news UCIPEM n. 983 – 8 ottobre 2023

news UCIPEM n. 983 – 8 ottobre 2023

UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

“Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.

Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le news sono strutturate: notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}. Link diretti e link per pdf -download a siti internet, per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono ripresi nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

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Carta dell’U.C.I.P.E.M.

Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.

1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.

Contributi anche per essere in sintonia con la visione evangelica

02 ADOZIONI                                       Adozioni (nazionali), svolta Consulta

03 CENTRO INT. STUDI FAMIGLIA    Newsletter CISF – n. 36, 4 ottobre 2023

04  CITTÀ DEL VATICANO                   Il nuovo concistoro tra rose e spine

05 DALLA NAVATA                              XXVII domenica del tempo ordinario (anno A)

06                                                           Capaci di tradire e uccidere per possedere la vigna

08 ECCLESOLOGIA                               Unità inscindibile tra Chiesa e parola di Dio

09 ESORTAZIONE LAUDATE DEUM  Papa Francesco e la crisi dell’ambiente: cosa dice la Laudate Deum

11                                                          La carezza del Papa

12 OMOFILIA                                        Catechismo e omosessualità: le tendenze (CCC n.2357)

15                                                           Cercate il suo volto. Riflessioni teologiche sull’amore omosessuale

16                                                           Seelsorge. Perché la questione omosessuale agita così tanto la vita della Chiesa

17                                                           Seelsorge. L’arcivescovo di Berlino e la benedizione dell’amore omosessuale

19 POLITICHE PER LA NATALITÀ       Per il Governo è il momento di fare i conti

22 RIFLESSIONI                                     La rimozione della morte

22 SESSUOLOGIA                                 «Donna o uomo, decisiva la biologia»

24 SINODO UNIVERSALE                   Il Sinodo, «pausa della Chiesa in ascolto»

25                                                           Il diario del Sinodo, la rottura sempre più netta con il metodo del passato

26                                                          I lavori nei 35 “tavoli” in Aula Paolo VI

27                                                          Dario Vitali: con il Sinodo la Chiesa cambia e torna alle fonti

29                                                          Il Sinodo delle correnti, ma il papa avverte: «Non è un parlamento»

30                                                          Donna…singolare, duale, molteplice

31                                                          Due dogmatiche “sfasate” e il cammino sinodale

34                                                          Dire in maniera nuova la fede

ADOZIONI

Adozioni, svolta Consulta

La Corte Costituzionale: sì a rapporti con le famiglie d’origine, secondo l’interesse del minore

Sentenza n. 183/28 settembre2023

www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2023:183

Soddisfatte anche le associazioni: giusto valutare caso per caso, senza automatismi legislativi. La legge sulle adozioni che dispone l’interruzione dei rapporti tra il bambino adottato e la famiglia di origine non è incostituzionale ma, in alcuni casi, anche l’attuale disciplina dell’adozione piena non impedisce al giudice di prevedere, nel preminente interesse del minore, che vengano mantenute relazioni socio-affettive con la famiglia d’origine.

«Ove sussistano radici affettive profonde con familiari che non possono sopperire allo stato di abbandono – si legge nella sentenza della Corte costituzionale depositata ieri (redattrice la giudice Emanuela Navarretta) – risulta preminente l’interesse dell’adottato a non subire l’ulteriore trauma di una loro rottura e a veder preservata una linea di continuità con il mondo degli affetti, che appartiene alla sua memoria e che costituisce un importante tassello della sua identità».

La Corte costituzionale ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale che erano state sollevate dalla Corte d’appello di Milano e ha precisato i termini della sua interpretazione conforme alla Costituzione.

In sostanza il riferimento alla cessazione dei rapporti con i componenti della famiglia d’origine -spiegano i giudici della Consulta – riguarda sempre i legami giuridico-formali di parentela. Diversamente, per le relazioni di natura socio-affettiva non si può ritenere, in termini assoluti, chela loro cessazione realizzi in ogni caso l’interesse del minore. Non è, pertanto, precluso al giudice verificare in concreto che, «sulla scorta degli indici normativi desumibili dalla stessa legge n. 184 del 1983, letti nella prospettiva costituzionale della tutela del minore e della sua identità», risulti nel suo preminente interesse mantenere «significative, positive e consolidate relazioni socio-affettive con componenti della famiglia d’origine», che non possono «sopperire allo stato di abbandono» del minore stesso. « Potrebbe, per ipotesi, trattarsi di nonni -si legge ancora nella sentenza – impossibilitati a farsi carico dell’assistenza del minore per età o per condizioni di salute, ma che rappresentano un importante punto di riferimento affettivo», ma anche di fratelli e di sorelle.

Una sentenza che soddisfa sia le parti coinvolte nel procedimento, sia le associazioni. La posizione tratteggiata dalla Corte costituzionale è infatti in sostanza quella auspicata in sede di dibattimento, il 5 luglio scorso, da Elisabetta Lamarque, avvocata delle parti private nel giudizio davanti alla Corte costituzionale, che è ordinaria di diritto costituzionale nell’università Bicocca di Milano. La vicenda che ha dato origine all’intervento della Corte costituzionale riguarda due fratellini che nel 2017 hanno assistito al femminicidio della madre per mano del padre, condannato a16 anni di reclusione e a cui è stata tolta la responsabilità genitoriale. Collocati in affido preadottivo presso una coppia, i fratellini hanno continuato a vedere la nonna materna, il prozio e gli zii paterni.

La Corte d’appello di Milano aveva disposto un affidamento preadottivo “aperto” e aveva sollevato il dubbio di incostituzionalità in riferimento all’articolo 27 della legge 184 del1983, che appunto dispone l’interruzione dei rapporti con la famiglia di origine. Ora la sentenza della Consulta rimette ordine in una vicenda intricata in modo equilibrato, senza automatismi legislativi ma lasciando al giudice la possibilità di valutare caso per caso quando mantenere i legami affettivi con alcuni membri della famiglia di origine. Soddisfatta anche l’Anfaa (Associazione famiglie adottive e affidatarie) che in precedenza aveva manifestato perplessità sulla svolta della Consulta: «Sentenza adeguata nei rari casi in cui – spiega Frida Tonizzoè giusto il mantenimento di rapporti con famiglia di origine, ma che non può riguardare casi di abusi o di maltrattamenti».

Luciano Moia    Avvenire            29 settembre 2023

www.msn.com/it-it/notizie/other/adozioni-svolta-consulta/ar-AA1hr1gP

CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 36, 4 ottobre 2023

§ La pesca della discordia, quando uno spot centra il bersaglio. Ancora due parole sullo spot della pesca, con cui Esselunga ha infiammato il dibattito sul tema famiglie separate [qui lo spot

www.youtube.com/watch?v=sFE9VvAym3Q- su YouTube – 2 min].

Proviamo ad analizzare la prospettiva con cui, per una volta, è stata narrata una vicenda “ad altezza bambino”: il commento di Francesco Belletti su Famiglia Cristiana.

www.famigliacristiana.it/articolo/la-pesca-della-discordia-quando-la-pubblicita-centra-il-bersaglio.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_04_10_2023

§ Due appuntamenti a tema adozioni e accoglienza familiare. Milano, 5 ottobre 2023. Segnaliamo due appuntamenti importanti a tema accoglienza familiare: il seminario di formazione “Adozione e affido di minori con special needs: il dialogo tra famiglia e servizi”, organizzato dal Cisf in collaborazione con l’Ordine degli Assistenti Sociali della Lombardia per giovedì 5 ottobre, dalle ore 9 alle 13, presso l’Auditorium Don Alberione (via Giotto 36, Milano). Previsti crediti  ECM per assistenti sociali [qui la locandina per info e iscrizioni].

                Webinar, 18 ottobre 2023. Il secondo appuntamento è il convegno online del 18 ottobre (ore 9.30-13.30) intitolato “Natalità&Adozione Internazionale: dalla crisi al rilancio“, a cura di Aibi-Amici dei Bambini, con la partecipazione di numerosi esperti (interviene anche il direttore Cisf, Francesco Belletti) e una tavola rotonda sulla legge 184/83 [qui per info e iscrizioni]                                                            www.aibi.it/lp/convegno-ai-2023/#features

§ USA/proprietari di casa negli States. Il Census Bureau degli Stati Uniti ha appena pubblicato una mappa interattiva che illustra i dati del censimento del 2020 sulla proprietà della casa in base all’età, alla razza e all’etnia del capofamiglia. Su circa 140 milioni di unità abitative, 126,8 milioni erano occupate (il 90,3%) nel giorno del censimento. I restanti 13,7 milioni di alloggi (9,7%) erano sfitti. Nel decennio 2010-2020 le abitazioni di proprietà sono aumentate del 5,4%, passando da 76,0 milioni a 80,1 milioni di unità e le unità occupate dagli affittuari sono cresciute da 40,7 milioni a 46,8 milioni. Il tasso più alto di proprietari di casa si è verificato tra i capo-famiglia bianchi (70,5%), seguiti dai capifamiglia asiatici (58,5%) [qui il report dettagliato].

                www2.census.gov/library/publications/decennial/2020/census-briefs/c2020br-09.pdf

§ La campagna Oms Europa che chiede di segnalare pubblicità di prodotti dannosi per la salute. Una campagna di protezione della salute dei bambini (che sarà realizzata attraverso un nuovo strumento di intelligenza artificiale-IA), che richiede la collaborazione e partecipazione di tutti: è l’obiettivo dell’iniziativa di OMS Europe per contrastare la promozione online di prodotti non salutari come il tabacco, l’alcol e gli alimenti ricchi di sale, grassi e zuccheri e monitorare la commercializzazione dei sostituti del latte materno e alimenti per la prima infanzia. L’OMS invita i consumatori a condividere screenshot e immagini di pubblicità online o offline che abbiano un impatto negativo sui comportamenti alimentari dei bambini [qui la pagina dedicata – ENG]

                 www.who.int/europe/news/item/23-06-2023-new-who-ai-tool-invites-people-to-counter-online-promotion-of-unhealthy-products

§ Ricerche: sull’equilibrio vita/lavoro si gioca il benessere in azienda. L’HR Trends & Salary Survey 2023, ricerca quali-quantitativa realizzata da Randstad Professionals in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli (Asag) dell’Università Cattolica ha fotografato un sostanziale crollo, nell’ultimo anno, del legame con l’azienda e del senso di appartenenza dei lavoratori. Secondo il report, solo un lavoratore su cinque (il 19% rispetto al 33% dell’anno precedente) percepisce benessere e serenità nella sua organizzazione, mentre ben il 15% dice apertamente di stare male nel posto di lavoro (+4%). È in particolare il concetto di “human sustainability” a essere in questione: per i responsabili delle risorse umane significa principalmente sviluppo di professionalità (20%), creare la condizione ideale (19%), equilibrio tra vita privata e lavoro (15%). Mentre per i lavoratori l’equilibrio vita/lavoro è al primo posto (nel 24% dei casi), e poi con percentuali attorno al 10% si collocano il salario adeguato e l’attenzione all’ambiente.

                www.randstad.it/azienda/ricerche-e-insight-hr/hr-trends-and-salary-survey

 §         Documento per la partecipazione delle donne migranti. S’intitola “Partecipazione delle donne migranti alla vita politica e democratica in Italia” ed è un documento prezioso e dettagliato (realizzato per l’Italia da Laura Albu e Silvia Dumitrache per Romanian Women’s Lobby (RoWL), finanziato dall’Unione Europea attraverso il Progetto We-Empower), per fare il punto sulla situazione delle donne migranti in Italia e sulla loro capacità di partecipazione attiva ai processi sociali e politici. “In Italia, le donne di origine migrante, sia di prima che di seconda generazione“, si legge nel testo, “hanno una presenza autonoma rispetto alla controparte maschile e si muovono come soggetti consapevoli nei flussi migratori, nel mercato del lavoro e nella società, dove si impegnano in associazioni, sviluppano nuove forme di attivismo”. Tuttavia, si sottolinea, esse restano cronicamente esposte a condizioni di vulnerabilità”.

https://wideplus.org/wp-content/uploads/2023/08/2ROWL_ITA_with-cover.pdf

§  Separazione, conflitti di coppia e impatto sui figli. Dal 26 ottobre per due mesi prende l’avvio un corso online Erickson rivolto ai professionisti (operatori dei servizi sociali, sanitari, giuridici ed educativi) che incontrano adulti e bambini coinvolti in separazioni conflittuali e faticano a gestire situazioni dolorose, spesso croniche, che si ripercuotono sui grandi e sui più piccoli. Il corso, “I conflitti delle coppie in separazione e il loro impatto sui figli“, mira a esaminare le possibilità di azione per i figli a fronte dell’elevata conflittualità tra i genitori, attraverso diversi materiali: video e video-pillole di approfondimento, mappe concettuali, infografiche e materiali selezionati per focalizzare i punti-chiave; assistenza di un tutor. Saranno inoltre previsti momenti di confronto diretto sia con il tutor che con gli altri partecipanti attraverso due webinar.

                www.erickson.it/it/i-conflitti-delle-coppie-in-separazione-e-il-26-10-2023?default-group=corsi-online

§ Save the date

  • Ciclo di Webinar (IT)10 ottobre 2023 (20.45/22.15). “Affidamento familiare di neonati: i contributi teorici e della ricerca empirica“, incontro nell’ambito del ciclo “Portami a casa” organizzato dall’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII [qui la locandina con tutte le date]

www.famigliacristiana.it/media/pdf/cisf/volantino_webinar_portami_a_casa.pdf

  • Convegno (Torino) – 10 ottobre 2023 (9-13.30). “Minori: violenza e tutela. Servizi sociali e strategie di rete“, seminario formativo accreditato dall’Ordine Assistenti sociali della Regione Piemonte.

www.oaspiemonte.org/10-ottobre-2023-seminario-formativo-dal-titolominori-violenza-e-tutela-servizi-sociali-e-strategie-di-rete

  • Convegno (Milano)13 ottobre 2023 (inizio ore 16.30). “Ripensiamo la nascita insieme“, a cura dell’Associazione Gepo e della Scuola di alta formazione Donne di Governo. In dialogo Rosella Prezzo, filosofa e autrice del libro “Trame di nascita” e Arianna Ciucci, ostetrica e infermiera, responsabile delle attività ostetriche dell’Associazione Gepo.
https://scuoladonnedigoverno.it/news/iniziative/ripensiamo-la-nascita-insieme
  • Convegno (Firenze)3/5 novembre 2023. “Un Viaggio nella Bellezza – dalle origini all’avvenire, in missione per la Vita“, 43° Convegno Nazionale “Carlo Casini” a cura del Movimento per la Vita.

 www.mpv.org/wp-content/uploads/2023/09/programma-convegno-2023-web2.pdf

Iscrizione                                             http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio                                http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.asp

https://a4e9e4.emailsp.com/f/rnl.aspx/?fgg=wsswt/e-ge=s/fh0=owx49a1:a=.-4&x=pv&65kac&x=pp&qzb9g6.b9g9h/:i4-7d=vt/wNCLM

CITTÀ DEL VATICANO

Il nuovo concistoro tra rose e spine

Quale nocchiero sceglierà un giorno la nave del conclave, l’antica istituzione che, per volontà di Francesco, oggi ha centotrentasei cardinali votanti? Nessuno lo sa ma, con le recentissime creazioni compiute nel concistoro dell’altro giorno, si aprono diversi scenari. Scenari in parte conosciuti, in parte del tutto nuovi, in parte assai problematici, rispetto al futuro prossimo della Chiesa cattolica romana.

Il pontefice, infatti, ha appena scelto ventuno nuove porpore, tre delle quali di prelati ultraottantenni (e dunque senza diritto di entrare nella Cappella sistina per eleggere, quando sarà, il successore di Jorge Mario Bergoglio). Complessivamente, sabato i cardinali votanti erano arrivati a quota centotrentasette; ma, proprio ieri, il cardinale del Bangladesh, Patrick D’Rozario, ha compiuto gli ottant’anni, e dunque diventa di «serie B». Ma la ruota del tempo è implacabile, e da oggi al giugno prossimo una decina di porporati nati nel 1944, diverranno «non votanti»: per tale motivo, tenuto conto che anche alcuni dei votanti, malati, non potranno muoversi, entro nove mesi i «votanti» effettivi saranno al massimo tre o quattro oltre il «plenum» dei cardinali votanti, fissato da Paolo VI a centoventi.

Nella nuova «geografia» dei cardinali di serie A, l’Europa primeggia, ma ha solo 52 elettori. Per gli altri continenti, queste le cifre: Due Americhe, trentanove; Asia: ventitré; Africa: diciannove; Oceania: tre. Insomma, la maggioranza è extraeuropea. Dunque, lo spettro è «universale»: ma questo non significa che il prossimo papa sia non-europeo: potrebbe essere così, ma è solo un’ ipotesi.

Al momento, senza entrare nella lista dei papabili, ci sembra più opportuno riflettere su due aspetti.

  1. È ecclesialmente saggio che la scelta del vescovo di Roma – e perciò papa della Chiesa cattolica – appartenga ad un club di soli maschi? Non dovrebbe esserci in esso anche una forte rappresentanza di donne?
  2. L’altro aspetto è: «come» castigare i cardinali rei di gravi delitti? Bergoglio ha tolto il diritto di entrare in conclave al cardinale Giovanni Angelo Becciu – classe 1948, dunque «giovane» – punendolo, prima di un regolare processo, perché accusato di aver dissipato, quando lavorava in Segreteria di Stato, milioni di euro con un’incauta operazione finanziaria a Londra.

In marzo (ma la vicenda è stata resa nota, dalla stampa francese, solo la settimana scorsa) il papa aveva intimato al cardinale Jean-Pierre Ricard, già vescovo di Bordeaux, di vivere ritirato in una piccola diocesi (vicino a Nizza), Nel novembre scorso lo stesso porporato aveva rivelato che, decenni fa, da giovane prete, aveva violentato una quattordicenne. Secondo la legge francese il reato è prescritto. E, comunque, il papa non ha tolto a Ricard il diritto di entrare in conclave. Egli, nato nel settembre 1944, sarà ottantenne solo tra un anno. Dunque, se nel frattempo ci fosse un conclave, un già violentatore eleggerebbe il nuovo papa?

Qualcosa non torna, nella Chiesa.

Luigi Sandri “L’Adige” del 2 ottobre 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202310/231002sandri.pdf

DALLA NAVATA

XXVII Domenica del Tempo Ordinario- -anno A

Isaia                                      05, 07. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi.

Salmo responsoriale     79, 15. Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato

Paolo ai Filippesi            04, 09. Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!

