Inter Insigniores” (1976) né in “Ordinatio sacerdotalis” (1994). La questione viene risolta sul piano della “autorità dei dati storici” e sul piano della “mancanza di autorità” della Chiesa di fronte ad essi. La questione è sciolta, in fondo, con un rimando al “mistero della fede”. Per quanto si possa discutere nel dettaglio una tale soluzione, è evidente che essa rinuncia ad una “giustificazione di principio” della riserva maschile.

Altrettanto ovvio è che i teologi, se sono di razza e se non vogliono cadere in una semplice (e sempre fragile) teologia di autorità, provino a “spiegare” il contenuto del depositum fidei. Tra le diverse forme di “teologia della riserva maschile” sicuramente la più elegante e ambiziosa è quella prodotta dal pensiero di

    Hans Urs Von Balthasar,(*1905 – †1988) che identifica nella “riserva maschile” la traccia di una “struttura originaria” della esperienza ecclesiale, che come tale non può essere superata e vincola per sempre la Chiesa. Ma da dove viene questa intuizione?

La formalizzazione sistematica. Si deve notare che la grande formalizzazione, di cui Von Balthasar è stato capace in tutti i suoi capolavori (come in Herrlichkeit o in Theodramatik) costituisce il suo merito più alto e il suo contributo più potente al rinnovamento del pensiero teologico del 900. Nel suo “Solo l’amore è credibile” tutta la tradizione cristiana viene interpretata come segnata da due istanze (ontologiche e antropologiche) che attraversano i 2000 anni, fino al manifestarsi di un nuovo compito, nella forma di un primato non dell’essere, né dell’uomo, ma dell’amore. In queste straordinarie e meravigliose “genealogie” del pensiero, Von Balthasar collega tra loro pensieri, opere, eventi in una maniera del tutto sorprendente. Ma, proprio formalizzando, corre sempre grandi rischi: periculum latet in generalibus. Così, in queste catene di autori e di movimenti, di pensieri e di fatti, si possono leggere giudizi ponderati, ma anche idee azzardate e persino affermazione stravaganti. Un solo esempio: egli riesce a far scaturire dal pensiero di Immanuel Kant *1724 – †1804

persino il Movimento Liturgico, che, in nota, può essere ridotto, “sotto sotto”, a mero autocompiacimento dell’uomo nel culto. Questo rischio di semplificazione è intrinseco alla potenza di ogni formalizzazione. Una distinzione assunta come “principio” diventa sia occasione di intelligenza acutissima, sia di semplificazione disarmante.

Una profezia ecumenica. La elaborazione dei “due principi” (petrino e mariano) nasce per Von Balthasar dal desiderio di uscire da una semplificazione: quella che riduce la chiesa cattolica ad un principio istituzionale. Ricondurre la esperienza cristiana non ad uno, ma a due principi, quello istituzionale-petrino e quello carismatico-mariano, permette allo stesso tempo di leggere la propria identità e quella altrui con uno strumento più potente e più duttile. Per questo non si deve negare che questa elaborazione formale, che rende più complessa la lettura della tradizione cattolica, costituisca una obiettiva profezia, mediante la quale il cattolicesimo cambia il modo di guardare a sé stesso e alle altre tradizioni. E pone anche le premesse perché le altre tradizioni possano comprendere la ricchezza e la non univocità della tradizione cattolica.

La trasposizione dei due principi “eis allo genos”. Che cosa è accaduto, successivamente? Come non di rado accade alle formalizzazioni, esse possono essere applicate al di fuori del contesto originario in cui sono nate. Anzi, fa parte delle operazioni e delle ambizioni più accese di un grande autore, il fatto di saper spostare le categorie e i principi da un ambito ad un altro. Von Balthasar così ha utilizzato una distinzione elaborata per una “profezia ecumenica”, al fine di giustificare un assetto istituzionale interno alla chiesa cattolica. Ma non solo, ha identificato la figura identificatrice dei due principi (Pietro e Maria) come archetipi non di due forme di chiesa, ma della diversa vocazione dei due sessi e dei due generi. Così “principio petrino” e “principio mariano” si sono trasformati, non più teologicamente, ma direi metafisicamente ed essenzialisticamente, in “principio maschile” e “principio femminile”. Fino a teorizzare una “perenne gerarchia dei sessi” come orizzonte (anche pregiudiziale) di esercizio dei due principi. Qui la formalizzazione è scappata di mano al suo autore e ha iniziato a condizionarlo come un pregiudizio ammantato di sapienza.