Matteo                                21, 43. Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti

Capaci di tradire e uccidere per possedere la vigna

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «33Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. 34Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. 35Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. 36Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. 37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: «Avranno rispetto per mio figlio!». 38Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: «Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!». 39Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. 40Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». 41Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». 42E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi? 43Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

Capaci di tradire e uccidere per possedere la vigna

Dopo essere entrato nella città santa di Gerusalemme in mezzo ad acclamazioni (cf. Mt 21,1-11) e aver compiuto il gesto della cacciata dei commercianti dal tempio (cf. Mt 21,12-17), Gesù torna nel tempio per annunciare con parabole la venuta del regno dei cieli. Oggi ascoltiamo la seconda di queste parabole, in realtà un’allegoria, indirizzata a quei sacerdoti e anziani del popolo che erano venuti a contestare Gesù interrogandolo sulla sua autorità, sull’origine della sua missione (cf. Mt 21,23-27). Ancora una volta Gesù ripete l’invito: “Ascoltate!”, ridice questo comando tante volte gridato da Mosè e dai profeti. Si tratta di smettere di sentire soltanto, per imparare ad ascoltare con attenzione una parola che viene dal Signore, ad accogliere nel cuore questa parola al fine di operare un mutamento e realizzare ciò che il Signore chiede a chi è e vuole essere in alleanza con lui.

Eccoci allora di fronte a un’altra parabola che evoca una vigna, come già quella ascoltata domenica scorsa (cf. Mt 21,28-32). Nel Mediterraneo la vigna è la coltivazione per eccellenza, che comporta anni di lavoro, richiede cura e amore, esige un rapporto stabile e pieno di attenzione verso di essa da parte del vignaiolo. Basta pensare che la vigna è un impianto stabile, occupa il terreno per generazioni, non è come un prato o un campo che annualmente possono essere destinati ad altre coltivazioni. Proprio questo legame duraturo, questa vera e propria alleanza tra la vigna e il vignaiolo, generano un amore profondo ed appassionato da parte di chi lavora per la “sua“ vigna. Sono queste le ragioni per cui già i profeti avevano intravisto nell’amore tra vignaiolo e vigna una narrazione dell’amore tra Dio e il suo popolo ed erano ricorsi all’immagine della vigna per esprimere il rapporto di alleanza: una storia tormentata ma piena di amore tra il Signore e la sua proprietà, il suo tesoro (segullah: cf. Es 19,5; Dt 7,6, ecc.). Isaia, in particolare, aveva cantato “il canto di amore dell’amante per la sua vigna“ (Is 5,1; cf. vv. 1-7), raccontando di un vignaiolo che aveva vangato la terra, l’aveva liberata dai sassi e vi aveva piantato ceppi scelti di vite. L’aveva addirittura ornata con una torre in cui aveva posto un tino. Avendole dedicato tanta cura, si aspettava da essa uva buona e bella, invece quella vigna si era inselvatichita producendo grappoli di uva immangiabile.

                Questa immagine era ben conosciuta da Gesù e dai suoi ascoltatori, perciò, non appena Gesù inizia la parabola dicendo che “un padrone aveva piantato una vigna“, i presenti capiscono subito di cosa si tratta: è una storia su Dio e su Israele, sua vigna. Questo canto che esprime la speranza di Dio e, nel contempo, l’incapacità del popolo di comprendere il suo amore, dunque un canto di accusa verso Israele, è stato conservato e tramandato proprio da Israele. Il popolo dell’antica alleanza non ha espunto dalle Scritture i rimproveri e i giudizi di Dio nei suoi confronti: questo va tenuto presente da noi quando leggiamo questa parabola e, facilmente, siamo tentati di puntare il dito contro questo popolo, fino a gloriarci di essere noi il popolo del Signore al quale è stata data la vigna tolta ad altri. Stiamo attenti, perché questa parabola che Matteo colloca nel vangelo indirizzato ai cristiani riguarda certamente i capi religiosi di Israele, ma riguarda anche i capi che sono nella chiesa e riguarda pure noi!

Ebbene, questo proprietario della vigna, che l’ha piantata e l’ha dotata di tutto il necessario perché fruttifichi, la affida a dei contadini perché la lavorino in sua assenza: la vigna continua a essere sua proprietà, ma è affidata ad altri uomini in tutto il tempo della presa di distanza e dell’allontanamento da essa da parte del Signore. Giunge però l’ora della vendemmia, un giorno preciso in cui le uve sono mature, all’inizio dell’autunno, e allora il padrone manda alcuni suoi servi dai vignaioli per ritirare il raccolto con cui produrre il vino. Perché il raccolto resta suo, come la vigna è sua! Ma nel frattempo è sorta in quei vignaioli la tentazione di essere loro i padroni della vigna, perché il padrone ha tardato molto tempo prima di ritornare. Questa è la tentazione di chi è stato posto dal Signore come primo, come più grande, come lavoratore nella sua vigna: spadroneggiare sulla vigna, pensarla come proprietà personale, sostituendosi a colui che deve invece solo rappresentare nel servizio. Così quei vignaioli, all’arrivo dei servi inviati dal padrone, reagiscono con un rifiuto violento. Colpiscono alcuni e ne uccidono e lapidano altri, per farli scomparire. Il Signore però pazienta, continua ad aspettare il frutto della vigna e invia altri servi, in numero più grande di quanto fatto nella prima missione. Ma anche questi vengono trattati allo stesso modo, subendo rifiuto e rigetto.

                Il Signore dunque nella sua makrothymía (sentire in grande, pazienza) fa un ultimo tentativo. Siccome spera ancora, decide di inviare suo figlio, che ha più autorità dei servi. La sua speranza profonda è che, vedendo il suo figlio amato, i vignaioli sentano di avere di fronte a sé il signore stesso e dunque, portando rispetto a lui, gli consegnino il frutto della sua vigna. Ingenuità di questo padrone? No, da parte sua c’è la volontà di restare in alleanza con i vignaioli a cui ha affidato la vigna. Cosa avviene invece? Quei vignaioli, “al vedere il figlio”, aumentano ancora di più il desiderio di essere padroni, di avere potere sulla vigna, perciò dicono tra sé: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra!”. Innanzitutto escludono il figlio dalla sua vigna, prendendolo e gettandolo fuori, poi lo uccidono; prima lo portano “fuori”, fuori dalla vigna, fuori dalla città (cf. Lc 4,29; Mc 15,20; Mt 27,31; At 7,58), poi lo eliminano.

                Gesù racconta questa allegoria alla vigilia della sua passione, la racconta proprio per quelli che la metteranno in pratica contro di lui, fino a rigettarlo fuori dalla città e a crocifiggerlo. Così Matteo ci mostra che Gesù ha coscienza di essere il Figlio inviato dal Padre nella vigna di Israele, sa ciò che lo attende come fine (télos) della sua missione in questo mondo e non si sottrae a questa necessitas humana inscritta nella storia: in un mondo ingiusto, il giusto può solo essere rigettato fino a essere eliminato! Gesù sa che il Padre non l’ha mandato nel mondo perché subisca la morte violenta; sa che il Padre, come il padrone della vigna, lo ha inviato perché sperava, perché spera di essere accolto. E anche se questa è la fine dolorosa che lo attende, Gesù sa che l’ultima parola spetta comunque al Padre. Conoscendo le sante Scritture e pregandole, sa infatti che – come sta scritto – la pietra che proprio i costruttori (questo è il termine con cui si chiamavano i capi religiosi del tempio) avrebbero scartato, messo fuori dalla costruzione, Dio l’avrebbe scelta e posta come testata d’angolo, facendo poggiare su di essa tutta la costruzione. Gesù crede, aderisce a questo piano di Dio profetizzato e cantato nel salmo 118.

                Questa parabola risuona certamente come un giudizio di Dio: non però sul popolo d’Israele, ma su quei capi del popolo che hanno rigettato e condannato Gesù. Matteo, infatti, registra subito la loro reazione: cercano di catturarlo ma hanno paura della folla, per questo decidono di rimandare di qualche giorno il loro piano, attendendo una situazione più propizia (nella notte e nel Getsemani, dove non ci sarà la folla dei suoi seguaci; cf. Mt 26,47-56). Hanno infatti compreso che quella parabola individua proprio in loro i vignaioli omicidi. Ma la parabola dice che questo sarà pure il giudizio sulla chiesa, soprattutto sui suoi capi. La vigna è stata tolta a quei capi di Israele e data una nuova collettività umana (éthnos): la comunità dei poveri nello spirito, dei miti che, secondo la promessa del Signore, erediteranno la terra (cf. Mt 5,5; Sal 37,11), a quel popolo umile e povero costituito erede per sempre dal Signore (cf. Sof 3,12-13; Is 60,21; Ger 30,3).

                Certo, al suo interno ci saranno ancora dei pastori, dei capi, dei primi, ma stiano attenti a non essere come i vignaioli della parabola. La loro tentazione, infatti, è quella di occupare tutto lo spazio ecclesiale, assolutizzando i loro progetti e chiedendo obbedienza a sé; la loro tentazione è quella di sostituirsi al Signore, magari con il semplice stare al centro, sentendosi non servi dei servi, ma padroni. Anche nella chiesa può accadere come nella parabola. E, se anche in essa non si manifesta la violenza fisica (come però è purtroppo avvenuto in altre epoche storiche!), oggi magari si pratica la violenza del non ascolto, del rifiuto, dell’emarginazione, della calunnia, del disprezzo, della manipolazione, dell’abuso psicologico. Queste le tentazioni dei vignaioli perfidi, ma anche, qui e ora, di chiunque nello spazio ecclesiale, nella vigna, esercita l’autorità. Non si scarichi dunque l’accusa di questa parabola su Israele, ma si pensi a noi, oggi, nelle vigne delle chiese.

p. Enzo Bianchi, Albiano d’Ivrea

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ECCLESOLOGIA

Unità inscindibile tra Chiesa e parola di Dio

«Chi è la Chiesa?», ci chiediamo, e non solo «che cosa è la Chiesa?». La domanda: «Chi è la Chiesa?» presuppone che essa sia un soggetto, una creatura. In effetti la Chiesa ha una personalità, è certamente composta da uomini e donne che in ogni tempo e in ogni luogo Dio ha chiamato e continua a chiamare; la Chiesa però è anche una “mistica persona“. Le Sante Scritture, e in particolar modo il Nuovo Testamento, la descrivono come ovile, gregge, fraternità, assemblea-comunità (in greco ekklesía, il termine che poi designerà tout court la Chiesa), popolo di Dio, tempio di Dio; ben presto si arriverà a designare la Chiesa come corpo di Cristo, sposa dell’Agnello. C’è un crescendo di comprensione da parte dei cristiani, per cui quel «piccolo gregge» — come Gesù lo chiamava — è cantato nell’Apocalisse come «la sposa pronta e fatta bella per il suo sposo» (Ap 21,2), il Cristo Signore, la sposa che insieme allo Spirito invoca: «Vieni, Signore!» (cf Ap 22,17). Ecco chi è la Chiesa!

Purtroppo, quando noi usiamo il termine “chiesa” non evochiamo più il rapporto inscindibile tra Chiesa e parola di Dio, e così facendo sfiguriamo il senso di questa parola. Chiesa, ekklesía, designa in primo luogo la realtà di uomini e donne chiamati, ek-kletoí, da Dio con la sua Parola. Dio parla, Dio chiama, questo è lo straordinario della fede ebraico-cristiana. E quando Dio parla, egli chiama all’esistenza, convoca, raduna coloro che sono raggiunti dalla sua Parola e la ascoltano. C’è Chiesa, c’è popolo di Dio quando c’è l’ascolto della Parola: questa è la conditio sine qua non affinché ci sia la Chiesa, intesa non solo come realtà sociologica o religiosa, ma come Chiesa di Dio!

Una chiesa evangelizzata. Se leggiamo con attenzione nelle Sante Scritture la storia del popolo di Dio, possiamo cogliere l’inscindibile rapporto tra parola di Dio e Chiesa soprattutto negli eventi in cui c’è l’epifania della Chiesa, dell’assemblea voluta da Dio. Mi riferisco in particolare a quegli eventi in cui più che mai appare visibile che cos’è il popolo di Dio. In queste narrazioni si sottolineano sempre i seguenti elementi:

1) Dio convoca il suo popolo in assemblea;

2) Dio dona a questa assemblea la sua Parola, la Legge;

3) Dio conclude l’alleanza con il suo popolo tramite un sacrificio.

Questa è l’assemblea che celebra l’alleanza con Dio sul fondamento della sua Parola. Ebbene, non si può non notare come Gesù abbia compiuto le stesse azioni:

1) Gesù ha convocato dietro a sé uomini e donne, discepoli nella sua comunità;

2) Gesù ha donato loro la parola di Dio;

3) Gesù ha concluso l’alleanza nel suo sangue, dando la sua vita in sacrificio a Dio.

Così è nata la Chiesa, dalla parola di Dio che in Gesù è Vangelo, buona notizia. Così la Chiesa è sempre evangelizzata, se entra nella dinamica che si compie ogni domenica:

                1) Dio convoca il suo popolo;

2) Dio dona a coloro che ha chiamato la sua Parola;

3) Dio stringe l’alleanza nuova e definitiva nell’eucaristia, mistero pasquale.

                In breve, dall’assemblea del Sinai fino alla nostra assemblea domenicale sempre si vive e si rinnova il mistero della Chiesa, popolo di Dio, sposa del Signore Gesù, corpo eucaristico nel mondo. In tal modo la Chiesa è evangelizzata, è una comunità che si lascia chiamare e radunare quale assemblea del Signore e lascia che sia la parola di Dio a tracciare il suo cammino nella storia. Soprattutto nel giorno del Signore, la domenica, nella liturgia eucaristica, «culmine e fonte» di tutto l’essere e operare della Chiesa, Cristo risorto e vivente, il Kyrios, plasma con la sua Parola il volto della comunità.

La Parola celebrata, proclamata, fatta risuonare con l’omelia è parola di Dio, non solo parola umana. Essa fa crescere nella conoscenza del Signore, dunque fa crescere l’amore per lui e conforma ogni cristiano all’immagine di Cristo. Non andrebbe mai dimenticato: spesso i nostri fratelli e le nostre sorelle hanno un contatto con la parola di Dio soltanto nella liturgia eucaristica domenicale e, se non è riconosciuto questo momento del giorno del Signore, del giorno della Chiesa, allora non c’è comunità cristiana. In sintesi, una Chiesa evangelizzata ha dei cristiani discepoli di Gesù; una Chiesa non evangelizzata ha dei cristiani che, tutt’al più, fanno propaganda, sono dei militanti, spesso improvvisati. Io resto convinto che la “nuova evangelizzazione”, lanciata da Giovanni Paolo II all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, ha dato pochi frutti proprio perché non s’è posto l’accento sull’essere evangelizzati dei cristiani, ma s’è insistito subito e, in modo sproporzionato, sul loro essere evangelizzatori.

Una Chiesa evangelizzante. Se la parola di Dio tiene realmente la centralità nella vita ecclesiale, se essa esercita il suo primato in una Chiesa che ascolta, allora lo Spirito santo che accompagna sempre la Parola rende la Chiesa capace di rendere conto della Parola ricevuta, di annunciarla, di evangelizzare. Come s’è detto nel Sinodo dei vescovi sul tema “La parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa” del 2008, la Chiesa deve promuovere e attuare una pastorale incentrata sulla parola di Dio. Ma attenzione: questo non nel senso di aggiungere nuove iniziative a quanto già si fa e neppure di sostituire le attuali forme della pastorale con nuove opere. No, incrementare una pastorale biblica significa attuare un’animazione biblica dell’intera pastorale senza giustapposizioni con altre forme. Ha precisato Benedetto XVI in occasione di quel Sinodo: «Parlare di animazione biblica della pastorale non può voler dire aggiungere qualche incontro in più in parrocchia ai tanti che già ci sono, quanto rivedere quello che si fa alla luce dell’incontro con la parola di Dio che è Cristo. La catechesi deve risultare biblica, la formazione dev’essere fatta dando alla parola di Dio la sua centralità egemonica, ogni attività comunitaria dalla Parola dev’essere ispirata e dalla Parola giudicata». Se il dinamismo della vita ecclesiale è obbediente alla potenza della parola di Dio, allora i cristiani sapranno aprire cammini di evangelizzazione e si sentiranno popolo in missione. Quel Sinodo ha ribadito che «la missione di annunciare la parola di Dio è compito di tutti i discepoli di Gesù Cristo come conseguenza del loro battesimo». Nessun cristiano può sentirsi estraneo a questa responsabilità. Questa è la coscienza che dev’essere acquisita da ogni parrocchia e comunità, la quale deve profeticamente stare nella compagnia degli uomini e profeticamente portare la parola di Dio dove essa non risuona.

La vita di ogni singolo cristiano e di ogni comunità cristiana deve, perciò, essere coerente con ciò che crede, con la parola di Dio ascoltata e accolta. Questa coerenza è la testimonianza che si fa leggere più delle parole, soprattutto oggi, nel contesto di una società indifferente. Questa testimonianza fa emergere la “differenza cristiana”, il fatto che i cristiani vivono non come vogliono la maggioranza, la mondanità, l’ideologia dominante, l’omologazione alla società. Una vita che sappia essere altra, alternativa rispetto alla vita alienata agli idoli e ispirata dalla moda, dal parere della maggioranza, dal “così fan tutti”… Se i cristiani sanno vivere la testimonianza nel quotidiano e tra la gente, allora evangelizzano perché mostrano in loro una convinzione, una speranza che umanizza la loro vita, suscitando domande e interesse nei non cristiani.

p. Enzo Bianchi                 Vita Pastorale  ottobre 2023

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ESORTAZIONE “LAUDATE DEUM”

Papa Francesco e la crisi dell’ambiente: cosa dice la “Laudate Deum”

www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/20231004-laudate-deum.html

Pubblicata l’esortazione del Papa, concepita come un seguito della “Laudato Si”. Destinata alle “persone di buona volontà”, ha l’ambizione di avere un impatto politico.

In 73 punti, 6 capitoli, 14 pagine, Papa Francesco dettaglia la sua sfida la COP28, la 28esima Conferenza delle Parti sul Clima che si terrà dal 30 novembre al 12 dicembre negli Emirati Arabi Uniti, e che vedrà a margine anche un incontro tra i leader religiosi. Lo fa con una esortazione che si chiama Laudate Deum, prende le mosse dallo spirito francescano di amore e lode per il creato (e infatti viene pubblicata e firmata nel giorno dedicato a San Francesco di Assisi) e che però aspetta 60 paragrafi prima di dare una giustificazione biblica e teologica alle motivazioni dell’impegno che Papa Francesco si aspetta dai cristiani per la lotta al cambiamento climatico.

Si tratta di una esortazione che utilizza un linguaggio politico, che – oltre alle citazioni di documenti dello stesso Papa Francesco (la maggioranza) – fa riferimento a diversi rapporti sul clima delle organizzazioni internazionali, e che nasce come una sorta di instant document, documento fatto proprio per il momento presente, perché guarda direttamente alle aspettative per la COP 28.

Papa Francesco la aveva presentata come un aggiornamento della Laudato Si, ma di fatto della Laudato Si prende solo il tema del cambiamento climatico. Se l’enciclica, per sua stessa struttura, aveva un impianto più ampio, con varie note di dottrina sociale e anche l’esplicitazione di concetti chiave dell’impegno ambientale cattolico come quello dell’ecologia umana, l’esortazione (non apostolica), documento più leggero del Papa, si concentra su un tema e per i primi 60 paragrafi si dilunga su cifre e conclusioni, addirittura reagendo con amarezza a quanti, anche nello stesso mondo cattolico, non si rendono conto – secondo Papa Francesco – del problema.

Papa Francesco scrive che, a otto anni dalla Laudato Si, “non stiamo reagendo abbastanza”, che “è vero che non tutte le catastrofi possono essere attribuite al cambiamento climatico globale”, ma allo stesso tempo che “alcuni cambiamenti climatici indotti dall’uomo aumentano significativamente la probabilità di eventi estremi più frequenti e più intensi”. Papa Francesco smentisce anche quanti dicono che “il pianeta ha sempre avuto e avrà sempre periodi di raffreddamento e riscaldamento”, perché oggi stiamo assistendo ad una “insolita accelerazione del riscaldamento”. E no, tutto questo non è colpa dei poveri – ammonisce il Papa – né del fatto che ci sono troppi figli, e denuncia il tentativo di “risolvere il problema mutilando le donne nei Paesi meno sviluppati”. Ma non si può negare che questi fenomeni globali con “la crescita accelerata delle emissioni di gas serra a partire dalla metà del XX secolo”, cosa sostenuta dalla “stragrande maggioranza degli studiosi”, anche se poi questo dato, lamenta il Papa, non “interessa alle grandi potenze economiche”.

Per Papa Francesco si tratta di “precisazioni necessarie” di fronte a “certe opinioni sprezzanti e irragionevoli che trovo anche all’interno della Chiesa cattolica”. Quella del Papa è un’analisi senza possibilità di appello. Papa Francesco definisce anche il problema del nuovo paradigma tecnocratico, sottolinea che “l’intelligenza artificiale e i recenti sviluppi tecnologici si basano sull’idea di un essere umano senza limiti, le cui capacità e possibilità si potrebbero estendere all’infinito grazie alla tecnologia”, afferma che “vi sono stati momenti della storia in cui l’ammirazione per il progresso non ci ha permesso di vedere l’orrore dei suoi effetti”.

Per il Papa, l’essere umano deve essere “parte della natura”, perché “la vita, l’intelligenza e la libertà dell’uomo sono inserite nella natura che arricchisce il nostro pianeta e fanno parte delle sue forze interne e del suo equilibrio”. Invece, denuncia Papa Francesco, “la decadenza etica del potere reale è mascherata dal marketing e dalla falsa informazione, meccanismi utili nelle mani di chi ha maggiori risorse per influenzare l’opinione pubblica attraverso di essi”. E così vengono promossi, dice ancora il Papa, progetti a forte impatto inquinante con l’illusione del progresso e delle nuove opportunità economiche e occupazionali, senza dire che invece lo stesso progetto porterà “una terra devastata, condizioni molto più sfavorevoli per vivere e prosperare, una regione desolata, meno abitabile, senza vita e senza la gioia della convivenza e della speranza; oltre al danno globale che finisce per nuocere a molti altri”. Presentando questo scenario apocalittico, il Papa mette in luce anche le idee a suo dire sbagliate della “cosiddetta meritocrazia”, diventata piuttosto un “meritato potere umano a cui tutto deve essere sottoposto, un dominio di coloro che sono nati con migliori condizioni di sviluppo. Un conto, spiega, è un sano approccio al valore dell’impegno, alla crescita delle proprie capacità e a un lodevole spirito di iniziativa, ma se non si cerca una reale uguaglianza di opportunità, la meritocrazia diventa facilmente un paravento che consolida ulteriormente i privilegi di pochi con maggior potere”.

Come uscire da questa situazione? Papa Francesco propone – ma questo è da diversi anni un tema della Santa Sede – una nuova architettura multilaterale, che “non dipende dalle mutevoli circostanze politiche o dagli interessi di pochi e che abbia un’efficacia stabile”. Un multilateralismo dal basso, favorito anche dalla cultura postmoderna che “ha generato una nuova sensibilità nei confronti di chi è più debole e meno dotato di potere”. In questo nuovo multilateralismo, “l’etica” deve prevalere “sugli interessi locali e contingenti”, ma senza “sostituire la politica” perché “d’altra parte le potenze emergenti stanno diventando sempre più rilevanti e sono di fatto in grado di ottenere risultati importanti nella risoluzione di problemi concreti, come alcune di esse hanno dimostrato nella pandemia”.

Papa Francesco sottolinea anche che è necessaria “la vecchia diplomazia”, oggi in crisi, e serve un “un modello di diplomazia multilaterale che risponda alla nuova configurazione del mondo”, così come è “necessario un quadro diverso per una cooperazione efficace”, reagendo con “meccanismi globali alle sfide “ambientali, sanitarie, culturali e sociali, soprattutto per consolidare il rispetto dei diritti umani più elementari, dei diritti sociali e della cura della casa comune”.

Ci vogliono soprattutto “regole universali ed efficienti”, ed “una nuova procedura per il processo decisionale e per la legittimazione di tali decisioni”, con una sorta di “maggiore democratizzazione della sfera globale”, in quanto – secondo Papa Francesco – “non sarà più utile sostenere istituzioni che preservino i diritti dei più forti senza occuparsi dei diritti di tutti”.

Quindi, Papa Francesco guarda alla COP28 degli Emirati Arabi Uniti, sottolinea che “se abbiamo fiducia nella capacità dell’essere umano di trascendere i suoi piccoli interessi e di pensare in grande, non possiamo rinunciare a sognare che la COP28 porti a una decisa accelerazione della transizione energetica, con impegni efficaci che possano essere monitorati in modo permanente”.

Insomma, la COP28 “può essere un punto di svolta”, ma solo a patto che si ponga termine “all’irresponsabile presa in giro che presenta la questione come solo ambientale, ‘verde’, romantica, spesso ridicolizzata per interessi economici. Ammettiamo finalmente che si tratta di un problema umano e sociale in senso ampio e a vari livelli. Per questo si richiede un coinvolgimento di tutti”. Il Papa, pur non appoggiando i gruppi di pressione, nota che alla fine questi occupano uno spazio che invece dovrebbe essere di famiglie ed istituzioni.

Solo a partire dal punto 61, il Papa dà una giustificazione teologica del suo impegno. Ricorda che “Dio ci ha uniti a tutte le sue creature” e che “la visione giudaico-cristiana del mondo sostiene il valore peculiare e centrale dell’essere umano in mezzo al meraviglioso concerto di tutti gli esseri”, e che dunque va riconosciuto che “la vita umana è incomprensibile e insostenibile senza le altre creature”.

Alla fine, Papa Francesco invita a “mettere fine all’idea di un essere umano autonomo, onnipotente e illimitato”, e invece chiede di “ripensare noi stessi per comprenderci in una maniera più umile e più ricca”

Andrea Gagliarducci      AC I Stampa       Città del Vaticano, 4 ottobre 2023

www.acistampa.com/story/papa-francesco-e-la-crisi-dellambiente-cosa-dice-la-laudate-deum

La carezza del papa agli ambientalisti

Il testo contiene una critica diretta a ogni forma di negazionismo climatico. Come spiega Jacopo Bencini analista di Italian Climate Network, è un modo per ribadire che «la Chiesa sta dalla parte della scienza»

Partendo da un livello provinciale, tanti in Italia avranno vissuto un pomeriggio di imbarazzo dopo aver letto l’esortazione apostolica Laudate Deum” di papa Francesco, il testo col quale torna sui cambiamenti climatici otto anni dopo l’enciclicaLaudato si’.”

L’esortazione contiene un attacco non particolarmente diplomatico contro i negazionisti del clima, quelli che «nascondono, dissimulano, minimizzano» e non riescono nemmeno a distinguere i trend climatici dal meteo. Tenendoci a un livello più alto, come fa Jacopo Bencini, «il papa ribadisce che la chiesa crede nella scienza, che sta con la scienza, un terzo dell’esortazione è dedicato ai dati Ipcc sulla crisi climatica».

È un segno dei tempi potente un pontefice che invita, e che lo fa con questa fermezza, la politica ad attenersi alla conoscenza scientifica per il bene dell’umanità.

L’ultima chiamata. Prima ancora del contenuto, conta il tempismo. “Laudato si’” fu diffusa nel maggio 2015, a pochi mesi dalla COP21 che ci avrebbe dato l’accordo di Parigi, il trattato internazionale sul clima. Nel 2023, Bergoglio torna sull’argomento dicendo che quel lavoro è rimasto incompiuto. «Non reagiamo abbastanza, il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura». Come spiega Lorenzo Fazzini, direttore editoriale della Libreria editrice vaticana, che pubblica il testo, «il tono è ultimativo, tranchant, il papa ci dice: signori miei, siamo all’ultima chiamata. È raro che un pontefice torni su un tema già trattato con un nuovo pronunciamento ufficiale, per dire la stessa cosa ma con più forza. Conta molto il gesto in sé».

Ogni otto anni. Per tornare a parlare di clima, il papa ha scelto l’avvicinamento alla Cop28, citata esplicitamente in lunghi passaggi dell’esortazione. La prossima conferenza Onu sui cambiamenti climatici parte negli Emirati a fine novembre in un’atmosfera che potremmo definire di «rassegnato pessimismo». Quel format di negoziato sta facendo sempre più fatica a portare risultati e difficilmente ci riuscirà a Dubai, sotto la guida diplomatica del ceo (Chief Executive Officer – Amministratore delegato) dell’azienda petrolifera di Stato, Adnoc. Come spiega Bencini, «Il papa oggi è l’unico leader mondiale che prova ad alzare l’asticella in vista di Cop28, parlando di riduzione delle emissioni fossili e dicendo che potrebbe ancora essere un appuntamento storico. Il papa prova a uscire dal cinismo e dal fatalismo».

Il suo linguaggio non è diverso da quello usato dal segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres (portoghese) ma, come dice Bencini, «Guterres parla di clima una volta alla settimana, il papa una volta ogni otto anni».

Responsabilità. “Laudate Deum” è il testo di un pontefice che osserva con attenzione le dinamiche della transizione e il dibattito intorno a essa. Si vede anche che il centro di osservazione è inevitabilmente l’Italia. Ci sono passaggi che sembrano scritti apposta per il nostro governo, come questo sul lavoro: «Spesso si dice anche che gli sforzi per mitigare il cambiamento climatico riducendo l’uso di combustibili fossili porteranno a una riduzione dei posti di lavoro. Ciò che sta accadendo è che milioni di persone perdono il lavoro a causa delle varie conseguenze del cambiamento climatico. La transizione verso forme di energia rinnovabile, ben gestita, così come tutti gli sforzi per adattarsi ai danni del cambiamento climatico, sono in grado di generare innumerevoli posti di lavoro in diversi settori», scrive.

Bergoglio risponde anche a un’altra obiezione anti-transizione: e allora la Cina? La Cina è il primo paese per emissioni ma, scrive il papa, «se consideriamo che le emissioni pro capite negli Stati Uniti sono circa il doppio di quelle di un abitante della Cina e circa sette volte maggiori rispetto alla media dei paesi più poveri».

Non sono parole che piaceranno a Biden o al suo inviato per il clima, John Kerry. «E non gli piacerà», aggiunge Bencini, «l’uso della parola “responsabilità”, che in diplomazia del clima è delicata da usare, che gli americani preferiscono sempre evitare e alla quale invece il Papa fa riferimento».

La carezza. Infine, c’è un passaggio sull’attivismo e le azioni di gruppi «detti radicalizzati», scrive testualmente, che però «occupano un vuoto della società nel suo complesso».

È la carezza del papa ai movimenti per il clima, da Fridays for Future a Ultima generazione (che per altro è sotto processo per un’azione ai Musei vaticani), un modo per dire: comprendo le vostre ragioni. È uno dei tanti richiami alla politica istituzionale e a tutte le sue mancanze.

È il vero tema di Laudate Deum: la scienza si è espressa, da tempo, era chiara già nel 2015, ora tocca a chi ne ha facoltà fare qualcosa. È il bersaglio più profondo dell’intervento pastorale: «la

decadenza etica del potere reale mascherato dal marketing».

Ferdinando Cotugno 1982                          “Domani”           5 ottobre 2023

www.editorialedomani.it/ambiente/enciclica-laudate-deum-papa-attivisti-climatici-ultima-generazione-vmw7ucam

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202310/231005cotugno.pdf

OMOFILIA

Catechismo e omosessualità: le tendenze

Catechismo della Chiesa Cattolica, n.2357: ‹‹L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni,  la Tradizione ha sempre dichiarato che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati». Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.

www.vatican.va/archive/catechism_it/p3s2c2a6_it.htm

Che provano un’attrattiva sessuale: Definire l’omosessualità come semplice attrazione sessuale, andando a tralasciare l’importantissima componente affettiva (esattamente come si farebbe per l’eterosessualità) rischia di far passare il messaggio che le relazioni omosessuali siano esclusivamente imperniate sul sesso, quindi deumanizzandole e degradandole ad un atto che pure i semplici animali sono capacissimi di compiere.

                Si manifesta: Questa parola ha delle ambiguità di interpretazione. Sarebbe più opportuno scrivere “Si riscontra” perchè è un termine che offre una constatazione priva di giudizi di valore e quindi scevra da ambiguità. Si manifesta per esempio una malattia o qualche condizione esterna da cui è necessario affrancarsi. La constatazione è invece una presa d’atto di una condizione interna alla persona e non patologica.

                La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile: È vero che la genesi dell’ omosessualità rimane incerta tutt’oggi a livello scientifico e psicologico. La scienza sta iniziando ad asserire che esiste una componente genetica seppur minoritaria[1], la psicologia ha prodotto tantissime ipotesi sulle origini psichiche, a volte interne all’individuo altre volte esterne.[2] Ad oggi quindi le scienze sostengono la tesi della pluralità dei fattori (biologico, ambientale, personale) non autoescludenti ma coesistenti. Allo stesso tempo la medicina e la psicologia sono concordi nell’ affermare con certezza la depatologizzazione dell’omosessualità che è oggi definita una variante naturale del comportamento umano.[3] Non ha senso quindi provare a guarire l’omosessualità come fosse una malattia[4]. Per questo riteniamo altrettanto importante che nel catechismo sia specificato che anche la comunità cristiana che accompagna la persona omosessuale nel percorso di fede debba accogliere senza offrire preghiere di guarigione o liberazione o altri percorsi di tipo pseudoscientifico o pseudopsicologici che dovrebbero far raggiungere l’eterosessualità.[5] Ma la questione che noi crediamo più importante per un cristiano è che non importa se si nasce o si diventa omosessuali, in ogni caso il trattamento che un buon cristiano dovrebbe mostrare è quello di accoglienza senza se e senza ma. A tale proposito ci troviamo d’accordo con la recente presa di distanze della Congregazione Vaticana per il Clero rispetto alle cd. terapie di conversione.[6]

                Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni: Nella Bibbia non si affronta il tema dell’omosessualità per come si intende oggi, ossia un’inclinazione erotica verso una persona dello stesso sesso. A dirlo non siamo noi ma la Pontificia Commissione Biblica, che nega di fatto ciò che è invece stato affermato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.[7]

. Pontificia Commissione Biblica, Che cosa è l’uomo? Un itinerario di antropologia biblica Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2019, nn. 185-195

www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20190930_cosa-e-luomo_it.html

e Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Homosexualitatis Problema – Lettera ai vescovi della chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, Roma, 1986.

Si attenzioni soprattutto il punto conclusivo 195 in cui si auspica che il contributo delle scienze umane, dei teologi e dei moralisti possa aiutare la Chiesa a compiere “un’intelligente interpretazione che salvaguardi i valori che il testo sacro intende promuovere, evitando dunque di ripetere alla lettera ciò che porta con sé anche tratti culturali di quel tempo“. Speriamo anche noi altrettanto, prendendo nota che al momento attuale questo non è ancora avvenuto, vogliamo dare il nostro input per aiutare la Chiesa Cattolica ad uscire da questo isolamento temporale e sociale.

I famosi passi che si cede trattare di ciò[8] condannano in realtà la violazione della legge dell’accoglienza nei confronti dello straniero, la violazione della finalità procreativa dell’atto sessuale, la violazione di norme di igiene o i violenti e sbilanciati rapporti di pederastia tipici della cultura pagana dei tempi di San Paolo.[9]

Estendere per proprietà transitiva tali passi ai rapporti omosessuali come oggi li intendiamo (basati sul consenso, sulla responsabilità e sull’equilibrio tra le parti coinvolte) risulta quindi essere una snaturazione e una interpretazione scorretta del testo sacro.

                È inoltre importante ricordare che come ogni testo anche un testo sacro va interpretato alla luce del contesto in cui è stato scritto. Allora si credeva che chi compisse atti omosessuali stesse violando il suo “naturale” desiderio per il sesso opposto per soddisfare una libidine insaziabile e quindi lussuriosa, si riteneva probabilmente che le pratiche omoerotiche potessero portare all’estinzione del genere umano data la mancata conoscenza rispetto ai meccanismi biologici legati alla fecondità oltre che rispetto alle cure oggi disponibili che hanno abbattuto l’allora alta mortalità infantile.

                La Tradizione ha sempre dichiarato che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati»: Ci sentiamo innanzitutto di condividere la preoccupazione espressa dal Card. McElroy[10] che il concetto di disordine non sia interpretato dal lettore comune nel senso filosofico in cui la dottrina lo intende. Di conseguenza il rischio è quello di confonderlo con il concetto psicologico di disordine, che ad oggi ha un’accezione ben più negativa. Condividiamo quindi il suo appello alla rimozione del concetto di disordine dal catechismo. Pur sorvolando sul rischio di malinteso rispetto al termine crediamo che anche nel suo significato corretto questa espressione sia fondata su un ragionamento fallace. Il catechismo definisce disordinati gli atti omosessuali (e non l’orientamento in sé o la persona) perché la mancanza di alterità non permetterebbe una vera relazione interpersonale di coppia (che avrebbe come diretta conseguenza la fecondità). Proprio sull’assenza di un’alterità (e quindi di una fecondità) sentiamo di dissentire in accordo con quanto espresso da teologi ben più esperti di noi, ma anche alla luce delle nostre esperienze personali. Si veda l’approfondimento della questione nelle note seguenti.