Alcune contraddizioni in questo spostamento. Come ho imparato soprattutto da due autori contemporanei (da Marinella Perroni*1947  che ha scritto sul tema varie cose importanti, [www.cittadellaeditrice.com/munera/sulla-formula-principio-marianoprincipio-petrino-m-perroni]

e da  Luca Castiglioni*1981, che dedica pagine accuratissime a Von Balthasar nel suo “Figlie e figli di Dio. Eguaglianza battesimale e differenza sessuale”, Brescia, Queriniana, 2023, in questo spostamento dall’ecumenismo alla teologia del ministero i due principi entrano in crisi, almeno per due motivi:

a) Il primato del principio mariano e carismatico, che è un esito sorprendente della indagine ecumenica, si converte nel primato del principio petrino, come affermazione della perenne gerarchia tra i sessi, riportata sul piano naturale e creaturale. Una distinzione nata per “mettere in movimento” viene utilizzare per “bloccare”.

b) Lo spostamento sul piano “personale e sessuale” dei due principi introduce una sorta di “oblio” anche nella prodigiosa memoria balthasariana. I “principi” non hanno mai un nome e cognome, ma, proprio in quanto principi, sono trasversali rispetto alle biografie, anche dei santi. Non è difficile trovare il principio mariano all’opera in Pietro e il principio petrino efficace in Maria. La tradizione conosce bene come la competenza petrina sul perdono dei peccati non deriva a Pietro soltanto dal “principio petrino” del potere delle chiavi, ma anche e soprattutto dal “principio mariano” del pianto di fronte alla colpa del rinnegamento del Signore. Il carisma delle lacrime fa miracoli, anche nei maschi. D’altra parte l’accudimento materno che Maria riserva al figlio non impedisce a Paolo di considerarla, nell’unica citazione che le dedica, come il riferimento di un “nascere sotto la legge” che è chiarezza e identità istituzionale, non carisma. Un Pietro mariano e una Maria petrina sono un dato della scrittura che il sistema formale dei principi non sa più riconoscere e tende a cancellare. La idealizzazione ha una componente violenta che le è intrinseca e dalla quale occorre difendersi.

Le distinzioni come semplificazioni. Lo slittamento dalla profezia ecumenica alla apologetica cattolica dei due principi conduce ad una finale considerazione: vi è un effetto paradossale di ogni distinzione teologica. Da un lato essa aumenta la profondità della comprensione, ma dall’altro alza anche il rischio della semplificazione. Una dualità feconda, come la dialettica tra istituzione e carisma, se applicata rigidamente e direi quasi imposta al genere maschile e femminile, finisce per avvalorare sistematicamente un pregiudizio culturale. Che i maschi siano specializzati in istituzioni (anche senza carisma) e le donne in carismi (ma necessariamente senza potere istituzionale) è un esito che si può spacciare per teologia sublime e inarrivabile, ma che si rivela come un pregiudizio lucidato e infiocchettato, in un modo neppure troppo nascosto. Von Balthasar conosceva i rischi della formalizzazione. Può accadere, infatti, che un uso incontrollato di buone distinzioni approdi a forme di cecità, tanto più pericolose perché garantite e coperte da parole troppo sublimi. Von Balthasar sapeva bene ciò che il suo amico K. Barth aveva detto una volta, all’inizio del suo grande testo su S. Anselmo: ”La via regia della semplicità divina e la via della più inaudita illusione corrono parallele nella storia della teologia, in tutti i tempi e in tutti gli sviluppi, separate soltanto dallo spessore di un capello”.

Andrea Grillo    Come se non” – cittadella editrice          26 ottobre 2023

www.cittadellaeditrice.com/munera/von-balthasar-e-la-gerarchia-dei-sessi

VIOLENZA

Violenza di genere

La violenza sulle donne è da molto tempo al centro del dibattito pubblico insieme e concomitante ai casi di femminicidio che oramai sono di una frequenza intollerabile. Il “progresso” ha raggiunto livelli di alta tecnologia; l’intelligenza artificiale, le comunicazioni, lo studio sull’alimentazione e come allungare la vita alle persone. Tuttavia la cosa che sembra ancora lontana è il rapporto civile e paritario tra uomo e donna. Le stime sui femminicidi sono terribili e sembra che il numero aumenti di giorno in giorno in modo esponenziale.