Sono contrari alla legge naturale: Dire che gli atti omosessuali siano innaturali ci pare assurdo perchè in natura è stato ormai scientificamente osservato che sono tante le specie a compierli. Non crediamo, inoltre, che la ricerca di un partner, seppur dello stesso sesso, sia da ritenere contraria alla natura dell’uomo. Se una persona è attratta dalle persone del proprio sesso (esclusivamente o parzialmente) è naturale che questa cerchi una relazione da considerarsi in tutte le sue dimensioni sia quella sessuale, sia quella affettiva, sia quella genitale. In poche parole bisogna considerare la persona nell’interezza della sua umanità.

                Questo nostro ragionamento è valido se il concetto di “natura” in questione è quello etologico, antropologico, storico, o biologico. Invece il catechismo fa riferimento al concetto teologico, che considera “naturale” ciò che rispetta il fine iscritto da Dio in una determinata realtà. Quindi secondo il magistero attuale un atto omosessuale sarebbe innaturale poiché irrispettoso della finalità procreativa dell’atto sessuale. Confutiamo la “naturalità” (in senso teologico) della finalità procreativa nel paragrafo successivo.[11]

                Ci uniamo inoltre all’appello di Giannino Piana[12] auspicando il superamento della prospettiva naturalista in favore di un’ottica personalista (che si focalizza quindi non su concetti astratti di natura ma sulla realtà dell’identità e della vocazione del singolo).

                Precludono all’atto sessuale il dono della vita: Per quanto riguarda la generatività (o fecondità), così come alla coppia sterile è permesso l’atto sessuale poiché, pur mancando la fecondità procreativa è sempre presente quella spirituale, relazionale e sociale, lo stesso dovrebbe valere per le coppie omoaffettive. Il superamento della mera finalità procreativa non è quindi una rivoluzione che vorremmo compiere noi ma qualcosa che è già stato affermato dal magistero per le coppie eterosessuali sterili[13].

                È quindi lo stesso Magistero implica che l’unica vera finalità connaturata all’atto sessuale è quella generativa (in senso ampio) e non quella strettamente procreativa.

                D’altronde non si spiegherebbe altrimenti perché Dio continua a prevedere nel suo insondabile disegno l’esistenza di persone infertili o di periodi del ciclo mestruale in cui l’atto sessuale stesso non può mai portare alla procreazione (o di persone attratte dal loro stesso sesso, oseremmo aggiungere).

La fecondità (nel senso lato di bene comune offerto alla società) può scaturire da un’unione omoaffettiva, continuiamo ad osservarla nelle tante storie di amore omosessuale che ben conosciamo. Il significato unitivo dell’atto sessuale è altresì certamente presente anche nella coppia omoaffettiva.[14]

                Crediamo infatti che solo il significato generativo (inteso in senso lato) e il significato unitivo dell’atto sessuale possano considerarsi inscindibili.

                Infine ci teniamo a ricordare che se una coppia omoaffettiva sentisse la vocazione alla genitorialità esiste ad oggi, non ancora in Italia, la possibilità di adozione oltre che quella di gestazione per altri, ma non intendiamo dilungarci nella nostra riflessione morale su tale questione che meriterebbe uno spazio più adeguato.

                Ci limitiamo a ricordare che la Chiesa essendo in questo mondo non deve mai rifiutarsi di fare i conti (anche tramite la Dottrina) con le cose del mondo, conservando come stella polare il comandamento fondamentale dell’Amore.

                Non è allora affatto impossibile una generatività (sempre intesa in senso lato) per la coppia omoaffettiva che comprenda anche la crescita e l’educazione di un figlio.

                Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale: Sosteniamo che sia possibile osservare una complementarietà e generatività di un’unione omoaffettiva, infatti ridurre il discorso alla sola genitalità ci pare molto riduttivo. Crediamo che la complementarietà è possibile sotto diversi aspetti (non esclusivamente fisici) in quanto due persone sono sempre e comunque diverse l’una dall’altra e non riducibili al loro apparato genitale, quindi è facile che possano completarsi e sostenersi vicendevolmente nei punti di debolezza.

L’alterità sessuale esiste sempre anche tra due persone dello stesso sesso perchè l’identita di ognuno è composta da una componente corporea, una culturale e una spirituale.

Pur osservando che quella corporea può essere simile (e mai identica sia a livello psicologico che bio-fisiologico), è bene considerare che ci sono anche le altre due componenti che saranno diverse perché ogni persona è frutto di un diverso contesto socio-culturale e soprattutto avrà diverse caratteristiche sotto il profilo dello spirito.

                In nessun caso possono essere approvati: Per i motivi suddetti e seguenti non capiamo come si possa “non approvare” gli atti omosessuali in astratto senza nemmeno lasciare la possibilità di giudicare il caso concreto con le relative variabili reali in gioco.

Il testo completo>    Una riflessione sul Catechismo della Chiesa Cattolica e l’omosessualità (File PDF)

www.gionata.org/wp-content/uploads/2023/10/Riflessione-sul-Catechismo_settemnre2023.pdf

Riportato da Innocenzo ·             Progetto Gionata                            1° ottobre 2023

www.gionata.org/catechismo-e-omosessualita-le-tendenze-ccc-n-2358

Cercate il suo volto. Riflessioni teologiche sull’amore omosessuale

Negli ultimi anni la riflessione sui rapporti fra condizione omosessuale e fede cristiana-cattolica è diventata molto fitta. Lo si deve alle conquiste nel campo dei diritti civili, alle aperture pastorali offerte da ebook gratuito “Cercate il suo volto. Riflessioni teologiche sull’amore omosessuale e al bisogno di proseguire nel cammino inaugurato dal Concilio Vaticano II.

                Questo è lo sfondo da cui nasce l’ebook gratuito “Cercate il suo volto. Riflessioni teologiche sull’amore omosessuale“, curato da Antonio De Caro ed edito da La Tenda di Gionata, che raccoglie una serie di riflessioni teologiche, già pubblicate negli scorsi anni sul Portale Gionata

www.gionata.org/wp-content/uploads/2019/09/ebook_cercate_il_suo_volto_compressed.pdf.

                Abbiamo pensato che fosse utile realizzarne una sintesi ragionata, per evitare che la loro ricchezza innovati vada dispersa. I contributi teologici, distribuiti su un arco temporale dal 1988 al 2018, sono stati esaminati e raggruppati per aree tematiche (“Esegesi”, “Teologia”, “Magistero” etc.) e in ciascuna area tematica, ogni contributo è stato ripreso – in modo talvolta sintetico, talvolta approfondito – e collegato con quelli che potevano risultare pertinenti al discorso complessivo, ed arricchito con note e rimandi bibliografici.

                Questa raccolta attraverso il confronto dei contributi teologici elaborati da diversi teologi cattolici, fra tutti Alison, Castillo, Mancuso, McNeill e Migliorini, vuol contribuire a delineare l’evoluzione, negli ultimi 20-30 anni, di alcune idee-chiave utili per comprendere il problema dei rapporti fra fede cristiana e omosessualità.

                Scrive il curatore Antonio De Caro che “non è il caso di cercare qui la profondità e la documentazione di testi propriamente accademici. Se mai, il lettore potrà mettere a fuoco alcune domande ed acquisire nuovi strumenti per proseguire la ricerca. Mi auguro che soprattutto i laici traggano da queste pagine occasione e stimolo per una riflessione autonoma”.

                Un testo che, come scrive nella prefazione Damiano Migliorini, “aiuta a comprendere su quali argomenti c’è ancora sete di conoscenza, chiarificazione, parole inclusive” nelle nostre comunità cristiane.

  • Sommario di “cercare il suo volto. Riflessioni teologiche sull’amore omosessuale”
  • Prefazione. Un raccolto, per una nuova semina di Damiano Migliorini
  • Introduzione.
  • Come è nato questo lavoro e a che cosa serve
  • Di che cosa parla questo libro
  • Capitolo 1  Il metodo storico-critico

La dottrina e la storia; Il metodo storico-critico; Una condizione sconosciuta alla Bibbia; Dal nomos al logos; L’amore come scopo della legge/logos; L’eunuco etiope; Teologia “apofatica” e “quinto vangelo”; Una esegesi per l’accoglienza.

  • Capitolo 2   Dall’esegesi alla teologia
  • 2.1 L’omofobia cristiana. L’omofobia cristiana come peccato; Le origini dell’omofobia cristiana; La teologia liberale; Una questione di diritti umani.
  • 2.2 La legge naturale Alla ricerca di criteri; Una sessualità redenta; Revisione del concetto di legge naturale; Disordine morale?; Maritain e il desiderio; Natura e inclinazioni; Il fine procreativo; La specificità dell’umano; Amore e generatività; Dal desiderio alla relazione; Completarsi nell’amore, Complessità della natura umana; Riflettere sui fini; Il mistero nuziale; Natura e vocazione; La perfezione possibile.
  • Capitolo 3    Esperienza. teologia, magistero
  • I linguaggi della Chiesa; La difesa del potere; La libertà della coscienza; Lo Spirito e la coscienza; L’impegno morale; Il Sabato e l’uomo; Magistero e sensus fidei; Ascoltare l’esperienza.
  • Capitolo 4   Alla ricerca del volto di Dio
  • “Liberarsi di Dio”; Il Dio di Paolo; Il Dio di Gesù; Condanna o accoglienza?; Il Gesù dello “scandalo”; Trasformare la comunità; La “pericoresi”; Per un’etica dei fini.
  • Capitolo 5  Quali orientamenti pastorali?
  • 5.1 Pietro e Cornelio
  • Oltre i pregiudizi.
  • 5.2 Accompagnare verso la pienezza di un amore responsabile
  • Percorso di vita, Benedire l’amore; Liberazione; Una pastorale da parte degli omosessuali.
  • Infallibile?; I criteri del Vangelo; Lc 6,44 “Ogni albero si riconosce dal suo frutto”; Mt 11,4-5 “I ciechi recuperano la vista…”; Relativismo?; Sospendere il giudizio.
  • Bibliografia citata nel testo
  • Riferimenti biblici nel testo

ebook gratuito “Cercate il suo volto. Riflessioni teologiche sull’amore omosessuale”

Riportato da Innocenzo ·Progetto Gionata                   26 giugno 2019

 www.gionata.org/cercate-il-suo-volto-ebook

Nota  anche con grafici:

  • un persistere degli atti di tipo aggressivo, una diminuzione dei suicidi e tentati suicidi e, dal 2016 in poi, un’inversione di tendenza tra atti fisici e non fisici, che fa pensare a una “presa di coscienza” da parte delle persone LGBT, che tollerano sempre meno i torti subiti anche quando il denunciarli diventa impegnativo.
  • un periodico aumento degli episodi verificatisi nel periodo estivo
  • un picco notevolissimo nel luglio 2018, coincidente con l’ascesa della Lega al governo e un identico precipizio nel settembre 2019, coincidente con la caduta dello stesso Governo.

www.omofobia.org/events/trend-graph-by-month

Seelsorge. Perché la questione omosessuale agita così tanto la vita della Chiesa cattolica

Riflessioni Antonio De Caro*

Colpisce la forza con cui la questione omosessuale agita la vita della Chiesa cattolica. La linea che divide conservatori e progressisti attraversa questo tema come pochi altri. Sembra che respingere o accogliere l’amore omosessuale sia una scelta decisiva da cui dipende la vita stessa della Chiesa, la sua credibilità e la sua missione. Come se la grazia dell’evento pasquale dipendesse solo da questo.

                Come se difendere due versetti del Levitico fosse più importante, per i cristiani, del rinnovamento di vita promosso dalle Beatitudini e dal comandamento dell’amore. Non noto discussioni altrettanto accese su problemi moralmente più incisivi, come la povertà, le ingiustizie, la guerra, la violenza di ogni genere.

Una volta ho chiesto a una donna integralista come mai si accanisse con tanta asprezza sulla questione omosessuale, e non su altre, e la sua risposta è stata: “perché questa è la più scandalosa!”. Sembra quindi che la Sacra Scrittura, la tradizione e il magistero siano opportunisticamente sfruttati come alibi per coprire e giustificare un disgusto profondamente irrazionale, incapace di reggere a un autentico scrutinio morale.

                Chiediamoci perché. In altre parole: il tema dell’omosessualità bussa alle porte della coscienza con un’urgenza notevole, che per esempio non si manifesta su altri temi, come la dignità della donna, la pena di morte, gli incidenti sul lavoro, la crisi ecologica. Come mai molti cristiani si sentono così turbati ed interpellati proprio dal tema dell’omosessualità?

Io avrei due spiegazioni, che darò fra poco. Intanto però faccio notare che di solito, per dimostrare che secondo la Bibbia l’omosessualità è peccato, vengono citati i famosi 6 testi che si chiamano “testi del massacro”, 3 nell’AT (Gen 19.1-19; Lv 18.22; Lv 20.13) e 3 nel NT (Rm 1.26-28; 1Cor 6.9-11; 1Tm 1.9-10). Si potrebbe aggiungere Gen 2; nessuna traccia nei Vangeli.

                Nel momento in cui, per confermare la condanna dell’omosessualità, vengono citati questi versetti, non si fa mai riferimento al contesto storico-culturale in cui i rispettivi brani sono nati, alla loro intenzione comunicativa, alla loro applicabilità o non applicabilità al mondo di oggi. Quindi se ne fa un uso fondamentalista, che non spiega il nesso fra la presunta proibizione e il valore morale che quel testo dovrebbe tutelare. E non lo spiega perché nel testo biblico non c’è. Il testo biblico non spiega perché sarebbe immorale per un uomo amare un altro uomo o per una donna amare un’altra donna.

                Non lo spiega perché il testo biblico non pensa all’omosessualità in termini di orientamento naturale della persona (una nozione che a quel tempo non c’era) né in termini di progetto di amore serio, responsabile e costruttivo. Quindi alcuni citano e scagliano quei versetti come pietre sulla vita delle persone (ecco perché si chiamano “testi del massacro”), senza conoscerne il contesto redazionale e culturale né il contenuto etico (quale bene intendono tutelare questi passi biblici?). Il magistero della Chiesa Cattolica Romana per secoli ha fatto questo errore in cui ancora persevera (non si sa bene se per ignoranza, insensibilità o malafede).

La domanda è: perché vi ossessiona tanto la possibilità che esistano delle vite omosessuali moralmente serene, in cui la sessualità liberamente scelta sia un linguaggio della gioia, dell’intimità, dell’amore e della cura reciproca fra i due partner?

Se siete eterosessuali, nessuno vi sta costringendo a cambiare orientamento, natura, stato di vita. Quale minaccia percepite, di che cosa avete paura? Io credo che ci siano tre possibili risposte:

1) per secoli la Bibbia è stata adoperata come pretesto per giustificare il personale e irrazionale disgusto per l’omosessualità; se gli esegeti smontano adesso questo erroneo fondamento, vi sentite mancare il terreno sotto i piedi perché vi scoprite privi del sostegno per un disagio che è solo dentro di voi e per il quale non trovate altra giustificazione;

2) questo disagio nasce in alcuni dal fatto che NON sono omosessuali e l’idea di questo tipo di rapporto li disturba. Ma è ovvio! Se non sei omosessuale, non devi nemmeno immaginare di esserlo, la cosa non ti riguarda, vivi tranquillo la tua vita di relazione, di intimità e di amore. Solo, rispetta chi è diverso da te. Se io non sono vegano, mangio tranquillamente la carne senza pensare che chi è vegano sia contro natura.

3) questo disagio nasce in altri dal fatto che sono omosessuali, ma si reprimono perché non sanno vivere questa situazione in armonia né hanno gli strumenti per difendere quello che sono; hanno quindi paura e tendono a soffocare con aggressività ogni situazione di libertà che possa farli sentire sconfitti.

Nessuno di questi casi riguarda la Parola di Dio, che rimane a splendere lì dov’era. A me omosessuale cristiano quella Parola reca solo una bella notizia: sono amato da Dio così come sono (come pure gli altri dovrebbero farlo) e posso costruire la mia vita, anche matrimoniale, nel segno dell’amore come dono di sé all’altro. Dio mi benedice per prendersi cura della mia anima e per fare sì che anche io possa prendermi cura dell’anima degli altri.

Riportato da Innocenzo ·Progetto Gionata                         26 Settembre 2023

www.gionata.org/seelsorge-perche-la-questione-omosessuale-agita-cosi-tanto-la-vita-della-chiesa-cattolica

Seelsorge. L’arcivescovo di Berlino e la benedizione dell’amore omosessuale

Mentre traducevo la lettera dell’arcivescovo di Berlino, ho notato che vi si ripete molte volte una bellissima parola, dal suono particolarmente dolce: Seelsorge, che vuol dire “cura dell’anima”. E in effetti la lettera è rivolta a tutte quelle persone (sacerdoti, diaconi, anche donne e uomini laici) che, sia pure in diversi ruoli, si prendono cura della serenità delle anime e del loro percorso spirituale.

Il tema della lettera, che ha interessato molte persone, è ancora una volta la benedizione delle coppie omosessuali. Essa segna una tappa importante del dialogo fra omosessualità e Chiesa Cattolica Romana, quello stesso dialogo che rappresenta la principale missione del La Tenda di Gionata.

www.gionata.org/larcivescovo-di-berlino-koch-non-procedero-contro-chi-benedira-le-coppie-dello-stesso-sesso

Tra momenti di gioia, entusiasmo, ma anche amarezza e delusione, anche noi ci occupiamo di Seelsorge, poiché speriamo che i nostri -forse piccoli- contributi (le esperienze, gli incontri, le riflessioni, le preghiere) possano portare un po’ di serenità alle anime di tante donne e uomini disorientati e respinti, e accompagnarli sulla via della grazia, della vita comunitaria e della salvezza. Per questo, per molti di noi è così difficile abbandonare la Chiesa in cui siamo cresciuti, poiché -al di là delle sofferenze che spesso ci ha provocato- riconosciamo in essa la presenza del Signore che ci guida verso l’incontro pasquale e può redimerci senza disprezzare la nostra natura e il nostro modo di amare.

Ormai da diversi anni la Chiesa Cattolica Tedesca si è confrontata seriamente, e anche con grande fatica, con il tema dell’amore omosessuale. Il suo Percorso Sinodale ha approvato una delibera che rende possibile, in Germania, la benedizione delle coppie omosessuali; l’arcidiocesi di Berlino aveva aderito a tale percorso, per cui l’arcivescovo H. Koch dimostra una grande lealtà nel momento in cui ricorda alle guide spirituali che quella adesione ora comporta la necessità di calarne i nuovi orientamenti nella concreta vita pastorale. È una lealtà che si potrebbe anche chiamare umiltà (direi assolutamente anti-clericale), cioè rinuncia all’esercizio del potere autoreferenziale e rispetto delle decisioni sinodali, e sarebbe bello se fosse imitata da molti altri vescovi (che invece in Italia si affrettano a destituire i sacerdoti «disobbedienti», come Francesco Cesaro, Giulio Mignani, Luca Favarin), poiché essa non sminuisce certo l’autorevolezza del vescovo: ammiriamo in H. Koch anche la saggezza pastorale che lo ha condotto a cercare un equilibrio fra la libertà della Chiesa locale e l’unità della Chiesa universale. Pur aprendo concretamente nuovi spazi di ascolto e di benedizione, H. Koch cerca di tenere conto anche delle ragioni contrarie, di mantenere aperto un canale di dialogo con Roma e di garantire la comunione fra i fedeli. È davvero un bell’esempio di sinodalità: il vescovo riconosce e accetta anche operativamente ciò che è stato deliberato dall’assemblea (cioè dall’ecclesia, che comprende religiose, religiosi, laiche e laici), senza imporlo a nessuno.

L’arcivescovo Koch riporta le ragioni dei fedeli contrari e di quelli favorevoli alla benedizione dell’amore omosessuale. Quindi, implicitamente, sta affermando un importante criterio di pastorale e forse anche di teologia morale: le norme e le scelte della Chiesa devono avere una motivazione etica. La Chiesa non può più pretendere obbedienza cieca, in nome della tradizione, senza discutere. Se i dettami del Magistero non rivelano la plausibile, ragionevole e costruttiva tutela di un bene, di un bene efficace e comprensibile per gli esseri umani e per la loro salvezza, tali dettami fanno solo ripiombare le persone nella schiavitù della legge. Forse questo aspetto non viene ancora adeguatamente portato alla luce.

La Chiesa non può più chiedere l’assenso morale se il valore morale non diviene evidente. Per questo qualunque affermazione come “è la dottrina costante da duemila anni” è vuota e umiliante per la coscienza degli esseri umani e dei battezzati. È una forma di autoritarismo clericale volta solo a mantenere il potere.

Koch riporta alcune delle motivazioni dei fedeli contrari alla benedizione dell’amore omosessuale. Esse mi sembrano particolarmente degne di riflessione. L’amore omosessuale costituirebbe un peccato (che Dio quindi non potrebbe benedire) poiché contrario al disegno del Creatore inscritto nella creazione. Inoltre, la benedizione dell’amore omosessuale potrebbe confondersi con il sacramento del matrimonio e indebolirlo. Infine, la sessualità omosessuale non può essere approvata in quanto vissuta al di fuori del matrimonio,

Secondo queste idee, per il nostro Dio, che ha rivelato in Gesù Cristo il suo immenso amore, il piano puramente biologico (la differenza fra i sessi che consente la procreazione) sarebbe più importante della capacità di amore dell’anima umana. Il nostro Dio considererebbe la materialità dell’aspetto genitale più importante della forza etica dell’amore che cerca l’altro per costruire insieme una vita di dono reciproco.

Mi sembra davvero una visione angusta, che ci restituisce un Dio arbitrario, astioso, insensibile. Un Dio incapace di apprezzare e promuovere l’impulso di amore delle sue creature. Un Dio che la (mia) coscienza non può riconoscere né amare. Inoltre, non si comprende in che modo benedire l’amore omosessuale possa indebolire il matrimonio sacramentale.

Le persone omosessuali che si amano, che scelgono una vita insieme e chiedono la benedizione di Dio stanno seguendo la loro natura e la loro vocazione relazionale: essa rimane distinta rispetto alla vocazione al matrimonio tradizionale, che deve essere scelto solo da chi possiede tutte le risorse (come l’orientamento eterosessuale) per costruire quel tipo di famiglia.

La mia relazione d’amore omosessuale non intende “convertire” nessuno all’omosessualità né deprezzare l’amore eterosessuale che sceglie di farsi progetto di famiglia né impedire ad altre donne e uomini di scoprire e vivere la loro vocazione al matrimonio tradizionale. Anzi, è auspicabile che tutti* fossero liber* di vivere in modo autentico e responsabile la loro apertura alla relazione che comunica l’amore anche attraverso i gesti dell’intimità.

È poi grottesca l’obiezione che l’omosessualità costituisca un peccato in quanto comporterebbe un esercizio anarchico della sessualità al di fuori del matrimonio: in un paradossale (se non colpevole) corto circuito, coloro che la sollevano sono proprio quei credenti bigotti e integralisti che escludono l’amore omosessuale da qualsiasi forma di riconoscimento e benedizione. Vi condanniamo perché non potete sposarvi, e siamo noi a decidere che non potete sposarvi.

L’evento pasquale e la fede in Gesù, invece, sono in grado di redimere la sessualità, etero- come omosessuale, plasmandola sempre di più come atteggiamento di dono reciproco, come relazione matura e responsabile che cerca, custodisce e costruisce giorno dopo giorno il bene dell’altro.

La benedizione delle coppie omosessuali-nelle forme sperimentali già ritenute possibili in Germania, Austria e anche in Italia ha un suo profilo liturgico ed eucologico, che rievoca l’amore di Dio e ne invoca la Grazia come garanzia per questa crescita morale e spirituale.

*Antonio De Caro (Palermo 1970) collabora con La Tenda di Gionata per promuovere il dialogo fra condizione omosessuale e fede cristiana. Ha già tradotto dal tedesco i seguenti contributi: Teologi, biblisti e liturgisti cattolici si confrontano su “La benedizione delle unioni omosessuali (2020), “Mit dem Segen der Kirche?” La chiesa cattolica tedesca e le unioni omosessuali nell’ottica della pastorale (2019). Sul tema ha pubblicato anche i seguenti saggi: La violenza non appartiene a Dio. Relazioni omosessuali e accoglienza nella Chiesa (2021) e Cercate il suo volto. Riflessioni teologiche sull’amore omosessuale (2019).

Riportato da Innocenzo ·Progetto Gionata                         24 Settembre 2023

www.gionata.org/seelsorge-larcivescovo-di-berlino-e-la-benedizione-dellamore-omosessuale

POLITICHE PER LA NATALITÀ

Per il Governo è il momento di fare i conti

Nelle prossime settimane passato e futuro delle politiche italiane per la natalità si intrecceranno. La Legge di Bilancio dovrà stabilire come rimodulare l’Assegno unico universale, che paradossalmente non ha impegnato tutte le risorse a disposizione, e quali ulteriori misure mettere in campo per favorire le nascite.

Gigi De Palo non ha dubbi. In materia di natalità “il Governo Meloni lo si giudica ora, con la Legge di Bilancio”. De Palo è il promotore degli Stati Generali della Natalità, che lo scorso maggio hanno avuto come ospiti principali Papa Francesco e proprio Giorgia Meloni. È convinto che, dopo tante dichiarazioni su questo tema, sia arrivato il momento di valutare l’impegno dell’Esecutivo sulla base dei provvedimenti che prenderà e, soprattutto, dei fondi che stanzierà per sostenerli.

La Presidente del Consiglio infatti sta lavorando a quella che è la prima Legge di Bilancio di sua completa competenza visto che, dopo aver vinto le elezioni nel settembre 2022, si è trovata con la manovra 2023 già largamente preparata dal suo predecessore, Mario Draghi.

                “I margini sono limitati”, ha dichiarato Meloni, ma il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgietti, commentando la NADEF1 (nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (DEF), ha confermato che ci saranno “interventi per famiglie e natalità”. Alcuni giornali parlano di un pacchetto di misure da 1,5 miliardi. Le risorse dovrebbero arrivare dai fondi non spesi per l’assegno unico universale, che è stato erogato a partire dal marzo 2022 e che è stato la principale novità introdotta negli ultimi anni in questo ambito.

Nelle prossime settimane, quindi, passato e futuro delle politiche italiane per la natalità si intrecceranno. Con quali risultati? Lo scopriremo insieme, perché la nostra serie #Denatalitalia riparte proprio da qui. Nei prossimi mesi, infatti, torneremo ad approfondire misure e interventi messi in campo in Italia, ma anche a guardare a quanto accade nel resto d’Europa, alla ricerca di casi studio e esempi da seguire. Ma andiamo con ordine.

L’Assegno unico universale. Se guardiamo al recente passato delle misure per la natalità italiane bisogna partire da citato Assegno unico e universale, che è la “misura di sostegno economico alle famiglie introdotta a decorrere dal 1° marzo 2022 dal decreto legislativo 230/2021 e attribuita per ogni figlio a carico fino al compimento dei 21 anni di età (al ricorrere di determinate condizioni) e senza limiti di età per i figli disabili”, spiega la relazione dell’Osservatorio nazionale per l’assegno unico e universale. È definito unico in quanto finalizzato alla semplificazione e al contestuale potenziamento degli interventi diretti a sostenere la genitorialità e la natalità, e universale perché è garantito in misura minima a tutte le famiglie con figli a carico, anche in assenza di Isee o con Isee superiore alla soglia massima prevista. Il provvedimento è stato il principale strumento con cui più recentemente la politica ha cercato di rispondere alla denatalità. Dopo un lungo iter parlamentare è stato implementato dal Governo Draghi ed è stato poi confermato da quello Meloni, che per il 2023 ha previsto un aumento degli importi per i nuclei con figli minorenni, figli maggiorenni con disabilità e peri nuclei con quattro o più figli.

“L’assegno unico è stato sicuramente un miglioramento perché siamo usciti dalla frammentazione e perché molte famiglie che prima non l’avrebbero ricevuto ora l’ottengono”, commenta Chiara Saraceno, sociologa e portavoce della rete Alleanza per l’infanzia. Ma non manca di problemi. Come spiega ancora la relazione dell’Osservatorio nazionale, “l’importo base dell’assegno per ciascun figlio minore, in assenza di maggiorazioni, nel 2023 va da un minimo di 54,10 euro, in assenza di Isee o con Isee pari o superiore a 43.240 euro, ad un massimo di 189,20 euro per Isee fino a 16.215 euro”.

Per Saraceno questo è un primo tema perché “l’importo base è troppo basso, andrebbe aumentato”. E, secondo l’esperta, non si tratta dell’unica criticità.

Una misura da migliorare. Uno dei limiti emersi in questo primo anno e mezzo di vita della misura è la burocrazia legata alla richiesta che le famiglie devono fare, proattivamente, per ottenere il sostegno economico. “È da tempo che chiediamo, ancora invano, una semplificazione dei processi” ha spiegato lo scorso agosto ad Avvenire Adriano Bordignon , presidente del Forum delle Associazioni Familiari. “Al contrario, i ritardi nei versamenti avvenuti nel mese di maggio, le incertezze relative ai nuclei ex percettori di Reddito di cittadinanza, i continui problemi per le famiglie affidatarie hanno aumentato la distanza”, ha aggiunto.

                De Palo sottolinea anche un aspetto legato alla comunicazione che, a suo parere, “non viene fatta come dovrebbe”. “Ci sono ancora persone che mi chiedono cosa sia questo assegno unico”, aggiunge. Proprio per migliorare questo aspetto, a inizio settembre, l’INPS ha deciso di inviare una comunicazione a tutte le famiglie dei neonati, per avvisarle del supporto. Potrebbe essere un passo nella direzione auspicata da De Palo, che prosegue: “stiamo parlando di una misura che esiste da un anno e mezzo, ricordiamocelo. A volte sembra sia già passata di moda. E invece bisogna insistere, dobbiamo migliorarlo”.

In tal senso, Saraceno propone di rendere l’erogazione del contributo “automatica, almeno per l’importo base, che spetta a tutti”. Inoltre, segnala che “chi ha redditi medio alti, a volte non fa nemmeno domanda perché non ha un grande vantaggio” e che “continuano ad esserci problemi di scoraggiamento del lavoro delle madri”.

                Come la sociologa ha spiegato in diverse occasioni, infatti, legare i contributi economici per i figli al reddito familiare (come fa l’assegno unico universale) ha un effetto di scoraggiamento sull’aumento di reddito, quindi anche e soprattutto sull’aumento del numero dei lavoratori in famiglia. Ciò, però, ha scritto Saraceno su Neodemos  “è in contrasto con il sostegno alla fecondità, nelle società sviluppate almeno, dove esistono evidenze empiriche consistenti che indicano nel sostegno all’occupazione delle donne e in particolare delle madri tramite anche politiche di conciliazione la modalità più efficace dal punto di vista della fecondità (ed anche della stessa povertà)”.

Il tesoretto dell’Assegno unico. Per De Palo, invece, “l’assegno unico universale è un’ottima misura di contrasto alla povertà, ma non per far ripartire la natalità”. A suo parere, per rilanciare le nascite, servono anche interventi di natura fiscale, che auspica vengano inseriti nella Legge di Bilancio. E qui arriviamo alla questione delle risorse a disposizione del Governo, che conta anche sui fondi stanziati per l’assegno unico, ma non spesi.

A fine agosto il Sole 24 Ore ha aperto la sua edizione del lunedì proprio con questo il titolo “Assegno unico: 2 miliardi non spesi” (qui un podcast che riassume i contenuti dell’articolo). Al suo interno, il quotidiano spiegava che “la misura ancora non ha raggiunto tutte le famiglie potenzialmente beneficiarie” e che, a fronte di una platea di beneficiari prevista di 7 milioni di nuclei familiari, per un totale di circa 11 milioni di residenti tra 0 e 20 anni, nei primi sei mesi del 2023 erano stati riconosciuti assegni per soli 8.821.228 di figli.

“Pesano la difficoltà di informare tutte le famiglie (il 12% non lo ha chiesto) e gli importi ridotti per i redditi più elevati”, sosteneva l’articolo, che continuava aggiungendo che “nel primo semestre sono stati erogati dall’INPS 8,28 miliardi di euro”. “Ipotizzando che fino a dicembre la spesa resti uguale a quella del mese di giugno, a fine anno si potrebbe arrivare fino a 16,6 miliardi”, circa due miliardi in meno rispetto ai 18,6 miliardi stanziati per la misura nel 2023.

Il Sole continuava avanzando anche altre ipotesi con risparmi meno consistenti e, in effetti, la relazione dell’INPS pubblicata nelle settimane successive ha rilevato un aumento delle famiglie e dei figli beneficiari. Da gennaio a luglio 2023, i nuclei familiari che hanno ricevuto l’assegno nel periodo sono stati 6.213.179, per un totale di 9.735.087 di figli raggiunti e 10,4 miliardi di euro di assegni erogati.

Cosa ci sarà nella Legge di Bilancio? Le cifre, quindi, potrebbero cambiare, ma il concetto rimane: come era successo anche nel 2022, dalla voce di bilancio per la natalità ci saranno fondi risparmiati che il Governo dovrà decidere come e dove usare. E le ipotesi sono diverse.

Il Foglio spiega che nella Legge di bilancio ci saranno “aiuti alle famiglie con almeno tre figli, bonus per il secondo figlio e sgravi per le madri che lavorano, per un investimento di circa 1 miliardo e mezzo di euro”. SkyTg24 aggiunge che sul tavolo c’è già un nuovo intervento sull’assegno unico. “Nella prima finanziaria – scrive il sito di news – è stato aumentato per il primo figlio e poi dal terzo figlio in poi fino a tre anni e successivamente anche in modo forfettario e strutturale per le famiglie numerose. «Altrettanto faremo in questa nuova finanziaria», annuncia la ministra Roccella: «In particolare l’intervento sull’assegno unico sarà focalizzato sul terzo figlio, mentre per il secondo è allo studio un pacchetto di altre misure più articolato»”.

                Il dibattito è in corso, ma per avere certezze bisognerà aspettare il “tasse20 ottobre”, scadenza entro cui andrebbe presentato al Parlamento il disegno di legge di Bilancio vero e proprio. La data però, avverte Pagella Politica, “non è vincolante e negli ultimi anni i Governi hanno sempre accumulato ritardi”.

Ipotesi da cui partire: tasse, conciliazione e casa. Nell’attesa di capire i tempi, Saraceno e De Palo fanno riflessioni e avanzano proposte. La prima riguarda l’attenzione particolare che il Governo sembra mostrare per le famiglie numerose. “Il problema in Italia non è che non facciamo il terzo o il quarto figlio ma che facciamo fatica ad arrivare a due”, ragiona Saraceno. Anche De Palo, che di figli ne ha cinque, esprime un concetto simile: “la denatalità in Italia non la sconfiggi se decine di migliaia di famiglie numerose fanno il quarto o quinto figlio, ma se centinaia di migliaia di famiglie, dopo il primo fanno il secondo”. Perché questo avvenga, a suo parere, serve un intervento in materia di tassazione, anch’essa al centro dell’operato del Governo. “A riforma fiscale in corso, ci aspettiamo che la Legge di Bilancio contenga un richiamo alla composizione famigliare, qualcosa di oggettivamente visibile”, dice. “Facciamo una riforma fiscale che consideri il peso dei figli nel pagare le tasse. La precarietà diminuisce la possibilità di fare figli. L’aspetto fiscale aiuta perché riguarda tutti, è universale, indipendentemente dal contratto di lavoro”, sostiene.

Saraceno, invece, conclude facendo un ragionamento più ampio: “per incentivare le scelte positive di fecondità o, quanto meno, per non scoraggiarle occorre toccare più piani. Non basta un assegno”. Per la sociologa, bisogna anche sostenere l’occupazione giovanile e quella femminile, migliorare la conciliazione tra vita e lavoro e agire su molti altri fronti, tra cui uno cruciale come quello dell’accesso all’abitazione per i giovani. “Tutto questo vedo che manca. Va benissimo se la Legge di bilancio rafforza un pochino l’assegno unico, ma se non si interviene su tutti gli altri settori…”.

Paolo Riva          Secondo Welfare           5 ottobre 2023

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RIFLESSIONI

La rimozione della morte

È stata una scelta coraggiosa da parte di Torino Spiritualità quella di proporre come tema di ricerca e di confronto la morte: “Agli assenti. Della morte ovvero della vita”. Sì, proprio la morte, la nostra morte, in una stagione culturale che ha rimosso questo limite e destino degli umani, coloro che significativamente i greci chiamavano “mortali”. Oggi la gran massa delle persone non vuole saperne della morte, cosicché è diventata l’unica realtà veramente oscena, che non deve essere vista, considerata, pensata. Tuttavia, anche se evitiamo con il massimo impegno di esserne testimoni, la morte continua a essere presente nelle nostre vite familiari e di relazione. E ci sforziamo di tener lontano dai pensieri e dalle parole anche la nostra morte personale, l’unico evento che ci sta sicuramente dinanzi.

Anche il vocabolario quotidiano risente del bisogno di non pensare alla morte, di non nominarla. È vergognoso, ma persino il linguaggio ecclesiastico cristiano si è fatto incerto: non si pronuncia più la parola “morto”, ma si preferisce quella di “defunto”, o l’espressione “se ne è andato… non è più tra di noi!”. E i funerali non sono più la visione del morto che lascia la terra, ma riti e parole per dirlo ancora vivo: tutti tentativi di non accettare la definitività della morte attraverso varie forme, inefficaci, di “rianimazione del cadavere”.