Dallo stupro fine a sé stesso all’assassinio delle donne perché interrotto il legame con il compagno che non volevano più. Dai 16 ai 70 anni e oltre, l’età a rischio per una donna che esce di casa senza avere la tranquillità di poterlo fare senza correre rischi di violenze, percosse e stupro, magari di gruppo, è altissimo. E quella fisica, non è l’unica forma di violenza, non solo minacce, percosse, schiaffi e aggressioni, si tratta anche di ricatti, persecuzioni psicologiche e morali subite per molto tempo fino ad arrivare all’atto finale, il femminicidio.

Si chiama “violenza di genere”. In linea di massima, secondo dati probabilmente sottostimati, in Italia ogni 7 minuti un uomo stupra una donna e ogni 3 giorni uccide la propria compagna.

Chi sono i carnefici? Forse migranti irregolari o persone con disturbi mentali, magari tossicodipendenti? NO, questi sono stereotipi sbagliati. Per confondere, deviare e mimetizzare i veri responsabili. Perché i casi di violenza da parte di uomini che provengono da culture diverse dalla nostra sono largamente inferiori rispetto agli uomini italiani. La prima causa di morte e di invalidità permanente per le donne tra i 16 e i 44 anni in Occidente e nel mondo sono per il 70% dovute a mariti, fidanzati, ex partner, rifiutati dalla compagna dopo molto tempo di sofferenze e vessazioni. E non solo questo. Per violenza quotidiana è anche quando una donna non può gestire il suo tempo, non può vestirsi come le pare, è assillata dalla gelosia del partner, subisce ricatti emotivi e psicologici, persecuzioni violando i suoi diritti fondamentali.

Durante gli anni dedicati alla mia professione, tanti sono stati i corsi di aggiornamento sulla violenza di genere. Se l’obiettivo del Consultorio, in un approccio multidisciplinare è “promuovere la salute della donna e della famiglia” anche il tema della violenza è centrale nell’intervento territoriale. L’ostetrica accoglie la donna e spesso fa da filtro. Già al primo approccio, durante il colloquio, può cogliere aspetti che vanno oltre l’effettivo motivo che l’hanno portata al consultorio. Tanti sono i messaggi che arrivano all’operatore, dal linguaggio non verbale, piuttosto che parole chiave che sono lo specchio del suo malessere quotidiano. In quel contesto la donna si rilassa e si concede la libertà di espressione, lo spazio neutro e la presenza dell’ostetrica che le dedica tempo e ascolto, le sono sicuramente di aiuto nell’esprimere i suoi disagi. Tali condizioni favorevoli, unite alla fiducia che si instaura tra lei e l’ostetrica, sono un buon terreno su cui lavorare al fine di tutelarla da circostanze che nel tempo potrebbero metterla in serio pericolo.

Il Caso. Chadia (nome di fantasia) è di nazionalità marocchina, quarantacinque anni circa, quattro figli e sposata ad un uomo autoritario e violento. Chadia ha adottato la cultura europea anche se non ha abbandonato il velo. In casa comanda il marito, che spesso la copre di lividi per i motivi più banali. La violenza all’interno delle mura domestiche è pressoché la “normalità”, e se i vicini ne sono a conoscenza, non ne fanno parola.