Ma ciò che appare follia è che accanto alla rimozione della morte ne avvenga la spettacolarizzazione, cosa che si verifica spesso. Si tenta di negare la morte ma di vedere la vittima; si esalta, si fa parlare il morto non in un compianto, ma in un incrocio di interessi personali che ne sfruttano miseramente la figura.

La mia generazione ha ancora ricevuto dalla tradizione umanistica il consiglio di “pensare la morte”, di prepararsi all’evento finale riflettendo sulla propria morte. Resta vero che oggi ciò che desta paura non è tanto la morte in sé quanto il morire, il modo in cui si morirà. Chi pensa alla morte prova a immaginare il tragitto che non conosce in anticipo. Le vecchiaie prolungate aumentano quest’ansia: si sarà ancora autonomi, o si sarà abbandonati nelle mani di altri?

Vivremo nella consapevolezza del cammino che facciamo o la malattia mentale, la demenza senile ci trasformerà, ci darà un volto verso il quale è difficile sostenere lo sguardo? I tentativi di cura saranno sopportabili? Ci sarà chi risponde alla nostra richiesta di cure palliative, o saremo preda della sofferenza? Sono paure che riguardano ciò che avverrà prima della nostra morte. Situazione insensata, perché il dolore è insensato e non ha nessun significato.

Non ci è chiesto di accogliere la sofferenza fisica come se fossero voluti da Dio. Dio non ci chiede neanche di offrire il nostro dolore, ma solo di attraversarlo amando e accettando di essere amati da chi resta.

Nessuno di noi sa se morirà nella luce dell’alba promessa o nella tenebra della notte sopraggiunta, se nel tormento o con il sorriso grato sul volto. Possiamo solo invocare che nella morte non ci venga impedito di amare fino alla fine.

Enzo Bianchi      “la Repubblica”               2 ottobre 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202310/231002bianchi.pdf

SESSUOLOGIA

«Donna o uomo, decisiva la biologia»

Tra i due sessi differenze e specificità determinate dalla natura sessuata: parola del medico francese

 René Écochard e del suo nuovo libro

«La libertà degli individui non  significa fare come se non avessimo un corpo sessuato. La libertà significa invece sviluppare tutto ciò che è possibile a partire da questo potenziale di partenza». Ad affermarlo è il noto medico e saggista francese René Écochard, professore all’Università Claude Bernard di Lione e autore di ”Uomo,

Donna. Che cosa ci dicono le neuroscienze (San Paolo), da poco uscito in Italia, dove l’autore è atteso a inizio ottobre per presentare il volume.

Si tratta di una panoramica aggiornata della ricerca scientifica internazionale sulla complementarietà fra i sessi, attraverso gli apporti delle neuroscienze, della biologia e della genetica. L’opera è scritta in uno stile accessibile e divulgativo, per rispondere in primo luogo agli interrogativi del mondo educativo, dove si propagano da tempo gli approcci “costruttivisti” alla sessualità, come la teoria del gender. Approcci che, sottolinea Écochard, rappresentano un «grave errore», negando le evidenze scientifiche: «L’uomo non si costruisce dal nulla. Non siamo pezzi del Lego, nei nostri geni ci sono una direzione e un’eredità tracciati nel corso di una lunghissima storia evolutiva».

I primi studi da lei citati riguardano i nascituri. Che cosa si è scoperto?

Tramite risonanza magnetica cerebrale si è compreso che esistono, già in utero, differenze di connessioni nei cervelli dei due sessi. Proprio quest’anno un nuovo studio si è concentrato sugli scambi che esistono fra le diverse parti del cervello. Fin dal secondo trimestre della gravidanza i cromosomi e gli ormoni ci trasformano in direzione femminile o maschile, come si è constatato in generale nei mammiferi. Ricercatori come Simon Baron-Cohen, dell’Università di Cambridge, dicono che siamo “cablati” a livello neuronale in modo specifico. Le bambine sono “cablate” per l’empatia verso ciò che accade nel cuore degli altri. I bambini per analizzare la situazione. Da una parte prevale l’intuizione, dall’altra l’analisi. Come negli altri mammiferi, ciò è una premessa biologica per la complementarietà in vista delle funzioni di trasmissione della vita. Da parte femminile, prevale una predisposizione per la qualità di vita “locale”, per così dire. Da parte maschile, una predisposizione per la protezione della cellula familiare.

Molti altri studi riguardano le fasi successive.

Quali sono le conclusioni principali?

Rispetto a una ventina d’anni fa questi studi hanno notevolmente affinato la nostra conoscenza della frontiera fra la genetica e l’epigenetica. I cervelli differenziati si formano già grazie ai geni. In seguito, in funzione della vita, le relazioni con l’ambiente e l’educazione permettono in maggiore o minore misura lo sviluppo di questi “semi” già esistenti. Proprio come il seme di una pianta, che si sviluppa più o meno bene se viene abbeverato e riceve luce. Per questo è importante che l’educazione tenga conto che si è davanti a un bambino o una bambina. In proposito, scientificamente non vi sono dubbi. Ma politicamente, in non pochi Paesi, tende a diffondersi una sorta di sfocatura. È l’effetto di una duratura influenza sulla politica della sociologia degli anni Settanta, dunque di approcci ormai vecchi che non potevano tener conto di quanto la biologia e la genetica hanno poi scoperto. Oggi sappiamo senza ombra di dubbio che si nasce femmine o maschi e che poi ci si sviluppa seguendo questi binari distinti.

Vediamo dunque molto più chiaro sulla frontiera fra innato e acquisito...

Sì, nel senso che non c’è rottura fra i due. Ciò che si acquisisce è un prolungamento di ciò che innato. In altri termini, l’innato è il proprio potenziale. L’acquisito è ciò che ne facciamo. Per fare un esempio vegetale, un giardiniere che ha piantato pomodori e porri può farli crescere più o meno bene, secondo la cura che vi mette. Ma queste cure non possono trasformare i porri in pomodori e viceversa. L’acquisito, cioè il contesto e l’educazione, non può fare tabula rasa dell’innato. L’acquisito sviluppa a partire dall’innato.

Sulla distinzione cerebrale donna-uomo, quali sono i risultati più assodati?

Il cervello emozionale della donna e quello dell’uomo non funzionano allo stesso modo. Nella donna l’amigdala, mediatore centrale delle emozioni, è costantemente in contatto con tutto il resto del cervello. Nell’uomo, il contatto è ben più limitato. Gli uomini hanno un cervello più “recintato” fra la zona della ragione e la zona dell’emozione. Nella donna le emozioni sono permanenti. In tal modo ci completiamo bene. Gli uomini, nel corso dell’azione, sono più al riparo dalle emozioni. Le donne, con la loro ricchezza di connessioni, possono essere maggiormente saturate dalle emozioni.

Queste conclusioni potrebbero essere interpretate da alcuni come deterministe...

Non lo sono, perché in realtà non negano la libertà dell’individuo. Ma questa libertà riguarda la facoltà di sviluppare più o meno il nostro potenziale. Di questo potenziale ciascuno può fare quello che crede. In altri termini, come ormai riconoscono ampiamente le neuroscienze, ciascuno di noi è unico e abbiamo la capacità di scegliere a partire dal nostro potenziale.

Questi studi offrono chiarimenti pure sulla diffusione storica del modello di famiglia monogamica?

Sì, gli scienziati lavorano molto sulla monogamia. Penso a certi studi tedeschi recenti sulle scimmie titì monogame della Bolivia: le famiglie di queste scimmie hanno comportamenti vicini a quelli della specie umana, per loro la monogamia è obbligatoria. Per noi non lo è ma ha un fondamento biologico, nel senso che abbiamo supporti biologici che ci rendono capaci di costruire una famiglia monogamica. Come in altri animali, con l’atto sessuale secerniamo l’ossitocina, l’ormone dell’attaccamento, e la prolattina, l’ormone che ci spinge a prenderci cura dell’altro. Inoltre, come le scimmie titì, reagiamo fisicamente al volto dell’altro e ai suoi suoni e parole. Ma noi possiamo dire “voglio”, abbiamo la grande dimensione della libertà. L’istinto familiare non è un’invenzione: è già nei nostri geni e non solo nella nostra cultura.

Daniele Zappalà               Avvenire bioetica           28 settembre 2023

Terza facciata                        www.scienzaevita.org/wp-content/uploads/2023/10/28-set-Avvenire.pdf

SINODO UNIVERSALE

Il Sinodo, «pausa della Chiesa in ascolto»

Papa Francesco ha portato il suo saluto alla prima Congregazione generale del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità, ricordando che «il protagonista è lo Spirito Santo»

www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2023/october/documents/20231004-apertura-sinodo.html

«Il Sinodo non è un parlamento, è un’altra cosa. Non è una riunione di laici per risolvere alcune cose, è un’altra cosa». Francesco lo ha ribadito ieri pomeriggio, 4 ottobre 2023, portando il suo saluto alla prima Congregazione generale, in Aula Polo VI. «Non dimentichiamo – ha detto – che il protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo, e se in mezzo a noi c’è lo Spirito che ci guida sarà un bel Sinodo. Se davanti a noi ci saranno interessi personali e ideologici, non sarà un Sinodo ma un’altra cosa. Il Sinodo è un cammino dello Spirito Santo». E per chiarire la sua centralità nella vita della Chiesa, ha ricordato il «trambusto della Pentecoste», dopo il quale c’è «la grande opera dello Spirito Santo: l’armonia. Lui ci unisce nell’armonia di tutte le differenze. Se non c’è l’armonia non c’è lo Spirito. Lo Spirito Santo – ha continuato – è il compositore armonico della storia della salvezza».

                Armonia però «non significa sintesi, ma legame di comunione tra parti simili. Un’armonia di molte voci creata dallo Spirito Santo: così dobbiamo concepire la Chiesa. Le particolarità vano inserite nella sinfonia della Chiesa. Noi – ha ribadito il Papa – non siamo un parlamento, non siamo le Nazioni Unite. Lo Spirito Santo è l’origine dell’armonia tra le Chiese. Lo Spirito Santo ci conduce per mano e ci consola. La presenza dello Spirito Santo è una presenza quasi materna: è il consolatore, che è uno dei nomi dello Spirito. Colui che custodisce la Chiesa è lo Spirito Santo. Dobbiamo imparare ad ascoltare le voci dello Spirito, tutte differenti: imparare a discernere».

                Il pontefice è tornato quindi a mettere in guardia dal «chiacchiericcio», definendolo «una malattia molto frequente tra di noi», che «va contro lo Spirito Santo. Le vuote parole – ha spiegato – rattristano lo Spirito Santo. Anche la maldicenza rattrista lo Spirito Santo: è la malattia più comune della Chiesa, il chiacchiericcio. Se non lasciamo che ci guarisca dalla malattia, il cammino sinodale non sarà buono. Se non siete d’accordo, ditelo in faccia: dite la verità, non il chiacchiericcio sotto il tavolo», l’invito. Quindi ha aggiunto: «La malattia più brutta nella Chiesa è la mondanità spirituale: state attenti a questo, non prendiamo il posto dello Spirito Santo con cose mondane, anche buone. Il buon senso aiuta, ma lo Spirito Santo va oltre. Dobbiamo imparare a vivere la nostra Chiesa nello Spirito Santo».

                Nelle parole di Bergoglio, «in questo Sinodo c’è la verità dell’ascolto, c’è questa priorità. Dobbiamo dare un messaggio agli operatori della stampa, ai giornalisti che fanno un lavoro molto bello, molto buono – ha esortato -: dare una comunicazione che sia il riflesso di questa vita nello Spirito Santo. Ci vuole una ascesi, un certo digiuno della parola pubblica per custodire questo. E quello che si pubblica, che sia in questo ambiente. Qualcuno dirà che i vescovi hanno paura e per questo non vogliono che i giornalisti dicano», ha avvertito. La raccomandazione, dunque, è di aiutare i giornalisti a raccontare questo «andare nello Spirito». Nel Sinodo, ha ribadito Francesco, «più che la priorità del parlare c’è la priorità dell’ascolto. E ai giornalisti chiedo di fare capire questo alla gente».

                Guardando alle esperienze precedenti, ha ricordato che «nel Sinodo sulla famiglia la pressione dell’opinione pubblica era sul dare la comunione ai divorziati. Nel Sinodo sull’Amazzonia, la pressione dell’opinione pubblica era per fare i viri probati. Adesso ci sono alcune ipotesi su questo Sinodo, come il sacerdozio alle donne». Sono le cose che «si dicono fuori. E dicono tante volte che i vescovi hanno paura di comunicare quello che succede». Di qui l’appello: «Chiedo a voi comunicatori di fare la vostra funzione giusta. Che le persone di buona volontà capiscano che anche nella Chiesa c’è la priorità dell’ascolto. Grazie di aiutare tutti noi in questa pausa della Chiesa – ha aggiunto -. La Chiesa si è fermata, come si sono fermati gli apostoli dopo il Venerdì Santo, ma quelli per paura. Questa è una pausa della Chiesa in ascolto».

Redazione          Roma sette         5 ottobre 2023

www.romasette.it/il-sinodo-pausa-della-chiesa-in-ascolto/Sinodo: avviati i Circoli minori

Il diario del Sinodo, la rottura sempre più netta con il metodo del passato

Il Cardinale Ambongo Besungu *1960

“Noto con meraviglia che questo non è come i precedenti, perché allora si sapeva come andava a finire

Non tanto un Sinodo sulla sinodalità, ma un Sinodo attraverso la sinodalità. Sembra non esserci un argomento base, si parla di diversi temi ma nello spirito sinodale. La formazione dei sacerdoti, dei seminari, la formazione per le famiglie e di tutti i battezzati, il modo in cui la gerarchia deve essere all’interno della comunione, il termine lessicale della sinodalità, alcune delle questioni sollevate. Con il passare dei giorni e con le poche informazioni ufficiali che vengono comunicate alla stampa il Sinodo, dunque, sembra assumere la sua fisionomia, sempre più nuovo e lontano da quelli passati.

A confermare questa impressione è stato uno dei membri del Sinodo intervenuto oggi in conferenza stampa, il Cardinale Fridolin Ambongo Besungu, Arcivescovo di Kinshasa e Presidente del SECAM.

Io vengo dall’Africa, è il mio quarto Sinodo. Molti – ha raccontato il porporato – mi hanno chiamato dall’Africa, mi hanno detto di andare e di tornare portando soluzioni ai problemi dell’Africa. Ognuno viene qui portando le proprie speranze. Da quando abbiamo iniziato siamo entrati con la preghiera e ora che siamo nel pieno del Sinodo noto con meraviglia che questo non è come i precedenti sinodi perché allora si sapeva come andava a finire. Questo no. Per dire l’importanza che viene data alla ricerca della verità in questo momento storico della Chiesa. Nessuno tra noi è venuto con una agenda e potrà imporla. Siamo tutti fratelli nell’ascolto della volontà di Dio nella sua Chiesa. Vivo questo Sinodo con grande gioia e fiducia”.

Stamane sono state consegnate le prime relazioni dei circoli minori alla Segreteria Generale. “Le relazioni dei circoli non sono pubbliche – ha spiegato il Cardinale Ambongo perché una dinamica di sinodalità, per avere la sinodalità dobbiamo fare una sintesi e tutti la devono approvare. In effetti il primo giorno abbiamo affrontato tanti argomenti, tra cui il ministero nella Chiesa sacerdotale, diagonale, catechisti, laici. Questi argomenti sono stati ricordati nella sinodalità: lo spirito di Dio cosa ci dice oggi per questo tema? Dobbiamo ascoltare la volontà del Signore, questa ricerca non si può fare in una sessione. Nel 2024 alla fine della seconda sessione potremo dare risposte alle domande che ora vengono sollevate. Nessuno può dire facilmente io so quel è la volontà di Dio, per questo il sinodo ha scelto il metodo del discernimento: c’è un problema, come cerchiamo insieme quella che ci sembra oggi la migliore soluzione. Dall’inizio è stato applicato questo metodo e possiamo dire ce il risultato sarà qualcosa di più vicino a quella che consideriamo la volontà di Dio. I membri del Sinodo hanno l’autorità non per il fatto di essere stati nominati ma per il Battesimo che hanno ricevuto Tutti i presenti hanno dunque l’autorità di parlare a nome della Chiesa perché è la loro Chiesa”.

Sul tema della benedizione delle coppie omosessuali, il porporato africano ha preferito non rispondere in maniera diretta. “Al punto in cui siamo – ha spiegato – non vorrei cadere nella opinione personale e uscire dallo spirito della sinodalità”.

Marco Mancini                 ACI Stampa        7 ottobre 2023

www.acistampa.com/story/il-diario-del-sinodo-la-rottura-sempre-piu-netta-con-il-metodo-del-passato

I lavori nei 35 “tavoli” in Aula Paolo VI.

«Per garantire libertà di espressione e serenità del discernimento, ognuno dei partecipanti è tenuto a riservatezza e confidenzialità»

Il Sinodo sulla sinodalità aperto ieri, 4 ottobre, in Vaticano, continua oggi nei Circoli minori, dedicati al primo modulo di argomenti tratto dall’Instrumentum laboris, che servirà ai 365 membri e 464 partecipanti, tra cui 70 non vescovi, per «prendere contatto con la sinodalità come visione d’insieme, o meglio, come dice il titolo del modulo, con la Chiesa sinodale come esperienza integrale», ha spiegato il cardinale Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e relatore generale al Sinodo. Si tratta, ha sottolineato, di «un passaggio di fondamentale importanza» per i lavori sinodali, caratterizzati dall’alternanza tra le Congregazioni generali e i Circoli minori, che hanno luogo nei 35 rispettivi “tavoli” di cui è disseminata l’Aula Paolo VI.

Tra le novità del Regolamento del Sinodo, alcune regole precise per la comunicazione. «Per garantire la libertà di espressione di ognuno e di tutti riguardo al proprio pensiero e per garantire la serenità del discernimento comune, che è il compito principale affidato all’Assemblea – si legge nel testo – ognuno dei partecipanti è tenuto alla riservatezza e alla confidenzialità sia per quanto riguarda i propri interventi, sia per quanto riguarda gli interventi degli altri partecipanti. Tale dovere resta in vigore anche una volta terminata l’Assemblea sinodale». A tutti i partecipanti, inoltre, «è proibito registrare, filmare e divulgare gli interventi nelle Congregazioni generali e nei Circoli minori».

Redazione          RomaSette         5 ottobre 2023

 www.romasette.it/sinodo-avviati-i-circoli-minor

Dario Vitali: con il Sinodo la Chiesa cambia e torna alle fonti

Quello che si apre è il primo Sinodo che si celebra secondo la normativa della costituzione apostolica Episcopalis communio, firmata da papa Francesco il 15 settembre 2018.

www.vatican.va/content/francesco/it/apost_constitutions/documents/papa-francesco_costituzione-ap_20180915_episcopalis-communio.html

«Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione»: la prima sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, apre i battenti. Ma non è più un evento. È la prima sessione di un processo iniziato il 10 ottobre del 2021, che apre un’altra fase che si concluderà con la seconda sessione il prossimo anno in ottobre. Il primo che vede la partecipazione attiva e con diritto di voto di settanta non vescovi, oltre alla presenza di una cinquantina di esperti, distinti in facilitatori e teologi.     Questa è «la prima volta che viene applicata l’ecclesiologia del Concilio recuperando idealmente la prassi sinodale del primo millennio», afferma don Dario Vitali,*1956 membro della Congregazione per la Dottrina della Fede

                 Ed è con lui che entriamo nel metodo e nelle ragioni di questo processo che mette al centro la dimensione costitutiva, quindi irrinunciabile e urgente per la vita della Chiesa: la sinodalità.

                Professore, come si svolgeranno i lavori? Quali novità rispetto al passato?

Mentre nei precedenti Sinodi i lavori cominciavano in assemblea plenaria (Congregazioni generali) e vedevano poi la presenza di tutti i membri negli incontri dei gruppi di lavoro (Circoli minori), adesso l’ordine è rovesciato: si comincia con i Circoli minori affrontando i diversi temi previsti dall’Instrumentum laboris: sulla sinodalità, sulla comunione, sulla missione e partecipazione.

Anche il suo ruolo di coordinatore degli esperti teologi non era previsto. In che consiste?

Si tratta di una funzione pensata in deroga alla Episcopalis communio. Aiuta il gruppo degli esperti a svolgere un lavoro in équipe, legato alla prassi della nuova metodologia dell’assemblea.

Può spiegarci in breve questa nuova metodologia?

                Papa Francesco ha chiesto che tutta la Chiesa sia partecipe, tutti siano protagonisti nella logica dell’ecclesiologia del Popolo di Dio. Questo spiega perché Episcopalis communio trasforma il Sinodo da evento a processo, articolato in fasi. La prima fase ha visto la partecipazione di tutta la Chiesa e di tutti nella Chiesa, attraverso la consultazione del Popolo di Dio nelle Chiese particolari e poi i due momenti di discernimento, nelle Conferenze episcopali e nelle Assemblee continentali. Il Popolo di Dio ha svolto la sua funzione attiva, secondo quanto dice il Concilio Vaticano II, che il Popolo di Dio partecipa della funzione profetica di Cristo (Lg 12). Per questo all’Assemblea partecipano a pieno titolo ai lavori dei membri non vescovi, i quali non rappresentano il Popolo di Dio, ma sono i testimoni dell’unità del processo sinodale. La loro presenza e il loro contributo dicono che il Sinodo non consiste in un’Assemblea circoscritta e che la prima fase è essenziale al discernimento. E che i temi che si affrontano sono quelli emersi dalla consultazione del Popolo di Dio.

Quindi con questo Sinodo, a più di mezzo secolo dal Concilio, lei pensa che per la prima volta si comincia ad applicare l’ecclesiologia conciliare?

Esattamente. Questo processo sinodale permette che tutti i soggetti nella Chiesa siano partecipi e quindi tutta la Chiesa sia partecipe. La prima fase di questo processo ha permesso di ascoltare tutto il Popolo di Dio. E per favore la P di Popolo sia scritta in maiuscolo… perché il Popolo di Dio è la Chiesa come totalità di battezzati, soggetto del sensus fidei. Il fatto quindi di cominciare dal Popolo santo di Dio corrisponde alla scelta del Concilio: la costituzione Lumen Gentium contiene un capitolo sul Popolo di Dio che costituisce la “rivoluzione copernicana” in ecclesiologia, perché pone l’uguaglianza prima delle differenze, la dignità dei battezzati prima delle funzioni gerarchiche, che sono al servizio della Chiesa.

Cosa significa in pratica?

Significa che la vocazione fondamentale data dal battesimo è quella di essere figli di Dio. Il primato della dignità battesimale determina anche il recupero di una funzione propria del Popolo di Dio che torna ad essere soggetto attivo nella vita della Chiesa. Il Concilio ci riconsegna la funzione propria del Popolo santo di Dio conosciuta come sensus fidei o sensum fidelium, cioè la totalità dei fedeli che è «infallibile in credendo». Questa funzione che Pio IX e Pio XII invocarono come prova per definire il dogma dell’Immacolata concezione e l’Assunzione di Maria al Cielo, torna ad essere esercitata come momento iniziale di tutto il processo sinodale.

                E in questo processo qual è il compito dei pastori?

                C’è un legame necessario tra l’esercizio del sensum fidelium e l’esercizio del magistero dei pastori durante il processo sinodale. I vescovi svolgono un atto di discernimento su quanto è emerso dal Popolo di Dio come manifestazione della funzione profetica. Mi rendo conto che la parola “discernimento” è inflazionata, ma va sottolineato come per la prima volta la funzione dei vescovi si svolge in stretta relazione con quella del Popolo di Dio. San Paolo invita a non spegnere lo Spirito a non disprezzare le profezie, a vagliare ogni cosa e a trattenere ciò è buono (1Ts 5,19-21).

Il Papa ripete sempre che «il protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo». Può spiegare in breve che vuol dire?

                Nella seconda sessione del Concilio Vaticano II risuonò in aula la domanda provocatoria di un vescovo maronita di Beirut: Ignatius Ziadé. Questo vescovo chiese: «Chiesa latina, che ne avete fatto dello Spirito Santo?». Per motivi storici la Chiesa in Occidente aveva sempre più taciuto la presenza dello Spirito privilegiando l’aspetto visibile istituzionale della Chiesa. Il recupero della presenza e dell’azione dello Spirito nella Chiesa è un altro dei guadagni del Concilio. D’altronde, se la Chiesa è pellegrina – così si esprime il Concilio – ed è in cammino verso il Regno, bisogna ascoltare lo Spirito Santo per sapere la strada da percorrere.

Ma in concreto come si ascolta lo Spirito Santo?

Il Papa ripete sempre: ascoltarsi per ascoltare lo Spirito. Se lo Spirito Santo è dato nel Battesimo, il primo atto di ascolto dello Spirito è ascoltare il Popolo santo di Dio. Tutto il processo sinodale è un atto di ascolto dello Spirito: la consultazione del Popolo di Dio e il discernimento dei Pastori. Il medesimo Spirito che guida il Popolo santo di Dio, guida i suoi pastori. Da questo ascolto sinfonico emerge ciò che lo Spirito dice alla Chiesa.

Quindi la Chiesa va avanti ritornando alle origini?

Il Concilio Vaticano II ha assunto il ritorno alle fonti non come un vezzo metodologico ma una scelta di verità per la Chiesa. Il Concilio ha recuperato il modello di Chiesa dei Padri, senza rinunciare in nulla al progresso dogmatico del secondo millennio. Per questo ha potuto inserire la dottrina del primato nella costituzione gerarchica della Chiesa e ripensare la struttura gerarchica della Chiesa a servizio del Popolo di Dio. Questo recupero ha determinato la ricomprensione della Chiesa cattolica come corpo delle Chiese (cfr Lg 23). Il processo sinodale applica questa ecclesiologia del Concilio recuperando idealmente la prassi sinodale del primo millennio. Per questo si può dire che la Chiesa è gerarchica e sinodale insieme.

Qual è in sostanza lo scopo finale di questo processo?

                È quello di far radicare uno stile e una forma sinodale di Chiesa, in modo che la sinodalità, come dimensione costituiva della Chiesa, possa e debba configurare la Chiesa stessa, la sua vita, le sue istituzioni, il modo di pensarsi e di operare, la sua missione. Significa quindi rivedere molte cose alla luce di questo principio costitutivo, maturato nel solco della Tradizione in continuità con il Concilio, che non contraddice la Chiesa di sempre ma la illumina di una luce nuova, di quella novità che è sempre nell’ordine della grazia, quindi nova et vetera, nuova perché antica.

Stefania Falasca               Avvenire             3 ottobre 2023

www.avvenire.it/chiesa/pagine/sinodo-vescovi-la-chiesa-cambia-e-torna-alle-origini-intervista-a-teologo-vitali

Sinodo delle correnti, ma il papa avverte: «Non è un parlamento»

Ha preso il via ieri in Vaticano l’Assemblea generale del Sinodo dei vescovi che, in due tempi (ottobre 2023 e ottobre 2024) inframmezzati da un lungo intervallo di «discernimento», si confronterà su un macro-tema apparentemente innocuo ma potenzialmente esplosivo (“Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione”), che potrebbe far affiorare tutti i nodi più spinosi che attraversano e inevitabilmente dividono la Chiesa: inclusione delle persone omosessuali, accesso delle donne ai ministeri, ordinazione per gli uomini sposati, abusi del clero. Fermo restando che ogni decisione finale è nelle mani del pontefice, il quale potrà accogliere, respingere o recepire in parte le proposizioni approvate dall’Assemblea. Perché il Sinodo, nonostante l’ampliamento delle sue prerogative, rimane un organismo consultivo e non deliberativo.

Che i rischi di spaccatura siano a portata di mano Bergoglio lo sa bene. Infatti ieri mattina, aprendo l’assise con una messa in piazza San Pietro, ha iniziato e concluso l’omelia ripetendo che «il Sinodo non è un parlamento» dove si confrontano maggioranza e opposizione, conservatori e progressisti.

Ma ha anche indicato, fra le righe, cosa si aspetta: caute aperture, in un equilibrato mix di innovazione e tradizione, per arrivare a costruire senza strappi una «Chiesa dalle porte aperte a tutti, tutti, tutti», ripetuto tre volte. Dobbiamo essere una Chiesa che «discerne il presente», «non si barrica dietro convinzioni acquisite» ma nemmeno «si lascia dettare l’agenda dal mondo», ha detto papa Francesco.

E, riprendendo il discorso di apertura di Giovanni XXIII al Concilio Vaticano II, ha aggiunto che è necessario che «non distolga mai gli occhi dal sacro patrimonio della verità ricevuto dagli antichi» ma sappia «guardare anche al presente, che ha comportato nuove situazioni e nuovi modi di vivere». Ovvero una Chiesa capace di essere «accogliente» e «ospitale», che «non impone pesi», che respinge le «tentazioni pericolose di essere una Chiesa rigida, una dogana, che si arma contro il ondo e guarda all’indietro».

Al di là degli auspici e delle raccomandazioni del papa all’unità (non dobbiamo avere «uno spirito divisivo e conflittuale»), è inevitabile che, se si deciderà di affrontare i temi più delicati contenuti nell’Instrumentum laboris elaborato al termine di un percorso iniziato due anni fa e che ha coinvolto le diocesi di tutti i continenti, l’Assemblea si confronterà aspramente e probabilmente si dividerà.

Una piccola anticipazione si è avuta nei giorni scorsi, quando il papa e la Congregazione per la dottrina della fede sono intervenuti sui dubia sollevati da cinque cardinali ultraconservatori su coppie omosessuali, donne prete e sinodalità, e sulla domanda del cardinale emerito di Praga sull’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati. Le risposte hanno confermato quella che sembra essere la linea della Chiesa di papa Francesco: in generale aggiornamento pastorale senza modificare la dottrina (possibilità di benedire le coppie omosessuali, ma il matrimonio è un’altra cosa e non va confuso); su alcune questioni porte chiuse da cui però filtra qualche spiraglio (non all’ordinazione presbiterale delle donne, ma «non è una definizione dogmatica»); su altre, invece, aperture più decise (sì alla comunione ai divorziati risposati, anche se eludono la «continenza» sessuale proposta dalla Chiesa).

È su questo difficile equilibrio che si giocherà l’Assemblea sinodale iniziata ieri, al termine della quale (29 ottobre) si capirà se il baricentro della Chiesa si sposterà un po’ più avanti o se la palla resterà a metà campo. Probabilmente non aiuterà, anzi rischia di produrre l’effetto opposto, la decisione del Vaticano di ridurre all’essenziale le comunicazioni ufficiali su quanto verrà detto in assemblea. Un quasi silenzio stampa che potrebbe moltiplicare le “fughe di notizie”, alimentate ad arte dagli schieramenti che si formeranno. Perché se è vero, come dice papa Francesco, che il Sinodo non è un parlamento ma «il protagonista è lo Spirito santo», è anche vero che i componenti dell’Assemblea sono uomini (chierici e qualche decina di laici) e donne che agiscono anche in base a logiche terrene: 365 votanti, di cui 54 donne, che per la prima volta possono votare (più 99 invitati senza diritto di voto, fra cui Luca Casarini, che porterà la voce dei migranti).

I lavori si svolgeranno in maniera plenaria e in 35 circoli minori divisi per lingue. A fine mese l’Assemblea voterà una sintesi finale, da cui si capirà la direzione di marcia. Un anno di tempo per “digerirla” e, a ottobre 2024, la seconda convocazione dell’Assemblea generale che approverà a maggioranza qualificata dei due terzi il documento finale da consegnare a papa Francesco. Che deciderà cosa farne.

Luca Kocci          “il manifesto”   5 ottobre 2023

https://ilmanifesto.it/il-sinodo-delle-correnti-ma-il-papa-avverte-non-e-un-parlamento

Donna…singolare, duale, molteplice

Torniamo a riflettere sull’argomento dell’accesso delle donne al ministero ordinato. Sappiamo qual è la posizione ufficiale del magistero papale così come è stata formulata nella lettera apostolica “Ordinatio sacerdotalis” del 1994 di Giovanni Paolo II; in essa si afferma che non è a disposizione della Chiesa consentire alla donna di accedere al ministero perché non voluto da Dio stesso;

www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_letters/1994/documents/hf_jp-ii_apl_19940522_ordinatio-sacerdotalis.html

inoltre, viene data l’indicazione che l’argomento può essere considerato chiuso e, come tale, non più oggetto di discussione: col tacito invito a dovere “restare in silenzio”? Vorremmo ricordare le tante volte in cui, nella storia della Chiesa, si sono ritenuti ‘indisponibili’ al magistero temi come la libertà religiosa, il pregiudizio della inferiorità della donna, la condizione di diseguaglianza…, tutti successivamente superati. Inoltre, se volessimo essere troppo fedeli all’ingiunzione del silenzio, non dovremmo parlare neppure per dire che il papa ha proibito di discutere dell’argomento in oggetto!

Evidentemente non si tratta di muoversi su questa linea, che risulterebbe esposta alla contraddizione; piuttosto, nel rispetto della posizione magisteriale, che chiama in causa la volontà di Dio, si tratta di capire se ci sono nuove motivazioni che possano giustificare la riapertura del dibattito; ciò può avvenire o perché le precomprensioni (storiche, culturali…) che hanno fatto da supporto alle posizioni passate non sciolgono le domande e i dubbi; o perché vengono offerte sollecitazioni nuove rispetto all’impianto tradizionale.

Prendiamo avvio da questa seconda ipotesi mentre per altre considerazioni rinviamo a F. Romano – C. Scordato,La Chiesa …strada facendo. Un modesto contributo pro-vocatorio al Sinodo”, Sce, Palermo 2023, pp. 73-78.

                Recentemente U. Galimberti, filosofo e psicologo la cui produzione ha assunto rilevanza internazionale, in diversi interventi ha evidenziato che c’è una differenza fondamentale tra la struttura fisica della donna e dell’uomo. Secondo lui la donna ha, per così dire, una configurazione somatica ‘duale’ perché predisposta ad accogliere il seme e quindi a dare posto dentro di sé al feto, al bambino che cresce in lei fino a portarlo alla luce. Nella donna, il suo essere sé stessa convive con l’essere anche l’altro/l’altra che porta in grembo; si tratta di una predisposizione naturale, che, secondo Galimberti, sarebbe orientata alla riproduzione della specie; ma che certamente caratterizza l’essere femminile in quanto tende a dare spazio all’alterità, cioè a fare convivere sé e gli altri insieme. Inoltre, laddove le gravidanze sono più di una (possibilità spesso attuata), si fa strada nella donna l’esperienza che la vita può essere condivisa da persone diverse e che l’amore che la genera non è escludente, piuttosto è capace di includere. Certamente questa evenienza comporta il grande impegno della madre di tenere insieme i figli in un percorso, tutt’altro che facile, che li educa a condividere spazi, giochi, affetti; in questo caso, il compito materno sarà tanto più qualificato quanto più riuscirà a fare stare insieme i figli, non in competizione ma in reciproca accoglienza.

Ebbene, queste brevi considerazioni, che prendono spunto dall’autore citato, ci sembrano abbastanza stimolanti per rilanciare una riflessione, che riesce a focalizzare la condizione in qualche modo specifica della donna; ella si trova predisposta, a partire dall’ambito familiare, non solo al servizio della vita, ma anche al servizio della comunione tra persone diverse. Si tratta di elementi importanti che possono favorire il ripensamento del ministero ordinato; se pensiamo che esso si caratterizza come servizio volto alla edificazione della comunità, l’attitudine femminile a posporsi agli altri e a dare spazio a presenze diverse, offre un potenziale che, in qualche modo, la predispone al servizio della comunità; certamente l’esito sacramentale di questa dispositio femminile passa attraverso l’intervento della grazia di Dio e la maturazione personale in direzione di una vocazione comunitaria.

  1. Con ciò, non vogliamo idealizzare la donna; nella concretezza della vita, anche la condizione materna è esposta a dinamiche conflittuali; ciononostante, le caratteristiche appena accennate non solo non confliggono col ministero della comunione, che è componente essenziale nel ministero ordinato, ma addirittura possano risultare condizioni favorevoli al suo esercizio. Una donna, una madre che sanno ritrarsi per dare spazio agli altri, accoglierli, farli crescere con accompagnamento di attenzione e di cura potrebbero mettere tutto questo splendidamente a servizio della comunità.

                Certamente, tutto da provare. Appunto!

Cosimo Scordato             nel blog: Come se non di Andrea Grillo                                 5 ottobre 2023

www.cittadellaeditrice.com/munera/donna-singolarenduale-molteplice-di-cosimo-scordato

Processo sinodale alla prova del codice/2

Ecco la seconda conferenza tenuta presso il “Centro Hurtado”, per il ciclo “Martedì alla Gregoriana”, nell’aprile del 2022 da parte di Andrea Grillo (la prima, tenuta dal prof. P. Consorti, si trova al post precedente).

www.cittadellaeditrice.com/munera/processo-sinodale-alla-prova-del-codice-1-di-pieluigi-consorti

Due dogmatiche “sfasate” e il cammino sinodale

1. Premesse. Nel titolo generale, che comanda la conversazione di oggi (“Processo sinodale alla prova del codice”) ci chiediamo: chi mette alla prova chi? Il codice di diritto canonico mette alla prova il Sinodo o il Sinodo mette alla prova il codice?