Ho seguito Chadia nel percorso delle sue quattro gravidanze e questo ha contribuito a creare un solido rapporto di fiducia. A volte, durante i nostri colloqui, si lascia scappare qualche parola su ciò che succede a casa, ma senza la sua denuncia non mi resta che ascoltare e sperare che prima o poi si decida a porre fine a questa vita. Sa che io sono disponibile in qualsiasi momento. Un giorno, però, accade che Chadia si presenta al Consultorio con il velo non curato e con un grosso ematoma che le copre metà viso, fino alla mandibola. Capisco che è spaventata e che è arrivato il momento di intervenire, per lei e per i suoi figli. Io e la collega assistente sociale parliamo a lungo con Chadia, fino a che lei non decide di denunciare il marito. Dice che lo fa per i suoi figli che non sente più al sicuro accanto ad un padre tanto aggressivo, sempre pronto ad alzare le mani. Accetta, quindi, di andare al Pronto Soccorso e intraprendere l’iter giudiziario nei suoi confronti. A Chadia e ai suoi figli viene riservata una stanza separata e protetta dove poter raccontare il suo calvario. Il viso di questa donna è gonfio e con vistose ferite, esito della frattura dello zigomo e percosse. Grazie alla denuncia, il marito viene arrestato e condannato a tre anni di reclusione. La moglie, dopo tanti anni di crudeltà gratuite, viene ospitata con i figli in una comunità protetta e dopo la sentenza, potrà crescere i suoi ragazzi con lavori saltuari e l’aiuto dei servizi sociali.

Questa donna non ha avuto amore, solo violenze e miseria, eppure ha dato prova di coraggio e determinazione, denunciando un uomo senza morale, privo del senso della famiglia e del rispetto della stessa.

Considerazioni. La donna, per natura, ha una tolleranza infinita nei confronti dell’uomo che ama. Per amore arriva a giustificare comportamenti e agiti anche illeciti. Ma non solo, subisce i maltrattamenti fino ad assumerne le responsabilità … per malesseri che invece appartengono soltanto a lui (” forse ho fatto qualcosa che lo ha fatto arrabbiare …”). Quando si rende conto che il loro rapporto è malato e pensa di allontanarsi da un rischio ben peggiore, spesso è troppo tardi. L’ultimo atto della sua esistenza.

Irreversibile. Farà parte di una cronaca che annuncia l’ennesimo femminicidio. Ancora una volta quell’uomo ha concluso il suo volere. L’unica forza che lo fa sentire maschio è la forza fisica: la sopraffazione nei confronti della persona che lo fa sentire piccolo di fronte alla grandezza della donna. Perché dà alla luce i figli, li cresce, li ama incondizionatamente e dimostra loro di essere la colonna della famiglia. Questo, per alcuni maschi è insopportabile, così la violenza diventa l’unica strada possibile.  allora deve rendersi conto che l’amore incondizionato va di pari passo con l’autostima e la consapevolezza del proprio valore intrinseco.

Esigere rispetto. Il rispetto da parte del compagno, del datore di lavoro, del vicino di casa, del prossimo. La donna, in quanto tale, sa sempre come cavarsela. Perché mai avrebbe avuto il privilegio del parto se non fosse in grado di espletarlo? L’amore è il suo faro, è la forza da cui attingere per superare le prove più ardue, ma lo stesso sentimento non deve portarla all’autodistruzione, perché amare non vuol dire morire, ma arricchirsi reciprocamente, confrontandosi trasferendo questi valori ai figli.

I figli maschi che crescono in famiglie dove non c’è rispetto per la donna, saranno a loro volta compagni maltrattanti, le femmine cresciute da padri violenti saranno a loro volta maltrattate da adulte da altrettanti uomini simili al loro padre. I figli sono lo specchio delle loro famiglie, dove c’è amore e rispetto cresceranno futuri adulti responsabili ed equilibrati, viceversa avremo uomini capaci di imporsi solo con l’uso della violenza.

Spesso, nella mia professione, assisto le mamme al loro domicilio, e il cuore si gonfia di felicità di fronte all’armonia, alla condivisione e agli scambi di tenerezze. Coppie giovani ma ricche di valori rese ancor più solide dall’arrivo di un figlio: bambini sereni e liberi di crescere in un clima positivo e accompagnati da genitori accoglienti che offrono terreno fertile per la realizzazione dei lori sogni futuri. Saranno adulti liberi di sviluppare le potenzialità di cui ogni bambino è dotato fin dalla nascita.

Di queste famiglie ne è pieno il mondo, ne sono sicura, ne sono testimone e voglio crederci profondamente. Le persone non si distinguono dal sesso, ma dalle qualità interiori, dalla capacità di esprimere il meglio di sé a vantaggio di una società ricca di valori. Il bene sovrasta il male, in questo dovremmo credere tutti.

  • Cristina Danielis, ostetrica          Consultorio Ucipem di Mantova

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