                Da un lato è facile farsi rassicurare dal codice, per intendere in modo riduttivo il Sinodo: un sinodo a misura di codice è una cosa troppo facile, che si maneggia in modo lineare e i cui risultati sono già tutti previsti in partenza. D’altra parte è altrettanto facile idealizzare il Sinodo “veluti Codex non esset”, e pensare che la legge sia quasi un “valore residuale” nel cammino ecclesiale di riforma, una sorta di “conseguenza esterna”, una volta acquisita una nuova comprensione nel cuore o nella mente.

                Per non cadere in queste due diverse ingenuità, vorrei muovere da alcune “auctoritates”, che hanno già riflettuto sulla stretta relazione tra “chiesa in uscita” e “competenza giuridica”, per esaminare poi non solo il “dispositivo di blocco” che paralizza la Chiesa cattolica, ma in quali ambiti la tensione tra “dogmatiche giuridica” e “dogmatica teologica” si mostra più evidente, fino a generare vere e proprie forme di “sfasatura” che chiedono, anzitutto al Sinodo dei Vescovi, di provvedere con saggia urgenza.

                2. Due testimoni: Fantappié e Boeckenfoerde. Anzitutto vorrei soffermarmi su una affermazione di uno storico del diritto canonico, che da molti anni sottolinea la arretratezza del diritto canonico rispetto alla teologia (C. Fantappié, di Per un cambio di paradigma, Bologna, EDB, 2019, p. 175):

                “Il paradosso storico è che, mentre il magistero della Chiesa, dalla fine dell’ottocento in avanti, si è aperto a una seria e impegnativa riflessione sull’interpretazione dei testi biblici e teologico-dogmatici, nel campo del diritto canonico questa assunzione di consapevolezza è rimasta lettera morta. Lo stridore si accentua ove si pensi che la scienza canonistica aveva per prima elaborato, insieme con la civilistica medievale, la teoria della interpretatio in senso creativo: ma oggi si trova ancora confinata nella lettera del codice”

                La rievocazione di una “profezia canonistica”, che ha reso grande questa disciplina in un passato lontano, deve costatare una sorta di “chiusura positivistica” della canonistica cattolica contemporanea, che così risulta largamente incapace di proporre riforme, anziché eseguire esclusivamente compiti apologetici di ufficio.

                Vi è poi la pretesa giuridica, inserita nel codice del 1983, di delimitare il campo di esercizio della parola teologica (W. Boeckenfoerde, Roma ha parlato, la discussione è aperta, Il Regno, 2005, 739-744)

Il lungo e dettagliato articolo presenta una sorta di “paradosso”, che scaturisce dalla analisi di un testo-chiave del Codice del 1983: “Nel presente contesto va posto infine un quesito: in che misura la prospettiva qui delineata discorda o addirittura contrasta con il diritto canonico in vigore, in particolare con le norme che regolano l’esercizio del magistero nel Codice di diritto canonico del 1983 e con la categoria d’autorità ivi presupposta? Il can. 752 afferma: «Alla dottrina, che sia il sommo pontefice sia il collegio dei vescovi enunciano circa la fede e i costumi, esercitando il magistero autentico, anche se non intendendo proclamarla con atto definitivo» dev’essere prestato «un religioso ossequio dell’intelletto e della volontà». A essere richiesta è un’obbedienza che presenta due aspetti intimamente connessi: sul piano intellettuale essa comporta un intimo consenso che sia in grado di far propria la dottrina enunciata; sul piano della volontà si traduce poi in un atto d’obbedienza di tipo esterno. Il legislatore si attende cioè che l’eventuale difficoltà a comprendere o condividere la dottrina enunciata venga superata grazie a un atto di volontà” (741).

                È proprio quest’atto l’elemento che dovrebbe render possibile l’interiore assenso richiesto per garantire, a sua volta, l’ossequio religioso dovuto nel riconoscimento dell’autorità ecclesiale. La doverosa prestazione d’ossequio prevista dal can. 752 rappresenta un elemento nuovo, introdotto nel Codice del 1983. Il codice pio-benedettino del 1917 stabiliva semplicemente l’obbligo d’evitare, oltre che l’eresia, tutti gli errori che fossero in un determinato modo a essa omologabili; la normativa comportava l’obbligo di attenersi alle costituzioni e ai decreti in cui la Santa Sede avesse condannato o riprovato come erronee determinate affermazioni dottrinali. Il codice pio-benedettino prevedeva cioè un obbligo limitativo e negativo: quello d’evitare eresie ed errori dottrinali condannati espressamente come tali; non contemplava invece l’obbligo positivo d’una prestazione d’assenso dovuta a tutti gli insegnamenti pontifici, senza ulteriore specificazione della rispettiva natura magisteriale” (742).

Se leggiamo infatti il testo parallelo nel Codice del 1917: “Can 1324. Satis non est hæreticam pravitatem devitare, sed oportet illos quoque errores diligenter fugere, qui ad illam plus minusve accedunt; quare omnes debent etiam constitutiones et decreta servare quibus pravæ huiusmodi opiniones a Sancta Sede proscriptæ et prohibitae sunt.”

Di qui Boeckenfoerde conclude con parole assai pesanti: “L’obbligatoria prestazione d’assenso prevista dal codice in vigore è caratterizzata da una componente particolarmente significativa: comporta per i fedeli un obbligo d’omissione, cioè il dovere «di evitare tutto ciò che non concorda» con la dottrina enunciata (can. 752). Mentre nel codice precedente la normativa sulle affermazioni concernenti la fede contemplava solo l’obbligo d’evitare gli insegnamenti che vi fossero stati dichiarati come contrari, in quello del 1983 essa prevede l’omissione obbligatoria di tutto quello che «non concorda» con la dottrina insegnata. Ove si prendano seriamente in considerazione le conseguenze giuridiche che questa norma implica in quanto legge canonica, se ne dovrà dedurre che ogni parere contrario alla dottrina enunciata è del tutto irrilevante. Persino un’affermazione dottrinale attentamente analizzata e ritenuta tale da porsi come vincolante in coscienza può indurre, al massimo, alla sospensione interiore d’un assenso, cioè d’un atto che verrà poi comunque prestato in via eccezionale e sotto forma della cosiddetta obbedienza silenziosa. A esservi preclusa è ogni forma di critica o di obiezione esposta pubblicamente, persino nell’ambito di un dibattito scientifico.” (744)

                È ovvio che questo modo di impostare la riflessione ecclesiale, se si estende al di là del magistero infallibile, determina una enorme riduzione della libertà di riflessione critica, di cui invece ha bisogno urgente il cammino del Sinodo. Una tale comprensione della “disciplina” può concepire soltanto che il magistero ascolti il popolo, e che il popolo ascolti il magistero, ma non prevede alcuna mediazione teologica per accompagnare tanto un ascolto quanto l’altro.

                3. La questione centrale: la dogmatica teologica e la dogmatica giuridica sono sfasate. Occorre riconoscere che queste due testimonianze ci aiutano a distinguere tra la sfasatura “contingente”, che sempre si verifica nel percorso storico della Chiesa, e quella “strutturale”, che altera in modo fondamentale il ruolo stesso della mediazione giuridica in rapporto alla mediazione teologica. È stato proprio il processo di “codificazione” di inizio XX secolo ad aver persuaso settori rilevanti della Curia romana e dei canonisti, di aver conseguito, col codice, quella mediazione giuridica ultima, che poteva arrivare a capovolgere il rapporto tra teologia e diritto.

                L’ombra dell’antimodernismo sulla codificazione canonica non è sufficiente a spiegare il fenomeno. Occorre considerare, in aggiunta, lo sviluppo “postconciliare” di un diverso antimodernismo, che ha assunto la figura della “ermeneutica della continuità” del soggetto ecclesiale, fino a teorizzare una sorta di “formula”, per bloccare in radice ogni possibilità di riforma e per controllare in modo efficace che anche la teologia si disponga a riflettere soltanto nell’ambito di questo recinto, predeterminato dal diritto. In questo modo, anche il Concilio Vaticano II veniva gradualmente svuotato.

                L’antimodernismo di inizio secolo e il nuovo antimodernismo post-conciliare, che ha elaborato il “dispositivo di blocco”, trova nel codice una delle sue risorse più preziose: detto nelle parole di una sorta di “formula”, che compare sempre nei diversi documenti di una lunga fase della espressione magisteriale recente, si tratta di “negare di avere il potere, per mantenere tutto il potere”. Questo fenomeno ha assunto allo stesso tempo forma giuridica e forma teologica, creando, per così dire, una “sinergia” tra “dispositivo di blocco giuridico” e dispositivo di blocco teologico”. La sfasatura canonica così ha iniziato a diventare anche sfasatura teologica.

                Da un lato il diritto sistematizzato nel codex diventa l’orizzonte normativo ultimo, rispetto a cui ogni riflessione teologica deve restare inclusa. Dall’altro la teologia del magistero tende a ridursi a “teologia di autorità”, fuori della quale non è dato riflettere pubblicamente al teologo. Il sistema si perfeziona per interventi progressivi, di volta in volta di carattere formale o di carattere tematico, tutti accomunati da queste sottolineature della “mancanza di autorità della Chiesa nel poter riformulare la propria classica autorità”. I documenti principali di questa progressione, che intervengono in materia sacramentale, o in materia morale, o in materia liturgica, sono: Inter Insigniores (1976), Nuovo Codice di diritto canonico (1983), Veritatis splendor (1993), Ordinatio sacerdotalis (1994), Ad tuendam fidem (1998), Liturgiam autenticam (2001), Summorum Pontificum (2007). Il ruolo che larga parte dei canonisti (ma anche di teologi) hanno svolto in questa progressione è a dire poco sconcertante. La esigenza di una “profezia canonistica” (e teologica) è stata tendenzialmente ridotta a zero. E si è attaccato l’asino dove voleva il padrone. Perché il Sinodo possa avere qualche speranza di incidere sulla realtà, occorrerà risvegliare la passione dei canonisti non solo per lo ius conditum, ma anche per lo ius condendum.

                4. Tre “sfasature” da esaminare sinodalmente. Per chiarire meglio questa condizione di “sfasatura”, toccherò molto velocemente 3 campi di interesse giuridico e sinodale, che meritano un approccio diverso da quello al quale ci eravamo rassegnati per quasi mezzo secolo:

a) ministero e genere femminile: ogni riforma si è fatta con una “riforme del codice”. La preclusione al femminile è di autorità, diremmo “di default” e il codice, solo dal 1917, lo dice expressis verbis, trasformando una discussione “de impedimentis” in una definizione “di sostanza”. Tale definizione è fondata? O è fondata solo perché è ufficiale? Stando al Codice (can 752) ai teologi (e a tutti i cristiani) non resterebbe che accettare e o tacere…ma atto del legislatore e atto del magistero non si identificano del tutto: un “buco” magisteriale altera la compattezza giuridica e chiede che le nuove possibilità di ordinazione femminile (in primis al diaconato) non trovino come ostacolo una norma pensata con una mens da società chiusa e patriarcale.

b) matrimonio come atto e come processo. Lo sviluppo della teologia non corrisponde ad una evoluzione delle categorie giuridiche, se non in modo formale. Il “bene” del matrimonio contempla ora anche il “bonum coniugum”: questa novità sociale e culturale è stata integrata dal codice del 1983, ma in modo estrinseco, perché la considerazione del “male” del matrimonio prevede solo una attenzione per l’atto, non per il percorso personale della relazione. Un modello diverso appare con chiarezza in J-P. Vesco (ex avvocato civilista) che da Vescovo (arcivescovo di Algeri) lavora sulla categoria sistematica di “adulterio” da ripensare, per capire il nuovo equilibrio tra dogmatica teologica e dogmatica giuridica. Solo una nozione “immediata” di reato di adulterio (e non “continuata”) è in grado di offrire una soluzione plausibile alla domanda di verità nella vita dei singoli e delle coppie. Una profezia canonistica al servizio di una nuova coscienza teologica.

                www.cittadellaeditrice.com/munera/una-medicina-o-un-veleno-un-libro-su-amoris-laetitia-di-g-meiattini-recensione-di-marco-gallo

                c) Pena e penitenza: la dogmatica giuridica sul sacramento della penitenza e sul diritto penale è formalistica e premoderna. Questo impedisce letteralmente di “fare giustizia”, sia sul piano sacramentale, sia sul piano giudiziario. Curioso fenomeno: noi discutiamo delle grandi questioni con categorie del tutto inadeguate e con priorità sfasate. Se nella questione degli “abusi” ci si arrocca sul “segreto del confessionale” (con tutta la sua relativa serietà), si difende non la giustizia, ma il museo diocesano e si trascura il giardino della tradizione. Io non ho sentito un solo giurista (e nemmeno un solo teologo) recuperare il terreno più adeguato, ossia che la confessione (che resta segreta per il ministro) incide sulla vita del penitente. Si tratta di attivare due nuove (ma anche antiche) attenzioni:

– gli atti del penitente sono “materia” del sacramento, non si possono stilizzare troppo senza perdere il senso del sacramento, che non è solo “atto di perdono”, perché è diverso dal battesimo proprio per la sua “laboriosità”;

– il modo di pensare la relazione tra “crimine” e “peccato” implica una diversa rilevanza dei “terzi”. Pensare come “peccati contro Dio” i “crimini contro la persona” implica un difetto categoriale e istituzionale che non riesce più a “fare giustizia” alle persone: difende solo il “sacramento” come “cosa sacra”. Qui al canonista penalista è chiesto di aggiornarsi almeno alle acquisizioni del volume “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria.

                Il sistema strutturato sul codice, così come è, appare in profonda crisi, perché alimenta in larga misura una pericolosa autoreferenzialità. Senza una profonda riforma del codice, il rischio è che esso, così come è, renda superfluo ogni intervento riformatore, ovviamente anche quello del Sinodo, che l’apparato burocratico non sopporta affatto, perché costituisce solo un elemento di disturbo, che minaccia di alterare quella “divina costituzione della Chiesa” che sembrerebbe custodita soltanto dal positivismo canonico, poco dinamico e per nulla lungimirante. Una “divina costituzione ecclesiale” che parlasse solo all’imperativo, per di più secondo imperativi troppo vecchi, e non conoscesse né l’indicativo, né il congiuntivo né il condizionale né l’ottativo, sarebbe solo una controfigura malriuscita della realtà di grazia e guarderebbe ad ogni “evoluzione”, ad ogni “segno dei tempi”, ad ogni “riformulazione” come ad un pericolo gravissimo, da evitare con la più grande determinazione.

Andrea Grillo                    blog “Come se non”                      3 ottobre 2023

Dire in maniera nuova la fede

Nicea, il primo concilio ecumenico e lo sforzo di dire la fede con il linguaggio della cultura dominante. Il credo niceno-costantinopolitano che recitiamo ogni domenica a messa è nato allora. Nel 2025 faremo memoria dei 1.700 anni passati dal primo evento ecumenico della storia della cristianità: il Concilio di Nicea. Fu convocato dall’imperatore Costantino in questa città a 130 chilometri a sud-est di Costantinopoli e gli storici dicono che vi parteciparono trecento vescovi in maggioranza orientali.

Il grande sforzo di dire la fede, allora. Nicea passò alla storia certo per la condanna dell’eresia di Ario  – che negava la divinità di Cristo visto come un uomo nato normalmente da donna e poi adottato in modo speciale da Dio, la cui natura divina è unica – ma anche per lo straordinario sforzo di inculturazione che la comunità cristiana ha operato. Già la scuola di Alessandria (quella di Clemente e Origene) e poi i padri della Chiesa del quarto secolo (Atanasio, Basilio, Gregorio di Nazianzo e di Nissa, Agostino) avevano rielaborato ed espresso la dottrina cristiana usando categorie proprie della filosofia, in particolare quella greca.

La sintesi di quel lungo impegno la troviamo espressa nel Credo niceno-costantinopolitano che recitiamo ogni domenica a messa. Un lavoro di “inculturazione”, in un tempo in cui il cristianesimo non era ancora la religione dell’Impero, prezioso e fondamentale e che ha retto per molti secoli. Un confronto serio che ha tradotto il Vangelo in forme, linguaggi e simboli che risultavano comprensibili ai contemporanei e che ha portato, dopo un faticoso e complesso processo culturale e teologico, Nicea e i concili successivi (Efeso nel 431 e Calcedonia nel 451) a proclamare Gesù Cristo “veramente Dio e veramente uomo”.

La grande difficoltà a ricomprenderla, oggi. Eppure ogni volta mi chiedo quanto le formulazioni usate siano oggi comprensibili a coloro che le recitano. “Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create”. Potenti verità di fede espressa con formulazioni – homoousios, physis, ousia, hipostasis  – che non riescono più ad essere convincenti per la coscienza credente contemporanea. Non voglio dire che non siano significative, ci mancherebbe. Ma che non parlano più al cristiano che la domenica vive l’esperienza della messa (e, forse, ancora di meno a quanti a messa non ci vanno).

La frattura tra fede e cultura è stata definita da Paolo VIil dramma della nostra epoca”. Con ragione, padre Bartolomeo Sorge scriveva: “La frattura tra fede e cultura è stata definita da Paolo VI «il dramma della nostra epoca». E, in effetti, il nodo principale oggi da sciogliere nell’evangelizzazione del mondo contemporaneo è il nuovo rapporto tra fede e cultura, che siamo chiamati a instaurare all’interno della società secolarizzata e pluralistica.” In questo rapporto tra fede e cultura – sfida della Chiesa di ogni tempo se vuole rinnovare in modo creativo la fedeltà al Vangelo – la questione del linguaggio è decisiva.

                Serve – e, se siamo onesti, lo dobbiamo riconoscere – una nuova riformulazione del messaggio cristiano. Certo, tale riformulazione del messaggio chiede alla comunità ecclesiale, a noi per primi che la rappresentiamo visibilmente, di rivisitare la nostra fede, di non darla più per scontata, di re-imparare a viverla e di re-imparare a dirla. Come potremo essere educatori della fede degli adulti se non ci rieducheremo a credere diversamente, in modo non infantile e fuori dal tempo? ( fratello Enzo Biemmi)

Una riformulazione che è un appello alla Chiesa smarrita di oggi. Una Chiesa forte perché disarmata, credibile perché povera, coraggiosa perché debole, libera perché spoglia di ogni altro potere che non sia quello della parola di Dio da custodire sì fedelmente, ma da incarnare nella storia, affinché sia sale della terra e luce del mondo.” (Sorge).

                C’è molto lavoro da fare. Da qualche parte bisognerà cominciare. Al più presto.

Daniele Rocchetti            “la barca e il mare””     5 ottobre 2023

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